dio è innocente?

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DIOGENE 78 N. 28 Settembre 2012 QUESTIONI CHE CONTANO no dei più sconcertanti feno- meni che è da sempre co- mune oggetto di discussione davanti agli occhi della mo- dernità è sicuramente l'inter- pretazione a cui è continuamente soggetto il male e, di conseguenza, tutte le sue manifestazioni. Qual è stata la ri- sposta dominante nella nostra tradi- zione filosofica e teologica a questo grande problema, comune ad ogni es- sere umano? Si potrebbe pensare che sia stata quella impostata da Platone al- l'origine di questa riflessione, dicendo all'interno del X libro della Repubblica, parlando del Mito di Er, che "del male, del nostro far male, il Dio non può es- sere ritenuto causa. Dio è bene, Dio è immutabile, è semplice, è veritiero, ed è causa di tutti i beni: thèos anaìtios, Dio è innocente". Tutta la riflessione teologica successiva si è fondata sul presupposto platonico secondo cui, poiché la divinità è inno- cente di fronte al male presente nel mondo, di conseguenza il commettere il male dell'essere umano ha origine dalla sue scelte, dalle sue decisioni, e dunque dal suo libero arbitrio. Non è il divino a determinare l'uomo ad agire male, bensì la sua libertà. Dio è inno- cente: causa del male è quindi l'uomo. Secondo quanto è narrato nel mito di Er, l'uomo si sceglie il proprio daímon in relazione al proprio passato perso- nale e riportando alla memoria le esi- stenze che ha vissuto. Platone sottolinea inoltre che l'uomo, quando compie una scelta, si trova completamente libero: in seguito ad essa, tuttavia, rimane ineso- Dio è innocente? Come i cristiani protestanti affrontano il problema dell’origine del male. U K Giulia Laboranti Classe II A, Liceo Classico Ugo Foscolo, Pavia. Simone Martini, Ritratto di Agostino di Ippona, 1320, Fitzwilliam Museum, Cambridge, Inghilterra.

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Giulia Laboranti Classe II A, Liceo Classico Ugo Foscolo, Pavia. Vincitrice del primo premio del premio di filosofia "Le questioni che contano" indetto da Loescher Editore.

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DIOGENE78N. 28 Settembre 2012

Q U E S T I O N I C H E C O N T A N O

no dei più sconcertanti feno-meni che è da sempre co-mune oggetto di discussionedavanti agli occhi della mo-dernità è sicuramente l'inter-

pretazione a cui è continuamentesoggetto il male e, di conseguenza, tuttele sue manifestazioni. Qual è stata la ri-sposta dominante nella nostra tradi-zione filosofica e teologica a questogrande problema, comune ad ogni es-sere umano? Si potrebbe pensare chesia stata quella impostata da Platone al-l'origine di questa riflessione, dicendoall'interno del X libro della Repubblica,parlando del Mito di Er, che "del male,del nostro far male, il Dio non può es-sere ritenuto causa. Dio è bene, Dio èimmutabile, è semplice, è veritiero, edè causa di tutti i beni: thèos anaìtios, Dioè innocente". Tutta la riflessione teologica successivasi è fondata sul presupposto platonicosecondo cui, poiché la divinità è inno-cente di fronte al male presente nelmondo, di conseguenza il commettereil male dell'essere umano ha originedalla sue scelte, dalle sue decisioni, edunque dal suo libero arbitrio. Non è ildivino a determinare l'uomo ad agiremale, bensì la sua libertà. Dio è inno-cente: causa del male è quindi l'uomo.Secondo quanto è narrato nel mito diEr, l'uomo si sceglie il proprio daímonin relazione al proprio passato perso-nale e riportando alla memoria le esi-stenze che ha vissuto. Platone sottolineainoltre che l'uomo, quando compie unascelta, si trova completamente libero: inseguito ad essa, tuttavia, rimane ineso-

Dio è innocente?Come i cristiani protestanti affrontano il problema dell’origine del male.

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K Giulia LaborantiClasse II A, Liceo Classico Ugo Foscolo, Pavia.

Simone Martini, Ritratto di Agostino di Ippona, 1320, Fitzwilliam Museum, Cambridge, Inghilterra.

rabilmente legato al proprio daimon. Lascelta di quest'ultimo avviene dunquein maniera totalmente svincolata da ne-cessità esterne, non essendo costituita edeterminata dalla decisione di alcundio. Tuttavia bisogna considerare cheper la cultura ellenistica la libertàumana non trova la sua realizzazionesolamente nel momento della scelta deldaimon. L'uomo, durante la propria esi-stenza, è capace di raggiungere la tantoricercata libertà attraverso la cono-scenza. Ciò significa che egli può accu-mulare tutte le conoscenze necessarieper divenire consapevole del destinoche sta scegliendo nel momento in cuimatura la propria decisione. La pro-spettiva intellettualistica tipica dellacultura classica greca identifica la ma-nifestazione della libertà dell'uomonella sua volontà di conoscere: la sal-vezza dell'uomo dipende dunque dallasua possibilità di conoscere ciò che lodestina, e, in questa ottica, ciò che è inpotere dell'essere umano non è tantosfuggire al destino, bensì conoscerlo. Ilconcetto di libertà consiste dunque nel-l'intelligere, nel comprendere ciò che ènecessario. La libertà trova dunque lapropria esplicitazione quando avvieneuna completa armonia proprio con ciòche è necessario, ovvero la ragione.

Predestinati al male?

La progressiva evoluzione culturale ereligiosa avvenuta in Occidente ha con-tribuito a un'ulteriore cambiamentocirca l'approccio dato alla problematicateologica del male, sempre dipesa da treprincipali fattori, ovvero volontà, pre-destinazione e provvidenza: tutte te-matiche di centrale importanzanell'impianto ideologico che ha carat-terizzato (e tuttora caratterizza) le duegrandi realtà cristiane presenti in Eu-ropa, cioè cattolicesimo e luteranesimo.Mondi teologici assai complessi, essisono il risultato di una differente inter-pretazione legata alla sfera della volontàumana, intesa come ambito applicativoin cui si sviluppa un percorso di scelte.Ed è proprio attraverso la scelta, chel'uomo fa di sè un portatore di luce ouno strumento del male. Ma è possibileparlare di scelta quando l'uomo è già"predestinato"? Il concetto protestante di predestina-

zione è stato elaborato relativamentealla condizione di "servo arbitrio" cui lacoscienza umana è per natura sottopo-sta, cioè uno stato di impossibilità deci-sionale dettata da un progettoprecalcolato della mente divina. La pre-destinazione al bene o al male viene ac-cettata nel momento stesso in cui sirinuncia a porre nella libertà dell'uomola responsabilità di un destino perso-nale. Gli uomini fanno il "bene" o il"male" non perché lo vogliono (diceLutero e soprattutto Calvino), ma per-ché così li ha predestinati Dio, il qualesi serve, nella sua imperscrutabile pre-scienza, del bene o del male per con-fondere i reprobi e rassicurare i virtuosi. Sebbene nella teologia luterana sia pre-sente una Provvidenza che agisce sulpercorso esistenziale dell'uomo, la dif-ferenza sostanziale con la predestina-zione sta in un problema, per così dire,di "integrazione". Mentre per la prima ilmale, in ultima istanza, viene reinte-grato positivamente nel bene, per la se-conda invece è irrecuperabile. "Fare ilbene", in particolar modo nell'otticacalvinista, altro non può significare che"fare bene il proprio dovere", deciso apriori da Dio, e in particolare il proprio"dovere professionale". Il concetto di predestinazione rende ilpentimento qualcosa di impossibile,escludendo ogni possibilità di reden-zione. Chi tradisce la propria vocazioneè moralmente già morto, benché fisica-mente continui a vivere. Chi pecca con-tro Dio non può dunque essereperdonato. Il peccatore destinato a es-sere condannato, ormai spiritualmentesmarrito, non può minimamente spe-rare in un cambiamento futuro chepossa, in qualche modo, migliorare oaddirittura cancellare la terribile condi-zione ontologica in cui si trova: ognisforzo e lotta che può compiere neltentativo di raggiungere uno stadio dicorrezione individuale non può essereche vano e inutile, in quanto la forzacon cui ci si confronta coincide con unordine precostituito. Il Dio luterano è una forza preordi-nante che sembra non provare né pietàné rimorsi nemmeno di fronte all'in-tima e profonda sofferenza dell'animadel peccatore che cerca di redimersi, se-gnando, per così dire, il vero e proprio

crollo di ogni possibile teodicea. Ogni"giustificazione" di Dio, giustificazioneche lo presenta, come afferma Platone,un innocente, cessa di esistere, inquanto diviene un puro ente predesti-nante; in base a un imperscrutabile di-segno ultraterreno, alcune nature sononate per peccare, altre per essere re-dente, essendo predestinate alla sal-vezza. La scelta individuale attraverso cui sidecide il sentiero esistenziale da per-correre viene completamente annullata.Non è dunque errato pensare che lateologia luterana abbia tolto all'uomo illibero arbitrio, tramutando così la li-bertà stessa nella necessità di obbedirea una realtà precostituita. Dio non puòpiù essere giustificato per il male delmondo, perché attraverso la concezionedella predestinazione Dio stesso è ilvero autore dell’anima dell'uomo, de-stinata a sbagliare e a peccare.

La risposta cattolica

Qual è, a questo punto, la risposta datadalla teodicea cattolica? Un riscontroinquieto e assillante viene presentato daAgostino: " Dio non è autore del male,ma ne è origine". Dio, per conseguire unbene maggiore (la nostra libertà che sirealizza attraverso il libero arbitrio) nonpoteva che farci capaci di peccato, dimale. Dio è ritenuto origine del maleperché ha reso l'umanità capace di pec-cato, non essendone tuttavia l'autore, inquanto solo l'uomo, tramite il suo agire,diviene unico responsabile della malva-gità delle proprie azioni. Agostino approfondisce ulteriormentequesta problematica, prospettando laquestione del male cosiddetto "morale"(una delle tre tipologie di male insiemeal male metafisico-ontologico e al malefisico), il peccato, ad un piano stretta-mente dipendente dalla cattiva volontà.E quest'ultima da cosa è influenzata?La cattiva volontà, come molto inge-gnosamente Agostino ha compreso, nonha una causa "efficiente", ma è mossapiuttosto da una causa "deficiente". La volontà dovrebbe per sua naturatendere al sommo bene, ma data l'esi-stenza di molti altri beni creati e finiti,essa può venire inevitabilmente attrattada questi ultimi, rovesciando così l'or-dine gerarchico originario. Il male de-

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riva dunque dal fatto che non esiste ununico bene, bensì molteplici beni, econsiste in una scorretta scelta tra que-sti: esso diviene così una diretta conse-guenza dello scorretto discernimentonell'uso della volontà libera. Dunqueogni essere umano, in virtù della suastruttura ontologica che rende possibilel'attuazione di scelte per potersi realiz-zare, è libero di fare anche del male. Laresponsabilità morale che dipende dallacoscienza dell'individuo diviene un pa-rametro fondamentale su cui si fonda ilpercorso di scelta compiuto. Tuttavia lacattiva volontà di cui Agostino parla of-fusca e disabilita la capacità di inten-dere ed eventualmente reagire di frontea quella che sembrerebbe un'irresisti-bile tentazione a cui è impossibile noncedere. Analizzando la facilità con cuil'uomo commette il male, soprattuttoai giorni nostri, si può arrivare a pensareche egli abbia insito nella propria na-tura un particolare DNA che lo spingea essere attratto, anche inconsapevol-mente, da ciò che è malvagio.

Assuefatti al male?

In generale l’uomo definisce male realtàdi vario genere: il dolore, l’infermità, laconsapevolezza della morte, il senso diinadeguatezza, il timore, la perdita, lanoia, la percezione della malvagità ealtro ancora... In ogni caso, si tratta tut-tavia della constatazione di una diver-genza tra ciò che è e ciò che ci siaspetterebbe che fosse. Nozioni qualimale e bene in natura non hanno ra-gione di esistere, poiché entrambi sca-turiscono da giudizi di valore che nonsi addicono certo al mondo naturale. Ècon l’uomo che compare il male: essorappresenta una realtà che nasce conl'essere umano e rimane circoscritta alsuo mondo. Oggi si moltiplicano, da-vanti ai nostri occhi attoniti, i sintomidi una rappresentazione completa-mente “anaffettiva” del male. Per gio-care, per vincere la noia, per sentirsiesperti o semplicemente per essere sestessi: il tutto senza inutili ipocrisie,senza falsi moralismi. Si tratta di unavera e propria modificazione culturaledella specie che non si traduce tuttavianella rassegnazione all'inevitabile debo-lezza umana, pur così pronta all’indul-genza con se stessa, ma in autentica

assuefazione. Nel momento in cui sipecca o si commette un errore e si con-tinua, quasi per necessità, a compierloper ricavarne un interesse individuale,si perde quella coscienza morale chedovrebbe intervenire per bloccare l'in-staurarsi del meccanismo che sta allabase delle scelte sbagliate che spingonoad essere attratti dal male.E se la coscienza morale, che fungequasi da agente difensivo, cessa di agire,non si riesce da sé a comprendere l'er-rore commesso (e di conseguenza nonsi è in grado di evitarlo in futuro) e dun-que si diviene inevitabilmente "assue-fatti". Il peccato compiuto diviene solouna semplice scelta come tante altre,venendo denaturato e re-interpretato inun'ottica moderna che mira a tutelarnela concretizzazione.L’odierna assuefazione al male mira adisinnescarne il sentimento, non solol’idea e la volontà, inibendone radical-mente la percezione. D'altronde quantevolte i nostri orecchi tanto ovattati dalcaos della modernità hanno udito laconfusa domanda “Che male c’è?”, allaquale sarebbe anche difficile dare unabuona risposta. Il male viene lenta-mente privato della sua caratteristicanatura maligna e si inizia ad osservarlocome una semplice differenza di gustiestetici, di preferenze libidiche, di prio-rità esistenziali o di strategie di realiz-zazione. Al termine di questo stranometabolismo dell’assuefazione il male èreperibile anche come una valida ri-sorsa per il raggiungimento di elementiquali il successo o il potere. Una voltainsediatosi fra le fragili vie della sceltaindividuale, il male riesce a esibire per-fetta naturalezza, rinascendo e riciclan-dosi di volta in volta. Spesso puòincominciare ad apparire, sotto altri ter-mini, ma non necessariamente, ingre-diente necessario di un’esperienza divita completa, o addirittura un trattopersonale di stile.

Vite senza orizzonti

L’assuefazione al male si associa perfet-tamente alla perdita del senso dell'er-rore. La diffusione di questa insidiosacombinazione non intacca più sempli-cemente la sfera della moralità dei com-portamenti individuali, ma lambiscepericolosamente i processi di socializ-

zazione, ovvero i dispositivi dell’umanatrasmissione dei modelli e degli orien-tamenti di vita. Inizia a contaminarel’interpretazione del diritto da partedelle istituzioni e della pubblica opi-nione, arrivando a mortificare e toglierela parola alla coscienza intenzionata aonorare la differenza di una vita degna.Ed è proprio la coscienza morale, parolaspesso temuta da chi ne è privo, che èintenzionata a saldare la differenza trabene e male, e a riconoscere lealmentela gravità personale e l’effetto di corru-zione che giungono a noi proprio dalpeccato che si consuma nel cuore. Ègiusto, dunque, insistere sulla parola de-cisiva che deve essere pronunciata a ri-guardo di questa deforme mutazionecollettiva della coscienza del male. L’au-tentica vitalità dell’esperienza legataalla coscienza morale, solo quella, sbarrala strada a questa dinamica che rende ilpeccato irriconoscibile, inconfessabile etante volte imperdonabile. Agostino direbbe che Dio ha la pas-sione necessaria per il riscatto del-l’uomo dalle sue naturali debolezze, macosa potremmo dire noi, a differenzasua? Chi avrà l’autorevolezza necessa-ria per pronunciare con sovrana libertàla parola della coscienza che nessunovuole più ascoltare? È una realtà difatto, purtroppo, che l’uomo è capacedi autentica cattiveria, anche senza nes-suna scusa, e questo è un aspetto chenon si deve trascurare. La nostra co-scienza, per chi ne è provvisto, conservail senso del perdono, ma noi perdiamo ilsenso dell'errore e del peccato. Si vannolentamente perdendo le caratteristicheche valorizzano la realizzazione di unascelta degna, e non di rado si vede spre-care il caldo dono del pianto a causa discelte sbagliate a cui non si può più ri-mediare, perché avvenute non coscien-temente. Forse è questo che bisognerebbe impa-rare a capire, un giorno o l'altro, cioèche non è la possibilità di assuefarsi almale, come una droga, a renderel'uomo libero, bensì riuscire ad agirecon coscienza e saper riconoscere e cor-reggere il male commesso. D'altrondeun uomo che non ha il coraggio per laconfessione del bene e del male, attra-verso la gioia o le lacrime, che uomo è?K