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Faculteit Letteren en Wijsbegeerte
Academiejaar 2009-2010
L’IMMAGINAZIONE IN FERITO A MORTE
DI RAFFAELE LA CAPRIA
Masterproef van de opleiding
Master in de Taal- en Letterkunde: Frans-Italiaans
Ingediend door
Jessy Carton
Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
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Faculteit Letteren en Wijsbegeerte
Academiejaar 2009-2010
L’IMMAGINAZIONE IN FERITO A MORTE
DI RAFFAELE LA CAPRIA
Masterproef van de opleiding
Master in de Taal- en Letterkunde: Frans-Italiaans
Ingediend door
Jessy Carton
Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
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Prefazione
Questa tesi è il risultato finale di una ricerca intensiva e talvolta faticosa sul vago, ma
affascinante concetto letterario che si chiama immaginazione. Anzitutto vorrei ringraziare
la mia promotrice, la professoressa Sabine Verhulst, che mi ha suggerito di studiare le
meravigliose opere di Raffaele La Capria e mi ha dato così l’opportunità di tuffarmi nel
mondo napoletano, che a quel punto mi era ancora sconosciuto. Lungo il percorso, lei mi
ha aiutato nell’elaborazione di un punto di vista interessante e innovativo, e mi ha fornito
informazioni utili per la definizione del termine complesso di immaginazione.
Vorrei anche ringraziare i miei genitori, che mi hanno sostenuto – in ogni senso della
parola – durante i quattro anni all’Università di Gand, e i miei amici, che hanno saputo
distrarmi ogni tanto da questa ricerca.
Infine, vorrei aggiungere che sono molto contenta di aver studiato precisamente le opere
lacapriane, che parlano quasi tutte di questa splendida Bella Giornata, giustificando così
la mia ottima scelta di quattro anni fa, cioè la decisione di studiare la bella lingua e la
ricca cultura italiane all’università. Sono insomma felice che questa tesi, anche se si sia
realizzata durante un’ennesima primavera grigia, mi ha allo stesso tempo permesso di
parlare e di sognare di una lontana Bella Giornata italiana.
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Indice
1. INTRODUZIONE ................................................................................................................. 7
2. L’IMMAGINAZIONE LETTERARIA: UN TENTATIVO DI DEFINIZIONE .............................. 10
2.1. L’immaginazione, tra percezione e ragione ............................................................. 11
2.2. Immaginare, un atto conoscitivo .............................................................................. 13
2.3. Il repertorio dell’immaginario .................................................................................. 18
2.4. Alcuni chiarimenti sul metodo di analisi .................................................................. 20
3. L’IMMAGINE MENTALE DI RAFFAELE LA CAPRIA ........................................................ 24
3.1. L’inquinamento e la stagnazione dell’immaginario ................................................. 24
3.2. La funzione cognitiva dell’immaginazione lacapriana ............................................. 28
4. L’IMMAGINAZIONE IN FERITO A MORTE ........................................................................ 35
4.1. Introduzione. L’epigrafe di W.H. Auden ................................................................. 35
4.2. ... un mattino tutto luce in fondo al mare. Le immagini della Bella Giornata .......... 38
4.2.1. La Bella Giornata come promessa di felicità ............................................. 38
4.2.2. La giornata, una misura innata e molto napoletana del tempo ................. 43
4.2.3. Un’immagine immobile e atemporale ........................................................ 46
4.2.4. L’armonia perduta o illusoria? .................................................................. 51
4.3. ... carico di minacciosa alterità. La metafora della Foresta Vergine ....................... 57
4.3.1. L’implosione della Bella Giornata ............................................................. 58
4.3.2. Natura e Storia: un matrimonio difficile .................................................... 61
4.3.3. La fresca stimolante corrente della Storia ................................................. 69
4.3.4. L’effetto immobilizzante della Natura ........................................................ 73
4.4. Conclusione. Il rapporto ambiguo con Napoli .......................................................... 79
4.4.1. Napoli, una città che ti ferisce a morte o t’addormenta? ........................... 80
4.4.2. La presa di distanza da una Napoli eternamente giovane ......................... 82
4.4.3. La buona distanza e il possibile incanto di Napoli .................................... 84
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5. CONCLUSIONE ................................................................................................................ 88
BIBLIOGRAFIA....................................................................................................................91
FILMOGRAFIA.....................................................................................................................95
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1. INTRODUZIONE
Che cos’è l’immaginazione letteraria e a che serve? Ecco l’argomento centrale di questa
tesi, che si pone come obiettivo di indagare il meccanismo dell’immaginazione e la sua
funzione cognitiva. Lo scopo è quindi di elaborare una definizione chiara e completa di
questo complesso dispositivo letterario e di determinarne le caratteristiche fondamentali.
In fondo, l’immaginazione, ossia la capacità di formarsi una ‘immagine mentale’, è una
risorsa importante per l’acquisizione di conoscenze. Si presenta giustamente come un atto
creativo «anarchico»1 che, attraverso l’inserimento di punti di vista nuovi e inaspettati,
riesce a spiegare la complessità del reale ed a cogliere l’essenziale di esso. Si è cercato di
chiarire i termini della questione poggiandosi sull’opera di un autore contemporaneo,
Raffaele La Capria, la cui poetica risulta intrisa di riflessioni su questo concetto. Ferito a
morte, il secondo romanzo dello scrittore napoletano, uscito nel 1961, riveste infatti un
carattere emblematico per quanto riguarda il ruolo dell’immaginazione, tra l’altro nella
rappresentazione di Napoli, la sua città materna.
Il secondo capitolo è incentrato sulla creazione di una definizione possibile e ‘adatta’ del
concetto di immaginazione. La prima parte del capitolo sottolinea il ruolo cruciale della
percezione nell’atto immaginativo e dimostra come l’interazione tra percezione e lavoro
mentale conduce idealmente alla capacità di plasmare un’immagine in absentia (2.1.). In
una seconda fase viene evidenziato come la metafora – e dunque l’immaginazione – riesce
a generare nuove conoscenze. Infatti, la qualità cognitiva della metafora sta proprio nel
suo carattere deviante e nella possibilità di introdurre nuovi punti di vista (2.2.). La terza
parte cambia direzione, in quanto esamina il ‘repertorio’ di immagini di cui dispone
l’individuo creante. Il ‘diluvio’ di questo immaginario – collettivo, culturale –, che riflette
i difetti di una cultura di massa troppo visiva, viene spesso percepito come una minaccia
per la creatività artistica (2.3.). Infine, vedremo come e perché l’obiettivo di questa tesi è
di svelare l’intenzione dello scrittore attraverso un’analisi dell’immaginazione (2.4.).
1 La definizione è di Valeria Giordano Note sull’immaginare, in Aspettando il nemico. Percorsi dell’immaginario e del corpo, a cura di Valeria Giordano e Stefano Mizzella, Roma, Meltemi, 2006, p. 23, citato da Paolo Jedlowski, Immaginario e senso comune. A partire da “Gli immaginari sociali moderni” di Charles Taylor, in Genealogie dell’immaginario, a cura di Fulvio Carmagnola e Vincenzo Matera, Torino, UTET, 2008, p. 236.
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Il terzo capitolo, che si concentra sulla saggistica lacapriana dedicata alla letteratura,
dimostra come gli aspetti menzionati nel capitolo precedente rientrano senza problemi
nella concezione lacapriana dell’immaginazione. In una prima fase, sono precisati i motivi
della critica di La Capria nei confronti della società moderna troppo visiva, parlando a
questo proposito giustamente di un ‘inquinamento dell’immaginario’ (3.1.). La seconda
parte si concentra invece sull’atto creativo stesso e precisa il ruolo e il funzionamento
dell’immaginazione lacapriana, che si trova precisamente tra – o meglio, si presenta come
una combinazione di – percezione esteriore e elaborazione interiore (3.2.).
Il capitolo successivo, imperniato sulla disamina dell’immaginazione in Ferito a morte,
costituisce il fulcro di questa tesi. Appoggiandosi agli aspetti trattati nei due capitoli
precedenti, l’analisi evidenzia come le metafore e le immagini ricorrenti nel romanzo
devono contribuire alla comprensione della natura particolare di Napoli. Come vedremo,
un confronto di queste figure fa trasparire il rapporto ambiguo di Raffaele La Capria con
la città materna. Prima di affrontare il romanzo stesso, una parte introduttiva si dedica ad
un’analisi dell’epigrafe, che riflette precisamente la concezione lacapriana della letteratura
e dell’immaginazione (4.1.).
La seconda parte del quarto capitolo si dedica alla metafora ‘primaria’ di Ferito a morte,
la Bella Giornata. Vedremo che i due elementi costitutivi di questa immagine, la luce e il
mare, racchiudono in sé una promessa di felicità. L’entrata della luce serve inoltre da
stimolo per la nascita dell’immaginazione e dei ricordi del protagonista, mentre il mare si
trasforma in un grembo materno, simboleggiante la spensieratezza dell’infanzia (4.2.1.).
Così, la metafora è un concetto intimamente legato alla giovinezza, e La Capria sostiene
giustamente che la Giornata (e più specificamente, il mattino) rappresenti la misura
perfetta per raffigurare la felicità primaria (4.2.2.). Allo stesso tempo, la Bella Giornata si
manifesta come un’entità immobile e eterna. Dato questo, Ferito a morte non va inteso
come il mero racconto di una storia lineare, ma diventa un luogo di sviluppo – in ogni
direzione – di un nucleo metaforico centrale, svolgendosi in un ambiente atemporale e
mitico. Ciò giustifica inoltre la struttura non convenzionale del romanzo, che possiamo
etichettare come ‘intuitiva’ (4.2.3.). Infine viene affrontato l’inevitabile carattere effimero
della Giornata, che simboleggia la fugacità – e insieme l’insostenibilità – della felicità
giovanile. Però, se si tratta di una perfezione perduta, essa rimane ad ogni momento
recuperabile (4.2.4.).
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La terza parte del capitolo verte sulla seconda metafora centrale del romanzo, la Foresta
Vergine. In realtà, questa immagine non presenta l’opposto della Bella Giornata, ma ne è
una deduzione estrema: se tutte e due le metafore sono legate alla Natura, la Giornata
rappresenta le qualità naturali, mentre la Foresta Vergine evidenzia i difetti di una cultura
eccessivamente orientata sulla natura. Dato questo, la luce e il mare possono trasformarsi
rispettivamente in un caldo insopportabile e in una forza violenta, annunciando così
l’inevitabile implosione della Bella Giornata (4.3.1.). Il problema di Napoli sta proprio nel
fatto che la Natura ci sia sempre più forte della Storia. In Ferito a morte, l’idea che la
forza della Natura potrebbe condurre alla cancellazione del progresso culturale, viene
visualizzata dalla metafora di Palazzo donn’Anna (4.3.2.). Se la Storia è presentata come
un ambiente culturale fertile, solidamente stabilito al Nord (4.3.3.), a Napoli regna da
sempre la Natura, senza nessuna mediazione culturale. Così, in Ferito a morte la critica
lacapriana si traduce in un’immagine di Napoli poco positiva, di una città che si distingue
anzitutto per la sua banalità e la sua cultura delle apparenze (4.3.4).
L’ultima parte del quarto capitolo precisa il contributo delle due metafore naturali
menzionate alla formazione di un’immagine mentale e conoscitiva di Napoli. In primo
luogo, la coscienza crescente dell’impossibilità di una bella giornata eterna si traduce
nell’immagine della ferita (4.4.1.). Una volta ferito, la partenza definitiva dalla città
diventa indispensabile, e permette di stabilire lo stato immaturo in cui si trova Napoli,
insieme alla situazione deplorevole dei napoletani, che sono ostinatamente attaccati alla
Bella Giornata. Purtroppo, la partenza crea allo stesso tempo un profondo sentimento di
non-appartenza alla città ossia di straniamento (4.4.2.). Infine, diventa chiaro che la buona
distanza è condizione necessaria per la formazione di un’immagine complessiva e valida
della città partenopea, in grado di ‘attivare’ l’immaginazione dello scrittore napoletano
(4.4.3.).
Il percorso descritto dovrebbe permettere di approdare a un’idea più precisa e concreta del
concetto vago chiamato immaginazione letteraria. Lontano dall’essere perfetto e completo
– l’oggetto di analisi essendo un solo romanzo –, il tentativo di definizione formulato nel
presente studio fornisce piuttosto uno spunto per ulteriori ricerche, volte ad afferrare
meglio e ad approfondire la nozione di immaginazione letteraria.
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2. L’IMMAGINAZIONE LETTERARIA: UN TENTATIVO DI DEFINIZIONE
La prima fase di una tesi sull’immaginazione in Ferito a morte consiste nella ricerca di
una definizione precisa del concetto di immaginazione letteraria, una definizione che
dovrebbe accordarsi con la concezione lacapriana, analizzata nel capitolo seguente. La
prima parte di questo capitolo dimostra come l’immaginazione si costituisce infatti di
un’interazione creativa tra percezione (prevalentemente visiva) e ragione, e come la
capacità di immaginare si evidenzia sempre in absentia (2.1.). In una seconda fase
vengono affrontate alcune teorie recenti della metafora – cioè, una forma ‘concreta’ di
immaginazione letteraria – come generatore di conoscenza: proprio a causa della sua
qualità di deviare il significato originario di una parola, essa non riesce soltanto a suscitare
piacere, ma anche a creare nuove categorizzazioni della conoscenza umana. Perciò,
sembra impossibile trattare la metafora come una mera figura retorica senza accennare le
sue qualità cognitive, dato che il tropo contribuisce insieme «a rendere chiara, utilizzabile
e touchant la verità»2 (2.2.). Nella terza parte diventa chiaro che l’immaginazione ha
sempre bisogno di un ‘repertorio’ o di una ‘griglia’ da dove, o all’interno della quale, può
cercare di costruire delle connessioni inaspettate. Si rivela però difficile definire questo
‘repertorio’ che si chiama ‘immaginario’: la memoria? la cultura? le tradizioni? E quindi,
l’immaginario si può ancora considerare un repertorio interessante e ricco di immagini, in
una cultura di massa tanto visiva da intaccare la capacità stessa di immaginare, di creare in
absentia? (2.3.) Infine seguono alcuni chiarimenti sul metodo di analisi di Ferito a morte:
quali sono le differenze più importanti tra similitudine e metafora, e perché preferire l’una
o l’altra? Come afferrare l’intenzione di uno scrittore analizzando soltanto le sue opere?
Chiariti questi aspetti, potrà finalmente avviarsi l’analisi dell’immaginazione lacapriana,
con lo scopo di verificare l’ipotesi di lavoro di questa tesi, cioè di verificare se sarebbe
possibile considerare l’intenzione lacapriana come una ‘metafora continuata’ su Napoli
(2.4.).
2 Cristina Marras, Conclusioni, in Ead., Metaphora translata voce. Prospettive metaforiche nella filosofia di G.W. Leibniz, Firenze, Leo S. Olschki editore, 2010, p. 12.
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2.1. L’immaginazione, tra percezione e ragione
Se consideriamo l’immaginazione come la capacità di mettere insieme delle immagini
‘date’ in una costellazione creativa, è chiaro che l’immaginazione ‘letteraria’, trattata in
questo capitolo, è semplicemente una forma concreta, esteriorizzata, verbale di queste
immagini messe insieme – accanto ad altre esteriorizzazioni possibili come la pittura o
volendo, la musica.
Anzitutto è interessante vedere come funziona l’interazione tra percezione e lavoro
mentale su essa. L’importanza e i problemi di questa interazione sono messi in rilievo da
Italo Calvino in una delle sue Lezioni americane. Nella lezione omonima, Calvino
sottolinea la necessità di conservare il valore della visibilità nella letteratura moderna, ma
in realtà si tratta piuttosto dell’immaginazione, vale a dire di un’immaginazione che parte
sempre da una percezione visiva. Vedremo fra poco che la scelta di Calvino di dedicare
una lezione a questo concetto fu in parte dettata dalla sua paura che in una cultura di
massa eccessivamente visiva la facoltà immaginativa venisse cancellata. In ogni caso,
quando Calvino cerca di spiegare in che cosa consiste per lui l’atto di scrivere, dice che il
suo racconto è sempre «unificazione d’una logica spontanea delle immagini e di un
disegno condotto secondo un’intenzione razionale»3.
La citazione è rilevante non soltanto perché evidenzia che l’immaginazione è uno dei due
pilastri della scrittura calviniana, ma anche per la sua definizione dell’immaginazione
come ‘unificazione d’una logica spontanea delle immagini’. Ciò fa emergere l’idea che,
secondo Calvino, l’atto di immaginare consiste in due fasi: prima, la percezione attenta di
immagini; poi una ‘unificazione logica’, vale a dire un’interiorizzazione spontanea e una
strutturazione mentale delle immagini date. Calvino esplicita l’idea in un altro passo della
sua lezione, dove elenca tutti gli aspetti necessari dell’immaginazione letteraria:
Diciamo che diversi elementi concorrono a formare la parte visuale dell’immaginazione letteraria:
l’osservazione diretta del mondo reale, la trasfigurazione fantasmatica e onirica, il mondo figurativo
trasmesso dalla cultura ai suoi vari livelli, e un processo d’astrazione, condensazione e interiorizzazione
3 Italo Calvino, Visibilità, in Id., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, p. 90.
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dell’esperienza sensibile, d’importanza decisiva tanto nella visualizzazione quanto nella verbalizzazione
del pensiero.4
Secondo Calvino, l’immaginazione è dunque una capacità legata sia alla percezione sia
alla ragione, e colpisce il peso dato ai sensi in questa operazione creativa – non a caso, la
lezione si intitola Visibilità. Vedremo che si tratta di una concezione dell’immaginazione
che si ricollega molto bene alla concezione lacapriana, che preferisce la realtà empirica
come punto di partenza.
Un altro approccio pertinente è offerto da Christophe Bouriau nel suo saggio Qu’est-ce
que l’imagination? Secondo lo studioso, la prima caratteristica dell’immaginazione è la
facoltà di percepire immagini in absentia, e dunque, di restituire frammenti della realtà in
una immagine mentale. Bouriau chiarisce la propria interpretazione dell’immaginazione
all’inizio del suo saggio, riferendosi ad Aristotele:
En son sens le plus général, l’imagination se définit comme la disposition à présenter les choses en leur
absence. Imaginer, c’est amener à la présence ce qui est absent. […] L’imagination semble dotée d’un
pouvoir magique, celui de faire apparaître ce qui n’est pas là. Aristote écrivait que l’imagination,
phantasia, venait sans doute de phôs, la lumière, car «sans lumière il est impossibile de voir».
L’imagination met les choses en lumière, les fait apparaître, alors même que ces choses sont soustraites
au regard : «Des images visuelles apparaissent, même quand on a les yeux fermés». L’imagination,
pourrait-on dire, est une lumière intérieure, elle est comme l’œil de l’âme.5
Dalla citazione emerge chiaramente la necessità di una forte capacità visiva – un aspetto
che era anche sottolineato da Calvino – descrivendo l’immaginazione come ‘l’occhio
dell’anima’. E dunque, anche se Bouriau mette l’accento sull’importanza della formazione
di immagini in absentia, in fondo sembra condividere la concezione di Italo Calvino,
intrepretando l’immaginazione come una interazione creativa tra percezione esterna e
elaborazione interna – e non sembra veramente pertinente se tale elaborazione viene
allora realizzata dalla ragione o dall’anima.
In altri termini, i contributi di Calvino e di Bouriau sono anzitutto pertinenti per il rilievo
che hanno dato al ruolo della percezione nell’atto immaginativo. Si tratta precisamente di
un aspetto che altri studiosi spesso evitano o ignorano. Però, a loro volta, i due studiosi
4 Ivi, p. 94. 5 Christophe Bouriau, Qu’est-ce que l’imagination ?, Paris, Vrin, 2003, p. 8.
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citati non fanno caso di un altro aspetto altrettanto importante dell’immaginazione: infatti,
proprio perché il processo immaginativo devia dalla normalità percettiva o concettuale,
egli dispone di una grande capacità conoscitiva, come vedremo nel capitolo seguente.
2.2. Immaginare, un atto conoscitivo
Il tentativo di precisare che l’immaginazione è in grado di generare nuove conoscenze sul
mondo, necessita anzitutto una forma concreta ed esplicita di essa, in questo caso dunque
la lingua. Più specificamente, è la metafora che si presenta come l’esteriorizzazione
verbale per eccellenza dell’immaginazione. Perciò gioverà un’analisi del funzionamento
di questa ‘figura del discorso’.
In realtà la metafora, che produce un ‘trasferimento di significato’, non è soltanto una
figura retorica, ma anche un sistema produttivo atto a generare conoscenze, attraverso
l’inserimento di un nuovo, inaspettato punto di vista. L’importanza della metafora come
modalità cognitiva viene inoltre confermata dal suo uso frequente in filosofia, per esempio
nella ‘metaforologia’ del filosofo tedesco Hans Blumenberg6 e nella sua ricerca di
‘metafore assolute’ mirata a stabilire delle concettualizzazioni universali. Anche nel
Seicento, le metafore possono fare parte integrante della strutturazione di un pensiero
filosofico, per esempio nella filosofia di Leibniz, come recentemente osservato da Cristina
Marras in uno studio sul filosofo tedesco.7 L’introduzione del libro spiega perché Leibniz
tiene molto all’uso di metafore e al linguaggio figurato, e come si oppone alla filosofia di
John Locke:
Locke riserva un ruolo particolare alla retorica, tuttavia è chiaro nel dichiarare che l’eloquenza e l’uso di
figure fanno deviare il giudizio là dove ci si deve attenere a «come le cose sono». Leibniz, da parte sua,
critica non tanto l’uso del linguaggio figurato, quanto ‘l’abuso’, riservando e preservando all’eloquenza,
alla retorica spazi e ruoli specifici; gli strumenti retorici, inoltre, usati appropriatamente contribuiscono
a rendere chiara, utilizzabile e touchant la verità.8
6 Hans Blumenberg, Paradigmi per una metaforologia, Milano, Raffaello Cortina, 2009. 7 Per ulteriori informazioni si vede Cristina Marras, Metaphora translata voce, cit. La studiosa dimostra come la filosofia leibniziana può essere strutturata in base a cinque metafore: oceano, via, specchio, labirinto e bilancia. 8 Ivi, p. 12.
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La citazione colpisce in quanto offre una visione sulla metafora che corrisponde in gran
parte alle due principali opere di riferimento di questa figura retorica, cioè la Retorica e la
Poetica di Aristotele. Infatti, l’osservazione leibniziana che la metafora rende ‘chiara’ e
‘touchant’ la verità – e dunque, la conoscenza –, concorda con la descrizione aristotelica
della metafora che sottolinea le sue qualità conoscitive e piacevoli, riassunte da Giovanni
Manetti in Aristotele e la metafora: «l’effetto di straniamento provocato dalla metafora
produce contemporaneamente una sensazione di piacere; per Aristotele il principio di
piacere si trova alla base dell’istinto umano orientato a conoscere e la metafora è una delle
forme attraverso le quali la conoscenza si realizza»9.
In altri termini, è proprio perché provoca un effetto di straniamento che la metafora riesce
a produrre conoscenze ‘inaspettate’. E dunque, si potrebbe dire che la metafora non
consiste soltanto in un ‘trasferimento’ (metaphora) di significato, ma comporta anche una
‘deviazione’ dal discorso letterale, prende un’altra direzione rispetto alla ‘normalità’.
Perciò corrisponde forse più al senso etimologico di tropo, ‘direzione’. L’insistenza sulla
caratteristica ‘deviata’ del tropo emerge anche dalla definizione di Garavelli: «la svolta di
un’espressione che dal suo contenuto originario viene diretta (‘deviata’) a rivestire un
altro contenuto»10.
Concretamente, la metafora realizza una sovrapposizione inaspettata di due campi
concettuali – quello del metaforizzato e quello del metaforizzante, per usare la
terminologia di Black11 – e perciò, dice Claudia Casadio, riferendosi alla teoria di Paul
Ricoeur, «possiamo comprendere meglio la definizione della metafora come un «errore
categoriale»: «La metafora ha il potere di rompere categorizzazioni anteriori e di stabilire
nuovi legami logici: in questo senso, la dinamica del pensiero è la stessa che ha generato
tutte le classificazioni».»12
L’osservazione corrisponde in gran parte alla teoria della metafora elaborata da Umberto
Eco, che cerca di svelare il meccanismo metaforico, rifacendosi al cosiddetto «albero di
9 Giovanni Manetti, Aristotele e la metafora. Conoscenza, similarità, azione, enunciazione, in Metafora e conoscenza. Da Aristotele al cognitivismo contemporaneo, a cura di Anna Maria Lorusso, Milano, Bompiani, 2005, p. 34. 10 Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 2008, p. 142. 11 Max Black (1962, p. 56), citato da Anna Maria Lorusso, Introduzione a Metafora e conoscenza, cit., p. 9. 12 Paul Ricoeur (1962, p. 285), citato da Claudia Casadio, Linee per una teoria della metafora, in Itinerario sulla metafora. Aspetti linguistici, semantici e conoscitivi, a cura di Claudia Casadio, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 40-41.
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Porfirio», una strutturazione semantica variabile secondo le esigenze contestuali. Senza
spiegare la sua sistematizzazione estrema, ripetiamo qui le conclusioni di Eco, che
sottolineano la forza riorganizzatrice e conoscitiva della metafora:
A questo punto si profila [...] una nuova visione del potere cognitivo della metafora: ci fa comprendere
meglio una cosa perché, in prima istanza, essa ci fa vedere (ci mette sotto gli occhi, come avrebbe detto
Aristotele) un diverso modo di organizzare le cose, ovvero ci propone una nuova organizzazione
categoriale.13
Se le sovrapposizioni metaforiche generano nuove ‘categorizzazioni’ della conoscenza, in
che modo si costituiscono le categorie convenzionali? E come la metafora riesce a
sovvertire e a restituire queste classificazioni date? Secondo lo stesso Eco, si tratta di
‘esercizi spericolati’ all’interno di una ‘griglia culturale’:
L’immaginazione metaforica (come peraltro il lavoro dell’interpretazione della metafora espressa) altro
non è che un raziocinio che percorre in fretta i sentieri del labirinto semantico, e nella fretta perde il
senso della loro struttura ferrea. L’immaginazione ‘creativa’ compie esercizi spericolati solo perché
esiste una griglia culturale che la sostiene e le suggerisce i movimenti grazie alla sua rete di coloured
ribbons. La griglia è la Lingua come Cultura, è l’Enciclopedia. Su di essa la Parola gioca, o fa esercizi,
per conoscere meglio la cultura e, solo attraverso di essa, il mondo come ce lo rappresentiamo.14
In altre parole, Eco sostiene che l’immaginazione metaforica è un movimento creativo che
percorre e unisce varie parti di una ‘rete’ o ‘griglia’ culturale, che contiene tutte le
conoscenze sul mondo. L’osservazione è rilevante per l’ipotesi sul meccanismo cognitivo
della metafora, ma allo stesso tempo la ricerca sul funzionamento metaforico è forse
troppo razionalizzata, in quanto rappresenta l’ispirazione letteraria come un percorso e un
collegamento di conoscenze enciclopediche. Infatti, lo studioso non tiene conto del ruolo
della percezione nel processo di immaginare – e si tratta di un ruolo non trascurabile,
come accennato nel capitolo precedente, dove viene mostrato che Calvino parla perfino di
visibilità a proposito dell’immaginazione.
Perciò, si dovrebbe considerare ‘l’Enciclopedia’ di cui parla Eco come un’entità che
raccoglie tutte le conoscenze del mondo, e dunque anche la realtà empirica: l’ispirazione
poetica non è un concetto astratto, ma nasce spesso dalla realtà quotidiana, anche se viene
13 Umberto Eco, Metafora e semiotica interpretativa, in Metafora e conoscenza, cit., p. 266. 14 Ivi, pp. 288-289.
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sempre ‘filtrata’ da una griglia culturale o mentale. Come vedremo, questa ‘mappatura’
dell’immaginazione, che corrisponde dunque soltanto in parte alla concezione di Eco, si
ricollega molto bene alla visione di La Capria.
La concezione di Eco è tuttavia pertinente per la nostra analisi della narrativa lacapriana,
in quanto mette in rilievo il potenziale cognitivo della metafora. Così, in un suo contributo
all’Enciclopedia Einaudi, dedicato alla stessa figura, afferma a proposito della ricezione di
metafore che «per troppo tempo s’è pensato che per capire metafore occorresse conoscere
il codice (o l’enciclopedia): la verità è che la metafora è lo strumento che permette di
capire meglio il codice (o l’enciclopedia). Questo è il tipo di conoscenza che riserva.»15 In
realtà è ovviamente necessario un movimento in due direzioni: l’acquisizione di nuove
conoscenze è soltanto possibile se l’individuo dispone preliminarmente di un ampio
repertorio di conoscenze e se riesce a ricollegarle in un modo originale – ciò vale quindi
non soltanto per la creazione, ma anche per la ricezione di metafore.
Così, la metafora si presenta come un atto creativo, una ricerca di connessioni possibili
sulla base di una somiglianza, che parte dalla realtà e viene filtrata da un’Enciclopedia. A
questo proposito Cristina Marras parla giustamente di un’interazione tra analisi e sintesi:
L’intersecarsi (e la reciprocità) di analisi e sintesi, [...] di arte del giudizio e della scoperta rivela uno
schema che non solo non è univiario ma che si presenta come multilineare, e in cui sono molte le
direzioni possibili; lo schema è anche multivalente e le varie parti del sapere e della conoscenza
acquistano, infatti, valore in quanto punti di vista.16
In sostanza, la forza dell’immaginazione sta dunque nella sua possibilità di seguire tutte le
‘direzioni possibili’ all’interno della rete enciclopedica, e di assumere un’infinità di punti
di vista. Perciò Calvino la concepisce come il «repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di
ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere»17. Christophe Bouriau
condivide l’opinione di Calvino, descrivendo l’imagination come la creazione di una
realtà possibile:
15 Umberto Eco, Metafora, in Enciclopedia Einaudi, vol. IX, Torino, Giulio Einaudi, 1980, p. 234. 16 Cristina Marras, Introduzione a Ead., Metaphora translata voce, cit., p. 158. La studiosa fa questa osservazione a proposito della filosofia di Leibniz, ma in realtà corrisponde anche molto bene alle possibilità della metafora. Il corsivo è mio. 17 Italo Calvino, Visibilità, in Id., Lezioni americane, cit., p. 91. Il corsivo è mio.
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L’opération consistant à former des représentations nouvelles à partir d’anciennes spécifie l’imagination
par rapport à la mémoire qui, tout comme la perception, reste tributaire du réel donné, tel qu’il s’impose
à nous. Contrairement à la mémoire qui ne peut restituer que ce que le réel a déjà donné, l’imagination
peut déborder toutes les données offertes par le réel pour présenter ce qui n’existe en aucun lieu et en
aucun temps. Elle ne restitue pas le monde mais le recrée.18
Un altro aspetto dell’immaginazione che viene regolarmente menzionato dagli studiosi, è
la sua capacità di rendere visibile una verità o una conoscenza nascosta. Ciò viene per
esempio intuito da Eco: «la metafora pone (‘pone’ in senso filosofico ma anche in senso
fisico, nel senso che ‘pone sotto gli occhi’ [...]) una proporzione che, dovunque fosse
depositata, sotto gli occhi non era; o era sotto gli occhi e gli occhi non la vedevano, come
la lettera rubata di Poe»19. Eco ci si riferisce alla concezione aristotelica della metafora,
che insiste per la prima volta sulla capacità di «porre sotto gli occhi». Questa capacità
viene giustamente spiegata da Anna Maria Lorusso:
Il «porre sotto gli occhi» è metafora per definire l’effetto di senso dell’operazione metaforica. Non è che
le metafore siano sempre visive ma sempre creano una salienza peculiare – e in questo senso «pongono
sotto gli occhi» qualcosa che prima era invisibile.20
Inoltre, la capacità di rendere visibile ‘qualcosa che prima era invisibile’ viene riassunta
alla fine di Qu’est-ce que l’imagination? di Bouriau e sembra dunque che proprio questa
qualità offra una risposta alla domanda che si trova nel titolo. Lo studioso chiude il suo
saggio con le parole seguenti:
Elle se démarque de la mémoire et de la perception par sa capacité de faire apparaître ce qui n’est
encore jamais apparu, de donner un visage à ce qui, sans elle, demeurerait à jamais invisible ou
insensible. […] Nous sommes tentés de dire d’elle à peu près ce que Paul Klee disait de la peinture :
l’imagination ne reproduit pas le visible, elle rend visible ce qui sans elle, resterait dans l’ombre ou dans
le néant.21
Insomma, l’immaginazione parte sempre dalla percezione del reale, ma senza riprodurlo
così com’è: il reale viene sempre ‘filtrato’ e ‘ricostituito’ da una griglia mentale, con lo
scopo di creare e di rendere visibile qualcosa di nuovo. Tuttavia, è difficile determinare in
che cosa consiste questa ‘griglia’ o ‘rete’ della mente: se la consideriamo un’Enciclopedia,
18 Christophe Bouriau, Qu’est-ce que l’imagination ?, cit., p. 47. 19 Umberto Eco, Metafora, in Enciclopedia Einaudi, vol. IX, cit., p. 211. 20 Anna Maria Lorusso, Introduzione a Metafora e conoscenza, cit., p. 12. 21 Christophe Bouriau, Qu’est-ce que l’imagination ?, cit., p. 80.
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all’esempio di Eco, dovrebbe corrispondere a tutte le conoscenze dell’individuo creante,
che dispone sempre di un personale repertorio di conoscenze. Questo repertorio personale
coincide ovviamente in gran parte con un repertorio ‘collettivo’ di immagini di una data
cultura, ossia l’immaginario.
2.3. Il repertorio dell’immaginario
In questo senso, l’immaginazione si presenta come un processo dinamico e creativo che
dispone di (e si fonda su) un ‘magazzino’ o ‘museo’ di immagini culturali e sociali. Ciò
emerge dagli esiti di uno studio collettivo sull’immaginario, raccolti da Carmagnola e
Matera in Genealogie dell’immaginario:
L’immaginazione è la fabbrica delle immagini, l’immaginario ne è il repertorio (magazzino o museo).
L’immaginazione è un processo attivo e creativo; l’immaginario è una parola dal significato ancora non
perfettamente definito ma è anche in un certo senso la tomba dell’immaginazione.22
In altri termini, l’immaginario è un insieme statico di immagini disponibili, ma finora si
tratta di un termine ‘non ancora perfettamente definito’. In ogni caso, le interpretazioni del
concetto (e del rapporto tra immaginario e immaginazione) sono numerose e divergenti.
L’approccio di Giordano offre per esempio uno spunto interessante: la studiosa sostiene
che l’immaginazione ha un «carattere sostanzialmente anarchico», mentre l’immaginario
si presenta come «la sede di immagini socialmente riconosciute, capaci di essere
interpretate e controllate»23.
Nonostante l’interesse di queste definizioni, che permettono una comprensione migliore
del concetto, tali definizioni hanno allo stesso tempo il difetto di rimanere troppo vaghe,
in quanto non esplicitano mai il contenuto concreto di questo ‘repertorio’. Carmagnola e
Matera cercano invece di stabilire le caratteristiche di questo ‘magazzino’ di immagini, e
costatano una svolta nell’immaginario, che si è spostato da ‘territori alti’ a ‘terreni bassi’:
La perseveranza è di coloro che cercano l’immaginario nei territori alti della produzione culturale –
l’arte e le sue varie manifestazioni o regioni appunto. L’emergenza è quella di chi rintraccia nella
22 Fulvio Carmagnola e Vincenzo Matera, Introduzione a Genealogie dell’immaginario, cit., p. XIII. 23 Valeria Giordano, Note sull’immaginare, cit., p. 23, citato da Paolo Jedlowski, Immaginario e senso comune, in Genealogie dell’immaginario, cit., p. 236.
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medialità e nei suoi terreni bassi – fino alla merce, al consumo delle immagini o alle abitudini del
quotidiano – il luogo di apparizione attuale più importante di ciò che va chiamato immaginario.24
In realtà, l’osservazione coglie uno degli aspetti più essenziali della cultura moderna, ossia
la divulgazione straordinaria delle immagini e la loro intrusione nella vita quotidiana. In
altre parole, una volta l’immaginario era un magazzino chiuso e un terreno privilegiato
dell’arte, a cui si poteva ricorrere a proprio gusto; oggi sembra invece che il magazzino si
sia aperto e sia diventato completamente visibile.
Però, se l’osservazione di Carmagnola e Matera è accurata, gli studiosi tralasciano
comunque di menzionare gli effetti nefasti di questa cultura moderna ‘visiva’. Il pericolo
che si nasconde dietro la ‘civiltà dell’immagine’ viene invece giustamente circoscritto da
Italo Calvino:
Ma resta da chiarire la parte che in questo golfo fantastico ha l’immaginario indiretto, ossia le immagini
che ci vengono fornite dalla cultura, sia essa cultura di massa o altra forma di tradizione. Questa
domanda ne porta con sé un’altra: quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si
usa chiamare la «civiltà dell’immagine»? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a
svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate?25
Lo scrittore si riferisce precisamente alla caratteristica primaria dell’immaginazione, cioè
la capacità di ‘evocare immagini in assenza’, analoga alla definizione di Bouriau elaborata
nel suo studio su l’imagination. Calvino teme dunque che la presenza eccessiva di
immagini e la loro visibilità nella società moderna possa infine condurre all’incapacità di
immaginare in assenza. Perciò gli sembra difficile, se non impossibile, di fare emergere e
di rendere visibile delle prospettive nuove all’interno di una cultura di massa già troppo
visiva.
Così, l’immaginario originario si è gradualmente trasformato in un ‘diluvio’ di immagini
che contiene inevitabilmente immagini da respingere. A questo proposito La Capria parla
di un ‘immaginario inquinato’, e lo scrittore cerca precisamente di valutare le immagini
collettive e di respingerne quelle superflue, come vedremo nel capitolo seguente.
24 Fulvio Carmagnola e Vincenzo Matera, Introduzione a Genealogie dell’immaginario, cit., p. XVI. 25 Italo Calvino, Visibilità, in Id., Lezioni americane, cit., p. 91.
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In ogni caso, se il repertorio di immagini si rivela inquinato o corrotto, ciò comporta anche
conseguenze per l’immaginazione stessa: in questo caso non ha più la libertà ‘anarchica’
di percorrere a proprio gusto il repertorio di immagini, ma è anzitutto costretta a filtrare
una massa enorme di immagini per selezionare le immagini appropriate. Per spiegare la
difficoltà di questa operazione, ci riferiamo alla conclusione della lezione di Calvino:
Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo
correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi,
di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di
pensare per immagini.26
In altri termini, se immaginare è giustamente la capacità di pensare per immagini (la
definizione corrisponde inoltre perfettamente alla concezione dell’immaginazione come
un processo che consiste nella percezione della realtà che viene quindi filtrata da una
griglia mentale, elaborata nel capitolo precedente), si capisce perché oggi sia tanto
difficile creare un’immagine ‘precisa’, avendone a disposizione una quantità enorme.
Il terzo capitolo dimostra che anche La Capria è preoccupato per questo ‘diluvio delle
immagini’ di cui parla Calvino, cercando di ricostituire un immaginario puro e naturale di
Napoli. Anzitutto è però necessario chiarire come procederemo durante l’analisi.
2.4. Alcuni chiarimenti sul metodo di analisi
L’immaginazione lacapriana si appoggia in realtà sui tre aspetti affrontati in questo
capitolo: l’importanza della percezione, l’acquisizione di conoscenza e il recupero di un
immaginario puro. Il terzo aspetto, la critica dell’immaginario inquinato, viene soprattutto
trattato nella sua saggistica (cf. 3), mentre i due primi aspetti sono chiaramente presenti in
Ferito a morte (cf. 4), dove lo scrittore ricorre a diverse metafore e similitudini prese dalla
realtà napoletana con lo scopo di elaborare un discorso ‘adeguato’ sulla città materna.
Così, La Capria ha elaborato alcune metafore centrali (la Bella Giornata e la Foresta
Vergine) che formano il vero e proprio nucleo del romanzo, intorno al quale fa girare il
suo racconto. Accanto a queste metafore ricorrenti, lo scrittore fa anche leva su diverse
26 Ivi, p. 92.
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similitudini. Un primo confronto tra queste figure è quindi legittimo, anzi indispensabile
per cogliere la portata dell’immaginazione lacapriana.
Sembra infatti che la differenza tra metafora e similitudine non sia semplicemente
riducibile alla presenza o no di un termine di comparazione. Aristotele sostiene che si
tratta piuttosto di una differenza di livello, ossia di forza, considerando la metafora come
una figura superiore alla similitudine, che qualifica anzi come una ‘metafora allungata’.
Secondo Lucia Calboli Montefusco, Aristotele preferisce la metafora precisamente per il
suo carattere immediato e ‘rapido’: «la rapidità della trasmissione della conoscenza
peculiare della metafora diviene la chiave per comprendere la sua superiorità sulla
comparazione»27. La concezione corrisponde in gran parte con la teoria di Bertinetto,
citato da Garavelli:
La differenza tra similitudine e metafora [...] non si regge su presupposti formali, bensì pragmatico-
cognitivi in senso stretto. La prima figura è fondata sulla percezione statica delle affinità (e delle
differenze) che legano due entità; mentre la seconda si basa su un meccanismo di natura
emminentemente dinamica, che produce una qualche forma di fusione, o per meglio dire compresenza,
tra i due enti raffrontati.28
In altri termini, la similitudine è una variante meno vigorosa della metafora in quanto
esplicita la comparazione, per evitare la ‘fusione’ dei due elementi in questione. Per lo
stesso motivo, la similitudine è anche una figura più chiara della metafora (che può
potenzialmente condurre alla con-fusione ossia all’incomprensione) e questo fatto spiega
ovviamente la sua preferenza in prosa. Ciò è anche il caso in Ferito a morte, dove
l’immaginazione si presenta il più spesso sotto forma di similitudini, in un linguaggio
trasparente e chiaro. Le metafore invocate sono invece meno numerose, e ritornano inoltre
spesso nel romanzo come una specie di Leitmotiv, per obbedire ugualmente alle direttive
lacapriane di trasparenza.
In ogni caso, lo scopo di questa tesi è di evidenziare come Raffaele La Capria ha cercato
di costruire un personale discorso sulla città materna attraverso l’immaginazione. In altri
27 Lucia Calboli Montefusco, La percezione del simile: metafora e comparazione in Aristotele, in Metafora e conoscenza, cit., p. 80. 28 Bertinetto (1979, p. 160), citato da Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, cit., p. 160.
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termini, lo scopo è di estrarre l’intenzione dello scrittore dai ‘passi paralleli’, come dice
Antoine Compagnon:
Aucun critique, semble-t-il, ne renonce à la méthode des passages parallèles […] : aucun critique ne
renonce donc à une hypothèse minimale sur l’intention d’auteur, comme cohérence textuelle […]. Cette
cohérence, c’est celle d’une signature, comme on l’entend en histoire de l’art, c’est-à-dire comme un
réseau de petits traits distinctifs, un système de détails symptomatiques – des répétitions, des
différences, des parallélismes – rendant possible une identification ou une attribution.29
Perciò, un’analisi delle metafore centrali di Ferito a morte (la Bella Giornata e la Foresta
Vergine) e del contesto in cui appariscono, insieme a uno studio delle immagini ricorrenti
(come la luce e il mare), dovrebbero permettere di formarsi un’idea sull’intenzione poetica
di La Capria.
Però, avverte Compagnon, se un autore ha sempre una certa intenzione, ciò non implica
che lui sia cosciente di tutti gli aspetti della propria creazione. A questo proposito cita il
filosofo americano John Searle, che paragona la scrittura alla marche à pied:
John Searle comparait l’écriture à la marche à pied : bouger les jambes, soulever les pieds, tendre les
muscles, l’ensemble de ces actions n’est pas prémédité, mais elles ne sont pas pour autant sans
intention ; nous avons donc l’intention de les faire quand nous marchons ; notre intention de marcher
contient l’ensemble des détails que la marche à pied implique.30
Per questo motivo, un commento esterno, privo di pregiudizi, risulta così interessante. E
quindi, anche se i commenti su Ferito a morte espressi da La Capria stesso nei suoi saggi
(anzitutto ne L’armonia perduta) sono senza dubbio utili per l’interpretazione del suo
romanzo, l’analisi non può limitarsi a questi commenti perché è possibile che ci siano
aspetti sfuggiti allo scrittore stesso.
L’obiettivo di questa tesi è quindi di svelare il filo conduttore dell’immaginazione in
Ferito a morte e il discorso sottostante sulla città materna. Se parlare di una «allegoria»31
napoletana è forse esagerato, lo scopo è comunque di cogliere l’intenzione di La Capria
29 Antoine Compagnon, L’auteur, in Id., Le démon de la théorie. Littérature et sens commun, Paris, Editions du Seuil, 1998, p. 81. 30 Ivi, p. 94. 31 Cioè, una «metafora prolungata», secondo la terminologia di Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, cit., p. 259.
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che si nasconde dietro le metafore e le similitudini del romanzo. Il tentativo dello scrittore
è infatti di rendere visibile l’essenziale della sua città, proprio perché l’immagine di essa
rischia di svanire e di perdersi nei luoghi comuni. L’ambizione corrisponde in parte con
quella de Le città invisibili di Calvino, dove il protagonista cerca di cogliere l’essenziale
di una città e il rapporto di essa con il proprio passato attraverso immagini:
Ma non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo
passato [...]. Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città si imbeve come una spugna e si dilata. Una
descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo
passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre,
negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento
rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.32
Le analogie con il discorso lacapriano su Napoli sono notevoli: partendo dalla percezione
del reale, La Capria cerca di elaborarlo con la mente e di collocarlo in una prospettiva più
ampia, nella speranza che la costruzione di una ‘immagine mentale’ possa idealmente
condurre alla comprensione della città materna.
32 Italo Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 1993, pp. 10-11; citato da Gabriella Turnaturi, Descrivere, analizzare, raccontare la città, in Ead., Immaginazione sociologica e immaginazione letteraria, Bari, Laterza, 2003, p. 98. L’immagine della spugna viene anche usata da La Capria in rapporto con Palazzo donn’Anna per descrivere la città materna come luogo di incontro tra Natura e Storia, tra presente e passato.
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3. L’IMMAGINE MENTALE DI RAFFAELE LA CAPRIA
Prima di analizzare il ruolo e il funzionamento dell’immaginazione in Ferito a morte,
sembra pertinente studiare il parere lacapriano sull’importanza dell’immaginazione nella
letteratura del post-Novecento. Come emerge dai suoi saggi sulla letteratura – che sono
tutti posteriori all’uscita di Ferito a morte –, l’immaginazione occupa una posizione
assolutamente centrale nella sua concezione della letteratura. Il secondo romanzo, uscito
nel 1961, fa già intravedere come l’immaginazione, e specificamente le metafore centrali
e le immagini ricorrenti tout court, sono in grado di funzionare come il nucleo ‘primario’
del racconto, intorno al quale la storia ‘secondaria’ si sviluppa. Più di essere un vero
racconto, il romanzo si presenta allora come un luogo di sviluppo di certi pensieri e
opinioni su Napoli, e in senso più ampio, sul mondo.
Gradualmente, e soprattutto a partire dagli anni ottanta e novanta, quando La Capria
comincia a dedicarsi alla saggistica, si intensifica la sua critica della cultura di massa.
Colpisce che la critica dello scrittore della società moderna nasca anzitutto dalla paura di
un ‘inquinamento’ dell’immaginario, in una cultura novecentesca troppo ‘ridondante’ e
‘visiva’. Per La Capria, l’immobilità e la ripetitività dell’immaginario – e dunque anche
della letteratura che attinge la sua ispirazione da questa fonte di immagini –, costituiscono
un problema grave, esattamente perché questo repertorio dispone di una, e forse l’unica,
griglia interpretativa e conoscitiva del mondo (3.1.). In un secondo tempo, diventa chiaro
come l’immaginazione lacapriana ideale è il risultato di un’interazione armoniosa tra
l’osservazione della vita quotidiana in una prima fase, e il successivo lavoro mentale su di
essa. In questo modo, essa può contribuire all’acquisizione di nuove conoscenze (3.2.).
3.1. L’inquinamento e la stagnazione dell’immaginario
Dopo aver sperimentato che l’immaginazione è il vero e proprio motore della sua prosa –
come vedremo durante l’analisi di Ferito a morte –, La Capria comincia a rendersi conto
del cosiddetto ‘inquinamento’ dell’immaginario nella cultura moderna e di conseguenza
presso i suoi colleghi. Secondo lo scrittore, tale inquinamento è uno dei sintomi di una
malattia del tempo più ampia, quella della cultura di massa: il problema sta proprio nel
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fatto che il consumismo moderno produce incessantemente una ridondanza di immagini e
impressioni, il che infine può nuocere alla chiarezza dei pensieri individuali. In altri
termini, La Capria sostiene che un’interpretazione del mondo sia sempre attraversata dalle
immagini acquisite nella cultura in cui viviamo; se la quantità di queste immagini diventa
esuberante di modo che non possono più essere filtrate, esse possono finalmente bloccare
la formazione di una visione corretta sul mondo presso gli individui. In Letteratura e salti
mortali, lo scrittore napoletano dedica un intero capitolo al fenomeno chiamato
l’‘inquinamento dell’immaginario’, e spiega il problema attraverso l’immagine di un filtro
intasato:
L’immaginario, proprio come l’ambiente, si sta inquinando, si è già inquinato, per un eccesso di
produzione, e non c’è filtro bastante a depurarlo. [...] Da qui quell’eccesso di sapere che produce non-
sapere o un sapere indifferenziato, quella valanga di immagini che produce il vuoto d’immaginazione,
quell’inflazione di parole che produce svalutazione della parola.33
Tale filtro intasato è dunque simbolo di «una cultura della ridondanza»34 in quanto fa
passare senza tregua un eccesso di immagini e di pensieri della cultura di massa,
impedendo così all’individuo di formarsi un’idea personale e indipendente dagli schemi
comuni. Poiché la ridondanza di modelli preesistenti ostacolano la creazione di nuovi
modelli, paradossalmente l’immaginario ne diventa ‘anoressico’:
Ebbene anche l’immaginario sta diventando anoressico, anche l’immaginario rischia di non distinguere
più tra ciò che è naturale e ciò che è confezionato, tra la realtà e la realtà già immaginata, tra la realtà e
la sua copia.35
Così, i saggi lacapriani – e non soltanto Letteratura e salti mortali, ma anche il ‘romanzo’
L’armonia perduta e L’occhio di Napoli – sono in gran parte motivati dal profondo
disagio dello scrittore di fronte alla letteratura contemporanea e, in generale, alla cultura
postmoderna. Tuttavia, La Capria rifiuta di disperare, anche se oggi l’immaginario è
«inquinato dalle troppe rappresentazioni continuamente riprodotte», affermando invece
che il compito dello scrittore contemporaneo è giustamente di «ricercare il principio di
una determinazione creativa»36. In altre parole, allo stato attuale, con la letteratura che è
33 Raffaele La Capria, Letteratura e salti mortali, in Id., Opere, a cura e con un saggio introduttivo di Silvio Perrella, Milano, Arnoldo Mondadori, 2003, p. 1179. 34 Ivi, p. 1180. 35 Ivi, p. 1181. 36 Ivi, p. 1183.
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diventata un deposito di luoghi comuni, la difficoltà di essere creativi è senza dubbio
cresciuta, ma insieme alla fatica è cresciuta la necessità di creatività individuale, di nuovi
approcci al mondo, di visioni dinamiche sul reale.
Il disagio lacapriano nei confronti del postmodernismo è anzitutto generato da un
sentimento angoscioso di chiusura e di immobilità. Ciò emerge chiaramente da L’occhio
di Napoli, dove lo scrittore critica severamente la propria città materna, descrivendola
come la città immobile per eccellenza. Lo scrittore si chiede allora se sarebbe possibile
farla uscire dal recinto che ha creato personalmente:
È possibile, almeno, allargare i confini della città e, parlandone, farla uscire da quella specie di recinto
in cui si è chiusa, usando le chiavi del linguaggio, dell’immaginazione e della speranza per scuoterla
dalla sua immobilità?37
In realtà, il vizio maggiore di Napoli sta proprio in quei «radicati riflessi difensivi che
mantengono in vita viete rappresentazioni e cliché legati a un’ormai patologica e sterile
autoreferenzialità», per dirla con le parole di Sabine Verhulst38. Ciò significa infatti che un
abuso immotivato e eccessivo della tradizione napoletana potrebbe finalmente condurre
all’irrepresentabilità della città stessa. La Capria riconosce il pericolo ne L’occhio di
Napoli, paragonando la città ad una cipolla: «devo ammettere che non è facile guardare
Napoli senza pregiudizio [...] perché Napoli ne sembra avvolta come una cipolla, che se la
sfogli tutta non resta più nulla»39. È proprio per questo che si dovrebbe ‘allargare i confini
della città’.
Il desiderio di La Capria di guardare oltre i confini ‘fissi’ spiega anche perché il mare
occupi una posizione talmente centrale nella sua narrativa. L’ostinazione dello scrittore di
formarsi un’idea corretta del reale si traduce allora letteralmente in una volontà di
‘prendere il largo’, di sfuggire temporaneamente al mondo napoletano per scoprire un
altro. A questo proposito è significativo un passo di Napolitan graffiti che racconta di una
certa ‘bella giornata’ in cui La Capria e Anna Maria Ortese andarono insieme a Procida e
dove descrive il comportamento della scrittrice:
37 Raffaele La Capria, L’occhio di Napoli, in Id., Opere, cit., p. 945. 38 Sabine Verhulst, Ricomporre Napoli nell’immaginario. La visione di Raffaele La Capria, in Le frontiere del Sud, Firenze, Academia Universa Press, 2009. In corso di stampa. 39 Raffaele La Capria, L’occhio di Napoli, in Id., Opere, cit., p. 989.
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Con gli occhi rivolti dentro se stessa non vedeva niente dello spettacolo di fuori, non lo splendore del
mare che in realtà bagna Napoli, non la linea mutevole del paesaggio e la bellezza delle rive; e neppure
vide l’isola che ci veniva incontro con tutte le sue bianche case smozzicate che si riflettevano nello
specchio del porticciuolo. Quell’eccesso di luce che scoppiava nell’aria doveva sembrarle irriguardoso e
perfino indecente, la offendeva. [...] Ricordo che – come spesso accade – una luna trasparente, diafana,
e simile a un’ostia, navigava nel cielo diurno, consumata dalla luce, anch’essa fuori posto nella bella
giornata: creatura notturna, fatta per l’ombra, dove meglio s’irradia il suo nebuloso splendore, come la
futura scrittrice de Il mare non bagna Napoli.40
Dal passo risulta chiaro che, secondo La Capria, il vizio primario degli scrittori napoletani
è di chiudersi volontariamente, sia in senso letterale, nel recinto della loro città – come fa
Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli – che in senso metaforico, nelle
rappresentazioni circolari e immobili di essa. Il loro peccato è di non vedere come ‘il mare
bagna Napoli’, di rifiutare di aprirsi sul mondo esteriore, e di adottare una visione
dinamica su di esso.
Inoltre, la citazione di Napolitan graffiti fa intravedere una seconda distinzione tra la
visione lacapriana e quella della maggior parte degli scrittori napoletani: laddove la Ortese
‘si rifugiò subito nel salone interno del vaporetto’ a causa di un eccesso di luce che la
offendeva, La Capria preferiva immedesimarsi completamente con la bella giornata. Ciò
potrebbe indicare la sua ostinazione di costruire un rapporto diretto col mondo esteriore,
senza la mediazione di modelli esistenti. Stranamente, critica lo scrittore, molti dei suoi
colleghi rifiutano di andare in cerca di una tale trasparenza completa del reale,
accontentandosi dell’ennesimo sfruttamento di luoghi comuni ‘oscuri’.
Silvio Perrella condivide questa opinione nell’Introduzione all’edizione dei Meridiani
delle Opere, da lui curata: «mentre Anna Maria Ortese non solo era assalita dalle ombre,
ma le cercava e le corteggiava, ponendo tra sé e il reale una «lente scura», La Capria
cercava la chiarezza, il fondamento geometrico del mondo, aspirando a un particolare tipo
di illuminismo, quello del cuore»41.
Nonostante il suo desiderio ardente di rompere la circolarità di Napoli, succede che anche
La Capria stesso, in quanto napoletano, viene sottomesso alla forza immobilizzante della
città materna. Perciò, ne L’occhio di Napoli, lo scrittore si chiede se non sia stato anche lui
40 Raffaele La Capria, Napolitan graffiti, in Id., Opere, cit., pp. 1139-1140. 41 Silvio Perrella, Il mondo come acqua, in Raffaele La Capria, Opere, cit., p. XX.
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«preso nella «circolarità» di questo «discorso su Napoli», che interminabilmente ripete la
circolarità esistenziale della città»42. La Capria è dunque consapevole del fatto che uscire
dal cerchio necessita sempre uno sforzo. In realtà, anche se sembra suggerire che anche lui
non riesce ad abbandonare il cerchio vizioso napoletano, ne era in certo senso già uscito
più di trenta anni prima, con il suo romanzo Ferito a morte, dove offre un’immagine
nuova e completamente personale della cara città materna.
In ogni caso, La Capria teme che l’immobilità napoletana – e per estensione, meridionale
–, causata da un irresponsabile ed eccessivo riuso della ricca tradizione, possa finalmente
condurre a un’arretratezza irreparabile rispetto allo sviluppo culturale del Settentrione.
Però, sembra suggerire lo scrittore, l’immobilità contiene anche un vantaggio particolare
in quanto può generare una specie di attesa, anche essa tipicamente meridionale. Perciò, a
un napoletano che è in attesa di un miglioramento delle condizioni cittadine – come La
Capria – può capitare di intravedere improvvisamente le possibilità future della propria
città. E, dice lo scrittore, tale scoperta è sempre il risultato dell’immaginazione:
L’attesa [...] è il grande territorio dell’immaginazione. Ecco perché a Napoli di immaginazione ce n’è
tanta. Aspettiamo da secoli che accada qualcosa, ma è da secoli che non facciamo nulla per farla
accadere. Ci limitiamo ad aspettare, immobili, immaginando.43
In sostanza, La Capria sostiene che l’immaginazione è la chiave per eccellenza per
scoprire e capire l’essenziale, il nucleo del reale. Considera l’immaginazione come un
work in progress che parte sempre da un’osservazione della realtà, che viene poi
trasformata e interpretata da una mente acuta e indipendente. Così, l’immaginazione
conduce idealmente alla creazione di una ‘realtà possibile’, che in fondo è più vera di
quella che vediamo ogni giorno.
3.2. La funzione cognitiva dell’immaginazione lacapriana
Siccome l’immaginazione lacapriana nella sua forma matura è il frutto di una
collaborazione ben riuscita tra l’osservazione di immagini provenienti dal reale, e un
trattamento della mente su di esse, La Capria preferisce riferirsi al fenomeno sotto il nome
42 Raffaele La Capria, L’occhio di Napoli, in Id., Opere, cit., p. 946. 43 Ivi, p. 1005.
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di ‘immagini mentali’. Il punto di partenza, spiega lo scrittore ne Lo stile dell’anatra, sono
quasi sempre immagini legate alla vista:
I soli luoghi importanti per uno scrittore, e per chiunque, sono infatti i luoghi in cui nasce e si sviluppa
la memoria immaginativa, e l’identità più segreta. Questa memoria è fatta di immagini sensoriali e
mentali che si presentano nei momenti più imprevisti e in combinazioni impensabili, sempre legate però
ai cinque sensi e soprattutto, per me, a quello della vista; e poi odori, sapori, suoni, contatti.44
L’osservazione è certo pertinente se la confrontiamo con il funzionamento della narrativa
lacapriana, dove le immagini – del mare trasparente, della luce abbagliante, del Vesuvio e
di Palazzo donn’Anna – sono i luoghi di nascita non soltanto della scrittura lacapriana, ma
anche della sua concezione del mondo.
Perciò, sottolinea La Capria, una semplice osservazione del reale non è sufficiente per
capirne l’essenza. Ciò spiega il suo ostinato attacco contro il realismo letterario ne
L’occhio di Napoli:
Farebbe bene oggi uno scrittore che volesse interrompere questa circolarità a sospendere per qualche
tempo quel realismo che riproduce direttamente la realtà così com’è. A Napoli oggi la realtà è più forte
di quel realismo, quel realismo non sa come rappresentarla. La realtà se la ride, quando si accorge che
quel realismo vuole afferrarla. Va là, gli dice, torna quando sarai più grande e un po’ più scaltrito [...] e
ricordati che il vero realismo è sempre critico, risale sempre alle cause ultime. Cerca di non descrivermi
troppo, non sopporto le descrizioni insistite, sono superficiali e distruggono. Pensami, invece, fatti di me
un’immagine mentale forte e dominante, conoscitiva. Allora chissà, forse potrei anche concedermi un
po’.45
E dunque, conclude La Capria, uno scrittore che vuole occuparsi di Napoli non ha il
compito di «riprodurre direttamente la realtà così com’è», ma dovrebbe invece impegnarsi
e «ripensare la città continuamente»46.
Raffaele La Capria arriva alla conclusione non prima degli anni ottanta – o in ogni caso,
ce la esplicita per la prima volta. Se la confrontiamo con il ruolo dell’immaginazione e il
rapporto del protagonista con la realtà nel suo primo romanzo, Un giorno d’impazienza, le
differenze sono notevoli, e sembra che lo scrittore vi stia ancora cercando il suo stile. A
44 Raffaele La Capria, Lo stile dell’anatra, in Id., Opere, cit., p. 1572. 45 Raffaele La Capria, L’occhio di Napoli, in Id., Opere, cit., pp. 946-947. 46 Ivi, p. 947.
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questo proposito, Domenico Scarpa osserva tuttavia che il tema del romanzo è esattamente
‘l’inseguimento della Realtà’, e che si oppone così al ‘ricatto del Realismo’:
Un giorno d’impazienza, il primo romanzo pubblicato da Raffaele La Capria, è datato del 1952. In
quegli anni, l’imperativo dello scrittore italiano è catturare la realtà e inchiodarla alla pagina. I più
ingenui ci provano senza farsi troppe domande e si conformano chi più chi meno al ricatto del
Realismo, altri fanno dell’inseguimento stesso della Realtà il tema del racconto, riuscendo così ad
affrontarla e insieme a tenerla a distanza adeguata. Tra questi c’è anche La Capria.47
L’interpretazione di Scarpa è senza dubbio valida, anche perché Un giorno d’impazienza
non è soltanto la storia di un giovane in cerca della Realtà che «rimaneva sempre,
ostinatamente, al di fuori del mio sguardo»48, ma fa intravedere allo stesso tempo uno
scrittore che sta cercando la sua via.
Analizzando un brano di Un giorno d’impazienza, diventa chiaro quanto il primo romanzo
differisce dalle opere lacapriane future. Nel passo, il protagonista cerca a visualizzare la
faccia della sua amante, ma non ci riesce:
Cercai di fissare l’immagine di Mira in quel gesto impudico; ma invano. [...] Si ritraeva sempre in una
zona d’ombra, e solo separati frammenti, il taglio largo degli occhi, lo spessore assonnato delle
palpebre, il segno scontornato del rossetto, la rima sinuosa delle labbra, l’arsura dei capelli, si
disponevano in una composizione astratta, variabile, come i pezzi di carta d’un caleidoscopio. E quando
mi pareva di averla bloccata intorno a questi e altri particolari più vivi, sapevo bene che il volto ch’ero
riuscito finalmente a evocare non era il suo volto!49
Il problema sta proprio nel fatto che il personaggio vuole ‘riprodurre direttamente la
realtà’, scendendo nei minimi particolari. Così, numerose descrizioni di Un giorno
d’impazienza – anche se sono spesso ‘in assenza’, visualizzate – si perdono nei dettagli,
rendendo finalmente impossibile un insieme armonioso. Il tentativo sarà sempre vano,
proprio perché è impossibile riprodurre completamente la realtà così come è: tutto
sommato, il compito della descrizione – retorica, ma ovviamente anche letteraria –, dice
Garavelli nel suo Manuale di retorica, è proprio «il ‘porre davanti agli occhi’, in evidenza,
appunto, l’oggetto della comunicazione, mettendone in luce particolari caratterizzanti,
47 Domenico Scarpa, Mente narrante in corpo vivente. Metamorfosi di Raffaele La Capria, in Raffaele La Capria. Letteratura, senso comune e passione civile, a cura di Paolo Grossi, Napoli, Liguori, 2002, p. 9. 48 Raffaele La Capria, Un giorno d’impazienza, in Id., Opere, cit., p. 67. 49 Ivi, pp. 100-101.
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per concentrare su di esso l’immaginazione [...] dell’ascoltatore, la sua capacità di
raffigurarsi nella mente ciò di cui si parla, di tradurre le parole in immagini»50. In altri
termini, una descrizione della realtà necessita sempre una selezione di particolari, perché è
impossibile copiarla così come è.
In Ferito a morte, il secondo romanzo, uscito nel 1961, questo tipo di descrizioni
dettagliate è semplicemente inesistente. Sembra che La Capria abbia cambiato idea nel
corso degli anni e che preferisca ora cancellare i dettagli del reale per conservarne
l’essenziale. Inoltre, ciò offre una maggiore libertà al lettore, che può trasformare e
interpretare le limitate descrizioni offerte nel romanzo secondo il proprio gusto e la
propria immaginazione.
La saggistica lacapriana segue dunque ovviamento la linea di Ferito a morte,
classificandola sotto il concetto di ‘immagine mentale’. In questo stesso periodo nasce
logicamente la sua critica del realismo, che non si limita al realismo letterario ma
costituisce una critica degli eccessi visivi della società moderna:
Fin qui la mia immagine di Napoli città mediterranea; una immagine mentale, perché quella realistica
fornita di solito dal cinema, dalla televisione, dai giornali e anche dalla letteratura contiene sempre
qualcosa di ovvio e di eccessivo, che invece di aiutare a capire la complessità stratificata di questa città
ne dà una semplificazione buona solo a rafforzare i pregiudizi già esistenti.51
Inoltre, sostiene La Capria ne L’armonia perduta, una rappresentazione troppo oggettiva
della realtà non è necessariamente più ‘vera’ di un’interpretazione soggettiva di essa. La
forza della soggettività – e dell’immaginazione – sta proprio nel fatto che essa non
riproduce il reale, ma crea una nuova realtà possibile. Questa ‘ipotesi’ della realtà si
distingue soprattutto per la sua qualità di guardare oltre i dati oggettivi e per la sua
ostinazione di scoprire ‘alcuni aspetti che altrimenti sfuggirebbero’:
Un romanzo anche quando è preso dalla realtà non la riproduce mai esattamente, è un «modello di
realtà», una «realtà possibile», una ipotesi che l’immaginazione cerca di rendere più vera e credibile del
vero, anche per far risaltare (del vero) alcuni aspetti che altrimenti sfuggirebbero.52
50 Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, cit., p. 238. Il corsivo è mio. 51 Raffaele La Capria, L’occhio di Napoli, in Id., Opere, cit., pp. 915-916. 52 Raffaele La Capria, L’armonia perduta. Una fantasia sulla storia di Napoli, in Id., Opere, cit., p. 729.
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Quindi, nel momento in cui l’immaginazione si trasforma in una forma ‘tangibile’,
letteraria, di metafore e similitudini, può contribuire decisamente alla trasmissione
concreta di aspetti del reale che, senza la sua mediazione, resterebbero impercettibili.
Perciò, le figure del discorso, che si presentano precisamente come la verbalizzazione
dell’immaginazione, non si distinguono più per la loro funzione meramente retorica e
ornamentale, ma soprattutto per la loro qualità cognitiva. L’importanza di questo loro
aspetto cognitivo viene sottolineato da La Capria ne L’armonia perduta:
[...] e dico che il mio libro è una fiction più che un saggio dove ho raccontato la storia di Napoli per
raccontare una mia storia interiore, il «poetico litigio» tra me e la mia città. Ripensandola dal profondo
della sua storia sotterranea con un approccio e un linguaggio tali da dare uno scatto all’immaginazione,
inventandomi un lessico appropriato, volevo proporre non una «rappresentazione» ma una «immagine
mentale» che aiutasse a ri-conoscerla, cioè a conoscerla di nuovo e in modo nuovo.53
L’ambizione lacapriana è dunque né più né meno di scoprire l’essenza dietro l’apparenza,
di perfezionare la sua conoscenza della verità. Lo scrittore esplicita il suo obiettivo ne
L’armonia perduta, una personale «mitografia conoscitiva», che dovrebbe essere letta
«senza confondere le metafore con la realtà»: «che non fossero prese alla lettera (come
quasi sempre avviene quando una metafora cade nel luogo in cui è stata costruita) e
avendo ben presente che non una verità storica io ho cercato ma una verità poetica»54.
Infatti, il primo capitolo di Ferito a morte dimostra bene come le metafore lacapriane
devono contribuire idealmente alla generazione di una personale ‘verità poetica’. Lo
scrittore napoletano ci usa una metafora, il cui significato rivela contemporaneamente
l’interpretazione lacapriana della metafora come modalità cognitiva. La Capria ci descrive
l’entrata della luce nella camera di Massimo, riferendosi ad un ‘grafico d’oro’:
Oscilla sulla parete bianca il grafico d’oro, trasmette irrequieto senza soste il messaggio: è una bella
giornata – bella giornata.55
Inoltre, ne Lo stile dell’anatra, lo scrittore descrive lo stesso raggio di sole di Ferito a
morte come un «geroglifico luminoso»56. Tenendo a mente che la metafora è considerata
come una figura di sostituzione che implica un trasferimento di significato, la luce si 53 Ivi, p. 777. 54 Ivi, pp. 776-777. 55 Raffaele La Capria, Ferito a morte, Milano, Oscar Mondadori, 1998, p. 13. 56 Raffaele La Capria, Lo stile dell’anatra, in Id., Opere, cit., p. 1574.
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traduce dunque metaforicamente sia in un ‘grafico d’oro’ che in un ‘geroglifico’. Le
metafore attribuiscono così un nuovo significato alla luce, indicando giustamente la sua
capacità di trasmettere un messaggio prezioso – d’oro –, ma insieme misterioso e ancora
sconosciuto – geroglifico. In altre parole, con queste metafore ‘primarie’, La Capria
sembra offrire implicitamente una sua definizione personale della metafora come una
figura eccellente che ha la facoltà di generare nuove visioni sul mondo e di trasmettere
nuovi messaggi che sono incontestabilmente preziosi, ma difficili da raggiungere.
L’importanza delle metafore nella scrittura lacapriana è anche manifesta in Letteratura e
salti mortali, dove lo scrittore mette in campo l’insolita metafora del tuffo per definire
chiaramente quali sono, a suo parere, le qualità della ‘buona’ letteratura. La Capria ci
sostiene che il tuffo – elemento importante della sua ‘memoria immaginativa’ di Palazzo
donn’Anna – ha «molte analogie con la letteratura»57: la perfezione della figura, «il fattore
rischio e la necessità di un calcolo istintivo e insieme razionale»58, e «la capacità di far
convergere il tutto verso un unico punto focale»59.
Soprattutto interessante per questa tesi è la conclusione di La Capria alla fine del capitolo,
dove si realizza che ‘eventi apparentemente semplici e chiari’ della vita possono
nascondere dei possibili trasferimenti letterari – giustamente, metafore – che, a loro volta,
sono in grado di contribuire ad una progressiva conoscenza della realtà:
Quando mi allenavo nei tuffi con Ciccio Ferraris [...] non ci sognavamo nemmeno di parlare di queste
cose, e nemmeno immaginavo che un giorno avrei trasferito gli insegnamenti di Ciccio nella pratica
della letteratura. Ma la vita ci presenta sempre eventi apparentemente semplici e chiari (come due
ragazzi che si allenano su un trampolino in una bella giornata d’estate) che però – chissà, forse –
contengono un altro evento nascosto dentro il primo, in gestazione, che potrà manifestarsi o no, a
seconda dei casi o del Caso.60
E, conclude lo scrittore napoletano, dopotutto questa conclusione «è da tener presente per
chi la vita cerca di riversare, trasfigurandola, nella grande metafora della letteratura»61.
57 Raffaele La Capria, Letteratura e salti mortali, in Id., Opere, cit., p. 1166. 58 Ivi, p. 1167. 59 Ivi, p. 1168. 60 Ivi, p. 1173. 61 Ibidem.
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Insomma, La Capria considera l’immaginazione, e la sua forma concreta della metafora,
come un meccanismo dinamico e cognitivo, che parte da fatti reali che vengono quindi
ripensati e trasfigurati in continuazione, con l’obiettivo di raggiungere alla fine una
visione più vera e più ricca sul mondo di quella offerta direttamente dalla realtà visibile.
Perciò, sembra suggerire lo scrittore, l’immaginazione è il frutto di un’unione armoniosa
tra esteriorità e interiorità, e dunque tra corpo e mente.
L’armonia tra esteriore e interiore è da tenere a mente per l’analisi di Ferito a morte, che,
in una prima fase, sembra la storia di uno scontro doloroso tra Natura e Storia – cioè, tra
corpo e mente. Però, vedremo come la conclusione finale del romanzo fa intravedere la
loro possibile armonia – anche se necessita uno sforzo per scoprirla.
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4. L’IMMAGINAZIONE IN FERITO A MORTE
La necessità di creare un’immagine mentale di Napoli, come elaborata da La Capria nella
sua saggistica ‘matura’, dovrebbe in parte apparire – anche se in modo meno teoretico –
nella sua narrativa anteriore, e più specificamente nel suo primo romanzo napoletano,
Ferito a morte. Come vedremo, la prosa lacapriana si applica facilmente alla concezione
dell’‘immagine mentale’, teorizzata nella saggistica. In Ferito a morte, l’inserimento e la
ripetizione di metafore, e soprattutto quella della Bella Giornata (4.2.) e quella della
Foresta Vergine (4.3.), costituiscono quindi una vera modalità cognitiva, che permette
finalmente un’interpretazione corretta e completa della complessità della città materna
(4.4.).
4.1. Introduzione. L’epigrafe di W.H. Auden
Prima di analizzare l’immaginazione nel romanzo stesso, sarà utile studiare l’epigrafe di
esso: La Capria ci ha inserito alcuni versi di ‘Goodbye to the Mezzogiorno’, una poesia di
Wystan Hugh Auden del 1958 e dunque più o meno contemporanea alla stesura di Ferito
a morte. Il poeta inglese ci parla del suo soggiorno sull’isola di Ischia, e dei suoi motivi di
abbandonare l’Italia:
… between those who mean by a life a
Bildungsroman and those to whom living
Means to-be-visible-now, there yawns a gulf
Embrace[s] cannot bridge.62
In un suo articolo sulla narrativa lacapriana, Domenico Scarpa sostiene che l’epigrafe di
Ferito a morte evidenzia come Auden fa una distinzione fra due tipi di uomini, vale a dire
fra «coloro che intendono la vita come un perpetuo romanzo di formazione», una specie a
cui appartiene il poeta inglese stesso, e «coloro che la vivono come visibilità istantanea,
come appagamento spensierato dell’attimo assoluto»63.
62 Wystan Hugh Auden, epigrafe a Ferito a morte di Raffaele La Capria, cit., p. 1. 63 Domenico Scarpa, Mente narrante in corpo vivente, cit., in Raffaele La Capria. Letteratura, senso comune e passione civile, cit., p. 17.
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In realtà si tratta di un abisso tra due culture: quella settentrionale e europea, dove la vita è
un Bildungsroman – non per caso la terminologia è tedesca –, dove tutto viene analizzato
dalla mente, ci si oppone allora alla cultura meridionale, che è dominata non dalla ragione,
ma dal corpo. Così, affermano numerosi studiosi, appoggiandosi anche sul fatto che il
poeta ha scritto la famosa poesia poco dopo la sua partenza da Ischia, ‘Goodbye to the
Mezzogiorno’ descrive l’atmosfera italiana e la reazione dei viaggiatori settentrionali su
essa.64
Confrontando l’epigrafe con il messaggio di Ferito a morte stesso, diventa chiaro che la
scelta di La Capria non può soltanto essere spiegata dalla sua ammirazione per Auden. Lo
scrittore sembra infatti contraddire la concezione del poeta inglese: invece di affermare la
spaccatura irrimediabile fra le due culture, La Capria propone di ‘colmare l’abisso’, di
costruire un ponte, raggiungendo così una visione sul mondo più ricca.
Così l’epigrafe esplicita il desiderio lacapriano di stabilire un’armonia fra mente e corpo,
un tema che occupa una posizione centrale in Ferito a morte. Ciò viene anche osservato
da Domenico Scarpa nello stesso articolo, che si intitola precisamente Mente narrante in
corpo vivente, dove afferma giustamente che «il problema di La Capria è sempre stato
quello di far coincidere la formazione – processo oscuro, segreto e interiore – con la
visibilità della vita vissuta che si spalanca verso un dehors di luce abbagliante»65.
La combinazione di vita interiore e vita esteriore, di lavoro mentale e realtà vissuta, così
cara allo scrittore e così importante nella sua scrittura, concorda in realtà molto bene con
la sua concezione personale dell’immaginazione, vale a dire: l’immaginazione non può
essere il risultato di un mero processo mentale che funziona indipendentemente dalla
realtà circostante, ma è invece sempre il frutto di un lavoro intellettuale che è anzitutto
condizionato dal mondo reale, che parte dalla vita quotidiana. In altre parole, si tratta di
immagini del reale che vengono interpretate dalla mente, per ottenere così un’immagine
mentale. L’immaginazione lacapriana ha inoltre un importante ruolo cognitivo in quanto
cerca di costituire un’interpretazione completa del mondo e di cogliere l’essenziale della
vita, un tentativo analogo a quello del protagonista di Ferito a morte.
64 Fra l’altro, Herbert Morgan Waidson in Auden and German literature, in «The Modern Language Review», vol. 70, no. 2, anno 1975, pp. 356-357. 65 Domenico Scarpa, Mente narrante in corpo vivente, cit., in Raffaele La Capria. Letteratura, senso comune e passione civile, cit., p. 16.
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Perciò non colpisce che l’idea torni anche nelle epigrafi dei due altri romanzi della trilogia
Tre romanzi di una giornata. Nel terzo romanzo, Amore e psiche, La Capria sottolinea di
nuovo l’importanza del rapporto – della letteratura, e dunque della conoscenza – con la
realtà, inserendo una brevissima citazione di Ludwig Wittgenstein, che contiene tuttavia
tutte le idee lacapriane sulla letteratura e insieme, sulla vita:
Il mondo è tutto quello che accade.66
In altre parole, la valutazione di ‘tutto quello che accade’ di Wittgenstein e del ‘to-be-
visible-now’ di Auden sottolinea che un’interpretazione corretta – anche se non assoluta,
ma individuale – di una società richiede anzitutto un’osservazione attenta di essa. La
Capria esplicita la necessità di un rapporto intenso con la realtà ne L’armonia perduta,
rifiutando l’idea che una società sia soltanto un’entità