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Lo studio dell’opera di direzione spirituale di sovrani e potenti, e la rifles- sione sulla cospicua e variegata attività antiereticale della Compagnia, sono tra i più consolidati topoi della storiografia gesuitica. Al crocevia tra questi due campi d’indagine, l’assistenza religiosa prestata dai padri gesuiti negli eserciti cattolici impegnati nella lotta contro infedeli ed eretici, è stata fatta oggetto dell’attenzione dei ricercatori soltanto di recente. L’affermazione, in ambito storiografico, delle categorie di disciplinamento e confessionalizzazione, per definire le trasformazioni in atto in età moderna, sembra aver favorito e giusti- ficato tale risveglio 1 . Com’è stato notato, il concetto stesso di disciplina, nella sistemazione neostoica data da Giusto Lipsio, è utilizzato soprattutto nella sua accezione marziale e, come il caso prussiano dimostra con chiarezza, mantiene tale caratterizzazione anche quando diviene paradigma dell’elaborazione civile dello Stato 2 . A partire dalla constatazione della natura originariamente e impli- citamente militare del processo disciplinare, la ricerca italiana si è appuntata, negli ultimi anni, soprattutto sulla figura di Antonio Possevino, che del teorico del neostoicismo fu anche saltuario corrispondente 3 . Diplomatico e poligrafo, artefice, con la sua Bibliotheca Selecta, del più grande progetto di sistemazio- ne dei saperi della cattolicità postridentina 4 , il gesuita mantovano fu, nel 1569, autore del Soldato Christiano, il primo catechismo cattolico concepito specifi- catamente per i militari. A dispetto di una prima edizione piuttosto modesta, tutta mirata ad un suo immediato impiego pratico, il testo poté godere di gran- de diffusione negli anni seguenti 5 ; si collocò, quindi, come archetipo ed inizia- LA COMPAGNIA DI GESÙ, LA GUERRA E L’IMMAGINE DEL SOLDATO DA IGNAZIO A POSSEVINO (1546-1569) di Gianclaudio Civale Società e storia n. 140, 2013 1. In questa sede, intendo rimandare a due soli studi che si sono rivelati fondamentali per gli sviluppi della storiografia italiana, anche sulla catechesi militare. Cfr. Prodi (1982); Prosperi (1996). Di quest’ultimo sono da segnalare anche alcuni saggi che hanno tracciato le principali linee di ricerca sull’atteggiamento cattolico nei confronti della guerra: Prosperi (1999) e (2005). 2. Oestreich (1982), soprattutto pp. 51-54. 3. Ivi, p. 60. Sui contatti tra Lipsio e Possevino anche Lavenia (2009). 4. Sulla Bibliotheca selecta si vedano almeno: Biondi (1981); Mahlmann Bauer (2004). 5. Possevino (1569). In poco meno di cinquanta anni, il testo ebbe le seguenti riedizoni: Copyright © FrancoAngeli N.B: Copia ad uso personale. È vietata la riproduzione (totale o parziale) dell’opera con qualsiasi mezzo effettuata e la sua messa a disposizione di terzi, sia in forma gratuita sia a pagamento.

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Page 1: di Gianclaudio Civale topoi - air.unimi.it Civale... · conflitto, a detta dello stesso cardinal Farnese, legato apostolico in Germania e suo diretto superiore, gli sforzi da teologo

Lo studio dell’opera di direzione spirituale di sovrani e potenti, e la rifles-sione sulla cospicua e variegata attività antiereticale della Compagnia, sono trai più consolidati topoi della storiografia gesuitica. Al crocevia tra questi duecampi d’indagine, l’assistenza religiosa prestata dai padri gesuiti negli eserciticattolici impegnati nella lotta contro infedeli ed eretici, è stata fatta oggettodell’attenzione dei ricercatori soltanto di recente. L’affermazione, in ambitostoriografico, delle categorie di disciplinamento e confessionalizzazione, perdefinire le trasformazioni in atto in età moderna, sembra aver favorito e giusti-ficato tale risveglio1. Com’è stato notato, il concetto stesso di disciplina, nellasistemazione neostoica data da Giusto Lipsio, è utilizzato soprattutto nella suaaccezione marziale e, come il caso prussiano dimostra con chiarezza, mantienetale caratterizzazione anche quando diviene paradigma dell’elaborazione civiledello Stato2. A partire dalla constatazione della natura originariamente e impli-citamente militare del processo disciplinare, la ricerca italiana si è appuntata,negli ultimi anni, soprattutto sulla figura di Antonio Possevino, che del teoricodel neostoicismo fu anche saltuario corrispondente3. Diplomatico e poligrafo,artefice, con la sua Bibliotheca Selecta, del più grande progetto di sistemazio-ne dei saperi della cattolicità postridentina4, il gesuita mantovano fu, nel 1569,autore del Soldato Christiano, il primo catechismo cattolico concepito specifi-catamente per i militari. A dispetto di una prima edizione piuttosto modesta,tutta mirata ad un suo immediato impiego pratico, il testo poté godere di gran-de diffusione negli anni seguenti5; si collocò, quindi, come archetipo ed inizia-

LA COMPAGNIA DI GESÙ, LA GUERRA E L’IMMAGINEDEL SOLDATO DA IGNAZIO A POSSEVINO (1546-1569)

di Gianclaudio Civale

Società e storia n. 140, 2013

1. In questa sede, intendo rimandare a due soli studi che si sono rivelati fondamentaliper gli sviluppi della storiografia italiana, anche sulla catechesi militare. Cfr. Prodi (1982);Prosperi (1996). Di quest’ultimo sono da segnalare anche alcuni saggi che hanno tracciatole principali linee di ricerca sull’atteggiamento cattolico nei confronti della guerra: Prosperi(1999) e (2005).

2. Oestreich (1982), soprattutto pp. 51-54.3. Ivi, p. 60. Sui contatti tra Lipsio e Possevino anche Lavenia (2009).4. Sulla Bibliotheca selecta si vedano almeno: Biondi (1981); Mahlmann Bauer (2004).5. Possevino (1569). In poco meno di cinquanta anni, il testo ebbe le seguenti riedizoni:

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tore di un particolare genere religioso per soldati, che si rivelò molto prolificoin tutti i paesi cattolici almeno fino alla rivoluzione francese6.

Esempio significativo della pervasività della strategia di controllo ecclesia-stica tridentina, la concezione del libello è stata ricondotta da alcuni autori alcontemporaneo svilupparsi di una nuova immagine del papato e dei suoi cre-scenti impegni politici e militari7. Attraverso un progressivo e sovente disordi-nato accumularsi di esperienze, la Societas, al volgere degli anni sessanta, fuquindi in grado di precisare i contorni di un modello di soldato ideale per glieserciti della controriforma. Seguendo in maniera attenta le attività dei gesuitinegli anni centrali del secolo XVI, è dunque possibile ricostruire il filo ininter-rotto che avrebbe portato alla pubblicazione del catechismo posseviniano edall’elaborazione di una specifica strategia pastorale gesuitica per i soldati.

1. I due Vessilli: la Compagnia come Militia Christi

L’affinità, per organizzazione e concezione della disciplina, tra l’ordineignaziano ed il mondo militare fa parte della galleria di archetipi che compon-gono la comune immagine storica della Compagnia di Gesù. È un fatto risapu-to ed ovvio che l’ex soldato Iñigo de Loyola, al momento di progettare lastruttura del nuovo ordine religioso, si fosse ispirato alle proprie passate espe-rienze militari, così come risulta sostanziale nella formazione della nuova spi-ritualità gesuitica il forte senso di appartenenza del suo fondatore ad un cetonobiliare, l’hidalguía castigliana, e basca in particolare, che aveva fatto delproprio ideale guerriero e cruzado, forgiato in secoli di reconquista, il primodei propri elementi caratterizzanti.

Del resto, la metafora bellica attraversa tutti i primi testi ignaziani per-meandoli fortemente. Negli Esercizi Spirituali, le meditazioni sul «regno diCristo» e soprattutto quella dei «due vessilli», nelle quali il Cristo è immagi-nato come re e comandante che invita i suoi discepoli ad arruolarsi sotto lostendardo di Dio e la Cristianità è raffigurata come un accampamento milita-re, sono fondamentali nella concezione religiosa della Compagnia e nel deli-nearne la vocazione militante ed evangelizzatrice8. Tali immagini marziali,come è stato rilevato da più parti, più che connotare in maniera esclusiva l’o-riginale elaborazione di Ignazio, erano mutuate dal linguaggio comune dellatrattatistica religiosa. Nondimeno, esse vennero sovente utilizzate dai suoicollaboratori per motivare l’azione dei nuovi adepti, segnarne l’idea di disci-

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Macerata 1576 e 1583, Brescia 1588, Praga 1595, Venezia 1604. Fu, inoltre, tradotto inspagnolo nel 1588, l’anno della Invincible, e in francese nel 1627.

6. Un interessante tentativo di sistematica analisi di questo genere di letteratura in La-venia (2009). Il saggio di García Hernán (2006), invece, si concentra maggiormente sull’a-rea spagnola e sul secolo XVII.

7. Civale (2009), ma soprattutto Brunelli (2003).8. Monumenta Historica Societas Iesu (d’ora in poi L), MSHI, Monumenta Ignatiana

(d’ora in poi MI), Sancti Ignatii (1969).

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plina, accendere lo spirito missionario9. Per Jerónimo Nadal, il più fine esege-ta ignaziano:

Ex Vexillorum vero meditatione intelligimus Xpi. Jesu, ad ipsumque imperatoremChristum nos concurrere, cum eo in aciem procedere, in acie stare, ex acie per illumconfligere […]. Hac per illas meditationes nos vocat Christus in Societatem suae mi-litiae10.

La consueta metafora del cristiano come miles, che vive la sua diuturnabattaglia contro il mondo e le sue tentazioni, di ispirazione evangelica e paoli-na, poi entrata nel patrimonio allegorico della teologia cristiana fino ad essereconsacrata dall’umanesimo erasmiano, nello spirito della Compagnia assume-va così nuova concretezza e ne determinava l’intero ideale apostolico11. PerNadal, ma anche per Polanco, la Compagnia traeva il proprio nome dal mondoguerresco, essa era un «escuadrón» in lotta contro le tenebre12; come tale, isuoi membri dovevano cimentarsi in ogni situazione a promuovere quellariforma dei costumi che si configurava come passo necessario per la rigenera-zione interiore del fedele e l’acquisizione della discretio, la capacità di perce-pire la volontà di Dio in ogni attività e occupazione.

La rappresentazione della Compagnia come «milizia spirituale» veniva, al-tresì, ripresa e amplificata nella Formula, sia nella prima versione recepita daPaolo III che in quella definitiva approvata nel 1550 da Giulio III. In questi te-sti, il linguaggio militare sembra predominare e, secondo la celebre massima, imembri del nuovo ordine sono definiti come coloro che hanno scelto di milita-re «sub crucis vexillo […] et soli Domino ac Ecclesiae Ipsisus Sponsae, subRomano Pontifice, Christi in terris vicario, servire»13.

Se l’ideale di milizia esprimeva il concetto di disciplina e lo spirito di ab-negazione che informava la particolare missione di servizio gesuitica, la di-mensione della guerra diveniva funzionale a esplicarne il dinamismo, l’aspira-zione all’instancabile lavoro apostolico. È ancora Nadal a illustrare il passag-gio con espressioni di vibrante chiarezza, ad Alcalá nell’ottobre del 1561:

se riguardate la Compagnia, il suo instituto, li suoi essercitii, tutto è una vivacità dicharità, un fervore di quella, un mai stare otiosa, sempre animandosi et eccitandosi al-l’operare per agiuto delle anime. Non vedete che siamo in guerra, siamo in campagna?

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9. Sul senso della terminologia e delle immagini marziali nei primi testi gesuitici: Dal-mases (1948); Iturrioz (1955); Aldama (1990). Un’efficace sintesi della questione in O’-Malley (1993).

10. «P. Hieronymus Natalis in examen annotationes», MHSI, Nadal (1905), vol. IV, p.649.

11. Quanto possa aver influito nel plasmare le immagini ignaziane la lettura dell’Enchi-ridion militis Chrsitianis, è una questione a lungo dibattuta tra gli storici. Un quadro sinot-tico piuttosto datato, ma tuttora utile, delle diverse posizioni in Olin (1979).

12. Cfr. Dalmases (1948); O’Malley (1993), pp. 44-45. 13. Si è utilizzata la versione della bolla “Regimini Militantis Ecclesiae” edita in MSHI,

Sancti Ignatii de Loyola Constitutiones (1934), vol. I, pp. 24-32.

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Il servo di Dio non ha da essere pigro […]. Nella guerra sempre c’è da fare, non haluoco l’otiosità, né manca mai alcuna scaramuccia o alcun subito assalto e, già che nonfusse tempo di combattere, sarà almeno per preparare l’arme per la guerra14.

L’opera di evangelizzazione degli infedeli e di conversione degli eretici èdunque concepita come campagna di conquista religiosa. La guerra, continua-mente richiamata, è la dimensione nella quale si iscrive tutta la lotta spiritualecondotta dalla Compagnia; appare quindi naturale e del tutto conseguente che,nelle febbrili attività che contraddistinsero i primi anni di esistenza, i padri ge-suiti si trovarono anche a partecipare a campagne militari ed a prestare assi-stenza spirituale alle truppe cattoliche impegnate di volta in volta contro ereti-ci ed infedeli.

Già nel 1546, il padre Bobadilla, il più combattivo ed esuberante tra gli an-tiquissimi, accompagnò le truppe di Carlo V nella guerra della Lega di Smal-calda. Durante le operazioni che portarono alla battaglia di Mühlberg, allaquale il gesuita poté presenziare, le sue mansioni furono di infermiere e cap-pellano dei soldati pontifici15. Anche in un contesto di guerra, quindi, ebbemodo di coniugare la vocazione per il soccorso degli infermi e per l’espleta-mento dei sacramenti tipica della Compagnia; tuttavia, in questa attività di as-sistenza ai militari, Bobadilla non disdegnò di esporsi personalmente ai perico-li, ricevendo una ferita d’alabarda alla testa presso il ponte di Landshut16. Nonè chiaro se in questa singola occasione, egli stesso abbia messo mano alla spa-da venendo meno al tabù delle armi per gli ecclesiastici, ma sono indicativedella sua opinione null’affatto sdegnata a proposito di questa ipotesi le lodiche ebbe occasione di formulare per il cardinale d’Augusta, il quale «haze ma-ravillas con armas y lanza»17.

D’altronde, l’impegno nell’esercito imperiale era arrivato in un momentocritico, allorquando a causa dell’inevitabile scivolare delle tensioni in apertoconflitto, a detta dello stesso cardinal Farnese, legato apostolico in Germania esuo diretto superiore, gli sforzi da teologo e predicatore del gesuita si erano ri-velati del tutto infruttuosi18. La guerra guerreggiata, non più solamente spiri-

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14. MHSI, P. Hieronymi Nadal S.I. (1962), p. 297; citato anche in Scaduto (1964), p.199.

15. La descrizione più chiara delle sue mansioni all’interno dell’esercito imperiale sitrova nella lettera inviata ad Ignazio da Ingolstadt, il 24 settembre 1546. MHSI, Bobadillaemonumenta (1913), pp. 107-108.

16. Bobadilla a Claude Jay, Ingolstadt 17 agosto 1546. Ivi, pp. 103-104.17. Ibidem.18. In una lettera del novembre 1546, il Farnese scriveva al cardinal Girolamo Verallo

«maestro Bodadilla […] la supplica a pigliare partito di casi suoi, et a darli licentia che pos-sa tornarsene in Italia, dove spera di poter fare qualche frutto, perché qui non ci può piùfruttificare nulla; et invero io lo lauderei, perché in effetto lo star suo da queste bande non èpiù a proposito per se, né per altri». Ma, nello stesso periodo, era lo stesso Bobadilla aesprimere la sua delusione al Jay: «si he escrito que me sacassen de Germania, no ha sidopor huir la cruz, mas parte sperando de hacer mejor fructo en otra parte que en esta tan esté-ril de bondad, y tan mal dispuesta a sanctos deseos». Ivi, 99-100.

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tuale, era divenuta quindi extrema ratio quando tutti gli altri tentativi erano fal-liti. A rendere esplicito questo passaggio, plausibile anche nella spiritualità ge-suitica, è lo stesso Bobadilla che, dopo le stanchezze e le delusioni per l’esitodelle dispute teologiche, all’inizio di settembre del 1546, dall’accampamentoimperiale di Ingolstad, scriveva a Ferdinando d’Asburgo:

In summa digo a V. Ser.ma M. que muchos años ha que, numquam estube tan alegreen mi coraçón como agora, viendo que estos [i soldati] son verdaderos doctores para lapaz y tranquilidad de Germania, expulsión del thurco, y reformatión de toda la iglesia,ocasión y causa; la qual Christo nos conceda presto, amén, como yo espero19.

Nessun altro gesuita si sarebbe più espresso in termini così aspri e chiariparagonando i soldati a «doctores» che finalmente riescono a risolvere contro-versie altrimenti insanabili, e la guerra non avrebbe mai potuto sostituire deltutto l’azione apostolica come le parole, a limite del sarcastico, di Bobadillasembravano paventare. Ciò malgrado, l’irrequieto padre riesce ad esplicitarequesto possibile slittamento del combattimento spirituale gesuitico, in cui ilferro non arrivava a sostituire le orazioni, ma le accompagnava e ne favorival’esito e, vicendevolmente, le preghiere e le benedizioni si configuravano comeindispensabili ai trionfi degli eserciti.

Si trattava, in pratica, dell’adozione nell’orizzonte gesuitico del tradiziona-le modello della guerra santa, un conflitto contro i nemici della fede, diretto esostenuto dalla Chiesa, che santificava ed assolveva i combattenti postisi sottoil vessillo della croce.

2. Diego Laínez a Mahdia: il valore soteriologico della penitenza

Le provocatorie posizioni del Bobadilla rimasero a lungo isolate. Ancoranel 1557, in un sermone romano, Diego Laínez insisteva sullo sforzo apostoli-co per piegare gli eretici tedeschi e rifiutava anche l’idea di una “guerra giu-sta”, a causa dei danni indiscriminati che avrebbe provocato sugli innocenti esugli indifesi20. Il terreno, sul quale i gesuiti poterono accettare più facilmenteche la loro lotta spirituale fosse affiancata dal conflitto armato, non fu la Ger-mania degli scontri confessionali, dove un intervento di assistenza gesuiticodei soldati cattolici avrebbe dovuto attendere la svolta degli anni sessanta e l’e-splodere su scala continentale dei conflitti di religione, ma fu il più familiarefronte mediterraneo della lotta contro l’Islam, in cui l’azione crociata trovavail suo scenario più ovvio e naturale.

Del resto, la stessa fondazione dell’ordine traeva le proprie origini da un’a-spirazione frustrata per una Gerusalemme che, come ai tempi dei crociati, an-cora sfuggiva al desiderio dei pellegrini cristiani perché sottomessa agli infe-

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19. Bobadilla a Ferdinando re dei Romani, Ingolstadt 6 settembre 1546. Ivi, pp. 107-108.

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deli. Dall’amaro insuccesso del suo viaggio giovanile in Terrasanta del 1523ed in misura ancora maggiore dai vani tentativi di ritornarvi con i primi com-pagni, rimase in Ignazio una tenace ambizione di poter raggiungere i luoghisanti, se non più di persona almeno attraverso i membri del proprio ordine.Quest’attenzione si tradusse nei ripetuti tentativi di aprire case professe inOriente per poter finalmente avviare quell’opera di evangelizzazione degliislamici, che continuava ad esser sentita come uno dei massimi obbiettivi del-l’ordine21.

Tale aspirazione, assieme ad una certa tensione crociata connaturata, comesi è visto, nello spirito gesuitico fin dalla fondazione, giustificarono il sempremeno occasionale impiego dei padri nelle periodiche spedizioni allestite daglispagnoli per strappare all’avversario turco e barbaresco lembi di costa ed ap-prodi da cui partivano le scorrerie corsare che flagellavano i litorali europei.Ad inaugurare questo nuovo scenario in cui poté esercitarsi l’apostolato gesui-tico fu proprio un riluttante Diego Laínez, che si trovò, quasi suo malgrado, apartecipare alla campagna di conquista della fortezza di Mahdia nel 155022.

L’occasione per l’allestimento della spedizione era stata data dall’occupa-zione della città da parte di Dragut che, dopo la morte di Hayreddin Barbaros-sa, era divenuto il corsaro più attivo e temuto del Mediterraneo. Partendo dal-l’isola di Gerba, aveva allargato il dominio barbaresco ad altre cittadine costie-re della Tunisia quali Susa e Monastir, da dove, grazie alla vicinanza con lecoste italiane, riusciva a guidare rapide ed agevoli incursioni ed a portare unaminaccia diretta alla Sicilia. La presa di Africa (Mahdia), l’antica Afrodisia,era particolarmente allarmante poiché costituiva uno dei punti meglio fortifica-ti del litorale ed avrebbe sancito la creazione di un nuovo stato corsaro dopoquello di Algeri. Per scongiurare questa eventualità e disarticolare il sistema diporti corsari tunisini si era mosso l’ammiraglio imperiale Andrea Doria, cheaveva organizzato un’armata contando sui contingenti di galere e uomini chepotevano fornirgli i territori spagnoli di Napoli e Sicilia23.

In questo frangente, Laínez si trovava esattamente a Palermo, in qualità divisitatore della provincia gesuitica siciliana. Fin dall’aprile del 1550, quandola spedizione militare era ancora in fase di organizzazione, i suoi servizi furo-no sollecitati direttamente ad Ignazio da parte del viceré Juan de Vega. Questi,secondo il provinciale Doménech, era per la Compagnia «un protettore, un si-gnore, un padre», in pratica il maggiore fautore della fortuna gesuitica nell’i-sola ed uno dei principali tramiti per ottenere il favore dell’imperatore24.

288 G. Civale

20. Cfr. O’Malley (1993), p. 277.21. Per l’esperienza di Ignazio in Terrasanta e sul fallito viaggio dei primi compagni, si

veda almeno la classica biografia di García Villoslada (1956), pp. 234-257 e 917-920.22. All’esperienza di Laínez come cappellano militare a Mahdia è dedicata una somma-

ria trattazione in Scaduto (1964), pp. 148-151.23. Sulla situazione politica e militare nel Mediterraneo di questi anni, si vedano Rodrí-

guez Salgado (1988), pp. 253-277; Alonso Acero (2001).24. Sul ruolo svolto da Juan de Vega e dalla sua famiglia per la promozione in Sicilia, in

Italia e in Spagna della Compagnia di Gesù, si veda almeno Scaduto (1964), pp. 562-566.

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Provenendo l’istanza da un personaggio di tale rilievo, il generale dellaCompagnia aveva prontamente acconsentito alla partecipazione del propriocollaboratore alla campagna in qualità di direttore spirituale del viceré e cap-pellano dell’armata. Inoltre, riuscì a venire incontro anche alle altre richiesteavanzate dal nobile spagnolo riguardo la concessione dell’indulgenza plenariaper i partecipanti alla spedizione25. Con questa concessione, sollecitata dalVega ma esercitata dalla Compagnia, la spedizione africana veniva essenzial-mente collocata in una dimensione crociata, in cui i combattenti «pro Christigloria ac fidei sanctae exaltatione» venivano premiati con la remissione da tut-ti i peccati26. Si trattava di un approccio antico alla guerra con gli infedeli, spe-cialmente adatta agli spagnoli avvezzi alle campagne di reconquista e alle im-prese africane cisneriane, di cui tuttavia, in una temperie religiosa e politicaprofondamente diversa, i gesuiti si facevano nuovi interpreti, consolidando illoro ruolo di dispensatori di esclusivi privilegi d’assoluzione27.

Per gli ingenti frutti spirituali che vi aveva potuto riscuotere, la pubblica-zione del giubileo per Laínez rappresentò uno dei momenti più solenni dell’in-tera campagna militare. La cerimonia si era svolta all’aperto, nell’accampa-mento sotto le mura della città assediata, ed il gesuita, grazie al favore delVega, aveva avuto occasione di pronunciare un sermone dinnanzi a tutti i sol-dati richiamati da trombe e tamburi. Subito dopo, i religiosi avevano comincia-to ad amministrare le confessioni, un’operazione che si prolungò fino all’albadel giorno dopo28. Ancora impegnato in quest’attività, il 2 settembre del 1550,Laínez poteva scrivere soddisfatto:

Confiésanse todos, grandes y chicos, y muchos se mudan de vida, y tienen mucho co-nocimiento y buena yntención; y tenían tanta necesidad, que no tenían de christianossino poco más de nombre. Házense pazes y restituciones, y Dios es mucho servido29.

Il giubileo, quindi, raggiunse effettivamente il suo obiettivo di inserire l’o-perazione militare spagnola a Mahdia nel più classico dei discorsi sulla crocia-ta, per cui la guerra contro gli infedeli diveniva igiene dalle forze demoniache,opportunità di ravvedimento e purificazione per coloro che in un immediatopassato solo di nome potevano definirsi cristiani, infine suprema occasione perrichiamare il favore divino ed assistere all’esercizio della sua potenza. Agli oc-

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25. «La de V. S.ría de XVII del pasado resciví algo tarde, donde me ordenava suplicas-se a S.S. de parte de V. S.ría y todos los que fuesen en esa santa empresa, les concediese eljubileo, que por occupatión de tan justa guerra no podían venir a ganar a Roma. Yo […] hesuplicado a nuestro santo Padre concediese esta gracia a todos los que la letra señalava; yasí alegramente la concedió S.S, con que fuessen contritos de sus peccados y se confessas-sen». MHSI, MI, III, pp. 111-112.

26. Il testo della lettera patente, datata 9 luglio 1559, in ivi, pp. 113-114.27. Sulla predicazione della crociata in Spagna è ancora indispensabile il classico studio

di Goñi Gatzambide (1958).28. Laínez a Ignazio, Africa, 2 settembre 1550. MHSI, Lainii Monumenta, (d’ora in poi

LM), (1912), vol. I, pp. 165-166. 29. Ibidem.

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chi del gesuita, i risultati dell’allegrezza celeste ottenuta grazie alle dimostra-zioni di devozione e pentimento furono evidenti allorché, dopo appena pochigiorni, poté annunziare che «nuestro Señor fue servido que el miercoles a 10de septiembre, ayudando specialmente Su Majestad divina, se tomó África»30.

Il compiacimento dimostrato in quest’occasione era tanto più giustificatose si considerava che la vittoria era venuta a caro prezzo. La campagna, infat-ti, si era dimostrata più difficile del previsto. La città, circondata su tre versan-ti dal mare, aveva potuto essere a lungo riapprovvigionata da Dragut, sfuggitoal blocco delle galere imperiali; sull’unico lato di terra, le truppe cattolicheerano rimaste bloccate dinnanzi alle mura e per tutta l’estate avevano soffertopesanti perdite. Il prolungamento delle operazioni causò a sua volta difficoltàdi vettovagliamento e di reperimento d’acqua e conseguentemente il sorgere dimortali forme di dissenteria, che falcidiarono ulteriormente le fila dei soldatispagnoli31.

Nell’ottobre del 1550, quando ormai era prossimo il rientro in Italia, il rac-conto unitario di questi patimenti, della contrizione collettiva e finalmente deltrionfo ottenuto, servirono a Laínez per comporre un’ultima missiva, il cuicontenuto era destinato ad essere diffuso all’interno della Compagnia con evi-dente scopo di edificazione32. Il futuro generale della Compagnia vi narravacome fin dall’approdo in terra d’Africa, con l’ausilio di Martín de Zornoza,l’auditore che lo accompagnava, e la collaborazione di alcuni frati cappuccini,si era dovuto dedicare all’organizzazione dell’ospedale ed all’assistenza di fe-riti ed infermi.

Seguendo uno schema consolidato, la cura dei corpi veniva affiancata ed inparte subordinata al soccorso delle anime. Infatti, Laínez accennava alle «medi-cinas y unctiones» ed alla «fructas, bendas y mataraços» distribuiti tra i malatidell’ospizio e tra quelli costretti a stare fuori nell’accampamento, ma non trala-sciava di sottolineare che «se han ayudado infinito los infermos quanto a susánimas». Al termine del proprio lavoro, il gesuita poteva orgogliosamente affer-mare che «no me acuerdo que tres (malati) sean muertos sin confesión». Questaprecisazione non si riferisce semplicemente all’adempimento di uno dei mini-steri specifici della Compagnia, quale l’aiuto spirituale ai moribondi, ma insi-nua anche l’esaltazione del valore soteriologico della penitenza come uno deitratti salienti sotto i quali si iscrive tutta l’esperienza di Laínez a Mahdia. Taletema è introdotto fin dall’inizio della missione, allorquando il gesuita dedica lasua prima predica, effettuata durante un’acquata all’isola della Favignana, all’e-sposizione dei celebri versetti del vangelo di Luca relativi all’episodio del Bat-tista coi soldati (Lc, 3,14). Ricorrendo agli stessi argomenti sviluppati da Ago-

290 G. Civale

30. La conquista della città avvenne il 10 settembre, quattro giorni dopo fu celebrata laconsacrazione dell’ex moschea maggiore. Laínez a Ignazio, Africa, 14 settembre 1550. Ivi,pp. 166-167.

31. Per notizie dettagliate relative all’andamento della campagna militare e dell’assedio,dal punto di vista fiorentino, romano e spagnolo, si vedano Guglielmotti (1876), pp. 179-247; Calvete de Estrella (1551), López de Gómara (2001), pp. 237-247.

32. Laínez a Ignazio, Africa, 5 ottobre 1550. MHSI, LM, vol. I, pp. 167-173.

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stino nella “Lettera a Bonifacio”, nella raccomandazione fatta da Giovanni di«neminem concutiatis neque calumniam faciatis et contenti estote stipendiis ve-stris», il gesuita rintracciava una via di redenzione anche per gli uomini d’arminella rinuncia alle vessazioni ed all’abituale rapacità militare. Grazie a questopassaggio, poteva quindi ribadire il valore della penitenza come conversione,come occasione di riparare ai propri peccati e riconciliarsi con il Signore. Il co-stante appello ad abbandonare «la vanidad del mundo» e fare «enmienda de suvida», formulato prima in predicazione e poi ribadito nelle privatas conciones,come Nadal definì la confessione nella concezione gesuitica, aveva dunquemosso molti, i quali «an hecho penitentia y disciplina y tenido lágrimas de suspecados y deliberado de mudar vida»33.

Gli sforzi apostolici del gesuita avevano trovato un giusto successo nel ri-conoscimento, da parte di alcuni veterani, che giammai si era vista «guerra tantrabaxada ni tan reñida […], ni de tantas confesiones, y menos injusticias y de-sórdenes». Laínez aveva dunque potuto concludere con toni trionfalistici: «ma-nifiestamente la victoria la ha dado el Señor, y hecho conoscer a los hombresque no tienen ocasión de gloriarse sino en él»34. Quest’affermazione traducevatutto l’ideale del futuro generale della Compagnia riguardo la professione mi-litare, la quale acquistava dignità ed offriva possibilità di salvazione solo qua-lora il combattente decidesse di rinnegare i propri vizi e accettasse di divenirebraccio armato della potenza del Signore, senza il quale ogni battaglia eravana ed ogni esercizio superbo e peccaminoso.

La consacrazione della nuova chiesa cittadina, l’antica moschea, votata an-cora una volta a San Giovanni, costituì la migliore occasione di confermarequesti concetti alla guarnigione che sarebbe rimasta nella roccaforte, ma segnòanche il passaggio all’opera di conquista spirituale. Attraverso la figura delBattista, infatti, Laínez trovava modo di ribadire l’intento di evangelizzazioneche, nella sua prospettiva, aveva sotteso l’intera impresa e l’aveva resa degna.A riprova di queste considerazioni, stavano le ultime annotazioni del gesuita, ilquale volle chiudere la lunga narrazione del suo sforzo missionario con l’inco-raggiante notizia che già si era provveduto a battezzare

hasta 10 o 12 infieles; y otros christianos renegados y christianas están para reconci-liarse con la yglesia, y otros nuevos para baptizarse; sino que se espera la instructiónen las cosas de la fe35.

3. La crociata di Ignazio

Ben lungi dal rappresentare un rilancio dell’iniziativa imperiale nello sce-nario mediterraneo, un’opzione ormai tramontata dopo gli scacchi della Preve-

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 291

33. Ibidem.34. Ibidem. In realtà, una volta conquistata la città, i soldati cristiani vi si erano dati ad

un sistematico saccheggio che, secondo il cronachista spagnolo López de Gómara, fruttò in-genti ricchezze e più di settemila schiavi. López de Gómara (2001), pp. 245-246.

35. MHSI, LM, I, pp. 167-173.

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sa (1538) e di Algeri (1541), l’impresa di Mahdia si configurava, negli origi-nali disegni strategici del Doria, come un’operazione limitata, eseguita esclusi-vamente per colpire Dragut che, con le sue scorrerie, aveva ripetutamente con-travvenuto alla tregua siglata nel 1547 con Solimano.

Nel suo sforzo retorico di infondere zelo nei combattenti, tuttavia, Laínezmostrava di voler alterare il reale significato della spedizione, attribuendoglianche un valore di improbabile prima tappa crociata verso la riconquista delSanto Sepolcro. Il suo auspicio che la conquista si traducesse in «gran fructopara la seguridad de la christianidad, y principio para dilatar por acá la justiciacivil y la fe» sembra muoversi in questa direzione; esso implicava non solo ilriconoscimento del valore difensivo dell’operazione, ma anche la sua pienaadesione ad un ideale di monarchia universale, che comportava un disegno si-multaneo di evangelizzazione e civilizzazione dei popoli infedeli36. Per il ge-suita, una presenza stabile, ottenuta mediante la fondazione di una casa profes-sa della Compagnia in Africa, avrebbe assicurato un punto di partenza per l’o-pera di conversione dei musulmani. Che nelle aspirazioni gesuitiche la conqui-sta militare dovesse essere accompagnata, e fosse persino funzionale, ad unasuccessiva conquista spirituale nel teatro mediterraneo, lo comprovava la par-tecipazione, l’anno successivo, alla nuova campagna navale organizzata dal vi-ceré di Sicilia di un altro gesuita tra i più prestigiosi della prima generazione,Jéronimo Nadal.

Questi da Messina, dove era rettore del collegio, aveva seguito con parteci-pazione la missione del confratello al seguito dell’esercito37 e quando Laínez,richiamato da Ignazio, aveva dovuto fare immediato ritorno a Roma per poiraggiungere Trento, lo aveva sostituito come assistente spirituale del viceré.Durante la primavera del 1551, nella città sullo stretto erano state adunate in-genti truppe per rispondere al sicuro contrattacco di Dragut e del suo alleatoottomano. In un’atmosfera di pericolo incombente per il «temore dell’adventodell’armata turchesca», Nadal si era adoperato «in confessione et in prediche»,esortando la popolazione al pentimento ed all’orazione, ed aveva provvedutoad ordinare al confratello Isidoro Bellini di pronunciare dei sermoni a benefi-cio dei soldati per prepararli allo scontro38.

Una volta tramontata la minaccia diretta sulla Sicilia, il gesuita maiorchino,assieme al Bellini, per assecondare il viceré Vega, decise di seguire la spedi-zione di rinforzo guidata da suo figlio Hernando per la fortezza di Mahdia, inmodo di proseguire il lavoro iniziato da Laínez. La missione, tuttavia, si pre-sentò difficoltosa fin dal principio: una violenta tempesta squassò la flotta alargo di Lampedusa uccidendo il suo compagno insieme a molti altri soldati emarinai. Salvatosi fortunosamente, appena sbarcato a Mahdia, in una lettera

292 G. Civale

36. Sulla declinazione “civilizzatrice” che l’ideale di militanza religiosa spagnola as-sunse nel contatto con le popolazioni africane e soprattutto americane, si veda almeno El-liott (1990), Pagden (1990), pp. 13-36; Pagden (2005), pp. 65-114.

37. Si veda ad esempio la lettera inviata ad Ignazio il 5 agosto 1551. MHSI, Nadal, I, p.90.

38. Nadal ad Ignazio, Messina 19 luglio 1551. Ivi, pp. 107-108.

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destinata ad essere diffusa all’interno della Compagnia, Nadal, riferì i partico-lari dell’atroce morte del Bellini, affondato con la sua galera dopo che le onde,sbattendolo sugli scogli, gli avevano quasi amputato un braccio, e ne esaltò ilcontegno «tan pío y devoto» anche nel momento estremo39. In quest’esempiodi rassegnazione nella provvidenza divina, il gesuita riusciva a trovare nuoveragioni per richiamare i propri fedeli alla penitenza ed all’espiazione dei pec-cati per non incorrere nell’ira del Signore, e soprattutto nuovi stimoli per lan-ciarsi nell’apostolato. Con il consueto ottimismo gesuitico, alla fine d’agostoinformò Ignazio che «con la gratia del Señor […] algunos soldados se aiudanspecialmente», anche se non era riuscito ad intraprendere lo studio del «mori-sco» a causa di questi impegni, e la progettata disputa con un marabutto, cheavrebbe potuto agevolare l’opera di evangelizzazione, era sfumata per la conti-nua agitazione della popolazione musulmana40. Due mesi dopo, alla fine di ot-tobre, l’esiziale notizia della conquista turca di Tripoli e la spossante attesa diun attacco che alla fine non si sarebbe mai materializzato, avevano temperatoil suo entusiasmo. Prima di tornare a Messina per sovrintendere all’inizio deicorsi, tuttavia, con lucidità, volle avvertire il padre generale che

en esta tierra no me paresce por agora que conuenga procurar casa para la Compagnia,sino quissiesse V. P. tomar desegno de emplear algunos de la Compagnia en hazer fru-to entre soldados; porque por desegno de conuertir moros, no paresce por estos princi-pios occasión; porque se tiene poca conuersatión con ellos, y ninguna facultad de ir asus tierras41.

Le parole di Nadal svelavano la reale finalità dell’intervento gesuitico, chenon coincideva con la semplice assistenza spirituale ai soldati, ma contempla-va l’opera di conversione religiosa dei mori. Nei presidios africani, tuttavia,anche l’opera missionaria della Compagnia si trovava ad essere sottoposta ailimiti dell’“occupazione ristretta”, un sistema che consentiva soltanto la so-pravvivenza di scarse guarnigioni poste a guardia di piazzeforti o ancoraggi,isolate in un territorio estraneo ed ostile. In queste marche di frontiera, il con-fine tra le due religioni diveniva straordinariamente concreto e corrispondevaalle mura che separavano materialmente i cristiani dai musulmani42. A causadelle insormontabili diffidenze, così come dell’esistenza di enormi barriere lin-guistiche, Nadal stesso era costretto a riconoscere l’impraticabilità di qualun-que disegno evangelizzatore, che non fosse accompagnato da un azione diconquista armata. Con parole chiare spiegava ad Ignazio

creciendo la conquista en esta Berberia se podría tomar esperança de frutto, porque en

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 293

39. La morte del padre Bellini viene descritta nei dettagli in una lettera ad AntonioVinck del 7 luglio 1551. MHSI, Nadal, vol. I, pp. 110-111.

40. Ibidem.41. Nadal a Ignazio, Mahdia, 28 ottobre 1551. Ivi, pp. 117-119.42. Sui presidios spagnoli in Africa è tuttora fondamentale il saggio di Braudel

(1928). Per una bibliografia più completa e una discussione sui problemi di convivenza tracattolici e musulmani in Africa rimando a Civale (2011).

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el successo de las victorias se debilitaría el ánimo de los moros en su ley, la qual, sien-do bestial, ha tomado fuerça por armas, y en la potentia de armas se han fundado siem-pre los mahometanos [...], y razón ninguna quieren hoir43.

Come per Laínez, anche per Nadal il contatto con l’Islam si rivelava fru-strante e si risolveva con una conferma dei pregiudizi circa una religione bar-bara, tutta basata sui sensi e sulle armi, avulsa dalla ragione. Contro tale “be-stialità”, la missione civilizzatrice della cristianità non poteva che declinarsicon le armi prima che con lo sforzo apostolico.

D’altra parte, la necessità di combattere e prevenire l’azione dei corsaribarbareschi, i saccheggi e la riduzione in schiavitù, e soprattutto l’inquietantefenomeno dei rinnegati, che in questi anni cominciava ad assumere proporzio-ni assolutamente non trascurabili, sembravano costituire per i gesuiti, special-mente attivi nel meridione italiano e spagnolo, un vero assillo, una reificazionedi quel flagello del maligno evocato nella contemplazione dei “due vessilli”degli Esercizi. Tale minaccia imponeva una risoluta reazione da parte dellaCristianità tutta e in particolare dell’imperatore il quale, al contrario, di fronteall’esosità del costo di mantenimento del presidio di Mahdia, nel 1554 preferìabbandonarla, dopo che la locale guarnigione, avvilita dall’isolamento e dalledifficoltà di approvvigionamento, si era ammutinata ed aveva minacciato laconversione in massa all’Islam44.

La provvisorietà e l’inadeguatezza dell’impegno militare nel Mediterraneo,opportunamente segnalate da Nadal a proposito dell’impresa di Mahdia, giu-stificarono un contributo dello stesso Ignazio, il quale arrivò a formulare unpiano per la realizzazione di una grande spedizione navale che, abbattendo ilpredominio turco-barbaresco nel mare interno, avrebbe aperto le porte alla li-berazione della Terra Santa e dei territori conquistati dall’Islam45. L’interventonon poteva dirsi affatto estemporaneo: la rottura della tregua imperiale con laSublime Porta aveva portato ad un moltiplicarsi degli attacchi sulle coste: ogniprimavera ben due flotte corsare, al comando del bey di Algeri Salah Rais e diDragut, che come si è visto andava costituendo un nuovo stato tra la Tunisia ela Tripolitania, si lanciavano sulle riviere italiane e spagnole per poi riunirsi al-l’armata ottomana, che giungeva da oriente per portare attacchi di scala ancoramaggiore. “L’empia alleanza” con Enrico II permetteva inoltre di sommareepisodicamente anche le galere francesi a questa forza46. Nel 1552, anticipatada avvisi allarmanti sui movimenti del nemico, un’ondata di paura risalì dalla

294 G. Civale

43. MSHI, Nadal, I, pp. 117-119. 44. Cfr. Alonso Acero (2001), pp. 397-398.45. Su questo episodio abbastanza conosciuto della vita di Ignazio si vedano almeno

Beyerhaus (1954); García Villoslada (1956), pp. 873-874.46. Sulle incursioni condotte da Dragut e Salah Rais in questi anni, cfr. Rodríguez Sal-

gado (1988), pp. 258-260. Sull’alleanza tra Francia e impero ottomano esiste una vasta bi-bliografia, in questa circostanza ci si limita a segnalare soltanto un titolo perché tratta piùdirettamente il coordinamento, in verità non sempre efficace, tra le squadre francesi, i rag-gruppamenti barbareschi e la flotta ottomana: Veinstein (1990).

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Sicilia su per la penisola italiana e finì per entrare anche nelle stanze vaticane,dove un inquieto Giulio III giunse a premere sull’imperatore perché si disim-pegnasse in Germania, per attivarsi maggiormente sul fronte mediterraneo. Al-l’inizio di agosto, l’armata ottomana, composta da duecento vele, dopo averdisfatto una squadra comandata da Andrea Doria, portò un attacco sulla cittàdi Gaeta devastandone i territori limitrofi47. Il 6 di agosto, in una Roma vicinaal panico, il segretario Polanco, su disposizione di Ignazio, inviava al padreJerónimo Nadal un’articolata proposta per la costituzione di una armata navalein grado di abbattere «el mal que suelen hacer los corsarios […] y señorear elmar»48. Il documento doveva essere consegnato dal rettore di Messina al vi-ceré Juan de Vega, affinché questi, a sua volta, lo esponesse a Carlo V ed alprincipe Filippo. Esso constava di due parti: nella prima, erano esposte le ra-gioni dell’impresa e ne venivano individuate ben nove; nella seconda, invece,venivano illustrati in dieci punti i mezzi economici e umani per organizzare laspedizione49.

Gli argomenti utilizzati da Ignazio per muovere i propri interlocutori eranodi carattere sia religioso sia politico. Essi, tuttavia, si sviluppavano a partire dauna considerazione eminentemente pratica:

Primeramente, que la gloria y honor divino mucho padece, llevándose los christianosde tantas partes, grandes y pequeños, entre infieles, y renegando muchos dellos la fe deChristo, como se vee por experiencia, con grande lástima de los que tienen zelo de laconseruación y adelantamiento de nuestra santa fe cathólica50.

La schiavitù di cristiani e la conversione di parecchi all’Islam costituivaun’offesa per il Signore ed una colpa per i principi cattolici, in primo luogoper l’imperatore, cui competeva la difesa dei fedeli. La minaccia turca, infatti,si faceva tanto più concreta e poderosa quanto più grande era la divisione del-la Cristianità, resa debole dalle inimicizie tra stati che, pur di danneggiare illoro nemico, non esitavano ad affiancarsi all’infedele. Una nota di profondobiasimo per questo ricadeva sulla Francia, responsabile di favorire il Turco edaprire i propri porti ai corsari. Per Ignazio, tuttavia, la formazione di una gran-de flotta sotto la guida di Carlo V non sarebbe stata soltanto meritoria dinnan-zi al Signore, ma avrebbe avuto immediati risultati strategico-politici per l’im-

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 295

47. Cfr. Setton (1984), pp. 581-584.48. Nella lettera d’accompagnamento, Polanco spiegava a Nadal che «es el caso que,

viendo un año y otro venir estas armadas del turco en tierras de cristianos, y hacer tantodaño, llevando tantas ánimas que van a perdición para renegar de la fe de Cristo, que porsalvarlas murió, además del aprender y hacerse prácticos en estos mares, y quemar unos lu-gares y otros; y viendo también el mal que los corsarios suelen hacer tan ordinariamente enlas regiones marítimas, en las ánimas, cuerpos y haciendas de los cristianos, ha venido asentir en el Señor nuestro muy firmemente, que el emperador debería hacer una muy gran-de armada, y señorear el mar, y evitar con ella todos estos inconvenientes, y haber otrasgrandes comodidades, importantes al bien universal». MHSI, MI, vol. IV, pp. 353-354.

49. Il testo integrale del progetto ignaziano in ivi, pp. 354-359.50. Ibidem.

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pero. La sfida sul mare della flotta ottomana avrebbe privato la Francia delproprio alleato musulmano, senza il quale sarebbe stata costretta ad abbando-nare la lotta, e avrebbe contribuito a stabilizzare il regno di Napoli, dove trop-pi erano i complotti che fiorivano, contando sulla perenne condizione di insi-curezza delle coste. Una grande flotta, inoltre, avrebbe reso inutili le grandispese per la difesa, spessissimo vana, dei litorali siciliani, spagnoli, napoletani,e favorito la comunicazione ed il vitale commercio tra Italia e la penisola ibe-rica. Infine, avrebbe riscattato dall’isolamento i presidi africani, permettendodi prendere l’iniziativa anche in Berberia e tentare la riconquista dei territoripresi nell’ultimo secolo dai discendenti di Osman, in Grecia e nel Mediterra-neo orientale51.

La seconda parte del progetto aveva dei connotati ancora più spiccatamen-te militari e logistici, e rivelava una ferma aderenza del fondatore della Com-pagnia ad un anacronistico modello di mobilitazione che, tuttavia, aveva per-messo il successo della reconquista spagnola52. Ignazio, infatti, presumeva undecisivo impegno dell’imperatore e di suo figlio per radunare uomini e vascel-li, ma individuava le principali risorse economiche per permettere e dare con-tinuità all’impresa nel comune contributo di tutte le membra dell’impero, e inparticolare della struttura ecclesiastica: del papa, delle Chiese, degli ordini mi-litari e delle congregazioni religiose53. Un impiego diretto della Compagniaera previsto soltanto per facilitare le alleanze politiche o per ottenere il favoredi personaggi influenti, ma non era esplicitamente contemplato nell’organizza-zione delle operazioni54. Tuttavia, la presenza di membri della Compagnia alfianco dei novelli crociati sarebbe stata ovvia, e pertanto sottintesa, in una im-presa che, amalgamando in una miscela tipicamente ignaziana il miraggio cro-ciato con un’attenzione alla concreta realtà, implicava congiuntamente la con-cretizzazione dell’ideale di impero cristiano di Carlo V, la realizzazione delleaspirazioni classiche del miles christianus e il perseguimento del mandato reli-gioso del popolo spagnolo55. Come per Laínez anche per il generale dellaCompagnia, la lotta contro il nemico della fede permetteva anche al soldato,rappresentante di un mestiere empio se sprovvisto di ragioni profondamente

296 G. Civale

51. Ibidem.52. Sull’organizzazione e la composizione delle armate crociate spagnole nel secolo

XV e, in particolar modo, sulla mobilitazione per la guerra di Granada, si vedano almenoLadero Quesada (1967); Housley (1992), pp. 267-292.

53. Oltre alla partecipazione decisiva del papato, delle famiglie religiose e degli ordinicavallereschi, Ignazio prevedeva il contributo economico di tutti i ceti dei territori imperia-li in Italia e in Spagna, dei nobili, dei mercanti e delle città demaniali. L’iniziativa, inoltre,avrebbe dovuto contare sull’appoggio del Portogallo, di Genova, di Lucca, di Firenze e pos-sibilmente anche di Venezia. Ibidem.

54. Nel chiedere il favore del Vega, Ignazio avvertiva: «Mire Vuestra Reverencia todoesto, y diga lo que siente, que si otros, de quienes sería más proprio, no hablan desto, podríaser que uno de los pobres de la Compañía de Jesús se pusiesse en ello». Ivi, p. 359.

55. Sul ruolo della religione e dello scontro con l’Islam nel forgiare l’identità spagnolanel secolo XVI, tra i tanti studi, si vedano almeno Bunes Ibarra (1989); Fernández Albade-lejo (1997); Rodríguez Salgado (1998); Puddu (1990).

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spirituali, quella santificazione del quotidiano che era uno dei postulati princi-pali dell’apostolato gesuitico. Riprendendo le fila di un pensiero cristiano sul-la guerra mai sopito, anche Ignazio dimostrava di credere che nella crociata siavverasse il compimento della missione del guerriero nel disegno divino, undisegno in cui la presa d’armi poteva esser giustificata soltanto quando messaal servizio del Signore e dei suoi rappresentanti sulla terra: il papa suo vicariospirituale e l’imperatore suo braccio nel temporale.

4. Gerba: il sorgere di un modello di missione “castrense”

Le aspirazioni così precisamente formulate dal fondatore della Compagnianel 1553 si rivelarono, almeno per il momento, illusorie. Perdurarono, nondi-meno, nel periodo successivo, caratterizzato dalle contrapposizioni confessio-nali, come suprema ambizione di personaggi che, con Ignazio, avrebbero con-diviso una simile concezione della disciplina ed un aggressivo misticismo; perla Compagnia rimase, altresì, una particolare attenzione per la realtà mediter-ranea e per le evidenti connotazioni spirituali della guerra che vi veniva com-battuta. È forse possibile ritrovare qualche influenza del progetto ignaziano ne-gli anni 1555-1557, allorché la fortissima pressione corsara sulle coste spagno-le e l’indignazione per la perdita del presidio di Bugia forzarono le autorità ca-stigliane e aragonesi a patrocinare molteplici disegni di spedizione verso lebasi barbaresche nordafricane. A guidare la mobilitazione fu la reggente Juanade Austria, vicinissima ad Ignazio e “figlia spirituale” di Francesco Borgia,prima e unica “gesuitessa” della storia della Compagnia56. Fin dal novembredel 1555, la principessa diresse un primo appello a tutta la nazione; qualchemese dopo, durante la primavera del 1556, annunciò l’intenzione di organizza-re una spedizione per il recupero di Algeri e Bugia. Poiché il governo non di-sponeva dei fondi necessari, così come aveva prospettato Ignazio nel suo pro-getto di crociata, Juana si rivolse al clero, ai nobili e alle città, perché concor-ressero nella forma più opportuna, con uomini, denaro o provvigioni. Seguen-do uno schema che ricordava da vicino la predicazione della crociata, furonoordinati anche dei sermoni in modo da garantire il coinvolgimento della popo-lazione, le elemosine e l’arruolamento di volontari. Pare che i risultati dellacampagna fossero estremamente incoraggianti, il solo arcivescovo Silíceo, unnemico della Compagnia che però desiderava emulare l’ardore mostrato dal

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56. Soltanto dopo molteplici pressioni, in una consulta tenutasi il 26 ottobre 1554, i ver-tici romani accettarono la candidatura nella Compagnia della principessa. Per espresso vo-lere di Ignazio, la professione di Juana rimase assolutamente segreta e, nella corrisponden-za interna all’ordine, fu indicata con gli pseudonimi di Mateo Sánchez o Montoya. Cfr. Vil-lacorta Baños (2005). Sulle relazioni tra Juana e la Compagnia di Gesù è fondamentale lostudio di Martínez Millán (1998), in particolare pp. 84-88. L’autore inserisce la promozionedella Compagnia in Spagna ad opera della principessa nel quadro dello scontro tra distintefazioni cortigiane. Tale proposta interpretativa, seppure da sfumare evitando eccessivi auto-matismi, appare tuttora convincente.

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suo predecessore Cisneros nella conquista di Orano del 1510, offrì un prestitodi 300.000 ducati57. I progetti africani di Juana, tuttavia, dovettero risolversi innulla, frustrati dagli imperativi ordini del fratello Filippo II, che le impose dinon disperdere uomini e dissipare risorse in un momento in cui era massimol’impegno contro la Francia, sugli scenari fiammingo e italiano58. Non è chia-ro quale fosse stato il ruolo dei gesuiti nell’attività di propaganda e nell’assi-stenza spirituale e politica ai personaggi più in vista della corte, tuttavia, lasingolare coincidenza dei metodi di mobilitazione suggeriti da Ignazio conquelli messi in pratica dalla reggente di Spagna è indicativa di quanto, in que-sta fase, i disegni di riconquista militare e spirituale nutriti dalla Compagniafossero in sintonia con la sensibilità politica e religiosa di vasti settori della so-cietà iberica e dei suoi vertici. Tale intesa, cementata dal comune sentimentodi appartenenza ad una tradizione crociata tipicamente castigliana, fu confer-mata anche nel periodo successivo, allorquando ad assecondare i mai sopitiprogetti mediterranei di Juana giunse Juan de Vega, primo destinatario del pia-no ignaziano, insediatosi nel 1557 come presidente del Consejo de Castilla, equando Diego Laínez raccolse l’eredità di Ignazio alla direzione della Compa-gnia.

Negli anni del secondo preposto generale, tuttavia, gli interventi che i padrigesuiti ebbero occasione di effettuare nell’assistenza di contingenti militarinon ebbero più quell’urgenza volontaristica e quella spontanea autonomia cheavevano avuto le iniziative dei primi confratelli del Loyola. Nel 1551 JerónimoNadal, da Mahdia, era stato assalito da «alguna dubitation» che la sua perso-nale decisione di seguire l’esercito in Africa fosse stata poco gradita ad Igna-zio. Nulla del genere sarebbe potuta accadere alla successiva generazione dimissionari gesuiti, tenuti a consultare regolarmente i vertici romani dell’ordinee ad obbedire strettamente alle disposizioni del preposto generale, in ottempe-ranza di quanto stabilito dalle Costituzioni approvate nel 155859.

Malgrado temperassero il linguaggio militaresco della Formula del 1550,infatti, le nuove Costituzioni, nell’intento di definire chiaramente la struttura ele finalità dell’ordine, ne avevano suffragato l’impianto rigidamente strutturatoe l’immagine di corpo religioso scelto al servizio del papa. L’elasticità ed adat-tabilità alle più diverse situazioni, tra le principali peculiarità della Società fin

298 G. Civale

57. «El ofrecimiento del Cardenal para lo de Bugía y Argel y la respuesta», Colecciónde documentos inéditos para la Historia de España (d’ora in poi CODOIN), vol. 34, pp.567-574. Sulla conquista di Orano nel 1510 e sul ruolo di promotore e guida esercitatavi dalcardinal Cisneros, cfr. García Oro (1991); Alonso Acero (2006).

58. Cfr. Rodríguez Salgado (1988), pp. 267-272.59. Il 28 ottobre 1551, scrivendo da Affrica (Mahdia), Nadal confessava ad Ignazio di

aver avuto «alguna dubitation ó tentation, si fue contra voluntad de V.P. venir io acá, y er-rar en la obedientia, viendo el inconveniente de mi venida dexando los collegios, etc. lodexo totalmente a iudicio de V.P.». Il mandato del generale, infatti, non contemplava espli-citamente la partecipazione del gesuita maiorchino a nessuna campagna militare ma sempli-cemente raccomandava di seguire e compiacere il vicerè di Sicilia Juan de Vega. MHSI,Nadal, vol. I, pp. 117-119.

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dai primordi, ne uscivano comunque riconfermate. Nella quotidianità cosìcome nell’urgenza, i campi e le situazioni in cui i padri della Compagniaavrebbero potuto applicare i propri ministeri e compiere le necessarie opere dicarità erano lasciati al loro discernimento; tale libertà di iniziativa doveva co-munque svolgersi all’interno del ristretto ambito fissato dagli ordini e dalleistruzioni emanate di volta in volta dal pontefice, dal preposto generale e dalsuperiore locale. Ne derivava uno schema gerarchico e piramidale, pressappo-co militaresco, di comando e responsabilità, che stabiliva tra le possibilità diintervento una precisa graduatoria che privilegiava l’assistenza spirituale «apersone di alto grado […] insigni per scienza e autorità» e l’apostolato pressoi territori più popolati e i principali centri urbani, nei quali sarebbe stato possi-bile conseguire «il maggiore onore di Dio e il maggiore bene universale»60.L’ovvia dialettica tra azioni dei singoli e necessità di controllo dal vertice del-l’ordine, costituì una costante della storia gesuitica del primo secolo e, com’ènoto, portò anche a gravi crisi interne all’ordine. Per il momento, comunque,inibì i padri della Compagnia dal prendere avventate decisioni personali, tantopiù passibili di richiami e censure, quando tali iniziative comportavano la par-tecipazione ad eventi bellici, sempre di dubbio successo, e l’esposizione a pe-ricoli personali.

Nel 1560, la partecipazione di un gruppo di gesuiti alla disastrosa campa-gna di Gerba fu oggetto di lunga preparazione e di una doviziosa negoziazionetra le autorità militari spagnole, quelle religiose dell’armata e Roma. La spedi-zione era stata allestita per il recupero di Tripoli, conquistata nel 1551 da Dra-gut con l’ausilio turco, ma si situava in diretta continuità con i tentativi dellareggente di Spagna Juana de Austria di promuovere un’offensiva spagnola inBarberia. Tale politica continuava ad essere aspramente avversata da FilippoII, massicciamente impegnato su altri fronti, ed aveva portato alla disfatta su-bita dalle forze spagnole, nel 1558 a Mostaganem, nel loro intento di aprirsi lastrada verso Algeri. Questa spedizione si era configurata come un affare mera-mente spagnolo, condotta ed allestita dal governo di reggenza in aperto contra-sto col sovrano che si trovava ancora nelle Fiandre. Il suo tragico esito, inrealtà, forzò la Corona ad intraprendere una politica più aggressiva nel Medi-terraneo61. Il riposizionamento, d’altronde, era favorito dallo stesso evolversidella situazione internazionale con la sigla della pace di Cateau-Cambresis,che aveva finalmente liberato la flotta ed un ingente numero di truppe dall’im-pegno militare contro la Francia. La nuova offensiva, tuttavia, non fu direttadalle coste spagnole contro Algeri, come era nei desideri di Juana, bensì dallaSicilia contro i litorali tunisini e libici, anteponendo quindi, una volta in più,l’esigenza di garantire la sicurezza dei fondamentali territori italiani alla tran-quillità delle popolazioni litorali iberiche.

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 299

60. «Costituzioni della Compagnia di Gesù. Parte VII. La vita di relazione con il pros-simo da parte di quelli che, già ammessi nel corpo della Compagnia, sono disseminati qua elà nella vigna di Cristo Nostro Signore», in Gioia (1977), pp. 577-595.

61. Sulla battaglia di Mostaganem e sulla disfatta del conte di Alcaudete, cfr. GarcíaArenal, Bunes (1992), pp. 80-88.

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Del comando dell’impresa fu investito il viceré di Sicilia subentrato alVega, il duca di Medinacaeli Juan de la Cerda. Questi sin da principio si eradichiarato «molto affezionato» alla Compagnia ed aveva mostrato una chiaravolontà di seguire l’esempio del suo predecessore, offrendo «hartos testimo-nios» della sua benevolenza nei confronti dei gesuiti. Il provinciale JerónimoDoménech ne era divenuto ben presto confessore personale e, da questa cru-ciale posizione, ne poté facilmente orientare le decisioni in materia religiosa62.Ancora più del ruolo del Doménech, ad agevolare l’impiego dei padri dellaCompagnia nella campagna fu l’ampio favore che aveva riscontrato il suo alle-stimento tra gli alleati italiani di Filippo II, e presso il nuovo pontefice Pio IV,dopo i conflitti col papato del periodo precedente.

Tale disposizione aveva favorito il crearsi di un clima di mobilitazione cro-ciata al quale gli stessi gesuiti, naturalmente, non furono insensibili. In seguitoal tragico fallimento, l’anno precedente, della già citata impresa tentata dalconte di Alcaudete contro Algeri (una sconfitta alla quale aveva presenziatoanche il gesuita Pedro Martínez come cappellano del generale63), Filippo IIaveva voluto dare una tinta più spiccatamente religiosa alle operazioni belli-che. Aveva quindi predisposto per la campagna del 1559 la creazione di unservizio di cappellania militare agli ordini del vescovo di Maiorca Pedro deArnedo, al quale fu conferito l’incarico di vicario dell’armata. Considerato co-munemente un amico della Compagnia64, questi fece «grande instantia d’haue-re delli nostri, quanto più si poteva» per organizzare l’ospedale dell’armata65;Laínez, memore delle proprie esperienze, diede il proprio assenso all’impiegodei gesuiti e consigliò al duca di Medinacaeli, generale dell’armata, che i padrifossero impiegati non solo nell’assistenza degli infermi ma anche nei servizispirituali66.

Com’è risaputo, fin dalla sua adunata, l’esercito fu colpito da gravi pesti-lenze che ne decimarono gli effettivi67. In questa grave contingenza, i gesuitidi Messina ebbero occasione di distinguersi non solo per lo zelo dimostratonella cura dei malati e nel conforto dei tanti morenti, ma anche nel sostegnoreligioso prestato ai soldati. Nella lettera quadrimestre del 1 gennaio 1560,ignaro del tragico destino che sarebbe stato riservato a tanti di quei militi, ilpadre Egidio Fabbro poté scrivere soddisfatto a Laínez:

mentre s’aspettava il tempo, tanta era la moltitudine della natione spagnola che con-correva da noi per le confessioni, che la chiesa, il cortile e tutta la casa stava sempre

300 G. Civale

62. Sui rapporti tra il Medinacaeli e i gesuiti, cfr. Scaduto (1964), pp. 565-566.63. Sulla partecipazione alla campagna di Mostaganem del gesuita Pedro Martínez, poi

martirizzato in Florida, un fugace accenno in Astrain (1909), voll. II, p. 286.64. Su Arnedo, Pérez Martínez (1957). Sul suo processo inquisitoriale per sospetto an-

tinitrarismo e sull’intervento a suo favore di Laínez e Nadal, Prosperi (2000), pp. 316-321.65. MHSI, Litterae quadrimestres (d’ora in poi Quadrimestres), vol. VI, pp. 319-321. Il

padre Egidio Fabbro a Laínez, Messina, 1 settembre 1559. 66. MHSI, LM, vol. IV, pp. 452-455.67. Sulla spedizione di Gerba, oltre alla classica trattazione di Braudel (1986), vol. II,

pp. 1034-1055, si veda l’analisi di Rodríguez Salgado (1988), 302-305.

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tanto piena, che pareva il luogo et il giorno che si suol dar la paga. Fu cosa di moltaedificatione a tutta questa città; massime che delli più principali erano tra di questi68.

L’informazione si rivela interessante poiché conferma la confessione auri-colare come chiave di volta dell’intera proposta spirituale gesuitica, anche neiconfronti degli uomini d’arme. Così come per Laínez a Mahdia, infatti, il sa-cramento della penitenza si mostrava come il principale strumento per indurread un necessario cambiamento di costumi, che era requisito indispensabile peruna più autentica militanza cristiana. D’altra parte, sul piano più prettamentepolitico, le parole del padre Fabbro sembrano rivelare come il messaggio ge-suitico facesse più facilmente breccia nella componente spagnola dell’esercito,piuttosto che tra i soldati italiani e tedeschi, numericamente soltanto di pocoinferiori agli iberici. Tale fenomeno pare riconducibile solo in parte all’operadi direzione spirituale che i gesuiti esercitavano nei confronti dei vertici del-l’armata; piuttosto palesa la comune identificazione della Compagnia con laSpagna, la sua politica e la sua religiosità, un abbinamento non soltanto moti-vato dall’origine nazionale di parecchi padri, ma soprattutto da una sintonia,altrove già segnalata, di comuni valori di riferimento. Tra le righe, infine, è in-tuibile una più autentica dimestichezza che i padri gesuiti iniziavano ad averecon il mondo militare e con gli umori altalenanti dei soldati, sovente infidi edempi nella loro esistenza quotidiana, feroci in battaglia, ma anche pronti adinattese dimostrazioni di devozione e disciplina in particolari situazioni di se-renità, come appunto «il giorno che si suol dar la paga».

Nei lunghi mesi in cui l’operazione militare dovette esser procrastinata acausa del maltempo, dei ritardi e dei dissidi sorti tra i comandanti, ad ognimodo, il provinciale di Sicilia ebbe modo di intervenire perfezionando l’offer-ta assistenziale gesuitica, nel tentativo soprattutto di superare le barriere lin-guistiche tra distinti gruppi nazionali. Il personale che avrebbe accompagnatol’armata fu, quindi, selezionato accuratamente in base a criteri di utilità e pre-parazione. Il rettore del collegio di Catania, il tedesco Antonio Vinck, posto acapo del gruppo di gesuiti, avrebbe potuto amministrare i sacramenti anche ailanzichenecchi, così come il maestro dei novizi di Messina, il belga AntonioBelver avrebbe potuto farlo coi soldati fiamminghi. I cinque coadiutori cheavrebbero prestato servizio nell’ospedale, invece, furono scelti tra i «più atti eforti»; tra questi si segnalava l’infermiere Juan Fuentes, che da giovane era sta-to schiavo a Costantinopoli, dove aveva «imparato arte e […] molte lingue»69.

Malgrado i consigli del preposto generale e le attente cure del padre pro-vinciale, la pattuglia di gesuiti ebbe ben poco tempo da dedicare all’edificazio-ne religiosa dei combattenti. Bloccata a lungo dal maltempo invernale nei por-ti di Siracusa e Malta, solo nel febbraio del 1560, la flotta raggiunse Gerba; l’i-sola era stata a lungo la base principale di Dragut e costituiva un trampolino

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 301

68. Fabbro a Laínez, Messina 1 gennaio 1560. MHSI, Quadrimestres, vol. VI, pp. 437-440.

69. Inoltre, tre giovani furono scelti per compiere le prove del loro noviziato al seguitodell’esercito. Ibidem.

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per le scorrerie verso le coste italiane; in attesa della squadra spagnola era sta-ta praticamente sguarnita. Ciò nonostante, l’armata cristiana vi arrivò in pessi-me condizioni, con i navigli malconci a causa delle tempeste e gli equipaggifalcidiati dalle malattie. Nell’unica lettera che Vinck ebbe occasione di inviarealla fine di marzo, il padre ne fece una descrizione desolante in cui ricorreva-no, in un funesto ritornello, la «morte» e i «travagli», parole sotto le quali sem-brava iscriversi l’intera campagna. I gesuiti erano totalmente assorbiti dalle ne-cessità dell’ospedale dove, a causa della scomparsa di gran parte del personalemedico già a Malta, praticamente da soli avevano dovuto prestare assistenza a«fino a 200 infermi». Ad appena dieci giorni dall’approdo, la situazione pare-va talmente grave da spingere il padre ad esclamare che «si Dio Nostro Signornon ci da particolar adgiuto non so come sarà possibile supportare li trava-gli»70. Ma il peggio doveva ancora arrivare: la sosta nell’isola tunisina diedemodo alla squadra turco-barbaresca di sorprendere la flotta spagnola alla fondae di metterla in rotta, distruggendo parecchi vascelli e lasciando irrimediabil-mente abbandonate le fanterie spagnole già sbarcate.

I particolari della gravissima disfatta furono narrati a Laínez da Doménechche, malgrado le tragiche circostanze, ebbe ad attribuire la cruenta e rocambo-lesca fuga dei propri confratelli ad un miracolo operato dal Signore. I dettaglidella battaglia, in cui la nave da trasporto, dove erano imbarcati i gesuiti con ilresto del personale dell’ospedale ed un ingente numero di infermi, resistetteall’attacco congiunto di molte galere avversarie, assumevano valore esemplaree sarebbero potuti servire non solo per rendere grazie alla potenza celeste, maanche per essere diffusi nella Compagnia a scopo edificante ed educativo. Vi sisegnalava, infatti, che prima di entrare in combattimento «li nostri tutti si con-fessorno» e che, durante lo scontro, durato parecchie ore, «non si mancò difare oratione continuamente». I religiosi, però, non si erano limitati ad attirareil favore divino con la preghiera, ma da questa avevano tratto la forza per agi-re, partecipando alla difesa e facilitando il felice esito della battaglia71.

Se, come metteva in risalto Doménech, il capitano dichiarò la vittoria «nonesser sua» ma «delli padri», il modus operandi di questi ultimi fu esemplifica-tivo della particolare concezione gesuitica della professione religiosa, in cui lafede incrollabile nel favore divino, espressa attraverso l’orazione ed il sacrifi-cio, diveniva forza attiva per l’intervento e la concreta trasformazione dellarealtà.

5. Dal Mediterraneo alla Francia delle guerre di religione: maturazione e di-stacco dal modello crociato

L’immagine di Vinck e dei suoi compagni sulla loro “navicella”, circonda-ta da molteplici e feroci nemici e quasi sguarnita di armi se non di quelle del-

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70. Vinck a Polanco, «insula de li Gerbi» 22 marzo 1560. Archivum Romanum Societa-tis Iesu (d’ora in poi ARSI), Italiae Epistolae (d’ora in poi Ital.), 116, ff. 44r-v.

71. Doménech a Laínez, Roma 28 maggio 1560. MHSI, Quadrimestres, pp. 663-664.

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la fede, era esemplificativa di un sentimento avvertito dai settori religiosi piùintransigenti. In questo senso, la disfatta di Gerba costituì un momento nodalenel processo di mobilitazione che portò a Lepanto e a quell’aggressiva politicacattolica che caratterizzò la seconda metà del secolo XVI.

I primi frutti di questo rinnovato clima della Chiesa, appena uscita da Tren-to, si colsero nell’inquietudine che, nel 1565, destò in tutti i paesi cattolici ildestino di Malta assediata dai turchi72. Il secondo generale della Compagniaera già morto da qualche mese, spentosi nel suo letto all’alba del 20 gennaio, ei gesuiti, riuniti in congregazione generale per l’elezione del suo successore,risposero entusiasticamente alla chiamata dell’allarmato Pio IV, offrendo laloro opera «ad incitandos milites, divinsque mysterijs armandos, et curandosaegros»73.

Le linee principali di questo programma di azione religiosa, ormai consoli-dato, erano state tracciate già da Diego Laínez allorquando, a Mahdia, consa-crando il suo apostolato al Battista, aveva fatto muovere le prime esperienzedell’Ordine nell’assistenza spirituale degli armati. Nel richiamo al patrono deicavalieri gerosolimitani, che con la loro eroica resistenza avrebbero provato lavitalità degli ideali della cavalleria crociata, si percepisce tutta la continuità delprimitivo messaggio della Compagnia nei confronti della professione milita-re74. Come è stato ravvisato, la figura del santo aveva permesso a Laínez diiscrivere in un’unica rappresentazione sacra, dai forti connotati marziali, l’i-deale di militanza del nuovo ordine e le sue aspirazioni di evangelizzazione.

In questa eredità spirituale che la “Compagnia di Gesù” intendeva racco-gliere dai “cavalieri di Cristo” si giustifica la scelta di non offrire la propria as-sistenza nelle guerre tra cattolici, ma di riservare il proprio intervento ai con-flitti contro infedeli ed eretici, dalle più forti connotazioni crociate. Tuttavia, ilcombattimento dei gesuiti sarebbe stato condotto unicamente con le armi del-l’orazione e degli esercizi di carità, attività fondamentali per guadagnare quel-la «confianza del Señor», senza la quale la potenza degli apparati bellici e ilsacrifico dei soldati si sarebbero rivelati inutili75. Su questi ultimi, invece, sisarebbe riversata tutta la tensione morale richiesta a chi, pur uccidendo, com-piva un’azione meritoria e doveva guardarsi più dai pericoli dell’anima che daquelli del corpo.

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 303

72. Sull’assedio di Malta e sulla sua eco europea, si veda almeno l’esaustivo lavoro diBrogini (2011).

73. Sacchini (1620), pp. 19-20.74. Sull’ordine di Malta come “nobiltà perfetta” che fondeva e sublimava valori aristo-

cratici e ambizioni crociate, i recenti saggi di Brogini (2009) e García Martín (2009).75. Esemplificativa di questo sentimento è una lettera inviata nel maggio 1565 da Fran-

cisco Borgia al castellano di Napoli Álvaro de Mendoza, che stava approntando dei rinforzida inviare a Malta assediata. Borgia, a quell’epoca vicario ad interim della Compagnia, sol-lecitava al capitano spagnolo elemosine per la congregazione generale che avrebbe portatoall’elezione del terzo generale dell’ordine. Per muovere il suo interlocutore, affermava chequella combattuta dai guerrieri nell’isola assediata dai turchi e quella condotta dai gesuiticon armi spirituali era la medesima battaglia «contra la armadas de satanás, que es el prín-cipe de las tinieblas». MHSI, Borgia, vol. VII, p. 312.

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Intorno all’attenzione per la condizione spirituale dei comuni soldati, e nonsolo di generali o di aristocratici cavalieri, e allo sforzo di emendare i loro vizie peccati sarebbe maturato un impegno più strutturale della Compagnia neglieserciti delle guerre di religione. Ma perché questi sviluppi potessero esserecompiuti doveva assumere la direzione della Compagnia un personaggio qualeFrancesco Borgia, un cavaliere e un “grande” della terra che, traducendo inrealtà la contemplazione ignaziana dei “due vessili”, aveva rinunciato allafama mondana, al potere e agli onori, per condurre una vita votata alla peni-tenza, al rigore ascetico, alla perfezione evangelica76. I primi passi per un’evo-luzione dal modello crociato tipicamente castigliano, ai quali i gesuiti sembra-no inizialmente aderire, e per la definizione di una organica pastorale per i mi-litari, tuttavia, erano stati già compiuti non solo nelle molteplici esperienze chei padri avevano accumulato sul fronte mediterraneo, ma soprattutto nei primifocolai delle guerre di religione europee.

Sin dall’inverno 1560-1561, in un ambiente inusuale quali le valli alpinepiemontesi, Antonio Possevino, ancora novizio, aveva potuto compiere il pro-prio apprendistato al seguito delle truppe del duca di Savoia, assistendo cosìalla vittoriosa resistenza delle popolazioni valdesi al proprio sovrano. Agli oc-chi del gesuita, oltreché alla scarsa fermezza delle autorità, l’insuccesso erastato dovuto al disordine morale e militare della soldataglia sabauda, tanto piùinsopportabile se paragonato allo zelo dimostrato dai valligiani guidati dai pro-pri pastori77. Dopo questo episodio, è proprio in virtù del raffronto che i padridella Compagnia furono costretti a fare con la realtà riformata che si compì ladefinitiva maturazione verso un nuovo modello di azione religiosa nei confron-ti degli uomini d’arme.

La Francia della prima guerra di religione costituì un importante laborato-rio in cui, attorno al coagularsi di un partito politico e militare ugonotto, si svi-lupparono una pluralità di proposte dirette al mondo militare. Come è risaputo,contrariamente agli altri paesi mediterranei, la Compagnia vi aveva trovatoun’accoglienza molto poco entusiasta, il suo arduo e graduale cammino versola naturalizzazione si era dovuto necessariamente inserire nel contesto più am-pio delle lotta tra raggruppamenti nobiliari e religiosi che si contendevano ilpotere e l’influenza sul sovrano78. Sul suo difficile progresso pesavano proprioquelle caratteristiche che altrove ne avevano favorito il rapido successo: in unaterra avvezza a identificare la Spagna come l’avversario naturale, in cui il gal-

304 G. Civale

76. Sul terzo generale della Compagnia, si veda almeno García Hernán (1999). Sul ruo-lo di Borgia nell’elaborazione di una strategia apostolica gesuitica nei confronti dei soldati,cfr. Civale (2012a).

77. Sul Possevino in Piemonte si rimanda ai lavori classici di Crivelli (1938); Scaduto(1959). Sul carattere religioso della resistenza valdese e sulle deficienze dimostrate dall’e-sercito ducale, Peyronel (2008).

78. Sugli esordi della Compagnia di Gesù in Francia, si veda Lynn Martin (1973)e(1988), in particolare pp. 7-63. Ancora molto utile é il classico Fouqueray (1910), voll. 2.Per uno sguardo sinottico alla Francia delle guerre di religione, mi limito a rimandare al-l’ottima sintesi realizzata da Jouanna, Boucher, Biloghi, Le Thiec (1998).

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licanesimo aveva da tempo limitato le influenze del papato, la Societas appari-va, infatti, troppo intrinsecamente spagnola e troppo legata al pontefice. Fu tut-tavia proprio il precipitare dello scontro religioso in guerra civile a sancire ladefinitiva accettazione della Compagnia. In una stagione di disordinate violen-ze, i gesuiti diedero prova di grande zelo, combattendo una propria guerra pa-rallela a quella degli eserciti, uno scontro fatto di sermoni, dispute, celebrazio-ni religiose e frenetici spostamenti soprattutto in quel Midi che va dalla Gua-scogna alla Provenza, dove il movimento ugonotto sembrava prevalere79.

Nel campo riformato, durante il volgere di pochi e drammatici mesi, la par-tecipazione del clero alla conduzione politica e militare della guerra si era ri-velata cospicua e rilevante. Del resto, un naturale campo di intervento dei reli-giosi era la condotta cristiana dei fedeli, anche di quella particolare categoriacostituita dai soldati. I ministri, tuttavia, non potevano ricoprire cariche né par-tecipare ad assemblee politiche, ma dovevano essere consultati, individual-mente ed in concistoro, quando venivano trattati argomenti che toccavano lareligione. In un conflitto per “l’affermazione dell’Evangelo”, tali limitazioniapparivano molto sfumate; le chiese locali, i sinodi o anche i singoli pastoripoterono dunque esercitare un ruolo decisivo non solo nel reclutamento e nelfinanziamento degli eserciti ugonotti, ma anche nella loro direzione, offrendoai capi militari dei suggerimenti dal valore pressoché vincolante80. In virtù ditale influenza, i ministri, tramite il ricorso alla predicazione e alla diffusione diappositi scritti religiosi, ebbero modo di avviare un’intensa attività pastoraleriuscendo ad ottenere, almeno inizialmente, notevoli risultati nell’instillare di-sciplina e combattività nei soldati81.

A Montauban, ad esempio, la popolazione trovò la forza per opporsi alduro assedio, grazie agli accesi sermoni ed alla guida esercitata dal localegruppo di ministri, tra i quali spiccava Martin Tachard, già attivo nella resi-stenza dei valdesi piemontesi82. Nel fondamentale centro di Lione, invece, laminoranza ugonotta si era sollevata, consegnando la città alle truppe del baro-ne des Adrets. Durante l’estate del 1562, sostenuto dallo stesso Calvino, Pier-re Viret intervenne per limitare, o almeno disciplinare, gli episodi iconoclasti-

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79. Sull’organizzazione e l’azione politica ugonotta nel Meridione di Francia, ancorafondamentale è Garrisson (1991).

80. Sul ruolo assunto dalle chiese e dai sinodi riformati nell’allestimento di un esercitougonotto alla vigilia delle prime guerre di religione, è tuttora utile il classico studio di King-don (1956), in particolare pp. 106-115. Sulle attività dei pastori riformati all’interno dellearmate ugonotte, è da segnalare il recente ed acuto intervento di Benedict (2012).

81. Nel novembre del 1562, ad Orleans, dove era stata adunata la principale armataugonotta, un gruppo di ministri aveva rivolto raccomandazioni perché il generale, «afin dedestourner l’ire de Dieu», facesse tutti gli sforzi per purgare le sue bande da ogni genere divizi ed accettasse di portare con sé un buon numero di cappellani con il compito di «pre-scher la parole de Dieu et faire les prieres en l’armée». Fu così che alla battaglia di Dreuxfurono presenti numerosi pastori, tra i quali Theodore de Bèze e Nicolas Parucel, il cappel-lano personale del Condé, che vi fu fatto prigioniero. Baum, Cunitz (1883-1889), tomo II,pp. 233-234.

82. Ibidem, tomo III, pp. 114-135.

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ci e le violenze sui religiosi che avevano turbato la popolazione e rischiavanodi allontanarla dalla causa riformata83. Tali ingiunzioni non rimasero sul pianodell’appello, ma significativamente furono recepite dalle Ordonnances sur lereiglement, forme et governement que doiuent tenir les soldats, il regolamentoper l’esercito fatto pubblicare dal governatore ad interim Félix Bourjac84. Piùtardi, quando ormai la città era sottoposta al decisivo blocco da parte dell’eser-cito cattolico, probabilmente per iniziativa dello stesso gruppo di religiosi riu-nitosi attorno al Viret, vi fu fatta ripubblicare una collezione di Prieres ordi-naires des Soldatz de l’Armée conduite par Monsieur le Prince de Condé, ini-zialmente edita ad Orleans ad opera di Théodore de Bèze85. L’opuscolo ripor-tava il ciclo di orazioni che il combattente ugonotto doveva recitare tutti i gior-ni e traduceva un intento di “santificazione” del quotidiano. Nell’affermazionedella giusta causa riformata, vi si ritrovava un’ammissione della fragilità del-l’esser umano cui era affidata. Per questo, veniva implorato l’intervento dellagrazia divina perché i combattenti, con «toute sobrieté et modestie», potesseroimpiegare la loro «vocation des armes». L’asserzione testimonia come la pro-fessione militare trovasse la propria collocazione nella sistemazione religiosacalvinistica. È per vocazione, cioè per volontà di Dio, che il soldato era chia-mato ad agire per instaurare il suo regno, a combattere e ad avere «les mainssanglantes du sang humain»; in questo modo, egli testimoniava la propria sal-vezza nella perseveranza nell’Evangelo.

6. L’apostolato di Emond Auger e il modello di armata “cattolica”

Antonio Possevino e Emond Auger assistettero alla tumultuosa espansionedel movimento ugonotto gravitando proprio intorno a Lione, dove, al terminedella guerra, furono tra i protagonisti della riconquista ortodossa della città e del-la cacciata, dopo accese controversie, di Pierre Viret86. Nel loro diuturno con-fronto con l’avversario religioso, elaborarono un modello di strategia antieretica-le in cui preferirono evitare la disputa diretta, ma piuttosto rispondere agli enun-ciati dei predicatori calvinisti attraverso la delucidazione piana e positiva delladottrina romana, in un’opera di conquista spirituale che implicasse l’apprendi-mento dei dettami cattolici, più che la negazione delle novità protestanti87.

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83. Sull’iconoclastia a Lione, cfr. Christin (1991), pp. 102-107. Le lettere di Calvino aiministri di Lione ed al barone des Adrets in Baum, Cunitz, Reuss (1879), vol. XIX, pp.3785-3786, coll. 409-431.

84. Bourjac (1562). Per un’analisi approfondita di questo testo, rimando a Civale(2012b).

85. Prieres (1563). La prima edizione di Orleans, senza luogo né editore, è riconducibi-le alla stamperia ugonotta di Eloi Gibier. Per i mercenari tedeschi fu realizzata un’apposita,rarissima, edizione bilingue.

86. Sul ruolo centrale giocato da Possevino e soprattutto da Auger nella “riconquista”cattolica di Lione, de Groër, (1995), in particolare pp. 69-81; H. Heller (2003), pp. 28-45.

87. Lynn Martin (1998), in particolare pp. 97-100.

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In questo disegno sembra rientrare anche la redazione, nel 1568, del Peda-gogue d’armes di Emond Auger, pubblicato quando il gesuita, ormai provin-ciale d’Aquitania, grazie agli auspici di Charles de Guise, cardinale di Lorena,era stato accolto in una corte francese dove, anche in seguito al deludente esi-to del secondo conflitto di religione, trovavano ascolto le voci dei predicatoripiù radicali dell’agitata scena nazionale88.

L’opera era stata elaborata, come recitava il sottotitolo, «pour instruire unprince chrétien à bien entreprendre et heureusement achever une bonne guerre,pour estre victorieux de tous les ennemis de son Estat et de l’Église catholi-que». Il gesuita intendeva rassicurare il sovrano, in passato fin troppo morbidoe condiscendente nei confronti degli eretici, sull’irreprensibilità politica e spiri-tuale dell’impresa militare contro gli ugonotti, istillandogli al contempo un“santo” desiderio di annientamento. Auger ricorreva, quindi, a tutto il propriobagaglio intellettuale, che lo aveva fatto riconoscere come brillante teologo epredicatore, intessendo una fitta trama di citazioni bibliche, di autori classici edella patristica, tese a supportare con evidenza incontestabile i doveri religiosidel sovrano di Francia e la necessità della repressione dell’eresia. Dalla convin-zione che la lotta alla sedizione religiosa dovesse essere condotta esclusivamen-te dal sovrano, una costante in tutta l’esperienza del gesuita francese, discende-va il corollario della necessità di una milizia autenticamente cattolica che, inmaniera pia e disciplinata, portasse al termine il massacro degli ugonotti. Augerriprendeva, dunque, il tema della moralità e della devozione che si doveva esi-gere dai soldati impegnati in una santa impresa: precisava che il combattentedoveva in ogni momento ricordare la giustezza e la sacralità della sua causa, enon doveva temere la morte poiché ne avrebbe ricavato eterna gloria89. Il pre-mio del trionfo terreno, ottenuto anche grazie al sacrifico personale, nondime-no, sarebbe stato raggiunto soltanto se il soldato si fosse tenuto lontano dai vizi,dai «larcin et volerie», dalle «paillardises» e dalla blasfemia; soprattutto, se sifosse impegnato ad ascoltare messa e sermoni «toutes les festes et dimanches»e a tenere «sa concience la plus nette qu’il pourra, usant souvent des sacramensde confession et se fortifiant du corps et sang de Iesus Christ». Ad accompa-gnare l’armata, infatti, vi doveva essere un gruppo di religiosi, «doctes, gens debien, et pleins de courage», dediti a pregare il Signore e ad animare il soldato alsuo dovere, a consolarlo, a soccorrerlo in caso di malattia o ferita90.

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 307

88. Auger (1568). Per un’analisi dettagliata di questo testo, si rimanda a Lavenia(2009); Civale (2012b). Sull’atmosfera religiosa nella capitale e sui principali predicatoricattolici che vi erano attivi, Diefendorf (1991). Per uno sguardo sul ruolo della predicazio-ne nell’innestare i processi di violenza religiosa, oltre ai lavori classici di Natalie ZemonDavis, si rimanda alla monumentale opera di Crouzet (1990).

89. «Il doit chaque iour, soir et matin, avoir memoire de l’honneur que Nostre SeigneurIesus luy fait de l’employer et se servir de luy en une si sainte guerre, pour repourger sonEglise, et exterminer les opinions mal heureuses et par mesme moyen se doit presenter debon coeur devant sa divine face, et luy offrir sa vie, et tout son bien, pour ces fins, et à ce-ste intention». Auger (1568), ff. 46v-47r.

90. Ibidem, ff. 36v-37r.

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Il soldato ideale tratteggiato dal gesuita si rivelava un combattente spieta-to, ma al contempo devoto, frugale ed obbediente agli ordini di capi, nelle cuiqualità dovevano specchiarsi tutte le virtù richieste ai loro sottoposti. Nel pro-filo di una professione militare delineata come una sorta di vocazione, forti sisentivano gli echi di quanto realizzato dalla controparte calvinista: una simili-tudine che non si limitava all’attenzione per la moralità del soldato, agli argo-menti utilizzati o al corredo di richiami veterotestamentari, soprattutto deute-ronomici, ma si estendeva anche al campo lessicale. Pare, dunque, che Augerattingesse consapevolmente a fonti ugonotte quali le Ordonnances di Bourjaco le Prieres di Condé, seppure con intento controversistico. Se, infatti, per gliugonotti il combattente era motore concreto della riforma della Chiesa e del-lo Stato, per il gesuita, era strumento cardine per la restaurazione della loropurezza. Gli sforzi dei religiosi di entrambi i fronti confessionali, tuttavia,coincidevano nell’utilizzo del discorso biblico per raggiungere il tripliceobiettivo di giustificare l’impegno armato, fomentare lo zelo e mantenere ilrigore, in modo da prevenire le defezioni e impedire incontrollati episodi diviolenza.

L’adozione della religione come risorsa disciplinante, nell’intento di man-tenere coesi e motivati eserciti divenuti anch’essi terreno di missione, costitui-sce uno dei più significativi progressi dell’atteggiamento gesuitico nei con-fronti del mondo militare. Durante le prime missioni cui i padri della Compa-gnia presero parte, infatti, l’appello al rispetto delle norme evangeliche si inse-riva nel doppio binario dell’auspicio per la vittoria concessa dal Signore e delcammino di salvazione individuale del soldato; nello scarto tra esperienza me-diterranea ed impegno nelle guerre di religione europee, al contrario, sembracompiersi il decisivo salto nei confronti di un consapevole utilizzo dell’ele-mento religioso per educare, controllare ed organizzare gli eserciti.

A riprova di questo più ampio e concreto ruolo riconosciuto all’azione deigesuiti va il fatto che, come già era avvenuto per le analoghe iniziative dei pa-stori riformati, anche i consigli di Auger ebbero un immediato riscontro prati-co nella modifica degli ordinamenti militari. L’Ordonnance pour le faict de lapolice et reglament du camp, il nuovo regolamento per l’esercito francese,emanato dal re in vista dell’inizio del terzo conflitto religioso, recepì in formapressoché letterale i suggerimenti del gesuita91. Fin dall’incipit, vi si chiarivache l’armata era stata adunata «pour l’honneur de Dieu, conservation de l’auc-torité de nostre mere Saincte Eglise Catholique, Apostolique et Romaine, etapres pour maintenir et conserver la Couronne au Roy». In quest’ottica, per«avoir Nostre Dieu propice, et avant toutes choses nous reconcilier avec luy»,l’osservanza dei precetti religiosi veniva anteposta al rispetto di qualsiasi ordi-ne militare: i primi articoli dell’Ordonnance, infatti, stabilivano che in ognicompagnia vi sarebbe dovuto essere un sacerdote che quotidianamente avreb-be celebrato messa alla presenza degli ufficiali; un predicatore, invece, avrebbeannunciato l’Evangelo nei giorni consacrati ed in tutti i momenti appropriati.

308 G. Civale

91. Ordonnance (1567).

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Altre norme prescrivevano l’inviolabilità dei luoghi sacri e la condanna delgioco, della blasfemia, delle violenze sulla popolazione.

Quanto fosse ardua la realizzazione di queste prescrizioni in mezzo alle na-turali atrocità ed empietà della guerra, doveva sperimentarlo Auger stesso, alseguito dell’esercito reale che pure raccolse un importante successo a Jarnac.La vittoria era giunta quasi insperata alla fine di una lunga e stentata campa-gna, che aveva spinto il gesuita a mitigare gli iniziali entusiasmi ed a constata-re, nei mesi invernali contraddistinti dalla carestia e la peste, che nessuno or-mai mostrava «volontà ch’io stessi nell’armata del re»92. Malgrado molteplicidifficoltà, non ultima quella costituita dai richiami delle autorità del suo stessoordine ai doveri di direzione della provincia gesuitica d’Aquitania, Auger riu-scì ad essere presente alla battaglia, il 13 marzo 1569, assistendo da vicinol’Anjou, con il quale aveva stretto una relazione che si sarebbe prolungata an-che quando questi salì al trono come Enrico III, e comminando a lui ed ai suoicapitani l’assoluzione da tutti peccati in prossimità del combattimento93.

L’esito vittorioso dello scontro fu descritto da entusiastiche lettere. Agli oc-chi del gesuita era evidente che nel trionfo ottenuto e nell’atroce morte riser-vata a Condé, il capo carismatico degli ugonotti, il cui cadavere venne oltrag-giato, potesse ravvisarsi l’intervento del Signore. Per celebrarlo, all’indomanifu officiata «la messa del santissimo sacramento […], detto Te Deum Lauda-mus et altre cose particolari nella presentia di Principi tutti et signori con mol-ta lode di Christo»94. Era una tradizione antica quella di santificare cristiana-mente il momento della battaglia; tale rituale, tuttavia, veniva reinterpretato inchiave controriformistica, laddove l’accento veniva fatto ricadere su devozioni,quali il Santissimo Sacramento o Maria Vergine, che per i cattolici assumeva-no dei precisi significati antiereticali95.

Conclusioni: il Soldato Christiano e la confessionalizzazione del mestiere del-le armi

La morte di Condé, lungi dall’avere l’effetto risolutivo agognato, non ebbealtra conseguenza che brutalizzare ulteriormente un conflitto che, dopo Vassy,l’assassinio di François de Guise e l’uccisione del connestabile di Montmo-rency, si avviava rapidamente verso le efferatezze della notte di San Bartolo-meo. Tuttavia, la vittoria di Jarnac risultò decisiva nel processo di coinvolgi-mento politico e militare della Santa Sede nella guerra francese. Gli stendardi

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 309

92. Auger a Borgia, Lione, 1 febbraio 1569. ARSI, Epistolae Galliae (d’ora in poiGal.), 82, f. 22.

93. Sulla partecipazione di Auger alla campagna militare che culminò con la battagliadi Jarnac, si veda Lynn Martin (1973), pp. 29-44.

94. Auger a Borgia, Jarnac 14 marzo 1569. ARSI, Gal., 82, f. 41.95. A questo proposito, Chaline (1999); Civale (2009). Più in generale, sulla promozio-

ne del culto di Santa Maria della Vittoria in chiave antiereticale, si veda il classico lavoro diChâtellier (1987).

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strappati all’avversario furono inviati a Roma dove vennero trascinati nel fan-go durante una solenne processione a cui partecipò il medesimo Pio V96.

Fu per mezzo del pontefice che indubbiamente meglio incarnò lo spiritomilitante della Controriforma, che il progetto di riforma morale del mestieredelle armi, inizialmente concepito dal gesuita francese, fu fatto proprio dallaChiesa Romana. L’artefice di questo adattamento, che smussò le connotazionigallicaneggianti della concezione originale di Auger, e ne accentuò i tratti uni-versalistici, fu il Possevino con il Soldato Christiano, redatto per i soldati delcontingente papale inviato a combattere in Francia nel 156897.

Nel suo catechismo, Possevino riproponeva il concetto del “malicidio” teo-rizzato da Bernardo di Chiaravalle per i templari, ma il contesto non era piùquello assieme penitenziale ed aristocratico delle crociate, bensì quello austeroe gerarchico della controriforma98. Tutta l’enfasi, infatti, era posta sul valoredella disciplina, in modo da fornire ai militari un esempio pratico di ascesi or-dinata, che si potesse accordare in maniera concreta con l’ordine e la fermezzarichiesta agli eserciti del cinquecento.

In quest’operazione convergevano diversi fattori. La vocazione al rigore in-sita nella proposta spirituale gesuitica si innestava sulla reviviscenza dell’idea-le crociato, divenuta particolarmente forte dopo la vittoria di Malta e l’ascesaal soglio pontificio di Pio V. D’altra parte, la suggestione esercitata sulla Chie-sa postridentina dalla potenza militare e dal cattolicesimo militante iberico, dicui Francesco Borgia pareva uno dei più autentici rappresentanti, confluiva inun clima religioso esasperato, in cui trovavano particolare ascolto i ripetutiproclami lanciati da predicatori e teologi sull’attualità degli exempla di com-battenti virtuosi e pii presenti nelle Sacre Scritture. L’intreccio tra questi ele-menti emerge in maniera palese, allorquando il gesuita, nell’elencare gli esem-pi di armate che, per la santità della causa e la devozione di capitani e soldati,si erano assicurate vittorie insperate, tracciava un percorso che partiva dallestorie bibliche e, passando per le crociate, giungeva a contemplare le vittoriespagnole contro la Lega di Smalcalda e gli eretici fiamminghi99. Anche per ilgesuita mantovano, quindi, se si voleva individuare le meraviglie che Dio ope-

310 G. Civale

96. Una descrizione della cerimonia negli avvisi della Biblioteca Apostolica Vaticana,fondo Urbinate Latino, 1041-I, f. 66r-v. A proposito di questa e di altre analoghe cerimonieche si svolsero nella Roma di Pio V, Maria Antonietta Visceglia ha acutamente sottolineatoquanto esse furono espressione «di un tentativo di incanalare in una forte spinta devoziona-le, un controllo religioso e morale sulla politica». Visceglia (2002), pp. 201-227, in partico-lare p. 224.

97. Sulla politica francese di Pio V, Hirschauer (1922); Penzi (2005). Sull’allestimentoe l’andamento della spedizione pontificia in Francia e sulla partecipazione di un gruppo digesuiti, alcuni accenni in Brunelli (2003), pp. 5-17; Lavenia (2009); Civale (2012b).

98. Per uno studio approfondito del catechismo posseviniano, si rimanda ai saggi di La-venia (2009), Civale (2008) e Civale (2009), pp. 35-46.

99. Il gesuita additava come prototipo di novello condottiero crociato proprio il ducad’Alba che, per aver fatto «ristorar subito le chiese che dagli heretici erano state o ruba-te o distruite», era stato premiato da Dio con la vittoria sui calvinisti. Possevino (1569),pp. 68-73.

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rava sui suoi eserciti, non si poteva fare altrimenti che guardare alla Spagnadei Re Cattolici, di Cisneros, Carlo V e Filippo II e ad un popolo che avevamantenuto invariate le proprie virtù marziali ed il suo cristianesimo guerriero,maturato negli anni della Reconquista, con le sue fanterie rudi e disciplinate,in cui non disdegnavano di militare gli aristocratici, i quali custodivano e tra-smettevano alla massa di soldati gli antichi ideali di crociata100.

Nella teorizzazione posseviniana di un nuovo modello militare, tuttavia, aquesto quadro si aggiungeva un ulteriore, fondamentale elemento: l’auspiciodel recupero dell’organizzazione e delle qualità marziali romane, fatto propriodall’umanesimo101. Anche grazie alla rilettura dei classici, il gesuita poté collo-care al vertice delle virtù richieste al soldato cristiano la fortitudo (nel testo ita-liano “fortezza”), una qualità strettamente connessa alla constantia, che avreb-be permesso al combattente di affrontare i pericoli e portare la morte senzaodio, sicuro della propria superiore causa e del proprio destino di salvazione.

Su questo punto coincisero non soltanto religiosi ma anche dotti uomini diguerra, dalle posizioni tanto differenti quanto il cattolico Brantôme e l’ugonot-to François de La Noue102. Si è osservato come, nella Francia delle primeguerre di religione, sorga, in entrambi gli schieramenti confessionali, una co-mune esigenza di moralizzazione del mestiere delle armi ed un parallelo sfor-zo di porre l’osservanza religiosa alla base della disciplina marziale. In questofenomeno può ravvisarsi un tentativo di confessionalizzazione della professio-ne militare, proposto sia dalle gerarchie ecclesiastiche sia dai teorici dellaguerra, per l’individuazione di un nuovo modello di soldato ideale, che si col-loca tra il declino della cavalleria ed il profilarsi dell’archetipo neostoico deli-neato da Lipsio.

Le risposte date sui fronti confessionali contrapposti a questo comune di-battito, tuttavia, divergono sensibilmente. Per i pastori riformati che, in Fran-cia, per primi si posero il problema dello statuto religioso del soldato, era lastessa natura sacrale del suo combattimento a costituire la via di salvazione:l’impegno assunto dal combattente di perseguire fino alla morte l’affermazionedell’Evangelo, senza lasciarsi corrompere dai vizi, avrebbe testimoniato il fa-vore divino concesso a lui ed alla sua causa e avrebbe giustificato le violenzeperpetrate.

Sul versante cattolico, come si è visto, la Compagnia di Gesù arriva ad unapropria innovativa riflessione sul mestiere delle armi in maniera più tortuosa egraduale. Tenendo fede ad un principio di adattamento alle diverse situazioni,di volta in volta, dinnanzi alla natura concreta dei problemi, l’atteggiamentodei gesuiti nei confronti della guerra e del mestiere delle armi si modifica e siarricchisce di nuovi elementi. Il patrimonio accumulato sul campo dai singolipadri è fatto proprio dall’intera Compagnia, grazie alla diffusione all’interno

La Compagnia di Gesù, la guerra e l’immagine del soldato da Ignazio a Possevino 311

100. Sull’epos militare spagnolo, si vedano almeno Puddu (1982), González de León(2009), Civale (2009), pp. 23-34.

101. Sul recupero delle tradizioni romane e degli autori militari classici, si veda almenoVerrier (1997).

102. Cfr. Drevillon (2008), p. 61-73.

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dell’ordine dei racconti di tali esperienze, a scopo edificante ed educativo. Inquesta maniera, a partire dalla visione marziale e dicotomica della meditazio-ne dei “due vessilli”, una sorta di filtro attraverso il quale i gesuiti interpretanoil mondo, prende forma un’apposita strategia pastorale che, tuttavia, si distac-ca dal tradizionale modello crociato soltanto quando l’avversario da affrontarenon è più riconducibile ad uno stereotipo di barbarie ma, al contrario, presentauna precisa e minacciosa disfida sul piano religioso.

L’elaborazione gesuitica, naturalmente, si sarebbe rivelata differente e con-trapposta a quella degli antagonisti confessionali. Laddove, per il soldato ugo-notto, il rapporto con Dio era diretto, si esplicitava nella fede individuale nellagrazia giustificante ed era soltanto agevolato dalle orazioni, per quello cattoli-co prevaleva un aspetto maggiormente rituale. La funzione di purificazione chein ambito riformato era ricoperta dalla stessa fiducia del combattente nella suavocazione, sul fronte cattolico, era assunta dai sacramenti. Era attraverso laconfessione e l’eucarestia che il soldato si mondava dei propri peccati e si le-gava a Dio, si rendeva partecipe della sua giustizia, si disponeva al destino cheil Signore gli aveva riservato. Tale dottrina implicava un’adesione formale,continuamente rinnovata attraverso la frequenza ai sacramenti ed alla messa,del combattente alla sua Chiesa. Comportava, inoltre, l’indispensabile presen-za di sacerdoti officianti al seguito dell’esercito per benedire le violenze dellaguerra, e per animare, confortare e vigilare i soldati. Le attività di questi reli-giosi non sarebbero state più affidate all’iniziativa individuale di pochi volen-terosi, ma furono organizzate in missioni vincolate a precise istruzioni e poi inservizi di cappellania regolari, seguendo uno schema di clericalizzazione, incui il controllo ecclesiastico era assieme sintomo e prodotto del modello per-seguito di società ordinata e confessionalizzata103.

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312 G. Civale

103. Interessanti riflessioni sul sorgere ed il ruolo di servizi di cappellania regolare ne-gli eserciti cattolici in García Hernán (2006) e Lavenia (2009). Sulla partecipazione di uncontingente di gesuiti alla campagna di Lepanto e sull’organizzazione ecclesiastica all’in-terno della Santa Lega, si vedano Castellani (1936-1937); García Hernán (1996) e Civale(2009). Sui padri della Compagnia che presero parte alla spedizione dell’Invincible, si vedail pioneristico lavoro di Borja Medina (1989).

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