dÉtournement // n.o3
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VOLUNTARY ETC. // DECEMBER TWOHOUSandNINETRANSCRIPT
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DÉTourNEMENT INDEPENDENT & PERIODIC WEBZINE // VOLUNTARY ETC. // N.O3 DECEMBER TWOHOUSandNINE
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o
no tourists involuntary
P L A S T I C I S L E
SPETT.le CONSUMATORE,
LA GEODELIMITAZIONE DENOMINATA PTV BANK VUOL PORRE COME OGGETTO DI RICERCA L’ESISTERE DI UNA
PRATICA D’INQUINAMENTO CULTURALE FRUTTO AVANZATO DI SVARIATE POLITICHE A-COMPORTAMENTALI,
INFLITTESI PER ANNI AL CASO SPECIFICO DELL’OCEANO PACIFICO. DA QUI ECCOCI ALL’OGGI A PACIFIC TRASH
VORTEX, IMMENSE ISOLE DI SPAZZATURA COMPOSTA PER L'80% DA PLASTICA CUI Noi gr.gr., STAFF DI PTV
BANK, SI VUOL PORRE DENUNCIA PER DARE: INIZIO AI LAVORI! OVVERO: TRAMITE L’AUSILIO DEL SOCIAL
NETWORK Second Life, SI VUOLE INTRODURRE LA REALTÀ SOPRA DESCRITTA IN UN AVATAR-FORMAT TIPO:
Grande Fratello. IL TUTTO AVRÀ INIZIO NEL RICOSTRUIRE UN MODULO ‘ABITATIVO’ SUL PACIFIC TRASH VORTEX
ATTO AD ACCOGLIERE I CONCORRENTI PARTECIPANTI ALL’INIZIATIVA REALITY-CONCORSUALE DI PTV BANK DAL
TEMA: ISOLE COMPATIBILI E ALLA REALIZZAZIONE DI UN VISUAL-FORUM PER PROMUOVERE UNA CORRETTA
INFORMAZIONE. I CONCORRENTI AVRANNO UN SOLO OBBLIGO ESCLUSIVO: L’UTILIZZO DEI MATERIALI DI CUI LA
BANCA È COMPOSTA, NEL PROGETTARE INTERVENTI DI SENSIBILIZZAZIONE PUBBLICA. IL CONCORRENTE
VINCITORE SARÀ OGGETTO DI VINCITA, DA DEFINIRSI. SIAMO QUINDI IN CERCA DI PROMOTORI ATTENTI E
PATROCINANTI.
http://ptvbank.blogspot.com, 10/10/2009
Iniziativa ideata dal collettivo gr.gr. & patrocinata dalla Fondazione Kunstdünger di Zurigo [CH]
… in progress: DÉTOURNEMENT è un DIFFUSORE COLLATERALE, in formato WEBZINE, ORIENTATO AD ESSERE VETRINA DI RICERCA
NELLE NUOVE POLITICHE SOCIALI, IL CUI NETWORK, APERTO ALLA PROMOZIONE DI ogni EMERGERE CULTURALE, ATTRAVERSA UNA
PIATTAFORMA D’UTENZA INCLINE ALL’USO DEI New Media Work, in una LOGICA POST-ARTISTICA o MEGLIO ATTA alla DEVALORIZZAZIONE
DELL’Arte ALTA. CONTRO IL FASCIO dei SAPERI STABILITI, CONTRO L’INQUINAMENTO CULTURALE: X una RICCHEZZA CRITICA, RADICALE
e LIBERTARIA decentrata dal COATTISMO DI MASSA, L’OBIETTIVO è: RIAPPROPRIARSI DEL PROPRIO MEDIA-SYSTEM MENTALE, CON
L’AUSILIO di un USO ECQUOresponsabile DEL TERMINE ‘FREE’, PREPOSTO AD ESSERE PRATICA DEL FARE OPINIONE o meglio x
LIBERARE IL FARE CRITICO DA qualsivoglia GENERE OBBLIGAZIONALE. INDIPENDENTE E DEMOCRATICO, NEL FARE DELL’ATTIVISMO LA
PROPRIA FEDE COLLATERALE, IL WEBZINE È MEZZO COOPERATIVO X E DI TUTTI, IN CERCA DI 1 CONTINUA FREE COLLABORATION!
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SOMMARIo
VOLUNTARY WORk x gr.gr. è .. 02
NO)PROFIT 03
INTEGRALE DI RICCHEZZA 05
SINGLE PRICe 07
PiÙ PAURA MENO DEMOCRAZIA 08
UNA VOTAZIONE SVIZZERA AL CENTR➲ DELL’ATTENZIONE 09
In copertina: gr.gr., Plastic Isle [in PTV Bank proj], ink on paper, 21x29,7 cm, 2009 ► courtesy of the collective
EDITOR in chief ⋆ Gabriele Perretta
MANAGING editor ⋆ gr.gr.
Art DIRECTOR ⋆ gr.gr.
EDITORs ⋆ Cecilia Geroldi ⋆ gr.gr.
CONTACT ⋆ [email protected]
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VOLUNTARY WORk
x gr.gr. è .. no tourists involuntary
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www.grgr.altervista.org
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BY C. G.
NO)PROFIT
BY C. G.
Il volontariato è un’attività libera e gratuita di varia natura. Può essere rivolta a persone in difficoltà oppure come forma di tutela della
natura, degli animali, del patrimonio artistico e culturale.
In Italia l’attività di volontariato è organizzato in base alla legge n.266 del 1991 dell’11 agosto firmata da Cossiga. Per capire meglio in
cosa consista cito alcuni articoli:
Art.1 Finalità e oggetto della legge
1. La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione,
solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il
conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuato dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di
Trento e di Bolzano e dagli enti locali.
Art.5 Risorse economiche
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria
attività da:
contributi degli aderenti;
contributi di privati;
contributi dello Stato, di enti o di istituzioni pubbliche finalizzati esclusivamente al sostegno di specifiche e documentare attività o
progetti;
contributi di organismi internazionali;
donazioni e lasciti testamentari;
rimborsi derivanti da convenzioni;
entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.
Il volontariato viene organizzato attraverso delle associazioni le cui caratteristiche sono definite nella medesima legge. Parliamo allora
di associazioni e di fondazioni che costituiscono la messa in forma di attività senza profitto.
Le associazioni non a scopo di lucro costituiscono la fetta maggiore del Terzo Settore in Italia, ne fanno parte all’incirca più di
dodicimila. Fra queste rientrano le associazioni costituite dal settore della Cultura, di Creazione , Tempo Libero. Ne fà parte ad
esempio il TCI (Touring club Italiano).
Le fondazioni invece sono quelle strutture le cui persone aderenti hanno un utile da investire in attività a scopo sociale, una fondazione
in pratica si costruisce intorno ad un patrimonio.
Le attività no-profit costituiscono un elemento fondamentale all’interno dell’economia Italiana, esse rappresentano il Terzo Settore
ovvero tutti quei fenomeni che concettualmente si separano dallo Stato e dal Mercato. Forniscono cioè un servizio, un contributo alla
società di natura diversa; vale a dire che il cittadino attraverso queste attività cerca di colmare quelle esigenze non gestite o mal gestiti
dallo Stato e dal Mercato attraverso modi e forme differenti.
Quando parliamo di no profit immediatamente immaginiamo un attività che non fornisce profitto e chi chiediamo come essa possa
sopravvivere. In realtà queste attività sono delle vere e proprie imprese la differenza sostanziale risiede nell’utile ovvero che esso non
viene distribuito tra i soci ma semplicemente rinvestito nelle attività che essi svolgono. In altre parole non significa che non hanno
profitto ma che non è lo scopo principale dell’impresa, per questo motivo viene definita Terzo Settore, perché non può essere spiegata
né come un attività statale né di mercato.
Per di più queste attività rappresentano la possibilità futura economica maggiore producendo così un servizio in cui il lavoratore si
adopera per la comunità. Attenzione il lavoratore non esercita gratuitamente ma ha un guadagno che in media risulta essere inferiore
rispetto ad un lavoratore di un associazione con profitto del 10-20% in meno.
All’interno della nostra realtà questo tipo di associazioni sono fiorenti tanto da essere definite dal portavoce A. Oliviero durante il
Convegno Nazionale del Terzo Settore 2009 come una possibilità di uscita dalla crisi mondiale sebbene la nostra società sia gestita da
regole economiche che ne determinano le caratteristiche principali: “Il Terzo Settore crea “capitale sociale”, cioè favorisce l’incontro
delle persone, porta sulle scena politica e spesso anche economica molte potenzialità non riconosciute, che diventano forza in ragione
delle loro connessione, della capacità di fare rete, producendo fiducia, perché si basano sulle norme di reciprocità, reali, ma di fatto non
riconosciute da una società che basa i suoi rapporti solo su classiche norme economiche”.
La cultura no-profit costituisce quindi un enorme risorsa futura, le sue radici sono però ben lontane. Le prime attività di questo tipo
risalgono al Settecento in concomitanza con la diffusione dello Stato Nazionale, quando alla Chiesa e ai privati viene sottratto il
predominio di questo tipo di attività. Nel 1807 nascono le prime congregazioni della carità che dipendono però dal ministero degli
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interni. Nel 1866 vengono soppresse qualcosa come milleottocento congregazioni religiose, col passare degli anni più di venticinque
mila vengono chiuse. Ma è solo intorno al 1890 che grazie alla legge Crispi si avvia quel processo che trasformerà gli istituti Pubblici di
assistenza benefica (IPAB), da quel momento la sanità, l’istruzione diventano aree di intervento statale.
Nonostante ciò la maggior parte delle attività di enti cultuali sono ancora gestiti dallo Stato e dalla Chiesa, in numero minore da
fondazioni e associazioni. Viviamo in un Paese in cui vi è la più alta concentrazione di opere artistiche e beni culturali ma che purtroppo
molto spesso vengono sfruttate in modo non adeguato. In America ciò non avviene, esistono infatti molti Musei gestiti da enti privati non
a scopo di lucro le cui finanze provengono per la maggior parte da finanziamenti privati e solo in percentuale minore da enti governativi.
Si tratta del così detto modello americano secondo cui con la gestione privata si risolverebbero molte questioni legate all’efficienza ed
alla tutela dei beni culturali. I nostri Musei sono totalmente opposti rispetto a quelli americani sia dal punto di vista della gestione
economica che culturale. Nel corso degli anni i vari Governi hanno effettuato timide e talvolta controverse manovre per tentare di
modificare questo sistema di gestione vigente con però pochi risultati, complicando talvolta in maniera sostanziale la già difficile
questione. A tal proposito basti leggere Italia s.p.a. di S. Settis pubblicato da Einaudi nel 2003 per avere una panoramica sulla
questione. Bisogna però sottolineare gli sforzi avvenuti con buoni risultati anche in Italia, mi riferisco al lavoro di quelle cooperative e
consorzi che gestiscono le attività culturali lasciate loro dalle province e dalle Chiese. Esistono cioè ad esempio Musei privati gestiti da
organizzazioni no-profit .Un esempio è costituito dalla Centrale Montemartini, il nuovo polo espositivo dei Musei Capitolini a Roma. Si
tratta di una vecchia centrale termoelettrica, la Centrale Montemartini per la precisione, inaugurata nel 1912. La struttura in disuso è
stata recuperata, gli elementi al suo interno sono stati sistemati e messi a nuovo, divenendo in questi termini un esempio di architettura
industriale. Nel 1997 vennero trasferiti in questo spazio alcune statue in occasione della ristrutturazione di alcuni settori del complesso
dei Musei Capitolini. Proprio nello stesso anno venne inaugurata la prima mostra intitolata La macchina degli Dei come a voler
sottolineare il dialogo fra questi due elementi appartenenti alla storia dell’architettura classica ed industriale moderna. Questo spazio
tutt’ora attivo è di proprietà dell’azienda comunale per l’energia ma è stata affidata la gestione ad un associazione che opera a favore di
questo straordinario connubio fra cultura e impresa.
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INTEGRALE
I PRO DE LA ‘RIVOLUZIONE TECNOLOGICA’. BY BY BY BY BY BY BY BY BY BY BY BY gr.gr.
DI RICCHEZZA
Alle radici del contratto sociale c’è il caos dello stato di natura, sinonimo di anarchia. In tale stato non esiste la nozione di diritto,
essendone l’antitesi, ciò che vincola il comportamento dell’individuo è solo la coscienza personale e: l’economia caotica, anarchica, al
limite della legalità, che stiamo vivendo, ricorda molto lo stato di natura!
Alla base vi è la riorganizzazione dei sistemi tecnici della comunicazione, che crea il bisogno del sistema capitalistico di superare i
confini nazionali e dotarsi di una prospettiva più ampia. La velocità, il ritmo, l’accelerazione costituiscono i nuovi valori di riferimento; la
circolazione dei beni, delle persone e dei simboli sono l’essenza di questo nuovo sistema.
Gli assetti monetari, finanziari e valutari del dopoguerra, furono pensati nella prospettiva di una crescita a medio/lungo termine,
costringendo così i sistemi economici dei paesi avanzati, a crescere entro i limiti dello sviluppo reale: in un quadro di vincoli che ne
assicurava la stabilità. Insomma la capacità di garantire sicurezza era la premessa su cui costruire il consenso politico e l’integrazione
sociale, ma i sistemi finanziari, con la globalizzazione, si sono lentamente e progressivamente deregolamentati: vedi l’oggi!
Formalmente l’avvio di questo processo di deregolamentazione avviene quando il presidente americano Richard Nixon - il 15 agosto del
1971 - annuncia la fine della reversibilità oro/dollaro. La nuova strategia di governo della moneta e della finanza abolisce delle norme
sul commercio di derivati non regolamentati; quindi vengono soppresse leggi come la Glass-Steagall, approvata nel 1933 per risolvere
la crisi del 1929, che impediva alle banche di credito ordinario di usare i depositi dei clienti per speculare in Borsa, dividendo il campo
della gestione dei depositi da quello dell’investimento in titoli ed evitando altresì alle banche di sconfinare nel campo delle assicurazioni.
Viene proposta un’offerta pressoché illimitata di moneta, associata al mantenimento di livelli molto bassi del tasso di interesse primario,
difatti agli operatori, nel corso della crisi finanziaria dell’ottobre 1987, fu garantito, in caso di difficoltà finanziarie, l’intervento delle
banche centrali attraverso l’immissione di liquidità. Da allora è seguita una lunghissima serie di interventi di salvataggio miranti a
rimediare lo scoppio delle bolle speculative, dove le banche centrali internazionali, appoggiate dai governi, hanno immesso liquidità o
meglio delle liquidità ‘finanziarie’ tutt’altro che reali, nella speranza - così dissero e così dicono - che l’economia emerga! Ma al mondo
reale quasi nulla è arrivato, se non altre bolle finanziarie, come il caso dei contratti futures.
Il primo mercato dei futures di cambio risale al Dojima Rice Exchange in Giappone nel 1730, ed ancor oggi il prezzo di tali contratti è
determinato dal’istantanea di equilibrio tra le forze della domanda e dell'offerta tra i concorrenti. I soggetti che investono per mezzo dei
futures sono Banche e Fondi, essi comprano del materiale che si utilizzerà dopo 3 mesi, ma in questo arco di tempo il contratto sarà
venduto e comprato varie volte, con una conseguente lievitazione dei prezzi (compro a mille e rivendo a milledue).
Avendo abbandonato la legge della domanda e dell’offerta reale, fondamentale di tutta l’economia e non essendo il mercato in grado di
riconosce se il compratore è colui che utilizza ciò che compra o meno, gli speculatori hanno un enorme spazio di manovra, difatti ogni
giorno nel mercato elettronico si compra e si vende dieci volte in più di un reale utilizzo e ciò causa un tale aumento dei materiali
primari, tale per cui molte ditte non riescono ad approvvigionarsi ad un reale prezzo di mercato. In questo modo la crisi finanziaria si è
estesa all’economia reale, riducendo il tenore di vita di milioni di persone.
Se la recessione dovesse durare a lungo, l’impatto sui sistemi politici non potrebbe che essere violento, poiché il consenso che regge
gli equilibri istituzionali esistenti si fonda sulla capacità dei governi di garantire una crescita economica sufficientemente elevata.
La disoccupazione come il debito pubblico, sono dei dati costantemente in crescita, nel 2009 è aumentata del + 7,6% e si prospetta che
nel 2010 sarà + 8,5% e nel 2011 + 8,7%. L’insicurezza economica diviene l’elemento dominante del nostro tempo!
L’anarchia economica dilaga in questa epoca di transizione, rendendo i ceti medi, i giovani e le donne di nuovo servitori del mondo
occidentale: in un villaggio globale!
Ignorati dallo Stato-mercato la parola d’ordine è: cavarsela da soli, per una rinegoziazione del Nostro contratto sociale.
Alla fine della seconda Rivoluzione industriale il mondo si scoprì ridisegnato e nel prossimo futuro, alla fine di questa Rivoluzione
tecnologica, quasi sicuramente l’epicentro economico e finanziario del mondo sarà ad est dei paesi occidentali.
Si può anche prospettare che in un futuro prossimo in molti paesi che oggi vivono un formidabile sviluppo, avverrà ciò che è avvenuto
in occidente dopo la Rivoluzione industriale: IL riscatto sociale e culturale degli strati più poveri della società, e che noi oggi affidiamo ad
associazioni e quant’altro.
Via, via che si diffonderanno i benefici di una tale crescita economica in paesi, quali la Cina e l’India, nasceranno anche nuovi ordini
sociali (contratti sociali) e così facendo essi saranno i nuovi contribuenti di una globalizzazione della Democrazia.
Il nostro tempo si deve ricostruire su di una nuova - perché più completa - base, che ponga il proprio centro su di una maggiorazione
dell’attuale benessere, su di una - da noi definita - ricchezza integrale!
Molti uomini politici di primissimo piano hanno affermato che occorre una nuova forma di regolazione globale, per ridurre i rischi a cui
siamo esposti, ma il problema è: da chi e in che modo la regolamentazione va costruita, dato che non solo mancano i riferimenti teorici
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e valoriali su cui costruire, ma soprattutto mancano i soggetti politici per farlo. Se il consenso politico è sempre più direttamente
vincolato alla sua capacità di garantire una soddisfazione economica: quali e quanti leader politici possono presentarsi all’opinione
pubblica, chiedendo una sensibile riduzione dei livelli di vita, in nome di una maggiore stabilità globale? Il mondo ha bisogno di nuovi
ideali, non ideologie: necessita di prospettive di cambiamento radicali, non astratte ed assolute, ma concrete e reali.
L’utopia è che la nuova economia post-capilista, basata principalmente sulle conoscenze e sulle risorse immateriali, generi una società
dell’abbondanza, più libera e democratica, basata su di uno sfruttamento equo, razionale e sostenibile dei beni comuni.
![Page 8: DÉTourNEMENT // N.O3](https://reader035.vdocuments.mx/reader035/viewer/2022080301/568c34241a28ab02358f507c/html5/thumbnails/8.jpg)
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SINGLE PRICe
GRATIS PUÒ ESSERE L’UNICO PREZZO? BY gr.gr.
Ogni cosa che le persone scelgono di distribuire senza esigere un pagamento è gratis. In ogni rivoluzione viene drasticamente ridotto il
costo di qualche fattore chiave della produzione, che diventa praticamente gratuito. Con la Rivoluzione industriale - grazie al vapore - la
forza fisica divenne pressoché gratuita, se confrontata a quella ottenuta con i muscoli degli animali o degli uomini. Con l’avvento della
rivoluzione digitale la distribuzione e circolazione della conoscenza avviene - quasi - a costo zero.
L’economia digitale ha rivoluzionato il Gratis, trasformandolo da trucco di marketing in una forza motrice del nostro sistema. Ma può
esistere veramente il gratis nell’economia? Nel modello dei media tradizionali, le televisioni, le radio e la stampa, il free lo incontriamo
ogni giorno: un editore non vende giornali e riviste ai lettori, ma vende i lettori agli inserzionisti, fornendo così un prodotto gratis o quasi
al suo consumatore.
Il web ricava profitto non sull’idea che la pubblicità paghi tutto, ma offre contenuti gratis proponendo servizi, licenze sul marchio,
vendendo informazioni sui consumatori … c’è poco freemium!
Le comunità di sviluppatori di software come gli hacker hanno saputo dimostrare la possibilità di produrre beni e servizi competitivi,
attraverso un’economia del dono, fondata sul libero scambio di informazioni e conoscenze del capitale vettoriale.
Dal punto di vista dell’economia monetaria il web offre una piattaforma, in cui le azioni dei singoli possono avere un impatto globale,
sullo sviluppo di altre economie, tale per cui il copyleft è divenuto l'argomento chiave nella battaglia ideologica tra il movimento Open
source e quello per il software libero.
I copyright e brevetti hanno definito il diritto di proprietà non sulle idee, ma sulle espressioni di quelle idee. Le idee in sé, come tutti gli
accadimenti legati alla fenomenologia naturale, sono sempre state considerate proprietà collettive dell’umanità. Quando l’idea, divenuta
materia viva, entra in un oggetto fisico, quale un libro o altro, ed ha lasciato la mente di chi l’ha creata o meglio di chi l’ha evidenziata, è
avvenuto il momento di rottura in cui la proprietà da privata diviene collettiva. Se Internet e la tecnologia digitale producono beni
immateriali togliendo l’informazione dal piano fisico, su cui tutte le normative del diritto di proprietà si sono basate: cade il monopolio dei
copyright e dei brevetti.
Gli utenti si aspettano sempre più gratuità, ma la situazione economica è mutata e sempre meno aziende sono disposte a sborsare
soldi per farsi pubblicità e dato che l’uso di social network come piattaforme pubblicitarie è pressoché fallimentare, questo induce i web-
imprenditori a nuove strategie, in cui il gratis non può essere l’unico prezzo del prodotto. Il prezzo dell'informazione, in condizioni di
concorrenza perfetta nel mercato, dovrebbe essere pari a zero, ma i costi fissi sono molto alti ed irrecuperabili, cosicché Google ha
aperto contenuti editoriali a pagamento sul proprio motore di ricerca e sull'aggregatore Google News, lanciando un dispositivo che
obbliga i navigatori a identificarsi e a pagare, nel caso in cui consultino oltre cinque articoli, attraverso i suoi servizi.
Intervenendo ad un convegno organizzato dalla Federal Trade Commission dal titolo: Come può il giornalismo sopravvivere all'era di
internet, Murdoch ha ribadito ancora una volta, che gli aggregatori di notizie online devono pagare per i contenuti che distribuiscono,
perché le notizie di qualità non sono gratuite e non possono dipendere solo dalla pubblicità. «Alcuni pensano che sia un loro diritto
prendere contenuti e utilizzarli per i loro scopi senza contribuire con un penny alla loro produzione. Questo non è un utilizzo corretto.
Per dirlo in modo scortese, è un furto».
La sempre maggiore difficoltà di applicare le attuali normative, su copyright e brevetti, sta mettendo in pericolo l’ultima fonte di proprietà
intellettuale e questo comporterà che dal mondo governativo e dai dipartimenti legali delle società, si possa spostare legislativamente
l’attenzione al possesso delle idee stesse e non alla loro espressione e per questo: libertà di parola e libero scambio di idee, possono
venire minacciati. L'industria culturale legata alla difesa della tutela del copyright, limita la libera circolazione della conoscenza e non
prendendo atto delle nuove realtà non cerca neppure di adattare le proprie leggi all'innovazione culturale, sociale e tecnologica che
stiamo vivendo. Solo un dialogo con le nuove realtà conduce a comprenderne i meccanismi più interni. I circuiti dei blog e le svariate
comunità online, portano a nozioni totalmente differenti di proprietà, creando così l’esigenza di una nuova: legislazione.
Urge però domandarsi se stiamo continuando a trattare l’economia del web solo come quella monetaria, perché il valore nel web non si
misura solo in termini monetari, bensì in attenzione (traffico) e in reputazione (link) ed entrambi traggono i propri benefici da: contenuti e
servizi gratuiti!
![Page 9: DÉTourNEMENT // N.O3](https://reader035.vdocuments.mx/reader035/viewer/2022080301/568c34241a28ab02358f507c/html5/thumbnails/9.jpg)
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PiÙ PAURA ;{
MENO DEMOCRAZIA
L’ECONOMIA DELLA PAURA COME RISORSA POLITICA DI CONSENSO GLOBALE. BY gr.gr.
La globalizzazione del libero mercato ha aumentato i rischi finanziari, ambientali, militari, sociali e tecnologici, perché ancor più
amplificati dall’interdipendenza di tutti i Paesi ad ogni livello.
La miseria di massa per miliardi di persone nel mondo - in generale - non è data dalla penuria, bensì dalla sovrapproduzione di quei
beni, determinati non più da vincoli naturali, bensì da fattori economici, derivanti da uno sviluppo non più sostenibile, perché fondato
sull’espansione senza limiti dei consumi privati. Dato ciò la nostra società è sempre più dominata dalla precarietà e per la prima volta
Noi - le giovani generazioni dei paesi avanzati - percepiamo il nostro tempo senza un tempo o meglio senza un futuro.
Per gestire questo stato d’animo si è ricorsi a quello che si definisce l’economia politica della paura, la cui logica è strettamente
associata al declino delle ideologie sostituite da quei miti e da quelle illusioni, fonti di legittimità dei politici.
Curioso è osservare il mutamento del linguaggio, prima il cittadino usava il termine: sono, nel senso di far parte di un pensiero o di una
ideologia; oggi si usa invece il termine sto, dove lo stare è estremamente diverso dall’appartenere, tanto diverso che passare da una
fazione politica all’altra è norma, perché ‘essere volta marsina’ è divenuto simbolo di realismo politico.
In un clima di paura sorge fortissima la domanda di sicurezza, ancora una volta si ricorre al sempreverde trucco di scaricare sul singolo
individuo o su un determinato gruppo, l’intera responsabilità di quello che succede ed è così che si pongono le basi per il ricorso alla
repressione e all’impiego indiscriminato di misure straordinarie per la sicurezza ed il controllo.
A causa delle emergenze sulla sicurezza, nei paesi avanzati - di non antica tradizione democratica - pende la minaccia di una
compressione drastica delle libertà civili, conquistate in decenni di battaglie sociali. In questi stessi paesi la democrazia sta
sostanzialmente cambiando, spesso anche nella forma, divenendo sempre meno efficace nell’esprimere la volontà popolare e
nell’orientare oltre che governare i processi sociali ed economici, questo perché il potere decisionale trasferitosi - sia a livello economico
che politico - a favore dei giganti della finanza, dei grandi organismi multinazionali e delle tecnoburocrazie sopranazionali, è oggi:
sostanzialmente sottratto al voto e al controllo democratico.
Paradossalmente - nonostante il trionfo universale della retorica democratica, per cui il sistema democratico occidentale è ormai
considerato alla stregua di un diritto umano basilare - è in forte difficoltà. La scarsa efficacia degli interventi dei vari governi è un
sintomo di come la politica sia giocata prima di tutto sul piano della visibilità, al di là dei risultati, alche ciò che conta è annunciare nuove
iniziative e, soprattutto, mostrare che si è presenti, che si sta facendo qualcosa per contrastare i motivi, che causano il senso
d’insicurezza, anche a prescindere da un’analisi ponderata delle cause di fondo di determinati fenomeni.
La gestione della paura e dell’insicurezza è una vera e propria risorsa politica, che i sistemi di potere esistenti sfruttano
sistematicamente per lucrare qualche vantaggio e stabilizzare un consenso altrimenti impossibile da ottenere. La paura dell’ambiente in
cui vivono, la paura della globalizzazione, la paura del futuro fa accettare la centralizzazione del potere nell’esecutivo, il consenso
popolare viene recuperato attraverso il decisionismo e le iniziative populiste. Quando lo stato non è più in grado di dare protezione, i
governi diventano sempre più insofferenti rispetto alle leggi ed ai vincoli, si annulla così il contraddittorio costruttivo tra maggioranza ed
opposizione, perché come affermò W. Churchill la democrazia è «un sistema molto poco perfetto e tuttavia migliore di tutti gli altri» ed è
sull’estensione di questo sistema poco perfetto in tutti i campi del vivere, che si gioca la partita di un’innovazione del Nostro benessere
economico e di una migliore qualità della vita.
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UNA VOTAZIONE SVIZZERA
AL CENTR➲ DELL’ATTENZIONE
NO AL MINARETO, Sì AL CONSERVATORISMO BY gr.gr.
Probabilmente mai prima d'ora una votazione popolare in Svizzera ha avuto così tanta risonanza all'estero. La scelta del popolo di
vietare la costruzione di nuovi minareti continua a scatenare critiche tra i paesi mussulmani e le istituzioni internazionali. I minareti non
hanno niente a che vedere col credere nell'Islam, esista o non esista il minareto, non cambia nulla nella libertà che ha ogni musulmano
di professare la propria fede o nel frequentare le moschee.
La Suisse è un paese laico in cui la storia - e non le radici - sono cristiane. Un État laïque n’est pas un État antireligieux. C’est un État
qui, en ne reconnaissant aucune religion, les met toutes à égalité, et dont les citoyens savent qu’ils sont d’abord citoyens. La laïcité est
beaucoup plus efficace pour pacifier le débat qu’un multiculturalisme. Nella laicità gli altri non sono ostacoli alla nostra libertà, ma
compagni di viaggio di cui non possiamo fare a meno e con cui lavorare per il bene dell’umanità, in cui sono forti le proprie fondamenta
(1291) posano su una sola verità: ‘Dieu, Créateur des cieux et de la terre’.
Sono molteplici i fattori che hanno portato verso l’interdizione della costruzione di altri minareti e non hanno niente a che vedere con i
mussulmani. Il risultato è dato dalla percezione di vivere in una condizione di insicurezza, l’accentuazione unilaterale del valore della
diversità, il venir meno delle separatezze delle culture fanno sentire le culture occidentali assediate e il patos dilaga a discapito della
ragione. L’insicurezza non è spiegabile solo in base a dati oggettivi, ma è piuttosto il risultato di una costruzione collett iva, che si sente
ostaggio di fondamentalismi, che intaccano le fondamenta di libertà a cui ogni uomo tende, siano essi: cristiani, mussulmani, atei …
In un contesto di crisi economica e di profondo malessere, si situa l’accentuazione della circolazione dei beni, delle persone e di simboli;
la velocità e il movimento divengono valori alla base di un nuovo sistema, la società si ripiega su sé stessa e il patos prevale su ogni
altra considerazione.
Molta gente ha votato sì al veto, leggendo il simbolo del minareto come rappresentazione di fondamentalismo, altri pensando all’impatto
urbanistico dei minareti sul paesaggio, altri in nome della laicità, etc … Ma c’ è una piccola osservazione, ovvero, per la prima volta i
sondaggi pre-votazione davano dei risultati alquanto diversi da quelli che - in realtà - hanno votato sì: 2 su 3 non hanno osato dirlo
apertamente ed hanno dato risposte politic-correct … E su questo bisogna riflettere!