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9 Presentazione (Lucio Guasti) PRIMA PARTE: MODELLI TEORICI 21 CAPITOLO PRIMO Educare al descrivere • La responsabilità del descrivere • Definire il descrivere • Il contributo di Bruner • La formazione dei concetti • La mente narrativa • La conquista del significato • I dati dal basso • Formare al descrivere 33 CAPITOLO SECONDO Dalla narrazione alla descrizione • Un rapporto problematico • Le funzioni della descrizione • Il punto di vista • Tipologia dei testi descrittivi • Oggettività-soggettività • Caratteristiche dei testi descrittivi • Le tecniche descrittive 49 CAPITOLO TERZO Dalla descrizione al descrivere • Individuare l’oggetto della descrizione • Raccogliere le informazioni • Individuare il destinatario • Stabilire lo scopo della descrizione • Stabilire la tipologia strutturale del testo • Selezionare gli elementi • Stabilire l’ordine degli elementi • Verificare la completezza dell’immagine del referente • Scegliere le tecniche descrittive • Produrre la descrizione 77 CONCLUSIONI SECONDA PARTE: MODELLI OPERATIVI 81 CAPITOLO QUARTO Dal vedere al descrivere INDICE

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9 Presentazione (Lucio Guasti)

PRIMA PARTE: ModEllI TEoRIcI

21 CAPITOLO PRIMOEducare al descrivere•Laresponsabilitàdeldescrivere•Definireildescrivere•IlcontributodiBruner•Laformazionedeiconcetti•Lamentenarrativa•Laconquistadelsignificato•Idatidalbasso•Formarealdescrivere

33 CAPITOLO SECONDODalla narrazione alla descrizione•Unrapportoproblematico•Lefunzionidelladescrizione•Ilpuntodivista•Tipologiadeitestidescrittivi•Oggettività-soggettività•Caratteristichedeitestidescrittivi•Letecnichedescrittive

49 CAPITOLO TERZODalla descrizione al descrivere•Individuarel’oggettodelladescrizione•Raccogliereleinformazioni•Individuareildestinatario•Stabilireloscopodelladescrizione•Stabilirelatipologiastrutturaledeltesto•Selezionareglielementi•Stabilirel’ordinedeglielementi•Verificarelacompletezzadell’immaginedelreferente•Scegliereletecnichedescrittive•Produrreladescrizione

77 CONCLUSIONI

SEcoNdA PARTE: ModEllI oPERATIvI

81 CAPITOLO QUARTODal vedere al descrivere

INDICE

103 CAPITOLO QUINTODescrivere le scienze naturali

115 CAPITOLO SESTOLa costruzione di un acquaterrario per l’osservazione e la descrizione di un sistema biologico naturale

125 CAPITOLO SETTIMOIl laboratorio autobiografico

159 BIBLIOGRAFIA

165 BIBLIOGRAFIA RAGIONATA ESSENZIALE

Educare al descrivere 21

Educare al descrivere

La descrizione è un discorso che conduce alla cosa attraverso le impronte di essa.

(Diogene Laerzio, VII, 1, 60)

In un periodo storico in cui l’apparire è essere, il descrivere è diventato l’indugiare sul dettaglio, o più semplicemente enumerare i dettagli che rendono gratificante l’esibirsi. E, comunque, che bisogno c’è di dire come è fatto un deter-minato manufatto quando è sufficiente dichiarare il marchio per essere capiti, per sentirsi affiliati a un gruppo o, in generale, essere conformi a chi fa tendenza, per comunicare? A Gaspare, il giovane protagonista del romanzo La barca nel bosco di Mastrocola (2004), non serve la sua abilità linguistica, la sua padronanza delle lingue classiche, per sentirsi parte del gruppo. Deve indossare gli «stessi dettagli» dei suoi compagni. Quando, finalmente, potrà esibirne qualcuno, gli sarà per-messo di partecipare ai riti del branco dentro il quale i modi di comunicare sono preverbali. La mancanza di parole caratterizza i dialoghi tra i giovani. La comuni-cazione verbale che scaturisce da interviste occasionali trasmesse dalla televisione, o nei vari reality show, è segnata da un lessico ristretto, da frasi involute, da sintassi approssimativa.

Eppure non c’è nessuno che ritenga complesso descrivere; si riesce ad am-mettere di non comprendere, di non essere creativi, ma non di avere difficoltà a descrivere. Solo quelli che usano la descrizione la pensano diversamente, perché non è affatto semplice rappresentare con parole un oggetto pur avendolo di fron-te o un evento pur avendovi preso parte. Capita quindi di provare un senso di inadeguatezza mascherata da affermazioni che esprimono quello che si sa piuttosto che quello che c’è.

Possiamo toccare con mano questa difficoltà provando a descrivere la figura «impensabile» di L.S. e R. Penrose tratta da Grammatica del vedere di Kanizsa (1980) (figura 1.1).

Capitolo primo

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Se, come è probabile, la prima impressione è stata quella di chiedersi «ma cos’è quest’affare» allora abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci proponevamo: quello di attirare l’attenzione sulla complessità del descrivere in quanto operazione mentale. Infatti è un oggetto senza nome; il ricorso alle conoscenze possedute, in particolare a quelle geometriche, ci permette di scoprire che è una figura sbagliata, impossibile da trovare nella realtà.

La descrizione è il risultato di un insieme di operazioni che implicano degli attori in situazione che condividono: una lingua, il possesso di un lessico appro-priato che permette di dare un nome alla cosa di cui si vuole parlare; la conoscenza del linguaggio delle discipline così come si è storicamente formato; la capacità di sospendere il giudizio, di mettere tra parentesi le anticipazioni che la mente produce; l’abilità di osservare; l’abilità del ricevente nel dare senso e nel connettere i segni con il sistema semantico; la capacità di accedere alla memoria a lungo termine ma anche la capacità di utilizzare strumenti per integrare altre fonti di informazione; la capacità di dare un ordine all’insieme dei dati descrittivi a seconda dell’argomento e del testo a cui afferisce; la capacità linguistica di comunicare la descrizione.

Infine, l’educare al descrivere deve essere declinato come attitudine a con-siderare oggetti ed eventi come si presentano e non come vorremmo che si pre-sentassero.

la responsabilità del descrivere

Il descrivere, prima di essere una operazione mentale da considerarsi da un punto di vista procedurale, riguarda le problematiche proprie della socialità. In-fatti, il dire come sono le cose è alla base della comunicazione. In questo senso ci pare necessario soffermarci a riflettere sul descrivere come azione che, in quanto tale, si potrà analizzare sulla base delle teorie filosofiche che si sono occupate della

Fig. 1.1 Figura «impensabile» di L.S. e R. Penrose (da Kanizsa, 1980).

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responsabilità. Solo nell’epoca moderna il concetto di responsabilità si è affran-cato dall’interpretazione giuridica di imputabilità per essere considerato nella sua dimensione etica.

Weber ha contrapposto, in La politica come professione del 1919 (Weber, 2004), all’etica dell’intenzione (o della convinzione), corrispondente all’agire morale rispetto al valore, l’etica della responsabilità, afferente all’agire razionale rispetto allo scopo, tipica di chi si preoccupa dei mezzi necessari per raggiungere un determinato scopo, tenendo conto degli effetti connessi alle scelte effettuate. Hans Jonas nel suo Il principio responsabilità del 1979 (Jonas, 1990) ha ulteriormente approfondito e precisato il concetto in relazione agli effetti a breve termine e a lungo o lunghis-simo termine. Lo sfruttamento della natura e la produzione di rifiuti smaltibili in secoli o la presenza di scorie radioattive la cui persistente emissione di radiazioni è misurabile in ere geologiche, hanno indotto Jonas a introdurre l’imperativo ecolo-gico a favore delle generazioni future: l’azione deve avere conseguenze compatibili con la permanenza della vita umana sulla Terra.

La rilevanza della responsabilità nel dibattito del Novecento non scaturisce solo dalla riflessione sulle conseguenze ecologiche dello sviluppo della nostra civiltà, ma è segnata dalle domande che l’Olocausto ha posto alle coscienze di tutti: come ha potuto accadere? Come è stato possibile che la civiltà costruita sui grandi valori maturati nella tradizione greco-latina e cristiana e nello sviluppo del razionalismo, non abbia risvegliato gli uomini al dovere di opporsi all’infamia dell’annichilimento del diverso? È su queste tormentate riflessioni che un filosofo come Lévinas (2004) compie un ulteriore passo nell’approfondire il valore della responsabilità per l’uomo contemporaneo. Infatti solo nella misura in cui un soggetto è responsabile, avverte l’inalienabile identità di se stesso e riconosce l’unicità del suo io.

Nel clima generale in cui si è approfondito il concetto di responsabilità (non dimentichiamo che per quasi mezzo secolo l’intera umanità è vissuta sotto l’incubo di una devastante terza guerra mondiale), si è sviluppato un filone di ricerca che ha tentato di connettere la democrazia alla responsabilità come diritto di cittadinanza. Non quindi una democrazia ridotta a meccanismo elettorale per selezionare il gruppo dirigente di una nazione, ma come ethos, come modo di vita che riconosce nell’altro le radici del proprio esistere come persona. In questa prospettiva troviamo una fondazione razionale dei principi dell’agire basata sulla forma linguistica della comunicazione umana nelle teorizzazioni di Apel (1977) e di Habermas (1985). L’etica del discorso, questa è la denominazione assunta in campo filosofico, presuppone che ogni argomentazione acquisisca un significato intersoggettivamente comprensibile, sia vera e sincera (nel senso che chi argomenta crede a ciò che afferma), sia corretta normativamente (nel senso che rispetta le regole logico-linguistiche) e, soprattutto, assuma una valenza etico-politica (in

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quanto l’osservanza delle regole istituisce una comunità ideale). La portata di questa dimensione sta nella sua controfattualità in quanto antitesi della comuni-cazione quotidiana. Il valore emancipante dell’etica del discorso è rafforzato dallo smascheramento degli interessi che condizionano la comunicazione.

Le ricadute dei richiami precedenti sul descrivere sono a questo punto del tutto evidenti. Se il descrivere è un rappresentare con parole a fini comunicativi, una descrizione che non tenesse conto delle responsabilità che essa assume, costitu-irebbe fonte di disgregazione sociale. Mentre nella comunicazione intersoggettiva, la ricerca e la costruzione di un significato condiviso impongono per entrambi gli interlocutori il dovere di descrivere eventi o oggetti secondo modalità che implicano comprensibilità, verità, sincerità, veracità e correttezza, non altrettanto avviene nella comunicazione mediale. In quest’ultima, senza possibilità di intervenire in tempo reale, i fatti possono essere creati o, viceversa, negati. La memoria corre veloce a eventi come l’epidemia aviaria o la preoccupazione connessa al consumo di carne bovina. Notizie di eventi, ad esempio la morte di un animale, per ragioni non accertate, a migliaia di chilometri di distanza, incombevano come un macigno sulla casa di ogni ascoltatore. Improvvisamente, quasi una regressione nel pensiero magico, si assiste alla scomparsa del pericolo senza che si sia percepita l’efficacia di una azione riparativa.

Il dibattito riguardante la televisione ha assunto una grande rilevanza a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, quando la funzione di omologare le varie lingue della nostra nazione ha cominciato a cedere il passo all’intrattenimento. In quel contesto ha preso corpo la possibilità concreta di un analfabetismo deter-minato dall’uso smodato della televisione, in particolare con il modello imposto dalla televisione commerciale. Alle nuove generazioni non si proponevano più i libri attraverso la cui lettura scoprivano con il sapere le vie per costruire un modo di pensare, ma la televisione. Con quella è ritornato in auge un tipo di personalità che, per certi versi, richiama quella propria delle culture orali ma che, per altri, è profondamente diversa perché, per ragioni di mercato, non mantiene alcun valore tradizionale. Gli studi di Ong (1986) hanno rilevato che la padronanza della letto-scrittura determina uno stile di vita aperto all’innovazione e uno stile di pensiero caratterizzato da riflessione e introspezione. La solitudine del lettore è un comunicare con una comunità di pensanti, un condividere conoscenze, esperienze ed emozioni per quanto, di fatto, non in presenza. Richiede, altresì, un tirocinio che, di solito, affina le abitudini del buon lettore. È proprio nella durata del tirocinio, con il quale la lettura forma la mente dell’uomo moderno che autori, come Postman (1984), scoprono l’origine dell’infanzia come periodo dello sviluppo con proprie regole e necessità formative e vedono nell’affermarsi della televisione la scomparsa della stessa. È stato il computer a fermare la deriva negativa che la televisione poneva, ma oggi possiamo forse rilevare che non si

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è trattato di un rimedio risolutivo, perché è semplicemente mutato il carattere specifico dell’analfabetismo, definito funzionale.

Il descrivere è il grande dono che la rivoluzione scientifica del Seicento e l’Illuminismo hanno consegnato alle generazioni future, nel senso che il divulgare il sapere è diventato fattore di emancipazione e sviluppo. Appartiene al descrivere la responsabilità di contrastare l’idea estrema del relativismo radicale inteso come quella posizione teorica secondo la quale tutto è interpretazione. È del descrivere il compito di dimostrare che le interpretazioni non in accordo con i fatti sono prive di fondamento. Poiché, come vedremo, conosciamo solo attraverso interpretazioni, il descrivere è l’unico modo per smascherare le teorie false e, quindi, per progre-dire nella conoscenza, ma anche per costruire relazioni sociali fondate sul rispetto per l’altro. Nascondere fatti e manipolarli sono strumenti a cui talora ricorre il Potere per facilitare la nascita di atteggiamenti congruenti ai propri obiettivi. La manipolazione, ovvero le false descrizioni, non è costruita per espandere la filosofia dell’inclusione, ma per creare situazioni di svantaggio per alcuni. Nella recente storia contemporanea il ricorso alla manipolazione della notizia è stato all’origine di un conflitto, quello in Iraq, di cui non si vedono sviluppi positivi. La costruzione di dossier sulle armi segrete di distruzione di massa ha creato le condizioni perché si sviluppasse un atteggiamento favorevole all’intervento militare. Successive indagini hanno dimostrato che si trattava di documentazioni che rispondevano a esigenze precostituite – sconfiggere militarmente l’Iraq – che in una democrazia si possono perseguire solo con il consenso. Proprio l’incombente rischio di stravolgere i fatti esalta la responsabilità del descrivere per costruire una società aperta.

definire il descrivere

Il percorso che proponiamo prende atto che gli elementi descrittivi corrispon-dono ai primi elementi di conoscenza e che questi sono comunicati linguisticamente all’interno di storie. È sufficiente osservare una sola volta l’interazione madre-figlio, per capire come l’adulto supporti la comunicazione con la descrizione dell’evento. Per questo ci pare naturale trattare l’argomento evolutivamente, secondo una se-quenza che prevede il narrare come veicolo del descrivere e, attraverso l’analisi di come funziona un testo descrittivo, illustrare le operazioni coinvolte.

Con quanto anticipato possiamo iniziare il nostro percorso assumendo come punto di partenza la definizione riportata da dizionari della lingua italiana, con riferimento all’uso pratico del termine.

Tullio De Mauro nel suo Grande dizionario italiano dell’uso offre la seguente definizione di descrizione:

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Rappresentare con parole evidenziando le qualità e i particolari; spiegare, delineare; esporre con ricchezza di particolari; raccontare. [...] Sinonimi del vocabolo descrivere sono: delineare, raccontare, raffigurare, ritrarre, spiegare. (De Mauro, 1999, vol. 2, p. 545)

La formulazione di De Mauro pone in evidenza almeno due elementi fonda-mentali: il primo riguarda l’esame di realtà, per il quale l’argomento è arricchito di particolari e caratteristiche che hanno un rapporto di completezza e coerenza con il referente; il secondo sottolinea il fatto che gli elementi descrittivi sono esposti in un racconto. Il descrivere è quindi una operazione mentale che richiama, da un lato, le abilità linguistiche proprie del narrare e, dall’altro, il saper leggere i dati dal basso integrandoli con le conoscenze possedute.

Poiché nella relazione educativa è importante partire dalle spontanee modalità di lavoro della mente del discente, nell’ambito di una situazione di apprendimento è importante condurre l’alunno alla padronanza delle abilità linguistiche attraverso la narrazione. Gli studi di psicologia dello sviluppo in tema di nascita del pensiero hanno dimostrato, infatti, che il modo naturale di costruire conoscenza è quello di narrare. Questa affermazione trova la sua giustificazione nell’ontogenesi della cultura del bambino. Questi nasce nella condizione di prematuranza, per la quale lo sviluppo del cervello avviene dopo la nascita in una situazione di interazione con l’ambiente. La dipendenza parentale realizza le condizioni di inculturazione, poiché il bambino apprende ciò che è necessario per inserirsi nella cultura dalle persone che si occupano di lui.

Secondo la teoria interattivo-costruzionista l’immaturità del bambino non significa assenza di competenze, poiché varie evidenze empiriche hanno dimostrato l’esistenza di una dotazione di partenza: da quella percettiva presente nel feto, come ad esempio l’udito, alla competenza sociale che nella prospettiva culturale da Vygotskij a Bruner e Geertz è all’origine dei processi mentali. Quest’ultima si manifesta con la preferenza per il volto, di solito quello materno, con la presenza del sorriso sociale come premessa per uno scambio interattivo di mutua soddisfa-zione, con la condivisione dell’attenzione per la quale bambino e adulto orientano il proprio interesse verso lo stesso oggetto o evento.

Dalla descrizione al descrivere 49

Dalla descrizioneal descrivere

La descrizione è il discorso che significa ciò che è l’essere di una cosa mediante caratteri accidentali.

(Pietro Ispano, Summ. Log., 5.12)

Nel dipinto La scuola di Atene di Raffaello, i due grandi filosofi dell’antichità, Platone e Aristotele, sono collocati al centro di una grande scena con la mano destra rivolta, in un caso, verso l’alto e, nell’altro, verso il basso. Sembra un’immagine emblematica dei processi cognitivi che guidano il descrivere, per il quale gli ele-menti su cui operare sono da un lato le idee, le immagini, le aspettative, i ricordi, dall’altro i dati così come sono percepiti.

Una difficoltà non secondaria è l’elaborare gli elementi così selezionati all’in-terno di strutture linguistiche adeguate in un determinato sistema semantico. Il sistema semantico fa riferimento ad astrazioni, artefatti della mente, in grado di dare significato a manifestazioni evolutivamente importanti per gli uomini come, ad esempio, quello di attribuire un senso alla vita. Quello che si sa è codificato nella cultura che guida l’agire umano, così come ci spiega l’antropologia culturale le cui acquisizioni e linee di ricerca ci aiutano a comprendere le differenze etniche.

Il mondo è rappresentato simbolicamente dalla cultura che attribuisce signifi-cato alla realtà rendendola interpretabile attraverso una molteplicità di testi: storie, teorie scientifiche, miti, credenze, prodotti artistici. Geertz (1988) ha osservato, che è impensabile un essere umano al di fuori di un continuo processo interpretativo dell’esperienza umana. Le etnografie sono, in questo senso, delle descrizioni rigorose in grado di far emergere i modi attraverso cui in una data cultura si stabiliscono relazioni simboliche tra individui e gruppi. Nella prospettiva antropologica, la cultura è costituita dai processi di convenzionalizzazione che scaturiscono dalle condizioni materiali, psichiche e sociali. Le convenzioni originano da negoziazioni tra le persone della comunità, garantendo e rendendo possibili la reciprocità co-municativa basata sulla condivisione del significato utilizzato dall’interlocutore. Il

Capitolo terzo

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principio su cui la comunità si sente impegnata a definire la convenzione è la salienza condivisa, per la quale alcuni aspetti di un evento o di un oggetto sono ritenuti più salienti di altri e come tali diventeranno parti del significato. La significazione è un processo che richiede l’azione partecipata dei membri di una comunità e istituisce una relazione tra simbolo, referente e referenza (rappresentazione mentale dell’evento o dell’oggetto). Il rapporto tra segno o simbolo e referente è mediato da una immagine mentale.

L’esito dell’attività di significazione è l’elaborazione di una lingua naturale tramite la quale i partecipanti manifestano significati e intenzioni. I parlanti, at-traverso la rete di significati di una lingua condividono una determinata visione del mondo, esperienze emotive, status e ruoli sociali.

La natura del significato è quella di un costrutto mentale composto da proprietà semantiche disposte gerarchicamente; infatti le proprietà semantiche si suddividono in due categorie: essenziali e tipiche. Così nel significato di un uccello è essenziale avere il becco ed essere oviparo, è solo tipico saper volare.

Il significato, ovviamente ogni significato, presenta confini sfumati per la sua indeterminatezza referenziale resa evidente dall’uso di quantificatori, qualificatori, avverbi e incisi. La plasticità del significato è caratterizzata anche dal fatto che le pro-prietà semantiche sono usate in presenza di modi di dire che modificano la dimensione di senso. Ad esempio, il significato di fiume può essere fortemente diverso grazie a quantificatori e qualificatori, ma anche a modi di dire come: un fiume di lacrime, un fiume di carezze, ecc. Ne consegue che un significato non è fisso e assoluto ma varia in relazione al contesto e all’espressione. I parlanti, in funzione delle intenzioni comunicative, possono quindi impiegare i significati con maggiore e minore flessi-bilità e variabilità. Tale caratteristica è alla base della possibilità di rinegoziare nella comunità un diverso significato e della diversità semantica tra le varie culture.

Secondo la prospettiva culturale qui delineata, i significati non sono delle entità astratte e indipendenti, ma derivano dalla elaborazione e dall’uso che ne fanno i parlanti, essendo strettamente collegati alle loro rappresentazioni mentali.

Il sapere di un soggetto è costituito dal repertorio di definizioni acquisite, simili a quelle di un dizionario, e dalle conoscenze conseguenti alle esperienze di vita all’interno di una determinata cultura. Questa sorta di enciclopedia delle conoscenze istituisce le condizioni concettuali ed epistemologiche per elaborare i significati.

Alla formazione del sapere concorrono diversi processi mentali: dalla perce-zione, alla costruzione di eventi, agli schemi mentali, ai processi di inferenza e di ragionamento. Il sistema dei significati costituisce un potente dispositivo cognitivo per descrivere, raccontare e piegare il mondo della vita in funzione di specifiche rilevanze e salienze che ogni evento porta con sé.

Dalla descrizione al descrivere 51

Il modo di spiegare gli eventi della vita, di descriverli, è plasmato dalla cultura di appartenenza la quale offre gli strumenti. I dati di realtà, in funzione degli schemi mentali utilizzati, possono essere distorti fino a configurarsi come l’espressione di un punto di vista ma, nello stesso tempo, devono costituire un passaggio necessario per rinegoziare i significati e per condividerli a fini comunicativi.

Il descrivere è un’operazione mentale che agisce sui «prodotti culturali» at-traverso una sequenza di fasi che prevedono:

– l’individuazione dell’oggetto della descrizione – la raccolta delle informazioni – l’individuazione del destinatario– lo stabilire lo scopo della descrizione– lo stabilire la tipologia strutturale del testo– la selezione degli elementi descrittivi– la disposizione e l’ordine degli elementi descrittivi– la verifica della completezza dell’immagine del referente– la scelta delle tecniche descrittive– la produzione della descrizione.

Vediamo nel dettaglio ciascuna di queste fasi.

individuare l’oggetto della descrizione

L’individuazione del referente costituisce un momento importante del pro-cesso descrittivo, in quanto l’oggetto può essere reale o immaginario, concreto o astratto, particolare o generico.

L’individuazione mette in atto dei processi dall’alto che coinvolgono l’or-ganizzazione della conoscenza nella nostra mente. Nell’ambito delle ricerche cognitiviste si parla di memoria semantica (Tulving, 1972) distinta dalla memoria episodica: la prima permette di avere conoscenze di carattere generale sul mondo, l’altra raccoglie conoscenze che riguardano le esperienze personali.

Nel nostro sistema sociale la memoria semantica viene alimentata dagli apprendimenti scolastici formalizzati, mentre in una cultura non alfabetizzata assume un valore rilevante l’esperienza diretta. In un certo senso, la memoria semantica evoca una grande enciclopedia in cui, secondo un ordine predefinito, gli oggetti sono linguisticamente raccolti.

L’accesso alla memoria semantica permette di recuperare le informazioni neces-sarie per rispondere alla richiesta: «Prova a dire quello che sai di questo oggetto».

Una delle prime difficoltà potrebbe riguardare il nome dell’oggetto o il nome delle parti che lo compongono. Questa capacità attiene alla competenza defini-toria che rappresenta linguisticamente la qualità della formazione del concetto sottostante. La risposta presuppone la capacità di definire il referente nel modo più completo possibile.

82 descrivere

Attività 1. LA mente costruisce LA reALtà

Note psicopedagogicheGli studi sulla percezione hanno dimostrato che ciò che vediamo non è una fedele riproduzione della realtà, intesa come qualcosa che esiste nel mondo fisico. Né bisogna indurre l’idea che la percezione sia una funzione mentale inadeguata o ingannevole. Semplicemente, come hanno dimo-strato gli psicologi della Gestalt, esiste una discrepanza tra ambiente fisico («geografico») e ambiente comportamentale. Ne consegue che il comportamento non è influenzato dall’ambiente fisico ma dall’ambiente fenomenico, ovvero non da quello che c’è ma da quello che si pensa che ci sia.

considerazioni metodologiche e didatticheL’insegnante distribuisce agli alunni le schede con l’indicazione delle attività da svolgere. Successivamente, utilizzando un proiettore o una lavagna luminosa, viene proiettata la stessa immagine presente sulla scheda e inizia la discussione con lo scopo di evidenziare la discrepanza tra immagine fisica e visione.

Non si vede quello che c’è

Osserva le seguenti figure

Operazioni mentaliOsservare in modo analitico lo stimolo visivoComunicare l’osservazioneConfrontare le due immagini traslando la prima sulla se-condaComunicare i risultati del confronto

Descrivi le due figure ___________________________________________

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_____________________________________________________________ Hai osservato che la figura di sinistra c’è anche nella figura di destra? _______

Per poterla vedere come fai? ______________________________________

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dal vedere al descrivere 83

Note psicopedagogicheIn questa scheda è opportuno far notare ai ragazzi che il fatto di sapere che il triangolo è presente anche nella figura di destra non ci permette di vederlo. Si tratta di un fenomeno di mascheramento presente in natura e utilizzato dall’uomo in tutte quelle situazioni in cui l’essere invisibili, ovvero essere confusi con lo sfondo, favorisce il raggiungimento di uno scopo.

Operazioni mentaliOsservare in modo analitico lo stimolo visivoComunicare l’osservazioneCoprire la parte destra del dise-gno e osservare l’orientamento degli scaliniCoprire la parte sinistra del di-segno e osservare l’orientamento degli scaliniRiconoscere gli elementi in-congruentiComunicare i risultati del confronto

si vede quello che è impossibile vedere

Osserva la seguente figura

Note psicopedagogicheL’esposizione a una figura impossibile ci induce a pensare che non è necessario che un oggetto esista nella realtà fisica per esistere nel mondo fenomenico dell’osservatore. Questo concetto può essere ulteriormente approfondito proponendo alcune immagini impossibili di Escher, in cui l’osservatore sperimenta, analizzando l’immagine, il tradimento delle aspettative percettive.

Descrivi la figura ______________________________________________

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84 descrivere

si vede la stessa cosa, ma da punti di vista diversi

Osserva la figura

Descrivi che cosa vedi __________________________________________

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Utilizzando le matite colora le facce del cubo che vedi in forma tridimensionale evidenziando la parte posteriore e quella anteriore con due colori diversi.

Da quale punto di vista lo stai osservando? __________________________

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Cerca altri punti di vista

Operazioni mentaliOsservare in modo analitico lo stimolo visivoIndividuare la base di appog-gioCambiare punto di vistaDescrivere i diversi punti di vista

Note psicopedagogicheIl cubo di Necker può essere visto come se fosse appoggiato su un tavolo o appeso a un soffitto. Un terzo punto di vista prevede che il cubo sia visto come una scatola aperta. Il fatto che lo stesso oggetto permetta una pluralità di letture ci permette di sostenere che il rapporto della nostra mente con il mondo fisico è meno semplice di come il realismo ingenuo lascerebbe intuire. La ricerca di altri punti di vista può essere proposta utilizzando riproduzioni della figura in fotocopia.

dal vedere al descrivere 85

Operazioni mentaliOsservare in modo analitico lo stimolo visivoComunicare l’osservazionePrendere consapevolezza che non esiste fisicamente una figura che copre cerchi e triangolo

si vede quello che non c’è

Osserva la seguente figura

Descrivi la figura ______________________________________________

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Note psicopedagogicheIl triangolo bianco su fondo bianco di Kanizsa non ha i lati eppure ci appare come se avesse una sua materialità, diversamente dal triangolo che può essere immaginato quando si segnano i vertici con un punto. È importante osservare che nel campo visivo possono esistere oggetti senza una specifica corrispondenza nella realtà fisica.

86 descrivere

si vedono le cose differenti da quello che sono

Osserva le seguenti figure

Note psicopedagogicheLe figure presentate appartengono al vasto repertorio delle cosiddette illusioni ottico-geometriche. Non si tratta evidentemente di trucchi, bensì di specifiche modalità di visione che persistono anche quando si sa che sono illusioni. È opportuno che gli alunni facciano una verifica e che interiorizzino l’idea che quanto si percepisce può essere diverso da quanto c’è nella realtà.

Operazioni mentaliConfrontare visivamente i particolari (linee e segmenti) utilizzando il criterio della distanza nel primo caso e della lunghezza nel secondoConfrontare i risultati percettivi con quelli ottenuti con l’utilizzo di uno strumento di misura

Descrivi le figure ______________________________________________

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Nella figura in alto come sono tra loro le righe oblique? _________________

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Nella figura in basso come sono i due segmenti? _______________________

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dal vedere al descrivere 87

si vedono più cose in luogo di una sola

Osserva la seguente figura Operazioni mentaliAnalizzare i dettagli della fi-guraIsolare elementi che costituisco-no una figura che emerge dallo sfondo (una donna giovane o una donna vecchia)Inibire la figura emersa per combinare gli elementi in modo diverso, facendo emergere l’altra figuraPrendere consapevolezza che il primo punto di vista, persisten-do, maschera il secondo

Note psicopedagogicheÈ la famosa figura ambigua di Boring nella quale coesistono le raffigurazioni di due donne: la giovane e la vecchia. È importante osservare che lo stesso stimolo può produrre sensazioni o percezioni molto diverse, in contrasto con l’ingenua idea che vi sia una corrispondenza tra cose e rappresentazioni. È formativo far lavorare gli alunni a coppie nella seconda parte dell’esercita-zione, in quanto offre la possibilità di una ricerca condivisa.

Descrivi la figura che vedi _______________________________________

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Nell’immagine, oltre alla figura che hai individuato ve n’è un’altra. Prova a cercarla e a descriverla __________________________________________

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considerazioni metodologiche e didattichePer la trattazione di questo argomento si propone l’utilizzo di graphic novel e, precisamente Jonas Fink di Giardino. La vicenda riguarda una storia di ragazzi nella Praga comunista. Le proibizioni sono poliziesche, per quanto riguarda la società, e famigliari, relativamente ai rischi che corrono gli adolescenti coinvolti. La tavola riproduce un momento importante della narrazione e si presta favorire la discussione sull’adolescenza.

Note pedagogicheIl mito si incarica di descrivere il significato che vorremmo dare alla nostra vita.Con il termine «mito» non si intende fare riferimento a quella narrazione introdotta dalla filosofia classica che si propone di conoscere il mondo, la sua essenza, ma più umilmente quanto è in grado di polarizzare le aspirazioni di una comunità, o di un’epoca, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente (ad esempio, il mito della Resistenza, il mito della rivoluzione).Nella cultura giovanile riguarda quegli eventi e, per estensione, i protagonisti, in cui si realizza una intensa e prolungata esposizione e partecipazione emotiva come, ad esempio, in un concerto di musica rock.

Attività 4. Le proibizioni

sapendo cosa era successo ci abbracciò anche lei e si mise a urlare contro i fascisti

che le avevano portato via di casa la radio. Ho capito che non avrei mai lasciato quel

mito.

Osservazioni della classe

Nel racconto di Paolo che cos’è un mito?

•Ècrederecheuneventopossaconteneretuttociòcherendelavitadegnadiessere vissuta (la gente si sparava addosso per affermare il diritto alla libertà, alla democrazia, alla giustizia)

•Èpensarechequell’eventopossaispirarelepropriesceltefuture(«Hocapitoche non avrei mai lasciato quel mito»)

•Èsentirsioffesiseilmitoèridottoaunacredenzafalsa(«Nellarealtàsitrattòdi una guerra civile spietata»)

•Èsentirsiarrabbiatiperchéqualcunohamessoindubbiolacredibilitàdeiprotagonisti dell’evento mitico («Anche i partigiani si macchiarono di terribili delitti»)

•Èsentirsiprotagonistidiunmondosimbolicopositivo(Paolohacapitochenon avrebbe mai tradito quegli ideali)

il laboratorio autobiografico 141

© Vittorio Giardino, tratto da Jonas Fink – L’adolescenza, Roma, Lizard Edizioni, 1998

142 descrivere

Obiettivi

individuare e descrivere le proibizioni

descrivere i propri sentimenti durante la trasgressione

descrivere le emozioni

visione del film «Ovosodo» di Paolo virzì

Il film, che riguarda la classica crisi adolescenziale con le sbandate del prota-gonista, si presta a essere utilizzato come stimolo per far emergere le difficoltà nel diventare adulti.

cresciuto in un quartiere popolare di Livorno, detto Ovosodo, Piero arriva faticosamente

al liceo classico, diventa amico del ricco e irrequieto Tommaso, piglia una sbandata

per una cugina dell’amico, è bocciato alla maturità e, dopo il servizio militare, trova

lavoro nella fabbrica del padre di Tommaso finché gli tocca in premio la coetanea e

coinquilina susy. e si trova sistemato: marito, padre e operaio. (da: il Morandini 2007.

dizionario dei film, p. 1030)

Al termine, ai ragazzi è proposta una scheda di riflessione per guidare la descri-zione di episodi e la successiva discussione:

ripensando al film, quali sono stati i due episodi che a tuo parere meglio descrivono

l’intenzione di non accettare le proibizioni e, quindi di trasgredirle?

Quali sentimenti hai provato riguardo agli episodi individuati? descrivile.

Quale personaggio ti sarebbe piaciuto interpretare? Perché?

Note pedagogicheLe proibizioni stabiliscono dei limiti che in quanto tali permettono al soggetto di strutturare il proprioséreale.Nellostessotempopossonopossedereungradoelevatodiarbitrarietàchelerende odiose, specie se sono regolarmente violate da altri significativi. Forniscono alla trasgres-sione un’aura di fascino in particolare quando l’ignorare la proibizione rende simili a persone famose e di successo.

considerazioni metodologiche e didatticheI ragazzi sono invitati a descrivere episodi relativi alle proprie trasgressioni. Successivamente gli alunni che lo desiderano leggono ad alta voce il proprio racconto. Quindi vengono sollecitati a individuare gli elementi descrittivi salienti.

Lo faccio lo stesso!

il laboratorio autobiografico 143

L’episodio descritto da Marco:

in casa nostra nessuno fuma, eccetto mio zio Piero che però cerca sempre di trat-

tenersi, per evitare di sentirsi dire che sarebbe meglio smettere di fumare, che ne

guadagnerebbe la salute e anche il portafoglio starebbe meglio. A volte capita che

ancor prima che lui prenda in mano una sigaretta qualcuno gli chieda ironicamente se

ha smesso di fumare e allora tira fuori il pacchetto di Marlboro e comincia a fumare

come una ciminiera.

se continua a farlo, mentre tutti gli dicono che fa male, forse c’è qualcosa di buono.

È pensando una cosa del genere che un giorno vedendo i miei amici di terza che si

isolavano per fumare, mi sono avvicinato e ho chiesto di provare. subito mi hanno dato

una sigaretta, una Gauloise, e mi hanno detto che dovevo tirare il respiro quando la

fiamma del fiammifero si avvicinava alla sigaretta. sentì bruciare in fondo alla gola e

cominciai a tossire. i miei amici si misero a ridere, e il più giovane del gruppetto, un

ragazzino che faceva la quinta elementare respirò a pieni polmoni e lasciò che il fumo

uscisse lentamente dalle narici con aria di superiorità. Ho pensato che avrei fumato da

grande, ma non mi è ritornata la tentazione.

L’episodiodescrittodaHillary:

A pochi chilometri da casa mia scorre il fiume Bormida, nel quale le generazioni passate

cercavano refrigerio nel periodo estivo. il letto del fiume è pieno di buche profonde, a

causa dell’estrazione di sabbia e ghiaia, nelle quali si formano vortici pericolosi. Questa

è la causa di periodiche morti accidentali di ragazzi inesperti. Anch’io ho ricevuto la

raccomandazione di non andare al fiume e l’ho sempre rispettata, anche se mi sembrava

che la mamma non mi credesse perché sapeva per certo che alcuni dei miei vecchi

compagni di scuola avevano l’abitudine di andare a fare il bagno nel pomeriggio. se

devo proprio dirla tutta non mi costava neppure tanta fatica perché l’acqua non mi

sembrava molto pulita.

Un giorno ho raggiunto tutti i miei amici ai giardini e ho visto che erano attrezzati per

andare al fiume, anche le mie due amiche con le quali di solito passavo il pomeriggio

ad ascoltare musica e a parlare. cominciarono a insistere perché andassi con loro e

poiché mi scocciava restare sola e tornare a casa, decisi di seguirli. c’era un’aria allegra,

una grande voglia di scherzare, ma io facevo fatica a adattarmi. raggiungemmo una

piccola ansa appartata in cui l’acqua correva abbastanza limpida, per cui si vedeva che

il fondo non era più profondo di mezzo metro. Qui i miei amici giocavano, si tiravano

l’acqua, senza mai avventurarsi dove l’acqua era scura o dove si vedevano dei mulinelli.

io, però, mi sentivo triste, colpevole per aver disobbedito alla proibizione, ma arrabbiata

perché i miei amici avevano avuto il permesso purché evitassero i punti pericolosi. solo

io tornai a casa stanca, triste e avvilita.

144 descrivere

Osservazioni della classe

•Nelproibitoc’èqualcosadibuono(seMarcononavessetrasgredito,nonavrebbe mai saputo veramente che i suoi genitori avevano ragione)

•Sequalcunoimportantefalacosaproibita,tichiediperchéluipuòfarlaetuno•L’accanimentonelproibirequalcosache,perquellochesivede,nonfamale

e chi trasgredisce sembra più sereno, è un invito a trasgredire (lo zio è più rilassato dopo una sigaretta)

•Nelproibiresimostrasolol’esitopiùnegativo(Marcosentivailbisognodiprovare cosa c’era di buono nel trasgredire)

•Igenitoridovrebberoaverepiùfiduciaespiegarechecerteazionisipossonocompierepurchésievitinolesituazionidipericolo(Hillarysisentivamorti-ficata per la mancanza di fiducia dei genitori)

La tentazione

considerazioni metodologiche e didatticheIl tema della droga dovrebbe essere proposto a questo punto, ben sapendo che nessuno dei ragazzi ammetterà di averne fatto uso, se non per vantarsi o per dimostrare di essere più autonomo dalla tutela famigliare, più trasgressivo, capace di leggere l’ipocrisia del conformismo diffuso. Si propone come stimolo la lettura di questo adattamento da un romanzo di Carla Cerati. Successivamente con modalità cooperative, prima a coppie, poi in gruppo, si discuterà sull’argomento.

Trovai cosimo — era il compagno di classe preferito da mio figlio e, nell’ultimo gli era

capitato tante volte di mangiare da noi e di dormire in camera con Ludovico — accucciato

accanto alla porta, le braccia strette attorno alle ginocchia, un pullover stinto sopra la

pelle nuda, un tremito appena percettibile, la fronte imperlata di gocce. Mi abbracciò

facendo un gesto che aveva il potere di commuovermi: strofinò il viso contro la mia

spalla come un gattino. Mi chiese di prestargli cinquantamila lire. Leggendo nei miei

occhi la sorpresa, quasi mi aggredì: «Non capisci. devo farmi. subito».

Non avevo mai pensato che un giorno mi sarei dilaniata su un problema come questo,

da risolvere sui due piedi. cosimo aveva uno sguardo così disperato che improvvisamente

decisi di accompagnarlo, lui sapeva dove trovare quello che gli serviva. Pioveva tanto forte

che quasi non vedevo la strada, mi limitavo a seguire le sue indicazioni; in via conca del

Naviglio mi disse di fermarmi. Lo aspettai una decina di minuti, lasciandomi sommergere

dal rumore dei rovesci d’acqua. Non riuscivo a pensare a niente di razionale, mi sembrava

di essermi resa complice di un delitto. Lui rientrò sbattendo la portiera, immaginai che

non avrebbe aspettato neppure un secondo. ebbi una reazione isterica: «Non voglio

esserci!», gridai. Lo lasciai rifugiandomi in un portone dove rimasi finché la pioggia

il laboratorio autobiografico 145

considerazioni metodologiche e didatticheLe attività di questa unità di lavoro prendono spunto da una lettura di fantascienza, Fahrenheit 451, in cui è proposta l’immagine di una società il cui obiettivo è quello di rendere possibile, grazie al progresso tecnologico, la lotta contro l’infelicità delle persone, derivante principalmente da emozioni e sentimenti alimentati da conflitti intra e interpsichici che i libri tengono svegli. Il felice torpore della società è minacciato solo dai libri, residui che devono essere eliminati. Si propone la lettura e la riflessione su alcuni brani, con l’obiettivo di far emergere la positività psicologica del conflitto.

cominciò a diminuire. c’era una tettoia di lamiera da qualche parte su cui le gocce face-

vano una specie di concerto: fortissimo, forte, allegro… pensavo alla musica di cosimo,

alle composizioni abbandonate forse per sempre; cercavo di immaginare come l’avrei

trovato rientrando in macchina. infine mi decisi, non so quanto tempo fosse trascorso.

Non era riverso sullo schienale come avevo temuto, ma non osai guardarlo negli occhi.

Lui mi strofinò il viso contro la spalla: «Grazie. Ti giuro che è l’ultima volta».

Naturalmente mentiva. dopo che si fu asciugato e riposato sparì portandosi via il mio

libretto di assegni e la macchina fotografica.

Da: C. Cerati (1994), Legami molto stretti, Milano, Frassinelli, adattamento da S. Damele e T. Franzi (2007), Storie che contano. Testi e scenari culturali, Torino, Loescher, p. 327

I ragazzi comunicano i seguenti elementi descrittivi rispetto al personaggio di Cosimo:

•«Chiera?»:uncompagnodiscuoladiLudovico,suonava.•«Comesièpresentato?»:accucciatovicinoallaporta,lebracciastretteattorno

alle ginocchia, pallido, la fronte imperlata di sudore, un pullover stinto, aveva la caratteristica di strofinare il viso sulla spalla

•«Cosavoleva?»:cinquantamilalireperfarsi

Osservazioni della classe

•Erafattoperso,sièmessoarubare•Ladroganontilasciascamposerimanisolo•Finisciperpensaresoloacomeprocurartiladroga,perforzarimanidasolo•Noncombinanopiùnientedibuono•Isuoigenitoridov’erano?•Lohannolasciatosoloinunmomentodisbandamento•Forseètroppodifficileaiutarequalcunoquandoèandatotroppooltre,anche

perchél’aiutochevuoleèquellodiavereisoldipercontinuareadrogarsi

Attività 5. i confLitti