dentro e fuori il mare

26

Upload: alfio-giannotti

Post on 31-Mar-2016

243 views

Category:

Documents


12 download

DESCRIPTION

pesca e territorio sulle coste campane

TRANSCRIPT

Page 1: Dentro e Fuori il Mare

Ê8,

00IT

INE

RA

RI

ALL

A S

CO

PE

RT

A D

ELL

A R

EG

ION

EC

AM

PA

NIA

FE

LIX

Page 2: Dentro e Fuori il Mare

Vivere pienamente il mare vuol dire anche soffermarsi sull’importanzadella pesca, la cui attività e i cui frutti non solo caratterizzano i nostricostumi conviviali e le nostre tradizioni culinarie ma definiscono i carat-teri di un territorio, la sua cultura, il suo stesso modo di essere.Parlare della pesca vuol dire presidiare un patrimonio che non può andaredisperso, nonostante gli indirizzi comunitari sempre più rivolti ad una poli-tica di dismissione che si incrocia anche con un ceto peschereccio signifi-cativamente coinvolto da una grave crisi economica e produttiva e dallamancanza di ricambio con le nuove generazioni.

Alla pesca si associano, per modalità e motivazioni diverse, anche altri settori produttivi. Primo fra tutti l’acquacoltura: principale settore di diversificazione per gli operatori del settoreittico e interessante prospettiva per migliorare l’offerta di alimenti nobili rispetto alle sole attivi-tà di cattura.L’acquacoltura deve ancora conquistare completamente i mercati, per invogliare i numerosi con-sumatori diffidenti, perché è sempre più chiaro il percorso verso produzioni di qualità ottenutesecondo i più attuali protocolli produttivi miranti alla certificazione o al biologico e che possonogarantire la piena tracciabilità del prodotto con il ricorso all’etichettatura.È necessario quindi affrontare le tematiche del mare come di “sistema marino”, nel quale devonointeragire e integrarsi le diverse destinazioni produttive in considerazione delle esigenze biologi-che degli ecosistemi e delle necessità economiche e sociali delle popolazioni nelle aree maggior-mente dipendenti dalla pesca, affinché possano individuarsi perseguibili soluzioni a beneficio dellerisorse e di quanti di esse vivono.Da affermare e sempre più approfondire è anche l’interazione con la terra ferma ed è per questoche la campagna di promozione sul pescaturismo e l’ittiturismo, che questo assessorato ha porta-to avanti nello scorso mese di agosto è stata chiamata “Vivi un’emozione dentro e fuori il mare”.La tipicità delle produzioni agricole regionali e la loro sempre più ampia affermazione unitamen-te al sistema agrituristico, oramai vera proposta di turismo alternativo, sono un utile volano perconsolidare nuove possibilità in tal senso anche per gli operatori della pesca che, facendo tesorodelle esperienze già maturate, trasferiscono anche alle loro imprese il principio della multifunzio-nalità indirizzata alla possibilità di redditi alternativi ed integrativi per realizzare quella riduzionedello sforzo di pesca oramai improcrastinabile.Con questo numero di Campania Felix l’attenzione è rivolta agli stretti rapporti dentro e fuori ilmare, puntando non soltanto alla valorizzazione di un singolo settore produttivo bensì alla stret-ta e reciproca integrazione, in termini di tipicità e qualità, delle produzioni ittiche e agricole.La nostra scommessa è che si possa restituire prospettiva e futuro alla pesca, all’acquacoltura e atutto il settore in piena armonia con l’ambiente e un Mediterraneo che dobbiamo imparare a risco-prire e difendere in quanto espressione di un tratto non secondario della nostra stessa civiltà.

Gianfranco NappiAssessore Regionale all’Agricoltura

Page 3: Dentro e Fuori il Mare

Editore, direttore editoriale e artisticoMariano Grieco

Direttore responsabileDario Coviello

Relazioni esterneErsilia Ambrosino

TestiMariano GriecoSimona MandatoSchede prodottiItalo Santangelo

l’editore ringraziaVincenzo AmendolaAntonio ChioccaCristoforo e Edoardo CostagliolaFelix D’AndreaIvan Gentile PellegrinoRiccardo GiordanoEdoardo MarinoLello MazzacaneAntonino e Gennaro MorvilloGilles e Salvatore PappalardoPietro PuglieseGiuseppe Scelza

e tutti coloro che hanno collaborato

ed inoltreRaffaele AmbrosioSergio LubranoGennaro ScognamiglioAlberico Simioli

FotoAlfio Giannotti, Archivio AltrastampaArchivio Settore SIRCAe Settore del Piano Generale Forestale

Progetto graficoAltrastampa

Coordinamento del progettoDaniela Lombardo e Maria Passari

si ringrazianoAlfonso Amendola, Maurizio CinqueMelinda Cozzolino, Giovanni De RosaAntonino Di Gennaro, Assunta Di MauroFulvio Iannucci, Maria Raffaela RizzoMaria Sambone, Linda Toderico

In copertina:Panorama di Napolifoto: Alfio Giannotti

CAMPANIA FELIX®Direzione, redazione,amministrazione e pubblicità:Postiglione (SA)

Periodico registrato presso il Tribunale di Napoli n. 5281 del 18.2.2002R.O.C. iscrizione n. 4394

anno XI, n. 28/2009Una copia Ê 8,00

© 2009 ALTRASTAMPA Edizioni s.r.l.84026 Postiglione (SA)cell. [email protected]

Riproduzione vietata con qualsiasi mezzoCampania Felix è un marchio registrato

StampaGangiano Grafica Napoli

In questo numero parliamo di pesca e territorio sulle coste campane

Dentro e fuori il marePesca e territorio sulle coste campane 6

I prodotti del territorio

Costa flegrea 15

Ischia e Procida 18

Costa vesuviana 21

Costiera sorrentina e Capri 24

Costiera amalfitana 39

Costa cilentana 46

... e navigar m’è dolce in questo mareIl mare, l’uomo e l’armonia 4

S o m m a r i OS o m m a r i O

Edizione speciale

Dentro e fuori il marepesca e territorio sulle coste campane

info Regione Campanianumero verde: 800.881017

www.sito.regione.campania.it/agricoltura/pesca/pescaturismo.html

AGCI PESCA 081283336 • FEDERCOOPESCA 0815262150LEGA PESCA 0816063054 • UNCI PESCA 0818446556

Cooperativa Campania Pesca, Salerno, 089231299Cooperativa Cilento Mare, Marina di Camerota (SA), 3398877990

Cooperativa Cilento Mare, Pollica (SA), 3382898500Cooperativa Iano, Sapri (SA), 0973391057

Cooperativa Il Fungo, Ischia (NA), 081991601Cooperativa Il Pescaturismo Ischia, Ischia (NA), 081991601

Cooperativa Il Piccolo Golfo, Ischia (NA), 081982512Cooperativa La Marea, Procida (NA), 3385954011

Cooperativa Lellè, Portici (NA), 3288977511Cooperativa Leucosia, Santa Maria di Castellabate (SA), 3333953937

Cooperativa Pescatori Elisea, Bacoli (NA), 3388556492Cooperativa San Francesco di Paola, Vico Equense (NA), 3929205795Cooperativa San Giovan Giuseppe della Croce, Ischia (NA), 081991601

Cooperativa San Martino, Monte di Procida (NA), 3356266345Cooperativa Santa Lucia, Portici (NA), 3334451254Cooperativa Scirocco, Procida (NA), 3383136743Cooperativa Ulixes, Sorrento (NA), 3396693552

Di Masi Ciro, San Giovanni a Teduccio (NA), 3333052138Impresa da pesca Fratelli de Simone, Ercolano (NA), 3338417172

Pescaturismo Diego, Portici (NA), 081270347

Page 4: Dentro e Fuori il Mare

5

rata dell’uomo.Ma, tornando ai nostri quadri, essici parlano anche del duro lavorodel mare, della fatica dei pescato-ri, dei perigli quando Nettuno siadira. Già, i pescatori, gente tem-prata, che fin dalla tenera età tra-scorre la vita in simbiosi col maredal quale trae la sua sussistenza;non basteranno certo il percorrerele frastagliate e ammalianti coste,le meravigliose albe a cui, gioco-forza, assistono o gli infocati tra-

monti o le argentee lame dellaluna che si riflettono sulle ondeincrespate a compensare le nottiinsonni e, quando capita, la delu-sione delle reti vuote nonostantel’impegno e la dedizione.Fu proprio un pescatore a segnareun momento importante dellanostra storia; a metà ‘600, nelpieno della corrotta e protervadominazione spagnola, un certoTommaso Aniello di Amalfi disseno e il popolo lo seguì.Masaniello seppe interpretare larabbia e la voglia di giustizia delpopolo napoletano, certo fece unabrutta fine, ma nel breve periododella sua rivoluzione ci fu qualco-sa di nuovo per la gente, la capa-cità di aggregarsi per raggiungereuno scopo e un sogno ad occhiaperti in cui credere e sperare.Forse per andare veramente avan-ti, bisognerebbe guardare un po’indietro e tornare a quell’armoniaperduta, difficile ma non impossi-bile, auspicando, perché no, il sor-gere di un novello Masaniello,pescatore povero ma onesto, che,magari con miglior fortuna, ciriscatti dalle ingiustizie e ci dia unsogno.

Se è vero che un’immaginedice più di mille parole, allo-ra il quadro qui a destra, ne è

l’esempio lampante. L’autore è iltedesco Carl Wilhelm Tischbein,quasi impronunciabile, uno deitanti artisti, stranieri ma ancheitaliani, che, sulla scia di Goethe,tra ‘700 e ‘800 vagarono per lenostre contrade attratti dalle bel-lezze dei luoghi, immortalandole,con maggiore o minore bravura.Ebbene il quadro in oggetto, daltitolo “Giovane donna napoleta-na”, per noi dice tantissime cose,adatte all’argomento di questapubblicazione; la scena rappresen-ta una giovane donna, figlia osposa felice di un pescatore fortu-nato e agiato, lo si rileva dal fattoche, con aria serena, ella, elegan-temente e riccamente vestita,indossa tra l’altro una bella colla-na di corallo, sta riparando unarete da pesca, e con gesto gentileraccoglie un grappolo d’uva dellapergola che incornicia una finestrada cui si intravede il panorama, eche panorama! Dietro di lei un’an-ziana (la madre, la suocera, chissà)fila tranquillamente la lana, pro-babilmente delle pecore del loropiccolo gregge familiare. In questoquadro c’è tutto: il mare, la pesca,i prodotti della terra, la sapientemanualità artigianale, la bellezzadei luoghi e in più c’è una cosa,quella che forse più di tutteattrasse i tanti artisti, c’è un’armo-nia profonda tra le persone e lecose, tra entrambe e i luoghi.E di armonia parlano anche le altreimmagini che corredano questotesto, certamente esempi di quel-l’oleografia che ha condannatoNapoli e la Campania tutta ad unabellezza stereotipata dalla qualenon riusciamo ancora ad affran-carci, ma che ci confermano cheevidentemente, oleografia a parte,può esserci un rapporto armonicocon la natura che prescinde le esi-genze della quotidianità intesa intermini meramente mercantili.Viene in mente un breve raccontodel premio Nobel Heinrich Böll incui un turista vedendo un pescato-re placidamente seduto, dopo lasua notte di lavoro, a godersi ilpanorama marino ed il sole, colpi-to dall’inattività lo sollecita a rad-

doppiare le uscite in mare cosìpescherà di più e con i maggioriricavi potrà comprare altre barcheche pescheranno sempre di piùrendendolo ricco; con quella ric-chezza potrà iniziare un grandecommercio di pesca e avrà tantagente che lavorerà alle sue dipen-denze così lui potrà... tranquilla-mente godersi, in tutto riposo, ilpanorama marino e il sole.Il pescatore lo guarda, con unaspecie di sorriso, e dice: “Ma io

questo già lo faccio, ora”.Tutte le arti, dalla pittura allamusica alla poesia, si sono cimen-tate nel raccontare e descriverequesta terra benedetta dalla natu-ra e bagnata dal mare lungo unacosta di incredibile varietà masempre affascinante e ricca discorci suggestivi. Un mare checontinua ad essere una importan-te risorsa economica e socialenonostante i persistenti attacchiche subisce dall’azione sconside-

In questa pagina.C. W. Tischbein,

Giovane donnanapoletana.

Pagina successiva.Al centro, in alto.

Usi e costumidi Napoli

e contorni,Pescatore

napoletano.In basso.

O. Palumbo,Masaniello.

A destra,dall’alto.

E. Dal Bono,Da Frisio

a Santa Lucia.A. Riedel,

Famigliadi pescatori.T. L. Turpin

de Crissé,Pescatori

a Sorrento.A. Mas y

Fondevilla,Piccoli pescatori

a Mergellina.

4

• testo: Mariano Grieco • foto: archivio Altrastampa ... e navigar m’è dolce in questo mare

Il mare, l’uomo e l’armonia

Page 5: Dentro e Fuori il Mare

7

di uno dei principali mercati itticidella Campania, una struttura incui i pescherecci arrivano fin sottoi banchi di vendita; la domenica siriversano qui i napoletani più mat-

tinieri per procurarsi le migliorivongole o un purpetiello freschis-simo da affogare in casseruola.Questo litorale non è, d’altronde,l’unico lungo le centinaia di chilo-

metri di coste campane, ad avereuna forte connotazione marittima.In numerosi centri portuali dellaregione si è andato sviluppandonegli ultimi anni una forma di

Pisce palumme e pescatrice,scuorfene, cernie e alice,mucchie, ricciòle,musdee e mazzune,stelle, aluzze e storiune,merluzze, ruòngole e murene,capodoglie, orche e vallene,capitune, aùglie e arenghe,ciefere, cuocce, tràcene e tenghe.Quale napoletano non conosce lacanzone del Guarracino? Un inter-minabile scioglilingua che latradizione, canora e peschereccia,di questa terra ci ha tramandato. Ilprotagonista è una castagnola (indialetto guarracino), un piccolopesce molto comune nelle acquedi Napoli, il cui amore per unasardella gli scatena addosso le iredell’ex fidanzato, un alletterato,generando una zuffa subacquea,cui prendono parte tutti gli abi-tanti del golfo, elencati senzatralasciarne nessuno: rigorosa-mente con i loro nomi dialettali,perché i pesci hanno innanzituttoil loro nome popolare.Il nostro itinerario lungo le costecampane inizia lì dove il mareincontra il fuoco.Fonti minerali e termali, ribollentidal suolo e dalle profondità delmare, fumarole e solfatare con cal-dissime emanazioni gassose, vul-cani spenti e laghi scaturiti dallevoragini di crateri inabissati, lentosprofondare della terra e violento eimprovviso erompere di vulcani.Con questo vortice di parole l’ar-cheologo Amedeo Maiuri descrisseil territorio dei Campi Flegrei.Degli elementi della natura quinon ne manca nessuno. La terra el’acqua, in un continuo saliscendi,giocano insieme da milioni di anni,vincendo a turno l’uno sull’altra:gli scienziati chiamano questogioco bradisismo. Per il fuoco degliinnumerevoli vulcani attivi neimillenni passati, i Greci chiamaro-no questa terra “campi ardenti”(phlegraiòs, da cui appuntoFlegrei). Infine, l’aria è quella che,carica di un intenso odore di zolfo,permea ancora parte di questi luo-ghi, e genera benefici vapori alungo impiegati in bagni termali,di cui si giovarono imperatoriromani e re medioevali.Il paesaggio ha qui le tenui tintegialle del tufo, con pennellateverdi della vegetazione spontaneadi pini e arbusti di lentisco, e spa-

tolate di blu e smeraldo dei fonda-li più e meno profondi del mare. Tutto questo si trova in un cerchiomagico tra Pozzuoli, Lucrino,Bacoli, Baia e Cuma. Qui, alle varie

forme di valorizzazione del territo-rio, se n’è aggiunta di recenteun’altra che fa leva sul mare esulla forte tradizione ittica dell’a-reale. Non a caso, Pozzuoli è sede

In alto.Alba sui Campi Flegrei.

In basso.Costa flegrea.

Pagina seguente.A sinistra.

Il mercato itticodi Pozzuoli.

A destra.Pesci al mercato.

6

• testo: Simona Mandato • schede prodotti: Italo Santangelo• foto: Alfio Giannotti, archivio Altrastampa, archivi Settore SIRCA e Settore del Piano Generale Forestale

Dentro e fuori il marePesca e territorio sulle coste campane

Page 6: Dentro e Fuori il Mare

9

Navigando sotto costa fra Bacoli,Capo Miseno, poi verso Baia, siscoprono grotte scavate nella roc-cia tufacea, utilizzate in epocaromana come ninfei, ossia piscinededicate alle Ninfe; frequenti sonoanche le tracce di muraturacostruite con la tecnica favoritadai Romani che somiglia ad unarete, l’opus reticulatum. Il tuttorimanda ad un’epoca in cui da

queste parti si parlava latino,quello aulico del Senato di Roma, icui membri qui trascorrevano levacanze. A rendere rinomati questilidi furono, infatti, non soltanto laloro amenità e le terme, ma anchele attività… di svago cui si dedica-va l’aristocrazia romana. Cesare,Cicerone e numerosi imperatori edesponenti della cultura romanaebbero le loro ville sul mare o suilaghi fra Miseno e Pozzuoli. Non dirado quelle ville - oggi scomparsea causa di terremoti e bradisismo -erano dotate di enormi cisterneper il rifornimento idrico.Dai vicoli di Bacoli si accede allastruttura archeologica detta CentoCamerelle, un’enorme cisternascavata nel tufo, suddivisa indiversi ambienti con volte a botte,che faceva parte della grandiosavilla di Ortensio Ortalo. L’oratoreromano era un appassionato alle-vatore di murene: pare che nellivello inferiore della cisterna, lad-dove oggi un corridoio si affacciacon grande suggestione sul golfo,fossero impiantate le sue peschie-re a mare. La grandiosa villa di Cesare dovevaergersi, invece, sul promontorio diBaia dominato oggi dal castello,costruito dagli Aragonesi alla finedel ‘400 e ampliato dal viceré spa-

gnolo don Pedro de Toledo.Oggi la fortezza ospita il MuseoArcheologico dei Campi Flegrei,con la scenografica ricostruzionedel ninfeo che fu ritrovato som-merso, con tanto di statue, aPunta Epitaffio.Bacco annaffiava incontri e pranziche si svolgevano a Puteoli, Bauli,Baja: una descrizione memorabiledi un banchetto luculliano, proba-

turismo che valorizza non solo ilitorali, ma anche le diverse tradi-zioni ittiche: oggi il pescaturismoe l’ittiturismo - ospitalità in casedi pescatori - stanno al pescatorecome l’agriturismo al contadino. Sitratta di una forma di turismo che,in un contesto di rispetto ambien-tale, consente di avvicinarsi almondo della pesca tradizionale perconoscerne usi e tecniche e, in findei conti, per imparare ad apprez-zare maggiormente il lavoro delpescatore, le competenze, le diffi-coltà che deve affrontare nelle sueuscite. Una scelta di rivalutazioneche la Regione Campania sta for-temente sollecitando.Si auspica, infatti, che questeforme di turismo alternativo pos-sano svilupparsi come l’agrituri-smo che è molto diffuso su tutto ilterritorio campano con un’offerta

qualificata e professionale basatasulle tre direttrici fondamentali:ambiente, prodotti enogastrono-mici tipici, accoglienza.Chi decide di trasformarsi per unaserata o una mattina in “turista dipesca”, vive ore di immersionetotale nella natura, quella immen-sa e potente del mare, in unadimensione piena, spesso scono-sciuta a molti di noi, e finanche achi usualmente va in barca perfare bagni al largo. Svegliarsi dinotte per uscire in mare alla ricer-ca del proprio guadagno, studiarele correnti, le stelle, le tecniche daimpiegare per riempire al meglio lereti, magari affrontando condizio-ni del mare non troppo certe: tuttoquesto poco ha a che fare con ibagnanti della domenica!Allora immergiamoci anche noiper conoscere più da vicino il

mare, i pescatori, le reti e i pescidelle coste campane.Cominciamo proprio da qui, dallitorale flegreo, dove l’Associa-zione UNCI propone delle interes-santi battute di pesca: dal portic-ciolo di Acquamorta a Monte diProcida si parte a bordo di unabarca che dispone di pochi postiper gli ospiti, ma questo favorisceun’atmosfera più intima. La barcaè attrezzata con le tipiche reti daposta, ossia reti che vengono rila-sciate in mare, nell’attesa chesiano i pesci ad andarcisi ad impi-gliare. Al largo di Monte di Procidala nostra guida marina avvia lapesca e, nel contempo, il suo rac-conto. Pietro usa il classico trama-glio, costituito da tre reti parallele,disposte in una combinazionegeniale, ma malefica per i pesci: alcentro è la “mappa”, una rete amaglie strettissime, ed esterna-mente su entrambi i lati sono le“pareti”, a maglie più larghe. Leprede passano attraverso unaparete e si impigliano fra le magliedella mappa: nel continuare il loropercorso, passano per una magliadella seconda parete, restandoavviluppate in una sorta di sac-chetto che si forma all’esternodella parete, sul lato opposto diquello da cui sono entrate.Per il pescatore è semplicissimo,una volta tirata su la rete, “sma-gliare” i singoli pesci dai loro sac-chetti. Ne saltano fuori splendidiscorfani, marmore, cernie, qualchesarago, un pesce San Pietro, seppiee calamari. Questa uscita in mare è l’occasio-ne, oltre che per conoscere ilmondo della pesca, anche peravere un punto d’osservazione pri-vilegiato, diverso da quello solito.

In alto, a sinistra.In navigazione

sulla costa flegrea.A destra.

Particolaredi una rete

a tramaglio.In basso.

Il porticciolodi Monte

di Procida.

In alto.Il castello di Baia.In basso, a sinistra.Le CentoCamerelle.A destra.Ricostruzionedel ninfeo di PuntaEpitaffio nel MuseoArcheologicodi Baia.

8

Page 7: Dentro e Fuori il Mare

11

scomparsa di gran parte del lagoLucrino (quello che si vede oggiricopre solo una minima partedella laguna antica) e numerosefonti termali. Questo evento natu-rale pose fine anche alla secolareesperienza degli allevamenti dipesci ed ostriche. Solo nel Settecento, per volere delborbonico Ferdinando IV, alle anti-che attività lacustri fu dato nuovoimpulso. L’ostricoltura fu trasferitanel più ampio lago Fusaro, abbina-ta alla mitilicoltura, e il re neapprofittò per far costruire al suoarchitetto di fiducia CarloVanvitelli, il casino da pesca e cac-cia che, su un isolotto, si specchiacon grazia nel Fusaro. A partiredagli anni Venti si diede preferen-za ai mitili, dando vita all’attualevocazione dell’area. Nel secondodopoguerra gli allevamenti dicozze si sono trasferiti nelle acquemarine, più favorevoli a questotipo di coltura.Oggi le condizioni igieniche degliimpianti di mitilicoltura sotto-stanno a ferree regolamentazioniitaliane ed europee, fino allarecente emanazione, nel 2007,delle linee guida della RegioneCampania in materia di molluschi-coltura.Lo specchio di mare antistanteBaia e Bacoli perpetua l’antica tra-dizione, ed è oggi fortementededito alla mitilicoltura: i suoiprodotti sono interamente assor-biti dalla domanda campana, cheper l’eccesso acquista le adoratebivalve anche da Grecia e Spagna,ma il gusto non è lo stesso. Gliimpianti di mitilicoltura a Lucrinoe Arco Felice di Federcoopescasono notevoli, e l’Associazione diaziende ittiche si sta attrezzandoper il pescaturismo. Nel frattempopropone di frequente degustazio-ni, in zona ma anche fuori regione,e, grazie sia alla qualità dei suoiprodotti, che alla passione e allafantasia con cui operano ai fornel-li alcuni storici pescatori membridell’Associazione, Federcoopescavanta collaborazioni con Slow Fishe Città della Scienza.Uscite in barca tra i filari di cozzese ne possono fare a Bacoli con laLega Pesca Campania. Ci si aggirafra gli impianti, mentre Salvatoreci mostra e spiega sia l’allevamen-to che la successiva lavorazione. Isemi delle cozze vengono calatinelle reste, lunghe reti cilindriche,che sono poi messe a dimora inacqua a circa 5 metri dalla super-ficie. Man mano che i molluschicrescono, però, si rende necessariosostituire le reste, e usarne di piùgrandi. Dagli undici ai tredici mesi

impiega una cozza inseminata, perraggiungere una dimensione taleda poter essere immessa sul mer-cato: i tempi variano a seconda deimarosi, delle correnti, delle tem-perature raggiunte dall’acqua. Agliospiti a bordo Salvatore mostra lediverse fasi di produzione, dall’in-

seminazione alla raccolta del pro-dotto adulto. Seguono poi, nelcentro di spedizione, la sgranatu-ra, pulitura e rifinitura, prima del-l’impacchettamento finale, che siconclude con l’etichettatura fattain modo tale da consentire unacompleta tracciabilità del prodot-

bilmente ambientato a Pozzuoli,ce l’ha tramandata Petronio nellacelebre scena della Cena diTrimalcione, contenuta nel suoSatyricon. Ma se, a parte le pittoreschedescrizioni di Petronio, nessunricettario ci è pervenuto dai rino-mati cuochi della baia di Pozzuolial servizio dell’aristocrazia roma-na, la tradizione si è perpetuatapassando per le mani di migliaia didonne del popolo. Ciascuna hainsegnato alle sue figlie i moditradizionali di cucinare e prepara-re i frutti saporiti di questo prolifi-co mare. Fra i tanti, la magia dellazupp’ ‘e pesce. La ricetta puteolanapiù nobile è quella che si traman-da dall’epoca di Anna Maiorano,che dal 1929, bimba accanto a suopadre, gestì il celebrato “GrandRestaurant dei Cappuccini”: il sei-centesco ospizio di monaci che siergeva davanti Pozzuoli, circonda-to dall’acqua e raggiungibileattraverso un pontile, nel 1880 futrasformato in un ristorante conannesso vivaio di pesci, frequenta-to da ospiti eccellenti. I marosi e ilbradisismo lo danneggiarono for-temente, finché nel 1972 non fuabbattuto.Ebbene, quali erano gli ingredientidella zuppa di Anna? uno scorfano- di cui sono note tanto la brut-tezza quanto il gustoso sapore! -,una murena, un grongo, un cefa-lotto ischitano, qualche cozzarigorosamente flegrea, vongole etelline, un tocco di seppia, uncalamaretto e due o tre gamberi.Pomodorini, aglio e prezzemolofanno il resto. Pare che Anna usas-se anche un ingrediente che hatenuto segreto, com’è giusto chefaccia ogni grande cuciniere! Fattosta che qualcuno ebbe a dire cheAnna faceva diventare il mare“proprietà di colui che mangiava lazuppa di pesce preparata con lesue mani”, e noi, non possiamo checredergli!La tradizione di allevare molluschida queste parti risale all’epocaromana. Un certo Sergius Orata,approfittando delle frequentazionidi aristocratici e politici a Pozzuolie Baia, e della notevole richiestache ne veniva di prodotti ittici diqualità, nel I sec. a.C. ebbe l’idea diavviare a Lucrino un allevamentointensivo di ostriche. Nel lago diorigine marina si immettevanoalcune sorgenti dolci, e l’acquaresa in tal modo salmastra, con-sentiva di produrre ostriche di ele-vata qualità. Su alcune fiaschetteromane provenienti da Pozzuoli edesposte a New York, sono dipintigli OSTRIARIA, impianti di alleva-

menti di ostriche: da alcuni pergo-lati in legno pendevano le corde sucui si sviluppavano i preziosi mol-luschi. Ma fu un altro tipo di alle-vamento che diede a quel Sergiusmaggiore notorietà, e finanche ilnome: le orate. A proposito, ancheil nome del lago Lucrino deriva da

quelle redditizie attività: lucrum,profitto! Nel 1538 un forte movimento ter-restre determinò la nascita - in unsolo giorno, come vuole una leg-genda avvolta di magia! - delMonte Nuovo: tutta l’area circo-stante ne fu coinvolta, con la

In questa pagina.Dall’alto.

Zuppa di pesce,spaghetti

a vongole,il lago Fusaro

in una gouachedel ‘700.

Pagina successiva.Raccolta

di cozze in unallevamento.

10

Page 8: Dentro e Fuori il Mare

13

complesso sistema fu chiamatoPortus Julius in onore di Ottaviano,membro della dinastia Julia. Inconseguenza dei movimenti bradi-sismici, i resti di quelle strutturesono oggi sommerse nel mare a 4-5 metri di profondità. Oltre ai pon-tili e ai depositi di Portus Julius, leescursioni sub-archeologiche sulfondale di Baia consentono di visi-tare i resti di diverse ville, fra cuiquella che fu dei Pisoni. Dal 2002l’area di Baia è Parco ArcheologicoSommerso, che assieme a quellodella Gaiola a Posillipo, è stato ilprimo istituito in Italia.Siamo partiti in serata, per con-trollare se e quanti polpi fosserocaduti nelle trappole messe inmare. La pesca al polpo qui si facon le nasse, dei grossi cesti conuna piccola imboccatura. I cefalo-podi vengono attratti da un sapo-rito granchio, irresistibile esca, epoi vi restano intrappolati perchénon riescono più a trovare l’uscita.Mario pesca solo polpi grandi, daalmeno un paio di chili: qui ci sonomolti granchi, e l’abbondanza dicibo fa sì che crescano belli grossi! Siamo arrivati alle nasse che lui hadeposto qui ieri sera: esse pendo-no in verticale lungo una cima dis-posta orizzontalmente sott’acqua.Noi ospiti siamo invitati a collabo-rare, e allora a turno a tirar su

nasse, una dopo l’altra. La prima...vuota, la seconda anche, la terzapure... la delusione comincia afarsi strada in noi... ma ecco chedalle nasse successive comincianoa sbucare i polpi, uno dopo l’altro,e uno più grande dell’altro. Suitentacoli hanno una doppia fila diventose, a riprova del fatto che sitratta di polpi veraci. Così grossi si prestano ad esserepreparati all’insalata: li si fa cuo-cere in acqua, finché non si fannorossi e morbidi - non troppo, però,perché devono dare quella lievesensazione di callosità sotto identi. Tentacoli e testa si taglianoa pezzi, si adagiano in un’insala-tiera e si condiscono con aglio,olio extravergine d’oliva, prezze-molo e limone. Un piatto fresco,ideale per le calde giornate d’esta-te. Qualcuno chiama questo piatto“polpo alla luciana”, e non a torto:la prima versione elaborata dalle“Luciane”, le abitanti del borgo diSanta Lucia a Napoli, mogli deipescatori, era questa in bianco. Poiverso la metà del Seicento, conl’importazione dei pomodoridall’America, in quello stessoquartiere marinaro napoletanouna Luciana ebbe l’intuizione diabbinare i pomodori ai purpetielli,ossia ai polpi più piccoli e teneri,facendoli “affogare” nella loro

to. Data la particolare delicatezzadei mitili, il comparto è sottopostoa rigide procedure.Come la stabulazione prevista perquelle cozze provenienti da aree dimare di zona B - ossia con acqueclassificate di media qualità -, e icontinui controlli effettuati daparte dell’ASL e dell’IstitutoZooprofilattico di Portici. Come non concludere con unaclassica ‘mpepata ‘e cozze?! Nonc’è bisogno di gran maestria, bastapulire bene i molluschi, farli cuo-cere brevemente in un tegamecoperto, e poi cospargere diabbondante pepe il tutto. Nei piat-ti si avrà cura di non far mancareil prezioso brodo spurgato dallestesse cozze, che sarà raccoltonella valva ad ogni boccone, conl’aggiunta di una breve spruzzatadi limone.Un’operazione che si può svolgereagevolmente anche in barca, simangia rigorosamente con lemani, senza farsi scrupolo diemettere il risucchio: tanto saràcorale di tutta la compagnia!Un’uscita di pescaturismo puòessere agevolmente abbinata adun’immersione archeologica, pren-dendo contatti con un’associazio-ne o un diving center specializzatoin visite guidate subacquee. Saràinteressante per gli appassionati diarcheologia - con cognizioni basein materia di immersione! - anda-re a perlustrare quei fondali dal-l’atmosfera magica, scrigno diantiche testimonianze. Come ilporto militare creato artificial-mente dai Romani, collegando conun canale il mare al lago Lucrino, epoi questo con il lago d’Averno. Il

12

Dall’alto.Una cozza diallevamento,momenti di

pesca con lenasse al largo

di Baia.Pagina successiva.

Dall’alto.Una bella preda,

pescatori diSanta Lucia in

un’incisioneottocentesca,polpo verace.

Page 9: Dentro e Fuori il Mare

15

ha reso immortale Massimo Troisi.Qui si svolgono anche intensemanifestazioni religiose legate allapassione di Cristo, in cui la tradi-zione marinara è particolarmentepresente. Ma Procida è innanzitut-

to L’Isola di Arturo, quella che hastraducce solitarie, chiuse fra muriantichi, oltre i quali si estendonofrutteti e vigneti che sembranogiardini imperiali. In primavera, lecolline si coprono di ginestre. Così

Arturo la descrive nel celebre librodi Elsa Morante, scritto edambientato qui nei primi anniCinquanta: un parco letterario èstato dedicato all’autrice nei favo-losi “Giardini di Elsa”.

In alto, a sinistra.Terra Murataa Procida.A destra.Processione delVenerdì Santoa Procida.

acqua di cottura, al semplice con-dimento di pomodori, aglio, olio,olive, capperi e una spruzzatina diprezzemolo fresco in conclusione.Nacque così una ricetta che stra-bilia ancora oggi, e che ha mante-nuto nel nome anche la sua origi-ne geografica.Non possiamo qui dimenticare dicitare ‘o brodo ‘e purpe, che si rica-va dalla cottura dei polpi in acqua

salata (che in origine era quella dimare!) in grosse caldaie: ricchissi-mo di pepe o peperoncini, se neversa a mestolate in ogni tazza,con una ranfetella (un tentacolo),dove sono già disposte delle fre-selle - pane biscottato -, pronte agonfiarsi della bevanda bollente epiccante, che inebria con quel suoforte profumo di mare.A Napoli, a via Foria e a PortaCapuana c’è ancora qualcuno cheperpetua questo rito secondo lepiù antiche usanze napoletane,magari in condizioni igienicheanch’esse alquanto antiche... ma,con le dovute cautele, pur questocontribuisce al suo fascino e al suosapore!La terra che sa di zolfo continuaanche oltre Capo Miseno, e siestende su Procida e Ischia. Cheanche qui il territorio sia vulcanicolo testimoniano ancora oggi con-formazione di baie, monti e rocce.In barca siamo passati davanti aVivara, un’isoletta minuscolaposta fra Procida e Ischia. Dell’exvulcano, si distingue chiaramentela forma del cratere nella mezza-luna di superficie dell’isola; scam-

pata miracolosamente alle cemen-tificazioni, Vivara è da più di tren-t’anni un’area naturalistica, e dal2007 riserva integrale del ParcoMarino Regno di Nettuno, di cuifanno parte - se pur con limitimeno ferrei perché zone B e C -anche Ischia e Procida. Il dio delmare protegge oggi le splendideacque azzurre e turchesi, la terradai colori degli arbusti di mirto, dellentisco, delle ginestre di questomeraviglioso fazzoletto di terravulcanica.Prima di attraccare al porticciolodi Procida per assaggiare in unristorante il nostro bottino dipesca, siamo passati davanti allaCorricella, l’abitato dei pescatori,case aggrappate alla roccia tufa-cea, oltre che l’una sull’altra, in unpuzzle inimmaginabile; ognicasetta è di un colore diverso,tutte in tinte pastello, giallo, rosa,azzurro, verde, così che i pescatoripotessero riconoscere ciascuno lapropria casa dal mare.Uno scenario ideale per un film, epiù d’uno v’è stato ambientato: ituristi vengono qui a cercare ilpaese de Il Postino, la pellicola che

14

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

COSTA FLEGREA

Melannurca Campana Igp

La Melannurca Campana è fra i prodot-ti che meglio si possono fregiare dellapropria tipicità: essa è infatti prodottapressoché esclusivamente in Campaniae manifesta caratteristiche uniche nelpanorama delle mele presenti sul mer-cato italiano. Definita, non a torto, la“regina delle mele”, essa è da sempreconosciuta soprattutto per la spiccataqualità dei suoi frutti, dalla polpa croc-cante, compatta, bianca, gradevolmen-te acidula e succosa, con aroma carat-teristico e profumo finissimo, una veradelizia per gli intenditori.La Melannurca Campana rivendica datempi immemori anche virtù salutari:altamente nutritiva per notevole con-

tenuto in vitamine e minerali, è riccaanche di fibre, regola le funzioni inte-stinali, ma è anche diuretica, partico-larmente adatta ai bambini ed aglianziani. Anche per l’eccezionale rap-porto acidi/zuccheri, le sue qualitàorganolettiche non trovano riscontro inaltre varietà di mele. Uno deglielementi di tipicità che certamentecaratterizzano questo prodotto èl’arrossamento a terra delle mele neicosiddetti “melai”. Essi sono costituitida piccoli appezzamenti di terreno sucui sono stesi strati di materiale soffi-ce vario. Durante la permanenza neimelai i frutti sono disposti esponendoalla luce la parte meno arrossata, ven-

gono poi periodicamente rigirati edaccuratamente scelti, scartando quelliintaccati o marciti. È proprio questapratica, volta a completare la matura-zione dei frutti, ad esaltare le caratte-ristiche di qualità della MelannurcaCampana, conferendole quei valori ditipicità che nessun altra mela può van-tare. Tradizionalmente coltivata nell’a-rea flegrea, spesso in aziende di picco-la dimensione e talora in promiscuitàcon ortaggi ed altri fruttiferi, laMelannurca Campana si è andata dif-fondendo nel secolo scorso in tutte learee frutticole della regione soprattut-to nell’alto casertano.

Vino dei Campi Flegrei DocVino di grande storia e tradizione, deri-va da uno dei più apprezzati prodotti

enologici dell’antichità, il FalernoGaurano, lodato da Plinio il Vecchio e,per la sua lunga storia, inserito nella“carta dei vini” della corte di Napoli edi quella papale. La zona di produzioneè tra le più ricche per cultura e bellez-ze naturalistiche, con scorci panorami-ci che non trovano uguali; i terreni, chederivano da un incessante succedersi dieruzioni vulcaniche e che, oggi, si ada-giano su un complesso di crateri spen-ti, sono ricchi di tufi, ceneri, lapilli,pomici, microele-menti che conferi-scono alle uve e aivini sapori e aromidel tutto originali epermettono la col-tivazione della vitesu piede franco. La Falanghina, anti-co vitigno campanodi grande pregio, dacui si ottengono itipi bianchi, ebbe inquesta area la suaprima diffusione. Itipi rossi si otten-gono invece daimigliori vitignicampani, come ilPer ‘e palummo el’Aglianico. Il clima,il terreno, i vitigni,la cultura e la storiavitivinicola, le basserese ad ettaro, lapresenza di aziendeenologiche, tecno-logicamente all’a-vanguardia, marispettose della tra-dizione; tutto ciò si traduce in vini diassoluta eccellenza.Il disciplinare della Doc contempla leseguenti denominazioni: bianco, rosso,Falanghina, Piedirosso (o Per ‘e palum-mo), Falanghina spumante, Piedirosso(o Per ‘e palummo) passito.

In alto, a sinistra.Veduta di Ischia

e Procida daCapo Miseno.

A destra.Il porto di

Procida.Al centro

e in basso.Vedute della

Corricellaa Procida.

Page 10: Dentro e Fuori il Mare

17

Una posizione isolata, mare tut-t’intorno, roccia alta ed aspra: laconformazione perfetta per esseredestinato a fortezza, e questo èsempre stato, infatti, lo scoglio inpietra lavica che sorge a IschiaPonte. Dall’epoca greca fino allametà del Quattrocento, quandoAlfonso d’Aragona rifece il vecchiomastio, costruì il ponte di con-giunzione con l’isola maggiore epoderose mura di fortificazionetutt’intorno. Queste ultime servi-rono da riparo a tutta la popola-zione di Ischia ai tempi delleincursioni piratesche.In tutti gli acquerelli e le stampedel Settecento, intorno al castellodi Ischia Ponte si vede un densoabitato che ora non c’è più: naviinglesi cannoneggiarono a lungo,nel 1809, la fortezza ischitana incui si erano asserragliati i francesidi Gioacchino Murat. Per fortuna ilCastello Aragonese è ancora là,oggi aperto al pubblico.La cupola settecentesca dellaChiesa dell’Immacolata domina lafortezza, in contrapposizione almastio.Fumarole, sorgenti termali, fanghidai poteri curativi: tutto questo èil frutto dell’attività vulcanica -oramai evidente, per fortuna,esclusivamente in queste manife-stazioni “pacifiche” - che ancoracaratterizza il sottosuolo ischita-no. I Romani, amanti dei bagnitermali, li convogliarono, e ancoraoggi a Lacco Ameno, Forio,Maronti, ovunque su quest’isola cisi può immergere in acque e vapo-ri, e goderne gli effetti terapeutici,o semplicemente benefici. L’AGCI Pesca è attivamente pre-sente su Ischia, e in particolarededica molta attenzione ai giova-ni, dando al pescaturismo il senso

più strettamente legato all’educa-zione, alla trasmissione di una tra-dizione antica quale è la pesca, isegreti di chi trascorre una vita inmare, ma anche l’amore per ilpesce come prodotto alimentarefra i più sani. Frequenti sono lebattute di pescaturismo organiz-zate con scolaresche, anche graziealla disponibilità di diverse barchedi una certa capienza, che possonouscire anche in piccole flotte. Unbiologo a bordo fornisce spiega-zioni sulle specie ittiche, le rispet-tive caratteristiche, e risponde alledomande dei ragazzi, che in un’e-sperienza del genere trovano sem-pre grande interesse.Sant’Angelo è un paesino dipescatori, il cui nome deriva da unmonastero che in epoca medioe-vale sorgeva sull’isolotto che fron-teggia il borgo: l’Arcangelo è daallora il protettore del villaggio,cui a settembre vengono dedicatigrandi festeggiamenti, processioniper le strade e per mare, a bordo diun’imbarcazione, per invocarne labenedizione su case e barche,ossia su entrambi i luoghi di vitaed azione degli abitanti. Dal porticciolo di Sant’Angelo ciimbarchiamo nel tardo pomeriggioa bordo di uno scafo dell’AGCI perandare a pesca di totani. Ischia hai fondali giusti, profondi e sabbio-si, in cui ne vivono tantissimi.Verso il tramonto questi pelagici siavvicinano a riva, e i pescatori neapprofittano. Le lunghe lenze sonopronte, le esche pure; i filetti diacciuga sotto sale, sciacquati,piacciono da morire (è il caso didire!) ai totani. Ma nascondonoun’insidia: la totanara, un tondinodi metallo che viene legato allalenza, alla cui estremità è un ciuf-fo di robusti ami. Quando abbiamo

raggiunto un punto dal fondaleabbastanza profondo, ci fermiamo,ma la barca non viene ancorata,segue la lieve corrente. Ognunocala la sua lenza, fino a toccare ilfondo, poi la tiriamo un po’ su conmovimenti lenti. Ancora giù e poisu, più volte. Finché la fortuna delprincipiante non bacia uno di noi,che avverte uno strappo. La nostraguida-pescatore Massimo consi-glia di tirare con movimenti velocie decisi, altrimenti il totano ade-scato potrebbe liberarsi. La preda èfinalmente in superficie, ma aquesto punto interviene lui, biso-gna essere rapidi nei movimenti;con il guadino lo afferra quandoappare sul pelo dell’acqua, poi neltirarlo fuori lo volta con il sifonedall’altro lato: sapeva già, l’esper-to pescatore, che sarebbe partitoun grosso getto d’acqua e inchio-stro nero. Immediatamente, lanostra prima preda va nel secchio,

Pagina precedente.Il Castello Aragonesedi Ischia.In questa pagina.In alto. Veduta diSant’Angelo ad Ischia.Al centro.Preparazionedei palamiti.Sotto. Disegnodi un totano.

Page 11: Dentro e Fuori il Mare

Calabrie, in una posizione dallaquale si gode una vista mozzafiatosull’intero golfo di Napoli, daIschia a Capri. Tutte in stile tardobarocco, rococò e, successivamen-te anche neoclassico, in uno sfa-villio di scaloni, giardini e terrazze:da tanta sontuosità concentrata inun sì breve raggio, nacque la defi-nizione di Miglio d’Oro per queltratto di costa che si estende daSan Giovanni a Teduccio a Torredel Greco.Ci accostiamo all’approdo borbo-nico di Ercolano, costruito affin-ché il re avesse un accesso direttoalla splendida Villa Favorita, resi-denza che Carlo volle dedicare aMaria Amalia di Sassonia, suamoglie. Non lontano da qui sono leantiche officine ferroviarie diPietrarsa, oggi prezioso MuseoFerroviario: qui terminava il per-corso della prima strada ferratad’Europa, poco più di sette chilo-metri da Napoli a Portici che nel1839 si percorrevano in meno didieci minuti, allo sbuffare di unalocomotiva inglese. Una rivoluzio-ne! A volerne la realizzazione fuFerdinando II, il pronipote di CarloIII. Fra le tante ville, una è stataresa celebre dal fatto di esserestata abitata, nell’800, daGiacomo Leopardi nell’ultimoperiodo della sua vita.Qui su l’arida schiena/Del formida-bil monte/Sterminator Vesevo,/Laqual null’altro allegra arbor né

Pagina precedente.Al centro.Veduta di Napolidal mare.In basso.L’apprododel Granatelloin una gouacheottocentesca.In questa pagina.Dall’alto.La reggia di Portici,la reggia di Porticiin una gouacheottocentesca,le officinedi Pietrarsa.

seguita, a breve, da molte altre.Passiamo davanti a Napoli, da lon-tano si riconoscono la collina diPosillipo, poi quella del Vomeropronunciata dal Castel Sant’Elmo,il poggio Echia su cui tutto comin-ciò ai tempi della greca sirenaPartenope; giù, a pelo d’acqua,davanti Santa Lucia, si innalzaun’altra fortezza, quella di Casteldell’Ovo, legato ad antiche leggen-de di un uovo nascosto dal poetaVirgilio nelle fondamenta.Approdiamo alle falde del Vesuvio,facciamo tappa al Granatello, ilporticciolo di Portici su cui siaffaccia l’imponente villa sette-centesca d’Elboeuf. Non lontanoda qui è il Palazzo Reale, fatto eri-gere nel 1738 da re Carlo III diBorbone come dimora di villeggia-tura per sé e per la regina.Un’ala di questa reggia fu espres-samente adibita ad ospitare lemeraviglie artistiche che proprio inquegli anni venivano fuori dagliscavi archeologici di Pompei edErcolano. Statue, bassorilievi,mosaici, affreschi, tutto ciò che dipiù interessante ne veniva estrat-to, entrava nella collezione privatadel re. Oggi quelle meraviglie sonoesposte al Museo ArcheologicoNazionale di Napoli. E con il lorovilleggiare ai piedi del Vesuvio, il ree la regina avviarono una moda frai nobili dell’epoca: sorsero cosìoltre cento ville, disseminate neidintorni della strada per le

18

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

ISCHIA E PROCIDAVino Ischia DocI vini di Ischia sono stati tra iprimi vini italiani a potersi fre-giare della Denominazione diorigine controllata; risaleinfatti al 1966 il riconoscimen-to ministeriale, primo inCampania. La zona di produ-zione coincide con l’isola diIschia, dove la vite fu introdot-ta dagli antichi Greci, prove-nienti dalla Calcide. Proprio perla bontà dei suoi vini, i Romanila denominarono Enaria, terradel vino. In alcune aree la viteè ancora allevata a curruturu,forma arcaica strettamentevincolata alla tradizione: tradi-zione che in questo caso ègaranzia di qualità superiore. Ilvino Doc si ottiene da uveBiancolella, Forastera e Per ‘epalummo, allevate solo inCampania e sapientementevinificate sull’isola da modernestrutture enologiche.Il Disciplinare impone vincolirigorosi a tutela della qualitàdel prodotto; la produzione diuva ad ettaro non può supera-

re i 90-100 quintali di uva e i tre chiliper ceppo. Per tutti i vini è inoltre pre-visto un affinamento in bottiglie daeffettuarsi obbligatoriamente nell’isoladi Ischia. Le denominazioni ammessesono: bianco, rosso, Biancolella,Forastera, Piedirosso (o Per ‘e palum-mo), Piedirosso (o Per ‘e palummo) pas-sito, bianco spumante.Le problematiche della viticolturaischitana trascendono la dimensioneprettamente agronomica per assumeresignificati storici, geografici e socio-economici. La presenza della viticoltu-ra ad Ischia non riveste importanzasolo produttiva, ma assume connota-zione di tutela paesaggistica e di salva-guardia etnico-culturale. Costi di pro-duzione altissimi e tenacia appassiona-ta della conduzione della vigna insituazioni orografiche difficili, fannodella produzione del vino ad Ischiaun’attività quasi “eroica”.

Limone di ProcidaL’isola di Procida, nel golfo di Napoli ètuttora colorata da numerosi e caratte-ristici alberi di limoni, che produconotipici frutti di pezzatura medio-grandecon buccia a grana grossa di coloregiallo chiaro caratterizzata da un albe-do, lo strato bianco e spugnoso che sitrova sotto la scorza gialla, di notevolespessore. Per questa loro peculiarità,

dovuta in parte anche all’ambientepedoclimatico, vengono detti anche“limoni pane”. Il loro profumo è intensoe il succo gradevolmente acido. Il limo-ne di Procidaviene utilizza-to per la rea-lizzazione dibevande e peraromatizzarericette locali,anche se ipalati più finilo gustanoanche a fette,come dessert,con o senzal’aggiunta diun cucchiaiodi zucchero. La coltivazio-ne di questolimone a livel-lo familiare èsicuramentesecolare ed èda attribuirealla spiccatav o c a z i o n edegli abitanti alla navigazione dove,come è noto, la presenza di frutti dilimone a bordo assumeva caratterefondamentale per la tutela della salutedegli equipaggi.

Page 12: Dentro e Fuori il Mare

21

delle neonate ostriche, ha datobuoni risultati. Peccato però, che imitili presenti nelle stesse acquetendano a prendere il sopravvento!Lungo questo litorale, reso nerodalle sabbie laviche che ne rico-prono spiagge e fondali marini,oggi si vede un affastellamento dicostruzioni, da quelle antiche erurali, alle più prosaiche opere incemento che hanno invaso il terri-torio a partire dagli anni ’50, die-tro le quali le ville settecenteschespesso spariscono alla vista. Questifondali, in altri tempi, videro l’ap-

prodo delle coralline, le barche chebattevano il Mediterraneo allaricerca dei coralli più pregiati, equella presenza ha fatto sviluppa-re l’arte di lavorarlo, così comequella del cesellare cammei dalleconchiglie. Il Museo del Corallo aTorre del Greco testimonia di que-st’antica tradizione, che grazie amani fatate ancora si perpetua,sebbene di coralli non vi sia piùtraccia nel nostro golfo.Su queste spiagge sono numerosi icantieri che costruiscono barcheda diporto, laddove un tempo

lavoravano di sega e pialla i mae-stri d’ascia, alla costruzione deigozzi. Questa tradizione sopravvi-ve in pochi sporadici episodi,anche perché la domanda è sensi-bilmente scesa, a vantaggio dellemoderne imbarcazioni in vetrore-sina, più economiche ma... Gli arsenali più grossi sono, però,quelli di Castellammare di Stabia:si riconoscono da lontano i grossicantieri che producono traghetti,ma che nacquero ad opera di quel-lo stesso Ferdinando, che da quifece varare i suoi vascelli.

fiore,/Tuoi cespi solitari intornospargi,/Odorata ginestra,/Contentadei deserti. Da questa intensa liri-ca dedicata alla ginestra, l’arbustoche in primavera tinge di giallo lependici del Vesuvio, Villa Ferrignifu ribattezzata Villa delle Ginestre. Anche qui la pesca costituisce unatradizione radicata, e come po-trebbe essere altrimenti? Sulle pic-cole paranze dell’UNCI che salpa-no all’alba da Torre Annunziata, sipuò assistere allo strascico su pic-cola scala, e poi alla vendita suibanchi del mercato ittico di TorreAnnunziata che, nel primo pome-riggio, riapre per accogliere ipescherecci che come il nostro,tornano intorno alle quattordici. Ilmercato è a ridosso dell’approdo, ilpesce passa direttamente dall’im-barcazione al banco di vendita.Davvero interessante vedere infunzione un mercato come questo.Il prossimo è nella vicina Torre delGreco, sorto di recente nel porto,grazie a finanziamenti POR.Anche qui sono allevamenti dicozze che si possono visitare inun’esperienza di pescaturismofatta da Torre del Greco, nel cuoredel golfo di Napoli. Aggirandosi trai filari di mitili, a Punta QuattroVenti fuori Villa Favorita, si vedonoanche gli impianti per l’ostricoltu-ra, realizzati in via sperimentaledalla Facoltà di Biologia Marinadell’Università di Napoli FedericoII. L’impiego di nuove tecniche,come il cavo di canapa long linecui è applicato un collante specia-le per favorire l’accrescimento

In alto.Pesca sulla

costa vesuviana. Al centro.

Il porto di Torredel Greco.

In basso.Si riparano

le reti.

20

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

COSTA VESUVIANA

Pomodorino del piennolodel Vesuvio DopIl pomodorino vesuviano è uno dei pro-dotti più tipici ed antichi dell’agricol-tura campana, tanto da essere perfinorappresentato nella scena del tradizio-nale presepe napoletano del ‘600.L’aspetto peculiare di tipicità checaratterizza i pomodorini vesuviani èl’antica pratica di conservazione delprodotto “al piennolo”, cioè legando fradi loro alcuni grappoli o “scocche” dipomodorini maturi, fino a formare ungrande grappolo che viene sospeso inlocali areati, assicurando così l’ottima-le conservazione del prezioso raccoltofino al termine dell’inverno.

Nel corso dei mesi il pomodorino, purperdendo il suo turgore, assume unsapore unico e delizioso: è impossibilenon trovare un buon napoletano chenon utilizzi il pomodorino del piennolonel tradizionale menù natalizio cheprevede la preparazione degli spaghet-ti a vongole. Il Pomodorino del Vesuvio vieneapprezzato sul mercato sia allo statofresco, venduto appena raccolto suimercati locali, che nella tipica formaconservata in appesa o “al piennolo”,oppure come conserva in vetro, secon-do un’antica ricetta familiare dell’area,denominata “a pacchetelle”, anch’essacontemplata nel Disciplinare di produ-zione. L’area tipica di produzione coin-cide con l’intera estensione del com-plesso vulcanico del Somma-Vesuvio,includendo le sue pendici degradantisino quasi al livello del mare.Nel suo ambiente di elezione, le faldedel Vesuvio, la qualità del pomodorinoraggiunge punte di eccellenza. Proprio

la ricchezza in acidi organici determinala vivacità o “acidulità” di gusto, che èil carattere distintivo del Pomodorinodel Vesuvio.Ciò, oltre a derivare da una peculiaritàgenetica, è indice di un metodo di col-tivazione a basso impatto ambientale,con ridotto ricorso a fertilizzanti e adacque d’irrigazione, che rende tale col-tura particolarmente adatta ad un’areaprotetta, quale quella del ParcoNazionale del Vesuvio.

Albicocca vesuviana

Una delle prime testimonianze precisedella presenza di albicocchi inCampania è dovuta a Gian BattistaDella Porta, scienziato napoletano, che,nel 1583, nell’opera Suae VillaePomarium citava la presenza nell’areavesuviana di “crisomele” pregiate. Daquesto antico termine deriverebbe,quindi, il napoletano “crisommole”ancora oggi usato per indicare le albi-cocche. Nell’800 i botanici del regnoborbonico riconoscono nell’albicoccol’albero più diffuso nell’area napoleta-na e precisamente in quella vesuviana“... dove viene meglio che altrove e piùmaniere se ne contano, differenti nellefrutta ...”. Evidentemente vi era giàallora una discreta varietà di ecotipiche offrivano frutti anche molto diver-si, dei quali ancor oggi se ne contanooltre 50 nell’area vesuviana.I più diffusi sono: Ceccona,Palummella, San Castrese, Vitillo,Fracasso, Pellecchiella, BoccucciaLiscia, Boccuccia Spinosa, Portici. Lacoltivazione è attualmente estesa atutto il territorio dell’area vesuviana,dove infatti è nota la particolare ferti-lità dei terreni, che, essendo di naturavulcanica, sono ricchi di minerali e inparticolare di potassio, elemento notoper la sua influenza sulla qualità orga-nolettica dei frutti e dei vegetali ingenere, e che, in questo caso contribui-sce a conferire alle albicocche un gra-devole e caratteristico sapore. Le albi-cocche del Vesuvio sono apprezzate sul

mercato fresco per le loro caratteristi-che organolettiche, soprattutto persapidità e dolcezza.Si distinguono dal punto di vista este-tico per la presenza di un sovraccolorerosso sfumato o punteggiato sulla basegiallo-aranciata della buccia di unabuona parte di esse.Ma sono particolarmente apprezzateanche dall’industria di produzione deisucchi e dei nettari proprio per lecaratteristiche di spiccata dolcezzadella polpa e per l’idoneità alla trasfor-mazione dei frutti.

Vino Vesuvio DocIl vino dell’area vesuviana è un prodot-to che entra a pieno titolo nella storiadell’enologia nazionale edinternazionale: nota edaffermata in tutto il mondo,la Lacryma Christi, ha assun-to infatti, nel corso dei seco-li, un valore quasi leggenda-rio. Già Marziale, per cele-brare questo vino, racconta-va che “Bacco amò questecolline più delle native colli-ne di Nisa“. Qui l’uva ha un sapore e unprofumo inconfondibile.La fama di questo meravi-glioso angolo di mondo e delsuo vino ha fatto fiorire mitie leggende: il nome derive-rebbe dal fatto che “Dio,riconoscendo nel Golfo diNapoli un lembo di cieloasportato da Lucifero, piansee laddove caddero le lacrimedivine sorse la vite delLacryma Christi“. Consideratala natura straordinaria delterritorio e del suo terreno,ricchissimo in cenere fram-mista a lava e lapilli, eraquasi scontato che nel vino sisprigionasse tanta forza dellanatura attraverso l’espressio-ne di aromi e sapori inegua-gliabili. La zona di produzio-ne comprende le aree a voca-zione viticola di quindicicomuni localizzati sulle pen-dici del Vesuvio, dove i vigne-ti ospitano varietà autocto-ne, da sempre coltivate inquesta zona, come ilPiedirosso, il Caprettone, loSciascinoso, la Falanghina. Ildisciplinare prevede tre tipi di LacrymaChristi: il bianco, il rosso e il rosato.

Page 13: Dentro e Fuori il Mare

23

O molto illustre Ulisse, (...) su via,qua vieni,/Ferma la nave; e il nostrocanto ascolta(…) Voce, che inondadi diletto il core,/E di molto saver lamente abbella. Così cantarono lesirene a Odisseo, e si narra che fuproprio lungo queste coste che ilre di Itaca si fece legare all’alberodella sua nave per resistere alcanto ammaliante e fatale. Sonodiversi i litorali che si contendonolo svolgimento della celebre scenadell’Odissea, ma quella di Sorrentoè oramai per definizione la Costadelle sirene. A dare il benvenuto inCostiera Sorrentina è Vico Equenseche, dall’alto del promontorio sucui si erge, guarda in giù, su unmare che i fondali bianchi di cal-care rendono smeraldino. E la cat-tedrale in punta allo strapiombo, agodersi lo spettacolo più bello.Una penisola costituita dunque darocce calcaree, ma su cui il ventoha depositato, millenni orsono,cumuli di polveri vulcaniche tra-sportandole fin dai Campi Flegrei;il tempo li ha solidificati e trasfor-mati in un enorme banco tufaceo,quel pianoro su cui poggiano lecittà di Meta, Piano, Sant’Agnelloe Sorrento. La piattaforma cade apicco sul mare, denotando forte-mente il paesaggio, e lo contraddi-stingue da quello ben più asprodella vicina costa amalfitana.Conosci tu il paese dove fiorisconoi limoni?/Nel verde fogliame splen-dono arance d’oro/Un vento lievespira dal cielo azzurro/Tranquillo èil mirto, sereno l’alloro.Questa lirica di J. WolfgangGoethe è la classica rappresenta-zione della nostalgia di molti arti-sti nordeuropei verso l’Italia, quel-li che fra Sette e Ottocento ebbe-ro il nostro paese come meta irri-nunciabile nel loro Grand Tour, unviaggio obbligatorio ai fini dellaloro formazione culturale. Fratappe culturali a Napoli, Pompei, ea Paestum, Goethe si concesseanche un breve soggiorno aSorrento, ospite del leggendarioHotel du Tasso.Oltre a lui, questa costa ammaliòinnumerevoli artisti europei: lordByron, Scott, Ibsen, fu immortala-ta in stampe e incisioni, poi infotografie d’inizio secolo dai fra-telli Alinari, e infine, nel celebrefilm Pane, amore e… da Vittorio DeSica e Sofia Loren.Partendo per una battuta di pesca,lo sguardo spazia sulla costa sor-rentina, ne riconosce, dal pelo del-l’acqua, le terrazze dei più rinoma-ti alberghi, lassù in alto, e le vec-chie case dei pescatori giù aMarina Grande; di fronte il golfo, ilVesuvio, Napoli, Ischia. Superato il

Capo di Sorrento si scorgono gliimponenti resti di un’anticacostruzione, che quasi arrivanoallo specchio d’acqua marina: sitratta di una delle residenze di vil-

leggiatura dell’antica aristocraziaromana. La villa sfruttava ancheun bacino naturale come approdoprivato per le barche, i cosiddetti“Bagni della Regina Giovanna”.

Pagina precedente.Veduta di Vico EquenseIn questa pagina. Dall’alto.Sorrento in una gouachedell’800, veduta di Sorrento,i Bagni della Regina Giovanna.

Page 14: Dentro e Fuori il Mare

2524

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

COSTIERA SORRENTINA E CAPRI

Olio Penisola Sorrentina DopLa coltivazione dell’olivo in penisolasorrentina risale a tempi antichissimi.Nell’intera penisola sono stati rinvenutiresti di santuari minori eretti daiRomani e dedicati a Minerva, con ilritrovamento anche di recipienti utiliz-zati per l’offerta dell’olio. Da allora, l’o-livo non ha più abbandonato questi luo-ghi e, insieme agli agrumi e alla vite,domina e caratterizza l’intero paesag-gio. L’Olio extravergine di oliva DopPenisola Sorrentina presenta, a primavista, un bel colore giallo paglierino, piùo meno intenso, con riflessi verdognoli;a volte è velato. All’esame olfattivorivela notevole armonia aromatica, con

un delicato sentoredi fruttato di oliva econ fini e piacevolinote di erbe aroma-tiche. L’acidità nonsupera mai il valoredi 0,80%.L’amaro ed il pic-cante, nelle giustegradazioni, si amal-gamano perfetta-

mente garantendo all’olio il giustoequilibrio; gli odori mediterranei delrosmarino si esaltano nell’abbinamentocon il pomodoro e i piatti che ad esso sirichiamano. Ottimo sulle grigliate dipesce e di verdure. Originale e partico-larmente gradevole il suo abbinamentocon le insalate di limoni, ma soprattut-to, ardita novità proposta da un grandechef, con il sorbetto e la delizia al limo-ne, dolci tipici di Sorrento.Le particolari condizioni orografiche,che impongono costosi terrazzamenti, ilclima tipicamente mediterraneo, lanatura vulcanica del terreno, rendonol’ambiente della penisola decisamenteoriginale e tipico, come tipico è l’olioche vi viene prodotto. L’Olio PenisolaSorrentina Dop si ottiene dalla molituradelle olive Ogliarola o Minucciola, dasole o congiuntamente, per non più diun terzo, ad altre varietà.

Pomodoro di Sorrento

Il Pomodoro di Sorrento, coltivazionetradizionale di tutti i comuni dellaCostiera Sorrentina, è un pomodoro digrossa pezzatura, dalla forma rotondeg-giante, particolarmente costoluto, e dicolore rosso chiaro tendente al rosa con

sfumature verdi alla raccolta. Secondogli esperti esso è un ecotipo della famo-sa cultivar “Cuore di bue”, intensamen-te coltivata, soprattutto in Liguria, perla sua subacidità. L’ecotipo di Sorrentoha una polpa deliziosa, carnosa e com-patta dal sapore dolce e delicato.Secondo alcuni questo ecotipo sarebbearrivato nella zona attraverso il com-mercio degli inizi del secolo conl’America, quando nell’esportare i limo-ni, i commercianti ne avrebbero acqui-stato il seme.Questa ipotesi è avvalorata dal fattoche la zona di coltivazione coincide conquella in cui risiedevano gli armatoriesportatori di limoni, nella quale sonostate riscontrate anche altre pianteestranee alla vegetazione locale, quasicertamente importate nello stessoperiodo dei pomodori.La coltivazione di questa varietà si è poidiffusa ad altri comuni vesuviani e del-l’agro gragnanese, dove però il prodottonon ha le stesse pregiate caratteristicheorganolettiche. Oggi il Pomodoro diSorrento è molto utilizzato nella cucinacampana, soprattutto crudo, comeingrediente di gustose insalate estive,prima fra tutte la famosa caprese, nellaquale è accompagnato da olio, basilicoe mozzarella di bufala.

Noce di SorrentoL’antica presenza del noce in Campaniaè testimoniata dal ritrovamento, negliscavi di Pompei, di alberi di noce carbo-nizzati simili a quelli presenti oggi nellaregione. Il clima ed il fertile suolo cam-

pano, particolarmente favorevoli a talecoltura, ne hanno favorito l’ampia dif-fusione nelle aree pianeggianti e colli-nari. La varietà più pregiata è la“Sorrento”, originaria della penisolasorrentina, nell’area di Vico Equense,che col tempo ha dato vita a un’ampiagamma di biotipi tutti commercialmen-te noti come “Noce di Sorrento”.Per l’assoluto valore commerciale dellavarietà, tuttora la più pregiata a livellonazionale, l’area di maggiore produzio-ne si è progressivamente spostata dallazona di origine, ove pure il noce diSorrento è ancora coltivato, localizzan-dosi nel napoletano, in particolare nellapianura acerrana-nolana e nell’area fle-grea, ma esso è presente anche in altrearee come il casertano, la Valle Caudinaed i Picentini. Commercialmente esistono due ecotipidella cultivar di Sorrento, che si diffe-renziano nella forma: l’uno è allungatoe regolare, appuntito all’apice e smus-sato alla base, l’altro è più piccolo erotondeggiante. Le valve, in entrambi icasi, sono lisce e sottili; il gheriglio è

bianco crema dal sapore gradevolissimoe può facilmente essere estratto inte-gro, cosa che rende questa noce parti-colarmente apprezzata sia dall’industriadolciaria che dai consumatori. Inoltre ilguscio è liscio, sottile, fragile e di colo-re chiaro. La raccolta si concentra nelmese di settembre con una resa estre-mamente variabile.Il prodotto trasformato della Noce diSorrento più famoso è il nocillo o noci-no, rosolio antichissimo, di colore scuroe gradazione alcolica molto elevata,intorno ai 40°, dalle spiccate proprietàdigestive e dal prelibato sapore amaro.L’ingrediente principale da cui è costi-tuito, le noci verdi, sono tradizional-mente raccolte e tagliate alla vigilia delgiorno di San Giovanni, il 23 giugno.

Latticini di Sorrento e di AgerolaAccanto al mitico Provolone delMonaco, la penisola sorrentina presentaun paniere di altri prodotti caseari dipregio e di fama internazionale, chevanno dal fiordilatte ai burrini e ad altrilatticini, già celebrati ai tempi di Galenoche parlava di località “il cui latte èmolto salutare”.

Il Fiordilatte è un formaggio fresco apasta filata che è prodotto utilizzandoesclusivamente latte vaccino di altissi-ma qualità, proveniente da una o piùmungiture consecutive e che viene con-segnato crudo al caseificio entro 24 oredalla prima mungitura. La lavorazione èquella comunemente utilizzata per lamozzarella vaccina, dalla quale si disco-sta per forma e consistenza della pasta.La forma è variabile, tondeggianteanche con testina, nodino, treccia eparallelepipedo. La sua consistenza èmorbida e rilascia al taglio un liquidolattiginoso, omogeneo e caratteristico;il suo sapore è molto fresco, di lattedelicatamente acidulo.Altro tipico formaggio a pasta filata èl’antichissimo Caciocavallo di Sorrento,che rispetto agli altri omologhi delMezzogiorno è stagionato parzialmentee consumato a pasta semidura. Nellapenisola sorrentina si produce anche unformaggio che somiglia molto al cacio-cavallo ed è il Bebè di Sorrento. Il bebèprende il nome dalla sua forma, chericorda un neonato in fasce ed è ungustoso formaggio di latte vaccino apasta semi-cotta e filata, di coloremolto chiaro. Un’altra produzione tipicadella zona è la Caciottina canestrata diSorrento, formaggio dal sapore fresco edelicato, che sa molto di latte, ed è l’ac-compagnamento ideale per pomodori e

verdure sott’olio e alla brace. Altri latti-cini tipici sono i burrini, le caciottine e icaprignetti, a base di latte caprino aro-matizzati e conservati sotto’olio.

Provolone del Monaco

Tra i più celebri e tipici formaggi dellaCampania, il Provolone del Monaco èalla vigilia dell’ambito riconoscimentocomunitario costituito dalla Dop, checonsentirà finalmente di poter certifi-care il vero prodotto che può fregiarsi diquesta denominazione provenienteesclusivamente dal territorio di produ-zione previsto dal Disciplinare. La tesipiù accreditata sulle origini della deno-minazione Provolone “del Monaco” siriferisce al fatto che i casari che sbarca-vano all’alba nel porto di Napoli, con illoro carico di provoloni provenientidalle varie località della penisola sor-rentina, per proteggersi dal freddo edall’umidità, erano soliti coprirsi con unmantello di tela di sacco, che era simileal saio indossato dai monaci.

Il Provolone del Monaco è ottenutodalla lavorazione del latte crudo di ognisingola mungitura o al massimo di duemungiture successive. Il metodo tradi-zionale prevede l’impiego di caglio dicapretto. Dalla coagulazione del lattecrudo, si ottiene la cagliata, che vienerotta fino alla dimensione di piccoligrani, quindi si passa alle operazionisuccessive di scottatura e filatura. Lafilatura è alquanto laboriosa, in alcunicasi, per attorcigliare la cagliata, è

richiesto l’intervento di due persone. Illatte impiegato è quello di vacca, spe-cialmente quelle di razza agerolese, uti-lizzato in quantità non inferiore al 20%.La qualità del latte della vacca agerole-se, razza rustica locale sintesi di tre dif-ferenti patrimoni genetici, è ecceziona-le, ma essendo la resa della mungituramolto bassa, non la si può allevare sol-tanto in vista della produzione lattiera.Al contrario, se il poco latte prodottorispetto ad altre razze è di qualità ele-vata, impiegarlo per la produzione di unformaggio di nicchia pregiato come ilProvolone del Monaco Dop, fa sì che lasopravvivenza della razza agerolesepossa diventare un’opportunità econo-mica remunerativa diventando un ele-mento imprescindibile per la sopravvi-venza del Provolone del Monaco Dop.

Limone di Sorrento Igp

Il Limone di Sorrento, conosciuto in let-teratura anche come “Limone di Massa”o “Ovale di Sorrento”, è un prodotto dieccellenza per la sua categoria, notoanche a livello internazionale sia per ilmercato dei limoni freschi che per laproduzione del famoso “limoncello”.È un limone di dimensioni medie, di

forma ellittica e con polpa di color gial-lo paglierino, particolarmente succulen-ta e il cui succo è caratterizzato da ele-vata acidità e alto contenuto di vitami-na C e sali minerali. La buccia, di un belcolor giallo citrino, è di medio spessoreed è molto profumata per la ricca pre-senza in oli essenziali. Le caratteristichedi qualità del Limone di Sorrento Igpsono esaltate dalle particolari tecnichedi produzione, ancora legate alla colti-vazione delle piante sotto le famose“pagliarelle”, stuoie di paglia che ven-gono appoggiate a pali di sostegno dilegno, solitamente di castagno, a coper-tura delle chiome degli alberi, al fine di

proteggerli soprattutto dal freddo e dalvento e per conseguire anche un ritardodella maturazione dei frutti, che rap-presenta uno dei principali elementi ditipicità di questa produzione. In cucina,il Limone di Sorrento è consumato intantissime varianti: al naturale, oppureper preparare spremute e succhi o peraromatizzare dolci, marmellate ebevande. Nei ristoranti ed alberghi del-l’area di produzione, che comprendeanche Capri, i migliori cuochi si sonoinventate ricette d’autore in cui il limo-ne sorrentino è una costante in tutte lepietanze, dall’antipasto al dolce, fino alcaffè. È ingrediente obbligato in tutti iprimi piatti di “mare” e ovviamenteaccanto al pesce, che in quest’area è ilprincipale attrattore gastronomico per ituristi. Enorme successo tra i frequenta-tori della penisola sorrentina hannoinoltre ricevuto alcune preparazionidolciarie a base di limone, come i “babàal limoncello”, le “delizie al limone” ed il“sorbetto al limone”.

Liquore di limone di Sorrento IgpSulla nascita del “limoncello” nell’areasorrentina fioccano leggende e raccon-ti; c’è chi sostiene che questo tradizio-nale liquore giallo abbia origini moltoantiche, quasi quanto quelle legate allacoltivazione del limone. Altri dicono cheil limoncello veni-va utilizzato daipescatori e daicontadini al mat-tino per combat-tere il freddo giàai tempi dell’inva-sione dei piratiSaraceni.Altri ancora che laricetta sia nataall’interno di unconvento.Quel che è certo èche oggi il limon-cello è diventatoun prodotto apprezzato a livello inter-nazionale, prodotto ed esportato danumerose aziende, che, in base alrecente riconoscimento comunitariosulla denominazione Liquore di limonedi Sorrento Igp, devono utilizzare, solo ilimoni della Costiera Sorrentina e diCapri. Dei limoni, colti al massimo da 48ore, servono le bucce tagliate a manoche vengono lasciate a macerare in unasoluzione di alcool, acqua e zucchero, incontenitori coperti a temperaturaambiente. In questi contenitori lamacerazione della buccia e l’infusoassumerà lentamente l’aroma e il colo-re del giallo del limone. Dopo circa unmese di riposo, la preparazione prose-gue con l’aggiunta di un pentolino diacqua e zucchero prima portato in ebol-lizione e poi lasciato raffreddare e del-l’altro alcool. Dopo altri quaranta giornidi riposo, l’infuso viene filtrato edimbottigliato.Il limoncello va conservato in freezer edè un ottimo digestivo che chiude lecene: è oramai diventato un rito socialequasi al pari del caffè.

Page 15: Dentro e Fuori il Mare

27

erge lo scoglio del Vervece, metaambitissima dei subacquei per lesue pareti a picco nel mare e leestese macchie colorate diGorgonie gialle ed Attinie.Sempre più si avvicina all’orizzon-te Capri, se ne distinguono conchiarezza il Monte Solaro, e sullasinistra il più basso Monte Tiberio,da cui si narra che il poco equili-brato imperatore romano chedette il nome alla rupe, facessevolare in mare nemici e amantinon più desiderate. Dalla puntadella penisola a quella di Capri, cisono appena cinque chilometri: untempo, in realtà, insieme costitui-vano un’unica lingua di terra.L’isola resa celebre dagli anfratticolorati di azzurro dai riflessi delmare, dai Faraglioni, dagli innu-merevoli film che vi sono stati

In questapagina.Pescatoridella CostieraSorrentina.

Siamo nell’Area Marina Protetta diPunta Campanella. RaggiungiamoMarina della Lobra, un altro deipunti di partenza per le battute dipescaturismo. In una conca natu-rale si è sviluppato il piccolo borgomarinaro, armoniosamente raccol-to attorno al porticciolo, guardatodall’alto da una corona di collinedi uliveti e limoneti. Viottoli estradine collegano i numerosinuclei abitativi del comune diMassa Lubrense di cui ancheMarina della Lobra fa parte, suciascuno di loro svetta un campa-nile. E se le acque del ParcoMarino di Punta Campanella risul-tano da sempre molto pulite,Massa non è da meno infatti haricevuto anche la Bandiera Blu2009. Pressappoco di fronte, in mare si

In alto.Il porto di Marina

della Lobra.Sotto.

Particolaredi pavimento

in maiolica.Al centro.

Capri da PuntaCampanella.

In basso.I faraglioni

di Capri.

26

Page 16: Dentro e Fuori il Mare

29

girati e dalle frequentazioni mon-dane, in origine era in realtà unluogo di pescatori, che vivevano astento di ciò che il mare decidevadi regalare loro.Nel doppiare Punta Campanella, siscorge una delle numerose torricostiere erette nel ‘500 a protezio-ne della costa dai frequenti etemutissimi attacchi dei corsari:provenivano dalla Turchia, ma lagente li chiamava Saraceni pertrasposizione di più anticherimembranze. Quella torre parefosse dotata di una campanella, eanche qui la memoria è nel nomedel luogo.Ma ancora prima, in tempi arcaici,qui sorgeva un tempio dedicato adAtena, poi tramutata in Minervadai Latini, un santuario a lungofrequentato da pellegrini che arri-vavano da terra o da mare.Poco dopo Punta Campanella siapre un’insenatura molto profon-da, che guarda ancora verso Caprima che si affaccia ormai nel golfodi Salerno. La splendida Baia diIeranto, a lungo ferita da insensa-te cave di calcare, è oggi una riser-va del FAI, aperta ad un pubblicorispettoso della bellezza e dell’e-quilibrio della natura: qui laRiserva Marina si fa integrale, esolo le barche a remi possonoaccedervi. I colori dell’acqua dalturchese allo smeraldo, gli scorci

Pagina precedente.Una buona pesca.In questa pagina.In alto.PuntaCampanella.Al centro.La Baia di IerantoSotto.Pesca al largodi PuntaCampanella.

Page 17: Dentro e Fuori il Mare

31

L’antichissima tecnica usata daqueste parti per catturare i gam-beretti rosa è la nassa, una gabbiaa forma di zucca, frutto delpaziente lavoro dei pescatori, chestringono il giunco ai rami di mirtocon circa cinquemila nodi! Questoè d’altronde l’unico tipo di nassache è permesso utilizzare nell’AreaMarina Protetta, perché si tratta dimateriale biodegradabile che,

quando la nassa resta impigliatasul fondo, non reca danno all’am-biente sottomarino. Calate in maread una profondità di 50-80 metri,dei sacchetti contenenti pezzettidi pesce salato (sardine o altri tipidi pesce meno nobili) ne costitui-scono l’esca, dopo un paio di gior-ni vengono tirate su: nei periodi dimassima pesca si riescono a porta-re in barca 20-30 chili di gambe-

su Capri e i Faraglioni, la bellezzadi una macchia mediterraneaintatta creano la magia di questabaia. Su di lei, da sempre, vigilanoi falchi pellegrini, in greco Ierax,che le hanno dato finanche ilnome. Procedendo oltre Ieranto, sipassano alcune rocce isolatedavanti la costa, Isca e poi Vetara.Una profonda fenditura nella roc-cia dà accesso all’inaspettato fior-do di Crapolla. L’antica Cappella diSan Pietro è nascosta dietro unaroccia all’ingresso della minuscolainsenatura. A vedetta la solitatorre, e intorno la fitta vegetazio-ne di mirto e lentisco.Crapolla può rappresentare unincantevole intermezzo per chi faun giro in barca, ma è sosta obbli-gata per chi viene qui a pesca digamberetti. Queste acque cristalline, questerocce calcaree che hanno spesso laconformazione di grotte e anfratti,le correnti al giro tra il golfo diNapoli e quello di Salerno, creanole condizioni ideali di habitat perdei piccoli crostacei rosa, una lievestriatura gialla e un lungo beccodentellato: parapandolo è il nometecnico, gamberetto rosa quellousato dai comuni mortali.Comunque lo si chiami, è una pre-libatezza, e comunque lo si prepa-ri, ha sempre un sapore delicato eintensamente profumato di mare.

In alto.La CostieraAmalfitana.

Al centro.Il fiordo

di Crapolla.In basso.

Riti nel fiordodi Crapolla.

Momentidi pescaal gamberettodi Crapolla.

30

Page 18: Dentro e Fuori il Mare

33

sirene suicidatesi e trasformate inscogli per l’indifferenza di Ulisse alloro canto. In tempi più recenti,quelle falesie al largo di Positanoebbero appassionati proprietarinei celebri danzatori russi LéonideMassine e, dopo di lui, RudolfNureyev, che non di rado passeg-giavano fra i bianchissimi, eppurcoloratissimi, vicoletti di Positano.Siamo a tutti gli effetti passatidall’altro lato della penisola, che dilà si chiama sorrentina e di quaprende il nome da Amalfi. Orgogliod’un tempo della marineria italia-na, assieme ad altre tre repubbli-che, Pisa, Genova e Venezia, scris-se importanti pagine negli scambicommerciali e culturali conl’Oriente, lasciando una tracciaindelebile con l’introduzione delcodice marittimo, la Tabula deAmalpha di cui il Museo Civicoconserva una copia manoscrittadell’XI secolo. Paese di navigatori,santi e poeti il nostro, e Amalfiracchiude tutto ciò: fra i tantimarittimi amalfitani è rimasto ilnome di un Flavio Gioia che, sidice, abbia dato alla bussola - pre-ziosa invenzione cinese - unaveste rimodernata; nientemenoche le reliquie di un apostolo,Sant’Andrea, si procurarono i dogiamalfitani per la loro imponentecattedrale. Infine i poeti (maanche i pittori) sono i tanti che,ospiti in varie epoche di questi lidi,ne hanno lasciato loro rapite testi-monianze, da Foster a Gore Vidal.Oltre che navigare, molti uominidella Costiera Amalfitana hannoper secoli praticato la pesca e lofanno tutt’ora. In particolareancora oggi a Cetara, un tempo

famosa anche per le sue tonnare,sopravvive la tradizione dellapesca alle alici, e se ne tramanda

l’uso secolare di conservarle sottosale, oltre che di metterne a cola-re gli umori per produrre la colatu-

In alto. Vedutadi Positano.Al centro.Cetara.In basso.Antonino Leto,Pesca al tonno.

retti! Da marzo a luglio è la sta-gione, e con la Lega Pesca si puòassistere alla loro cattura. SlowFood ha voluto dedicare attenzio-ne a questa tecnica di pesca ora-mai in estinzione (non foss’altroche per la difficoltà di costruzionedelle nasse) con un presidio che neincentiva la commercializzazione.Si riparte, invitano a fare un bagnole baie di Marina del Cantone e diNerano; infine sorprendono LiGalli, un tempo detti Syrenusaeperché sarebbero due delle tre

In alto. Il porticciolo

di Nerano.Al centro

e in basso.Pesca al largo

de Li Galli.

32

Page 19: Dentro e Fuori il Mare

ra di alici. Nel porto di Cetara tro-neggiano le tonnare, enormi naviper la pesca al tonno, che nelperiodo di fermo pesca si conver-tono alla più originaria attivitàittica della pesca al pesce azzurro.Prima di Amalfi, non lontano dallaGrotta dello Smeraldo, è un altrofiordo, chiamato Furore per le iredel mare, quelle che spesso dove-vano affrontare i pescatori dellaCostiera Amalfitana: in questaferitoia aperta nella roccia e pro-tetta dai marosi, quei marinai

In queste pagine.Momentidi pesca alle sardea Cetara.

Page 20: Dentro e Fuori il Mare

palpitante città, un tempo erano iricoveri delle barche dei pescatori.Ancora i loro eredi sulla via lungoil porto o nel centro storico chia-mano all’acquisto con antiche tec-niche di modulazione della voce.Nel golfo di Salerno sono le gabbieper gli allevamenti di orate e spi-gole, richiestissime dal mercato,non solo locale. Inoltre, qui la LegaPesca esercita attività ittica conreti da posta, a cui è possibile par-tecipare in battute di pescaturi-smo. Su imbarcazioni di una deci-na di metri si parte in gruppi dimassimo 12 persone: si calano lereti (tramagli, ferrettare, nasse) esi tirano su scorfani, cernie, arago-ste, saraghi, corvine, polpi. Gliospiti vengono dotati anche dilenze per essere più autonominella pesca. Con l’imbrocco, untipo di rete simile al tramaglio auna sola mappa e con magliemolto fitte, si pescano i pesci dipiccola taglia, così amati dalla tra-dizione salernitana: acciughe esardine. E di piatti a base di questipelagici abbonda anche la cucinanata all’ombra del Duomo di SanMatteo. Accanto alla classica frit-tura di alici, la tiella con sardinecucinate in abbinamento a patate,pomodori, pangrattato, uova epecorino. Le alici ammollicate,invece, sono preparate con pan-grattato, aglio, prezzemolo e tantosucco di limone.

costruirono ricoveri per le barche eminuscole casette in cui ripararequando le tempeste non consenti-vano di tornare a casa. Il pittore-sco borgo, che ospitò intense nottid’amore tra Anna Magnani eRoberto Rossellini, si propone oggicome luogo ideale per chi desiderapraticare l’ittiturismo. È questal’ultima frontiera della rivalutazio-ne del mondo legato alla pesca,che la Regione Campania sta atti-vamente sostenendo: un tipo diturismo non soltanto sostenibile,ma che consente di recuperareantiche strutture, di dare un’inte-grazione di reddito ai pescatori, ein definitiva, di rivitalizzarne l’at-tività, affinché non si esauriscacon questa generazione.Superata Amalfi, Cetara ed infineVietri, patria delle coloratissimeceramiche che svettano anchesulle cupole di questa costa, siimpone alla vista un grande portoche preannuncia una città. Salernoè dominata dall’alto da quelcastello detto di Arechi, il principelongobardo che rafforzò le difesedi quella che lui aveva eletto acapitale del suo Principato. Era l’e-poca in cui fioriva la ScholaMedica, i cui insegnamenti e scrit-ti hanno dato un importante con-tributo alla storia della medicina.Anche se oggi il porto è principal-mente commerciale, con grossevelleità e potenzialità turistiche, inpassato gran parte della popola-zione salernitana era dedita allapesca. Quelli che oggi sono i loca-li della movida notturna di questa

In alto, a sinistra.Il fiordo

di Furore.A destra.

Amalfi e Atranidal mare.

Sotto.Amalfi in una

cartolinadi inizi ‘900.

Al centro.Vietri.

In basso.Panoramadi Salerno

dal Castellodi Arechi.

Pagina successiva.In alto e al centro.

Gabbie perl’itticoltura

nel golfodi Salerno.

In basso.Pescherecci

nel portodi Salerno.Pagina 38.

Gabbie perl’itticolturadelle orate

nel golfodi Salerno.

36

Page 21: Dentro e Fuori il Mare

39

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

COSTIERA AMALFITANA

Limone Costa d’Amalfi IgpIl Limone Costa d’Amalfi è un prodottodalle caratteristiche molto pregiate erinomate, la forma affusolata del frut-to, da cui il termine “sfusato”, e la zonain cui si è venuto, col tempo, a diffe-renziare, la Costiera Amalfitana. Dastudi recenti dell’Università di NapoliFederico II si è venuti a conoscenza chequesta varietà di limone è anche tra lepiù ricche in assoluto in acido ascorbi-co, la nota vitamina C. La buccia è dimedio spessore, di colore giallo parti-colarmente chiaro, con un aroma e unprofumo intensi grazie alla ricchezza dioli essenziali e terpeni (carattere rite-nuto di pregio per la produzione delliquore di limoni). La polpa è succosa emoderatamente acida, con scarsa pre-senza di semi. È inoltre un limone didimensioni medio-grosse (almeno 100grammi per frutto).

La coltivazione tipica a terrazzamenti,lungo i versanti acclivi della costiera,con la copertura delle piante attraver-so le famosissime “pagliarelle”, contri-buisce a conferire quelle caratteristi-che uniche e di pregio al Limone Costad’Amalfi Igp e a rendere famosi nelmondo i suoi mitici “giardini”. La rac-colta avviene più volte l’anno, per ilfenomeno tipico nei limoni del poli-morfismo, anche se la produzione dimaggior pregio si ottiene nel periodoprimaverile-estivo, compreso tra marzoe fine luglio. Il Limone Costa d’Amalfi èconsiderato, commercialmente, unprodotto di eccellenza, sia per il mer-cato del fresco che per la produzionedel celebre “limoncello”, che qui comea Sorrento e a Capri ha trovato la suaarea di elezione. Ma l’impiego delloSfusato amalfitano non si limita allaproduzione del liquore di limoni, ma siestende anche al settore dolciario, inquanto l’aroma inconfondibile di que-sto prezioso frutto è alla base di tantespecialità del posto, come le mitiche“delizie”, i “babà al limoncello”, letorte, i profitteroles, i cioccolatini edaltri dolciumi tipici locali.

Liquore di limone Costa d’Amalfi IgpAnche il “limoncello” della CostieraAmalfitana ha ottenuto di recente,come il cugino di Sorrento, l’ambitoriconoscimento dell’Igp da parte dellaCommissione europea sia pure con ladenominazione commerciale di “liquo-re di limone”. Il processo di produzioneè pressoché analogo solo che la mate-ria prima, le bucce di limone, devono

provenire esclusivamente dall’area diproduzione del Limone Costa d’AmalfiIgp. Il forte aroma e profumo dellabuccia che viene utilizzata, particolar-mente ricca di oli essenziali, come hacertificato l’Università degli Studi diSalerno dopo uno studio su diversevarietà di limone, qualifica e caratte-rizza particolarmente il prodotto finaledonandogli un valore aromatico ine-guagliabile. Soprattutto se il metodoutilizzato è quello artigianale e tradi-zionale in uso nella zona di produzione,che ancora prevede il lavoro di raschia-tura manuale della buccia che va fattocon particolare cura e attenzione.

Colatura di alici di CetaraA Cetara, antico borgo di pescatoridella Costiera Amalfitana, continua aessere presente nella tradizione culina-ria, la colatura di alici, erede delGarum, un piatto dell’antica Romadescrittoci da Plinio e Orazio come unasalsa di pesce cremosa che veniva otte-nuta facendo macerare strati alternatidi alici e sgombri o tonni, con strati dierbe aromatiche tritate, tutto ricopertoda sale grosso. La colatura di alici cheviene prodotta a Cetara è un liquidoambrato, ottenuto seguendo un anticoprocedimento che i pescatori del luogosi sono tramandati di padre in figlio. Lealici appena pescate nel periodo pri-

maverile edeviscera-te, vengo-no adagia-te in uncontenito-re, cospar-se di salemarino esuccess i-v a m e n t emesse inuna picco-

la botte e sistemate con la classica tec-nica ‘’testa-coda’’ a strati alterni disale. Completato il lavoro, la botticinaviene coperta con un disco in legno, sulquale si collocano dei pesi. Per effettodella pressatura e della maturazionedel pesce, il liquido secreto dalle alicicomincia ad affiorare in superficie. Illiquido prodotto viene man mano rac-

colto, inserito in bottiglie di vetro edesposto alla luce diretta del sole percirca quattro o cinque mesi, perchéevapori l’acqua e aumenti la concen-trazione. Quindi il liquido ottenutoviene versato nuovamente nella bottedove le alici sono rimaste in matura-zione. Così, colando lentamente attra-verso i vari strati di pesci, ne raccoglieil meglio delle caratteristiche organo-lettiche. Viene recuperato attraversoapposito foro e filtrato in teli di lino. Ilrisultato finale, la colatura, è un distil-lato limpido di colore ambrato carico,quasi bruno-mogano, dal sapore decisoe corposo che a Cetara è il tradiziona-le condimento per gli spaghetti dellavigilia natalizia, oltre che per le bru-schette e le verdure: tradizionalmenteconsiderato un cibo povero, sostitutivodel pesce fresco, oggi è un condimentoricercatissimo e apprezzato a tutti ilivelli commerciali.

Vino Costa d’Amalfi DocLa denominazione che caratterizza icelebri vini della Costiera Amalfitana èla Doc Costa d’Amalfi, che annoveranel Disciplinare vitigni storici comel’Aglianico, il Piedirosso e la Falan-ghina, ma anche vitigni caratteristicisolo per quest’area come Sciascinoso,Tintore, Serpentaria, Fenile, Ginestra edaltri, facendo di questa zona unaminiera di biodiversità unica per la viti-coltura tradizionale. Una viticolturaresa difficile dalle frequenti situazionidi dissesto idrogeologico, che si con-fronta da sempre con la scarsità delterreno e la natura rocciosa dei luoghiin pendenza, i terrazzamenti intorno aiquali si avvolgono strade, tornanti ecamminamenti. La zona di produzione individua i tredi-ci comuni della costiera, caratterizzatida ambienti naturali di eccezionalebellezza e da arditi terrazzamenti,spesso a picco sul mare o in angustegole, quasi sempre irraggiungibili, senon lungo ripidi e tortuosi scalini; ogniripiano, ogni maceria, che oggi ospitaun vigneto, è stato letteralmente ruba-to alle rocce, mediante la costruzionedi muri a secco, il trasporto di terrenoa spalla e il duro lavoro dell’uomo. Da questa superba gradinata, coltivataa vigna e a limone, dove i gusti e i pro-fumi degli agrumi e della flora medi-terranea si mescolano con la salsedinemarina, si ottengono i vini della Costad’Amalfi, che inevitabilmente imprigio-nano gli aromi, i sentori di queste terre. Se ne conoscono tre tipi, il Furore, ilRavello e il Tramonti, prodotti neirispettivi comuni di coltivazione, anchese il Disciplinare ammette la prove-nienza anche dagli areali di produzionelimitrofi a questi. La base varietale èstrettamente legata alla tradizione e laricca platea di vitigni ammessi consen-te non solo la produzione di vini rossi,bianchi e rosati per ognuna delle indi-cazioni geografiche previste, ma offrela possibilità di conferire al vino unaspiccata personalità e un’accentuataoriginalità.

Page 22: Dentro e Fuori il Mare

41

Un centinaio di chilometri displendido litorale si sviluppa daAgropoli a Sapri: una costa fatta dispiagge piccole e grandi, alternatea scogliere alte e ricche di cavitàmarine, un’acqua che dal blu pro-fondo di Punta Licosa assume ilverde smeraldino di Acciaroli, e poil’azzurro intenso di Sapri. Siamonel Parco Nazionale del Cilento eVallo di Diano, uno dei più grandid’Italia, riconosciuto dall’UNESCOPatrimonio dell’Umanità, sul cuilitorale si concentrano ben ottospiagge fregiate dalle Bandiere Bludi Legambiente. E dal 2007 sonostati istituiti due parchi marini, aSanta Maria di Castellabate e aCosta degli Infreschi.Il primo è una favolosa combina-

zione di terra, cielo e mare che vada Punta Tresino a Punta Licosa. Ilpromontorio è una propaggine acontinuazione del Monte Tresino,un territorio libero dal cemento,sul quale rigogliosi cespugli dimirto e lentisco disegnano l’am-biente naturale. A Punta Tresino, iventi marini hanno eroso nei mil-lenni le rocce, che nei fondalihanno conservato una bellezzainviolata. Sorridente, serenamenteadagiata sulla spiaggia appareSanta Maria di Castellabate. Ilborgo nato attorno alla medievaleChiesa di Santa Maria, che ancorasorge nei pressi del piccolo appro-do marittimo, fu lo scalo per i traf-fici commerciali dei monaci diCastellabate. I potenti abati di

Page 23: Dentro e Fuori il Mare

Cava de’ Tirreni, per secoli reggen-ti di gran parte del territorio cilen-tano, avevano eretto in posizioneelevata nel XII secolo un castello,attorno al quale si sviluppò ilborgo Castrum Abatis, Castellodell’Abate. Santa Maria ne è lafrazione marittima, e sotto learcate affacciate sul porto delleGatte, ancora sono i vecchi ricove-ri delle barche: al pomeriggio siincontrano lì i pescatori, intenti apreparare pazientemente ami ereti per l’uscita notturna.

42

Pagina precedente.In alto.

Veduta di Agropoli.Al centro.

San Marcodi Castellabate.

A destra.Il porto di Acciaroli.

In queste pagine. In alto.Punta Licosa.

In basso, a sinistra.La costa presso

Palinuro.Al centro.

Punta del telegrafopresso Ascea.

A destra.Baia degli Infreschi.

Page 24: Dentro e Fuori il Mare

45

Con l’UNCI partiamo dal porticcio-lo di Santa Maria di Castellabate,con le palangare armate e l’obiet-tivo di insidiare il pesce sciabola,quello che comunemente è forsepiù conosciuto come pesce spato-la o bandiera, e che con il suocorpo lungo, piatto e argenteoama annidarsi sui fondali. Lapalangara è una sorta di bolentino,una lenza lunghissima, armata conmoltissimi “braccioli”, ossia picco-li fili di nylon cui sono attaccati gliami. Si usa facendolo adagiareorizzontalmente, nel nostro casosul fondo del mare, ma può ancheessere lasciato a pochi metri sottola superficie del mare quando siintendono catturare specie pelagi-che. Per far sì che la palangararesti sul fondo, è necessario fissar-la, naturalmente mediante deipiombi. Tirando su in barca lapalangara, la lotta tra il pescatoree la sua argentea preda è intensacome quelle descritte daHemingway nel suo celebre libro Ilvecchio e il mare, per il quale in unsoggiorno ad Acciaroli l’autorestatunitense trovò l’ispirazione. Terminata con successo la nostrabattuta di pesca, ci attardiamo avisitare con la nostra guida marinaquesto amenissimo tratto di costa.Oltre al litorale di Punta dellaCampanella, anche questo sirichiama alla leggenda di Ulisse edelle Sirene: qui uno sperone diroccia, un promontorio dalla bel-lezza che ammalia, porta ancora ilnome di una di loro, Leucosia.

Le pareti del terrazzo marino diPunta Licosa assumono formeartistiche; profonde venature obli-que disegnano la splendida rocciascura. Un suggestivo sentierosegue il litorale da San Marco diCastellabate a Ogliastro Marina;fra un promontorio e l’altro, nellecalette, i sassi si ammorbidisconosotto uno spesso e soffice mantodi Posidonie depositate dalle onde.Boschi di Pini d’Aleppo creano unaquinta scenografica: conifere chesi accontentano di poco per vivere,rupi inospitali e terreni calcarei...in cambio solo di un posto inprima fila davanti a uno splendidomare. Qui il forte vento li piega informe inaspettate e suggestive.Un porticciolo consente di rag-giungere l’isolotto di Licosa inbarca, e di ammirare il mare limpi-dissimo che la circonda. Anchequesto intende proteggere il ParcoMarino, assieme agli anfratti, legrotte sottomarine, i fondali rico-perti da estese praterie diPosidonia, sinonimo di purezzadelle acque. Sulla spiaggia doratadi Ogliastro Marina, qualche esta-te fa una tartaruga CarettaCaretta depose le sue uova, fra lostupore dei bagnanti e dei ricerca-tori della Stazione ZoologicaAnton Dohrn di Napoli. La schiusadiede alla luce 31 dolcissimi picco-li: su questa stessa spiaggia torne-ranno, probabilmente, un giorno lefemmine a deporre nuovamente leloro uova. A bordo di barche aremi, si avverte solo il silenzio e il

battere ritmato sulla superficiedell’acqua. Nelle placide notti d’e-state gli occhi, immersi nel nerodel cielo e del mare, vanno incerca di Orione, poi delle Pleiadi.La luce di quelle costellazioni indi-ca la rotta ai banchi di alici: tuttoquesto gli uomini l’hanno impara-to più di duemila anni fa, quando ipescatori greci battevano questimari a caccia di acciughe, un’anti-ca tradizione ittica che oggisopravvive in una manciata di baiedel Cilento, fra Acciaroli e PuntaInfreschi. Si può apprendere latecnica di pesca con la menaicacon l’UNCI ad Agnone Cilento, conuscite che portano al largo dellabellissima Acciaroli, o a Pisciotta.Nell’imbarazzo della scelta, ciinoltriamo nel mare del Cilento piùmeridionale.

Pagina precedente.Preparazionedegli ami.In questa pagina.In alto.Baia degliInfreschi.Sotto.Pesca conla menaica.

Page 25: Dentro e Fuori il Mare

47

Pisciotta è un borgo suggestiva-mente abbarbicato sulle rocce cheguardano il mare del golfo diPolicastro, un mare che ha i coloridelle Bandiere Blu guadagnatesenza interruzione negli ultimianni, e la presenza delle Posidoniesui suoi fondali è la testimonianzapiù tangibile della salubrità del-l’acqua. Tutt’intorno, il paesaggiorurale è fatto di muretti a secco edi ulivi grossi, dritti e folti. Anchequi la costa è puntellata dalle torridi guardia anticorsari. Un angolodi Pisciotta restituisce in manieraconcreta quei lontani affanni, unaminuscola cappella votiva fattaerigere nel Seicento da SalvatorePinto accanto alla residenza di

famiglia, al ritorno di suo figlio.Michele e i compagni, partiti abordo dei velieri dei Pinto, eranostati fatti prigionieri dai barbare-schi e condotti a Tunisi. Ma in quelcaso, la sorte li volle salvare.A Marina, la frazione costiera diPisciotta, i pescatori ancora si tra-mandano i segreti della menaica:astuzia dell’uomo è stata quella dicreare una rete che, sbarrando inverticale la strada al banco - eccoperché è fondamentale conoscer-ne gli orientamenti! - non dàscampo alle alici, le maglie strettefanno sì che vi restino impigliate.La larghezza è però tale da cattu-rare solo le alici adulte, si trattadunque di una pesca selettiva: le

più piccole sgusciano via, e garan-tiranno la riproduzione della spe-cie. Le acciughe si dimenano, e ciòprovoca il dissanguamento. Manmano che la rete viene tirata su,delicatamente si estraggono amano le alici impigliate, cui ven-gono asportate testa e interiora.Private da subito del residuo san-gue, se ne ritarda la putrefazione,e questo consente di portare aterra il pescato senza l’uso delghiaccio. Appena raggiungonoterra, le alici vengono messe sottosale: un lavoro, la salatura, dasecoli a operosa cura delle donne.La stagionatura al fresco e umidodei magazzeni, gli antichi ricoveriper le barche, dura circa sei mesi.

Pagina seguente.Pesca con

la menaica.

46

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

COSTA CILENTANA

Carciofo di Paestum IgpIl Carciofo di Paestum, noto anche comeTondo di Paestum, dal nome dell’ecotipolocale da cui deriva, è ascrivibile algruppo genetico dei carciofi di tipo“Romanesco”. L’aspetto rotondeggiantedei suoi capolini, la loro elevata com-pattezza, l’assenza di spine nelle brat-tee, sono le principali caratteristichequalitative e peculiari di tale carciofo,che ne hanno consacrato la sua fama trai consumatori. Anche il carattere di precocità di matu-razione può essere considerato un ele-mento di positività conferitogli dall’am-biente di coltivazione, la Piana del Sele,che consente al Carciofo di Paestum di

essere presen-te sul mercatoprima di ognialtro carciofodi tipo Roma-nesco.Altre caratte-ristiche tipi-che del pro-dotto sono:una pezzaturamedia deicapolini, un

peduncolo inferiore a 10 cm, il coloreverde con sfumature violetto-rosacee, ilricettacolo carnoso e particolarmentegustoso. Le pregevoli caratteristichecommerciali del Carciofo di Paestum Igpsono anche frutto di un’accurata e labo-riosa tecnica di coltivazione che gli ope-ratori agricoli della Piana del Sele hannoaffinato nel corso di decenni. Il climafresco e piovoso nel corso del lungoperiodo di produzione (febbraio-mag-gio), che caratterizza tale area, conferi-sce anche la tipica ed apprezzata tene-rezza e delicatezza al prodotto.Queste caratteristiche di pregio consen-tono al prodotto di essere molto apprez-zato in cucina, dove viene utilizzatonella preparazione di svariate ricettetipiche e di piatti locali come la pizzacon i carciofini, la crema e il pasticcio aicarciofi, particolarmente graditi ai tanti

turisti che visitano la Piana del Sele e inparticolare i Templi di Paestum.

Fico bianco del Cilento Dop

Prodotto avente caratteristiche uniche edi assoluto pregio, apprezzate ancheall’estero, il Fico bianco del Cilento devela sua denominazione al colore giallochiaro uniforme della buccia dei fruttiessiccati, che diventa marroncino per ifrutti che abbiano subito un processo dicottura in forno. La Dop infatti è riferita al prodottoessiccato dell’ecotipo cilentano dellacultivar “Dottato”, pregiata varietà difico diffusa in tutto il Mezzogiorno.Altre caratteristiche distintive del pro-dotto riguardano la polpa, di consisten-za tipicamente pastosa, dal gusto moltodolce, di colore giallo ambrato, conacheni prevalentemente vuoti e ricetta-colo interno quasi interamente pieno. Tali peculiarità, considerate di eccellen-za per la categoria commerciale dei fichiessiccati, sono appunto i tratti prevalen-ti che qualificano il Bianco del CilentoDop sui mercati.Confezionati al naturale in diverseforme (cilindriche, a corona, sferiche, asacchetto), i fichi del Cilento sono com-mercializzati anche nella maniera anti-ca, posti cioè alla rinfusa in cesti fatti dimateriale di origine vegetale che posso-no arrivare anche a venti chili di peso.Una preparazione tradizionale ancora inuso è quella che vede i fichi “steccati”,

infilati cioè in due stecche di legnoparallele per formare le “spatole” o“mustaccioli”. Ancora, esso è posto incommercio anche farcito con mandorle,noci, nocciole, semi di finocchietto,bucce di agrumi o ricoperto di cioccola-to, od anche immerso nel rum, con l’o-biettivo di ampliare la gamma dell’offer-ta, soprattutto nel periodo natalizio. Sempre più ricercati sono anche i fichiessiccati e poi dorati al forno, soprattut-to quelli farciti. Pregiati, ma sempre piùrari per gli alti costi di preparazione,sono i fichi mondi, senza buccia, dalcolore chiarissimo tendente al biancopuro e dal sapore prelibato.

Olio Cilento Dop

La presenza dell’olivo caratterizza dasecoli il paesaggio cilentano e ne rap-presenta la principale, e talvolta unica,risorsa delle popolazioni locali, tanto dadivenire parte integrante della loro vitaquotidiana. Recenti ricerche hannodocumentato la presenza dell’olivo giànel IV sec. a.C. La tradizione, invece,vuole che le prime piante fossero intro-dotte dai coloni Focesi, una popolazionedi origine greca. Furono essi infatti adintrodurre la più antica varietà da oliolocale, la Pisciottana, che resiste moltobene ai venti salmastri della zona, èmolto produttiva anche in un compren-sorio arido come il Cilento e ancora oggiconferisce all’Olio Cilento la sua ricono-sciuta tipicità.Nel Cilento, inoltre, ha vissuto per moltianni anche il celebre nutrizionista ame-ricano Keys, il padre della Dieta mediter-ranea, che proprio all’olio di oliva attri-buisce un ruolo principe, in quantodetermina una riduzione del colesterolo

serico, migliora la funzionalità dell’ap-parato cardiocircolatorio, e proteggel’organismo, con il suo corredo disostanze fenoliche, da gravi alterazioni.L’Olio Cilento Dop si ottiene dalla premi-tura di olive delle varietà Pisciottana,Rotondella, Ogliarola, Frantoio, Salella eLeccino per almeno l’85%. L’olio, al con-sumo, è di colore giallo paglierino, conbuona vivacità ed intensità; spesso lim-pido, a volte velato. All’esame olfattivomostra un leggero sentore di fruttato,talvolta con note di mela e di fogliaverde. Il gusto è tenue e delicato di olivafresca, fondamentalmente dolce conappena percettibili note vivaci di amaroe piccante. È discretamente fluido, conevidenti sentori di pinolo e retrogusto dinocciola e mandorla. L’acidità è sempreinferiore al valore di 0,70%. La notevolepresenza di note aromatiche fa predili-gere l’uso di quest’olio su piatti di unacerta consistenza, tipici dell’area di ori-gine, come grigliate di pesce, insalateselvatiche, verdure bollite, legumi eprimi piatti in genere.

Vino Cilento Doc

Il Cilento, una delle zone più ricche dibellezze paesaggistiche, dove la naturaappare spesso incontaminata nel suosplendore, pur in presenza della nota

asperità del territorio e dell’aridità deisuoi suoli, tuttora conserva una viticol-tura storica e tradizionale che il tempo eil progresso non hanno cancellato.I vitigni locali, introdotti ad Elea ed aPaestum dagli antichi colonizzatoriGreci, trovano nella natura argillosa-calcarea del terreno e nel clima dellazona le condizioni per esprimere almeglio la propria personalità. SanteLancerio, bottigliere del Papa Paolo III,sosteneva, intorno al 1500, riferendosi aivini della costa cilentana che “... è undelicato bere l’estate alli gran caldi enon ha pari bevanda la sera a tuttopasto ...“. La Doc prevede quattro tipi divini: il bianco, che presenta come viti-gno base il Fiano detto localmenteSanta Sofia, il rosso (vitigni Aglianico ePiedirosso soprattutto), il rosato(Sangiovese prevalente) e Aglianico.L’affermazione dei vini del Cilento pres-so i consumatori ha di fatto promosso lacostituzione di imprese d’avanguardiache utilizzano anche le più avanzatetecnologie di produzione, dalla barrique,alle botti, alle vasche d’acciaio, sempreperò nel rispetto della tradizione enolo-gica locale e del Disciplinare di produ-zione. Le viti cilentane producono pochigrappoli, dai quali si ottengono però vinidi eccellente qualità, che si abbinanoperfettamente alla cucina tipica cilenta-na “povera”, semplice, ma gustosissima,come: i fusiddi, i cavatieddi e i miglia-tieddi, gli struffoli, ecc.

Alici di menaicaIl rito della pesca con le menaiche, pra-ticato, ormai, solo da una piccola flottadi gozzi di Marina di Pisciotta, sullacosta cilentana, risale all’epoca classicae si è mantenuto inalterato nei secoli.I pescatori, estraggono delicatamente lealici una per volta dalle strette magliedella rete, la menaica appunto, elimi-nando la testa e le interiora. Sistematein cassette di legno, senza ghiaccio, néalcun refrigerante vengono lavorate diprimo mattino: si lavano in salamoia e sidispongono minuziosamente in vasettidi terracotta che ne contengono pochiettogrammi. In passato, quando il pesceera più abbondante, si usavano le “ter-zarole”, barili di legno molto capienti.

Dopo la copertura e la pressatura conpietre, devono stagionare per almeno seimesi. Le alici di menaica sono il risulta-to di una ottima interazione culturalecon il territorio, che ha conservato inal-terate le competenze necessarie perchéavvengano tutti i passaggi indispensabi-li a ottenere le straordinarie caratteristi-che organolettiche del prodotto.

Le alici di menaica, caratterizzate dauna qualità altissima, una carne biancatendente al rosa e un gusto particolare,molto intenso ma al tempo stesso deli-cato, si possono acquistare direttamentedai pescatori, che li vendono in caratte-ristici barattolini. Si mangiano fresche osotto sale, crude o cotte. Molte ricette locali, semplicissime, pre-vedono l’impiego delle alici di Pisciotta,come l’insalata di alici crude, appenaappena sbiancate con il limone e condi-te con olio, aglio e prezzemolo, o il sugodi alici, ottimo sugli spaghetti, qualevariante deliziosa al mitico aglio olio epeperoncino.

Page 26: Dentro e Fuori il Mare

La carne chiara e tenera delle alicidi menaica ha un aroma e ungusto molto delicati, ideali damangiare fresche all’insalata osugli spaghetti con olio, pomodo-rini, aglio e peperoncino.Capo Palinuro è un altro luogosegnato dalle narrazioni epiche.Qui i protagonisti sono Enea, nellasua fuga da Troia, e il suo nocchie-ro Palinuro che cadde dalla nave,vittima del sonno prima, e degliabitanti del luogo poi.Passando questa suggestiva linguadi terra, entriamo nell’ultima AreaMarina Protetta della regione,Parco Costa Infreschi, che con lemeraviglie di un litorale che haconservato il suo aspetto origina-rio, ha in Punta Infreschi il suolimite inferiore. Raggiungiamol’ultima meta di questo nostroviaggio nel pescaturismo dellaCampania: Marina di Camerota. Ciimbarchiamo dapprima di giorno,

alla scoperta delle incredibili roccecalcaree in cui lo scorrere millena-rio dell’acqua ha scavato grotte ecavità, nelle quali a sua volta si fastrada il mare, creando giochi diluce, riflessi a volte turchesi, altresmeraldini. Gli occhi a stento cre-dono a ciò che vedono! Il successi-vo imbarco, in notturna, è invecefinalizzato alla pesca. Staseravogliamo assistere alla pesca a cir-cuizione. Questa volta non si trat-ta di piccola pesca, si va su quan-tità più grosse. Con l’AGCI salpia-mo a bordo delle barche di suppor-to, non sulla principale, il ciancio-lo, dove le manovre potrebberoessere pericolose per noi ospiti. Lepiccole hanno la funzione di tene-re accese le lampare per attiraresarde e acciughe, formare e manmano ingrandire il banco. È però ilcianciolo ad eseguire l’ultima eprincipale fase della pesca.Attraverso una gru, cala una rete

enorme che una delle lampare dis-pone a cerchio, con cui si circondail banco; il cavo unico che, graziea degli anelli, corre nell’estremitàinferiore della rete, viene tirato. Siforma il sacco, i pelagici nonhanno più scampo. L’azione ècomplessa, chi vi assiste avverte inpieno il senso della strategia, e nelcontempo, dell’impegno fisico chequesto genere di pesca richiede.Un’esperienza forte, e anche se lanostra unica attività è stata quelladi osservare, l’impegno emotivo ciha provati.Siamo lieti che i nostri amicipescatori ci portino a rilassarci ead assaggiare il pescato, ancoratiin una meravigliosa caletta. Cidirigiamo a sud, superiamo Sapri,in direzione di Maratea, ci fermia-mo nel Canale di Mezzanotte.Un bel nome per concludere,anche se la mezzanotte è già pas-sata da un po’.Una lampara.

48