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Collegio Regionale dei Costruttori Edili Siciliani 90133 Palermo, Via A. Volta, 44 Tel.: 091/333114/324724 Fax: 091/6193528 C.F. 8029280825 - [email protected]www.ancesicilia.it La Rassegna Stampa è consultabile nel sito: www.ancesicilia.it Del

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Page 1: Del - ANCE Sicilia 16-05-2019.pdfimponendo proporzionalità ai giorni di ritardo e all’importo del contratto. Di fatto, tuttavia, l’innovazione incide anche sulle cause di esclusione

Collegio Regionale dei Costruttori Edili Siciliani 90133 Palermo, Via A. Volta, 44 Tel.: 091/333114/324724 Fax: 091/6193528 C.F. 8029280825 - [email protected] – www.ancesicilia.it

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LEGGE EUROPEA

Appalti, la penale da ritardo non esclude in

automatico

La sanzione deve essere proporzionale anche all’importo del contratto

Le innovazioni al Codice dei contratti pubblici in tema di penali da ritardo (articolo 113-bis del Dlgs

50/2016, modificato dall’articolo 5 della legge europea 37/2019), avranno effetti anche sulle cause

di esclusione da gare pubbliche.

La legge europea riguarda le sanzioni per il ritardo nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali,

imponendo proporzionalità ai giorni di ritardo e all’importo del contratto. Di fatto, tuttavia,

l’innovazione incide anche sulle cause di esclusione dalle gare, perché l’articolo 80, comma 5

lettera c-ter del decreto 50/2016 prevede un’esclusione automatica delle imprese che abbiano

subito penali per inadempimenti. Imponendo proporzionalità alle penali contrattuali, si limita di

fatto anche il potere di esclusione da parte della pubblica amministrazione.

Il tema è stato approfondito di recente dal Consiglio di Stato con la sentenza 30 aprile 2019 n.

2794, relativa a un appalto per smaltimento rifiuti: un’impresa era stata infatti esclusa da una gara

per non aver dichiarato precedenti sanzioni contrattuali, cioè penali economiche subite

nell’esecuzione di un precedente, analogo contratto per smaltimento rifiuti.

L’omessa dichiarazione di questo infortunio aveva causato in modo automatico l’esclusione dalla

gara successiva. Secondo il Consiglio di Stato, però, non basta aver subito una penale

contrattuale per essere ritenuti inidonei, soprattutto se mancano altri elementi significativi o

sintomi di gravi errori professionali.

Questo perché un inadempimento può derivare anche da comportamenti di soggetti terzi o da

eventi esterni. Ad esempio, non è causa di esclusione da successivi rapporti contrattuali, nel

settore dello smaltimento rifiuti, il mancato raggiungimento di una predeterminata percentuale di

raccolta differenziata (Consiglio di Stato, 1346/2018): un conto è infatti il risultato auspicato (e

non raggiunto), altro conto è la responsabilità che deriva da un proprio errore.

Secondo i giudici, inoltre, la pattuizione di una clausola penale non sottrae il rapporto alla

disciplina generale delle obbligazioni, che esclude la responsabilità del debitore quando costui

prova che l’inadempimento, o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione, siano stati determinati

dall’impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (ad esempio, per caso

fortuito: Corte di cassazione 7180/ 2012).

Inoltre, l’importo delle penali deve essere significativo, valutando la gravità dell’inadempimento

con il metro adottato nelle linee guida Anac 1293/16, che danno rilevanza a penali di importo

superiore all’1% dell’importo del contratto. Oggi l’articolo 5 della legge 37/2019 prevede penali

giornaliere tra lo 0,3/1000 e l’1/1000 dell’importo contrattuale, senza poter superare,

complessivamente, il 10% dell’importo del contratto; ma solo dall’1% in su la penale contrattuale,

secondo il Consiglio di Stato, influisce sulle gare successive.

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Piccole opere, arriva la pioggia di 500 milioni su 7.910 enti locali: cantieri entro ottobre Massimo Frontera

Contributi a fondo perduto tra 50mila e 250mila euro per micro-interventi di

efficientamento energetico su edifici e reti pubbliche

Definita la distribuzione di 500 milioni di euro a valere sui fondi Fsc destinati alle piccole opere dei comuni stanziati dal decreto Crescita (articolo 30 del Dl n.34/2019). Il maxi-riparto è stato approvato dal ministero dello Sviluppo attraverso un decreto direttoriale pubblicato ieri sul sito del Mise che assegna i contributi a 7.910 enti locali, cioè praticamente a tutti i comuni italiani (anche se il numero totale è leggermente inferiore ai 7.926 comuni stimati dal decreto Crescita). Una vera e proprio distribuzione a pioggia, con "gocce" che variano da 50mila euro per i comuni più piccoli fino ai 250mila euro assegnati alle sole 12 città metropolitane. A seconda della grandezza, i comuni hanno ricevuto anche quote di 70-90-130-170-210mila euro. Le risorse dovranno essere utilizzate per interventi di vario tipo riconducibili a «efficientamento energetico» oppure allo «sviluppo territoriale sostenibile». Due formulazioni che consentono a ciascun ente locale di individuare con facilità una destinazione, intervenendo per esempio su illuminazione pubblica, risparmio energetico degli edifici pubblici, installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, adeguamento e messa in sicurezza di scuole, edifici pubblici e patrimonio comunale, abbattimento delle barriere architettoniche, eccetera. Di fatto, il contributo a fondo perduto del Mise è una sorta di bonus utilizzabile su un ampio spettro di interventi. Il Mise pone solo due condizioni (precisate nel Dl Crescita): i beneficiari non devono avere già ottenuto un finanziamento a valere su fondi pubblici o privati, nazionali, regionali, provinciali o strutturali di investimento europeo; il contributo deve essere aggiuntivo rispetto a risorse già programmate sulla base degli stanziamenti contenuti nel bilancio di previsione dell'anno 2019. L'altra condizione richiesta è l'avvio dei lavori entro il 31 ottobre 2019. Chi non riesce a spendere i soldi va incontro alla «decadenza automatica dell'assegnazione del contributo». Il decreto direttoriale ricorda che l'erogazione avviene in due quote: la prima metà dei soldi viene trasferita dopo la verifica «del termine di inizio lavori». L'altra metà arriva

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dopo il collaudo. Infine, si annunciano - a sorpresa - ulteriori «disposizioni operative» per disciplinare «le modalità di controllo e le disposizioni operative per l'attuazione della misura». Le indicazioni arriveranno con un successivo provvedimento Mise, sempre a firma del direttore dell'area Incentivi alle imprese.

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Salini Impregilo/1. Più tempo per il salvataggio di Astaldi Laura Galvagni

Fissata per il 19 giugno l’udienza presso il Tribunale di Roma per il decreto

La partita per il salvataggio di Astaldi, che porta con sé anche la potenziale realizzazione del più ambizioso piano Progetto Italia, potrebbe slittare ancora di qualche settimana. A marzo scorso la scadenza per la presentazione del progetto di rilancio firmato da Salini Impregilo, inizialmente concordata per fine marzo, era stata posticipata al 20 maggio. Ora quella data resta salda, tuttavia si è inserito un nuovo tassello che sposta al 19 giugno la data ultima per definire la quadra. Per quel giorno è stata fissata infatti l’udienza al Tribunale di Roma per il decreto. Ciò significa, in sostanza, che per mettere a punto tutti gli eventuali dettagli del piano il general contractor e le banche avranno di fatto un mese in più.

La trattativa è ormai serrata da tempo ma lo scenario è complesso, tanto più se con questo progetto si vogliono gettare le basi per realizzare la ristrutturazione dell’intero settore delle costruzioni. L’intenzione sarebbe ancora quella di stringere il più possibile i tempi. A quanto risulta, infatti, la dialettica con gli istituti di credito è fitta. L’obiettivo, d’altra parte, sarebbe quello di mettere in sicurezza in tempi rapidi l’asset che a livello sistemico potrebbe creare maggiori problemi, ossia la compagnia di costruzioni già partner di Salini Impregilo in numerose iniziative, soprattutto in Italia. Si tratterebbe di un primo step per poi procedere, con tempi e modi opportuni, a valutare altri dossier di aziende in difficoltà (come Trevi, Cmc, Condotte, Grandi Lavori Fincosit) che assieme ad Astaldi valgono circa 6 miliardi di giro d’affari ma soprattutto 5 miliardi di indebitamento finanziario aggregato a cui si sommano linee di bondistica per 7 miliardi. Numeri rilevanti e che danno la misura di quanto sia ormai in crisi un settore chiave per il paese: solo in termini di giro d’affari i gruppi a rischio valgono lo 0,4% del Pil. Cifre troppo importanti perchè non si consideri, almeno sulla carta, un intervento di sistema che dia nuovo impulso al comparto. Perché ciò avvenga, però, il contesto deve essere favorevole, deve esserci cioè la volontà di tutti gli stakeholders, azionisti, banche creditrici, investitori finanziari e istituzionali, di dar vita a un simile piano. E in quest’ottica, il primo passaggio chiave è quello di costruire consenso attorno al salvataggio di Astaldi. L’agglomerato Salini Impregilo-Astaldi diventerebbe così il perno attorno a cui costruire un campione nazionale.

Nel mentre giusto ieri il cda di Salini Impregilo ha esaminato alcuni dati relativi all’andamento del business a inizio 2019, che vedono un totale di nuovi ordini acquisti da inizio anno a circa 5 miliardi di euro, di cui mezzo miliardo si riferisce a progetti in corso di finalizzazione. Una nota della società di costruzioni ha sottolineato anche «un significativo miglioramento della qualità del backlog grazie anche al contributo dell’Australia che passa dall’1,5% del 2018 al 12% del totale». In tutto, la pipeline commerciale è superiore a 45 miliardi di euro di cui oltre la metà in Nord America, Europa e Australia. Inoltre, l’andamento della gestione economico-finanziaria è «in linea con le attese»

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Casa, pronto il piano del Governo per la tassa unica: in pensione Imu e Tasi Marco Mobili e Gianni Trovati

La Lega rilancia la proposta di imposta unica con bollettino pre-compilato e dieci categorie

di tassazione. Resta esente la prima casa, nodo aliquote sugli altri immobili

Ripartono i grandi lavori sulle tasse del mattone, con l’obiettivo di fondere in una nuova imposta unica l’attuale doppione prodotto da Imu e Tasi, evitando il più possibile un contraccolpo sui contribuenti.

A riaprire il dossier è la Lega, con una proposta di legge che apre il lungo elenco di firmatari con il vicepresidente della commissione Finanze alla Camera Alberto Gusmeroli e il capogruppo di Montecitorio Riccardo Molinari. Ma il testo è già passato anche da un approfondito esame tecnico al ministero dell’Economia, e riprende un’idea già tentata dallo stesso Gusmeroli in legge di bilancio. A dicembre i tempi stretti e i troppi fronti aperti che hanno caratterizzato il caotico cantiere della manovra hanno imposto di accantonare il tema. Che però rimane ai piani alti dell’agenda fiscale del Carroccio: e promette di tornare presto in scena nel dibattito politico e in un confronto con i sindaci che non si annuncia semplice. Perché come insegna l’esperienza il fisco sugli immobili è materiale infiammabile.

Il primo obiettivo della «nuova Imu» è quello della semplificazione. Perché dopo l’altalena continua degli ultimi anni il fisco sul mattone si è bloccato sul doppione Imu-Tasi che fa pagare due imposte sulla stessa base imponibile. L’imposta in pratica è sempre la stessa, soprattutto dopo che l’esenzione dell’abitazione principale ha cancellato anche sul piano teorico il legame esile fra la Tasi e i servizi comunali; ma sono doppi i calcoli, i moduli da compilare e i gruppi di aliquote da sorvegliare.

Ma nei tredici articoli scritti per costruire la «nuova Imu» la fusione delle due imposte è solo la prima delle semplificazioni. La proposta ripesca una vecchia promessa mai attuata, quella del bollettino precompilato che i Comuni dovrebbero spedire ai contribuenti, ma prova anche a creare le condizioni per attuarla. A renderla impossibile finora è stata la fioritura di oltre 200mila aliquote diverse sul terreno sempre fertile dell’autonomia tributaria comunale. Perché ogni Comune può introdurre aliquote differenti per ogni tipologia di immobile, identificando le categorie, anche micro, da agevolare o da colpire.

Ad addentrarsi in questa giungla è stato ora il Mef, che ha passato al setaccio i regolamenti comunali per cercare le categorie utilizzate più di frequente per diversificare le aliquote. Ne è nata una norma, all’articolo 6 del testo, che permetterebbe ai sindaci di fissare solo altre dieci aliquote su misura di altrettante categorie di immobili. Categorie da distinguere in due famiglie. Gli immobili residenziali, accanto alla tipologia generica delle seconde case, vedrebbero immobili a disposizione (vuoti da almeno due anni), case date in affitto come abitazione principale e comodati ai parenti. Fuori dal residenziale ci sarebbero invece fabbricati industriali,

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commerciali, ospedali e case di cura (categoria B), laboratori artigianali ( C3), negozi dei centri storici e capannoni.

Ma il nodo più intricato è quello dell’aliquota massima. La proposta punta a fissare il tetto al 10,6 per mille, permettendo per un solo anno la conferma della maggiorazione dello 0,8 per mille che oggi in circa un sesto dei Comuni porta il totale all’11,4 per mille. Ma è ovvio che un addio alla maggiorazione, senza compensare il mancato gettito, scatenerebbe l’opposizione dei Comuni. Il problema non è insuperabile, perché vale circa 280 milioni sparsi in 300 enti, ma bisogna decidere come. A dicembre, nell’emendamento alla manovra poi ritirato, si era scelta l’altra strada, che avrebbe permesso l’11,4 per mille ovunque, anche dove oggi la maggiorazione non è prevista. Ma un’ipotesi del genere finirebbe per aprire le porte a un aumento a tappeto della pressione fiscale. L’Anci, nella sua proposta, aveva avanzato un’ipotesi intermedia dell’11 per mille, che limiterebbe il problema senza cancellarlo. Ed è evidente che proprio qui si incontra l’incognita principale per una riforma che, come riconoscono gli stessi firmatari, può puntare al massimo a una «tendenziale invarianza di gettito». Perché anche in questo caso basta l’esperienza degli anni scorsi a mostrare che garanzie più precise contro il rischio aumenti sono destinate a rimanere lettera morta.

Tra le incognite ci sono poi aspetti tecnici solo apparentemente secondari. Quello più insidioso nasce dal fatto che la nuova norma si dimentica di disciplinare il funzionario responsabile dell’imposta: senza il quale è impossibile cercare di incassare l’imposta da chi non la paga spontaneamente.

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Appalti, niente esclusione per inadempimenti di terzi Guglielmo Saporito

La legge europea che impone proporzionalità alle penali contrattuali limita anche il potere

di esclusione dalle gare delle Pa

Le innovazioni al Codice dei contratti pubblici in tema di penali da ritardo (articolo 113-bis del Dlgs 50/2016, modificato dall’articolo 5 della legge europea 37/2019), avranno effetti anche sulle cause di esclusione da gare pubbliche.

La legge europea riguarda le sanzioni per il ritardo nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, imponendo proporzionalità ai giorni di ritardo ed all’importo del contratto. Di fatto, tuttavia, l’innovazione incide anche sulle cause di esclusione dalle gare, perché l’articolo 80, comma 5 lettera c-ter del decreto 50/2016 prevede un’esclusione automatica delle imprese che abbiano subito penali per inadempimenti. Imponendo proporzionalità alle penali contrattuali, si limita di fatto anche il potere di esclusione da parte della pubblica amministrazione.

Il tema è stato approfondito di recente dal Consiglio di Stato con la sentenza 30 aprile 2019 n. 2794, relativa a un appalto per smaltimento rifiuti: un’impresa era stata infatti esclusa da una gara per non aver dichiarato precedenti sanzioni contrattuali, cioè penali economiche subite nell’esecuzione di un precedente, analogo contratto per smaltimento rifiuti.

L’omessa dichiarazione di questo infortunio aveva causato in modo automatico l’esclusione dalla gara successiva. Secondo il Consiglio di Stato, però, non basta aver subito una penale contrattuale per essere ritenuti inidonei, soprattutto se mancano altri elementi significativi o sintomi di gravi errori professionali.

Questo perché un inadempimento può derivare anche da comportamenti di soggetti terzi o da eventi esterni. Ad esempio, non è causa di esclusione da successivi rapporti contrattuali, nel settore dello smaltimento rifiuti, il mancato raggiungimento di una predeterminata percentuale di raccolta differenziata (Consiglio di Stato, 1346/2018): un conto è infatti il risultato auspicato (e non raggiunto), altro conto è la responsabilità che deriva da un proprio errore.

Secondo i giudici, inoltre, la pattuizione di una clausola penale non sottrae il rapporto alla disciplina generale delle obbligazioni, che esclude la responsabilità del debitore quando costui prova che l’inadempimento, o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione, siano stati determinati dall’impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (ad esempio, per caso fortuito: Corte di cassazione 7180/ 2012).

Inoltre, l’importo delle penali deve essere significativo, valutando la gravità dell’inadempimento con il metro adottato nelle linee guida Anac 1293/16, che danno rilevanza a penali di importo superiore all’1% dell’importo del contratto. Oggi l’articolo 5 della legge 37/2019 prevede penali giornaliere tra lo 0,3/1000 e l’1/1000 dell’importo

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contrattuale, senza poter superare, complessivamente, il 10% dell’importo del contratto; ma solo dall’1% in su la penale contrattuale, secondo il Consiglio di Stato, influisce sulle gare successive.