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RENZO DE FELICE NOTE E RICERCHE SUGLI «ILLUMINATI» E IL MISTICISMO RIVOLUZIONARIO (1789-1800)

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RENZO DE FELICE

NOTE E RICERCHE SUGLI «ILLUMINATI» E IL

MISTICISMO RIVOLUZIONARIO (1789-1800)

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RENZO DE FELICE – NOTE E RICERCHE SUGLI «ILLUMINATI » E IL MISTICISMO RIVOLUZIONARIO (1789-1800)

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AVVERTENZA

Abbiamo riprodotto in versione elettronica il testo, ormai introvabile al di fuori delle biblioteche

universitarie, di quest'opera giovanile e parzialmente dimenticata di Renzo De Felice (Rieti, 8 aprile

1929 – Roma, 25 maggio 1996), certamente più noto al grande pubblico per l’imponente studio su

Benito Mussolini e sul fascismo al quale si dedicò nella piena maturità della sua carriera.

Tipica pubblicazione scientifica destinata a circolazione ristretta nel circuito accademico, ne fu-

rono stampate 1000 copie complessive (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1960, pp. 239) in

una collana specialistica.

Abbiamo omesso di riprodurre soltanto l'indice dei nomi, corrispondente alle pp. 233-238

dell’edizione a stampa, la cui ricostruzione in base alla nuova numerazione delle pagine avrebbe

comportato un impegno eccessivo rispetto alle finalità della nuova edizione.

Ci auguriamo di aver compiuto comunque una fatica utile, rendendo disponibile uno studio che

ha messo in luce personaggi ed ambienti poco noti, ma estremamente interessanti, nel contesto di

un periodo cruciale della storia europea tra XVIII e XIX secolo.

Roma, 1° giugno 2012

Il Curatore

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Con i remi delle mani monche Voi remate verso il paese del futuro!

S. A. ESENIN

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INTRODUZIONE

Queste note e ricerche sono nate nell'ambito di uno studio più vasto che da anni andiamo condu-cendo sul pensiero politico romano dell'età della Rivoluzione e che vedrà presto la luce. Conducen-do tale studio ci siamo imbattuti in due strane figure, Ottavio Cappelli e Suzette Labrousse. La pri-ma appena e malissimo nota ad un ristretto gruppo di specialisti di storia massonica, la seconda più studiata da alcuni specialisti di storia rivoluzionaria francese, ma anch'essa in modo sostanzialmente episodico, avulsa dalla realtà e circoscritta piuttosto a fenomeno patologico e addirittura clinico. Al-cuni documenti romani riguardanti queste due figure, in parte editi e in parte inediti, parte da noi rintracciati per la prima volta, parte già noti ma mai studiati, hanno attirato su di esse la nostra at-tenzione. Da questi documenti ci siamo convinti dell'interesse delle due figure e che esse non costi-tuivano due episodi senza concreto valore storico, quasi due aspetti della confusione materiale e morale, del folklore di quegli anni, come quel vecchio accattone di cui ci parlano le cronache del tempo che girava per le vie di Roma vestito dalla testa ai piedi di un abito fatto, «con particolare in-dustria», di stracci di infiniti colori e nessuno più grande di quattro o cinque dita, che andava racco-gliendo per la città. Ci siamo convinti, anzi, che esse avevano una loro ben precisa collocazione i-deologico-politica nella realtà romana dell'età della Rivoluzione. Sulla base di questo saldo convin-cimento abbiamo allargato le nostre ricerche. Ed esse ci hanno, passo passo, portato, seppur per vie diverse, nella stessa direzione: dalla Roma repubblicana del 1798-99 alla Roma papale del decennio anteriore, per i saloni di alcune grandi casate, per le abitazioni di alcuni ex gesuiti ispano-americani, per alcune ambasciate straniere, per i tribunali e le carceri del S. Offizio, e finalmente alla Roma papale della prima Restaurazione e alle sue forche. E ancora, da Roma in Francia, nella provincia - ad Avignone e nel Périgord - e a Parigi, nei saloni della duchessa di Borbone, all'Assemblea Nazio-nale, alle riunioni dei vescovi costituzionali, tra i «monarchiens», presso Robespierre. E ancora, da Parigi in Svezia, nel Württemberg, in Polonia, in Russia, tra i cavalieri di Malta... Passo passo un filo mistico-massonico ha collegato, a volte chiaramente e compiutamente, più spesso in modo tor-tuoso e misterioso, ma non per questo meno certo, tutti questi ambienti, persone e località. Ne sono emersi fatti e problemi spesso ignorati, sempre di grande interesse. Le due piccole gocce Ottavio Cappelli e Suzette Labrousse si sono estese come a formare una grande chiazza d'olio che tende an-cora ad allargarsi.

Di fronte a questa fioritura di fatti e di problemi ci siamo dovuti gioco forza fermare. L'appro-fondimento di tutti comporterebbe anni - forse una intera vita - di ricerche e di studi difficilissimi in quasi tutti i paesi d'Europa. Abbiamo pertanto dovuto - facendo centro sul Cappelli e sulla Labrous-se - limitare il nostro studio ad un solo aspetto dei tanti presentaticisi e, nonostante questa drastica limitazione, ancora in forma di primo assaggio. Molti fatti e problemi da noi indicati sono perciò rimasti al mero stadio, o poco più, di enunciazione. Alcuni - come quello della parte che la corte russa (per lo meno il circolo attorno allo czarevic Paolo Petrovic) ebbe per un certo momento nella massoneria illuminata avignonese, del tentativo, per meglio dire, da essa fatto di servirsi di tale setta per i suoi scopi politico-espansionistici - investono questioni ancora più vaste; altri più particolari - come quello dei rapporti della Labrousse con Robespierre - potrebbero, come le ciliege, trarne, for-se, altri di seguito. Di tutti questi accenni ed enunciazioni ci scusiamo con il lettore: tutti hanno bi-sogno di essere riesaminati ed approfonditi, qualcuno potrebbe riservare delle sorprese: è stata pro-prio questa considerazione che ci ha indotti a non eliminarli, anche a costo di rendere ancora più

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frammentaria la nostra esposizione che pur già - come abbiamo voluto sottolineare ed avvertire an-che nel titolo - lo è tanto anche nella parte monografica. Di un'altra cosa, poi, ci vogliamo scusare: molti, troppi qualcuno dirà, sono i forse, i probabilmente, i se, i ma, le ipotesi e le supposizioni; in una ricerca come questa che affonda le sue radici nel misterioso ed oscuro mondo latomistico fine Settecento ci sembra impossibile prescindere però da ipotesi e supposizioni appena che esse abbia-no un minimo di base. In casi particolari, come questo, un po' di fantasia crediamo non debba man-care allo storico: agli ulteriori studi starà confermarle o smentirle, intanto esse possono, a nostro av-viso, essere di qualche utilità provvisoria. Può darsi benissimo - infine - che qua e là il nostro dire potrà sembrare un po' forzato, un po' monocorde; anche di questo ci vogliamo sin d'ora scusare. Con queste note e ricerche abbiamo voluto, oltre che approfondire e chiarire alcuni nessi e alcune figure, sottolineare un aspetto della vita religiosa e della sensibilità in senso lato fine Settecento che sino ad oggi ci pare sia stato troppo trascurato e sottovalutato (anche in studi particolari, per altro di valore ed acutezza, come quelli di P. Trahard sulla sensibilità settecentesca e rivoluzionaria): da qui, come in ogni studio, non diciamo «a tesi» ma anche solo, come vuole essere il nostro, volto a mettere in rilievo un determinato fenomeno, possono forse derivare alcune forzature e alcune ripetizioni un po' troppo monocordi. Ogni ulteriore approfondimento - è chiaro - non potrà che eliminare e forzature e ripetizioni esplicative.

Per ultimo, vogliamo subito dire che, per ovvi motivi di spazio, non siamo entrati mai nel merito delle dottrine degli illuminati, neppure dei maggiori (Swedenborg, Martinez Pasqually, Saint-Martin, Lavater), ritenendole, almeno nelle grandi linee, note al lettore; piuttosto abbiamo abbonda-to nei riferimenti bibliografici, pur ritenendo che i due volumi del Viatte possano già essi soli costi-tuire una introduzione sufficiente al nostro dire.

La mentalità moderna rifiuta in genere il fatto mistico, non sa rendersene ragione, lo considera un caso, avulso dal concreto sviluppo storico, mostra per esso solo della curiosità, scettica o morbosa secondo i casi: «la mistica sfuma così quasi come una non-realtà, come una increspatura psicologica che non trova consistenza e definizione». Nei migliori dei casi esso è ridotto a fatto filosofico, ad una scoperta della filosofia dell'essere1, oppure interpretato e spiegato in chiave medico-psichiatrica2; né sono mancate teorie socio-psicologiche3, anche se esse sono in genere considerate handicappate dalla prevalente valutazione del fatto mistico come caso squisitamente individuale. I cattolici tendono, da parte loro, a restringere al massimo i confini del fatto mistico, a circoscriverlo rigidamente ad una genuina intimità con Dio, presente nel soggetto mistico per virtù della grazia santificante. Intimità con Dio che si realizzerebbe in due momenti, contemporanei e strettamente connessi, l'uno sensibile, di ordine affettivo, l'altro conoscitivo, di ordine intellettuale: «una vibra-zione spirituale che commuove lo spirito da cima a fondo» e «una aspirazione a trascendere ogni preoccupazione concettuale per cogliere il divino attraverso la conoscenza e l'amore». In tal modo «il divino penetra nel più intimo dell'anima, trasformando la personalità nei suoi modi di pensare, di agire, di sentire».

Tutte queste spiegazioni ed interpretazioni del fatto mistico sono, come si vede, indifferenti e so-stanzialmente al di sopra della storia. In base ad esse il fatto mistico assume una dimensione im-permeabile alla storia e questa, a sua volta, ne risente in maniera del tutto mediata e circoscritta.

Ciò spiega come sino ad oggi esso sia stato oggetto di studio solamente dal punto di vista della storia delle religioni, della storia della Clùesa e da quello, particolare, dei suoi singoli rappresentanti e sia mancata una indagine di esso sia da un punto di vista storico complessivo, sia da un punto di vista di storia della vita religiosa.

1 Cfr. M. T. ANTONELLI, L'atteggiamento mistico come consumazione d'una metafisica dell'essere, in Humanitas,

1952, X, pp. 871-885. 2 Cfr. J. LHERMITTE, Mystiques et faux mystiques, Paris 1952 (trad. it., Milano 1955); H. THURSTON, The phisical

phenomena of mysticism, London 1952. 3 Cfr. J- H. LEUBA, La psicologia del misticismo religioso, Milano 1906. Cfr. anche le interessanti osservazioni sul

misticismo e il profetismo camisard di C. CANTALOUBE, La Réforme en France vue d'un village cévenol, Paris 1951, pp. 205-208.

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Alcuni tentativi di inserire il fatto mistico nella storia sono stati fatti solo limitatamente alla storia letteraria ed in particolare a quella dello Sturm und Drang e del Romanticismo. Ad essi, soprattutto a quelli molto importanti di A. Viatte, si è risposto da varie parti negando ogni valore mistico alle esperienze ivi prese in studio, in quanto eterodosse ed addirittura non cristiane.

Che tali esperienze siano in moltissimi casi eterodosse e addirittura non cristiane è incontestabi-le, ciò non significa però, a nostro avviso, che per questo solo esse non possano trovare posto nel mondo mistico e nella sua sensibilità. Il fatto mistico (mistica, cioè, etimologicamente, iniziazione misterica alla salute), infatti, è qualcosa che trascende un determinato corpus religioso, ne è una in-terpretazione individuale e al tempo stesso storica. A volte è ortodosso, il più delle volte la sua pos-sente carica interna lo porta a sconfinare nell'eterodossia, ad assumere atteggiam.enti sovvertitori (come successe ai wycliffìti, agli hussiti, ai fraticelli) a volte, infine, assume caratteristiche partico-lari che ben poco o nulla hanno più a vedere con il corpus cristiano da cui ha tratto la sua linfa e la sua spinta iniziale (come successe, appunto, a buona parte del misticismo massonico sei-settecentesco e romantico): «per il mistico - come ha osservato acutamente R. H. Bainton - i dogmi e le strutture della Chiesa riescono indifferenti». Ciò che realmente conta nel fatto mistico è la fede, la sincerità del fuoco spirituale che arde dentro e che, pur fatte tutte le distinzioni che si vuole, mette sullo stesso piano un Giovanni della Croce, un Gioacchino da Fiore, un Emanuele Swendenborg e un Louis-Claude de Saint-Martin. E a coloro che trovassero troppo ardito un simile accostamento di nomi non possiamo che ricordare il fondo razionalistico che si annida nel misticismo (e ne costitui-sce sovente il punto primo, negativo, di partenza) e l'osservazione a questo proposito di A. Omodeo (ancora più calzante ai nostri fini, in quanto formulata in riferimento al de Maistre e al suo mistici-smo): «bisogna persuadersi che l'esperienza mistica nel comunicarsi come pensiero perde più o me-no l'immediatezza, e l'esperienza rimane sempre qualcosa che 'significar per verba non si poria'. E quindi è legittimo considerare misticismo anche certe forme d'intellettuale contemplazione... Ogni mistica è sempre l'esegesi d'un'esperienza mistica»4.

Dilatate così le frontiere del mondo mistico, se una differenza si può e si deve fare in esso è, a nostro avviso, sulla base della consistenza del suo fondo razionalistico. Tale consistenza, infatti, si presenta molto diversa nei varî individui, a seconda della loro personalità e della loro formazione. In alcuni è minima, appena sufficiente a costituire una carica iniziale negativa; in altri è maggiore, pervade sottilissima il loro misticismo e lo impregna tutto di una carica particolare. Nei primi, l'e-stasi mistica è realizzata soprattutto con la preghiera e si esaurisce nella realizzazione dell'intimità con Dio: «lo spirito - dice s. Teresa - si unisce a Dio in modo tale da divenire una cosa sola con Lui... L'anima è completamente trasformata nel suo Creatore... sembra essere quasi più Dio che a-nima ». Nei secondi, l'estasi mistica non è sovente realizzata così compiutamente (essa del resto non è realizzata neppure da molti santi) e, in genere, il loro misticismo è caratterizzato da coloriture gnostiche o apocalittico-escatologiche. In alcuni altri, infine, il misticismo si atteggia a conquista, attraverso una purezza corporale e spirituale completa., di poteri che permettano all'uomo di entrare in relazione con gli esseri invisibili - gli angeli - e di pervenire alla reintegrazione (al recupero, cioè, di alcune delle qualità perse con il peccato da Adamo) non solo del soggetto personale, ma di tutti i suoi discepoli di vera fede e buona volontà. In moltissimi casi il misticismo di questi ultimi non solo assume anch'esso coloriture gnostiche o apocalittico-escatologiche, ma ha alla sua radice una importante componente magico-alchimistica intesa, ben s'intende, non in maniera materiale e grossolana, ma in chiave profondamente religiosa e spirituale, di liberazione dell' anima umana e di guarigione del cosmo5: in questi casi - si veda, per esempio, l'Opus Mago-Cabbalisticum et Teoso-phicum (1735) di G. von Welling - scopo dell'alchimia non è la fabbricazione dell'oro, ma sapere come la natura può essere vista e riconosciuta come derivante da Dio e Dio visto nella natura e la pietra filosofale equivale alla conoscenza perfetta di Dio.

4 A. OMODEO, La mistica giovannea, Bari 1930, p. 4 n. 5 Sul rapporto magia-alchimia e religione e gli elementi comuni o analoghi di esse cfr. M. ELIADE , Forgerons et al-

chimistes, Paris 1956, passim; nonché C. G. JUNG, Psicologia e alchimia, Roma 1950, passim e dello stesso autore La simbolica dello spirito, Torino 1959, passim e spec. pp. 55, 59-104.

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Tra queste forme di misticismo può esservi un vero abisso, quasi quello che separa la posizione di un Gioacchino da Fiore da quella di un s. Francesco d'Assisi; ciò non vuol dire però che si tratti sostanzialmente di cose diverse, né che la prima sia più ortodossa delle altre (si pensi a quei mistici che sono giunti a sostenere una unione così stretta con Dio da annullare l'io e il Lui e sostenere la propria deificazione).

Sia l'una che le altre di queste forme di esperienza mistica sono profondamente radicate nella tradizione cristiana e la segnano di tre fili colorati. Dal punto di vista religioso e della storia del cri-stianesimo la loro importanza è pari; mentre la prima però rimane fatto squisitamente individuale, di enorme importanza spirituale ma pur sempre limitato al mero rapporto io-Lui, quindi sostanzial-mente fuori della storia tout-court o, nel migliore dei casi, inserito in essa in maniera strettamente sottile e mediata6, le altre, invece, assumono sovente un carattere collettivo di vita religiosa, non si esauriscono nel rapporto io-Lui, ma - pur perdendo, ovviamente, in immediatezza e profondità spiri-tuale - si comunicano ad altri, permeano di sé a volte gruppi d'individui ed intere masse, divenendo quindi soggetto di storia. Basti pensare a questo secondo proposito a certe forme di misticismo del Medio Evo, del Rinascimento, della Riforma e, per venire ad epoche più vicine a noi, al misticismo cévenol e al micromillenarismo nord-americano.

Abbiamo accennato alle coloriture gnostiche o apocalittico-escatologiche che, in genere, caratte-rizzano il misticismo di quei mistici al fondo della cui sensibilità è e permane (e sovente incide in maniera determinante) una componente accentuatamente razionalistica. Tali coloriture hanno nel mondo mistico grande importanza: non solo ne sono un elemento caratterizzante, ma sono quelle che permettono al misticismo di trasformarsi da fatto interiore ed individuale o, nel migliore dei ca-si, limitato a ristrettissimi gruppi di illuminati, in fatto esteriore e collettivo e talvolta rivoluzionario (sul piano morale, sociale e persino politico). In genere si può dire che le coloriture gnostiche sono più facili a riscontrarsi in epoche e in paesi socialmente e politicamente calmi, mentre quelle apoca-littico-escatologiche sono riscontrabili soprattutto in età e società in profonda crisi. In queste con maggiore facilità gli spiriti sono portati ad una concezione catastrofico-palingenetica e si orientano verso un'attesa spasmodica del futuro. Quelli religiosi specialmente, nutriti di tradizione e di letture bibliche, danno a quest'attesa un preciso sapore messianico e millenaristico (i due atteggiamenti non sono da confondersi, ma sono strettamente legati tra di loro): le profezie bibliche e l'Apocalisse gio-vannea vengono proiettate nel presente e nell'immediato futuro e questi sono interpretati alla luce di quelle. Catastrofismo, misticismo religioso, spirito rivoluzionario si fondono in un tutto unico: ciò che è cesserà di essere, ciò che non è sarà; il regno dell'Anticristo sarà abbattuto, la nuova venuta del Signore (personale o attraverso la sua Parola) instaurerà una nuova era, quella del suo regno in terra; non bisogna temere l'oppressione, non bisogna cedere a ciò che è ed è forte, domani non ci sa-rà più.

Una ventata profetica scuote questo nusticismo: le profezie passate sono studiate, valorizzate, applicate all'oggi e all'immediato domani; ne sono formulate delle nuove, ad integrazione e confe-nua di quelle. I profeti sorgono - talvolta pullulano, come tra i camisards - tra le rovine e il malesse-re di una società in crisi, travolta e sorpassata da eventi di cui essa stessa non sa talvolta rendersi ra-gione e ai quali non sa stare alla pari. Nell'ora in cui tutto ciò che sembra più stabile e certo comin-cia a tremare e a smantellarsi pezzo a pezzo, i mistici profetizzano nuovi tempi meravigliosi, canta-no le lodi della nuova società del cuore di carne che sostituirà quello di pietra. La loro fantasia esal-tata dalla fede s'alza libera dal presente, mostruoso e condannato da Dio alla distruzione; vinti dalla realtà d'oggi, annunciano giorni imminenti di fratellanza, di benessere, di pace7.

La carica rivoluzionaria che è in questo misticismo apocalittico è potentissima. Un acuto saggio di J. Madaule, Apocalypse et Révolution, di recente apparso in Francia8 ha egregiamente illustrato tale fenomeno perché ci si debba soffermare ulteriormente su di esso. Un altro studioso, H. Desro-

6 Si vedano però a questo proposito le fini osservazioni di E. DE MARTINO, Mito, scienze religiose·e civiltà moderna,

in Nuovi Argomenti, marzo-aprile 1959, pp. 39-42. 7 Cfr. L. GRY, Le millénarisme dans ses origines et son développement, Paris 1904. 8 J. MADAULE , Apocalypse et Révolution, in La table ronde, febbraio 1957, n. 110, pp. 103-112.

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che9, ha - limitatamente alla società nord-americana del XVIII-XIX secolo - mostrato la vastità che simili fenomeni hanno assunto e la loro incidenza politico-sociale oltre che religiosa. «Dans l'his-toire sociale du millénarisme occidental - egli ha osservato - la spéculation prophético-politique a été l'une des formes, et non des moindres, prise par l'attente eschatologique. Qui ne pense, par exemple, à l'attraction exercée sur plusieurs siècles du Moyen-Age par le fameux mythe de l'Empe-reur des Derniers Jours, son assimilation tantôt aux dynasties françaises, tantôt aux dynasties alle-mandes, avec chaque fois, pour bénéficiaire politique du mythe, l'assignation d'un rôle archétypique différent à l'endroit du pouvoir spirituel (papauté), tantôt pour servir celui-ci, tantôt pour le châtier. Cette spéculation s'était évidemment poursuivie à travers la Réforme et avait fomenté de nouveaux modèles dont le plus répandu identifiait la Rome pontificale à Babylone, escomptant son extermina-tion des conjonctures politico-religieuses les plus diverses; dans les grandes secousses postérieures (guerre allemande des paysans, révolution anglaise, guerre d'indépendance américaine), il n'est pas rare de voir assigner à telle ou telle tendence l'un ou l'autre des rôles assignés anterieurement au Souverain des Derniers Jours».

Una delle età di maggior fortuna di tale misticismo ha corrisposto in tutto l'occidente con la Ri-voluzione Francese e i decenni ad essa anteriori, sin quasi all'inizio del secolo XVIII. Il Desroche ha ricordato per tale periodo il Journal prophétique del Pontard, Suzette Labrousse, Cathérine Théot e, in un certo senso, lo stesso Robespierre in Francia; John Willison (A prophecy of the French Revolution and the downfall of Antechrist, London 1793), J. Bicheno, W. Jones e il Baptist annual register in Inghilterra; W. Linn, David Austin (Downfall of Mystical Babylon; or a key to the Pro-vidence of God in the political operations of 1793-1794, New-York 1798) e molti altri10, ma soprat-tutto le Prophetic conjectures on the French Revolution (Philadelphie 1794) - una piccola brochure d'origine inglese che ebbe oltre Atlantico vasta risonanza e che, attraverso le profezie di dieci autori dei secoli XVI-XVIII, descriveva il ruolo provvidenziale della Francia nella caduta del papato e, in conseguenza, l'instaurazione di una nuova era, più o meno identificata con il millennio apocalittico - in America. Se il quadro tracciato dal Desroche è pressoché completo per l'America Settentrionale, per l'Inghilterra e la Francia si potrebbero citare innumerevoli altri casi. Né a questi paesi l'elenca-zione può limitarsi: non vi è paese, infatti, dell'Europa settecentesca, e dell'età della Rivoluzione so-prattutto, che non offra testimonianze in questo senso.

Quando si parla di interpretazione apocalittica della Rivoluzione Francese si suole pensare, spe-cie da noi in Italia, alle svariate decine di grossolani pamphlets antirivoluzionari di cui, negli anni della Rivoluzione e immediatamente successivi, i reazionari e i clericali di ogni paese inondarono l'Europa e in cui la Rivoluzione era identificata, più o meno esplicitamente e talvolta con precisi ri-ferimenti biblici, con il Regno deUa Bestia in Terra e i suoi principali esponenti - Robespierre so-prattutto - con l'Anticristo. Se non si pensa ad essi si pensa alle più serie interpretazioni di un Joseph de Maistre e dei suoi imitatori ed epigoni; all'interpretazione, cioè, della Rivoluzione Francese come fatto satanico e dei suoi orrori come necessaria espiazione che Dio impone al popolo francese per essersi allontanato da lui; cioè, in ultima analisi, come fatto provvidenziale, altamente positivo che alla fine rafforzerà i legami morali e sociali e lo spirito religioso, ridando alla Francia rigenerata quella magistratura sul resto dell'Europa che ha innanzi sempre esercitato e, tramite la Francia, apri-rà all'umanità una nuova era come mai ne ha goduta una eguale. Si pensa cioè di solito, per un verso o per un altro, ad una interpretazione cattolico-conservatrice.

Eppure, a fianco dell'apocalitticismo cattolico-conservatore ve ne fu un altro, altrettanto e più diffuso, in chiave cattolico-moderata e addirittura cristiano-rivoluzionaria esplicita, che interpretò

9 H. DESROCHE, «Heavens of earth». Micromillénarismes et communautarisrne utopique en Amérique du Nord du XVIIe au XIXe siècle, in Archives de sociologie des religions, 1957, n. 4, p. 61.

10 Grande ripercussione ebbe nella pubblicistica mistico-millenaristica americana e anglosassone in genere soprattut-to la caduta - nel 1798 - del potere temporale a Roma. In un sermone del maggio 1798 un pastore congregazionalista americano parlò della conquista francese di Roma come dell'inizio del Regno; per l'avventista G. H. Bell tale episodio si identificava con la caduta della prima Bestia dell'Apocalisse. Concetti pressoché analoghi furono espressi da C. Dau-beny, da B. Farnham, da E. King, da R. Valpy e dal pastore presbiteriano della Pennsylvania M' Corkle. Alcune comu-nità giunsero al punto da osservare nel maggio 1798 una giornata nazionale di gioia per l'occupazione di Roma.

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favorevolmente il fatto Rivoluzione vedendo in esso un primo segno di una prossima radicale tra-sformazione dell'umanità e, in certi casi, addirittura l'inizio del millennio. Ad esso - a parte qualche pagina di A. Mathiez e di A. Viatte, non sempre convincenti - è stata prestata sino ad oggi poca at-tenzione. Soprattutto è stato visto solo come fenomeno psicologico, di sensibilité (se non addirittura patologico), mai però ne è stato studiato, in relazione al suo sottofondo mistico-religioso, l'aspetto concretamente politico.

Risalendo indietro da Roma sulle tracce di Ottavio Cappelli e di Suzette Labrousse ci siamo ve-nuti a trovare proprio al centro di questo secondo tipo di apocalitticismo. Nello sforzo di approfon-dire meglio e di chiarire alcuni aspetti per noi più interessanti di queste due strane figure, ci è capi-tato di scoprire e collegare tra di loro alcuni fatti nuovi o che non erano mai stati ravvicinati gli uni agli altri e ci è sembrato di poter tentare di abbozzare un primo rapido profilo complessivo di quel fenomeno e di darne una prima interpretazione e valutazione dal punto di vista politico.

Come già abbiamo detto all'inizio di questa introduzione, siamo lungi dal ritenere il nostro tenta-tivo pienamente riuscito ed esauriente. Speriamo però di essere riusciti almeno a raccogliere e col-legare tra di loro una serie di materiali e di elementi sino ad oggi sparsi e, in qualche caso, inediti o di difficile reperimento, nonché ad avanzare una serie di ipotesi di lavoro che possano invitare alla ricerca e allo studio altri più agguerriti di noi. Del resto, noi stessi ci proponiamo di sviluppare in futuro ulteriormente queste prime indagini e prime interpretazioni.

Per finire vogliamo qui ringraziare per la loro cortesia e il loro prezioso aiuto il Prof. B. Bilinski, dell'Accademia di Polonia a Roma, la dottoressa C. Cattaneo, della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, e soprattutto il Prof. Franco Venturi.

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CAPITOLO I

IL SETTECENTO E LA MENTALITÀ MISTICA

La Rivoluzione Francese sta, anche nella storia del misticismo moderno, come le grandi cateratte nel corso del Nilo: l'istanza profonda che muove il misticismo successivo alla Restaurazione è la stessa cui tendeva il misticismo di prima della Rivoluzione, ma il suo sviluppo, la sua essenza stessa sono sostanzialmente diversi, così appunto come il corso delle acque del Nilo di qua e di là delle grandi cateratte.

Prima della Rivoluzione, il misticismo, l'illuminismo1, è sostanzialmente cristiano, esso si rifà al-la Bibbia e a Cristo; è fatto spirituale e solo spirituale e se si pone, sia nelle sue estrinsecazioni più raffinate sia in quelle più elementari, obiettivi materiali, temporali, questi sono sempre mezzi, mai fini: la nuova società, la nuova età, il nuovo millennio sono innanzi tutto la nuova Chiesa, conse-guenze necessarie ma accessorie al tempo stesso di quest'ultima; sul piano politico esso si impegna scarsamente, cautamente: nelle questioni politiche vede sempre il segno di Dio, vede dei mezzi dei quali Dio si serve; esso è sempre sostanzialmente teocratico. Per questa sua essenza, i veri mistici aderiranno cristianamente - rifuggendo, cioè, dai suoi aspetti più materiali e brutali, demoniaci - alla Rivoluzione. E per questo, anzi, si può dire - pur senza ovviamente sottoscrivere con ciò in toto il giudizio sulla Rivoluzione Francese del Latourette2 - che l'illuminismo settecentesco ha un suo po-sto ben preciso e non trascurabile in quella «visione cristiana della storia, che concepisce il dramma umano come culminante in una società ideale», visione che preparò parzialmente la Rivoluzione stessa.

Il misticismo post-rivoluzionario è invece tutt'altra cosa. Esso perde la sua caratteristica cristiana, si razionalizza, si intellettualizza, si materializza, si politicizza, assume nuovi valori. Se una parte di esso rimane fedele al cristianesimo e, anzi, diviene più ortodosso, rientrando quasi completamente nell'alveo delle Chiese esistenti, quella Romana innanzi tutte, la maggior parte invece abbandona Cristo, rifiuta di seguire altre leggi che non siano quelle della natura. I mistici del XIX e del XX se-colo non leggono in gran parte più la Bibbia e, come ha notato A. Viatte3, «le sacrifice du Calvaire ne leur semblera plus le pivot de la Rédemption»: da un lato si scristianizzano, dall'altro si politiciz-zano. Dopo il fallimento dell'esperienza rivoluzionaria, larga parte del misticismo si laicizza, l'attesa dell'apocalisse cristiana si trasforma nella speranza rivoluzionaria: l'anarchismo, il socialismo, il

1 Nel XVIII secolo il termine illuminisme non era usato per indicare - come si fa oggi - la filosofia dei lumi, ma la

concezione degli illuminati; cfr. H. GREGOIRE, Histoire des sectes religieuses, II, Paris 1828, p. 6. In questo senso lo usiamo anche noi, anche se - a scanso di confusioni - in corsivo. Con il termine illuminé si intendevano però nel Sette-cento e nel primissimo Ottocento «des choses absolument différentes»; come ebbe a notare J. DE MAISTRE nei Quatre chapitres sur la Russie (in Oeuvres complètes, VIII, Lyon 1893, p. 325), nel linguaggio comune si definivano illuminati e i massoni (specie negli anni in cui la massoneria fu più influenzata dai martinisti), e i martinisti, e gli swedenborghia-ni, e i pietisti e gli adepti di Weishaupt e vari altri gruppi e orientamenti. In queste nostre note con il termine illuminati intendiamo riferirci indistintamente a tutti gli orientamenti mistici (boehmiani, martinisti, swerdenborghiani, ecc.), non però agli illuminati di Baviera di Weishaupt, che con il mondo mistico nulla ebbero sostanzialmente in comune se non alcuni aspetti del tutto esteriori e privi di importanza (su di loro cfr. R. LE FORESTIER, Les Illuminés de Bavière et la franc-maçonnerie allemande, Paris 1928 e anche C. FRANCOVICH, Gli illuminati di Weishaupt e l'idea egualitaria in alcune società segrete del Risorgimento, in Movimento Operaio, 1952, IV, pp. 553-597), e neppure alla massoneria.

2 K. S. LATOURETTE, History of the expansion of Christianity, III, New York, 1937, p. 391. 3 A. VIATTE, Les sources occultes du Romantisme. Illuminisme-Théosophie, 1770-1820, II, Paris 1928, p. 274.

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trade-unionismo4, il comunismo assumono valore e significato mistico per masse sempre più nume-rose.

Perché questo? Perché, salvo poche eccezioni - costituite da coloro (prescindiamo, ovviamente, da quelli per i quali il misticismo non era stato che una moda del momento) nei quali la passione, l'impegno, l'interesse politico si dimostrarono più forti di quello religioso - il mondo illuminato sen-tì e visse la Rivoluzione con tale intensità e tale impegno spirituale (oltre che in molti casi attivo) da esaurirsi sostanzialmente con essa o, al massimo, con le sue frange, Napoleone e la Santa Alleanza. Vissuta in tal modo, la Rivoluzione non poteva non travolgere nel suo fallimento anche quei mistici, e quel misticismo stesso, che in essa avevano visto finalmente la rivelazione e il trionfo di Dio. I superstiti giacobini potevano ancora sperare di veder risorgere «il sole del '93», come quel vecchio operaio di Nantes di cui ci narra G. Monod5 che ad ogni rivoluzione, nel 1814, nel '30, nel '48, cre-deva che la repubblica del '93 stesse per risorgere e che morì ultranovantenne sotto il secondo impe-ro mormorando come in una visione estatica «oh sole del '93, morirò senza aver visto rifulgere per un'ultima volta i tuoi raggi!» Non così i superstiti illuminati: Dio, il loro Dio, una volta rivelatosi non poteva averli traditi; ammettere il tradimento di Dio e ammettere di essersi per tanti anni sba-gliati in ogni cosa era per essi sostanzialmente lo stesso. Qualcuno, sopravvissuto alla bufera, rima-se saldo nella sua fede (Divonne, Willermoz, il marchese di Vaucroze, la duchessa di Borbone, Su-zette Labrousse, ecc.), ogni loro tentativo di proselitismo, di ripresa sul piano organizzativo del vec-chio illuminismo fu però lettera morta: tra tanti ruderi di una società ormai irrimediabilmentc tra-montata, essi sembravano i più remoti e i più assurdi, incapaci ormai a servire d'appoggio anche ad una baracchetta di sogni, così come oggi, nel 1960, la Comunità del Monte Bianco della quale tanto si è ultimamente parlato e scritto.

Eppure, nonostante il loro fallimento, i mistici, gli illuminati dell'età della Rivoluzione hanno la-sciato un'impronta profondissima. Ad essi si deve in larghissima misura se la Fede, il cristianesimo passarono indenni e anzi si rafforzarono attraverso la bufera rivoluzionaria. Furono essi tra coloro che più diedero al sentimento religioso lo slancio, la vitalità, la pienezza che esso ebbe nell'età ro-mantica (ha notato acutamente il Viatte che Saint-Martin con l'Homme de désir annuncia Les paro-les d'un croyant del Lamennais e lo stesso Claudel). Furono essi, infine, che più contribuirono a get-tare le basi della spiritualizzazione della politica.

È stato detto che il XVIII secolo fu un secolo mistico6. Tale affermazione, a prima vista parados-sale, ha indubbiamente un fondo di verità: a suo modo il Settecento fu un secolo mistico. Alcune in-tuizioni di Carl Becker7 possono essere di notevole aiuto per una prima individuazione del carattere di questo misticismo. Certe sue fini osservazioni, a proposito del fondo inconsapevolmente ancora cristiano - nonostante il trasferimento su basi terrene effettuatone - dalla città celeste dei philoso-phes e a proposito della sempre più diffusa convinzione, con il declinare del secolo, non solo e non tanto razionale quanto piuttosto emotiva e perfino religiosa, che il futuro (un futuro immediato e non mitico) sarebbe stato infinitamente migliore del presente e del passato, possono infatti servire utilmente ad indicare - seppur nelle grandissime linee - il carattere ed i confini di questo misticismo. Da questo punto di vista (pur avendo sostituito la Natura a Dio e la Virtù alla Grazia e nonostante il loro pragmatismo) la seconda generazione dei philosophes, i deisti, gli atei stessi8, ha uno spirito mistico e religioso, una sorta di religiosità profonda affiora in essa, sono tutti profeti. Chi, per e-sempio, vorrà negare un fondo mistico all'Esquisse del Condorcet? Basta a far convinti del suo mi-sticismo la chiusa della prima parte con la sua estatica contemplazione dell'élysée che la raison del

4 Non per questo, specie nei paesi anglosassoni, il ricordo dei vecchi motivi mistici si perde completamente. Tipico è

un inno trade-unionista in cui si afferma che le Trade Unions combatteranno sino a che «avranno costituito Gerusalem-me sulla verde e bella terra d'Inghilterra».

5 A. MATHIEZ, Contributions à l'histoire religieuse de la Révolution française, Paris 1907, p. I. 6 E. e J. DE GONCOURT, Histoire de la societé française pendant la Révolution, Paris s.d., p. 231. 7 C. C. BECKER, La città celeste dei filosofi settecenteschi, Napoli 1946. 8 È interessante notare che l'Ecce homo di L.-C. de Saint-Martin fu per un certo periodo attribuito a Sylvain Maré-

chal (M. DOMMANGET, S. Maréchal l'égalitaire. «L'homme sans Dieu» (1750-1803), Paris 1950, p. 483).

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philosophe sa creare. Lo spirito religioso non era morto; erano solo divenute insufficienti le religio-ni tradizionali: dopo la prima ondata di ottimismo, una inquietudine generale pervadeva gli animi; un'affinata e tormentata sensibilità religiosa che poneva l'uomo in diretto contatto con l'Essere Su-premo e la sua Natura subentrava alle credenze dogmatiche e agli atti di fede, ridando alla religione un carattere naturale ed evangelico. L'idea di una prossima riforma è generale. Perfino Voltaire9 l'auspica: «On a faite une petite réforme au XVIe siècle: on en demande partout une nouvelle à grands cris»10. Nell'ambito di questa crisi religiosa ogni speranza era autorizzata. Se nel «saggio di Ferney» essa assume sfumature calviniste, in altri si delinea altrimenti; in alcuni chiara, in altri indi-stinta, in alcuni nell'ambito del cristianesimo e dello stesso cattolicesimo, in altri al di fuori di que-sti, in alcuni è limitata alla religione ed ai suoi organismi, in altri si estende al temporale. In tutti pe-rò è uguale l'inquietudine, la convinzione del prossimo realizzarsi di una grande trasformazione. La crisi e la riforma religiosa - data la loro profondità - investono anche la società civile e politica: l'in-quietudine e il malessere generali provocano un fiorire di concezioni catastrofiche, sorta di apocalit-ticismo laico11, e di utopistiche rappresentazioni di perfette società fiorenti in terre remote e fanta-stiche. Ma non è solo nell'immaginario che è proiettato l'anelito ad una società migliore («secondo natura»): l'idea di una prossima rivoluzione è presente sia negli spiriti più consapevoli e sviluppati (da Leibniz a Rousseau) sia nelle grandi masse. Per alcuni, tale rivoluzione va vista nel susseguirsi di grandezza e di decadenza degli stati e dei popoli che caratterizza la storia dell'umanità; altri la vedono alla luce della concezione enunciata da s. Agostino; altri come una restaurazione di un ordi-ne violato; per altri, infine, essa è una rottura che è condizione di progresso morale, civile e politico.

Su questo misticismo del XVIII secolo - come hanno dimostrato gli studi del Viatte - ci sarebbe materia per interi volumi. Qui - oltre ad avervi accennato e ad aver notato come ad esso sia intima-mente legata una particolare idea di riforma religiosa e di rivoluzione civile e politica - ci basterà vedere come nel suo ambito si differenzino le posizioni dei philosophes e degli illuminati.

Tale differenziazione sta soprattutto nel diverso modo con cui gli uni e gli altri si inseriscono nella realtà sociale del tempo. È stato detto che le idee degli illuminati «rejoignent souvent celles des philosophes»12. Ciò in molti casi è vero, eppure lo spirito di questo incontro è profondamente diverso. Lo sgretolamento della società e di conseguenza della sua oggettiva concezione unitaria, l'inquietudine e l'attesa che ne derivano, portarono al riaffiorare di tutta una serie di antichi miti e al sorgere di nuovi. Miti comuni e ai philosophes e agli illuminati (e all'uomo qualunque). Solo che, mentre i philosophes - che costituivano l'avanguardia delle forze sociali su cui si imperniava il pro-cesso di trasformazione sociale in corso e che di tale trapasso erano i protagonisti attivi e consape-voli - li elaborarono, li trasformarono sotto lo stimolo della realtà e della lotta politica e sociale in ideologie13, gli illuminati invece - che costituivano, quasi tutti, i protagonisti passivi di quel proces-so di trasformazione, non riuscivano a capirlo, ne vedevano e subivano solo gli aspetti negativi, e ne erano continuamente sforzati e sopravanzati -, riflettendo nelle loro personalità la disorganizzazione della società e perdendo così in tante sfere separate la possibilità di comprendere l'unità del proces-so sociale, li ridussero ad utopie14: cioè, incapaci, come erano, di una analisi corretta della situazio-ne e avulsi dal processo di trasformazione in atto, non riuscirono a scorgere nella realtà che gli ele-menti che tendevano a negare e posero nel processo sociale in primo e unico piano (in quanto ad es-so riferivano tutto il resto) la sfera religiosa. Nei philosophes, insomma, il rêve, la realtà e 1'azione

9 Cfr. R. POMEAU, La religion de Voltaire, Paris 1956, passim, spec. pp. 422-54. 10 VOLTAIRE, Remontrances à A. J. Rustan, in Oeuvres complètes (ed. L. Moland), XXVII, Paris 1879, p. 112. 11 Sui rapporti tra apocalisse e catastrofismo si veda J. MADAULE , art. cit., pp. 103-104. 12 M. LE BOT, Gérard de Nerval, in Europe, settembre 1958, p. 4. 13 A. SAUVY , La nature sociale. Introduction à la psycologie politique, Paris 1957, pp. 218-51 e spec. p. 240; G.

DUVEAU, La résurrection de l'utopie, in Cahiers internat. de sociologie, luglio-dicembre 1957, pp. 3-22. 14 Per tutto il problema ideologia-utopia e le sue radici sociali si veda K. MANNHEIM , Ideologia e utopia, Bologna

1957, passim e spec. pp. 40-42 e 213-32. Dello stesso autore cfr. anche, per quel che riguarda la correlazione tra la di-sorganizzazione della società e la disorganizzazione della personalità, L'uomo e la società in un'età di ricostruzione, Milano 1959, passim e spec. pp. 115-18.

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politica si sostenevano l'un l'altro, negli illuminati, invece, la realtà era negata e il rêve determinava 1'azione morale in cui si esauriva quella politica.

Oltre a ciò, mentre i philosophes fondavano la loro ideologia su di un ricchissimo patrimonio culturale che essi stessi continuamente arricchivano ed elaboravano, gli illuminati tendevano a pre-scindere da ciò che era stato scritto ed elaborato in tanti secoli: per essi, oltre che nella Bibbia e in pochi altri testi fondamentali del cristianesimo, la verità doveva essere trovata in se stessi; per la sua ricerca neppure le meditazioni dei grandi illuminati che li avevano preceduti erano necessarie. Saint-Martin, in una lettera del 12 luglio 1792 al Kirchberger15, è a questo proposito esplicito: la ri-cerca non va condotta tanto nei libri quanto nella nostra anima. Ciò spiega come - anche se il razio-nalismo e la filosofia dei lumi da un lato e il misticismo dall'altro determinavano la rottura del prin-cipio unitario ed autoritario della conoscenza teologica, aprendo entrambi, pur su terreni diversissi-mi, la strada all'individualismo - mentre i philosophes creavano per la prima volta una cultura di massa, gli illuminati invece creavano - se si può dire creassero qualcosa - solo uno stato d'animo e-stremamente confuso che, se si prescinde dal senso d'attesa e dalla fede che qualcosa di grandioso e di definitivo stesse per realizzarsi, non era che la somma di tante effusioni particolari16. Nell'ambito di questo stato d'animo estremamente confuso, gli illuminati si differenziavano tra loro in infiniti gruppi e sottogruppi. Mettere ordine in questa congerie di atteggiamenti particolari può essere inte-ressante e importante da un punto di vista interpretativo e di storia della cultura settecentesca; lo af-fermò a suo tempo il de Maistre nei suoi fondamentali Quatre chapitres sur la Russie e l'ha fatto ora minutamente il Viatte; l'elemento caratterizzante rimane però sempre proprio questo stato d'animo in sé e per sé; è esso infatti che, in ultima analisi, dà sempre il significato storico concreto al movi-mento nel suo complesso e ne fa un elemento fondamentale della sensibilità settecentesca.

Da questo punto di vista, il Settecento fu indubbiamente un secolo mistico: da questo punto di vi-sta tra il misticismo della raison e il misticismo degli illuminati non vi è differenza psicologica al-cuna. Essi hanno la stessa origine e - pur contrastandosi con tutte le loro forze17 - non sono che due facce perfettamente combacianti anche se contrapposte della stessa realtà. Acutamente Sainte-Beuve18 volendo indicare «que le siècle, à ce moment extrême, était au travail» scelse per esempli-ficare questo «travail» l'Homme de désir di Saint-Martin e le Ruines di Volney. Ma se la psicologia è la stessa, la mentalità è profondamente diversa: quella degli uni è rivolta in avanti, secondo il cor-so della storia, verso una nuova realtà; quella degli altri è rivolta indietro, contro il corso della sto-ria, verso una realtà che non era più e non sarebbe mai stata.

Il misticismo degli illuminati, o meglio la sua grande fioritura, fu senza dubbio una delle espres-sioni più tipiche della crisi della società dell'ancien régime, di quelle classi, di quei ceti, di quei gruppi che ne erano i rappresentanti più vivi. Esso fu un prodotto della crisi di costoro, del senso di incertezza e di disorientamento che li colse di fronte alle contraddizioni ormai insanabili della socie-tà europea, e francese in particolar modo, del contrasto tra il nuovo sviluppo economico e civile e le vecchie strutture, tra il razionalismo, il materialismo, il pragmatismo illuminista, il nuovo spirito borghese montanti ed il cattolicesimo, la morale, il modo di vita tradizionali. È nota la profonda ri-volta morale e filosofica che oppose durante il XVIII secolo tante menti agli accessi della filosofia dei lumi, al suo estremo razionalismo, al suo materialismo e al suo ateismo. Per molti essa si con-cretizzò sul terreno della difesa e della rivalutazione del cristianesimo e dei suoi valori fondamentali

15 La correspondance inédite de L.-C. DE SAINT-MARTIN et KIRCHBERGER, baron de Liebistorf membre du Conseil

souverain de la République de Berne du 22 mai 1792 jusqu'au 7 novembre 1797, Paris 1862, p. 14. Dalla corrisponden-za in questione risulta che sino al 1792 Saint-Martin aveva una conoscenza molto limitata della storia del misticismo e ne ignorava anche i testi più comuni; fu il Kirchberger che gli fece conoscere e leggere M.me Guyon, la Leade, il Por-dage, la Bourignon, l'Engelbrecht e vari altri mistici.

16 Cfr. D. MORNET, Les origines intellectuelles de la Révolution française 1715-1787, Paris 1954, p. 374. 17 Sono note le reciproche sprezzanti condanne. Per Voltaire nulla di «plus absurde, de plus obscur, de plus fou et de

plus sot» (il giudizio si riferisce al Des erreurs et de la verité di Saint-Martin, ma è estensibile a tutto il misticismo degli illuminati), quanto a Saint-Martin, per lui Mandrin «était un brigand moins funeste qui ne le sont les philosophes pris dans le sens moderne».

18 C.-A. DE SAINTE-BEUVE, Causeries du lundi, X, Paris 1855, p. 201.

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e tradizionali19; per molti altri però essa si concretizzò invece sul terreno della superstizione più grossolana e sfrenata, dell'avidità del mistero. Tra questi due estremi, molte altre menti imboccaro-no però una terza via, partecipe, in un certo senso, degli elementi essenziali di entrambe. Nell'inca-pacità di comprendere, sanare e superare tanti e così gravi contrasti, queste menti si rifugiarono nei misteri della religione e della scienza primitiva, nell'allucinazione dell'irrazionale e del trascendente, nella fede cieca del prossimo realizzarsi di una trasformazione radicale che avrebbe risolto ogni contraddizione, sanato ogni contrasto20. Troppo assuefatte ad una società stabile e gerarchicamente organizzata, incapaci di inserirsi in qualsiasi altra maniera nel turbinoso moto del secolo, nella maggioranza dei casi estranee al nuovo mondo sociale in sviluppo, esse non seppero vedere altra via d'uscita che in esperienze morali e religiose individuali o circoscritte, al massimo, a piccole conven-ticole (perciò stesso potenzialmente conservatrici), attraverso le quali pretendevano tornare a tempi assolutamente superati o addirittura mai esistiti e solo postulati, e per la loro incapacità di compren-dere il verso dello sviluppo sociale e per quella di immaginare una nuova organizzazione sociale in cui valori ed istituti plurisecolari (e di cui essi stessi erano parte) non fossero più. D'altra parte, que-ste esperienze morali e religiose - dato l'avanzatissimo grado di crisi della società settecentesca e dei suoi valori apparentemente anche più saldi - non potevano a loro volta che essere eterodosse o, al-meno, sempre sul filo dell'eterodossia. La critica demolitrice della nuova cultura e soprattutto alcuni aspetti di essa, come il razionalismo, erano infatti giunti ormai troppo in profondità per non investi-re direttamente la sostanza stessa di questo misticismo e determinarne un orientamento profonda-mente critico nei confronti di tutti gli aspetti più esteriori e terreni del cristianesimo e del cattolice-simo soprattutto. Gli illuminati si rifacevano tutti al cristianesimo primitivo, chi più chi meno, ave-vano tutti un atteggiamento superconfessionale, ritenevano necessaria e imminente una riunione di tutte le Chiese cristiane e, intanto, praticavano un cristianesimo tutto interiore e personale. Oltre a ciò, il malessere, l'incertezza, la confusione, la disperazione degli animi e delle menti aprivano a questo misticismo le porte di ogni tentativo e di ogni speranza: per la breccia dell'ansia religiosa, della necessità di conoscere finalmente Dio, di realizzarlo compiutamente e di affidarsi a lui, si pre-cipitavano nel misticismo, la magia, l'alchimia, l'occultismo, il magnetismo, il sonnambulismo, la fisiognomica ed ogni sorta di più o meno fantastiche «scienze» iniziatiche. Né ciò deve destare me-raviglia: non per nulla i più seri e moderni studi hanno dimostrato il carattere esistenziale del magi-smo: «in genere il dramma magico, cioè la lotta dell'esserci attentato e minacciato, e il relativo ri-scatto, insorge in determinati momenti critici dell'esistenza, quando la presenza è chiamata a uno sforzo più alto del consueto»21.

Alcune di queste «irruzioni» avevano una loro storia antica. La magia (si pensi alla magia divina di Jakob Bohme), la scienza dei numeri, l'alchimia da tempo immemorabile si erano accordate con un certo tipo di misticismo eterodosso. L'alchimia, per esempio, sin dai tempi di Paracelso, era inte-sa da lui come la scienza di rendere perfetta la natura, di salvare l'uomo tutto intero, anima e corpo, facendogli conquistare un più elevato livello spirituale. Chiaro è pure il collegamento con le cre-denze biblico-alchimistiche dei secoli precedenti (da Paracelso a Philalèthe); per esempio a proposi-to della venuta di Elia che deve precedere la renovatio, cioè dell'autore destinato (anche se inteso variamente come persona o come confraternita) a compiere la più felice e radicale rivoluzione, non solo nel mondo ermetico ma anche in quello morale e materiale, edificando la vera città di Dio sulle rovine di quella esistente, contraria allo spirito di Gesù Cristo, e dando inizio all'età dell'oro22. La tradizione e l'ambiente rosacruciani erano spesso il tramite attraverso il quale il misticismo entrava

19 A. MONOD, De Pascal à Chateaubriand. Les défenseurs français du christianisme de 1670 à 1802, Paris 1920; H.

BREMOND, Histoire littéraire du sentiment religieux en France, IX, La vie chrétienne sous l'ancien régime, Paris 1932; XI, Le procès des mystiques, Paris 1933; ID., Le courant mystique au XVIIIe siècle, Paris 1943.

20 A. LE FLAMANC , Les utopies prérévolutionnaires et la philosophie du XVIIIe siècle, Paris 1934, pp. 134-36. 21 E. DE MARTINO, Il mondo magico, Torino 1958, p. 104 e anche pp. 177-81, 192-94 e app. 22 L. FIGUIER, L'alchimie et les alchimistes, Paris, 1854, pp. 252-53, 274-76; E. J. HOLMYARD , Storia dell'alchimia,

Firenze 1957, pp. 6, 174-76 (su Paracelso cfr. anche R. H. BLASER, Paracelse et sa conception de la nature, Genève-Lille 1950, pp. 29-32; A. MAZAHERI, Paracelse alchimiste, in Annales, 1956, II, pp. 183-93).

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in contatto con queste «scienze»23. Nuovi erano invece il magnetismo e il sonnambulismo e la stes-sa fisiognomica, che pure ebbero buona parte nel formare il corpus di questo misticismo. Nelle sue Lettres sur le magnétisme animal Court de Gébelin affermava esplicitamente che il magnetismo «doit rétablir l'harmonie primitive qui régnait entre l'homme et l'univers...: un monde physique nou-veau, doit nécessairement être accompagné d'un monde moral nouveau»24. Persino secondo Saint-Martin - la personalità indubbiamente più significativa di tutto il misticismo fine Settecento e che portò l'illuminismo al suo livello morale e religioso più alto - il magnetismo aveva «ouvert la porte aux démonstrations sensibles de l'esprit»25 e, in ultima analisi, sin il sonnambulismo aveva qualche fondamento e qualche parte nella grande oeuvre26. Per gli illuminati il magnetismo mesmerismo da teoria medica si trasformò in una interpretazione dell'universo, in una prova della sua unità, in una spiegazione dei miracoli, in una vera e propria nuova rivelazione27. Nonostante queste «irruzioni», che in certi casi giunsero a sfigurare il vero volto dell'illuminismo, un'atmosfera grandiosa di trage-dia aleggia sul misticismo settecentesco; ben diversa da quella di farsa in cui i più hanno voluto ve-derlo sommerso: non sono gli avventurieri e i ciarlatani alla Saint-Germain e alla Cagliostro a farne il clima spirituale, ben altri motivi sono alla base di questo. Il senso della catastrofe incombente e il suo apparente non senso su di un piano umano, materiale, portavano gli illuminati verso una dram-matica ricerca del senso nascosto delle cose, a svelarne il segreto.

In questa ricerca affannosa il segreto primo appariva Dio stesso. Già nel secolo precedente Pa-scal, i giansenisti, Racine e tanti altri avevano cercato di far proprio questo segreto. Il problema drammatico del Dieu caché aveva dominato tutta la loro esistenza. Per essi «l'être du Dieu caché est... une présence permanente plus importante et plus réelle que toutes les présences empiriques et sensibles, la seule présence essentielle»28. Per essi Dio non era stato ancora conosciuto, realizzato veramente; ogni cosa dimostrava non un'assenza totale di Dio, non una sua presenza manifesta, «mais la présence d'un Dieu qui se cache». Così come Isaia (XIV, 15), Pascal affermava (Pensées, 585): Vere tu es Deus absconditus. E da questa constatazione - che discendeva dall'altra dell'inde-gnità degli uomini a conoscere veramente Dio - concludeva: «Il est donc vrai que tout instruit l'homme de sa condition, mais il le faut bien entendre: car il n'est pas vrai que tout découvre Dieu, et il n'est pas vrai que tout cache Dieu. Mais il est vrai tout ensemble qu'il se cache à ceux qui le tentent, et qu'il se découvre à ceux qui le cherchent, parce que les hommes sont tout ensemble indi-gnes de Dieu, et capables de Dieu: indignes par leur corruption, capables par leur première nature» (Pensées, 557). Per questi uomini del Seicento il senso della vita era stata la ricerca di un'apocalisse (letteralmente «disvelamento») individuale. Per i mistici del Settecento quest'apocalisse individuale andava - anche se ciò può sembrare un assurdo in termini - più in là: le singole apocalisse individua-li si fondevano in un tutto unico: era l'Apocalisse. L'umanità era ormai giunta alle sue soglie: gli av-venimenti assurdi che essi vivevano erano il frutto dell'ultimo contorcimento della Bestia morente; il Regno di Dio sarebbe tosto sopravvenuto. Non tutti gli illuminati in verità ritennero che veramen-te l'umanità fosse ormai giunta alle soglie dell'Apocalisse; alcuni - per esempio Saint-Martin nel suo Ecce Homo29 - misero, anzi, in guardia contro le troppo facili e troppo numerose profezie che an-nunciavano come imminente la rigenerazione dell'umanità e il Regno di Dio; nel complesso però tutti erano convinti che qualcosa di straordinario, in un modo o in altro strettamente connesso alla

23 Sui Rosacroce in genere cfr. P. ARNOLD, Histoire des Rose-Croix et les origines de la Franc-Maçonnerie, Paris

1955, e anche W. E. PEUCKERT, Les Rose-Croix, in La Tour Saint-Jacques, 1957, VIII, pp. 117-19 e IX, pp. 89-96. 24 COURT DE GEBELIN, Lettres... sur le magnétisme animal, Paris 1784, pp. 42-43. 25 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Oeuvres posthumes, I, Tours 1807, p. 251. 26 La correspondance inédite, ecc. cit., p. 183. 27 Sul magnetismo in generale cfr. A. VIATTE, op. cit., I, pp. 223-31; sul suo principale teorizzatore cfr. [L. BER-

GASSE], Nicolas Bergasse, Paris 1910, spec. pp. 27-10. Sul sonnambulismo e la scrittura medianica cfr. A. VIATTE, loc. cit.; G. VAN RYNBERK, L'occultisme et la métapsichologie du XVIIIe siècle en France, in Revue métapsychique, 1934, I-III, pp. 33-36, 114-19, 168-71.

28 L. GOLDMANN , Le Dieu caché, Paris 1955, p. 46. 29 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Ecce homo, Paris 1792, pp. 105-122; Correspondance inédite, ecc., cit., pp. 8-9.

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rigenerazione e al Regno, stesse per avvenire30. Ancora nelle Soirées, perfino Joseph de Maistre si fece portavoce di questo stato d'animo e di questa attesa: «il n'y a peut-être pas un homme vérita-blement religieux en Europe (je parle de la classe instruite) qui n'attende dans ce moment quelque chose d'extraordinaire»31.

Anche se si gettò nell'occultismo, nell'alchimia, nel magnetismo e in cento altre «scienze» inizia-tiche, la stragrande maggioranza degli illuminati era e rimase profondamente ed appassionatamente cristiana. Qualcuno, in particolare l'Omodeo nel suo acuto saggio sul de Maistre32, ha insistito sullo gnosticismo eterodosso che permea a suo dire tutto l'illuminismo. Su ciò non vi è dubbio, così come non vi è dubbio che la componente gnostica - specie nei martinisti - finisca talvolta per sfigurare completamente da in punto di vista teologico-dottrinale il cristianesimo degli illuminati. A noi sem-bra però che da un punto di vista più ampio, di storia della vita religiosa cioè e delle sue ripercus-sioni sulla vita tout-court, l'importanza di questa componente gnostica sia molto minore di quanto qualcuno l'ha voluta giudicare, anche per la suggestione - è questo il caso dell'Omodeo - dei propri interessi di storia del cristianesimo. Negli illuminati della prima generazione (per quelli della se-conda, specie per Fabre d'Olivet, il problema si presenta altrimenti) lo gnosticismo non fu un fatto culturale, ma naturale, quasi sempre inconsapevole, strettamente connesso al loro apocalitticismo. Il loro misticismo era del tutto spontaneo ed interiore, seppure determinato da cause esteriori, non libresco; al massimo lo gnosticismo classico giungeva loro - molto sfigurato - attraverso tutta una serie di mediazioni, rosacruciane e kabbalistiche specialmente, che ne avevano già abbondantemen-te ridotto il significato e la carica, sicché finiva per far corpo pienamente con quello naturale e per essere assorbito da esso. Lo gnosticismo degli illuminati si riduceva nei più ad una fede nell'esisten-za di un mondo angelico, attraverso il quale realizzare il rapporto con Dio e la «reintegrazione» e, ancora più genericamente, ad una concezione sopra-confessionale del cristianesimo. Solo pochi il-luminati andavano oltre questo gnosticismo elementare e anche per questi pochi - per esempio Saint-Martin - si deve in ogni caso parlare di sviluppo temporale: solo in un secondo tempo essi, in-fatti, culturalizzarono il loro misticismo attraverso lo studio degli autori e della letteratura cristiana e mistica. La corrispondenza tra Saint-Martin e il Kirchberger è da questo punto di vista veramente illuminante. Insomma, a nostro avviso, lo gnosticismo degli illuminati fu a lungo - almeno per tutto il periodo rivoluzionario che qui ci interessa - un fatto quasi del tutto psicologico, come bene ci pare abbia indicato il Tanner33. Messe così le cose, non può meravigliare che sotto il profilo della loro religiosità individuale elementare, gli illuminati si sentissero solo e sinceramente cristiani. Saranno - ripetiamo - gli illuminati della seconda generazione, sarà Fabre d'Olivet in particolare, che supere-ranno nel neoplatonismo gnostico, nel pitagorismo, nel neo-paganesimo e in simili concezioni, il cristianesimo, non quelli della prima. Questi furono e rimasero dal proprio punto di vista interiore sempre cristiani. Che poi, studiandoli dal di fuori, possano non risultare tali è un'altra questione, che riguarda non la storia della vita religiosa, ma quella del cristianesimo. Del resto è significativo che proprio ad essi si rifacessero successivamente veri cristiani e che profondi conoscitori del martini-smo e del mondo illuminato come il de Maistre (che pure per anni ne aveva condiviso i principì e poi se ne era staccato), che ben si rendevano conto della sostanza e del significato dell'illuminismo - e dei suoi lati positivi e di quelli negativi -, non si sognassero di metterne in discussione il cristiane-simo. Non per nulla de Maistre considerava Saint-Martin «le plus instruit, le plus sage et le plus élégant des théosophes modernes... qui ne professe pas seulement le Christianisme, mais qui ne tra-vaille qu'à s'éléver aux plus sublimes hauteurs de cette loi divine»34.

30 Del resto lo stesso Saint-Martin non mancò in più occasioni dì propendere anche lui a dare delle «scadenze» alla

rigenerazione. Sul significato che egli (e altri) davano all'anno 1800 (che come vedremo anche per S. Labrousse doveva costituire l'anno d'inizio del «Regno») cfr. Correspondance inédite, ecc., cit., pp. 327-330.

31 J. DE MAISTRE, Les soirées de Saint-Pétersbourg, II, Lyon-Paris 1924, p. 231. 32 A. OMODEO, Un reazionario: il conte J. De Maistre, Bari 1939, pp. 32-46. 33 A. TANNER, introduzione all'antologia Gnostiques de la Révolution (Claude de Saint-Martin - Fabre d'Olivet), I,

Paris 1946, pp. 9-47. 34 J. DE MAISTRE, op. cit., II, pp. 249, 229.

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L'homme de desir (1790) del Saint-Martin35 è l'opera che forse meglio di ogni altra seppe rendere (e riesce ancora a rendere) il dramma degli illuminati. Bene ne ha afferrato il significato André Tanner: «Le désir est le propre de l'homme, le signe de sa misère et de sa grandeur. Le désir, c'est le sentiment douloureux de ce qui sépare l'existence de l'essence, et la nécessité de les unir. Ainsi conçu - 'j'ai vu qu'il n'y avait rien de si commun que les envies, et rien de si rare que le désir', dira-t-il - il commande la démarche de Saint-Martin, et se définit, chez lui, par rapport au regret d'une per-fection perdue, à l'humiliation de la Chute, et à la possibilité d'une régenération, grâce à celui qu'il se plaît à nommer le divin Réparateur. La pensée nourrit le désir, en démontrant la nature trascen-dante de l'homme, l'effort moral le purifie et le guide vers son but. Alors, l'homme déchu sent len-tement naître et s'accroître en lui, en des étapes parallèles à la vie du Réparateur, le fruit intérieur de son désir, le nouvel homme»36. Le nouvel homme non era però altro per Saint-Martin che le vieil homme o, meglio, l'homme primitif, l'homme de Dieu; un uomo dunque che conosceva Dio ed era in rapporto con lui da ben prima che il Figlio di Dio venisse in Terra e fosse fondata la sua Chiesa. Da qui la religione di Saint-Martin, dei martinisti e, sostanzialmente, degli illuminati in genere; da qui il loro atteggiamento verso la Chiesa romana e le Chiese in genere e verso lo stesso cristianesimo; la «Parola» s'è sempre comunicata direttamente e senza intermediari, ha parlato direttamente ad Ada-mo, ai suoi figli e successori, a Noè, ad Abramo, a Mosè, ai profeti, sino ai tempi di Gesù Cristo. «Le véritable christianisme est non seulement antérieur au catholicisme, mais encore au mot de christianisme même; le nom de chrétien n'est pas prononcé une seule fois dans l'Evangile, mais l'es-prit de ce nom y est très clairement exposé, et il consiste, selon saint Jean (I, 12) dans le pouvoir d'être faits enfants de Dieu; et l'esprit des enfants de Dieu ou des Apôtres du Christ et de ceux qui ont cru en lui, est, selon saint Marc (XVI, 20), que le Seigneur coopère avec eux, et qu'il confirme sa parole par les miracles qui l'accompagnent. Sous ce point de vue, pour être vraiment dans le christianisme, il faut être uni à l'esprit du Seigneur, et avoir consommé notre alliance complète avec lui. Or, sous ce rapport, le vrai génie du christianisme serait moins d'être une religion que le terme et le lieu de repos de toutes les religions et de toutes ces voies laborieuses, par lesquelles la foi des hommes, et la nécessité de se purger de leurs souillures, les obligent à marcher tous les jours».

Il cristianesimo di Saint-Martin e degli illuminati (meglio si potrebbe dire il loro proto-cristianesimo) non è che lo spirito del Signore, «dans sa plénitude», dopo che Gesù Cristo «a eu monté tous les degrés de la mission qu'il a commencé à remplir dès la chute de l'homme, en lui promettant que la race de la femme écreuserait la tête du serpent»; non è che il completamento del sacerdozio di Melchidesec, non è che l'anima del Vangelo. Soprattutto non è una religione: tale è invece il cattolicesimo, vero e proprio «séminaire du christianisme». «Le christianisme - incalza Saint-Martin - nous montre Dieu à découvert au sein de notre être, sans le secours des formes et des formules. Le catholicisme nous laisse aux prises avec nous-mem.es pour trouver Dieu caché sous l'appareil des cérémonies... Le christianisme n'a aucune secte, puisqu'il embrasse l'unité, et que l'unité étant seule ne peut être divisée d'avec elle-même. Le catholicisme a vu naître dans son sein des multitudes de schismes et de sectes qui ont plus avancé le règne de la division que celui de la concorde». E ancora, per concludere, «le christianisme appartient à l'éternité; le catholicisme appar-tient au temps. Le christianisme est le terme; le catholicisme, malgré la majesté imposante de ses solemnités, et malgré la sainte magnificence de ses admirables prières, n'est que le moyen»37. Il cri-stianesimo è insomma per Saint-Martin e per gli illuminati l'esistenza stessa, la realizzazione di Dio e la «reintegrazione».

35 Su L.-C. de Saint-Martin si veda: C.-A. DE SAINTE-BEUVE, Causeries du lundi, cit., X, pp. 190-225; M. MATTER,

Saint-Martin le philosophe inconnu, Paris 1862; A. FRANCK, La philosophie mystique en France à la fin du XVIIIe siè-cle. Saint-Martin et son maître Martinez Pasqualis, Paris 1866; A. VIATTE, op. cit., I, pp. 269-292; R. AMADOU, L.-C. de Saint-Martin, Paris 1946; F. BERENCE, Grandeur spirituelle du XIXe siècle français. I. Les aînés, Paris 1958, pp. 46-51. Data la difficoltà di trovare in Italia le opere di Saint-Martin, una buona scelta è nel primo volume degli Gnostiques de la Révolution, già citato (al quale, pertanto, quando possibile abbiamo riferito le citazioni).

36 A. TANNER, introduz. cit., I, pp. 44-45. 37 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Ministère de l'Homme-Esprit, in Gnostiques de la Révolution, cit., I, pp. 163-170; Cor-

respondance inédite, ecc., cit., p. 209.

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Nella ricerca e nella realizzazione interiore di Dio, gli illuminati travolgevano e negavano di fat-to - tanto quanto i philosophes e forse anche di più - ogni valore e ogni principio che non fosse quel-lo divino, in primo luogo negavano sostanzialmente la Chiesa, la sua struttura e la sua esistenza stessa. Senza avvedersene, senza rendersene conto, la loro critica era altrettanto demolitrice di quel-la dei philosophes da essi tanto osteggiati. Se il sentimento religioso passò indenne e anzi rafforzato e purificato attraverso gli ultimi decenni del XVIII secolo, buona parte del merito se ne deve attri-buire - nonostante ogni loro stortura e ogni loro altra assurda credenza - agli illuminati; altrettanto vero è però quel che osservava già allora acutamente il de Maistre: «néanmoins, malgré ces avanta-ges, ou pour mieux dire, malgré ces compensations, l'illuminisme n'est pas moins mortel sous l'em-pire de notre Eglise et de la vôtre même (cioè di quella ortodossa russa), en ce qu'il anéantit fonda-mentalement l'autorité qui est cependant la base de notre système»38. Anche come carica rivoluzio-naria, dunque, illuminismo e filosofia dei lumi appaiono cospiranti. Al solito, la differenza non è nell'origine psicologica del processo, ma nei suoi sviluppi: mentre i philosophes criticano e distrug-gono per creare qualcosa di nuovo, gli illuminati si limitano, di fatto, a distruggere.

Il quadro del misticismo degli illuminati, o meglio, come si è detto, della sua grande fioritura nella seconda metà del Settecento, non sarebbe però completo se lo si considerasse solo una tipica espressione della crisi delle classi, dei ceti e dei gruppi dominanti dell'ancien régime. La fioritura mistica, infatti, è altrettanto bene riscontrabile in larga parte delle classi e dei ceti subalterni, tra gli artigiani, i lavoratori delle città e dei borghi, il popolo minuto, tra i contadini.

Una vena mistica, elementare, imprecisa, confusa, contraddittoria, ma non per questo meno reale e consistente, serpeggiava tra di essi; trovava spunti continui nella vita d'ogni giorno, si rifaceva alla religiosità medievale e del periodo della Riforma, trovava nuovi argomenti nella polemica delle classi superiori che, attraverso invisibili canali (i fattori, il personale di servizio, i lacchè, i cocchie-ri, le conversazioni al cabaret, gli arruolatori, la polemica dei predicatori, ecc.) giungeva sino ad es-si nei suoi motivi essenziali e più immediati, si tingeva, talvolta, di motivi magici39. La letteratura di colportage40 offre preziose testimonianze in questo senso.

«Tout porte à croire que la pratique ne fut jamais plus générale que de 1650 à 1789» afferma più volte il Le Bras nei suoi fondamentali studi sulla pratica religiosa nelle campagne francesi41. Da questi studi risulta che il 95% della popolazione rurale francese si avvicinava alla comunione pas-quale e che la vita religiosa era al centro di quella civile; da essi risulta però anche il vero carattere di questo cattolicesimo rurale: «peu d'irréligion militante, une minorité fervente et qui n'est pas constituée en corps; une fidélité commune, manifestée par les Paques et 1'assistance (intermittente pour beaucoup) aux messes d'obbligation, fidélité sincère, mais dans bien des cas passive, semi-profane; un conformisme général»42. Conformismo generale - in parte dovuto al fondo cristiano del-le masse francesi e in parte ad una organizzazione sociale che ruotava tutta attorno alla parrocchia e di fatto escludeva dal consorzio civile chi se ne allontanava - che in moltissimi casi celava un disa-gio morale e uno scontento profondi e che verso la metà del XVIII secolo si andò trasformando in empietà progressiva43 sino a sfociare nella grande rottura rivoluzionaria44. Un profondo malcontento serpeggiava nelle classi subalterne: «les périls durables que court le catholicisme... n'ont pas dimi-nué au XVIIIe siècle, malgré la paix publique et la Contre-Réforme. Et de nouveaux périls sont ap-parus: le jansénisme populaire, par ses révoltes et sa sévérité, frayait les voies de l'indifférence; les divisions du clergé, le scepticisme des notables, l'amoralisme notoire des gouvernants, énervaient la défense; les villes étaient des foyers de philosophie, comme elles avaient été jadis des foyers de

38 J. DE MAISTRE, op. cit., II, p. 251. 39 C. BILA , La croyance à la magie au XVIIe siècle en France dans les contes, romains et traités, Paris 1925. 40 C. NISARD, Histoire des livres populaires ou la littérature de colportage, Paris 1864; P. BROCHON, Le livre de

colportage en France depuis le XVIe siècle, Paris 1954. 41 G. LE BRAS, Etudes de sociologie religieuse, Paris 1955-56, 2 voll., passim e spec. I, p. 275. 42 Ivi, I, p. 245. 43 Ivi, I, p. 251. 44 Ivi, I, p. 279; F. BOULARD, Premières itinéraires en sociologie religieuse, Paris 1954, pp. 41-42.

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christianisme, et, par tous chemins, elles répandaient les factums sortis de leurs presses...»45. Dalle città la crisi si estendeva ai villaggi e alle campagne, acuita e in buona parte determinata da quella del clero. Troppo spesso, infatti, i membri del clero venivano dal rabelaisiano paese di saltapasti ed abbracciavano lo stato religioso per mera convenienza; troppi di essi - infine - facevano solo frutta-re la religione e invece di essere gli amici e le guide dei loro fedeli erano gli amici dei padroni e de-gli sfruttatori di questi, padroni e sfruttatori essi stessi molto spesso. Da qui una critica ed una man-canza di fiducia sempre più estesa nei loro confronti e, per riflesso, nella Chiesa e talvolta nella re-ligione stessa.

La congiuntura economica, a sua volta, approfondiva la crisi. La vita economica europea e fran-cese in particolare era - come è noto46 - in netta ascesa: nel complesso però il livello di vita delle classi subalterne non trovava in tale ascesa alcun miglioramento, anzi, durante le brevi crisi interci-cliche peggiorava sensibilmente, gettando masse sempre più numerose nella più completa indigen-za.

Da questo stato di cose, in gruppi sempre più numerosi si andava affacciando e radicalizzando il convincimento che mentre la natura era prospera e benigna (quasi un'eco lontana ed elementare del-le teorie dei fisiocratici) alcuni malvagi - signori e sacerdoti - ne intralciavano, per cupidigia e per-versità, lo sviluppo fecondo, così come piante parassitarie attorno ad un albero vigoroso.

Da qui un'ansietà, un'angoscia che - alla base - non differivano sostanzialmente da quelle che si è visto travagliavano gli animi e le menti delle classi superiori e che si estrinsecavano in una paura e in un'attesa collettiva di qualcosa di drammatico e di sconvolgente: di un prossimo cataclisma che tutto avrebbe rinnovato e risanato. Gli avvenimenti successivi, la «grande paura» dell'89 e i similari fenomeni confermano tale stato d'animo. Georges Lefebvre ha individuato nella «grande paura» una sorta di grande speranza collettiva nell'abolizione dei privilegi feudali47, recenti studi storico-sociologici hanno connesso a tale stato d'animo anche l'organizzazione della guardia nazionale e il terrore48. A questa stessa matrice si deve a nostro avviso far risalire in larghissima misura il rinfoco-larsi e il diffondersi dell'amore per il meraviglioso49 e di motivi mistici nelle masse popolari france-si durante il XVIII secolo e nel periodo rivoluzionario. Riferendosi a questo periodo A. Mathiez50 ebbe a osservare: «Comme aux temps de la Réforme, le catholicisme ne suffisait plus à remplir l'âme populaire. Jusque dans les cerveaux les plus obscurs, la propagande philosophique avait eu un vague écho». In tale affermazione vi è indubbiamente del vero, a noi sembra però che la spiegazio-ne dello storico francese vada integrata tenendo conto anche e prevalentemente di motivi più sem-plici e più elementari, di vita quotidiana. Questi infatti non solo ebbero grande importanza nel de-terminare le forme ideologiche essenziali del misticismo popolare (le sue soluzioni terrene, tutte ruotanti attorno all'idea di una prossima realizzazione del Regno di Dio in terra, cioè di una società di uguali), ma persino nel determinarne alcune fondamentali manifestazioni esteriori. Alla luce dei più recenti studi etnologici e di sociologia religiosa non ci sembra si possa oggi più dubitare, per e-sempio, della veridicità del gran numero di visioni e di audizioni (specie tra le donne, fisiologica-mente più deboli e impressionabili degli uomini) che contraddistingue tale misticismo popolare e che deve essere spiegato, nella maggioranza dei casi, non in chiave «ciurmadorica» ma tenendo ben presente lo stato di depressione morale, di stanchezza organica e di carenza di alimentazione tipico delle classi subalterne del tempo, specie nelle campagne. Bene ci sembra abbia fatto a questo pro-posito il Lefebvre ponendo - in un suo notissimo e fondamentale saggio sulle folle rivoluzionarie 51 - l'accento sulla speranza che muoveva tali masse verso l'avvento immediato della felicità universale ed apparentando, sotto questo aspetto, la mentalità collettiva rivoluzionaria al millenarismo di certi

45 G. LE BRAS, op. cit., I, p. 251. 46 C.-E. LABROUSSE, La crise de l'économie française à la fin de l'ancien régime et au début de la révolution, I, Pa-

ris 1944. 47 G. LEFEBVRE, La grande paura del 1789, Torino 1953. 48 J. PALOU, La peur dans l'histoire, Paris 1958. 49 L.-S. MERCIER, Tableau de Paris, Paris 1853, pp. 74-78. 50 A. MATHIEZ, op. cit., p. 98. 51 G. LEFEBVRE, Foules révolutionaires, in Etudes sur la révolution française, Paris 1954, p. 283.

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ambienti religiosi. Strati popolari cittadini e rurali, tutt'altro che trascurabili, furono infatti orientati senza dubbio verso una concezione apocalittica (che in un certo senso può paragonarsi a quella dei primi cristiani) proprio da tale disagio morale e materiale e dalla paura e dall'attesa ad esso connes-se. In tutta una serie di motivi mistici di questo periodo, nell'attesa di un prossimo cataclisma che tutto rinnoverà, fonderà in terra il regno dell'eguaglianza e riporterà la religione (il suo spirito e la sua organizzazione) alla sua struttura evangelica, non è infatti difficile riconoscere il riflesso delle aspirazioni popolari ad un miglioramento radicale del loro tenore di vita, al recupero, tanto per co-minciare, delle terre comuni e della Chiesa e all'abrogazione degli infiniti pesantissimi oneri fiscali.

Si trattava - è chiaro - di un edificio ideologicamente estremamente elementare e senza contorni ben definiti, ma della cui sostanza non è assolutamente possibile dubitare e al quale si devono ricol-legare, necessariamente, le varie forme di misticismo prerivoluzionario e rivoluzionario.

Di queste forme di misticismo popolare - pur mancando di seri studi specifici - abbiamo tutta una ricca serie di testimonianze inequivocabili e non solo per la Francia, ma anche per la Spagna, la Germania e l'Italia. Alcune di queste testimonianze risalgono addirittura al XVII secolo, come è il caso dei guérinots (dal nome di uno dei loro apostoli, Pierre Guérin, curato di Roye) nella Piccardia e della societé de l'hermitage nella Bassa Normandia. Su di esse e su altre del XVIII secolo non ci tratteniamo per evidenti motivi di spazio, esse sole potrebbero dar materia ad uno studio particolare (per una rapida, ma già indicativa, informazione il lettore potrà in ogni caso far ricorso alla vecchia ma sempre preziosa Histoire des sectes religieuses del Grégoire), limitandoci qui a ricordarne solo alcune che, per i loro sviluppi nel periodo rivoluzionario e per l'influenza avuta anche sul mistici-smo ideologicamente più qualificato, hanno per l'assunto della nostra indagine più interesse.

In particolare ricorderemo la setta parigina di s. Giovanni Evangelista, nata verso il 1736 e for-mata in prevalenza di artigiani, operai e personale di servizio (a cui, però, non sdegnarono successi-vamente di aderire anche personalità di rilievo), il cui maestro nei tre anni della sua presenza in se-no ad essa profetizzò, tra l'altro, la distruzione della Bastiglia, l'abolizione delle gabelle e la prossi-ma apparizione in cielo di una grande luce che avrebbe indicato il gran giorno52; la setta degli amici della verità, anch'essa di chiara ispirazione apocalittica, fiorita dalla seconda metà del Settecento ai primi anni dell'Ottocento a Lione, La Bresse, Tolosa e nelle campagne circonvicine53; e soprattutto le numerose società di vittime. Su queste ultime, anche esse non studiate da nessuno54, sarà anzi be-ne spendere qualche parola di più.

Esse sorsero nel XVII secolo ad opera di Cathérine de Bar, madre Machtilde, che fondò un nuo-vo ordine femminile la cui caratteristica era l'essere le componenti «vittime» in riparazione degli ol-traggi fatti a Gesù Cristo nell'Eucarestia. L'idea delle «vittime» non rimase però circoscritta all'ordi-ne fondato dalla de Bar; rapidamente essa si diffuse tra le masse, specie tra il popolo medio e minu-to, e sorsero spontaneamente varie piccole società di «vittime». Il movimento (chiamiamolo così anche se si trattava di singole «vittime» o di piccole società, a volte dalla vita molto breve) acquistò vigore nel Settecento, allorché si diffuse la credenza che il ritorno di Elia, prima del secondo avven-to di Gesù Cristo, sarebbe stato preceduto da numerose «vittime», che sarebbero state immolate nel-l'ultima grande persecuzione annunciata dal Vangelo, e che il loro sangue, unito a quello del Salva-tore, avrebbe placato la collera divina e sarebbe stato determinante per indurre Dio alla misericor-dia. Da questa credenza le «vittime» trassero nuova venerazione tra le masse e si moltiplicarono. Tra le numerose «vittime» che vissero in Francia nella seconda metà del secolo XVIII, circondate

52 Journal prophétique, II sett. di febbraio 1792, pp. 43-45; II sett. di maggio 1792, pp. 255-56; Journal prophétique

par P. Pontard, n. IV, lunedì 27 agosto 1792, pp. 109-112; H. GREGOIRE, op. cit., II, pp. 87-89; A. VIATTE, op. cit., I, p. 219. Sparito dopo tre anni, il maestro (o il santo) rimase in contatto con i suoi fedeli attraverso un interprete. Il Pontard (Journal prophétique, cit., p. 256) riporta, tra gli altri, questo estratto della predicazione del maestro: «Il faut que les hommes s'appliquent à la prière dans ces temps, car nous en avons un extrême besoin. On s'imagine que ce royaume est dans un grand calme, et nous vous disons que si Dieu, mon père, ne présidoit et n'y fesoit présider, il serait dans de grandes révolutions. Mais il ne faut point s'inquieter, parce qu'ils ne pourront rien qu'aux temps prescrits; car ceux qui veulent frapper, seront eux mêmes frappés et nous répétons, prions de bon coeur».

53 H. GREGOIRE, op. cit., II, pp. 184-93. 54 Per una informazione sommaria si veda H. GREGOIRE, op. cit., II, pp. 31-56.

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dal rispetto popolare e da un certo gruppo di fedeli, due soprattutto ci interessano: Jaqueline Aimée Brohon e Suzette Labrousse; esse rappresentano infatti due dei legami più vivi ed interessanti, sul piano ideologico la prima e su quello del concreto apostolato la seconda, tra il misticismo settecen-tesco e quello rivoluzionario.

La Brohon55 - le cui opere, come giustamente ha detto A. Viatte, possono essere considerate co-me veri e propri sintomi della prossima Rivoluzione - fu ai suoi tempi una scrittrice di un certo no-me; datasi però poi alla solitudine, alla meditazione e all'ascetismo fu quasi dimenticata dal gran pubblico e la sua nuova fama di illuminata rimase circoscritta a limitati ambienti mistici e a pochi fedeli (attraverso i quali, però, i motivi del suo misticismo si diffusero ad altri, diventando una delle componenti del misticismo popolare). Con la Rivoluzione, infine, e grazie soprattutto al Pontard, il suo nome e i suoi scritti mistici56 divennero notissimi in tutto il mondo mistico francese e non solo francese. Ma di ciò, conle di ciò che riguarda la Labrousse, vedremo più innanzi; qui ci basta ricor-dare - nelle grandi linee - la sua concezione. Elementi fondamentali di essa erano la convinzione che Dio fosse sul punto di giudicare gli uomini e le nazioni, di punire i malvagi e scegliere il suo nuovo popolo. Questo - per la sua primazia cristiana - sarebbe dovuto essere la Francia, almeno che essa non rifiutasse «vittime» richieste dal Signore. In tal caso la Francia avrebbe subito l'ira divina, sarebbe stata devastata, smembrata e assoggettata ad un principe straniero (la Brohon credeva di in-travvedere che sarebbe stato uno spagnolo). Le «vittime», annunciate dalla Bibbia, sarebbero state le coadiutrici di Gesù Cristo nella rigenerazione dell'umanità; si sarebbero infatti sacrificate per es-sa, avrebbero preso su di sé l'anatema generale e - veri e propri ostaggi della fedeltà dei veri cristia-ni verso Dio - sarebbero state «le centre commun et le réservoir des grâces, le canal par lequel elles découlent sur la terre». Elia ed Enoch, tornati sulla terra per guidare il popolo fedele, si sarebbero messi alla loro testa e sarebbero periti con esse nell'ultima grande persecuzione invano scatenata dal clero corrotto, dalla quale sarebbe infine scaturito il Regno glorioso del Redentore che avrebbe visto la distruzione di ogni ordine monastico e l'elevazione delle «vittime» a solo corpo della Chiesa con-sacrata al servizio di Dio. Corollari necessari del Regno sarebbero stati la conversione degli ebrei e lo stabilimento dei cristiani in Palestina.

Per concludere, è dunque evidente che la grande fioritura mistica che vide il Settecento non fu solo un fatto delle classi e dei ceti superiori. Essa interessò tutti i ceti e tutte le classi sociali, dalle più elevate alle più umili, assumendo forme diverse a seconda dei casi, ma presentando alcune co-stanti fisse: il disorientamento, l'incomprensione dei mutamenti sociali che venivano verificandosi, la paura, la certezza che qualcosa di sconvolgente stesse per verificarsi e la sua attesa spasmodica, la sfiducia nel clero e nello stesso cattolicesimo ma, al tempo stesso, la fede in Gesù Cristo e nella sua «vera» Chiesa. Il misticismo - latu sensu - fu insomma l'elemento caratteristico e forse predo-minante della vita religiosa del tempo, intendendo per vita religiosa - come recentemente messo in luce dal Cantimori57 - il manifestarsi del sentimento religioso nelle sue forme tradizionali e popolari non riducibili direttamente alla storia ecclesiastica.

Prima di passare al tema centrale di queste nostre ricerche, all'aspetto cioè e al significato (e alle trasformazioni) più propriamente politici del misticismo degli illuminati, va ancora sottolineato co-me la fioritura mistica, così come non fu un fatto di alcuni ceti e di alcune classi sociali soltanto, non fu neppure un fatto solo francese. Anche se in Francia essa fu (data la particolare situazione so-ciale, culturale, religiosa e politica di questo paese) più rigogliosa e soprattutto più evidente e anche se la Francia fu - in genere - considerata il paese da cui la rigenerazione universale avrebbe dovuto prendere le mosse (come, per esempio, affermò esplicitamente lo svizzero L. Muralt de Béat nelle sue Lettres fanatiques sin dal 1739), essa fu però comune a tutta l'Europa. Tracce più che consisten-ti e che, come in Francia, affondano le loro radici nel secolo precedente, sono chiaramente riscon-

55 A. VIATTE, op. cit., II. pp. 288-95. 56 Instructions édifiantes, Paris 1791; Réflections édifiantes sur le jeûne de Jésus-Christ dans le desert, Paris 1791 (2

voll.); Manuel des victimes de Jésus ou Extrait des instructions que le Seigneur a données à sa première victime, Paris 1799.

57 D. CANTIMORI, Prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, Bari 1960, passim e spec. pp. 9-26.

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trabili soprattutto in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia, in Russia, e, seppur meno chiaramen-te, in Svizzera e in Italia.

In Inghilterra due correnti mistiche erano particolarmente presenti, anche se nella seconda metà del Settecento spesso si confusero e influenzarono reciprocamente. È questa, del resto, una caratte-ristica comune a tutto il misticismo settecentesco che rende particolarmente difficile e delicato di-scernerne le singole componenti e, talvolta, definire la stessa appartenenza di questo o quel singolo illuminato o gruppo ad una determinata corrente.

I gruppi più antichi erano quelli di ispirazione böhmiana che si erano affennati sin dalla seconda metà del Seicento con John Pordage, Jane Leade, il genero di questa Francis Lee; una piccola co-munità di mistici, che aspiravano a realizzare il più alto stato spirituale attraverso una «visible communion» con gli angeli, si raccolse sin dalla metà del Seicento a Brandfiel Berkshire attorno al Pordage; nel 1697, per merito soprattutto del Lee, diedero vita a Londra alla Philadelphian Society che raccolse molti adepti e visse sino al 1703. Il Pordage e la Leade goderono negli ambienti mistici europei di grande stima e considerazione: G. Arnold ne parlò nella sua Historia et descriptio theo-logiae misticae58; Saint-Martin, a proposito della Leade, scrisse: «c'est de l'or le plus pur, et j'ose dire d'une qualité bien neuve, quoique ces mêmes vérités se trouvent dans nos autres bons théoso-phes»59. Nel Settecento il principale esponente böhmiano inglese fu invece William Law, precettore di E. Gibbon e grande amico di Saint-Martin e del Divonne. Con il Settecento a fianco della corren-te böhmiana si andò però rapidamente sviluppando quella swedenborghiana. Fuori dalla Svezia fu anzi proprio in Inghilterra che la dottrina del grande illuminato scandinavo trovò il maggior numero di seguaci e di volgarizzatori e dall'Inghilterra essa passò sul continente e in Francia in particolare. A Londra specialmente, dopo il 1780, gli swedenborghiani erano numerosi ed organizzati, con un loro tempio, un loro giornale e una intensa attività di apostolato; alcune comunità esistevano anche nel resto del paese60 senza, peraltro, dare come altrove il tono alla vita morale e religiosa dell'isola. La situazione sociale e politica dell'Inghilterra non era, infatti, tale da favorire l'ansia e l'eccitazione religiosa.

Lo swedenborghismo era molto diffuso in Svezia, patria del suo maestro61. Già attivi lui vivente, i suoi seguaci divennero folla negli ultimi trent'anni del secolo. Sparsi in tutte le classi e i ceti socia-li, a Stoccolma si raccolsero dal 1786 al 1789 nella Società esegetica e filantropica e dopo il 1796 nella Societas pro fide et charitate, diffondendosi in tutto il paese e rapidamente anche nel resto del-la Scandinavia ed in Finlandia.

Nonostante una certa diffusione della filosofia dei lumi, il tono della vita culturale e religiosa svedese in questi ultimi decenni del secolo fu dato sempre più dal misticismo e dagli illuminati62. Questi a loro volta non furono, in genere, alieni dallo sposare lo swedenborghismo con l'alchimia, la kabbala e il mesmerismo. Non mancarono neppure seguaci di J. Böhme; tra di essi particolare for-tuna ebbe un garzone di calzetteria di Stoccolma, poi divenuto bibliotecario reale, di nome Collin.

Quasi in nessun altro paese come in Svezia, l'illuminismo ebbe tanti adepti altolocati, che giunse-ro in varie occasioni a influire sulle stesse vicende politiche. Swedenborghiani attivi furono tra gli altri il generale Tuxen, il sopraintendente alle miniere Sandels, il commissario della Banca di Svezia C. Robsahm, il colonnello F. Nordenskjold, incaricato d'affari a Rostock, e suo fratello A. Norden-skjold, il vescovo Hallenius, tutti membri della Società esegetica e filantropica, il poeta e pubblici-sta T. Thorild, l'ambasciatore a Londra K. G, Silfverhjelm, fondatore di una Società ermetica e con-

58 G. ARNOLD, Historia et descriptio theologiae misticae, Francofurti 1702, p. 607. 59 La correspondance inédite, ecc. cit., p. 83. 60 A. VIATTE, op. cit., I, pp. 87-88. 61 Su E. Swedenborg si veda: M. MATTER, Emmanuel de Swedenborg, Paris 1863; W. WHITE, E. Swedenborg, Lon-

don 1867 (2 voli.); C. BYSE, Le prophète du Nord. Vie et doctrine de Swédenborg, Paris (1901); ID., Swédenborg, Lau-sanne (1918); M. LAMM , Swedenborg, London 1933; E. BENZ, E. Swedenborg. Naturforscher und Seher, München 1948; S. TOKSVIG, E. Swedenborg, Scientist and Mystic, London 1949.

62 C. ROSSO, Le «lumières » in Svezia nel «tempo della libertà» (1718-1772), Torino 1959, pp. 12-23.

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vinto assertore del magnetismo, il barone de Staël.63 Non alieno al misticismo fu lo stesso Gustavo III 64; quanto a Gustavo IV, egli era indubbiamente per dirla con de Maistre «livré aux fantômes de l'illuminisme», e «c'est dans l'Apocalypse qu'il étude la politique»65. Il duca Carlo di Sudermania (il futuro Carlo XIII) e il barone Gustaf Adolph Reuterholm66 suo amico e intimo collaboratore, infine, non solo furono convinti ed attivi illuminati, ma, come vedremo, ebbero un ruolo di primissimo piano nella massoneria mistica e nei suoi tentativi di assumere la guida di tutto il movimento mas-sonico europeo.

Il panorama mistico tedesco era il più mosso; tutte le dottrine, tutti i motivi, tutte le suggestioni vi erano rappresentati, dai più importanti e diffusi ai più particolari. Alla tradizione böhmiana, sem-pre viva67, vennero affiancandosi lungo il secolo tutte le altre dottrine, in particolare lo swedenbor-ghismo e il martinismo68. Negli ultimi decenni - così come in Svizzera - un sempre maggior numero di illuminati fu attratto da Lavater e dalla sua dottrina69. Come ha scritto il Viatte70, «l'Allemagne s'exalte pour toutes les initiations» e, così come in Francia e in Svezia, a tutti i livelli sociali71. «Après Frédéric II - scrive ancora il Viatte - théocrates et mystiques prennent leur revanche». Il Lu-chet, nel suo Essai sur la secte des illuminés, affermò che alla vigilia della Rivoluzione almeno una trentina di principi e di sovrani europei erano illuminati: non vi è dubbio che la miriade degli stati e staterelli tedeschi desse la maggioranza di questi sovrani. In Prussia lo era Federico Guglielmo II e con lui i suoi principali ministri, lo Haugwitz, il Waechter e il Woellner; il duca Ferdinando di Brunswick, Carlo di Hesse72, Ferdinando del Württemberg, Ernesto e Augusto di Saxe-Gotha, Carlo Augusto di Saxe-Weimar, il barone di Dalberg, il principe di Dessau, Carlo di Bade, il principe di Neuwied, Carlo di Mecklemburg, Luigi di Hesse, tutti più o meno erano illuminati e alcuni di essi in particolare il duca di Brunswick e Ferdinando del Württemberg, tra i capi della massoneria misti-ca. Il Kirchberger, a proposito di una di queste corti, scriveva ancora nel 1793 al Saint-Martin: «le cabinet ne fait pas un pas sans consultation physique»73 e a quanto pare il caso non doveva essere certo isolato.

In Italia - così come si vedrà in Russia - il misticismo degli illuminati si manifestò relativamente tardi e, in genere, in forma massonica; né pare vi abbia avuto grande diffusione anche se l'ambiente non doveva essergli sfavorevole (basta pensare alla facilità con cui Cagliostro vi trovò persone di-sposte a starlo ad ascoltare e alla diffusione che vi ebbe il mesmerismo). I centri mistici più impor-tanti furono a Chambéry74 e, come si vedrà nell'ultimo capitolo, a Roma. Della loggia di Chambéry,

63 J. DE PANGE, Monsieur de Staël, Portiques 1931; Correspondance diplomatique du baron de Staël-Holstein, Paris

1881. 64 A. GEFFROY, Gustave III et la cour de France, Paris 1867 (2 vol.). 65 J. DE MAISTRE, Du Pape, in Oeuvres complètes, cit., II, pp. 297-98. 66 Su questa importantissima figura di illuminato e di politico manca una biografia; per una prima informazione si

veda Biographiskt Lexicon, XII, Upsala 1846, pp. 71-80. 67 Su J. Böhme si veda A. KOYRE, La philosophie de J. Boehme, Paris 1929; H. GRUNSKY, J. Boehme, Leipzig 1956;

e l'introduzione di N. BERDJAEFF al Misteryum Magnum, Paris 1950, I, pp. 5-45; qualche utile osservazione anche in J. NAVARRO MONZO', La actualidad filosófica de Jacobo Boehme, Buenos Aires 1931.

68 Nei primi anni del XVIII secolo non mancarono in Germania anche suggestioni di origine camisarde (che influi-rono soprattutto sugli ambienti pietisti), cfr. F. H. OPPENNHEIM, Contribution à l'histoire d'un réveil: les «nouveaux prophètes» allemands au début du XVIIIe siècle, in Revue d'histoire et de philosophie religieuses, 1957, II, pp. 143-56.

69 Su J. G. Lavater si veda O. GUINAUDEAU, Etudes sur J. C. Lavater, Paris 1924; A. VIATTE, op. cit., I, 153-180. 70 A. VIATTE, op. cit., I, p. 181. 71 Per la Prussia cfr. H. BRUNSCHWIG, La crise de l'état prussien à la fin du XVIIIe siècle et la genèse de la mentalité

romantique, Paris 1947, pp. 217-69; per il Württemberg cfr. (con cautela) A. FAUCHIER-MAGNAN, Les petites cours d'Allemagne au XVIIIe siècle, I, Paris 1947. Considerazioni sempre interessanti in G. DE STAËL, De l'Allemagne, Paris 1908, pp. 566-76.

72 Su Carlo di Hesse si veda (con molta prudenza) SAINT-RENE TAILLANDIER , Un prince allemand du XVIIIe siècle. Charles de Hesse et les Illuminés, in Revue des deux mondes, 1866, I, pp. 891-925.

73 La correspondance inédite, ecc., cit., p. 110. 74 F. VERMALE, La franc-maçonnerie savoisienne à l'époque révolutionnaire, Paris 1912.

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come è noto, fece parte sino allo scoppio della Rivoluzione il de Maistre75. Altre logge di massone-ria mistica (dell'Ordre des Chevaliers Bienfaisants de la Cité Sainte) erano - tra il 1779 e il 1782 - a Torino, in alcune località della Lombardia e a Napoli 76. In prevalenza gli illuminati italiani apparte-nevano ai ceti e alle classi sociali più elevati, non ne mancavano però di condizione modesta e an-che modestissima. Del resto la situazione degli studi in questo campo è talmente deficitaria, che una indagine sistematica potrebbe riservare delle sorprese, anche grosse77.

Dalla Germania, dalla Francia e dalla vicina Polonia78 il misticismo passò negli ultimi decenni del secolo XVIII in Russia. L'élite russa era stata anch'essa turbata dallo sviluppo della filosofia dei lumi in occidente e, non bastandole più il conforto morale e religioso dell'ortodossia, cercò di con-trastarle il passo rifugiandosi in una sorta di sintesi tra verità religiosa e verità razionale. Come ha scritto R. Labry «c'est alors que le livre de Saint-Martin, Des erreurs et de la verité, connu en Rus-sie dès 1777, vient ranimer leurs espérances. Il leur annonçait le principe universel qui, réunissant en faisceau les sciences condamnées à l'erreur par leur isolement, découvrirait l'enchaînement de toutes choses: nature, morale, politique»79. Tramite Saint-Martin anche Böhme fece tosto il suo in-gresso in Russia, trovandovi un fervido sostenitore e propalatore in Johann G. Schwartz, un tedesco professore di filosofia dal 1779 al 1784 all'università di Mosca80. Quasi contemporaneamente anche lo swedenborghismo fece la sua apparizione, prima attraverso i contatti con Carlo di Sudermania e gli svedesi, poi attraverso quelli con gli illuminati di Avignone81. In breve molti russi, specie nei ce-ti più elevati, abbracciarono l'illuminismo; questo - un po' per il suo ritardato sviluppo, un po' per i tramiti della sua introduzione - assunse però subito carattere e organizzazione tipicamente massoni-ci, che - specie ai tempi di Caterina II - non giovarono molto alla sua diffusione, facendolo rimanere sostanzialmente un fenomeno di élite. Principale esponente del misticismo russo fu N. I. Novikov a cui fu dovuta, tra l'altro, la traduzione e la pubblicazione di numerose opere illuminate. La Rivolu-zione Francese pose però fine alla sua attività: nel 1792 la czarina (che in un primo tempo - pur considerandoli dei pazzi e dei fanatici - non si era mostrata troppo ostile agli illuminati e al loro mi-sticismo, ritenendo che esso contribuisse a sviluppare un certo lealismo e un certo moderato libera-lismo umanitaristico) lo fece arrestare e ordinò la chiusura della sua tipografia82. Martinisti o swe-denborghiani (spesso con venature alchimistiche) furono alcuni delle maggiori figure di quegli anni, i due futuri metropoliti Serafim e Platon, A. Galitzin, che ebbe contatti diretti e personali con Saint-

75 Su J. de Maistre si veda F. VERMALE, Notes sur J. De Maistre inconnu, Chambéry 1921; F. DESCOTES, J. De Maistre avant la Revolution, Paris 1923 (2 voll.); E. DERMENGHEM, J. De Maistre mystique, Paris 1923; A. VIATTE, op. cit., II, pp. 64-95; P. ROHDEN, J. De Maistre als Politischer Theoretiker, München 1929; G. CANDELORO, Lo svolgi-mento del pensiero di G. De Maistre, Roma 1931; E. GIANTURCO, Joseph De Maistre and Giambattista Vico (Italian roots of De Maistre's political culture), Washington 1937; A. OMODEO, Un reazionario: Il conte J. De Maistre, cit.

76 A. JOLY, Un mystique lyonnais et les secrets de la franc-maçonnerie (1730-1824), Macon 1938, pp. 133-34, 148. 77 Interessante, per esempio, sarebbe indubbiamente una indagine che approfondisse da quali ambienti uscirono le

traduzioni di alcune opere francesi anti-rivoluzionarie in chiave apocalittica e mistica (ortodossa). Alcune di queste tra-duzioni sono infatti di notevole interesse essendo condotte su opere di notevole valore ideologico, che, più che un mero intento anti-rivoluzionario, denotano una chiara origine mistica. In particolare vogliamo segnalare: Lettere di un Cano-nico ad uno de' suoi amici su la vicinanza della fine del mondo, tradotta dal francese da F. A. C., Fermo 1797 (pp. 3-7: il traduttore; pp. 9-34: traduzione del testo francese); La vicinanza della fine del mondo lettera d'un canonico (Bologna 1800) pp. 30.

78 C. DANY , Les idées politiques et l'esprit public en Pologne à la fin du XVIIIe siècle, Paris 1901; J. FABRE, Stani-slas-Auguste Poniatowski et l'Europe des Lumières, Paris 1952, passim e spec. pp. 496-501.

79 R. LABRY, L'enseignement d’I. G. Schwartz, rose-croix, professeur à l'université de Moscou, et son influence, in Mélanges en l'honneur de J. Legras, Paris 1939, p. 196.

80 Ivi, pp. 189-200. 81 Sull'ambiente mistico russo mancano opere specifiche (privo di interesse ai nostri effetti J- BRICAUD, Le mysti-

cisme à la cour de Russie, Paris 1921); si veda L. PINGAUD, Les françaises en Russie et les russes en France, Paris 1886, pp. 98-100; K. WALISZEWSKI, Autour d'un trône. Cathérine II de Russie. Ses collaborateurs, ses amis, ses favo-rits, Paris 1894. pp. 228-31; C. DE LARIVIERE, Cathérine II et la révolution française, Paris 1895, pp. 197-207; L. STILMAN , introduzione a N. M. KARAMZIN , Letters of a russian traveler 1789-1790, New York 1957, pp. 3-26; ma so-prattutto A. N. PYPIN, Russkoe masonstvo XVIII i pervaja tetvert XIX v., Petrograd 1916; G. V. VERNADSKIJ, Russkoe masonstvo v. Carsvovanie Ekaterinj II, Petrograd 1917.

82 V. BOGOLIUBOV, N. Y. Novikov i ego vremja, Moskva 1916.

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Martin, V. N. Zinoviev, N. V. Repnin, Nikita Panin, A. F. Labzin, nonché molti altri. Agli illumina-ti d'Avignone aderirono invece tra gli altri l'ammiraglio S. L Plesceev e P. r. Ozerov-Deriabin: le prime adesioni risalgono al 1788, una certa reviviscenza dell'attività della setta si ebbe attorno al 1805-07, quando lo stesso capo degli illuminati avignonesi, il polacco Taddeo Grabianka spostò il suo centro a Mosca83. Molti illuminati russi ebbero stretti rapporti con lo czarevic Paolo che in qualche momento sembrò mostrare una certa propensione per le loro dottrine84. Indubbiamente il futuro czar non fu estraneo a suggestioni mistiche, forse però i suoi rapporti con gli illuminati russi ed europei in genere furono più dettati dal sottile intento di servirsi di essi per i suoi fini politici, che non da vera ansia religiosa. Studiando l'illuminismo avignonese e il suo centro romano ci siamo im-battuti in alcuni elementi che - per labili essi siano - ci pare confermino in un certo senso questa no-stra impressione. Da uno dei documenti istruttori pontifici contro Ottavio Cappelli, il Breve detta-glio della Società o Setta scoperta nell'arresto di Ottavio Cappelli, tratto dalle carte allo stesso perquisite (da noi riprodotto integralmente in Appendice, C), risulta che gli illuminati di Avignone alla vigilia dell'arresto del Cappelli pensavano di accelerare «il grande avvenimento della rigenera-zione del globo e dello stabilimento del nuovo regno di Gesù Cristo» debellando con le armi alcuni non meglio identificati «affricani». Questa spedizione militare (che sembra dovesse aver luogo en-tro il 1790) pare dovesse essere materialmente diretta da Ferdinando del Württemberg e forse dal principe Enrico di Prussia e dovesse avvenire in concomitanza con un riaccendersi della guerra con-tro la Turchia («La pace pare, che si conchiuda con li Turchi, ma non sarà però di gran durata, e quando li vedremo rientrare in campagna, allora è da credere, che riceveremo anche noi l'ordine di preparare li nostri stivali»). Lì per lì, queste notizie85 potrebbero fare pensare ad uno dei tanti sogni fantastici degli illuminati, privo di sostanziale interesse, anche se non del tutto trascurabile da un punto di vista ideologico, costituendo il progetto avignonese l'unico caso sin qui conosciuto di «ri-generazione» aiutata con le armi. Ad un esame più approfondito non può però non mettere in so-spetto ed incuriosire il constatare che le notizie in questione ruotano tutte attorno ad alcuni nomi di personaggi più o meno legati alla Russia e allo czarevic Paolo. Ferdinando del Württemberg era ad-dirittura cognato dello czarevic, era stato governatore della Finlandia e nel 1782 aveva accompagna-to il cognato e la sorella nel loro viaggio in Italia. Ugualmente è noto che Paolo fu in rapporti con l'ambiente illuminato e massonico berlinese che si raccoglieva attorno a Federico Guglielmo e al principe Enrico. Quanto poi agli altri due personaggi che figurano al centro della faccenda, il Ple-sceev e l'O'Hara, entrambi erano ufficiali della marina russa ed entrambi legati allo czarevic. L'am-miraglio Serghei Ivanovic Plesceev era amico personale e uomo di fiducia di Paolo; quando questi salì al trono fu suo aiutante generale e colui che più operò per ottenere la liberazione di Novikov e Lapukin, condannati da Caterina II in quanto appartenenti alla massoneria mistica. L'O'Hara, inve-ce, era un irlandese al servizio della Russia (nel 1790 era a Livorno ove comandava una squadra russa): di lui non si conoscono rapporti diretti e personali con lo czarevic, non è però avventato sup-porli; cavaliere gerosolimitano, dal dicembre 1796 all'occupazione francese, egli fu consigliere e poi ministro russo a Malta; negli anni successivi, sino al 1805, ebbe parte notevole nelle trattative russo-pontificie per Malta: conoscendo l'importanza che Paolo di Russia attribuì alla questione mal-tese86, sembra proprio poco probabile che l'irlandese non facesse parte del suo «giro» intimo. Pos-sono tutte queste essere considerate mere coincidenze? È possibile che Paolo - che ben conosceva la fede e l'impegno mistici di tre almeno delle quattro persone impegnate nella faccenda (il Plesceev aveva anche cercato di iniziarlo) - fosse all'oscuro di tutto? È possibile che persone per ogn'altro a-spetto equilibrate e responsabili (i giudizi sul Plesceev sono unanimemente positivi, quanto all'O-

83 Oltre agli studi polacchi dei quali al prossimo capitolo, cfr. M. N. LONGINOV, Odin y magikov XVIII v., in Russkij vestnik, 1860, agosto, fasc. II, pp. 579-603; A. N. PYPIN, op. cit., pp. 368-80.

84 K. WALISZEWSKI, Le fils de la grande Cathérine, Paul I, Paris 1912, pp. 46-50; G. VERNADSKIJ, Le césarevich Paul et les francs-maçons de Moscou, in Revue des études slaves, 1923, III-IV, pp. 268-85.

85 Breve dettaglio, ecc., in Appendice C, f. 583. 86 G. CASTELLANI, Paolo I di Russia gran maestro dell'Ordine di Malta, in La Civiltà cattolica, 1953, III (q. 2477),

pp. 489-504; M. DE TAUBE, L'empereur Paul de Russie grand maître de l'Ordre de Malte et son grand prieuré russe de l'Ordre de Saint-Jean de Jérusalem, Paris 1955.

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'Hara abbiamo quello, certo non sospetto, dell'Arezzo)87 si impelagassero così a cuor leggero in un progetto la cui realizzazione avrebbe avuto certo vaste ripercussioni internazionali?

Del resto due altre fonti confermano la nostra supposizione che Paolo non dovesse essere estra-neo alla faccenda e che, anzi, non escludesse di trame qualche personale concreto risultato. La pri-ma di queste fonti è la corrispondenza Saint-Martin-Kirchberger: da una lettera del 27 luglio 1796 di quest'ultimo al Saint-Martin88 pare risultare che il conte Divonne avesse avuto a che fare con l'A-frica per conto di «un pays où il a séjourné». L'indizio è debolissimo, come si vede, ma non privo di interesse; il Divonne, infatti, fu uno dei più infaticabili trait-d'union del mondo illuminato fine Set-tecento, molto addentro nella società avignonese e fu, tra l'altro, in Russia per un certo tempo. Ben più concreti poi sono gli elementi che si ricavano dalla seconda fonte: la voce Grabianka della En-cyklopedija Powszechna. Di tale voce, redatta da W. Huczanski, profondissimo conoscitore di storia massonica polacca ed egli stesso noto massone del secolo scorso, riparleremo nell'ultimo capitolo di questo nostro volume dimostrando come essa sia stata redatta su fonti polacche e russe oggi scono-sciute ma sicurissime; qui ci basterà pertanto dire che essa, sino a dimostrazione in contrario, ci pare si possa e si debba (anche per le conferme che trova nel Breve dettaglio e nella lettera del Kirchber-ger) considerare dal nostro punto di vista alla stregua di una vera e propria fonte. Ebbene, nella sua voce Grabianka l'Huczanski afferma che era intenzione di Taddeo Grabianka fondare la sweden-borghiana Nuova Gerusalemme non solo e non tanto negli animi, come voleva il grande illuminato svedese, ma concretamente, a Gerusalemme conquistando la Siria, la Palestina e l'Africa settentrio-nale89. Davanti ad una simile affermazione il sospetto che Paolo di Russia fosse al corrente di tutta la faccenda ci pare acquisti certezza. Non ci sembra infatti assurdo pensare che nella sua mente ma-lata lo czarevic sognasse già allora di mettere piede nel Mediterraneo e di ricostruire attorno a sé la grandezza e la potenza dell'Ordine di Malta e quindi dei Cavalieri Gerosolimitani. La stessa presen-za del Plesceev tra gli organizzatori del fantastico piano acquista in questa prospettiva nuovo signi-ficato; non va infatti dimenticato che l'ammiraglio era forse il migliore conoscitore russo del mo-mento delle coste e dei mari mediterraneo-orientali: tra il 1770-75 aveva navigato in lungo e in lar-go tutto l'arcipelago greco e le coste della Siria e della Palestina, descrivendo minutamente tutta la zona in alcune Note diarie del viaggio dall'isola di Paros in Siria della flotta del capitano S. Ple-sceev verso il declino del 177290 e facendone le relative carte nautiche; nel 1775 era poi stato mem-bro dell'ambasciata russa a Costantinopoli, sicché ben conosceva la situazione ottomana.

Del resto poi l'occhio su Gerusalemme e sulla possibilità di crearvi uno stato indipendente non musulmano che potesse a sua volta creare difficoltà alla Porta, Pietroburgo l'aveva già da tempo e Paolo, forse, se si accetta la nostra tesi, non faceva che riprendere un piano della madre, adattandolo e riplasmandolo secondo i propri interessi personali e le proprie fantasticherie pseudo-religiose91. Ci vogliamo riferire all'aiuto prestato a suo tempo dai russi ad Ali-bey contro la Turchia in occasione del suo colpo di mano su Gerusalemme92 e ai maneggi e ai contatti che vi furono tra gli ufficiali del-la flotta russa del Mediterraneo, Ali-bey e la comunità ebraica di Livorno per un acquisto da parte di questa della Palestina da Ali-bey stesso e con il consenso russo. Maneggi e contatti che andarono a

87 M. J. ROÜET DE JOURNEL, Nonciatures de Russie. IV. Nonciature d'Arezzo, Il, 1804-1806, Rome 1927, p. 132. 88 La correspondance inédite, ecc. cit., p. 275. 89 Secondo lo Huczanski, T. Grabianka - che era un tenace avversario di S. Poniatowski, era stato tra i sostenitori

della confederazione di Bar e manteneva tuttora rapporti con l'opposizione polacca - pensava in tal modo di impegnare la Russia contro la Turchia, così da aver mano libera in Polonia. È un fatto che ancora nel 1807 a Pietroburgo i suoi le-gami con la Polonia erano guardati con sospetto dai russi. Sui legami e i rapporti tra i polacchi e il vicino Oriente cfr. S. KOSCIALKOWSKI, Polacy a Liban i Syria w toku dziejowym, Beyrut 1949, pp. 10-11.

90 Di tale opera, stampata a Pietroburgo nel 1773, fu fatta una traduzione in tedesco a Riga nel 1778. 91 Cfr. a questo proposito l'importante M. J. ROÜET DE JOURNEL, L'imperatore Paolo I e la riunione delle Chiese, in

La Civiltà cattolica, 1959, III (q. 2622), pp. 604-614. 92 Sulle mire russe nel Levante e in particolare sull'episodio di Ali-bey cfr. F. CHARLES-ROUX, L'Angleterre, l'isthme

de Suez et l'Egypte au XlVIIIe siècle, Paris 1922, pp. 20-41, 198, 261-63 e anche E. LOCKROY, Ahmed le Boucher, la Syrie et l'Egypte au dix-huitième siècle, Paris 1888; T. BLANCARD, Les Mavroyéni. Histoire d'Orient de 1700 à nos jours, I, Paris 1909, pp. 58-77.

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monte solo in seguito alla morte di Ali-bey mentre le comunità ebraiche europee avevano già inizia-to la raccolta dei fondi93.

Da questo complesso di elementi ci pare, dunque, possa arguirsi che lo czarevic Paolo non fosse estraneo ai progetti degli illuminati avignonesi di realizzare nel Levante la Nuova Gerusalemme swedenborghiana. In sé e per sé è chiaro che l'episodio non ha alcuna importanza, al massimo potrà fornire un ulteriore tocco alla personalità di Paolo I: esso ci pare però dia in un certo senso il «peso» degli illuminati alla vigilia della loro dissoluzione sotto i colpi della Rivoluzione. Pur tenendo in tutto il debito conto possibile le storture mentali di Paolo di Russia, non ci sembra privo di interesse constatare come anche in sede politica qualcuno potesse considerare gli illuminati una pedina della scacchiera politica e cercare di servirsene per il suo personale gioco.

93 J. W. VON ARCHENHOLZ, in Literatur und Volkerkunde, 1782, IV, pp. 412-13; Il Monitore fiorentino, 11 messifero

VII, Riflessioni sugli ebrei; N. M. GELBER, Una proposta di cessione della Palestina fatta agli ebrei di Livorno nel 1740, in Rassegna mensile d'Israel, 1948, IX pp. 410-411; A. S. TOAF, Sionismo a Livorno nel '700, ivi, 1949, I, pp. 37-38.

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CAPITOLO SECONDO

L'ILLUMINISMO E LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Sino ad ora abbiamo parlato del misticismo in generale e degli illuminati, non abbiamo invece parlato, o vi abbiamo fatto appena qualche rapido cenno en passant, della massoneria mistica. Pri-ma di procedere oltre sarà pertanto opportuno, data la sua importanza e l'imprecisione delle idee correnti a questo proposito tra i non specialisti, spendere qualche parola su di essa.

In teoria il misticismo degli illuminati e la massoneria erano due fenomeni completamente diver-si, con proprie origini, proprie storie, proprie peculiarità; in pratica però nella seconda metà del XVIII secolo i due fenomeni vennero spesso se non identificandosi certo confondendosi.

Misticismo e massoneria differivano soprattutto su due punti essenziali: il misticismo era squisi-tamente individualista - e, pertanto, poteva al massimo portare al sorgere di piccole società o sette di illuminati attorno alla persona di un maestro o in genere di un illuminato particolarmente dotato e in grado di stabilire un contatto con il mondo angelico - ed era, se così si può dire, legato solo al mondo e alla gerarchia spirituali e ultraterreni; la massoneria, invece, aveva un carattere collettivo e un'organizzazione e una gerarchia temporali e terreni. Il Papus nel suo manualetto Martinésisme, Willermosisme, Martinisme et Franc-Maçonnerie, che - nonostante tutti i suoi limiti e difetti - costi-tuisce a nostro avviso tutt'ora, data la personalità massonica del suo autore, una fonte preziosa, è e-splicito: «La société d'illuminés est liée à l'invisible par un ou plusieurs de ses chefs. Son principe d'existence et de durée prend donc sa source dans un plan supra-humain et tout son gouvernement se fait de haut en bas, avec obligation, pour les membres de la fraternité, d'obéir aux chefs, quand ils sont entrés dans le cercle intérieur, ou de quitter ce cercle intérieur. La société de franc-maçons n'est en rien liée à l'invisible. Son Principe d'existance et de durée prend sa source dans ses mem-bres et rien que dans ses membres; tout son gouvernement se fait de haut en bas avec sélections successives par élection. Il suit de là que cette dernière forme de fraternité ne peut produire pour fortifier son existence que les chartes et les papiers administratifs communs à toute société profane; tandis que les ordres d'illuminés se réfèrent toujours au Principe invisible qui les dirige»1.

In effetti solo una parte degli illuminati rimase estranea alla massoneria. Tra coloro che ne rima-sero fuori o, dopo una più o meno lunga esperienza massonica, ne uscirono essendosi convinti della impossibilità di inquadrare nei rigidi schemi della massoneria le proprie ansie ed aspirazioni ultra-terrene e di impegnarsi, così come l'appartenenza alla massoneria comportava, nelle infmite que-stioni temporali nelle quali finiva necessariamente per sciogliersi ed identificarsi l'attività quotidia-na delle logge, tra costoro furono le maggiori figure del mondo illuminato settecentesco. Furono Lavater, che in una lettera a Brissot del 4 febbraio 1787, affermò esplicitamente: «Je ne suis d'aucu-ne société ni de maçons ni d'illuminés. Je ne veux jamais être ni disciple ni maître d'aucun mortel qui que ce soit»2, e Saint-Martin, che, dopo un'esperienza massonica di alcuni anni, se ne staccò di-sgustato nel luglio 17903. La maggioranza degli illuminati però fece parte della massoneria o a tito-lo personale o per l'adesione ad essa delle rispettive società o sette. Si può dire, anzi, che spesso gli

1 PAPUS, Martinésisme, Willermosisme, Martinisme et Franc-Maçonnerie, Paris 1899, pp. 3-4. 2 A. VIATTE, op. cit., I, p. 156. 3 PAPUS, op. cit., p. 36.

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illuminati divennero tali attraverso l'adesione alla massoneria e il misticismo degli illuminati si dif-fuse in certi paesi (specie la Russia e l'Italia) tramite proprio la massoneria.

Né ciò deve meravigliare. La massoneria in genere ebbe, sin dalle sue origini storiche, un certo carattere mistico4 ed i suoi membri la considerarono una grande scuola di perfezione umana, una i-stituzione volta a realizzare sulle rovine della società l'uomo integrale, anticipando le conclusioni alle quali sarebbe pervenuto il processo morale e sociale dell'umanità. La derivazione o almeno l'i-spirazione rosa-cruciana di parte della massoneria contribuiva poi ad accentuare in alcune logge questa intonazione mistica e a favorire l'adesione ad esse degli illuminati. Dal 1775 circa in poi per la presenza in essa di molti illuminati, alcuni dei·quali avevano altissimi gradi nel mondo massoni-co ed erano al tempo stesso esponenti importanti del mondo mistico, la massoneria ed in particolare la Stretta Osservanza finì per diventare il tramite organizzativo e di collegamento tra le varie società e sette mistiche e molti singoli illuminati. Gli illuminati, anzi, divennero così numerosi e forti nella massoneria che finirono per credere addirittura di potersene impadronire, o meglio di farne un loro strumento e trarne i «quadri» (un «nouveau sacerdoce», come giustamente ha scritto il Viatte)5 del loro apostolato mistico e della loro riconquista dell'umanità a Dio.

Protagonista di questo tentativo - sviluppatosi grosso modo tra il 1778 (Couvent des Gaules di Lione) e gli anni immediatamente successivi al 1782 (Convento di Wilhelmsbad) - fu soprattutto il lionese Jean Baptiste Willermoz di cui A. Joly ha, una ventina di anni orsono, tracciato una lucida biografia6, alla quale il lettore potrà far ricorso per una approfondita informazione sui particolari del tentativo stesso e sul suo sottofondo ideologico. Altre personalità di primo piano interessate al ten-tativo furono Ferdinando di Brunswick, Carlo di Hesse, Carlo di Sudermania. Una certa parte vi eb-be anche Joseph de Maistre, che - in un certo senso - lo teorizzò nella sua famosa lettera al duca di Brunswick7. Strumenti principali del tentativo furono infine due arrière-loges, gli Elus Coens8 di origine e orientamento precipuamente martinesista9, e l'Ordre des Chevaliers Bienfaisants de la Ci-té Sainte creato all'uopo da Willermoz. Sembrò che al convento di Wilhelmsbad Willermoz e i mi-stici avessero la meglio e riuscissero a fare della massoneria uno strumento di lotta contro il razio-nalismo e di moderato riformismo politico-sociale, oltre che di diffusione del loro misticismo (che nei gruppi di stretta osservanza willermozista aveva forti intonazioni filo-cattoliche). In realtà fu una vittoria più apparente che sostanziale: gran parte della massoneria, anche misticheggiante (co-me i Philalèthes), rifiutò di fatto il nuovo indirizzo e il tentativo di Willermoz naufragò nel giro di pochi mesi. L'insuccesso fu in buona parte determinato dall'impressione - che causò defezioni, di-sgusto e incertezza in molti - che dietro al tentativo dei lionesi e dei loro alleati si nascondessero fini tutt'altro che religiosi, tra cui il tentativo di alcuni principi di realizzare un'alleanza mistico-reazionaria e di servirsi della massoneria per fini squisitamente temporali; di qui certe accuse di «persécution gouvernementale» e di «gesuitismo». Accuse che probabilmente erano eccessive, ma che certo avevano un fondo di verità: non vi è dubbio che la massoneria mistica costituì l'ala destra

4 Cfr. B. FAŸ , La massoneria e la rivoluzione intellettuale del secolo XVIII, Torino 1945, passim; R. SORIGA, Le so-

cietà segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, pp. 3-4, 27-28. 5 A. VIATTE, op. cit., I. p. 141. 6 A. JOLY, Un mistique lyonnais et les secrets de la franc-maçonnerie (1730-1824), Macon 1938; altre notizie in L.

TRENARD, Lyon de l'Encyclopédie au Préromantisme, I. Paris 1958, passim e spec. pp. 175-189.294-304; R. LE FORES-

TIER, op. cit., pp. 356-71. Con estrema cautela cfr. anche N. DESCHAMPS, Les sociétés secrètes et la société ou philoso-phie de l'histoire contemporaine, Paris 1882-83. 3 voll.. passim e spec. II, pp. 105-114. Sul convento di Wilhelmsbad cfr. J- P. L. BEYERLE, De conventu latomorum apud Aquas Wilhelminas, s. L. 1782, 2 voll.

7 V. FRANCIA, La massoneria nel pensiero di un filosofo cristiano della fine del Settecento. Lettera del conte C. De Maistre al duca di Brunswick, Napoli 1945. In tale Lettera il de Maistre illustrava quelli che secondo lui dovevano esse-re gli scopi della massoneria mistica: 1) occuparsi della beneficenza; 2) promuovere la perfezione dell'uomo applican-dolo allo studio della morale e della politica («che è la morale degli stati») non in senso astratto, ma come concreta co-noscenza dei bisogni dei singoli paesi; 3) promuovere la riunione di tutte le Chiese cristiane; 4) realizzare il cristianesi-mo trascendente.

8 R. LE FORESTIER, La franc-maçonnerie occultiste au XVIIIe siècle et l'Ordre des Elus Coens, Paris 1928. 9 Su Martines Pasqually si veda PAPUS, Martines Pasqually, Paris 1895; A. VIATTE, Un illuminé du dix-huitième

siècle Martinés de Pasqually, in Revue d'histoire de l'Eglise de France, 1922, IV, pp. 441-54.

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del mondo massonico e che alcuni mistici (abbiamo già visto il caso del Grabianka) affiancavano o addirittura mascheravano sotto sembianze religiose fini politici. Bernard Faÿ nel suo noto studio sulla massoneria nel XVIII secolo10 ha parlato, con una frase ad effetto, di «suicidio massonico del-l'alta nobiltà»; tale giudizio, discutibile per quanto riguarda la massoneria in genere, è dunque asso-lutamente inaccettabile per quanto riguarda la massoneria mistica; pur facendosi portavoce di un moderato riformismo politico e sociale, questa era di fatto contraria ad ogni profondo rinnovamento politico-sociale e saldamente attaccata alla società dell'ancien régime, né in essa mancavano gruppi apertamente conservatori e reazionari. Ciò, del resto, fu riconosciuto a più riprese anche da varî uomini che certo non erano dei rivoluzionari e che vissero in prima persona la crisi dell'ancien ré-gime e la Rivoluzione. La massoneria mistica ed i suoi aderenti non erano rivoluzionari; se mai lo erano di più potenzialmente, alcuni degli illuminati che vivevano fuori o ai margini del mondo mas-sonico, perché, indubbiamente, la massoneria mistica ebbe anzi, consapevolmente e inconsapevol-mente, un ruolo di imbrigliamento e di svirilizzazione del potenziale rivoluzionario del misticismo: rivoluzionaria era piuttosto l'atmosfera in cui vivevano gli illuminati (anche quelli delle logge). Be-ne mostrò di capirlo il cardinal Caprara in una memoria confidenziale inviata a Pio VI nell'ottobre 1787 sulla situazione tedesca: «Le danger approche, car de tous ces rêves insensés de l'Illuminisme, du Swedenborgisme, ou du Franc-maçonnisme, il doit sortir une effrayante réalité. Les visionnaires ont leur temps, la révolution qu'ils présagent aura le sien»11. Solo sotto lo choc della Rivoluzione il misticismo di parte degli illuminati assumerà intonazioni più o meno esplicitamente rivoluzionarie, ma allora la massoneria mistica e lo stesso mondo illuminato entreranno in crisi e si scinderanno in gruppi e posizioni contrapposte e anche allora, del resto, nell'ambito massonico saranno sempre più numerosi gli illuministi che si opporranno all'anarchia di quelli che la favoriranno12.

Fallito il tentativo willermoziano di fare della massoneria il centro di raccolta e lo strumento d'a-zione degli illuminati, alla vigilia della Rivoluzione il mondo illuminato era, di fatto, tanto vasto quanto suddiviso in società, sette, logge e singoli individui.

In Francia esso, come si è visto nel precedente capitolo, toccava tutte le classi ed i ceti sociali, particolarmente vasto e attivo era però, ovviamente, nei ceti più elevati. Geograficamente era pre-sente un po' ovunque, i suoi punti di forza erano però soprattutto nella parte meridionale del paese, a Mâcon, Grenoble, Narbonne, Montpellier, Avignone, ecc., ed in particolare a Lione e soprattutto a Parigi; gruppi abbastanza importanti erano anche a Strasburgo, a Le Mans, e a Bordeaux.

A Lione13, attorno a Willermoz, era il centro della massoneria mistica e da Lione questa muove-va la sua rete in Piemonte, in Svizzera, in Germania, in Danimarca; attraverso Saint-Martin, che era stato per alcuni anni a Lione, essa era in rapporto con i gruppi parigini e praticamente, attraverso in-finiti canali e collegamenti, con tutto il mondo illuminato europeo. Il misticismo lionese, di origine martinesista, era notevolmente influenzato dal martinismo, che però venne con gli anni sempre più interpretato in chiave cattolica.

Ad Avignone14 vi era un altro importante centro illuminato, quello del Nuovo Israel, certo il più importante in Francia dopo quelli di Parigi e di Lione e che in un certo momento, nell'immediata vigilia della Rivoluzione, sembrò per un breve istante assurgere a grandissima importanza. Gli illu-minati di Avignone (la setta in realtà era nata a Berlino e solo nel 1784 si era trasferita nella cittadi-na francese su «indicazione angelica») facevano capo a due tipiche figure del misticismo del tempo:

10 B. FAŸ , op. cit., pp. 266-271. 11 J.-A.-M. CRETINEAU-JOLY, L'Eglise romaine en face de la Révolution, I, Paris 1860, pp. 75-77. 12 J-J. MOUNIER, De l'influence attribuée aux philosophes, aux franc-maçons et aux illuminés sur la Révolution de

France, Tubingue 1801, p. 174. 13 E. VACHERON, La franc-maçonnerie à Lyon, Lyon 1875; L. DE COMBES, Notes sur les illuminés martinistes de

Lyon, Trévaux 1907; J. AUDRY, Le mesmérisme et le sonnambulisme à Lyon avant la Révolution, Lyon 1921; P. VUL-

LIAUD , Les rose-croix lyonnaises au XVIIIe siècle, Paris 1929; J. BUCHE, L'école mystique de Lyon, 1776-1847, Paris 1935; A. JOLY, op. cit., e soprattutto L. TRENARD, op. cit., passim e spec. I, pp. 175-189.

14 M. DE V ISSAC, Dom Pernety et les illuminés d'Avignon, in Mémoires de l'académie de Vaucluse, 1906, III, pp. 219-38; M. MARCEL, Les quatre maisons des illuminés d'Avignon, ibid., 1922, III-IV (estr.); J. BRICAUD, Les illuminés d'Avignon. Etude sur dom Pernety et son groupe, Paris 1927; A. VIATTE, op. cit., I, pp. 89-103.

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l'ex benedettino Antoine-Joseph Pernety15 e il conte polacco Thaddeus Grabianka16 del quale ab-biamo già avuto occasione di parlare. La loro dottrina era un misto di swedenborghismo e di culto della Vergine, quest'ultima tendenza, anzi, come vedremo a suo luogo, andò progressivamente af-fermandosi. La setta era in rapporto, più o meno cordiale, con tutto il mondo illuminato e contò tra i suoi adepti e amici alcune delle personalità più importanti della massoneria mistica, dagli svedesi K. G. Silfverjelm (parente di Swedenborg), G. A. Reuterholm, il barone di Staël e Carlo di Suderma-nia, al russo Plesceev, a Ferdinando del Württemberg.

Il centro principale però era e rimase per tutto il Settecento a Parigi. Nella capitale erano presenti tutti i principali indirizzi mistici, le sette più diffuse vi avevano degli adepti e numerose erano le logge mistiche. A Parigi era il centro dei mesmeriani e della loro massoneria17, a Parigi sopravvive-vano o rivivevano i motivi mistici più svariati, come quelli che si rifacevano alla Bourignon e al Poiret18, a Parigi il misticismo popolare delle «vittime» e delle società di operai e di piccoli artigiani veniva a contatto con quello più raffinato ed elaborato dei ceti più elevati fornendogli nuovi miti e nuove «conferme», a Parigi confluivano e si mescolavano tutte le suggestioni e tutti i motivi mistici, dai più seri e vitali ai più ciarlataneschi e inconsistenti, da quelli che davano alla coscienza religiosa nuovo slancio e nuova vitalità a quelli che l'annullavano nei più grossolani e aberranti piaceri. A Pa-rigi soprattutto era colui che, nonostante la sua ritrosia e il suo volontario isolamento, era sostan-zialmente l'anima più profonda dell'illuminismo e il suo principale esponente: Saint-Martin, l'uomo che può essere preso a simbolo di tutto il mondo mistico francese fine Settecento. A lui, in un modo o in un altro, faceva capo tutta la società mistica parigina più sincera. A lui innanzi tutto si ricolle-gava il circolo della duchessa Marie Therèse Bathilde di Borbone, la sorella del duca d'Orléans, u-n'altra delle personalità più singolari del misticismo settecentesco e destinata a costituire, nei primi anni della Rivoluzione, il punto di raccolta di quei mistici che avrebbero aderito alla Rivoluzione stessa19. Profondamente cristiana la duchessa di Borbone (che dopo la Rivoluzione scrisse e pubbli-cò in Spagna varie opere che furono condannate dall'Inquisizione) sosteneva l'urgenza di un radicale rinnovamento morale e materiale della religione mediante il ritorno alla morale evangelica; molto restia a considerare i preti successori degli apostoli, aveva un atteggiamento molto critico verso la Chiesa («c'est plutôt la foi, qui a ces clefs [del regno dei cieli] et non des hommes peccables comme les austres») e in sostanza auspicava un cristianesimo universale sul tipo di quello sostenuto da Saint-Martin. Come tanti altri illuminati, credeva nel magnetismo, ma riteneva che esso, così come la fede, operasse solo a favore di quelli che credevano profondamente. Presso di lei si raccoglievano i migliori tra gli illuminati e il suo circolo costituì per anni a Parigi il centro mistico più vivo e più decisamente ostile ai ciarlatani; non per nulla Cagliostro tentò invano di scalzarne il prestigio e di contrapporle nell'organizzazione massonica mistica parigina (di cui ella era gran-maestra) la propria moglie.

A Parigi inoltre il mondo degli illuminati veniva, forse più che altrove, in contatto con quella parte del clero che per sua religiosità e per la sua posizione disciplinare tanto si avvicinava al misti-cismo eterodosso. Di una delle figure più significative di questa parte del clero, quella di Pierre Pontard, avremo occasione di parlare a lungo in un prossimo capitolo, qui ci basta ora rilevare come anche nel clero fossero, alla fine del secolo, numerosi gli atteggiamenti più o meno scopertamente mistici e apocalittico-millenaristici.

15 Su A.-J. Pernety si veda J. BRICAUD, op. cit., e per la sua attività massonica in generale Allgemeines Handbuch

der Freimaurerei, II, Leipzig 1901, p. 147. 16 Su T. L. Grabianka si veda J. ANTONI [ROLLE], Tadeusz Leszczys Grubianka, Lwow 1887; J. UJEJSKI, Kròl Nove-

go Izraela, Warsawa 1924. 17 J.-B. BARBEGUIERE, La maçonnerie mesmérienne, Amsterdam 1784; E.-P. BLOSSEVILLE, Les Puységur, Paris

1873. 18 Su A. Bourignon e il suo misticismo milienaristico si veda S. REINACH, Antoinette Bourignon, in La revue de Pa-

ris, 1894, n. 18. pp. 850-80; R. A. KNOX, Enthusiams. A chapter in the history of religion, Oxford 1950, pp. 352-55. 19 Sulla duchessa di Borbone si veda H. GREGOIRE, op. cit., Il, pp. 72-86 e (con cautela) P.-E.-T. DUCOS, La mère du

duc d'Enghien 1750-1822, Paris 1900.

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La crisi del clero francese alla vigilia della Rivoluzione è stata ampiamente studiata20 perché ci si debba soffermare su di essa. Nella situazione di disagio morale e materiale in cui alla fine del Sette-cento esso si venne a trovare non può meravigliare che parte di esso riproducesse nel suo seno quel processo di smarrimento e di compensazione mistica che abbiamo visto caratterizzare tanta parte della società del tempo. A soluzioni mistiche e addirittura apocalittico-millenaristiche del resto non potevano non condurre in un tale clima numerose tendenze e orientamenti che avevano caratterizza-to la religiosità e il pensiero cattolico dei decenni precedenti. Pascal, Fénelon, la Guyon, il quieti-smo, certo giansenismo (specie quello convulsionario21), certa esasperata devozione e certo esaspe-rato culto della Vergine22, lo stesso razionalismo cristiano, non potevano non spingere molti sinceri cattolici e membri del clero verso una religiosità sempre più interiore. Religiosità sempre più inte-riore alla quale, di fronte alla crisi morale di Roma e delle gerarchie più alte del clero francese stes-so e al suo sempre più rapido mondanizzarsi, corrompersi e staccarsi dai problemi più vivi e sentiti dalla comunità dei fedeli e dal clero inferiore, non potevano non fare pendant un sempre più marca-to rigettare il magistero esteriore e una sempre più pressante aspirazione ad una radicale riforma ec-clesiastica che rendesse al sacerdozio e alla Chiesa la sua primitiva purezza e il suo primitivo ruolo nella vita sociale. Vicina al popolo, questa parte del clero ne sentiva il disorientamento e il disagio e faceva sua gran parte delle sue aspirazioni e delle sue messianiche attese. Anch'essa finiva per vive-re in un'atmosfera di attesa angosciosa e per ritenere necessario e imminente un intervento divino. Come ha mostrato M. Bernard in un recente saggio23, persino l'idea che l'umanità fosse alla vigilia dell'età dell'oro non era estranea a parte del basso clero, che - anzi - arrivò in alcuni casi a vederne l'inizio nella convocazione degli Stati Generali.

È chiaro che in una simile atmosfera lo stesso illuminismo arrivasse a far breccia tra il clero o, almeno, non vi trovasse spesso dei nemici implacabili. Del resto, a ben vedere, numerosi erano i punti di contatto tra le due forme di misticismo, quello degli illuminati veri e propri e quello più or-todosso, ma non per questo meno aperto alle suggestioni e alle visioni più accese, di certi settori del clero, e in alcuni casi proprio in campo cattolico erano state già da tempo avanzate tesi che natural-mente cospiravano in modo veramente sconcertante con quelle degli illuminati, sino a sembrarne delle premesse. Non era stato Pascal a dire che la Scrittura aveva due sensi, uno carnale e uno spiri-tuale? non erano stati certi gesuiti - i cosiddetti figuristes24 - a sforzarsi di spiegare simbolicamente gli antichi libri cinesi per scoprirvi non la realtà cinese, ma, sostenendo che avevano due sensi, i mi-steri più profondi del cristianesimo?

Concludendo, si può dunque asserire senza tema d'errore che gli anni che precedettero la Rivolu-zione furono contrassegnati da un misticismo che, in forme diverse, guadagnò tutta la società fran-cese. «Tandis que les gens du monde - une duchesse de Bourbon, par exemple - demandaient les se-cretes de l'avenir et l'explication de l'univers aux rêveries de Swedenborg et de Saint-Martin ou aux pratiques magiques de Cagliostro et de Mesmer, les humbles, artisans, laboureurs, domestiques, se réunissaient autour de prophétesses de rencontre, d'une Suzette Labrousse ou d'une Cathérine Théot, qui, les livres saints en mains, leur annonçaient de prochains cataclysmes d'où sortirait une humani-té nouvelle, régénérée par la justice et par l'amour»25.

In questo clima di disagio e di crisi materiale e morale, di sbigottimento e di incomprensione, di spasmodica attesa, la convocazione degli Stati Generali ed i prodromi della Rivoluzione si abbatte-rono improvvisi sulla società francese e sul mondo degli illuminati in particolare, squassandoli fu-riosamente funditus. Con un crescendo veramente impressionante e che non aveva precedenti se non

20 Si veda per un quadro d'insieme E. PRECLIN-E. JARRY, Les luttes politiques et doctrinales aux XVIIe et XVIIIe siè-

cles, Saint-Dizier 1955-56, 2 voll. (Histoire de l'Eglise depuis les origines jusqu'à nos jours, 19). 21 P. GAGNOL, Le jansénisme convulsionnaire et l'affaire de la Planchette, Paris 1911; R. A. KNOX, op. cit., passim. 22 P. HOFFER, La dévotion à Marie au declin du XVIIe siècle, Paris 1938. 23 M. BERNARD, Revendications et aspirations du bas-clergé dauphinois à la veille de la Révolution, in Cahiers

d'histoire, 1956, IV, pp. 327-47. 24 V. PINOT, La Chine et la formation de l'esprit philosophique en France (1640-1740), Paris 1932, pp. 347-366. 25 A. MATHIEZ, op. cit., p. 98.

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nella letteratura biblica e nelle esaltate descrizioni dei profeti, in pochi mesi i valori e gli istituti che sembravano più saldi e intangibili entrarono in crisi e, uno alla volta, cominciarono a sgretolarsi e a crollare. Gran parte della società francese cominciò a rinnovarsi in maniera tanto tumultuosa quanto poco chiara e poco consapevole dei suoi fini e del suo definitivo assetto: gli avvenimenti ed i mu-tamenti si accavallavano, sforzavano, sopravanzavano ancora prima che gran parte dei loro prota-gonisti passivi (e spesso anche di quelli attivi) se ne rendesse conto. Comunque fossero giudicati, questi avvenimenti e mutamenti tanto improvvisi e sconvolgenti sembravano al tempo stesso supe-rare gli uomini e autorizzare qualsiasi previsione, dalle più rosee e fantastiche alle più nere e pessi-mistiche. Non può pertanto meravigliare che sin dagli inizi la Rivoluzione sia stata accolta da gran parte dei francesi come qualcosa di straordinario, «come una buona novella, annunziatrice di una miracolosa metamorfosi della sorte degli uomini» e suscitasse «la speranza, a un tempo abbagliante e nebulosa, di un avvenire nel quale tutti sarebbero stati più felici». Tale convinzione fu condivisa e dalla borghesia e dalla massa del popolo. Tra il popolo, anzi, «essa conferì alla Rivoluzione un ca-rattere che possiam dire mitico, intendendo per mito un complesso d'idee relative al futuro genera-trici d'iniziativa e di energia. Ecco perché, nei suoi primordi, la Rivoluzione può venir paragonata a quei movimenti religiosi allo stato embrionale, in cui i poveri scorgono volentieri un ritorno al pa-radiso terrestre»26. Così come non può meravigliare che in una simile situazione la stessa mentalità rivoluzionaria - la «sensibilité révolutionnaire» per dirla con il suo più attento indagatore, Pierre Trahard27 - abbia assunto tosto un carattere che, al fondo, ben si può definire religioso.

«Satan n'est plus; renais, ô Lucifer céleste!»: così Victor Hugo, dopo aver seguito passo passo at-traverso la storia - da Nemrod a Luigi XVI - il demonio nei suoi varî simboli e nelle sue varie incar-nazioni, conclude con la visione della presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, per bocca di Dio il suo poema La fin de Satan. Nulla come questo grido del poeta ci pare riassuma con tanta potenza, inci-sività e precisione il significato che per molti ebbe la Rivoluzione. Del resto di questo significato non mancano certo le testimonianze. La sua eco è rintracciabile sin nel linguaggio di numerosi rivo-luzionari: quando davanti alla Bastiglia presa d'assalto Fauchet proclamava «le jour de la révelation est arrivé!» si riferiva sì alle ossa dei prigionieri trovate tra le macerie, ma è chiaro che al tempo stesso si riferiva ad una «révelation» ben più grandiosa28.

Una interpretazione religiosa e talvolta decisamente mistica della Rivoluzione fu data da molti. Fu data innanzi tutto da gran parte del clero che aderì ad essa e formò i «quadri» della nuova Chiesa costituzionale. Non altrimenti si può intendere il suo sforzo di fondere in un tutto unico Cristiane-simo e Rivoluzione e di interpretare questa alla luce di quello, nonché la sua fede mistica nella rige-nerazione della Chiesa e della Francia attraverso la Rivoluzione. Il cristianesimo di uomini come Grégoire, Camus, Lamourette, Fauchet, Gerle non può certo essere messo in dubbio; non vi è però anche dubbio che nei primi anni della Rivoluzione, almeno sino al 10 agosto, essi, seppure in modi e misure diverse, considerarono la Rivoluzione un fatto quasi divino e se proprio non giunsero a fa-re, come scrisse il Mercure de France del 18 novembre 1790 a proposito di Fauchet, della Costitu-zione un'Apocalisse poco vi mancò. E come loro tanti altri29. Oltre che dal clero costituzionale una interpretazione religiosa e talvolta mistica della Rivoluzione fu data anche da molti che non erano cattolici e neppure cristiani e che pure vi vedevano la mano di Dio o la volontà dell'Essere Supre-mo. Tipici sono i casi di Nicolas de Bonneville30, di Restif de la Bretonne31 e di Volney32. Ma anche senza giungere a casi in un certo senso limite come sono questi - ma che pure hanno suggerito al Viatte alcune pagine molto fini33 - non vi è dubbio che la stragrande maggioranza dei rivoluzionari,

26 G. LEFEBVRE, La rivoluzione francese, Torino 1958, p. 150. 27 P. TRAHARD, La sensibilité révolutionnaire (1789-1794), Paris 1936, passim e spec. pp. 155-74. 28 J. MICHELET, Histoire de la Révolution française (ed. G. WALTER), I, Algers 1952, p. 217. 29 Tutti questi motivi sono bene indicati nell'esauriente studio di J. CHARRIER, Claude Fauchet évêque constitution-

nel du Calvados (1744-1793), Paris 1909, 2 voll. 30 P. LE HARIVEL, Nicolas de Bonneville pré-romantique et révolutionnaire 1760-1828, Strasbourg 1923. 31 M. CHADOURNE, Restif de la Bretonne ou le siècle prophétique, Paris 1958. 32 J. GAULMIER , Un grand témoin de la révolution et de l'empire: Volney, Paris 1959. 33 33 A. VIATTE, op. cit. , I, pp. 251-62 (Restif de la Bretonne), 262-69 (Bonneville).

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qualunque fosse la loro origine ideologica, visse la Rivoluzione religiosamente, convinta di essere partecipe di qualcosa di sovraumano. Non era forse una credenza dogmatica o un atto di fede, era però una sensibilità che, in fondo, determinava e tendeva al massimo tutto il loro agire: quando que-sta tensione sarà fmita sarà fmita anche la Rivoluzione.

Se la Rivoluzione agì così potentemente sul complesso della società francese è facile immaginare come essa agisse su degli animi già tesi al massimo e in «attesa» come erano quelli degli illuminati. Costoro la accolsero come la soluzione, come quel qualcosa che essi spasmodicamente attendevano. «Au milieu de l'inquiétude générale se fit jour l'espoir qu'une régénération universelle se préparait; dans certains cercles d'adepts, quelques exaltés des deux sexes ne se fìrent pas faute de l'annoncer. Prophètes et prophéties connurent le plus grand succés»34. Avvenimenti così sconvolgenti non po-tevano che venire da Dio, essi sconvolgevano oggi la realtà politica e sociale della Francia, ma il processo non si sarebbe fermato al temporale, gli avvenimenti d'oggi non erano che l'alba, il «se-gno» di quelli di domani, di un domani ormai imminente in cui si sarebbe, finalmente, realizzata la rigenerazione universale non solo dei corpi, ma anche e soprattutto degli animi. Dio finalmente si rivelava al suo popolo, il suo Regno era alle porte. Il provvidenzialismo che così fortemente caratte-rizzava il misticismo degli illuminati non poteva portarli che in questa direzione. Tutto il mondo il-luminato ne fu squassato, sconvolto, messo a soqquadro, travolto. Lo choc fu anzi tanto forte che esso non lo sopportò e si spezzò in due tronconi drammaticamente contrapposti tra di loro. Che si fosse ormai giunti alla vigilia di imminenti avvenimenti ancora più sconvolgenti e che la rigenera-zione battesse alle porte era pacifico per tutti. Solo pochissimi, come Cazotte35, che già agli inizi del 1788 aveva profetizzato gli orrori della Rivoluzione36, davanti al rapido evolversi di questa nel gia-cobinismo (che a sua volta, come ha giustamente notato il Viatte37, pareva eccedere l'ordine natura-le) negavano che ciò che stava avvenendo potesse essere «un événement figuré dans l'Apocalypse et faisant une grande époque»38. Per la stragrande maggioranza degli illuminati non vi era dubbio che, come scriveva il Gombauld al Reuterholm39, «tout nous annonce une régénération universelle qui, en faisant le bonheur de tous, fera nécessairement la félicité de chacun. L'homme connaîtra sa véri-table origine et le bonheur qui lui est préparé. Le Ciel ne changera pas, mais la pureté de nos âmes nous le fera trouver ce qu'il est. Tous les emblèmes, toutes les figures qui nous environnent, dispa-raîtront pour faire place à la vérité. Sa lumière brille déja à nos yeux, ne la rejetons pas. Nous som-mes arrivés au moment où nous avons plus qu'un espoir de la connaître, on ne nous dit pas: vous verrez la lumière, on nous dit: voilà la lumière; c'est en être bien près. Mais que de choses encore doivent se passer avant qu'elle arrive jusqu'à nous, avant qu'il n'y ait plus qu'un pasteur, qu'un trou-peau, et que le genre humaine ne soit plus qu'un peuple de frères, amis de la concorde et de la paix!»40. Ciò che non era altrettanto pacifico e che anzi armava gli illuminati gli uni contro gli altri era cosa fosse quel momento: era già l'inizio del Regno o era l'ultima convulsione della Bestia? La Rivoluzione, insomma, era già il nuovo o ancora il vecchio? Mentre il più morboso interesse per il sovrannaturale si impadroniva delle loro menti, provocando una inimmaginabile curiosità per ogni

34 A. JOLY, op. cit., p. 277. 35 R. TRINTZIUS, Jacques Cazotte, Paris 1944. 36 Se ne veda il testo, leggermente ritoccato rispetto a quello primitivo riferito dal La Harpe, in G. DE NERVAL, Jac-

ques Cazotte, in Oeuvres (ed. Béguin), II, Tours 1956, pp. 1144-1149, 1499-1500. Cfr. pure R. TRINTZIUS, op. cit., pp. 150-53, dove sono segnalate due testimonianze che convalidano la veridicità dell'episodio.

37 A. VIATTE, op. cit., I, p. 238. 38 J. CAZOTTE, Oeuvres, I, Paris 1817, p. LV; e anche A. BOURGEOIS, Pages inédites ou ignorées sur Cazotte et son

séjour à Pierry, Paris 1911, p. 42. 39 A. VIATTE, op. cit., I, p. 233. 40 A. VIATTE, op. cit., I, p. 233 n. cita un'altra importante testimonianza in questo senso, una lettera del de Mander-

felt allo Sparre del 1794 in cui è, tra l'altro, detto: «Ceux qui n'envisagent, dans les grands evénements qui vont changer le face de l'Europe, que le pur hasard, ou des causes et des effets produits par la faiblesse des hommes, doivent trembler à chaque pas que fait visiblement cette partie du globe vers la révolution générale qui précédera la nouvelle création... Ecoutez, mortels: tout le mal, tant moral que physique, périra sur la terre; le bien seul y restera éternellement».

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sorta di antiche profezie41 e una fioritura senza precedenti di nuovi profeti e di interpreti delle anti-che profezie, gli illuminati sulle due sponde della Rivoluzione si gettarono gli uni in faccia agli altri le rispettive interpretazioni e profezie.

Una parte degli illuminati si rifiutò di considerare la Rivoluzione come l'inizio del nuovo. I suoi principali esponenti - de Maistre e Jung Stilling - legati ad una concezione tenacemente conservatri-ce e reazionaria, dopo qualche istante di incertezza, presero decisamente posizione contro di essa, vedendovi da un lato la mano di Satana, dall'altro la punizione divina della Francia e dell'Europa cadute nel peccato. La voce più significativa in questo senso fu indubbiamente quella di J. de Mai-stre. Le sue Considerations sur la France (1796) sono il documento più completo ed argomentato di tale atteggiamento. L'origine divina della Rivoluzione vi è affermata esplicitamcnte e a più ri-prese: «La révolution française, et tout ce qui se passe en Europe dans ce moment, est tout aussi merveilleux, dans son genre, que la fructification instantaneé d'un arbre au mois de janvier; ... ja-mais la Providence n'est plus palpable que lorsque l'action supérieure se substitue à celle de l'homme et agit toute seule: c'est ce que nous voyons dans ce moment; ... jamais la Divinité ne s'etait montrée d'une manière si claire dans aucun événement humain»42. L'apporto dell'uomo nella Rivoluzione è nullo; è la Provvidenza che agisce attraverso gli uomini: «les scélerats même qui pa-raissent conduire la révolution, n'y entrent que comme de simples instruments»43. Altrettanto espli-citamente è affermato il carattere punitivo della Rivoluzione: la società francese dell'ancien régime era «pourrie», neppure il clero si salvava dalla generale corruzione: «on ne saurait nier que le sacer-doce, en France, n'eut besoin d'être régénéré; et quoique je sois fort loin d'adopter les déclamations vulgaires sur le clergé, il ne me paraît pas moins incontestable que les richesses, le luxe et la pente générale des esprits vers le relâchement, avaient fait décliner ce grand corps»44. La Francia era per-tanto venuta meno ai suoi doveri e alla missione affidatale da Dio; è giusto dunque che questi l'ab-bia punita: «Chaque Nation, comme chaque individu, a reçu une mission qu'elle doit remplir. La France exerce sur l'Europe une véritable magistrature, qu'il serait inutile de contester, dont elle a abusé de la manière la plus coupable. Elle était surtout à la tête du système religieux, et ce n'est pas sans raison que son Roi s'appelait très chrétien: Bossuet n'a rien dit de trop sur ce point. Or, comme elle s'est servie de son influence pour contredire sa vocation et démoraliser l'Europe, il ne faut pas être étonné qu'elle y soit ramenée par des moyens terribles. Depuis longtemps on n'avait vu une pu-nition aussi effrayante, infligée à un aussi grand nombre de coupables. Il y a des innocents, sans doute, parmi les malhereux, mais il y en a bien moins qu'on ne l'imagine comunement. Tous ceux qui ont travaillé à affranchir le peuple de sa croyance religieuse; tous ceux qui ont opposé des so-phismes métaphysiques aux lois de la propriété; tous ceux qui ont dit: Frappez, pourvu que nous y gagnions; tous ceux qui ont touché aux lois fondamentales de l'Etat; tous ceux qui ont conseillé, ap-prouvé, favorisé les misures violentes employées contre le roi, etc.; tous ceux-là ont voulu la révolu-tion, et tous ceux qui l'ont voulue en ont été très justement les victimes, même suivant nos vues bornées».45 Indubbiamente la punizione, «l'horrible effusion de sang humain, occasionnée par cette grande commotion», è stata dura, durissima, essa era però necessaria: «il fallait que la grande épura-tion s'accomplit, et que les yeux fussent frappés; il fallait que le métal français, dégagé de ses sco-ries aigres et impures, parvînt plus net et plus malléable entre les mains du Roi futur. Sans doute, la Providence n'a pas besoin de punir dans le temps pour justifier ses voies; mais, à cette époque, elle se met à notre portée, et punit comme un tribunal humain»46. Questa è indubbiamente la volontà di Dio, noi pertanto «lirons le châtiment des Français comme l'arrêt d'un parlement», sicuri, anche se

41 I primi anni della Rivoluzione videro un pullulare di pubblicazioni e di ristampe mistiche. Limitandoci solo alle

più importanti ricorderemo quelle delle opere della Brohon (1791) della Chéret (1792), della Fronteau (1792), della Bourignon (1790), della Guyon (1789-91) e il Recueil de prédictions intéressantes faites en 1733, par diverses person-nes, sur plusieurs événements importants (1792).

42 J. DE MAISTRE, Considérations sur la France (ed. Johannet - Vermale), Paris 1936, pp. 2, 5. 43 Ivi, p. 5. 44 Ivi, p. 25. 45 Ivi, pp. 9-10. 46 Ivi, p. 18.

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sul momento non ci sono chiari i disegni di Dio, «que la révolution française est une grande époque, et que ses suites, dans tous les genres, se feront sentir bien au delà du temps de son explosion et des limites de son foyer»47. Ma l'ala reazionaria degli illuminati non si limitò, in genere, a negare che la Rivoluzione fosse l'inizio del Regno. Si ha un bel dire che il misticismo genera l'indifferenza per le forme politiche e le supera, molti di questi illuminati si gettarono a capofitto nella lotta politica. E se alcuni si limitarono, a quanto pare, a dar vita a delle proprie società (si ha notizia di due che si riunivano ai primi del 1794 a Versailles e a Marly48) nelle quali interpretavano le profezie in senso reazionario e coltivavano il culto e la memoria della monarchia e che forse, usavano come punti d'appoggio per gli emigrati, altri non mancarono, finché fu loro possibile, di servirsi dell'illumini-smo come di uno strumento di lotta contro la Rivoluzione, cercando di eccitare con esso le masse a favore della causa monarchica49. I seguaci dell'illuminismo erano a Parigi nel 1790 circa diecimila50, una massa dunque piuttosto cospicua perché qualcuno non pensasse di servirsene sul piano politico. L'iniziativa più importante di cui si ha notizia in questo senso fu la pubblicazione a Parigi dal marzo 1790 al marzo 1791 (in tutto 56 numeri) di un giornale dal significativo titolo L'Apocalypse. Esso fu redatto principalmente da F. Suleau, il più originale giornalista realista51 e si diceva esplicitamente fatto «ad majorem regis gloriam». Normalmente i suoi redattori prendevano spunto da qualche ver-setto dell'opera alla quale il giornale si richiamava sin nel titolo per attaccare la Rivoluzione o qual-che suo esponente o commentare, ovviamente in chiave ultrareazionaria, gli avvenimenti più impor-tanti del momento. Data la rarità di questo giornaletto varrà anzi la pena di riportare a mo' di esem-pio uno di questi commenti, per la precisione quello ispirato al versetto del nono capitolo «Et erat equi ex omni tribu et provincia et populo et natione»:

«Les personnes qui sont peu versées dans les Ecritures eurent quelque de s'étonner, quand on ap-prit que les Brabançons avaient aperçu dans la lune la cocarde des trois couleurs. Cette découverte en astronomie excita même la risée de quelques aristocrates. Ils ne savaient pas sans doute que saint Jean, ravi au troisième ciel, c'est-à-dire dans la lune, avait vu dans cette planète la figure de notre révolution et le triomphe du parti démocratique. Ouvrons l'Apocalypse, et nous y reconnaitrons sans peine l'état actuel de la France. Par exemple, qui pourrait se méprendre à ce pauvre mouton égorgé sur le trône: Et vidi in medio troni agnum stantem tamquam occisum? Que signifient ces quatre animaux, quatuor animalia; ces proscriptions, duodecim milia signati; ces voix éclatantes comme des tonnerres, bruyantes comme des torrents, voces tamquam torrentium et tonitrui magni; et le Manége enfin clairement désigné par ces chevaux de toutes couleurs, de tous pays, ex omni tribu et provincia et populo et natione? Tout y est scrupuleusement fìguré; tout jusqu'à la division du royaume et la fuite des aristocrates: Ex omnis mons et insulae de locis suis motae sunt, et principes et divites et fortes absconderunt se in speluncis et in petris montium, et dicunt montibus et petris: Cadite super nos et abscondite nos, quoniam venit dies magnis irae IPSORUM, et quis poterit stare? L'Apocalypse n'est plus une énigme; et si Newton, quelque habile qu'il fut à lire dans les cieux, s'est trompé dans son commentaire, c'est qu'il a vécu trop tôt.

Tout est clair aujourd'hui, il ne s'agit plus que d'entendre passablement le latin; car, pour les tra-ductions, nous ne les conseillons pas; elles sont, pour la plupart, l'ouvrage des moines, qui, sans doute, pressentant dès lors leur destruction future, ont presque partout alteré le vrai sens du texte. C'est pour parer à ce défaut et en même temps pour éclairer le peuple, à 1'instruction duquel nous consacrons nos veilles et nos travaux, que nous avons entrepris cette nouvelle version; et c'est dans

47 Ivi, pp. 19, 30. 48 Cfr. H. D'ALMERAS, Les devotes de Robespierre, Paris (1905), pp. 151-152, 199-202. 49 A Saint-Cloud nel luglio 1790 un gruppo di illuminati cercò di provocare disordini: due donne, subito arrestate in-

sieme con due altri illuminati, pretendevano di aver visto la «congiura» del duca d'Orléans e di avere avuto incarico dal-la Vergine di annunziare la necessità di salvare la monarchia. Cfr. E. e J. DE GONCOURT, op. cit., p. 143; A. GEFFROY, op. cit., II, p. 476. L'episodio fece molto scalpore e fu portato anche all'Assemblea Costituente. Si veda C. DU BUS, Sta-nislas de Clermont-Tonnerre et l'échec de la révolution monarchique (1757-1792), Paris 1931, pp. 285-297.

50 E. e J. DE GONCOURT, op. cit., p. 142. 51 Cfr. E. HATIN , Histoire politique et littéraire de la presse en France, VII, Paris 1861, pp. 100-102 e, sul Suleau,

pp. 174-256.

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l'espoir de soutenir le patriotisme chancelant des bons citoyens et de désespérer les aristocrates que nous les annonçons que saint Jean, si exact sur le reste, n'a pas dit un mot de la banqueroute».

Come si vede da questo esempio Suleau e i suoi amici de L'Apocalypse non mancavano né di un certo senso dell'umorismo, né di una certa capacità di fare la loro propaganda realista senza urtare troppo su altri punti (in questo caso l'aristocrazia e il clero, troppo odiati per poterli difendere aper-tamente) le opinioni prevalenti tra i loro lettori; in ultima analisi il loro gioco era però sempre trop-po scoperto, come dimostrano altri passi dell'Apocalypse52.

Del resto non era solo L'Apocalypse ad attingere al pozzo illuminato, anche altri giornali realisti, per esempio i famosi Actes des Apôtres, vi ricorrevano di tanto in tanto e, in genere, con maggior impegno mistico del loro confratello apocalittico, che, forse, non sapeva neppure lui prendere trop-po sul serio la sua parte, ma che non per questo ha per noi meno interesse e che costituisce, anzi, una testimonianza inequivocabile del peso che certi motivi mistico-apocalittici avevano sulla sensi-bilità rivoluzionaria che, non a torto, come ha scritto il Trahard53, oscillava in materia di religione stranamente dalla ragione voltairriana al misticismo degli illuminati.

Nel complesso però la maggioranza degli illuminati non aderì alla contro rivoluzione, o, se vi aderì, lo fece più tardi, sotto l'incalzare dello sviluppo rivoluzionario. E ciò sia tra gli illuminati francesi sia tra quelli stranieri54. Il che spiega come tanti scrittori antirivoluzionari li abbiano arruo-lati tout-court tra i rivoluzionari ed addirittura tra i più oscuri promotori della Rivoluzione stessa.

In realtà quasi nessuno, tra gli illuminati che aderirono alla Rivoluzione, andò in questa sua ade-sione oltre la prima fase monarchico-costituzionale e tale adesione fu, forse, in molti casi più un atto religioso che politico. Nessuno, infine, tra le figure di primo piano almeno, aderì e tanto meno fu partecipe degli eccessi e degli orrori rivoluzionari. Anche a questo proposito la testimonianza del de Maistre è esplicita: tutti i grandi iniziati aderirono alla Rivoluzione, «mais à la vérité jamais dans ses excès»55. Se si fa eccezione per lo swedenborghiano Amar56, che fu membro del Comitato di sa-lute pubblica, per il martinista Lavau, che presiedette il tribunale rivoluzionario, e per pochissimi

52 Si veda per esempio questa breve «notizia di moda»: «Le sieur Deulard, marchand de modes... nous prie d'annon-

cer qu'il vient de recevoir d'Angleterre une quantité prodigeuse de marchandises de modes... On trouve chez lui des bonnets à la conjuré ou à la d'Orléans, à la Cartouche ou à la deputé; des fichus à la poissarde ou à la d'Aiguillon; des rubans couleur de sang ou à la Barnave; de rubans de deux couleurs ou à la Clermont-Tonnerre; des cravates à l'usurière ou à la Delaborde; des jarretières à la Mandrin ou à la Mirabeau, des chapeaux à l'affamé ou à la Desmoulins; des gilets à la cannibale ou à la nation».

53 P. TRAHARD, op. cit., p. 160. 54 Gli svedesi in particolare non nascosero a lungo le loro simpatie per la Rivoluzione della cui origine divina non

ebbero dubbio. T. Thorild lo scrisse anche a tutte lettere sul giornale di cui era direttore: «La costruzione della repubbli-ca universale che bisogna costituire ha per scopo finale la felicità dell'umanità. L'intelligenza e la virtuosa energia deb-bono servirle di basi. A coloro che eccellono per intelligenza appartiene di governare il mondo; a quelli che hanno l'e-nergia virtuosa di prendere in mano il potere esecutivo. Se qualche impostore in possesso del potere non obbedisce, ec-co la sentenza: feriendus. Bisogna dar fuoco alle città e distruggerle, perché sono le scuole della tirannia, della corruzio-ne e della miseria, dove si trasformano in pietre e fango tutte le magnificenze e tutte le benedizioni della terra. Con uno spontaneo ritorno verso la natura si formeranno quindi delle libere società sul modello dell'età d'oro, nelle isole dei fiu-mi, nelle valli ai piedi delle montagne, sotto l'uniforme protezione di una universale tolleranza religiosa, nel solo nome del vero Dio, Essere degli Esseri, tutto vivificante e tutto amante. È la Rivoluzione francese che mostrerà la realizzazio-ne di tutte queste meraviglie. Essa è per eccellenza l'atto divino, il più solenne atto di cui la terra sia stata testimone do-po il diluvio; essa non è altro che l'aurora dell'ultimo giudizio per i tiranni. Il vecchio mondo non ha visto niente e i no-stri pronipoti non vedranno niente di comparabile a questa emanazione della verità divina che a noi è stato dato di con-templare».

Né, stando almeno ad alcune notizie, queste simpatie rimasero puramente circoscritte al campo spirituale; dopo l'as-sassinio di Gustavo III, pare infatti che esse influissero anche, tramite soprattutto Carlo di Sudermania e il Reuterholm, sulla politica svedese. Tra l'altro pare che il Reuterholm, che indubbiamente fu tra i più vicini alla causa rivoluzionaria, avendo potuto farlo, si rifiutasse di tentare di salvare Maria Antonietta (cfr. A. GEFFROY, M.me de Staël ambassadrice de Suède, cit., p. 42). Non è un caso che Caterina II considerasse Carlo di Sudermania un giacobino che voleva imitare il duca d'Orléans (cfr. [F. MASSON], Mémoires secrètes sur la Russie, I, Paris an VIII, p. 7).

55 J. DE MAISTRE, Quatre chapitres sur la Russie, cit., in Oeuvres complètes, IV, p. 329. 56 Su J.-B.-A. Amar si veda P. CHASLES, Mémoires, I, Paris 1876, pp. 52-56; T. LENOTRE, Paris révolutionnaire,

vieilles maisons, vieux papiers, VI, Paris 1930, pp. 27-115.

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altri, tutte figure d'infimo ordine nel mondo illuminato, nessuno sottoscrisse il Terrore; l'esaurirsi della Rivoluzione trovò coloro che erano sopravvissuti ed erano rimasti saldi nel loro misticismo ai margini della vita politica attiva, da tempo ormai ritiratisi a vita privata o, nel migliore dei casi, ri-fugiati nelle opere di carità e di beneficenza e nell'istruzione degli orfani.

Né poteva essere altrimenti. Swedenborg, Saint-Martin, Lavater, i grandi maestri degli illuminati auspicarono un moderato riformismo di pretta marca cristiana, nessuno di loro, e con loro nessuno dei loro seguaci, fu però democratico. Né sarebbe potuto esserlo. Alla base della loro concezione era infatti un risoluto e deciso fondo teocratico che con la democrazia non poteva in alcun modo sposarsi. Gli Amar e i Lavau non costituirono neppure l'eccezione alla regola, difatti essi si stacca-rono ben presto completamente dal mondo illuminato e dalla sua concezione.

Per Saint-Martin - così come del resto per Swedenborg57 - Dio era l'origine del potere; egli non aveva timore di proclamare «la sublimité de la théocratie divine, spirituelle et naturelle». Nella Lettre sur la révolution française (1795) e ancora più diffusamente nel Des Erreurs et de la Verité egli polemizzò con Hobbes, Rousseau, Helvetius, negando recisamente le loro concezioni della so-cietà. La vita dell'uomo era per per lui «une chaîne de dépendance continuelle», un continuo rappor-to di socialità58 fondato non sulle leggi umane ma su quelle divine: «les lois fondamentales ou cons-titutives des Etats se présentent avec une imposante majesté sous laquelle elle tâchent de se montrer comme étant consacrées et unies radicalement aux lois de l'éternelle justice, c'est-à-dire à des lois que l'homme n'a point faites»59. Gli uomini erano per lui profondamente ineguali spiritualmente60 ed è proprio da questa ineguaglianza spirituale che egli faceva discendere il potere temporale, poli-tico: «celui qui s'en préservera le mieux (dai pericoli, dai vizi della materia) aura le moins laissé dé-figurer l'idée de son principe, et se sera le moins éloigné de son premier état. Or, si les autres hom-mes n'ont pas fait les mêmes efforts, qu'ils n'aient pas les mêmes succés ni les mêmes dons, il est clair que celui aura tous ces avantages sur eux, doit leur être supérieur, et les gouverner; ... j'établis sur la réhabilitation d'un homme dans son principe, l'origine de son autorité sur ses semblables, celle de sa puissance, et de tous les titres de la souveraineté politique»61. Se la società non era, dunque, per lui un atto della volontà umana, ma dipendeva direttamente da Dio e dalle sue leggi supreme, la sovranità temporale si identificava a sua volta con la perfezione morale. Le conseguenze insite in questa teoria sono chiare e spiegano come pur essendo la concezione teocratica di Saint-Martin molto simile a quella di de Maistre62 in pratica le due posizioni divergessero. Per de Maistre la so-vranità partecipava o almeno discendeva dalla divinità, per Saint-Martin ciò che partecipava della divinità era la perfezione morale. Questo spiega come la maggioranza degli illuminati martinisti, decisamente monarchica al principio della Rivoluzione, evolvesse lentamente verso la repubblica, a mano a mano che appariva chiaro quale fosse il vero volto di Luigi XVI e della monarchia francese.

Ciò non significa per altro che essi divenissero dei democratici, questo era per loro inconcepibi-le. Nella Lettre Saint-Martin poteva mitigare il suo primitivo giudizio su Rousseau, poteva definirlo «prophète de l'ordre sensible»63, con ciò egli non ripudiava certo la teocrazia; a poche pagine di dis-tanza riaffermava esplicitamente: «Dieu est le seul monarque et le seul souverain des êtres, et comme je te l'ai dit ci-dessus, il veut être le seul qui règne sur les peuples, dans toutes les associa-tions et dans tous les gouvernements. Les hommes qui se trouvent à la tête des Nations ou des ad-ministrations ne devraient être que ses représentants, ou, si l'on veut, ses commissaires»64.

57 E. SWEDENBORG, La Nuova Gerusalemme e la sua dottrina celeste, Londra-Firenze 1938, pp. 111-112. 58 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Des Erreurs et de la Verité ou les hommes rappellés au principe universel de la science,

II, Edinbourg 1782, p. 11. 59 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Lettre à un ami ou Considérations politiques, philosophiques et religieuses sur la Révo-

lution française, Paris an III, p. 21. 60 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Des Erreurs et de la Verité, ecc., cit., II, pp. 27-28. 61 Ivi, II, pp. 18 e 28. 62 E. DERMENGHEM, op. cit., pp. 268-83. 63 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Lettre, ecc., cit., p. 33. 64 Ivi, pp. 39-40.

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La Rivoluzione era anche per Saint-Martin come per de Maistre opera di Dio, il suo dito («ici est le doigt de Dieu») è ben visibile in essa. Al contrario che per de Maistre, essa non è però solo la pu-nizione della Francia venuta meno alla sua missione e precipitata nella più abietta corruzione. Essa è sì un atto punitivo, ma è altresì l'inizio, debole, ancora appena accennato, lontano dalla sua realiz-zazione quanto si vuole, ma non per questo meno reale, della rigenerazione65: «En considérant la révolution Française dès son origine, et au moment où a commencé son explosion, je ne trouve rien à quoi je puisse mieux la comparer qu'à une image abrégée du jugement dernier, où les trompettes expriment les sons imposans qu'une voix supérieure leur fait prononcer; où toutes les puissances de la terre et des cieux sont ébranlées, et où les justes et les méchans reçoivent dans un instant leur ré-compense»66. «L'époque actuelle est la crise et la convulsion des puissances humaines expirantes, et se débattant contre une puissance neuve, naturelle et vive; ... la Providence permet que les aveugles mortels aient ainsi le bandeau sur les yeux pour accomplir eux-mêmes le decret qui veut abolir le règne de la vaine puissance de l'homme sur la terre»67. Questa sostanza positiva della Rivoluzione si vedeva sin nei particolari: essa, per esempio, si era prodotta in Francia «pour en assurer d'avance le succès»; come avrebbe potuto infatti resistere sola a tutti i suoi nemici se fosse cominciata in «des pays d'une moindre prépondérance»?

La Rivoluzione, per concludere, aveva dunque per Saint-Martin tutti i crismi per essere conside-rata l'inizio del nuovo. E come tale poteva subire tutte le «scosse» possibili, ma era ben chiaro «qu'il y a eu quelques chose en elle qui ne sera jamais renversé». Sicché, egli era «jaloux» di conformar-visi68 e di concorrere al suo avanzamento, «parce que le mobile secret et le terme de cette Révolu-tion se lient avec mes idées et me comblent d'avance d'une satisfaction inconnue à ceux mêmes qui se montrent les plus ardents»69. Questa adesione così completa ed entusiasta non significava per al-tro, come si è detto, un'accettazione passiva di tutti gli aspetti del processo rivoluzionario. Non si-gnificava accettarne gli eccessi e gli orrori, dai quali Saint-Martin cristianamente rifuggiva, non si-gnificava accettarne il «materialismo». A questo egli contrappose sempre il principio della primazia dello «spirito» sul «corpo», non cessando mai di ammonire che il fine ultimo dell'uomo era di con-tinuare Dio laddove Dio non si faceva più conoscere da sé stesso e quello della Rivoluzione la crea-zione della vera Chiesa70 e la reintegrazione dell'uomo. «Quand il ne s'agit ni de juger les humains ni de les tuer»71 le citoyen Saint-Martin era sempre ben lieto di collaborare alla Rivoluzione, come dimostra il suo entusiasmo nell'accogliere l'invito di recarsi, nel 1795, a l'Ecole Normale72 e, suc-cessivamente, la sua accettazione di far parte dell'assemblea elettorale del suo dipartimento d'origi-ne.

Non tutti gli illuminati avevano però la tranquilla fede del philosophe inconnu, non tutti facevano del fatto religioso il centro, l'unica sostanza della loro esistenza, dei loro pensieri, del loro agire. Da qui un loro diverso modo di giudicare e vivere la Rivoluzione. In particolare, coloro che erano ve-nuti all'illuminismo o lo avevano vissuto soprattutto nelle logge massoniche erano, più che non gli isolati, portati a viverla con un impegno politico personale che, ovviamente, poneva l'accento più sul concreto oggi che non sul mitico domani. Costoro aderirono alla Rivoluzione, in alcuni casi ne furono tra i protagonisti più attivi delle prime fasi (che, forse, influenzarono attraverso le loro orga-nizzazioni massoniche), ma ad un certo punto finirono per distaccarsene e per avversaria. Il fatto

65 Che la Rivoluzione fosse il sintomo premonitore del Regno fu idea condivisa, dopo i primi entusiasmi rivoluzio-

nari, anche da alcune sette popolari. Tra esse particolare importanza ebbe nel 1794 la «repubblica di Gesù Cristo» dei boschi di Saint-Etienne.

66 L.-C. DE SAINT-MARTIN, Lettre, op. cit., p. 12. 67 Ivi, pp. 17-18. 68 Correspondance inédite, ecc., cit., p. 103. 69 Cit. in C.-A. DE SAINTE-BEUVE, op. cit., p. 211. 70 Una delle caratteristiche essenziali della Rivoluzione era per Saint-Martin l'abbattimento della ci-devant église e

del suo clero corrotto (causa indiretta dei crimini del re). Cfr. Lettre, ecc., cit., pp. 1-14; a questo proposito cfr. E. DER-

MENGHEM, op. cit., pp. 89-90. 71 M. MATTER, op. cit., p. 223. 72 Sul periodo dell'Ecole Normale e sulla polemica col Garat si veda M. MATTER, op. cit., pp. 224-244.

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politico prese in loro il sopravvento su quello religioso; nella politica attiva trovarono spesso la chiave della riorganizzazione della loro personalità e della loro reintegrazione sociale e compren-sione storica. Da qui il loro progressivo allontanarsi contemporaneamente dalla Rivoluzione e dal-l'illuminismo. Questo fenomeno è particolarmente riscontrabile tra i lionesi, tra i willermoziani. Gli avignonesi, più impegnati in genere sul piano religioso, ebbero, invece, un atteggiamento più simile a quello di Saint-Martin: i più aderirono alla Rivoluzione, limitandosi però a non avversarla, a di-mostrare la loro adesione con manifestazioni del tutto innocue ed esteriori (come la partecipazione alle feste civiche e alle sottoscrizioni patriottiche) e, quelli che erano ad Avignone, a sostenere l'u-nione della cittadina provenzale alla Francia73.

Agli Stati Generali gli illuminati appartenenti alla massoneria willermoziana dei Chevaliers Bienfaisants erano numerosi, tra i più importanti ricorderemo Turkheim l'Aîné, il conte de Virieu, il duca d'Havré de Croy, Lenoir de la Roche, Jacques Millanois, J.-A. Périsse du Luc, J.-A. Castellas e Nicolas Bergasse. Gli ultimi quattro in particolare erano molto legati a Willermoz e all'ambiente lionese e le loro elezioni dipesero in larga misura dalle manovre della massoneria illuminata. Da Pa-rigi sia Périsse de Luc sia Virieu rimasero sempre in stretto contatto con Willermoz, con il quale e-rano soliti consultarsi prima di ogni decisione importante. Attraverso questi uomini, gli illuminati della massoneria lionese ebbero parte notevolissima tra i «monarchiens»74. Virieu75 in particolare era l'uomo d'azione del gruppo e con Mounier uno dei suoi capi76. A Lione, nell'89, molti illuminati si raccolsero nella Società degli Amici della Rivoluzione77 a carattere ultra moderato. Tutti costoro subirono l'evoluzione ideologica e politica dei «monarchiens»; chi prima, chi dopo, tutti finirono per staccarsi dalla Rivoluzione. A Lione la maggioranza degli illuminati finì per coalizzarsi con i nobili del Cercle de Bellecour. Come scrive il Trénard78, «le baron de Chamousset, son frère le chevalier de Savaron, l'avocat La Poix de Fréminville, les chanoines Henry de Cordon et Bernard de Rully, tous membres de la Bienfaisance, participèrent aux complots royalistes, entrèrent en rapport avec Le Salon français et furent dénoncés comme de 'mauvais citoyens'». La rivolta del 1793 fu in gran parte opera loro. Millanois e Virieu ne furono tra i capi, Willermoz e Périsse de Luc tennero un atteggiamento molto equivoco, tanto è vero che Willermoz (un suo fratello, Antoine, fu giustiziato) dovette durante la repressione tenersi nascosto. Secondo il Trénard, la rivolta lionese sarebbe anzi stata organizzata proprio dagli illuminati della Bienfaisance, il cui stato maggiore avrebbe spinto i girondini alla rottura aperta79.

Se la maggioranza degli illuminati si evolse in senso conservatore e reazionario, una parte di essa si evolse però in senso anche più decisamente filo-rivoluzionario dello stesso Saint-Martin. Casi del genere se ne possono riscontrare vari e tra gli illuminati veri e propri e tra coloro che seguivano forme di illuminismo popolare più elementare. Tra questi ultimi casi il riferimento d'obbligo è a Ca-thérine Théot80. Il suo misticismo infatti non solo non subì involuzioni conservatrici, ma, da un at-teggiamento inizialmente filo-monarchico, venne evolvendosi vieppiù in senso filo-rivoluzionario.

Quanto, infine, agli illuminati veri e propri il caso più significativo è offerto dalla duchessa di Borbone. In stretti e cordiali rapporti con Saint-Martin, la sorella di Filippo d'Orléans aderì con en-tusiasmo alla causa rivoluzionaria, dedicandole per anni i suoi sforzi e i suoi ingenti capitali. Come

73 A. MATHIEZ, Rome et le clergé français sous la Constituante, Paris 1911; H. CHOBAUT, Le premier épisode de

l'affaire d'Avignon, la motion Bouche à l'Assemblée Nationale (12-21 nov. 1789), in Mémoires de l'Institut historique de Provence, 1925, pp. 5-30.

74 Lo stesso S. de Clermont-Tonnerre aveva interessi mistici e fu in relazione con Saint-Martin (cfr. M. MATTER, op. cit., p. 77).

75 Su F. H. Virieu si veda A. M. DE CASTELLANE, Gentilshommes démocrates, Paris (1891), pp. 223-265. 76 Cfr. J. EGRET, La Révolution des notables. Moullier et les monarchiens 1789, Paris 1950, passim e spec. pp. 125-

130; e anche L. TRENARD, op. cit., I, pp. 296-304. 77 A. JOLY, op. cit., p. 283. 78 L. TRENARD, op. cit., I, p. 331. 79 Ivi, pp. 331-333. 80 Su C. Théot si veda A. MATHIEZ, Contributions, ecc., cit., pp. 96-142 e ID., Autour de Robespierre, Paris 1925,

pp. 129-135; H. D'ALMERAS, op. cit., passim.

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vedremo in un prossimo capitolo, essa contribuì infatti cospicuamente alle sottoscrizioni patriottiche e mise i suoi mezzi a disposizione dei poveri della sua sezione, affermando che Dio con la Rivolu-zione aveva lanciato l'anatema contro i ricchi e che questa, finalmente, le aveva offerto il modo di vivere «cristianamente»81. In questa sua adesione alla Rivoluzione - al contrario del fratello - non vi era, come ebbero a riconoscere anche decisi contro-rivoluzionari, nulla che non fosse profondamen-te puro e sincero82. Anch'essa, come Saint-Martin, guardava con simpatia alla Rivoluzione che a-vrebbe finalmente aperto la strada alla vera Chiesa. A chi le faceva notare gli orrori della Rivolu-zione e l'abisso in cui la Francia stava precipitando rispondeva sicura «ce n'est pas la révolution qui nous a donné notre horrible nudité, elle n'a fait que nous la montrer»83. Questo suo attaccamento al-la Rivoluzione (da cui il suo soprannome di «citoyenne Vérité») fece anzi sì che per molti aspetti simpatizzasse e si avvicinasse se non proprio alla democrazia, alle forme più elementari e popolari dell'illuminismo e ad alcuni mistici che propriamente non possono essere considerati degli illumina-ti. E altresì, fece sì che godesse di una qualche protezione da parte di Robespierre (che le fece avere un certificato di civismo e al cui interessamento, molto probabilmente, si deve se, arrestata, fu «di-menticata» in carcere e poté così sfuggire alla morte). Del gruppo della duchessa di Borbone fecero parte infatti nei primi anni della Rivoluzione, e vi ebbero grande importanza, una giovane illumina-ta di provincia, scoperta dal Gerle e dal Pontard e che ebbe allora grande popolarità a Parigi, Suzet-te Labrousse84 e lo stesso Pierre Pontard85, che anzi, ricevette dalla duchessa i mezzi necessari per pubblicare nel 1792-93 il suo Journal prophétique che, indubbiamente, rappresenta lo sforzo più importante tentato dal misticismo francese per innestarsi sulla Rivoluzione, spiegarla a caratteriz-zarla implicitamente secondo i propri principi e la propria concezione86. In tal modo il misticismo degli illuminati veniva in contatto e tendeva a far corpo unico con il misticismo popolare e con quello del clero rivoluzionario, e a divenire, in questo nuovo mélange, l'amalgama del cosiddetto misticismo rivoluzionario.

81 Sul suo misticismo umanitario cfr. P.-E.-T. Ducos, op. cit., pp. 277-279. 82 A. VIATTE, op. cit., I, p. 238. 83 Correspondance entre M.me de B... et M. R. sur leurs opinions religieuses, s.l. 1812, lettera XXXI. 84 Su S. Labrousse si veda C. MOREAU, Une mistyque révolutionnaire: Suzette Labrousse, Paris 1886. 85 Su P. Pontard si veda J.-P. CREDOT, Pierre Pontard évêque constitutionnel de la Dordogne, Paris 1893. 86 La duchessa di Borbone fu in rapporto anche con C. Théot. cfr. P.-E.-T. DUCOS, op. cit., pp. 265-268.

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CAPITOLO TERZO

SUZETTE LABROUSSE

Da cinquant'anni nessuno si è più occupato della Labrousse. Dopo la imprecisa, superficiale, tendenziosa biografia a lei dedicata dall'abate Moreau1, dopo il primo momento di interesse suscita-to, nonostante il suo scarsissimo valore storico-critico, da questo volume ed in particolare dopo le brevi osservazioni dell'Aulard2, del Péllet3, del Mathiez4 e dell'Alméras5 il silenzio più completo è sceso su di lei. Persino il Viatte6, in genere così acuto e sensibile a certi problemi, le ha dedicato so-lo poche paginette rapide e superficiali, riducendola a una povera isterica maneggiata da interessati protettori politici. Neppure il recente, rinnovato interesse per la religiosità rivoluzionaria, le sue molteplici manifestazioni, i suoi culti, i suoi santi ed i suoi martiri7 è valso a trarla dall'oblio.

Eppure la 'femme dell'Apocalypse' - come ebbe a definirla il Grégoire che la conobbe personal-mente e che per primo ne parlò nella sua Histoire des Sectes réligieuses a proposito delle società delle vittime8 - non solo fu ai suoi tempi l'esponente più conosciuta dal gran pubblico del misticismo rivoluzionario (la fortuna della Théot fu dovuta soprattutto all'inserirsi della sua vicenda in quella di Robespierre), ma la sua personalità meglio di ogni altra si presta ad un reale approfondimento e ad una vera comprensione di tale fenomeno; in particolare del fluire e del rifluire, durante il periodo rivoluzionario, verso l'illuminismo, di numerosi esponenti del clero costituzionale e, sempre in tale periodo, del quasi completo allineamento di quello sulle posizioni politiche dell'ala moderata dello schieramento rivoluzionario e della Chiesa costituzionale. Della Labrousse, infatti, non solo cono-sciamo con una certa precisione le vicende della vita, ma abbiamo gran parte dei suoi scritti e dei suoi discorsi, del tempo della Rivoluzione e anche degli anni anteriori; sicché, essa si presta, come nessun altro mistico rivoluzionario, ad un'indagine approfondita di tale misticismo, delle sue origini, delle sue componenti e del suo sviluppo, sì da rintracciarne una buona volta il vero significato e fare finalmente giustizia delle preconcette, distorcenti e troppo comode interpretazioni in chiave di paz-zia e di ciurmadoria, che non solo - a ben vedere - nulla spiegano di quanto già noto, ma impedi-scono nel modo più assoluto ogni ulteriore approfondimento.

La biografia di Clotilde Suzanne Courcelles Labrousse è sufficientemente nota, almeno agli spe-cialisti della Rivoluzione Francese, perché ci si debba trattenere a tracciarla ancora una volta per e-steso. Pochi cenni saranno sufficienti: chi volesse maggiori dettagli potrà in ogni modo trovarli - con le dovute cautele - negli studi del Moreau e dell'Alméras.

Suzette Labrousse nacque a Vauxains, nel Périgord, da famiglia benestante e piuttosto in vista nella regione, l'8 maggio 1747 e fin da bambina dimostrò un temperamento spiccatamente mistico. Ben presto udì delle voci che la invitavano a dedicare la sua vita al riscatto del mondo e della Chie-

1 C. MOREAU, Une mystique révolutionnaire, Suzette Labrousse, cit. 2 SANTHONAX (A. AULARD), S. Labrousse, in La justice, 22 febbr. 1886. 3 M. PELLET, Souzette Labrousse, in Varietés révolutionnaires, II, Paris 1887, pp. 205-16. 4 A. MATHIEZ, op. cit., pp. 102-06. 5 H. D'ALMERAS, op. cit., pp. 31-54. 6 A. VIATTE, op. cit., I, pp. 245-51. 7 Si veda per es. A. SOBOUL, Sentiment religieux et cultes populaires pendant la Révolution: saints patriotes et mar-

tyrs de la liberté, in Ann. hist. de la révolution fr., 1957, III pp. 193-213. 8 H. GREGOIRE, op. cit., II, pp. 45-48, 78.

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sa: «Quitte la maison de ton père et de ta mère; va parmi le monde en inconnue, et en mendiante, parce que je veux, par une simple fille, réduire plusieurs des grands du monde, et remédier à plu-sieurs maux de mon église»9; voci che essa ascoltò dedicandosi completamente a Dio e alla mis-sione che questi le aveva assegnato. In seguito a ciò rifiutò più volte di sposarsi, mortificò in ogni modo la sua carne (sino ad applicarsi sul volto della calce viva allo scopo di distruggere la sua bel-lezza), visse qualche tempo in solitudine e, dopo una breve esperienza conventuale, si dedicò all'e-ducazione di un gruppo di bambini poveri e al compito di portare a conoscenza delle autorità eccle-siastiche le sue idee e convertirle ad esse. In tal modo in poco tempo acquistò in tutta la regione va-sta notorietà e fu ritenuta, a seconda dei punti di vista, una santa o una pazza; attorno a lei si raccol-se un piccolo gruppo di fedeli, in genere di umili condizioni, ed ella attrasse ben presto su di sé l'at-tenzione del clero locale e della Chiesa di Francia. Sottoposta a vari esami (dei quali fu informato anche l'arcivescovo di Parigi), anche il giudizio del clero fu discorde: dai più fu giudicata una pove-ra invasata, alcuni però la ritennero in buona fede, videro in lei una creatura eccezionale, credettero alle sue estasi mistiche e alle profezie che, dal 1766 in poi, cominciò a formulare, annunciando or-mai prossima la rigenerazione del mondo e il trionfo della vera fede sulla corruzione della Chiesa romana. Tra coloro che le credettero il suo più convinto difensore divenne ben presto il priore del convento dei certosini di Vauclaire, l'abate Christophe-Antoine Gerle, comunemente noto come dom Gerle, che, conosciutala verso il 1779, rimase tanto colpito da essa da diventarne il più ferven-te seguace. A lui la giovane fece alcune predizioni che puntualmente si avverarono: predisse la Ri-voluzione, l'abolizione degli ordini religiosi, la soppressione dei voti, e, su un piano più personale, sembra anche la sua elezione agli Stati Generali10; a lui consegnò un progetto di costituzione di una nuova società in luogo degli ordini monastici, di cui, come si è detto, prevedeva la soppressione11. Secondo questo ed altri suoi scritti di quegli anni «la religion catholique, apostolique et romaine, fi-nira par être la religion de toute la terre, et fera le bonheur de toutes les nations qui se reunissent par ce moyen ne formant qu'une famille»12. Sempre in questi anni entrò in rapporti con un altro religio-so, teologicamente molto preparato e suo lontano parente, destinato anche lui, come il Gerle, ad a-vere nella sua vita un ruolo di primo piano e, anzi, a divenire col tempo il suo più fedele sostentiore, Pierre Pontard13. In questo primo periodo l'influenza maggiore sulla Labrousse l'ebbe però dom Gerle: che peso tale rapporto abbia avuto su di essa possiamo valutarlo direttamente da queste paro-le lasciate scritte da lei stessa:

«Enfin! Dieu a daigné manifester sa volonté par la bouche d'un vénérable religieux. Il m'a pres-sée de me mettre en marche et d'annoncer au clergé de France, et à celui du monde entier plus tard, que l'heure de réformer les abus qui se glissent dans l'Eglise de Jésus-Christ est arrivée. Que les grans seigneurs prennent garde! Chacun est égal devant le Maître; leurs privilèges sont des iniqui-tés. Comme je témoignais au R. P. Gerle mon étonnement, parce que tous les autres prêtres m'avaient traitée comme une folle, il m'a répondu: Souvenez-vous que les prophètes aussi étaient jugés comme fous, mais les terribles événements qu'ils annonçaient s'exécutaient tout de même»14.

Sotto la guida del certosino (al cui interessamento soprattutto si deve se le alte gerarchie della Chiesa francese furono informate della giovane perigordina) la fede della Labrousse si rafforzò, ella prese coscienza della sua missione, acquistò fiducia in se stessa, si venne convincendo d'essersi «débarassée des faiblesses de l'humanité» e di essere ormai una élue de Dieu. Nel 1785 scriveva: «Par la grâce de Dieu, tout a disparu; je suis comme une muraille sapée par les fondemens. Tout

9 Récueil des ouvrages de la célèbre Mlle. Labrousse du Bourg de Vauxains en Périgord, canton de Ribeirac, dépar-

tement de la Dordogne; actuellement prisonnière au Château Saint-Ange à Rome, Bordeaux 1797: Précis de la vie de S. Labrousse, par P. PONTARD, p. 24.

10 Renseignements donnés au public par DOM GERLE… sur des faits relatifs à M.lle. La Brousse (Paris 1790). 11 Ivi, p. 3. 12 Ivi, pp. 3-4. 13 J.-P. CREDOT, op. cit., pp. 510-26. 14 C. MOREAU, op. cit., pp. 20-21.

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cède en moi, tout plie, jusqu'aux tentations de la chair, et je ne sens plus d'autre envie que de deve-nir toute en Dieu, et avec lui, et de n'en jamais sortir»15.

Scoppiata la Rivoluzione, la situazione della Labrousse cambiò radicalmente: la santa del Péri-gord16 divenne in breve una delle figure più in vista del mondo mistico parigino. La «realizzazione» delle sue profezie crebbe straordinariamente il suo prestigio e le portò nuovi fedeli e potenti protet-tori. Un gruppo di vescovi, membri dell'Assemblea nazionale, arrivò a scriverle una lettera per chiedere l'aiuto dei suoi lumi e per interrogarla sull'avvenire della Rivoluzione17. Fatta venire, nel 1790, a Parigi dal Gerle (e, secondo uno scritto di questo, da La Fayette18), il mondo illuminato le spalancò le porte vedendo in lei una inviata del Signore per annunciare all'umanità l'ormai prossimo realizzarsi del suo Regno; il clero novatore, dom Gerle, divenuto segretario del Comitato ecclesia-stico creato il 12 agosto '89, P. Pontard - vescovo costituzionale del Calvados - trovarono in lei e nelle sue profezie la conferma delle loro aspirazioni di riforma e della loro politica ecclesiastica.

La duchessa di Borbone19 l'accolse presso di sé, la presentò a Saint-Martin, al Reuterholm, al Gombauld, agli Stad; dom Gerle ne parlò alla tribuna dell'Assemblea nazionale chiedendo che que-sta la prendesse sotto la sua protezione20; il Pomard, con l'aiuto finanziario della duchessa di Bor-bone, diede vita al Journal Prophétique, in parte basato sulle sue profezie, ed inviò una adresse ac-compagnata da un précis de la vie de Suzette Labrousse, a tutti ses collègues vescovi di Francia vantando loro la sua sainteté21; numerosi esponenti del clero costituzionale si raccolsero attorno a lei, sicuri della sua buona fede e delle sue virtù mistiche; gli illuminati pendevano fiduciosi dalle sue labbra. «Aujourd'hui que les prédictions de Mlle La Brousse prennent de la consistance - poteva affermare con gioia dom Gerle22 - on se transporte en foule chez M.lle La Brousse, de tous les can-tons du Royaume; on vient même des pays étrangers pour la voir». La sua fama si sparse nel popo-lo, tra il quale, anzi, essa ebbe fama di guarire ogni malattia. «Elle - proseguiva il Gerle - repond à tous avec sagesse, et chacun se retire pénetré de vénération et d'étonnement».

In breve la sua fama giunse molto lontano dagli ambienti in cui era nata e nei quali si era natu-ralmente diffusa: se dobbiamo credere a certe affermazioni che la Labrousse ha lasciato nella sua autobiografia - indirettamente convalidate da una serie di voci allora circolanti e da alcuni accenni, tutt'altro che velati, contenuti nei pamphlets antilabroussiani del tempo23 - perfino Robespierre a-vrebbe avuto rapporti con lei e non avrebbe visto di malocchio i suoi progetti di fondare una nuova Chiesa universale e liberale24. Certo non mancavano gli avversari; persino qualche illuminato, come

15 Récueil, cit., p. 60. 16 D. DE LAGE, Le mysticisme révolutionnaire en Périgord, in Revue du Périgord, 1910, pp. 43-54; sul Périgord nel

periodo rivoluzionario si veda G. BUSSIERE, Etudes hist. sur la révolution en Périgord, Bordeaux 1877-1903, 3 voll.; J.-J. ESCANDE, Histoire du Périgord, Paris, 1957; R. DE BOYSSON, Le clergé périgordin pendant la persecution révolu-tionnaire, Paris, 1907.

17 Journal prophétique, 1792 (n. 1), I sett. di gennaio, pp. 1-3; G. BOURGIN, La mission de Suzette Labrousse à Rome, in Mélanges d'Archéologie el d'Histoire de l'Ecole française de Rome, 1907, p. 314 n., la ritiene apocrifa (?).

18 Prophéties de Mlle. Labrousse sur la révolution pour le mois de mai (Paris 1790), p. 6. La notizia potrebbe essere confermata da un accenno, in verità molto vago, dei Discorsi recitati dalla cittadina COURCELLE LABROUSSE nel Circo-lo Costituzionale di Roma nel mese fiorile dell'anno VI, Roma (1799), p. 195.

19 P.-E.-T. DUCOS, op. cit., pp. 262-65. 20 Nella seduta del 13 giugno 1790. La proposta non solo non fu accolta, ma l'Assemblea interruppe l'oratore e passò

all'o.d.g. 21 Andresse [sic] de P. PONTARD, évêque constitutionel du département de la Dordogne, à ses collègues des quatre-

vingtdeux départemens, par forme de consultations, sur le cas qui est ici proposé. Précis de la vie de Suzette Labrousse, du Bourg de Vauxain, district de Ribeyrac de la Dordogne, s.l.n.d.

22 Renseignements, cit., p. 5. 23 M. BOULOISEAU, Robespierre vu par les journaux satiriques (1789-1791), in Annales hist. de la révolution fr.,

1958, III, p. 32 n. 24 C. MOREAU, op. cit., pp. 69, 112-13; H. D'ALMERAS, op. cit., pp. 46-52.

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il Cazotte25, la guardava con sospetto. Il clero fedele a Roma ed i buoni cattolici soprattutto vedeva-no in lei una eretica26, una simulatrice ed uno strumento del sovversivismo massonico27.

Nonostante ciò, per tutto il 1789, il 1790 e buona parte del 1791 la fama della Labrousse andò sempre aumentando. Testimonianza indiretta, ma tutt'altro che trascurabile, di questa sua fortuna sono tre pamphlets satirici che la stampa d'opposizione lanciò in questo periodo contro di lei nel va-no tentativo di screditarla agli occhi del gran pubblico28. F. Marchant le dedicò infatti nella sua Chronique du Manège una satira in cinque atti dal titolo eloquente di Les amours de dom Gerle29 e ad opera di due anonimi scrittori uscirono quasi contemporaneamente due libelli dal titolo La dinde aux truffes, ou Don patriotique du Périgord à l'Assemblée nationale e l'altro La poucelle périgour-dine nei quali la Labrousse era lepidamente paragonata alla Giovanna d'Arco della letteratura liber-tina e illuministica.

Le edizioni delle profezie della Labrousse si succedevano30 e andavano a ruba: il Pontard, soprat-tutto, attraverso il Journal prophétique diffondeva, volgarizzandolo o culturalizzandolo a seconda dei casi e delle esigenze, il misticismo profetico della Labrousse in migliaia di copie e lo portava a conoscenza di ambienti sempre più vasti.

Nel corso del '90 e dei primi mesi del '91, però, mentre la fortuna della profetessa perigordina era apparentemente al massimo, l'apparizione di alcuni scritti, di ben altra portata e di ben altro valore delle satire dei vari Marchant e delle tirate della stampa d'opposizione, e - ancor più grave - alcune defezioni di grande importanza indebolirono notevolmente il campo labroussiano. Un primo, ancor timido, attacco fu portato alla Labrousse con la pubblicazione di un anonimo Prophéties de Made-moiselle Suzette de La Brousse concernant la Révolution française suivies d'une prédiction qui an-nonce la fin du monde (s.l. 1790). L'autore dell'opuscolo31, infatti, se da un lato pubblicava a mo' di attestati della buona fede della Labrousse, della sua santità e del suo profetismo le lettere di due re-ligiosi - certi Ducherou e Grivet - che tornavano a tutto vantaggio della giovane perigordina, dall'al-tro lato, nelle pagine che precedevano tali lettere, avanzava seri dubbi e poneva vari quesiti a propo-sito della sua buona fede, e, nel complesso, non si mostrava molto favorevole ad essa. Ancora più in là si spingeva, quasi contemporaneamente, il Fauchet32 che, mutando repentinamente il suo primiti-vo giudizio, in un opuscolo dal titolo Prophéties de M.lle de Labrousse (s.l.n.d.) dichiarava di vede-re in lei «soit que... ait parlé de bonne foi, soit qu'instrument innocent dans les mains d'un fourbe» un possibile strumento dei faux dévots che «a reveillé le fanatisme mourant» e concludeva pertanto dichiarandosi «chef des incrédules aux prédictions de mademoiselle Labrousse». Alla defezione del Fauchet seguiva di lì a poco addirittura quella di dom Gerle, preavvisata anch'essa dalle pesanti cri-tiche di un altro opuscolo: Prophéties de M.lle de Labrousse sur la Révolution pour le mois de mai (s.l.n.d.).

25 A. VIATTE, op. cit., I, p. 247; per dileggio il Cazotte la chiamava Brousselles (cfr. G. DE NERVAL, Oeuvres, cit.,

II, p. 1502); sui rapporti Bergasse-Labrousse cfr. anche (L. BERGASSE), op. cit., pp. 202-203. 26 L'ab. Salamon (Correspondance secrète de l'abbé DE SALAMON avec le cardinal de Zelada (1791-92), par De Ri-

chemont, Paris 1898, pp. 242-43) scriveva che la Labrousse «vomitava un'eresia ad ogni parola». 27 A. BARRUEL, Mémoires pour servir à l'histoire du jacobinisme, trad. it., Carmagnola 1852, II, p. 29. 28 Una delle cose più serie a proposito della Labrousse di questo periodo è l'opuscolo dell'ab. D. RICHARD, Sur les

prophéties de Mlle Labrousse (Paris) 1789. 29 Ecco come il Marchant faceva descrivere la Labrousse da dom Gerle (Atto I, scena II):

De plus elle est sorcière, ami, te l'avouerais-je? Elle parle aussi bien que l'Almanach de Liège; Son esprit dans les cieux sans cesse va rêver. Et même elle prédit ce qui vient d'arriver.

30 Gli Enigmes (vedili in Appendice 4, 1) furono pubblicati una prima volta in opuscolo nel 1790 dal Gerle, e in se-guito dal Pontard nel Journal prophétique (1792 [n. 8], III settimana di marzo pp. 114-121). Successivamente il Pontard li ripubblicò in opuscolo (1792) e nel Recueil del 1797 (pp. 79-108). Il Moreau (op. cit., pp. 29-43) li ha ripubblicati tra-lasciando misteriosamente il V, VII e IX.

31 L'opuscolo è stato ristampato dal Moreau, alle pp. 45-53 del suo volume. 32 J. CHARRIER, op. cit., pp. 141-144.

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Quali fossero i motivi che determinarono una simile levata di scudi contro la Labrousse non sap-piamo con certezza. Crediamo però di poter ritenere che una delle cause principali, se non la princi-pale, fosse costituita dal sempre completo allineamento, in questo periodo, della Labrousse, sulle posizioni dell'illuminismo. Nonostante essa avesse sposato in pieno la posizione della Chiesa costi-tuzionale - soprattutto con la sua polemica, del '91, coll'abate Maury - tale completo allineamento non poteva non alienarle, infatti, le simpatie di uomini che, bene o male, si muovevano ancora sul terreno del cattolicesimo. Profezie, come quella attorno alle prossime resurrezioni del Delfino e di Mirabeau33 e, ancor più a proposito dei fantastici avvenimenti che avrebbero determinato l'inizio della nuova era34, non potevano non farli dubitare grandemente del suo cattolicesimo. Altra cosa che non doveva andar loro a genio - come ci risulta chiaramente da vari accenni degli opuscoli su ricordati - era la completa, quasi fanatica, adesione della Labrousse, sotto l'influsso della duchessa di Borbone e di altri illuminati, al magnetismo, in particolare al mesmerismo, e all'occultismo. Per-sino il Pontard, il fedelissimo Pontard, dovette - pur continuando ad appoggiarla e a rimanerle fe-dele - avere dei dubbi e delle incertezze; ne sono indubbia prova due pagine del Journal prophéti-que di qualche mese appresso, poco dopo la partenza della Labrousse per Roma35: «Il y a toujours eu dans les prédictions ou pressensations de Mlle Labrousse, des choses évidemment certaines; tel-les sont celles qui s'accordent avec les prophéties comme le retour des juifs, la conversion des peu-ples et la paix générale: des choses croyables, quoiqu'elles ne fussent pas appuyées par le témoi-gnage des prophètes, telles que la destruction des ordres, la fin de la noblesse, le depouillement du clergé, événemens qu'elle avoit clairemem et distinctement annoncés dès l'an 1779. Telles sont en-core l'abaissement de la cour de Rome et l'anéantissemem de tout le pouvoir temporel du pape; car ces derniers événemens sont plus que vraisemblables, quand nous n'aurions d'autre motif pour éta-blir nos conjectures, que la conduite actuelle de cette cour aveugle. Il en est d'autres qui ne sont ni croyables ni vraisemblables, comme tout ce qu'elle raconte de Vauxain, lieu de sa naissance, de son oratoire, de la manière dont elle y sera conservée dans la suite, et nulle autres choses; comme aussi ce qu'elle nous a annoncé avant son départ, savoir, que M. le Dauphin, dernier mort, et M. Mira-beau, l'un enterré à Saint-Denis, et l'autre à Sainte-Geneviève, apparoîtroient bientôt. Il faut même dire qu'il y a peut-être toujours et du faux et du vrai dans ses prédictions, car les pressensations éprouvent les vicissitudes des sensations ordinaires. Mais quoiqu'il en soit, il est certain que j'aurois révolté mes lecteurs, si je n'avois pas commencé par publier les choses qui sont attestées par le té-moignage des écritures. A peine a-t-on pu me passer le titre du journal prophétique. Cependant, dès que je me proposais de publier les ecrits des prophètes, pour confirmer ceux de Mlle Labrousse, qui avoient l'avenir pour objet, je ne pouvois imposer au journal un titre qui lui convint mieux de celui de prophétique. Quoiqu'il en soit, il est encore certain que si je n'avoit pas commencé pas les prédic-tions appuyées sur les écritures, je n'auroit produit d'autres effets qu'une risée générale. J'ai donc du suivre à peu-prés la marche que j'ai tenue jusqu'à ce second trimestre. J'ai laissé entrevoir tout ce que Mlle Labrousse nous a dit ou écrit de croyable; et j'ai soulevé seulement le rideau, pour laisser voir certains articles qu'elle nous a dit ou qu'elle nous a laissé par écrit de ces choses invraisembla-bles. On m'écrit de tout part: 'Mais pourquoi ne nous donnez vous pas des prédictions de Mademoi-

33 La posizione politica di Mirabeau, specie rispetto alla questione religiosa, godeva di particolari simpatie negli am-bienti più decisi della Chiesa costituzionale e tra gli illuminati parigini. I suoi famosi discorsi sulla Costituzione civile del clero, erano, addirittura, opera di uno dei più noti vescovi costituzionali, l'ab. Lamourette (E. DUMONT, Souvenirs sur Mirabeau, par J. Bénétrury, Paris 1951, pp. 149, 293-94). Sulla Labrousse, poi, reduce da una accesa polemica con l'ab. Maury sulla Costituzione civile del clero, grande impressione doveva aver provocato la Lettre à l'abbé Maury (5.1. 1790) di Mirabeau.

34 L'anonimo autore delle ricordate Prophéties de mademoiselle Suzette de Labrousse, ecc. osservava (p. 9) per esempio: «Un nouveau motif pour moi de suspecter la verité de ces prophéties, c'est le caractère qu'elles donnent au fait dont elle fixent l'époque au mois présent. Ce sera, dit Mlle La Brousse, un événement aussi merveilleux que l'a été l'in-carnation, et que le sera le jugement dernier. On ne peut, je crois, rien imaginer de comparable au mystère d'un Dieu in-carné; et le spectacle d'un côté, si magnifique, et, de l'autre, si terrible qu'offrira le jugement dernier, n'a jamais eu et n'aura jamais rien d'égal. La magnificence de la promesse en affaiblit donc la certitude, et jette sur l'autorité de la pro-phétie, comme sur la véracité de la prophétesse, des doutes qui ne sont que trop fondés».

35 Journal prophétique, 1792 (n. 12), II sett. d'aprile, pp. 177-79.

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selle Labrousse?' Ma reponse est toute simple: elle est celle de Jésus-Christ à ses apôtres, quand ils lui témoignoient trop d'impatience pour savoir au clair ce que leur divin maître ne leur présentoit que sous des figures: Non potestis portare modo. Sans prétendre exercer aucune supériorité je re-ponds donc: Vous n'êtes pas encore assez préparés à recevoir ces choses extraordinaires: elles vous révolteroient, et j'ai encore bien des choses édifiantes à vous dire, tirées de l'ecriture et de quelques autres ouvrages importans. D'ailleurs la personne est en route: bientôt nous saurons ce qu'elle opére-ra à Rome. Au moindre signe, les choses les plus incroyables pourront être publiées sans inconve-nient. Avant cette époque, on rejetteroit tout, et la personne et les écrits».

Nonostante questi gravi scacchi, la posizione della Labrousse, grazie soprattutto al completo ap-poggio degli ambienti illuminati, rimase notevolmente forte: affermazioni come quella del Cazotte, del gennaio '92, secondo la quale «il y a apparence que la pauvre Suzette Labrousse a fait naufrage dans les ruisseaux de boue de Paris»36 vanno pertanto ritenute eccessive e dettate da sola avversione personale. Proprio con i primi del '92, anzi, la Labrousse riuscì a realizzare finalmente un suo vec-chio progetto che risaliva a prima della Rivoluzione; poter esporre ad un Concilio nazionale della Chiesa di Francia o, almeno, ad un Comitato di vescovi, le proprie idee e i propri piani di riforma, nonché un altro progetto che da qualche tempo andava accarezzando con sempre maggiore insisten-za, compiere, cioè, personalmente, un tentativo presso la corte di Roma e Pio VI ed ottenerne il ri-conoscimento della Costituzione civile del clero e l'adesione ai suoi piani di riforma della Chiesa37, riforma che, tra l'altro, contemplava anche la rinunzia del papa al potere temporale. Il Comitato dei vescovi - del quale siamo informati soprattutto attraverso i dispacci inviati a Roma al card. De Ze-lada dall'abate Salamon38 - non prese in realtà alcuna decisione. Due dei suoi componenti infatti - il Fauchet e il Desbois de Röchefort - negarono alla Labrousse ogni fiducia, trattandola il primo da vi-sionaria e il secondo da pazza: gli altri si limitarono, il 19 febbraio, ad una sorta di non opposizione ai suoi progetti, pur dichiarando di non approvarli39. Certo era poco, il massimo però che nella nuo-va situazione determinata dal voltafaccia del Fauchet e di dom Gerle si potesse sperare. La stessa Labrousse se ne rendeva conto, tanto che essa stessa caldeggiò la soluzione della non opposizione.

Forte di questa non condanna del clero costituzionale, nonché del pieno appoggio della duchessa di Borbone e del suo gruppo di illuminati (e, a suo dire40, di Robespierre), il 28-29 febbraio Suzette Labrousse - per la quale «ce grand voyage» corrispondeva con l'inizio «des grands oeuvres de Dieu»41 - si pose in cammino, con la sola compagnia di una servente - certa Maria -, verso Roma, non trascurando di fermarsi cammin facendo in tutte le località di una certa importanza della Fran-cia centro-meridionale per le quali le capitava di passare e di tenervi appassionati discorsi42. Prima

36 A. VIATTE, op. cit., I, pp. 249. 37 In un discorso al Circolo Costituzionale di Roma nel '98 disse che «era venuto appunto per dirgli (al papa) che era

meglio frustarsi da se stesso che lasciarsi frustare da altri». (Discorsi, ecc., cit., pp. 113-15). 38 Correspondance, ecc., cit., pp. 242-43, 253, 363-64. 39 Tra le notizie attorno ai lavori e alle conclusioni del Comitato dei vescovi quali risultano dalla corrispondenza del

SALAMON (op. cit., pp. 363-64) e da una notizia del Journal prophétique (1792 [n. 6], I sett. di marzo, pp. 81-84) vi è una certa contraddizione. Colpisce, soprattutto, che il Salamon affermi che, salvo il Fauchet e il Desbois, i vescovi «dé-cidèrent qu'elle était divine et qu'elle devait être suivie», mentre il Pontard dice che essi non approvarono i suoi scritti ed i suoi progetti, affermando però contemporaneamente di non potersi opporre a questi ultimi. Secondo noi le notizie del Pontard sono più degne di fede: sia perché vengono da un testimonio oculare nonché membro del Comitato, sia per-ché, essendo egli amico e protettore della Labrousse, non avrebbe avuto alcun interesse ad alterare i fatti a svantaggio di essa.

40 C. MOREAU, op. cit., p. 69. 41 Journal prophétique, 1792 (n. 9), IV sett. di marzo, p. 138. 42 Si veda nell'opera del MOREAU (pp. 224-25 e 170-224) un elenco delle principali località in cui la Labrousse par-

lò, nonché il testo di alcuni di questi discorsi. Una prima edizione di essi era stata fatta a Lione, a spese della Labrousse, nel 1792: Discours de Mlle Labrousse sur les objections qu'on lui a faites sur la Constitution, et qu'elle a prononcé, d'une manière tres intellegible, dans plus de trente villes et villages, dans les clubs, dans les églises, et partout où l'on a voulu; ad un primo discorso di questo titolo (vedilo in Appendice A, 3) ne seguiva un secondo: Discours sur les objec-tions qu'on m'a faites sur divers points de la constitution, et que j'ai débaté en public, comme en particulier; si veda an-che C. DEAUX, Une voyante révolutionnaire à Montauban en 1792, Montauban 1901.

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di mettersi in viaggio sembra avesse cercato insistentemente di farsi ricevere da Luigi XVI43, pro-babilmente per ottenere da lui qualche commendatizia per il papa.

Ma della missione a Roma della Labrousse, del suo arresto, della sua lunga detenzione in Castel Sant'Angelo, del suo apostolato religioso e del ruolo politico da essa avuto in questa città nel 1798-99, durante la breve parentesi della prima Repubblica romana, nonché del suo nuovo arresto alla caduta di questa e del suo ritorno in patria parleremo più dettagliatamente nell'ultimo capitolo.

Qui basterà - continuando nel suo breve profilo - ricordare rapidamente le ultime vicende della sua vita: dal ritorno in Francia nel 1800 alla morte sopravvenuta a Parigi nel 1821.

«Elle était partie de France - notò una volta tanto giustamente il Moreau44 - le front ceint de la triple auréole de réformatrice, de prophétesse et de sainte... son pélérinage avait été une marche triomphale; elle avait joui de la joie orgueilleuse qu'on doit éprouver en sentant tressaillir les masses sous le feu de la parole et du regard, et voilà que maintenant elle revenait seule, triste, inconnue, oubliée. Elle n'avait rien réformé dans l'Eglise, qui sortait peu à peu, plus brillante et plus inébranla-ble des sanglantes épreuves du creuset révolutionnaire... De retour à Paris, elle disparut complète-ment de la scène politique et religieuse...».

Ritrovò, è vero, alcuni dei suoi antichi fedeli45 - primo tra tutti il Pontard - ma nella nuova situa-zione della Francia, avviata dalla mano ferma del Bonaparte sulla strada di un «sano» riassetto bor-ghese, mentre erano in corso le trattative per il concordato, non solo lo stato d'animo delle masse era ormai radicalmente mutato da quello di dieci anni prima, ma, addirittura, non vi era più posto per lei e per il suo misticismo rivoluzionario. Eppure la Labrousse non disarmò, nonostante le insistenze dei familiari, che avrebbero voluto che ritornasse nel Périgord; raccolse di nuovo attorno a sé un gruppo di fedeli, vecchi e nuovi, e continuò il suo apostolato, che venne assumendo, per forza di co-se, un carattere clandestino e segreto.

Né nelle nuove circostanze ella si staccò dal cattolicesimo anche se si fecero sempre più profon-de e robuste le componenti mistico-occultistiche della sua concezione. Allo studio dei libri sacri e in particolare dell'Apocalisse si venne affiancando, sino a prendere su di esso la prevalenza, lo studio delle opere degli illuminati. Sembra anzi che negli ultimi anni cercasse di conciliare il suo mistici-smo cattolico con «les secrets de la philosophie isiaque» e si desse soprattutto agli studi kabbalisti-co-occultistici e alla ricerca della pietra filosofale46.

Morì nel 1821 tra le braccia del fedele Pontard, che nominò suo erede. Secondo un'acuta osservazione di Sainte-Beuve47, «rien n'est plus ordinaire que de rencontrer des

hommes qui croyent en Dieu et en la Providence, ou qui le disent, et rien n'est plus rare que d'en trouver qui, dans toutes leurs actions ou dans tous leurs jugements, se comportent comme s'ils croyent en realité». Uno di questi rari casi è costituito a nostro avviso dalla Labrousse. E da tale premessa bisogna muovere se se ne vuole veramente comprendere la vita e il pensiero: ogni inter-pretazione che muova da altre premesse è a nostro avviso assolutamente inadeguata e destinata, sin negli aspetti minori, ad impantanarsi in una serie di luoghi comuni e di pregiudizi che non possono che rendere incomprensibili ed assurdi tale vita e tale pensiero e che possono rendere un fenomeno, che ha un suo posto ben preciso ed importante per la comprensione - attraverso l'individuazione di uno stato d'animo che è individuale ma al tempo stesso, in forme ancora più ingenue ed elementari, comune a vasti ambienti del tempo - del momento religioso della Rivoluzione Francese, un caso in-dividuale e patologico privo di un valore storico concreto.

È innanzi tutto da respingere ogni interpretazione che ponga le sue premesse in un aprioristico giudizio di pazzia o di abile ciarlataneria. La tesi della pazzia, o meglio della grande névrose, è sta-

43 Journal de P. Pontard, 1793 (n. 7), II quindicina d'aprile, p. 111. 44 C. MOREAU, op. cit., pp. 233-34. 45 Dal Journal prophétique e dal Journal de P. Pontard risulta che anche dopo la partenza per Roma della Labrousse

numerosi furono i fedeli della profetessa perigordina. Essi si rivolgevano in continuazione al Pontard per aver notizie di lei e reclamando la pubblicazione dei suoi scritti ancora inediti.

46 Biographie des hommes vivants, IV, Paris 1818, p. 13; C. MOREAU, op. cit., pp. 234-36. 47 C.-A. SAINTE-BEUVE, Causeries du lundi, cit., IV, p. 149.

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ta sostenuta dal Moreau, che ad essa ha dedicato tutto l'ultimo capitolo del suo libro, ed è stata ri-presa, sic et simpliciter, da quasi tutti coloro che hanno avuto occasione di occuparsi en passant del-la Labrousse, come il Dufourcq48, o, come il Bourgin49, nel corso di indagini particolari, volte a stu-diare qualche episodio specifico della sua vita, a prescindere cioè da ogni sia pur limitato tentativo di inquadrarne la figura nel momento storico concreto. Contro di essa prese già apertamente posi-zione il Péllet con una violenza di linguaggio forse anche eccessiva. «Cette argumentation - ebbe a scrivere infatti50 - est bien imprudente, dangereuse au plus haut point sous la plume d'un prêtre. On peut supposer que si Suzanne Labrousse lui paraît folle, c'est peut-être qu'elle a parlé contre l'ortho-doxie catholique et pour l'Eglise gallicaine. Si elle avait soutenu les prêtres réfractaires, elle serait sans doute une sainte, comme l'histerique Marie Alacocque, ou une créature bénie du ciel, comme la scrofuleuse Bernardette Soubirous, l'héroïne de Lourdes». Parlare per la Labrousse oggi di follia, quando ormai anche in medicina tale termine non ha più alcun senso e non è più usato, è volersi precludere volontariamente ogni possibilità di comprensione della sua figura. Spiegati infatti ormai clinicamente estasi, visioni, audizioni, senso di presenza, stigmate, nonché le relazioni strettissime che uniscono tali manifestazioni esteriori della cosiddetta esperienza mistica con la neuropatia, ammesso anche da parte ecclesiastica51 che «nelle anime più favorite dalle grazie mistiche più ec-celse, elementi morbosi si siano potuti mescolare a intuizioni molto profonde e alla più elevata mo-ralità o spiritualità» e che spesso «è difficilissimo discernere ciò che sembra morboso da ciò che de-ve essere considerato come slancio mistico», è sempre più difficile poter fare come nel passato dif-ferenza tra fenomeni naturali e fenomeni mistici. Le sottili distinzioni tra veri e falsi mistici risulta-no in tali condizioni sempre più difficili e in molti casi tutt'altro che convincenti. Nel caso specifico della Labrousse (per la quale si può parlare di audizioni e di senso di presenza) defmirla una falsa mistica, una povera malata non ha pertanto alcun significato concreto: non spiega nulla di lei, del suo pensiero e delle sue azioni, tanto meno spiega come essa potesse trovare dei fedeli numerosi e d'ogni ceto e condizione. Meglio dunque abbandonare ogni questione sul suo stato psichico e medi-co in genere, ogni sottile questione sul suo vero o falso misticismo e prendere, invece, questo nel senso dell'accezione più comune della parola, come, appunto, credenza fanatica ed incrollabile in Dio e nella sua provvidenza, facendo di tutto il resto, audizioni e stato di presenza compresi, qual-cosa di accessorio. Impostato così il problema storicamente, infine, anche la tesi dell'abile ciarlata-neria - del resto insostenibile in sede di documentazione ed anzi smentita da numerose testimonian-ze52 - viene automaticamente a cadere.

Fatta questa breve premessa d'indole, diciamo così, metodologica, stabilito cioè come in sede storica non sia possibile a nostro avviso respingere a priori con la generica definizione di pazzie o di ciurmadorie il misticismo della Labrousse, il primo problema che sorge a chi voglia indagare tale misticismo è quello delle sue origini.

Si è visto nel precedente capitolo come tutta una serie di motivi mistici fossero ampiamente dif-fusi in Francia nel XVIII secolo: tale constatazione non è però da sé sola sufficiente a risolvere il problema, soprattutto se si tengono presenti i caratteri distintivi del misticismo labroussiano e il suo progressivo evolversi in senso decisamente democratico. Che - infatti - di evoluzione in questo sen-so si debba parlare e non di slittamento dal campo mistico-religioso al campo politico e, parallela-mente, addirittura dal misticismo al deismo (il Moreau53 e sulla scia sua il Crédot54 sostengono che essa avrebbe finito per fare di Gesù Cristo «une sorte de jacobin à bonnet rouge»), non ci sembra vi

48 A. DUFOURCQ, Le régime jacobin en Italie. La République Romaine (1798-1799), Paris 1899, p. 188. 49 G. BOURGIN, art. cit., p. 311. 50 M. PELLET, op. cit., pp. 215-16. 51 J. LHERMITTE, op. cit., trad. it., p. 216 e passim. 52 La buona fede della Labrousse non fu messa in dubbio da alcuni dei suoi contemporanei, anche tra coloro che con

essa polemizzarono, il Gerle, per es., e l'anonimo autore delle Prophéties de mademoiselle Suzette de La Brousse, ecc. più volte citate (che tra l'altro riporta i giudizi nettamente favorevoli del Ducherou e del Grivet). Uguale giudizio fu e-spresso dal Cacault che la conobbe a Roma e dagli estensori della Biographie des hommes vivants.

53 C. MOREAU, op. cit., p. 78. 54 J.-P. CREDOT, op. cit., p. 513.

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sia dubbio: la missione romana della Labrousse, la sua messianica attesa dell'anno 1800, gli ultimi oscuri anni della sua vita dimostrano inequivocabilmente come ogni atteggiamento della profetessa perigordina fosse sempre determinato da una ben precisa istanza religiosa. Altrettanto inequivocabi-le è però che al fondo della concezione mistico-religiosa della Labrousse vi sia sempre un quid di natura squisitamente democratica che non è riscontrabile negli altri mistici ed illuminati francesi del nostro periodo, che veramente aperti alla democrazia, nel senso letterario e storico del termine, non furono mai, come si è visto. In questi - sarà bene ripeterlo ancora una volta - prevale sempre, nel-l'ambito della loro più vasta concezione teocratica, un atteggiamento politicamente e socialmente molto moderato che nulla ha a che vedere con la democrazia in genere e con le forme anche più moderate che essa veniva assumendo in Francia in quegli anni di rivoluzione. Non deve trarre in in-ganno a questo proposito il loro democraticismo, diciamo così messianico, con cui essi parlano e si riferiscono alla società futura: una cosa è per essi il futuro millennio, democratico ed egualitario perché di spiriti ormai illuminati e completamente rinnovati dalla perfezione della raggiunta comu-nione con Dio, un'altra cosa è invece la società di trapasso in cui essi vivono e operano e di cui la Rivoluzione non è che il primo, pallido e catartico inizio.

Al fondo della concezione della Labrousse e del suo democraticismo sincero e in continuo con-cretizzarsi secondo il corso degli avvenimenti rivoluzionari, è a nostro avviso un tutt'altro che tra-scurabile residuo camisard. Non per nulla la sua famiglia, pur essendo alla metà del secolo cattolica e contando fra i suoi membri vari religiosi55, era di origine calvinista; del resto anche a prescindere da questo fatto, ai suoi tempi la tradizione camisarde era ancora viva nel Périgord, regione, allora come oggi, con una notevole minoranza protestante, cosicché ci sembra lecito pensare che la giovi-netta, venutane prestissimo a conoscenza dai racconti di qualcuno degli ultimi superstiti, dei loro di-scendenti e correligionari, ne avesse quasi inavvertitamente acquisito gli elementi più immediati ed elementari e si fosse entusiasmata ad ascoltare la narrazione dell'epica lotta contro il potere statale, la nobiltà cattolica e il clero fanatico e intollerante dei calvinisti della Dordogne per la loro fede e fosse rimasta particolarmente colpita dalle gesta fanatiche delle cento e cento profetesse che aveva-no animato sino alla fine il movimento cévenol. Né escluderemmo che le sia capitata tra le mani qualcuna delle opere tipiche del profetismo camisard, come, tanto per fare un esempio, l'Accomplis-sement des prophéties ou la délivrance prochaine de l'Eglise di P. Jurieu. Non per nulla negli E-nigmi e negli altri suoi scritti ci sembra sovente di cogliere una serie di echi, che, data la non grande preparazione culturale della Labrousse, non sapremmo far risalire altro che alla tradizione camisar-de.

Per stabilire meglio i termini di questa influenza sarà forse opportuno ricordare come l'esperienza camisarde56 fosse stata tutta pervasa appunto da motivi mistici e profetici e come essa vedesse in prima linea specialmente le donne. La fede senza pari, il fanatismo dei camisards erano stati infatti sostenuti da una predicazione continua ed intensissima57; questa a sua volta si fondava su un profe-tismo di massa di ispirazione decisamente apocalittica. Non per nulla il Puaux ha giustamente os-servato a questo proposito: «Il a les origines les plus lointaines, car il se réclame de la prophétie bi-blique et surtout d'un livre célèbre, l'Apocalypse, éternelle protestation de la justice contre les victoi-res de la force brutale. Aux jours d'une persécution qui semblait triomphante, l'auteur de l'Apoca-lypse, dans la splendeur d'une vision céleste, voyait se découvrir à lui les secrets de l'avenir et an-nonçait la victoire du Christ»58. Tale profetismo postulava la nascita della Nuova Chiesa e conside-rava la Chiesa romana (dal secolo V in poi) l'Anticristo. Molti profeti camisards pretendevano di avere in sé lo Spirito Santo.

55 H. BRUGIERE, Le livre d'or des diocèses de Périgueux et de Sarlat ou le clergé du Périgord pendant la période ré-

volutionnaire, Montaeuil-sur-mer 1883. 56 Sull'insurrezione camisarde esiste una vasta letteratura. Si vedano: BRUYES, Histoire du fanatisme de notre temps,

Utrecht 1737, 2 voll.; F. PUAUX , Origines, causes et conséquences de la guerre des Camisards, in Revue historique, 1918, sett.-dic., pp. 1-21, 209-43; A. DUCASSE, La guerre des Camisards, Paris 1946; R. A. KNOX, op. cit., pp. 356-71.

57 C. BOST, Les prédicants protestants des Cévennes et du Bas-Languedoc, 1684-1700, Paris 1912, 2 voll. 58 F. PUAUX , op. cit., p. 19.

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Dal punto di vista politico, poi, i camisards non potevano che suscitare una tradizione tenden-zialmente democratica. E ciò non solo per il carattere popolare che l'insurrezione aveva assunto (lot-ta contro i ricchi signori e il clero cattolici, rifiuto di pagare le tasse), ma anche per il tono della pre-dicazione di gran parte dei suoi esponenti più qualificati. Il Jurieu59, per esempio, in varie opere e particolarmente nelle Lettres pastorales addressées aux fidèles de France qui gémissent sous la captivité de Babylonie, où l'on trouvera aussi les principaux événements de la presente persécution (Rotterdam 1686) aveva sostenuto la sovranità popolare, il patto tra i popoli e i re («C'est un axiome indiscutable et qui n'a pas besoin de preuves, que le peuple est celui qui fait les rois»60), nonché il diritto alla resistenza e all'insurrezione.

Va subito chiarito che quando parliamo d'influenza camisarde sulla formazione della Labrousse ci riferiamo solo ed esclusivamente all'aspetto profetico e a quello democratico e non anche a quello più propriamente religioso. Pur risentendo indubbiamente dell'influenza camisarde, infatti, la La-brousse si mantenne sempre saldamente nell'ambito del cattolicesimo, senza mai abbandonarsi a suggestioni o motivi protestanti, che, anzi, ella respinse e condannò esplicitamente61. La sua riforma della Chiesa non ebbe mai nulla in comune con quella calvinista o di altra confessione o setta prote-stante. Essa stessa lo riconobbe esplicitamente facendo riferimento alla rivoluzione inglese e agli aspetti religiosi di essa e paragonandola alla Rivoluzione francese: «il n'y a aucune comparaison à faire d'avec l'Angleterre et nous, parce qu'elle a d'ailleurs, changé ses dogmes, supprimé les sacra-ments, etc. au lieu que nous exigeons au contraire, sinon qu'on la fasse exercer, cette religion sainte, avec beaucoup d'exactitude et de vénération, que ses ministres soient réguliers dans toute leur conduite»62.

Essa era cattolica, profondamente cattolica (seppur di un cattolicesimo permeato a volte di moti-vi magico-popolari del tipo tradizionale diffuso a quel tempo nelle campagne francesi63), e lo fu sin dagli anni della sua fanciullezza - dall'età di circa vent'anni in poi fece, almeno non le fosse impedi-to da gravissimi motivi di forza maggiore, la comunione ogni giorno - e sostanzialmente lo rimase per tutta la vita. Anche se sui suoi ultimi anni poco o nulla sappiamo, siamo propensi a credere che anche in questa fase kabbalistico-occultistica non ripudiasse il cattolicesimo: numerose altre espe-rienze del genere ci mostrano come le due cose potessero convivere, e il silenzio del Grégoire, così preciso ed informato, ce lo conferma. Una grande fede e un grande amore per Dio e per gli uomini la muovevano e la condizionavano in ogni suo atto. Il trionfo della religione in tutto il mondo fu sempre il suo ideale e il fine di tutti i suoi sforzi. Tutto si riassumeva e era in funzione di esso. Così anche la Rivoluzione non era per lei «dans les vues de Dieu qu'un moyen de resusciter l'intérieur des hommes, que ces grands changemens que l'on voit s'opérer dans l'ordre ne sont faits que pour ouvrir l'esprit et le préparer à un nouvel état de choses dans l'ordre religieux64»: tiranni e «sacerdoti della sinagoga» dovevano essere abbattuti perché la Chiesa riprendesse «son premier éclat».

Di formazione nettamente cattolica, i motivi illuminati (prevalentemente limitati alla concezione angelica e al magnetismo) non sorsero in lei che con il suo soggiorno parigino65, scoppiata la Rivo-luzione, quando cioè la sua formazione e la sua personalità erano ormai nettamente definite ed essa - almeno nel Périgord - già nota ed affermata come anima profondamente pia, religiosa e profetica.

59 C. VAN OORDY, P. Jurieu historien et apologète de la Réformation, Génève 1879; R. LUREAU, Les idées politi-ques de Jurieu, Bordeaux 1904.

60 La Labrousse a sua volta, nella Réponse a M. l'abbé Maury (Recueil, cit., p. 190): «Mais quant aux élections, tenir ferme, parce que si un roi pouvoit nommer, tout un peuple le peut; parce qu'un roi ne tient sa naissance que de son peu-ple».

61 Discours, ecc., cit., in Recueil, cit. p. 226. 62 Réponse a M. l'abbé Maury, cit., in Recueil, cit., p. 144. 63 I Discorsi sono ricchi di testimonianze in questo senso, specialmente nelle parti dedicate alla medicina e all'alle-

vamento e all'educazione dei bambini. Si veda, per es., a p. 53 la descrizione di come si deve procedere (mettendo in mano al neonato una talpa agonizzante) per infondere ad un bambino particolari capacità medico-guaritrici.

64 Journal prophétique, 1792 (n. 3), II sett. di febbraio, p. 42. 65 Sui problemi del magnetismo (da essa contrapposto alla medicina volgare) la Labrousse si intrattenne a lungo nei

suoi Discorsi romani (pp. 29-41); da tali discorsi è possibile farsi un'idea dell'importanza terapeutica che essa dava al magnetismo e delle conseguenze di ordine più generale, tcorico, che essa ne traeva.

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Nulla di più sincero e vero dunque di quel «cri» che a suo dire66 si levava da tutta la sua vita: «depuis longtemps... le Seigneur Dieu éclaire toute la terre!».

Anche in pieno clima rivoluzionario, sottoposta alle più disparate influenze e pressioni da parte degli ambienti giacobini e di quella parte del clero costituzionale che aveva spinto la sua adesione alla Rivoluzione e la sua avversione alla gerarchia romana sino al punto di scendere di fatto sul pia-no del deismo67, la Labrousse non defletté in nulla dal suo fermo cattolicesimo. A coloro, per esem-pio, che a Roma, come in Francia, sostenevano che la religione cattolica si doveva mantenere per-ché era la più favorevole per il governo, rispondeva68 - anche nel più duro della lotta - con intransi-gente categoricità che ciò era vero, ma che la religione cattolica era soprattutto «la più santa e la più propria per la salvazione delle anime».

Cercando di esaminare un po' più da vicino la sua concezione vediamo che essa si fondava su due elementi chiave: la fede e l'amore in Dio e negli uomini, di cui abbiamo già detto, e il convin-cimento che la Chiesa fosse ormai giunta, per l'indegnità dei suoi ministri e la degenerazione tem-porale della corte papale di Roma, al massimo della depravazione. Da questa abissale depravazione, così come annunciato in tante profezie antiche e moderne (la Labrousse, come tutti i mistici, accet-tava pienamente l'identificazione di Roma con la Babilonia dei profeti biblici), la Chiesa, e con essa l'umanità tutta, stava ormai per risollevarsi. La Chiesa sarebbe presto ritornata alla sua primitiva pu-rezza tutta spirituale: il suo riscatto avrebbe corrisposto alla sua completa diffusione e al suo trionfo in tutta la terra, e anche gli ebrei sarebbero finalmente venuti a Cristo. Al trionfo della religione cat-tolica avrebbe tosto corrisposto una totale trasformazione politica e sociale. La pace universale a-vrebbe preso stabile dimora sulla terra tra i popoli divenuti tutti fratelli. Gli antagonismi, gli odi, le guerre, gli orrori, le stragi sarebbero definitivamente scomparsi; la terra sarebbe stata fecondata da ogni specie di benessere; non vi sarebbero più stati soldati che perdevano il loro tempo in evoluzio-ni militari; gli Stati non avrebbero avuto più che agricoltori; il ferro delle armi sarebbe stato fuso per essere trasformato in strumenti agricoli; i popoli, contenti e soddisfatti, non avrebbero avuto tra loro che amichevoli rapporti commerciali, che uno scambio di benessere69. Il benessere sarebbe sta-to tale che l'oro e l'argento non avrebbero avuto più alcun valore e sarebbero divenuti comuni «co-me i sassi nelle strade»70. In questa nuova società, secondo gli Enigmes (in un secondo tempo - co-me si vedrà - la Labrousse modificò sotto la pressione degli avvenimenti della Rivoluzione il suo punto di vista circa la monarchia), la Francia, ritornata finalmente nel suo ruolo di figlia prediletta di Dio, e la sua monarchia avrebbero avuto un compito di primo piano. Nella diciottesima profezia la Labrousse osservava:

«Si je ne me trompe pas, le roi de France, en qualité de fils aîné de l'Eglise, donnera la couronne du saint Empire à tous les rois de la terre; qu'en cette double couronne il y sera incrusté en matière première le symbole de la foi, et ils ne jureront que par lui et n'auront de gloire qu'en lui».

E il Pontard71 a sua volta commentava: «On croit que cette énigme parle de Jésus-Christ, qui, daignant reparaître parmi nous sur la terre,

raménera tous les rois au sein de l'Eglise par le symbole de la foi, et qu'ils ne jureront alors que par lui et n'auront de gloire qu'en lui».

Il papa invece, ovviamente, avrebbe perso ogni potere temporale e la sua autorità - di primus in-ter pares - si sarebbe rigorosamente ridotta allo spirituale:

66 Réponses de Mlle LABROUSSE aux Opinions de l'abbé Maury sur la Constitution Civile du Clergé, in Recueil, cit.,

p. 118. 67 Anche se limitato sostanzialmente all'aspetto italiano di questo problema si veda R. DE FELICE, L'evangelismo

giacobino e l'abate Claudio della Valle, in Riv. Storica Italiana, 1957, pp. 196-249, 378-410. 68 Discorsi, ecc., cit., p. 27. 69 Journal prophétique, 1792 (n. 26), IV sett. di luglio, p. 53. 70 Discorsi, ecc., cit., p. 195. 71 Le edizioni degli Enigmes anteriori a quelle del Recueil riproducono solamente le profezie della Labrousse. Nel

Recueil il Pontard corredò numerosi enigmes di un suo commento esplicativo. Nel riprodurli in appendice abbiamo cre-duto utile dare in nota anche queste osservazioni del Pontard.

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«Le chef de l'Eglise n'aura plus aucune juridiction temporelle, qui a été jusqu'à présent comme un monstre qui a dévoré une infinité de peuples à l'Eglise, il ne sera plus regardé que comme média-teur entre Dieu et les hommes; les potentats qui auront accepté de cette double couronne, en protes-tant de la soutenir contre toute sorte d'attentats, lui feront, quant à son temporel, un sort infiniment au-dessus, de celui qu'il s'est fait lui-même» (XIX profezia).

Protagonisti di questa fantastica trasformazione sarebbero stati ovviamente la volontà, la grazia, la bontà di Dio, ormai sul punto di rivelarsi direttamente dopo tanti secoli di oscurità e di presenza mediata. Di essa esistevano però già le premesse nel buon popolo di Francia e del mondo in genere. In quel popolo che, nonostante tutto, è giusto e buono («sì, lo dico e lo ripeto, il popolo in generale è giusto, è buono»72) e che non ha perso la fede. «La foi... a été toujours pure et saine, et l'est en-core»73, sottolineava sovente la Labrousse.

Strumento consapevole di tale trasformazione sarebbe stato altresì un piccolo gruppo di esseri umani che, illuminati dal Signore e dedicatisi completamente a lui e alla sua opera, «ne doivent a-spirer à aucun autre emploi que celui de victime». Tali vittime, tra le quali la Labrousse metteva sé stessa, non dovevano costituirsi in congregazione o in qualsiasi altra maniera che potesse distingue-re dal resto dei mortali: nessuna distinzione, nessuna superiorità, solo la fede, il sacrificio e l'annul-lamento di ogni ambizione dovevano distinguerle. Unica loro distinzione «sera proprement de n'en avoir point, à l'imitation du Sauveur qui n'avoit rien, ne possédoit rien et qui est comparé à un ver de terre. Les souffrances, les croix, voila leur dotation»74.

Questa, un po' più da vicino, la concezione di Suzette Labrousse alla vigilia e al primo domani della Rivoluzione.

Gli avvenimenti dell'89 sembrarono dare ad essa conferma, le fornirono, di conseguenza, nuovo tono e vigore e vennero precisandone i contorni.

Una lettera del febbraio 1790 ci fornisce preziosi elementi sulla valutazione che della Rivoluzio-ne ella dette:

«Ce que l'on appelle aujourd'hui révolution n'est qu'un préliminaire nécessaire de ce que doit en-traîner après lui l'événement attendu, et n'en est en effet que les symptômes; que l'univers, à cet ins-tant, se sentira comme régénéré et rempli d'alégresse. L'ordre moral et physique y est même intéres-sé; il n'en résultera d'autre destruction que celle des préjugés, et de la cause des maux qui inondent toute la terre. Les corps reprendront une nouvelle vigueur, seront dans un nouvel état de santé, oc-casionné par la joie de leur âme. On s'attachera par toute la France à la faire abonder en fruits; la paix et la tranquillité seront universelles; loin qu'il s'en suive aucune destruction, les hommes n'en seront que plutôt régénérés» (lettera al cugino, vedila in Appendice A, 2).

L'adesione della Labrousse fu, come si vede, piena e totale. Del resto, numerosi altri documenti e testimonianze la provano inequivocabilmente. Non solo essa aderì in toto alla Rivoluzione e ai suoi principi, ma ne accettò gli sviluppi e, anzi, sotto lo stimolo di essi venne anche modificando in parte le sue primitive posizioni.

Particolarmente entusiasta fu la sua adesione alla Costituzione e al nuovo assetto religioso. In fa-vore di essi, modesta giovane di provincia, non ebbe timore a prendere in mano la penna e a scende-re in campo (Réponses de Mlle Labrousse aux opinions de l'abbé Maury sur la Constitution Civile du Clergé [1791]75) contro uomini di primissimo piano come il famoso abate Maury76.

72 Discorsi, ecc., cit., p. 127. 73 Discours sur les objections qu'on m'a faites, ecc., cit., IV obiezione, in Recueil, cit., p. 226. 74 Journal prophétique, 1792 (n. 30), 3 settembre, p. 115; si veda anche il Précis de la vie di S. Labrousse del Pon-

tard (Recueil, cit., p. 71). 75 Lo scritto dell'ab. Maury contro cui la Labrousse polemizzo è l'Opinion sur la Constitution civile du clergé pro-

noncée dans l'Assemblée nationale, le samedi 27 nov. 1790, Paris (1790). Nel suo scritto la Labrousse riecheggia in lar-ga misura una giustificazione della Costituzione civile del clero del Pontard all'incirca dello stesso periodo (vedila in J.-P. CREDOT, op. cit., pp. 416-82).

76 Sull'abate Maury si vedano: A. RICORD, L'abbé Maury, Paris 1887 e la Correspondance diplomatique et mémoi-res inédites du card. Maury (1792-1817), par A. RICORD, Lille 1891, 2 voll.

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La Costituzione era per essa «sainte», «parce que non seulement elle nous réintegre dans nos droits, mais encore, parce qu'elle est plus l'ouvrage de Dieu, que des hommes»77. Essa non aveva fatto che rimettere l'uomo nei suoi diritti: era un atto di giustizia; andava pertanto sostenuta e difesa in ogni modo, «jusqu'à la mort». I discorsi pronunciati dalla Labrousse nei clubs e nelle piazze della Francia centro-meridionale nel '92, durante il suo viaggio verso Roma, sono un vero e proprio inno alla costituzione: «Ainsi donc, braves patriotes, il faut bien soutenir la Constitution de la vie à la mort, non seulement parce qu'elle est la justice des choses, mais encore parce qu'elle nous renou-velle et nous rapproche beaucoup de l'esprit de l'Évangile, qu'elle nous remet d'une manière sensi-ble, dans ces moeurs pures que le devin législateur nous avoit transmises: quelque déchirement, quelque trahison qui arrive, ne vous rebutez pas, par la raison que dans le cours d'une révolution comme la nôtre, on doit comme s'attendre à tous les genres de maux que peuvent enfanter la trahi-son, la cabale et surtout la scélératesse de ceux qui sont avides du bien et du sang de leurs sembla-bles»78. Costituzione e vero cristianesimo, patriota e buon cristiano si identificano quasi. I discorsi romani della Labrousse sono a questo proposito ancor più espliciti: «è impossibile d'esser buon cri-stiano se non (si) è buon patriotta»79. Anzi, considerato «il cristianesimo di questo tempo», ancora corrotto e falso, «si può esser patriotta senz'esser cristiano... perché chi dice patriotta dice o deve in-tendere un individuo amante della sua patria, difensore delle sue case, delle sue proprietà, delle sue famiglie, de' suoi cittadini, come de' suoi domestici, in una parola zelante pel bene di tutti, zelo ch'è quella stessa carità tanto raccomandata da Gesù Cristo, e che secondo S. Paolo è il fondamento, la base della sua divina Legge, al punto che senza un tal fondamento il Cristianesimo non val nien-te»80.

La Costituzione civile del clero a sua volta ha tutta l'adesione possibile della Labrousse, e non solo essa, ma anche i provvedimenti e le pratiche che in base al suo spirito si diffondevano nel clero costituzionale (vendita dei beni ecclesiastici81, matrimonio dei preti82, ecc.). In essi la Labrousse non vede alcun attentato alla fede, solo un ritorno alle origini della Chiesa. Essa, infatti, è in pieno nell'ortodossia e nella tradizione del vero cristianesimo83 e risponde perfettamente alla concezione della sovranità di questo:

«Dieu, auteur et principe de tout être, et par conséquent de toutes puissances, soit temporelles, soit spirituelles, comme étant de sa volonté; or, étant la sainteté et toute autre perfection par lui-même, tout ce qui émane de lui est saint et très-bon, et l'excellence même; or la puissance des puis-sances, c'est-à-dire la civile, est donc, ainsi que la puissance spirituelle, dans l'ordre des choses, et doivent, de leur nature, se concilier de manière à ne se nuire en rien ni l'une ni l'autre; et si elles sont bien connues, on verra aisément qu'elles pouvoient aller très-parfaitement de pair ensemble, sans souffrir la moindre contrariété, et voici comment: la puissance civile a son droit sur tout ce qui est terrestre, temporel et sujet au temps; ainsi elle a son droit sur nos corps et sur nos biens, et un cha-cun ne doit vouloir les refuser, ni les rejeter, quand il s'agit du bien général de la nation. La puis-sance spirituelle n'a droit que sur ce qui est de l'autre vie, c'est-à-dire, qui doit succéder à celle-ci; ainsi, sa puissance ne s'étend que sur les volontés qui se portent à s'assurer un heureux sort après leur mort; de sort que cette-dite puissance spirituelle doit suivre la civile, à raison que, qu'elle aille où elle voudra, elle ne peut se nuire en rien, attendu que, malgré qu'elles peuvent se concilier parfai-tement ensemble, leurs propriétés n'ont cependant rien de commun; de sort que la puissance civile ne peut, quand elle le voudroit tant et plus, s'approprier aucun de ces pouvoirs spirituels, n'étant nul-lement de son fait ni de sa compétence: elle a plutôt le pouvoir d'en empêcher l'exercice public que la cour, parce que la religion est libre et indépendante de tout ce qui est terrestre; que ceux donc qui

77 Discours sur les objections qu'on m'a faites, ecc., cit., in Recueil, cit., p. 211. 78 Ivi, p. 214. 79 Discorsi, ecc., cit., p. 99. 80 Ivi, p. 95. 81 Discours sur les objections qu'on m'a faites, ecc., cit., VI obiezione, in Recueil, cit., pp. 240-250. 82 Ivi, pp. 250-253 (VII obiezione). 83 A proposito dell'elezione dei vescovi per clero e popolo, per es., la Labrousse affermava: «cette méthode est la

meilleure de toutes et devrait subsister à jamais» (Réponse, ecc., cit., in Recueil, cit., p. 172).

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en sont les dépositaires, et qui ont été marqués du sceau pour ce fait, s'éclairent sur les bornes de leurs pouvoirs et de leurs droits, et ils verront sans peine, qu'une religion forcée n'est rien; qu'en vain prodiguent-ils leurs pouvoirs à profusion, cela n'est de nul effet: cette puissance spirituelle n'a donc d'effet que sur ceux qui y mettent quelque intérêt; c'est donc à ceci que cette puissance spiri-tuelle doit viser, uniquement s'attacher, et peut s'affecter de ce qui n'est pas dans le cas d'anéantir le but et le cours. Que tout homme remonte donc à l'origine et au principe des puissances, et il verra clair que les puissances n'ont été établies que pour l'homme; la spirituelle, pour lui assurer un heu-reux sort après cette vie; la civile, plutôt pour terminer leurs différents, que pour les subjuguer et les dominer; ainsi tout a été fait pour l'homme; et plus pour lui que pour Dieu même, et cela ne souffre aucun doute; et voici comment cela peut se prouver et se faire sentir à quiconque remonte à cette origine des choses. Qui est-ce qui ne sait pas que Dieu n'a pas besoin de nous, et qu'il se suffit à lui-même?

Mais ce Dieu de bonté, voyant que le bonheur de jouir de lui était un bien qui feroit des heureux, et pouvoit en faire à l'infìni, il créa des êtres émanés de lui, pour qu'ils pussent ressentir ce qu'il sen-toit, en un mot, revetus de toutes ses qualités, afin qu'ils puissent jouir en plein de toute sa gloire. Et qui furent donc les anges? ces êtres étant donc beaux comme Dieu, une grande partie s'attribuèrent leur propre excellence, malgré qu'ils n'ignorassent pas ne la tenir que de lui; ce qui, dès ce moment, selon le langage de l'esprit-saint, les précipita dans l'abyme de leurs fausses opinions. Pour les rem-placer, Dieu créa l'homme moins doué de beauté que ces premiers êtres, pour leur éviter un pareil malheur; mais ces esprits, jaloux de s'aller voir remplacer par des êtres moins doués de moyens qu'eux, se hâtèrent de les précipiter, par des surprises, avec eux; et malgré leur réussite, étant de beaucoup moins coupables que ces premiers, Dieu leur promit de leur envoyer un rédempteur pour les relever de cette chûte: de sorte donc que Dieu, le premier, nous donne en cela une grande preuve que tout a été fait pour l'homme, et un grand exemple, comme nous devons tout faire pour lui, puis-que cet Etre suprême fait descendre son fìls du sein de sa gioire, pour le réduire dans la dernière bassesse, pour nous sauver. Quel exemple pour nous, des sacrifìces que nous devons faire, pour le bien public et général!

Rentrons donc tous dans l'esprit primitif des principes des puissances, et nous verrons, clair comme le jour, que ce ne sont pas elles qui nous ont égarés, mais que c'est plutôt nous qui nous en sommes écartés; de sorte donc que, si les droits de ces deux puissances n'étaient pas méconnus, ou s'ils l'étoient et qu'on fût de bonne foi, tout irait bien.

Que tous ceux qui liront ceci, se persuadent bien que toute loi, et toutes espèces de lois n'ont été faites que pour l'homme, et non l'homme pour la loi; et que par conséquent on ne doit pas sacrifier les hommes pour les lois, mais plutôt les lois pour les hommes»84.

Salda in questi principi Suzette Labrousse vedeva insomma la Francia rivoluzionaria, dell'età cioè intermedia tra il vecchio e il nuovo, come una democrazia religiosa indipendente da Roma e in cui Chiesa e Stato - avendo lo stesso principio e muovendo dalle stesse premesse evangeliche - si identificavano in sostanza, anche se ovviamente, nei primi tempi, doveva essere quella ad ispirare questo. E di conseguenza il suo appello ai patrioti:

«Ainsi, braves patriotes, quels que vous soyez, allez à l'église pour y apprendre les lois de l'église, pour bien faire votre salut, et vous assurer, par ce moyen, la paix et la tranquillité d'âme, tant que vous serez dans ce monde, et un bonheur assuré pour l'autre vie; car vous concevez tous qu'on demeure plus couché que levé... Au reste, notre soumission à l'église, dans la vue d'obeir à Dieu, lui plaît infiniment et nous est un torrent de bénédictions du ciel»85.

Da queste poche, ma fondamentali premesse discendeva tutta la pratica politica della Labrousse, il suo moderatismo politico e sociale. Libertà ed eguaglianza86 avevano per lei limiti ben precisi, tratti dalla morale evangelica. Tanto era ferma nel condannare il despotismo, la teologia reazionaria della Chiesa romana, il ridiculismo (cioè il conformismo delle classi dominanti sotto l'ancien régi-

84 Réponse, ecc., cit., in Recueil, cit., pp. 119-123). 85 Discours, ecc., cit., in Recueil, cit., pp. 282-283. 86 Ivi, pp. 256-259.

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me87), così era decisa nel respingere ogni sorta di estremismo pseudo-rivoluzionario. Si veda, per esempio, la sua ferma avversione ad ogni progetto di divisione delle terre e ad ogni terrorismo fine a sé stesso. Osservava nel primo caso:

«Quant au partage des terres, dont plusieurs trouveroient bon, tant que la terre ne sera pas régé-nérée, ni les hommes non plus, il est inutile d'y penser, parce que quand cela se décreteroit, ça ne peut se soutenir même un instant, attendez que du moment que cela seroit fait, certains manges-tout iroient vite l'aliéner, si on ne mettoit obstacle aux ventes, ou broquenteroient les choses de manière qu'ils seroient à la mendicité au premier jour: ainsi, celui à qui on auroit ôté une partie de ses biens, pour en faire part à ceux qui n'en ont pas, se trouveroit encore obligé de donner l'aumône à ceux qui auroient de ses fonds... Ainsi c'est une absurdité, avant ce temps de régénération universelle, d'y seulement penser...; c'est une folie étrange d'y viser dans ce moment»88.

Quanto al secondo, non solo condannava ogni persecuzione contro quegli aristocratici che non avevano altra colpa che d'esser tali, che non facevano cioè nulla di male contro la Rivoluzione, ma giungeva sino a sostenere l'opportunità di perdonare agli emigrati pentiti, di permetter loro di torna-re in patria89.

Tale moderatismo però non inficiava menomamente il «patriottismo» della Labrousse: il fondo democratico della sua concezione faceva ad esso da equilibratore, le dava un costante indirizzo che mancava invece agli illuminati veri e propri. Per lei, che si rifaceva al Vangelo e al cristianesimo primitivo, la Rivoluzione non poteva avere che un carattere schiettamente democratico. Pur di sal-vare l'essenza democratica della Rivoluzione essa era pronta a rivedere le sue stesse posizioni. Nel-l'89, nel '90, nel '91, al momento della sua partenza per Roma ella era contraria a coloro che voleva-no l'instaurazione della repubblica in Francia. «Tant que les hommes ne seront pas plus éclairés que ce qu'ils sont... - ripeteva90 - il leur faut un roi». La monarchia non solo avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella futura società, ma era tutt'ora necessaria al popolo a cui occorreva aver l'idea che qualcuno vegliava sulla sua tranquillità e i suoi interessi («il faut au peuple un simulacre»); del re-sto, soggiungeva, se si elimina il re qualche altro vorrà prenderne il posto con gran danno per tutti. Tanto più che «nous avons un bon roi». «Gardons-le» dunque. Questo ella diceva nella primavera del 1792. Nel 1798-99 la sua posizione era mutata: la monarchia è condannata in genere (col ri-chiamo al libro biblico dei Re) e in particolare quella francese91. Conformismo? No. Solo attacca-mento alla democrazia e alla Rivoluzione. Troppi avvenimenti si erano verificati nei sei anni che dividono i discorsi francesi del '92 da quelli romani del '98. La monarchia aveva rivelato il suo vero volto; in Francia col tradimento di Luigi XVI, nel mondo con la coalizione regia contro la Rivolu-zione. Coerente ai suoi principi la Labrousse - e come del resto vedremo nel prossimo capitolo, il Pontard - non poteva che optare per quelle forze e quelle istituzioni che erano nella via del Signore e aprivano la strada al nuovo e non poteva che condannare quelle che tale via rifiutavano di percor-rere e volevano perseverare nel vecchio. Che del resto qualcosa nella monarchia francese non an-dasse la Labrousse aveva oscuramente presentito sin dai primi tempi, quando - contraddittoriamente - profetava il futuro splendido ruolo di essa, la sua estinzione con Luigi XVI, la resurrezione del Delfino.

A chi, sconcertato per i mutamenti e i sacrifici che la Rivoluzione aveva comportato e ancora comportava, annunciava da Roma nel '98:

«Vedo... che v'ha molta gente che pare come sconcertata e che dispera ancora un buon esito di queste nuove cose, ma a questo gli dimostro che la Rivoluzione è come un Padron di Casa, il quale, per ridurre la sua casa alla moderna, la guasta tutta; e frattanto si riduce in molta strettezza ed inco-modo»92.

87 Discorsi, ecc., cit., pp. 75-77. 88 Discours, ecc., cit., in Recueil, cit., pp. 264-65. 89 Ivi, p. 281; si vedano anche i Discorsi romani, passim. 90 Discours, ecc. in Recueil, cit., p. 263. 91 Discorsi, ecc., cit., p. 23. 92 Discorsi, ecc., cit., p. 129.

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Nulla poteva sconcertarla, perché era salda nella sua fede, e davanti ai suoi occhi già passavano le visioni della futura società che avrebbe seguito la bufera rivoluzionaria; non per questo però il suo sguardo non si posava sul presente: per transitorio che fosse, esso non doveva essere solo il giu-stiziere del vecchio, ma doveva affrontare e risolvere nel migliore dei modi i problemi di tutto il po-polo. Per realizzare questo obiettivo immediato una era la strada, quella della democrazia rivoluzio-naria e Suzette Labrousse coerentemente la percorse, in Francia prima e a Roma poi.

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CAPITOLO QUARTO

IL «JOURNAL PROPHÉTIQUE» DI PIERRE PONTARD

Non si può dire che Pierre Pontard, così come la Labrousse, abbia goduto di una «buona stam-pa». Il suo maggiore biografo1, il Crédot2, pur avendone fatto un ritratto meno tendenzioso di quello fatto della Labrousse dal Moreau, si è mantenuto alla superficie della sua personalità, senza affer-rame la vera sostanza. Il Viatte3 se ne è sbrigato con pochi accenni del tutto negativi: per lui il Pon-tard non fu che un invasato, pauroso e roso dall'ambizione, pronto ad ogni palinodia e ad ogni ec-cesso pur di mantenersi sulla cresta dell'onda rivoluzionaria; neppure il fatto che, seppur in chiave diversa, certi suoi accenti «rappellent parfois singulièrement Joseph de Maistre»4 lo ha indotto ad un esame più approfondito della sua personalità. Solo il Mathiez - pur non occupandosi di lui espli-citamente - ha cercato di darne rapidamente una caratterizzazione un po' più approfondita: «Des prêtres comme Fauchet, comme Lamourette, comme Pontard, comme le chartreux dom Gerle, et bien d'autres, sont des mystiques qui se proclament à la fois philosophes et chrétiens, et vont cher-cher dans l'Ecriture l'explication du présent et la révelation de l'avenir»5. Sebbene molto più equili-brata di quella del Crédot, la recente biografia del Lacape6 non porta un gran contributo alla cono-scenza dei problemi di fondo della personalità del Pontard. Il suo interesse sta più che altro in alcuni nuovi o più precisi elementi biografici da essa riportati.

In realtà, la vita di Pierre Pontard ed in particolare i suoi anni rivoluzionari hanno una loro coe-renza, risentono di una logica evoluzione e ci pare rientrino pienamente nel quadro del misticismo rivoluzionario che siamo venuti sin qui tracciando.

Abbiamo già visto quale fosse lo spirito con cui parte del clero francese accolse la Rivoluzione, il suo sforzo di unire il cristianesimo alla Rivoluzione e di interpretare questa alla luce di quello: in questo capitolo tralasceremo pertanto la narrazione della vita del Pontard, della sua formazione ed evoluzione generale, limitandoci ad esaminare l'aspetto di essa che più ci interessa ai fini dell'eco-nomia generale della nostra ricerca: la sua attività di redattore, nei primi anni della Rivoluzione, del Journal prophétique, del più importante strumento, cioè, di apostolato e di propaganda che ebbe a Parigi ed in Francia il misticismo rivoluzionario, o, per meglio dire, il suo gruppo più «impegnato» e che più si spinse - per un certo periodo almeno - sul terreno rivoluzionario vero e proprio. È dal-l'esame, infatti, di questo interessantissimo periodico - fin qua mai veramente studiato - che meglio risulta l'intima sostanza del misticismo rivoluzionario; il suo giudizio sulla Rivoluzione, il suo inse-rirsi in essa, il suo sforzo di dare un senso alla Chiesa costituzionale e fame il nucleo fondamentale della Nuova Chiesa e della Nuova Società tanto attese.

1 Su di lui si può vedere anche H. LABROUE, Les évêques Torné et Pontard et la société populaire de Périgeux, in La

révolution française, 1911, pp. 229-237. 2 J.-P. CREDOT, Pierre Pontard évêque constitutionnel de la Dordogne, cit. 3 A. VIATTE, op. cit., I, pp. 248-50. 4 Ivi, II, p. 85. 5 A. MATHIEZ, Contributions à l'histoire religieuse de la révolution française, cit., p. 99. Il Mathiez (ripreso recen-

temente da A. SAITTA , Il robespierrismo di F. Buonarroti e le premesse dell'Unità Italiana, in Belfagor, 1955, III, pp. 264-65) ha sottolineato tra l'altro proprio l'interesse del Journal prophétique, auspicando che qualcuno lo studiasse a fondo (pp. 15-16).

6 H. LACAPE, Pierre Pontard évêque constitutionnel de la Dordogne, Bordeaux 1952.

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«L'évêque constitutionnel du département de la Dordogne, député à l'assemblée législative, a des données très-autentiques sur le nouvel ordre que Dieu veut établir dans son église, et dont notre ré-volution n'est qu'un leger prélude. Le christianisme, depuis long-temps défiguré par une théologie toute humaine, va reprendre son premier éclat; les lumières de l'évangile vont enfin éclairer tous les peuples. Dieu vient de se choisir des victimes, pour satisfaire à sa justice; il n'écoutera plus que sa miséricorde; les méchans seuls, c'est-à-dire, les pécheurs obstinés seront livrés à l'esprit des ténè-bres. Tels sont les événemens qui nous sont annoncés de la manière la plus capable de mériter notre croyance».

Con queste parole un foglio volante, datato 28 novembre, annunciò tra la fine di novembre e i primi di dicembre del 1791 ai parigini la prossima pubblicazione del Journal prophétique. Questo vide la luce nella seconda metà di gennaio dell'anno successivo e si pubblicò settimanalmente sino ai primi di settembre, per trenta numeri7.

Il programma del Journal prophétique era stato elaborato da Pierre Pontard, dalla Labrousse e dalla duchessa di Barbone8, che si assunse l'onere finanziario dell'impresa e in un possedimento del-la quale, a Petit-Bourg, a sette leghe da Parigi, il Pontard prese 1'abitudine di ritirarsi ogni domenica per stendere il giornale9.

La cessazione della pubblicazione, nel settembre '92, fu determinata da una serie di motivi. Stan-do a quanto scrisse il Pontard10 - che, cioè, egli, dopo essere stato deputato alla Legislativa, non si ripresentò alle elezioni alla Convenzione per il bisogno che vi era di sacerdoti costituzionali, rite-nendo fosse suo dovere tornare a Périgueux nella sua diocesi - si potrebbe ritenere che la fine del Journal prophétique sia stata strettamente connessa alla partenza da Parigi del suo principale e pres-soché unico compilatore. A noi sembra però che questa spiegazione, indubbiamente vera, debba es-sere completata con altre due considerazioni. Uno, l'aiuto economico della duchessa di Borbone al Journal prophétique dovette farsi nella seconda metà del '92 meno cospicuo e continuativo11, a cau-sa della relativa difficoltà in cui la duchessa dovette venirsi a trovare in seguito alla sua mutata con-dizione (crisi generale, sospetto prima e provvedimenti12 poi contro i Borboni, forti spese sostenute

7 Ogni numero era di sedici pagine. La redazione era al n. 56 di rue de Richelieu, dal ventinovesimo numero risulta

trasferita al n. 2 di rue Christine, presso la stamperia di L.-P. Couret, che appare pure come «redattore». I primi ventotto numeri uscirono settimanalmente con grande regolarità, escluso il ventiduesimo che comprese due settimane. Dal di-ciottesimo numero (III settimana di maggio) nella testata a Journal prophétique fu aggiunto «par Pierre Pontard évêque constitutionnel du départ. de la Dordogne». In luglio uscirono regolarmente cinque numeri, in agosto solo due e in set-tembre uno. Mentre il primo numero d'agosto - il ventottesimo - fu datato normalmente «I settimana d'agosto», il secon-do - il ventinovesimo - fu datato «n. IV Lunedì 27 agosto 1792» e, così pure, il primo ed unico di settembre - il trente-simo cioè della serie - «n. V Lunedì 3 settembre 1792». La numerazione delle pagine fu progressiva dal primo al venti-duesimo numero e ricominciò con il ventitreesimo.

8 Journal de P. Pontard, I e II quindicina di maggio 1793, p. 133. Stando a quanto riferito dal Pontard (pp. 133-135), egli avrebbe conosciuto la duchessa di Borbone in tale occasione - probabilmente tramite Suzette Labrousse -, diven-tandone subito intimo, al punto di divenirne il confessore, soppiantando l'ab. Montmignon (che si vendicò attaccando la duchessa in una Consultation de plusieurs docteurs de Sorbonne).

9 Ivi, pp. 135-136. A Petit-Bourg sembra fossero usi riunirsi nel '92 gli amici dclla duchessa. Il Pontard (p. 147) scrive infatti: «Petit-Bourg étoit le rendez-vous des veritables patriotes». Cfr. anche M. MATTER, op. cit., pp. 168, 193-208, 285.

10 Journal de P. Pontard, cit., pp. 126-127. 11 Il Pontard (cfr. Journal de P. Pontard, II quindicina di aprile 1793, pp. 123-124) accenna esplicitamente a diffi-

coltà economiche con il Couret, secondo stampatore del Journal prophétique. 12 A proposito dei provvedimenti contro i Borboni, è opportuno ricordare - contro coloro per i quali il Pontard sareb-

be stato un pavido tutto preoccupato solo della sua posizione e del suo utile personale - che, quando, ai primi del '93, il risentimento popolare contro i Borboni si fece particolarmente acuto e vennero presi contro di essi gravi provvedimenti (nel migliore dei casi l'espulsione dalla Francia), il Pontard non solo non ruppe i rapporti con la duchessa Bathilde, ma prese apertamente le sue difese in un numero (l'ottavo, della I e II quindicina di maggio) del suo Journal de P. Pontard a lei tutto dedicato. In questa occasione il Pontard sottolineò in ogni modo il civismo della duchessa, il suo rifiuto ad aver rapporti dopo la Rivoluzione con il fratello e a seguire il marito nella emigrazione, il suo attaccamento al «nouvel ordre», «auquel elle a sacrifié toutes les considerations attachées au rang de princesse et l'immense produit de ses reve-nus annuels qu'elle a versé sur les patriotes», gli attacchi che aveva subito sul Patriote véridique da parte del Barruel, e

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per aiutare i poveri del suo quartiere e i parenti delle vittime del 10 agosto, ecc.); due, la nuova si-tuazione politica determinata dai fatti del 10 agosto dovette rendere più difficile l'apostolato parigi-no del Pontard, più scarsa la presa di esso tra le masse, più numerosi i sospetti degli ambienti rivo-luzionari più attivi verso posizioni ed iniziative come quella del Pontard che essi non capivano e temevano fossero a sfondo contro-rivoluzionario. Quest'ultima considerazione non deve però indur-re a credere che alla fine del Journal prophétique abbia corrisposto da parte del Pontard un ripudio della sua concezione mistico-rivoluzionaria. Indubbiamente, nel corso dell'anno circa dell'esperien-za del Journal prophétique, questa concezione subì, soprattutto sotto lo stimolo continuo della real-tà dei fatti, notevoli modificazioni; queste però non intaccarono mai la sua sostanza e più che di modificazioni si dovrebbe parlare di evoluzione. Il Journal de P. Pontard, Evêque du Département de la Dordogne a cui egli diede tosto vita a Périgueux13, pur non ponendo più l'accento prevalente-mente sull'elemento mistico e profetico e avvicinandosi invece maggiormente alla tematica classica della Chiesa costituzionale e pur perdendo un po' del «respiro» mistico e teologico per dedicare maggior attenzione ad alcuni problemi pratici generali e particolari della diocesi, ne è la migliore conferma. Nulla infatti in questa seconda esperienza giornalistica del Pontard smentisce la prima: stessa è la sostanza (non vi mancano neppure i riferimenti alla Brohon e alla Labrousse), solo il tono è più cauto e moderato.

Nell'idea del Journal prophétique - un giornale che «au lieu de parler du présent et du passé, comme les journeaux ordinaires, a pour objet l'avenir»14 - parte molto importante ebbe Suzette La-brousse; un ruolo parimenti cospicuo la giovane perigordina ebbe in tutta la posizione del Pontard. Sarebbe però sbagliato ridurre il Journal prophétique e la stessa posizione del Pontard sotto la pro-spettiva Labrousse.

Indubbiamente il Pontard fu molto legato alla giovane, che conosceva bene ed apprezzava per la sua semplicità, la sua vita, il suo «ordre», la purezza e santità dei suoi intenti15; fece delle sue profe-zie un elemento importante del Journal prophétique (dando così ad esse la massima pubblicità) e rimase sempre molto attaccato ad essa, anche quando tutti gli altri l'abbandonarono o dimenticaro-no. Pure, l'influenza della Labrousse su di lui fu molto meno importante di quanto qualcuno ha rite-nuto e non fu mai determinante. Né, a maggior ragione, si può sostenere - come pure si è fatto - che egli si sia attaccato alla Labrousse per sfruttarne la popolarità o che, addirittura, l'abbia «montata» a questo scopo.

Nonostante la parentela, l'amicizia e la fiducia in lei, il Pontard in realtà non mise mai la La-brousse, né nel giornale, né nella sua concezione religioso-politica, in una posizione di privilegio (la Brohon e altri mistici e profeti - come il famoso autore del précis del 1727 - sono altrettanto presen-ti e considerati nel Journal prophétique) e non nascose mai - come si è del resto già visto - i limiti e le riserve della sua fede in lei16. Il suo profetismo - per parlare solo dell'aspetto della sua concezione che più può apparire legato alla Labrousse - ha ben più profonde origini. La Labrousse non faceva che confermarlo. Nel nucleo centrale delle sue profezie (rispetto a molte affermazioni particolari delle quali il Pontard non nasconde il suo scetticismo e, addirittura, il suo disaccordo) la Labrousse per lui non faceva che enunciare ciò che le profezie dei grandi profeti classici e i tanti padri e santi avevano predetto, come il ritorno degli ebrei, la pace universale e la riforma della Chiesa17. In queste condizioni «croire à des prédictions, qui si elles ne viennent pas de Dieu, sont si dignes de

chiese per lei - il cui unico crimine era il suo nome - un esplicito riconoscimento della Convenzione che la sottraesse alla sorte del resto della sua famiglia (ivi, pp. 125-152).

13 Il Journal de P. Pontard, Evêque du Département de la Dordogne uscì, quindicinalmente, dal gennaio 1793 a tut-to l'agosto dello stesso anno, questo almeno risulta dalla copia conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi con il Journal prophétique (collezione che manca del primo numero, della I quindicina di gennaio, e del tredicesimo, della I quindicina d'agosto). I numeri erano di sedici pagine, eccezion fatta per il terzo e l'ottavo (di febbraio e di maggio) dop-pi.

14 Journal prophétique, I sett. di gennaio 1792, p. 1. 15 Ivi, III sett. di marzo 1792, p. 113. 16 Ivi, I sett. di marzo 1792, p. 84; II sett. di marzo 1792, pp. 105-109; II sett. di aprile 1792, pp. 177-180; e passim. 17 Ivi, I sett. di febbraio 1792, p. 17; II sett. di marzo 1792, pp. 105-106.

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lui, et d'ailleurs, croire à des prédictions qui commencent à s'exécuter, rien de plus digne de l'homme et du chrétien»18. Se mai, si può dire che la suggestione della Labrousse su di lui fosse di un altro tipo: la sua avversione per i grandi della gerarchia ecclesiastica e per i filosofi doveva esse-re solleticata dall'idea che la voce di una semplice ragazza portasse più luce all'umanità che tutti i filosofi e l'infallibilità del clero:

«En effet, Dieu ne pourroit mieux confondre l'orgueil insensé des grands et des philosophes im-pies, que de se servir, pour les mettre en déroute, de quelques ossemens, et d'employer le ministère d'une fille pour annoncer leur défait, afm d'humilier cette infallibilité philosophique et ecclésiasti-que que nous donne pour dogmes des chimères»19.

Chiarendo il rapporto Pontard-Labrousse, abbiamo chiarito anche il valore che il Pontard dava alle profezie dei profeti del suo tempo (ciò che vale per la Labrousse vale infatti ovviamente per la Brohon e per tutti gli altri): un valore di conferma e di concreta ed attuale precisazione di quanto già annunciato dai profeti dell'Antico e del Nuovo Testamento; prima di passare all'esame della sua concezione e dell'evoluzione di essa, come ci è documentata dal Journal prophétique, è opportuno dire però qui - a spiegazione ulteriore della sua mancanza di riluttanza nel dar credito, ed accettare il profetismo del tempo - che egli riteneva il presentimento degli avvenimenti una facoltà naturale, anche se decaduta, dell'uomo:

«On me rejette les prophéties que parce qu'elles offrent l'idée de l'impossible, et que d'après d'an-ciens préjugés, on les considère comme ne pouvant être que l'éffet d'un don surnaturel; mais si ce n'étoit là qu'une erreur accreditée, et qu'une observation plus approfondie des loix de la nature, nous fit reconnoitre au contraire que le créateur a placé dans l'homme la faculté de pressentir les événe-mens, nous parviendrons peut-être à nous convaincre que s'il jouit rarement et imparfaitement de cette faculté, sa dépravation en est la seule cause»20.

A mano a mano che ci si avvicina ai «derniers temps» predetti dalla Bibbia, il presentimento dei prossimi decisivi avvenimenti si faceva sempre più diffuso, pressante e preciso negli spiriti illumi-nati.

L'origine del profetismo del Pontard - o per meglio dire della sua concezione religiosa tout court, nell'ambito della quale solo tale profetismo può essere visto - va, dunque, ricercata ben più lontano che negli enigmi e nelle esaltazioni della Labrousse. L'incontro tra i due ha valore solo come testi-monianza della convergenza che in occasione della Rivoluzione ebbe luogo tra le posizioni degli il-luminati e quelle di vari esponenti del clero costituzionale.

Il Viatte ha scritto21 che il Pontard si sforzò di dare una mistica alla Chiesa costituzionale: in tale affermazione vi è - pur nel suo semplicismo - un fondo di verità.

Nel Settecento - specie nella sua seconda metà - la mistica classica era in crisi in Francia. La Chiesa francese era lacerata dalle querelles teologiche e dalla rivalità sempre più viva che divideva il basso clero dall'alto; la letteratura religiosa era avvolta in «une sorte de lumière grise»22, sì da ap-parire senza audacia e senza nerbo. Fénelon, Massillon, Bossuet non avevano mai trascurato la real-tà sociale del paese, avevano insistentemente ricordato al re che il popolo francese moriva di fame: ora, tale reazione cristiana non esisteva più, altri interessi «più gravi» distoglievano il clero da que-sto problema. La grande stagione mistica del secolo precedente era ormai terminata; il lussereggian-te roseto berulliano non aveva più che poche rose, sfiorite e senza profumo: il misticismo stesso era sotto processo. Sotto i colpi dell'offensiva razionalista, la stessa apologetica ne subiva la suggestio-ne e si razionalizzava. I difensori del misticism.o erano - in tale situazione - timidi e prudenti: Eme-ry, nel 1775, «preférera s'effacer et laisser à sainte Thérèse elle-même la parole en publiant des ex-traits de ses oeuvres»23.

18 Ivi, I sett. di gennaio 1792, p. 8. 19 Ivi, I sett. di marzo 1792, pp. 85-86. 20 Ivi, III sett. di marzo 1792, p. 113. 21 A. VIATTE, op. cit., I, p. 248. 22 L'espressione è di Moré de Pontgibaud, cit. da J. LEFLON, Monsieur Emery, Paris 1945, p. 50. 23 Ivi, p. 61.

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In questo clima avvenne la formazione di Pierre Pontard (era nato nel 1742). Ingredienti di essa furono la critica del clero gallicano minore alle grandi gerarchie della Chiesa di Francia e a Roma, la preoccupazione per la degenerazione della società, la consapevolezza razionalistica che le cose fossero ormai giunte alle soglie di una frattura drammatica e decisiva, l'attesa angosciosa di questa frattura che non si sapeva come raffigurarla, la certezza - infine - nutrita alla duplice sorgente del misticismo classico e di quello popolare, che Dio non avrebbe abbandonato il suo popolo, che tutto rientrava nei suoi piani imperscrutabili e che, pertanto, la rigenerazione della Chiesa e della società, tante volte annunciata, era ormai prossima. Se questi erano gli ingredienti, il reagente fu la Rivolu-zione.

Anche se l'esplosione di misticismo che accompagnò lo scoppio della Rivoluzione e la forma-zione della Chiesa costituzionale non ha trovato ancora il suo storico, numerosi studi hanno messo in luce ormai gli atteggiamenti democratici del basso clero24 e la sua entusiasta partecipazione alla prima fase della Rivoluzione. Sino a che punto giungesse questo entusiasmo e quali fossero le sue coloriture mistiche è stato, tra gli altri, ben messo in rilievo dal Leflon parlando della partecipazione del basso clero alla redazione dei cahiers: «les 'bons curés' pleins d'illusions - ha osservato25 - revent d'instaurer sur des bases nouvelles une Eglise rajeunie, le peuple salue le retour de l'âge d'or et se figure 'arriver dans une terre promise qui présente l'image du paradis'». Qualcosa del genere dovette sentire il Pontard nel 1788, quando cominciò a rivelarsi partecipando alle assemblee di baillage convocate per la preparazione degli Stati Generali26, e a mano a mano che il procedere della Rivo-luzione nell'89, '90, '91, '92, sembrava confermare le sue speranze di rigenerazione. Giustamente ha osservato il Mathiez: «Pour beaucoup de prêtres et de fidèles à l'âme naïve et ardente, qui mêlaient confusément dans le même enthousiasme les prédications de la philosophie du XVIII siècle et les enseignements du christianisme, la Révolution fût quelque chose de miraculeux et de providentiel où se manifestaient en traits fulgurants les desseins de Dieu. L'attente de la Régénération fût pour eux une attente vraiment messianique»27.

In questa attesa messianica sta il vero significato della posizione del Pontard e degli altri religiosi e fedeli in genere che la condividevano, anche se solo parzialmente. Profondamente cristiani e cat-tolici28, essi si rendevano conto della gravità della crisi in cui agonizzavano la società e la Chiesa, si rendevano conto che tale crisi era giunta ad uno stadio talmente avanzato che una sua soluzione or-mai si imponeva assolutamente, ma non riuscivano, come si è detto, a inunaginare quale sarebbe stata questa soluzione. Sapevano ciò che non andava, non sapevano però cosa andasse fatto per risa-lire il baratro senza fondo in cui tutto precipitava. Altre volte l'umanità aveva attraversato momenti di crisi: lì per lì era sembrata superarli, in realtà, era scesa sempre più in giù. Ora essa non sapeva più cosa fare per risalire e sprofondava sempre di più. Solo una forza sovrannaturale poteva trarla fuori. Solo Dio, con un atto della sua infinita sapienza, della sua infinita giustizia e della sua infinita bontà poteva e - al punto in cui erano arrivate le cose - doveva salvare l'umanità. L'attesa era in essi spasmodica. La Fede era per essi l'unico sostegno, l'unica speranza, l'unica giustificazione. L'irrom-pere nella palude della situazione francese della Rivoluzione, il suo sconvolgere tutto, il suo abbat-tere miti e realtà che sembravano essere sempre esistiti e dover sempre esistere, il suo portare all'al-tezza dell'uomo comune cose e persone che sino allora erano sembrate essere sacre, non poteva che essere considerato un atto di volontà divina, l'atto tanto atteso che doveva, finalmente, portare l'uo-mo a contatto con la realtà - spirituale ma anche materiale - di Dio e del suo Regno. Finalmente Dio si rivelava a tutti, finalmente il suo Regno si realizzava tra gli uomini! «Des prédictions nous disent que les temps que la Divinité a marqués pour se tenir cachée et voir faire les hommes, sont finis; car

24 Tra gli altri cfr. M. BERNARD, art. cit. 25 J. LEFLON, op. cit., p. 141. La citazione interna è tratta da un cahier de doléances dell'Auxerre. 26 Journal de P. Pontard, I e II quindicina di maggio 1793, p. 125. 27 A. MATHIEZ, op. cit., p. 15. 28 Il Pontard nel Journal prophétique non mostra alcuna simpatia per Lutero, Calvino, le Chiese riformate (Ivi, IV

sett. di febbraio 1792, pp. 73-74) e, anzi, riafferma continuamente la sua ortodossia (cfr. la sua «professione di fede» nel n. del 3 settembre 1792, pp. 113-115).

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celui pour qui les temps sont faits veut enfin en recueillir le fruit»29. Il primo realizzarsi della Rivo-luzione era per gli uomini del tempo qualcosa di straordinario e di grandioso, per il Pontard e per coloro che condividevano la sua attesa era però ancora poco, solo un segno, solo l'inizio della rea-lizzazione della volontà di Dio e dello stabilimento del suo Regno in terra. Da questo punto di vista, la lettura del Journal prophétique - pur nella sua nebulosità e nella sua attesa sconvolgente - è un documento di valore enorme: da esso, infatti, traspaiono le speranze, i sogni, le aspirazioni di una umanità per secoli umiliata e sfruttata, traspare il suo sforzo di quei mesi di adeguare queste sue speranze, questi suoi sogni, queste sue aspirazioni alla concretezza della realtà rivoluzionaria. È quasi un continuo rincorrerla, in fondo al quale si intuisce già il dramma di un'ennesima disillusio-ne, più drammatica di ogn'altra, la drammatica disillusione che porterà alfine uomini sostanzialmen-te semplici, come appunto il Pontard, fuori del cattolicesimo.

La necessità di una radicale trasformazione morale e sociale dei presupposti stessi della umanità è chiaramente enunciata nel Journal prophétique: «Jamais nous n'atteindrons la tranquillité sociale & morale - scrive il Pontard30 - que par un aveu clair & un développement sincère de toutes les er-reurs & de tous les principes». L'avvio a tale trasformazione non può venire che da un atto della vo-lontà divina; l'uomo pio ed illuminato però può e anzi deve cooperare ad essa. Egli ne ha avuti da Dio i mezzi. Il Verbo è nell'uomo, tutto ciò che può aver di buono gli viene dal Verbo. Purtroppo la parola di Dio si è confusa con le parole delle passioni, che sono state quelle più spesso ascoltate. «L'homme a comme anéanti cette parole intérieure; mais le moment approche où il vérifiera en lui les paroles de l'évangile, in principio erat verbum, ce néant qui est en lui est le Verbe même de Dieu: sine ipso factum est nihil, quod factum est. Il est sans doute nécessaire que la divinité lui donne un témoignage extérieur, tant l'homme s'est rendu inaccessible à la véritable lumière: car la lumière de Dieu a celui de propre, qu'elle luit des ténèbres, c'est-à-dire, que les ténèbres sont lumiè-res dans le langage divin: et lux in tenebris lucet»31. L'esortazione del Pontard è appassionata: commentando passo passo la seconda epistola di s. Pietro e riallacciandosi in particolare ai versetti 19-21 del primo capitolo di essa, egli scrive: «Il est temps de nous réveillier de l'assoupissement où nous sommes depuis longtemps; car nous sommes plus près de notre salut que lorsque nous avons reçu la foi, la nuit commence à s'avancer et le jour ne tardera pas à paroître; quittons donc les oeu-vres de ténèbres, et revêtons-nous des oeuvres de lumière»32. «Vous avez les oracles des prophètes qui vous instruisent, et vous ferez bien de les suivre comme une lampe qui éclaire sur un lieu élevé, jusqu'à ce que le jour paroisse, et que l'étoile du matin vienne éclairer vos coeurs»33. «Aujourd'hui, des prédictions nous disent que le fondement de notre foi est uniquement la parole de Dieu révélée au corps des fìdelles dans la personne des Apôtres; que cette divine parole n'est pas même l'ouvrage des Apôtres; qu'eux, ainsi que les fìdelles ont dû religieusement adopter ces vérités eternelles, sans rien y ajouter ni rien soustraire»34.

Quali siano le conseguenze di questo discorso è facile intuire: la sconfessione della Chiesa cor-rotta, il negare ogni valore alla sua legge e alla sua autorità, l'esortazione appassionata ad abbattere i «tiranni e i sacerdoti della sinagoga» e ridar così alla Chiesa «son premier éclat». «Des prédictions nous disent que la vérité existoit avant les évêques, qu'elle ne dépend aucunement d'eux, que la voix de l'église doit être la règle de leur voix, et non pas leur voix la règle de la voix de l'église; qu'elle seule est la colonne infaillible et indéfectible; que cette infaillibilité n'est point attachée au caractère des ministres, mais au corps dont ils sont les membres. Des prédictions nous prémunissent contre les prétentions de ceux qui se disent les seuls juges de la foi; elles nous disent que les simples fìdel-les le sont aussi, en leur manière, les juges légitimes de la foi, et si bien que quand un ange descen-droit du ciel, le simple fìdelle est autorisé à prononcer une sentence d'anathême contre lui et contre

29 Journal prophétique, I sett. di gennaio 1792, p. 11. 30 Ivi, n. del 3 settembre 1792, p. 113. 31 Ivi, II sett. di febbraio 1792, pp. 37-39. 32 Ivi, IV sett. di marzo 1792, p. 134. 33 Ivi, p. 135. 34 Ivi, I sett. di gennaio 1792, p. 8.

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ses discours, s'il tient un langage opposé à celui des premiers Apôtres; or, de leur temps, ni les di-gnités ni les richesses ne faisoient partie des articles de foi. Elles nous disent que la foi d'un chrétien n'est pas un acte mécanique, comme on nous l'a dit, mais un hommage réfléchi, d'après le même Apôtre, rationabile obsequium, et que tout hommage réfléchi, n'est autre chose qu'un vrai jugement; qu'il est très-permis, et même de devoir, à tous les fidelles, de juger dans ce moment leurs propres ministres s'ils s'égarent, comme le firent les vrais croyans en Angleterre à l'époque du schisme, et qu'ils doivent les abandonner à leur erreur, sans attendre un prononcé particulier de la part de l'église universelle»35.

La rigenerazione della Chiesa e la rigenerazione della società a sua volta costituivano un unico fatto. L'una e l'altra avevano avuto da Dio all'inizio una struttura democratica e la funzione di servi-re alla salvezza e alla felicità degli uomini, delle loro anime come dei loro corpi. Solo in un secondo tempo alcuni malvagi, per cupidigia di potere e di ricchezza, le avevano piegate a sé e snaturate.

Pur accettando la realtà nazionale36, il Pontard nega ogni divisione dell'umanità. È questo un e-lemento fondamentale della sua concezione, non solo dal punto di vista teologico, ma anche per le conseguenze immediate che da esso scaturivano; la Rivoluzione, primo atto della rigenerazione, perde così ogni valore e significato meramente francese per assumerne uno universale (la Rivolu-zione in Francia ha pertanto un valore solo temporale e di primazia morale); così pure, la Chiesa co-stituzionale, nonostante la rivendicazione della tradizione gallicana, non è per il Pontard tanto la Chiesa di Francia, quanto la pietra su cui sorgerà la vera Eglise universelle.

«Dieu - egli scrive37 - ne créa point à la fois plusieurs peuples pour occuper la terre, quoiqu'il en eût le dessein dès l'époque de la formation de l'homme, il ne créa qu'Adam et Eve, dont il forma une seule société, de la quelle devoient sortir toutes les autres sociétés qui devoient partager la terre; afin de rendre incontestable l'unité de leur origine après la multiplication des hommes, et pour ren-dre indissoluble, dans toute la durée des siècles, le lien qui devoit les unir. Nous sommes destinés, quelque nombreux que nous soyons, à ne faire qu'une famille de frères dispersés sur la surface de la terre.

Tels furent les desseins de Dieu dans la division qu'il fit dans la suite de tous les hommes en corps de nations, quando dividebat altissimus gentes et separabat filios Adam (Deut., 32, 8). Aussi répandit-il parmi les peuples ces besoins et ces secours innombrables qui les rendent dépendans les uns des autres. Il imprima sa volonté dans la distribution qu'il fit aux divers climats de la terre de mille propriétés diverses.

En effet, si elle nous refuse ici ce qu'elle donne ailleurs avec surabondance, c'est afin qu'un peu-ple se transportant sous un ciel étranger, porte à celui-là ce qui lui manque, et que l'autre partage avec lui les productions particulières attachées à son territoire; c'étoit par ce contraste salutaire que Dieu prétendoit lier entre eux les citoyens des villes, les peuples des campagnes et toutes les nations de la terre».

I popoli allora «vivoient sous le régime paternel», i re non erano che dei padri che li governava-no con tenerezza. È a questo regime patriarcale che l'umanità, e prima di tutti gli altri popoli la Francia («la France sera leur modèle»), tornerà ben presto.

Ma il Pontard non si limita a trarre dalle profezie quest'affermazione: egli la teorizza e la illustra ampiamente in tutta una serie di scritti del suo Journal prophétique; è questo, anzi, uno dei pochis-simi problemi da lui trattati con sistematicità ed ampiezza e in tutte le sue implicazioni38. Sull'es-senza della «sovranità» egli ha idee ben precise, che, più che muovere dalle profezie, trovano in es-se conferma.

La sovranità non è che la libertà: «la liberté, ce don du ciel, sur lequel Dieu lui-même a suspen-du l'exercice de sa souveraineté suprême en faveur de tout être créé à son image, cette liberté non

35 Ivi, p. 9. 36 Ivi, II sett. di giugno 1792, pp. 321-22. 37 Ivi, I sett. di gennaio 1792, pp. 5-6. 38 Vedi Appendice B., 5.

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(n'est) pas d'un homme, mais de tout un peuple»39. Ciò che comunemente si chiama sovranità «n'est pas une propriété particulière, individuelle, mais une propriété générale et collective; c'est-à-dire, que la souveraineté générale et collective n'est pas une personne, mais une chose qui appartient à un être collectif»40. Dio è solo sovrano individuale degli uomini e dei popoli, egli solo può «leur faire exécuter toutes ses volontés»; nessun uomo «est le souverain du peuple, parce que nul homme n'a le pouvoir de faire exécuter ses volontés à un corps de peuple». La sovranità tra gli uomini non può mai identificarsi in un individuo41. Il re (rex a regendo) non è che l'agente della sovranità. Per sé stesso non è che un semplice cittadino; solo per una convenzione egli è ciò che è. Egli è sacro ed inviolabile e deve essere l'oggetto di tutto l'amore dei suoi sudditi, «car, par la seule raison que le roi est roi, il est toujours censé être tout ce qu'il doit être; il peut dire au peuple, en quelque sorte, comme Dieu dit à Moïse: Ego sum qui sum, je suis celui qui suis; c'est vous qui m'avez fait ce que je suis, et qui me faites perpétuellement ce que je suis»42. Del resto, per sua stessa natura, egli non può essere che un buon re e non vi possono essere interessi opposti tra lui e il popolo43. Questi pos-sono derivare solo dalla necessità di ricorrere a corpi intermedi, «eterogenei» tra il popolo e il re. Sono, infatti, questi corpi intermedi nemici e del re e del popolo e causa di ogni male, «car, comme ces agens subalternes ne peuvent pas envahir chacun pour soi l'autorité toute entière en se mettant à la place du prince, ils cherchent à la diviser en divisant l'opinion publique pour se la partager en-tr'eux, ils admettroient volontier des rangs, des ordres, des religions... afin que le peuple ne s'en-tendant plus, il ne puisse leur disputer le droit de souveraineté, pendant que l'usage des forces sou-veraines ou la souveraineté de fait reste entièrement à leurs dispositions»44. L'ideale sarebbe che il re potesse «tout faire par lui immédiatement».

Non è qui il caso di soffermarci a sottolineare la debolezza della posizione del Pontard, la sua in-comprensione per le forme e le necessità dello sviluppo sociale e civile: è chiaro infatti che tale de-bolezza e tale incomprensione sono all'origine stessa di tutta la sua concezione, della sua teologia così come della sua idea della società. Ciò che invece è importante notare è che la sua concezione, pur muovendo da una premessa rigidamente teocratica, è notevolmente diversa da quella di altri mi-stici del suo tempo di cui abbiamo parlato nel secondo capitolo. La sua origine ecclesiastica, il suo maggior contatto con la realtà degli umili e le loro aspirazioni, fanno infatti sì che essa sia tutta pre-gna di un accentuato democraticismo che non è riscontrabile invece in quella degli illuminati di al-tra formazione. A ben vedere, la concezione del Pontard è sostanzialmente più democratica che teo-cratica.

39 Journal prophétique, I sett. di gennaio 1792, p. 2. 40 Ivi, II sett. di giugno 1792, p. 22. 41 La sovranità si compone della volontà e della forza (eguale alla volontà). Quale volontà - si chiede il Pontard

(Journal prophétique, II sett. di giugno 1792, p. 323) - è accompagnata da una forza tale da far muovere tutto il popolo? «C'est la volonté de tout le peuple qui est soutenue par toute la force de ce même peuple». La forza è a sua volta inco-municabile.

42 Journal prophétique, II sett. di giugno 1792, pp, 331-332. 43 «Chaque citoyen ne peut rien en particulier, c'est dans la personne du roi que se concentrent tous les pouvoirs; il

réunit les coeurs comme il a en ses mains toutes les forces physiques de son peuple, mais quoiqu'il puisse tout sur cha-que individu, il est toujoms interessé à les ménager, à les protéger tous également. Le corps du peuple n'a jamais rien à craindre de son roi, parce que le plus haut degré de gloire et de force que le roi puisse ambitionner, le contrat social le lui donne dès l'instant même qu'il est roi; en effet, nous l'avons dit, la souveraineté a deux rapports, le droit et le fait; le droit de souveraineté consiste dans le consentement moral de tous les associés; or, on ne peut avoir un plus grand droit qui procède de la convention que d'avoir le consentement de tout un peuple; le roi n'a donc jamais aucun effort à faire envers son peuple pour augmenter ce droit: de même, la souveraineté de fait ne peut s'étendre au-delà de la masse des forces physiques de tous les associés. Le roi n'a donc non plus aucun effort à faire pour accroître son pouvoir effectif; son unique application est donc de se conserver au faîte de la gloire et de la force où le peuple l'a établi; car on peut dire du roi comme de Dieu même, qu'il peut tout ce qu'il veut. En effet, les volontés du peuple sont aussi étendues que ses forces, puisque la souveraineté consiste dans la réunion des forces et des volontés du peuple.

Ainsi, bien loin qu'un roi soit intéressé à rompre le contrat social, c'est sur l'intégrité de cet acte que reposent sa gloire, sa force et san bonheur suprêmes, comme la gloire, la force et le bonheur suprême du peuple». (Journal prophé-tique, II sett. di giugno 1792, pp. 332-333).

44 Journal prophétique, Il sett. di giugno 1792, p. 333.

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Gli stessi argomenti che egli porta nella discussione sulla sovranità e nell'enunciazione dei suoi «veri» principi, il Pontard porta sostanzialmente anche nella discussione sulla Chiesa e nell'enun-ciazione dei suoi «veri» principi. Questi sono in ultima analisi due: l'uno riguardante la «struttura» democratica della Chiesa stessa, l'altro riguardante il suo potere temporale ed i suoi rapporti con lo Stato. Essi sono però così strettamente connessi e legati tra di loro che è pressoché impossibile scinderli, sia pur temporalmente.

Il cristianesimo è per lui innanzi tutto Verità e poi Fede e Libertà, una fede e una libertà che se non trascendono il potere di Dio sono però il più fermo atto della sua volontà, così come - si è visto - la sovranità è tanto libertà che su di essa persino Dio ha sospeso la «sua» sovranità. La Libertà (Volontà) dell'uomo è per lui un punto fermo: la grazia di Dio è impotente se non si inserisce sulla volontà dell'uomo:

«Dieu voulant sanctifier et sauver l'homme par l'amour de la justice et de la vérité, a voulu que cet amour qui le sanctifie, fût en même-temps l'ouvrage de sa gràce, et l'ouvrage de l'homme, et que le salut qu'il y a attaché, fût la récompense de son mérite par un saint et libre usage de sa volonté.

Telle est en effet l'économie de la religion de Jésus-Christ, parce que l'homme ne peut être sanc-tifié ni sauvé qu'il ne le veuille, et qu'il ne le veuille librement. C'est dans cette vue que le divin lé-gislateur a banni de l'établissement de sa religion tout ce qui peut ressentir la violence et la force, et qu'il n'y a employé que les motifs capables de faire impression sur les esprits et sur les coeurs, l'ins-truction, les miracles, comme preuves de sa mission, la promesse des récompenses, et la crainte des peines éternelles. Mon Royaume n'est pas de ce monde, dit-il à Pilate: comme il n'a rien de commun avec le monde qui périt, je n'ai que faire de sa foible puissance pour l'établir. Je suis roi, mais je ne le suis que pour la vérité, et je suis venu pour lui rendre témoignage: comme je ne règne que pour elle, ce n'est aussi que par elle que je veux régner: quiconque est né d'elle, entend ma voix et recon-noît mon empire: je ne veux ni d'autres sujets que ceux qu'elle me donne, ni d'autre lien pour me les attacher, ni d'autres armes pour me les soumettre. Loin de moi toute autre force: non seulement je veux régner sans elle, mais sans elle je soutiendrai les plus grands efforts, et j'en triompherai. Vous, que je veux charger du soin de poursuivre et de perpétuer ma victoire, je vous envoie, dit-il à ses disciples, comme des brebis au milieu des loups: le serviteur n'est pas au-dessus du maître: pour vaincre comme moi, n'employez que mes armes, et combattez comme j'ai moi-même combattu. Par-tez, enfans du tonnerre; que votre voix se fasse entendre de l'un à l'autre bout du monde. La parole de vérité que j'ai mise dans votre bouche, est la seule force que je vous permets d'employer; elle seule vous soumettra l'univers conjuré contre elle et contre vous»45.

Gli apostoli, la Chiesa primitiva non ebbero alcun potere «esterno», non ebbero altro strumento di evangelizzazione che la parola di Dio e il «simbolo» da essi composto a Gerusalemme prima di separarsi. «Avec ce code portatif, chaque apôtre en savoit assez; il étoit sûr d'apprendre la même chose que tous les autres, quelque part qu'il se trouvât, et sous quelle dénomination qu'il fût; ils ne songèrent point à faire d'autre exposition de principes que le simple symbole»46. «C'est-là toute la science canonique». I loro poteri non erano che «enseigner les vérités éternelles à ceux qui veulent nous entendre, remettre les péchés à ceux qui s'en repentent et les confessent, administrer les sacra-mens aux fìdelles, décerner des peines contre des coupables et des obstinés, sans pouvoir les contraindre»47. «Voilà la somme des droits accordés à l'église». Diritti tutti dipendenti dalla libertà dell'uomo, al punto che la stessa somministrazione del battesimo ad un neonato non poteva avvenire senza «l'organe d'un interprète non suspect, du consentement de l'individu qu'on lui présente à bap-tiser, tant elle respecta la liberté de l'être créé à l'image de Dieu»48. Nei primi secoli la Chiesa non aveva altra legge che quella del Vangelo: Io credo in Dio ... , «voilà tout ce qui tenoit lieu de droit canonique et de cours de théologie dans des temps où la religion méconnue de tout l'univers, n'avoit d'autres protecteurs que ceux qui professoient le symbole. Ces protecteurs ne pouvoient rien sur la

45 Ivi, III e IV sett. di giugno 1792, pp. 344-345. 46 Ivi, p. 338. 47 Ivi, p. 342. 48 Ivi, I sett. di gennaio 1792, pp. 8-9.

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terre, que mourir; et leur impuissance étoit le plus beau triomphe de la religion. Bien loin de dispu-ter avec les peuples et les rois de la terre sur ces mots juridiction, sujet, territoire, apanages et biens temporels, titres et dignités, la religion s'accomodoit de tout, excepté des sacrifices qu'on offroit aux idoles; profondément empreignée dans les coeurs, elle florissoit et triomphoit de tout au sein de cet abandon et de cette persécution générale»49. La carità fraterna era il distintivo dei fedeli e dei mini-stri di Gesù Cristo. La Chiesa non era altro che la plebs adunata pastori; i sacerdoti non avevano poteri particolari, non erano che emanazione diretta dei fedeli, con i quali formavano la Chiesa: «le corps des fidelles ensemble avec les pasteurs voilà l'église»50. «Jésus-Christ n'a donné à son église qu'un gouvernement paternel. Les ministres sont les pères adoptifs des peuples; ils ont le droit d'établir des règles extérieures vraiment obligatoires; mais il faut préalablement que les peuples les aient adoptées. Ils sont les médicins des âmes: mais quel est le médicin qui s'arroge le droit d'or-donner des remèdes dans une maison, sans être appellé par la confiance des malades qui ont besoin de son ministère? Ce qu'il y a de bien sûr, c'est que l'église n'a que le pouvoir de Jésus-Christ; or, Jésus-Christ n'a jamais prétendu exercer son ministère, même dans les bourgades qui n'ont pas vou-lu de ses bons offices; et l'église, dans les premiers siècles, donnoit un autre évêque à toute église qui ne vouloit pas de l'évêque qu'on lui avoit envoyé. L'église de ces premiers temps, connoissoit mieux ses droits que l'église moderne, c'est-à-dire, que les ministres de ces derniers siècles; car l'église n'a point changé d'esprit; elle n'a rien perdu de ses principes antiques qui excluent toute pré-tention»51.

Gesù Cristo creando la Chiesa non intese colpire o solo sminuire la potenza temporale, egli, al contrario, se ne proclamò il protettore «et tel fut son respect pour cette puissance, que quoiqu'il vint sous le règne des plus injustes despotes, il se conduisit, comme doit le faire tout particulier, avec la plus exacte soumission; il fit même un miracle tout exprès pour payer le tribut à César»52. La Chiesa apostolica e quella primitiva non solo non avevano aspirazioni temporali, ma si disinteressavano completamente di ogni questione temporale. Fu con Costantino che la Chiesa incominciò ad avere una organizzazione territoriale parallela a quella politico-amministrativa dell'impero romano ed al-lora ebbe inizio la sua degenerazione.

Il Pontard torna in continuazione a parlare, diffusamente o per accenni, secondo i casi, di questo processo di degenerazione. Non è qui possibile seguirlo in tutto il suo dire, sarebbe troppo lungo e sostanzialmente privo di vero interesse: il quadro da lui tracciato, le sue critiche, infatti, non si dif-ferenziano gran ché da quelle che vasti settori del cattolicesimo muovevano nel XVIII secolo e in quegli anni specialmente alla Chiesa romana. Basterà dire che riguardavano soprattutto la sua cor-ruzione morale, la sua mondanizzazione e temporalizzazione, la sua monarchicizzazione e gerarchi-cizzazione, il progressivo strutturarsi del clero in un corpo staccato dalla comunità dei fedeli53 e con suoi ben precisi interessi, il suo tramutarsi in uno strumento del despotismo e degli interessi tempo-rali del papa, il suo giustificare tutte queste trasformazioni con una serie infmita e contraddittoria di canoni e di sottigliezze teologiche, che avevano finito per snaturare la religione evangelica, dividere i fedeli, screditare la Chiesa stessa, diffondere l'incredulità54. In particolare, il Pontard insiste su al-cuni concetti. Primo, in seno al cristianesimo vi è «une infinité de règles et de statuts illusoires, et même injustes, qui ont été faits au nom de l'église, et que l'église a toujours repoussé, mais toujours

49 Ivi, III sett. di maggio 1792, p. 265. 50 Ivi, I sett. di aprile 1792, p. 166. 51 Ivi, III e IV sett. di giugno 1792, p. 359. 52 Ivi, p. 337. 53 Il Pontard immagina il clero come un torrente formato da mille ruscelli, l'influenza dei quali è benefica, ma che

una volta riunitisi danno vita ad un corso d'acqua impetuoso e dannoso. «Ainsi, je dis que chaque membre du clergé est honnête, respectable, en un mot vertueux, mais tous rendus à la masse, ne sont plus qu'un être collectif, qu'on peut ap-peller monstre» (Journal prophétique, III sett. di aprile 1792, p. 195).

54 «Non, ce n'est pas Voltaire, ce n'est pas Diderot, c'est vous ambitieux et scandaleux ministres, c'est vous prêtres sans zèle, lévites courtisans et moines relachés, qui donnez aux sophismes de l'impie le poids et le crédit de la raison; c'est vous qui noutrissez les doutes sur la foi, qui avez fait en france des millions d'incrédules» (Journal prophétique, II sett. di maggio 1792, p. 250).

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oppressée par le pape et le haut-clergé, elle n'a pu jusqu'à ce moment s'en faire justice»55. Secondo, «tout, jusqu'à la foi, ce don invisible et surnaturel, s'étoit depuis long-temps transformé en une arme du despotisme. Quelques hommes, qui ne sont que l'organe de la vérité, et non point la vérité elle même, se sont fait passer exclusivement pour juges de la foi; ils ont subjugué toutes les opinions par cette espèce d'hérésie, ils se sont arrogé l'empire de la pensée et du sens commun même»56. Terzo, il papa e i vescovi non hanno ricevuto da Dio ne titolo, né giurisdizione, né soggetti, né territorio, «c'est uniquement à la volonté des fidelles qu'il appartient de leur conférer le titre ou la faculté d'exercer le pouvoir de l'église, de leur désigner les sujets et le territoire, de manière qu'au lieu que les ministres aient les droits que reclament nos despotes spirituels sur les fidelles, ce sont les fidelles qui ont tout droit sur leur ministère»57. Quarto, ogni vescovo ha gli stessi poteri del papa; il papa non è che primus inter pares, non ha che «la plénitude du sacerdoce», Roma non conferisce a lui al-cuna «surabondance» di potere, «en sorte que l'évêque de Rome est apôtre comme les autres, et que les autres évêques sont apôtres comme lui, tous propres à être papes, sans aucun autre degré de pouvoir»; l'unità è «article essentiel au corps visible de l'église», nulla però stabilisce, né importa che «ce point d'unité soit concentré dans Rome»; in una Roma che per di più non è che la moderna Babilonia58. Quinto, la Chiesa è composta da tutti i fedeli, non solo dal clero; l'autorità del Concilio «est une autorité supérieure à tous pouvoirs du saint-siège»; ogni sacerdote ha da Dio - che l'ha «confié à son église» - il potere di assolvere e di amministrare i sacramenti59.

Ora però - proclama il Pontard - «le moment est venu où Dieu veut venger l'église universelle de cet état de violence»60, i tempi cambiano, «la religion entre dans une nouvelle période», in una sta-gione simile alla primavera, «où le soleil dardant ses rayons plus à plomb sur la terre tournée vers lui, dissipe les brouillards qui la couvrent et donne par sa douce chaleur une nouvelle vie aux plan-tes et à toutes les semences qui ont surmonté la froidure de l'hiver: mais surtout la religion paroît avec un lustre nouveau, avec un éclat qui la fait connoître de tous ceux qui ignorent le mystère des diverses périodes où elle doit passer, et la connoissent plus par ses habitudes et son langage que par elle-même. Elle choisit pour ses témoins des hommes libres animés de l'amour qu'ils ont pour elle, et qui ne craignent point de s'exposer à toutes les contradictions et les traverses que le témoignage de la vérité ne sauroit manquer de leur attirer, car elle veut qu'ils parlent franchement aux hom-mes»61. Questo periodo è stato annunciato da numerose profezie (di Isaia, di Ezechiele, di Michea, di Pietro, ecc.) e il suo avvicinarsi è stato confermato da molti spiriti illuminati ed eletti (per esem-pio da Duguet62) persino nella stessa Roma; anche la Chiesa romana ne ha parlato, sin in occasione dell'ultimo giubileo, cominciando a tacerne solo quando i vescovi hanno visto in pericolo le loro ricchezze63. Che oggi esso abbia avuto inizio è dimostrato dal realizzarsi delle condizioni e dei fatti annunziati dai profeti64: «qui peut donc se refuser à croire que le temps où nous sommes présente le tableau prédit par les prophètes?» È ora dunque che il popolo «laisse-là les charlatans de la religion, pour écouter les vrais apôtres».

Indicate così le linee generali su cui il Pontard articolava la sua critica alla Chiesa e alla società del suo tempo e il suo annuncio dell'avvenuto inizio della loro rigenerazione, rimane da vedere co-me egli, nel Journal prophétique, prospettasse concretamente la nuova Chiesa e la nuova società.

55 Journal prophétique, 3 settembre 1792, p. 114. 56 Ivi, I sett. di gennaio 1792, p. 8. 57 Ivi, III e IV sett. di giugno 1792, p. 354. 58 Ivi, I sett. di maggio 1792, pp. 226-227; II sett. di luglio 1792, pp. 31-32; III sett. di luglio 1792, pp. 33-41; 3 set-

tembre 1792, pp. 113-114. 59 Ivi, I sett. di aprile 1792, pp. 166; I sett. di maggio 1792, p. 228; 3 settembre 1792, pp. 113-114. 60 Ivi, I sett. di gennaio 1792, p. 9. 61 Ivi, II sett. di marzo 1792, pp. 99-100. 62 Ivi, I e II sett. di luglio 1792, pp. 1-16, 17-30, Explication du XXIII chapitre d'Isaïe par M. Duguet. 63 Ivi, I sett. di febbraio 1792. pp. 21-28. 64 Ivi, I sett. di gennaio 1792, pp. 12-15; IV sett. di marzo 1792, pp. 129-135.

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Quanto alla nuova Chiesa, sulla base di quanto siamo venuti dicendo non è difficile farsene un'i-dea. Così come non è difficile comprendere come per il Pontard la Chiesa costituzionale65 non fosse che il primo passo verso di essa, passo per il momento solo francese, ma destinato, con il procedere della rigenerazione, ad universalizzarsi66.

Quanto alla nuova società, farsene un'idea è molto più difficile. Il Pontard - così come tutti i mi-stici del suo tempo - non ha idee chiare in merito. La rottura del processo sociale in sfere separate e l'assommare tutte queste in quella religiosa lo rendono non solo incapace di afferrare la sostanza della crisi politico-sociale che travagliava la Francia, e ovviamente incapace di prospettarsi i mezzi per superarla e le forze atte a farlo, ma è anche incapace di prospettarsi concretamente la meta da raggiungere, quale doveva essere cioè il nuovo assetto politico-sociale. Il quadro che egli fa della nuova società è pertanto estremamente generico. In esso si può, al massimo, scorgere una vaga eco delle aspirazioni popolari più diffuse ed un altrettanto generico riecheggiamento delle mitiche socie-tà patriarcali dei primordi dell'umanità. Sin dal primo numero del Journal prophétique, egli parla di «abaissement des grands», d'«égalité parmi les hommes», d'«une même façon de penser entre eux, par la foi qu'ils auront embrassée», d'«une paix générale»67: queste aspirazioni ricorrono in tutti i successivi numeri, mai però assumono una più precisa configurazione, mai escono dalla loro gene-ricità.

La carica novatrice del misticismo del Pontard non va oltre la drammatica denuncia del passato, il suo messianesimo profetico a sua volta non va oltre l'annuncio della fine di questo passato e del-l'avvento di una nuova meravigliosa era di giustizia, di amore, di benessere, di cui la Rivoluzione non è che l'inizio. Le forme, le fasi del passaggio dal vecchio al nuovo gli sono oscure e, in ultima analisi, non lo interessano gran che: il suo occhio acceso guarda oltre queste forme e queste fasi di transizione e, sorretto dalla Fede, è già abbagliato dalla grande luce di Dio finalmente rivelatosi e fmalmente venuto a realizzare il suo Regno tra gli uomini. Se qualche volta il suo occhio si abbassa a guardar l'oggi la sua guida è la Rivoluzione nel suo farsi successivo. Ciò che ella fa è - ancora - il farsi della rigenerazione, il realizzarsi del Regno. E il Pontard la segue e l'approva68; e la sua conce-zione politica si evolve con l'evolversi del processo rivoluzionario.

Tipica è la sua evoluzione nei confronti della monarchia. Si è visto cosa egli pensasse della mo-narchia in genere, della sua essenza e del suo ruolo. La possibilità che la rigenerazione . dell'umani-tà e, intanto, della Francia potesse portare con sé la scomparsa dell'istituto monarchico non si affac-ciò neppure lontanamente nella sua mente per lungo tempo. La monarchia - il re-pastore-del-popolo - era parte integrante della sua concezione. Alla monarchia francese anzi spettava per lui l'onore di riportare l'istituto monarchico alla sua purezza. Non solo egli riproduce nel Journal prophétique uno scritto del Patriote véridique in cui ci si rivolgeva a Luigi XVI perché ponesse fine alla corru-zione del clero ed intervenisse a sanare gli scandali che turbavano la vita sociale francese69; ma si

65 Numerosi sono gli articoli e i passi del Journal prophétique in difesa della Chiesa costituzionale. Tra essi ricorde-

remo quello della V sett. di marzo 1792 (pp. 146-160), volto a confutare una brouchure clericale che aveva sostenuto l'identificazione della Chiesa costituzionale con la bestia dell'Apocalisse, e quello della II sett. di aprile 1792 (pp. 180-188), della IV e V settimana di maggio 1792 (pp. 274-288, 289-298) e della III sett. di giugno 1792 (pp. 305-314) con-tro i refrattari. Notevole interesse hanno pure un passo della III sett. di aprile 1792 (pp. 196-197) in cui è difeso e giusti-ficato il giuramento imposto ai membri della Chiesa costituzionale dal governo francese, e la confutazione delle bolle e dei brevi di Pio VI contro la Chiesa costituzionale e l'annessione alla Francia di Avignone (IV sett. di aprile 1792, pp. 217-224, I sett. di maggio 1792, pp. 225-240 e III sett. di luglio 1792, pp. 41-49).

66 Il Pontard prese esplicitamente posizione a favore di tutte le più importanti riforme introdotte dalla Chiesa costitu-zionale; l'elezione dei parroci (Journal de P. Pontard, II quindicina di gennaio 1793, pp. 18-28), il matrimonio dei preti (Ivi, pp. 23-24; egli stesso si sposò), la riduzione e la soppressione delle feste religiose e delle processioni (Journal pro-phétique, I sett. di agosto 1792, pp. 92-95), ecc.

67 Journal prophétique, I sett. di gennaio 1792, pp. 11-12. 68 Nella sua adesione alla Rivoluzione il Pontard non venne però mai meno ai suoi principi cristiani di bontà e di

umiltà. Continuamente auspicava che il processo rivoluzionario potesse realizzarsi senza spargimento di sangue e, no-nostante i suoi violenti attacchi contro i refrattari, sappiamo (Journal de P. Pontard, I e II quindicina di febbraio 1793, pp. 33-34) che ne aiutò individualmente vari «pour amour».

69 Journal prophétique, III sett. di maggio 1792, pp. 257-263.

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rivolge direttamente al re, con simpatia e fiducia, ammonendolo di non farsi ingannare dai malvagi ed invitandolo a sua volta ad intervenire contro di essi per affrettare la rigenerazione70. L'istituto monarchico aveva per lui - pur nel suo contrattualismo - precise basi divine. Eppure, all'indomani del 10 agosto, egli non ebbe dubbi né incertezze. Il suo anatema si abbatté su Luigi XVI e sulla mo-narchia francese, sui Borboni e su tutto l'istituto monarchico: «il est temps que cela finisse». Il re si è dimostrato complice degli aristocratici e dell'«oltre-Reno», ha tradito il suo popolo e scatenato la guerra civile. La sua condanna di Luigi XVI e di «tous les rois de ce monde» è immediata e senza appello. Guardate gli avvenimenti del 10 agosto: «voila le portrait des cours royales; les peuples n'ont pas plus terribles fléaux que ces cours barbares»! È Dio stesso che indica ai popoli - e Isaia lo aveva già profetizzato - la distruzione dell'istituto monarchico: «Le temps de la miséricorde du ciel est enfin arrivé; Dieu va effacer toutes ces grandeurs meurtrières; il nous l'assure par son prophète ... In novissimis temporibus... Aufert a Jerusalem et a Juda validum et fortem bellatorem, judicem, prophetam, prudentem eloquii mystici... C'est-à-dire, ces rois, ces potentats, ces princes, ces parle-mens, ces évêques et ces prêtres que font les mystiques, ces chanoines si pieux depuis la révolution, et l'évêque de Rome qui a enrolé par ses bulles, qui a comme recruté toutes les armées étrangères contre nous; Dieu, dit le prophète Isaie, va tout mettre en combustion pour anéantir l'arrogance et l'impieté». E - quasi a rincuorare gli incerti ed i dubbiosi - soggiunge: «Nous avons mille données qui concernent la révolution spirituelle, elle s'effectuera bientôt... Ainsi nous vivons au sein de cette crise affreuse dans les plus douces ésperances: elles sont incroyables encore, nous ne pouvons tirer le rideau que successivement»71.

L'evoluzione del Pontard a proposito della monarchia - non solo francese, si badi, ma dello stes-so istituto monarchico in genere - è significativa e, meglio di ogni lungo discorso, si presta a mo-strare come quel misticismo fosse, sul piano del giorno per giorno, privo di autonomia e legato allo sviluppo rivoluzionario. La reazione del Pontard alla giornata del 10 agosto è però importante anche da un altro punto di vista: essa, infatti, permette forse di scorgere un primissimo segno di logora-mento del misticismo pontardiano. Rileggendo con attenzione il numero del 27 agosto del Journal prophétique, viene quasi spontanea la domanda se il suo ottimismo e la sua certezza a proposito del-la prossima «révolution spirituelle» siano sinceri, se il Pontard volesse veramente rincuorare solo i dubbiosi e gli incerti o non anche se stesso. Come già per certe predizioni della Labrousse, egli è veramente convinto di non poter ancora «tirer le rideau» per motivi di opportunità, o non piuttosto, profondamente colpito dagli ultimi avvenimenti, arrocca dietro questa apparente fiduciosa sicurezza i suoi primi dubbi? Non ci sembra un caso che una settimana dopo, gettando un coup-d'oeil sur la situation actuelle de l'Europe, egli osservi che la lotta potrà essere ancora lunga e penosa, «qu'elle lasseroit notre constance». La libertà francese, egli dice72, trionferà sulla coalizione monarchica; non vi è dubbio: si Deus est pro nobis, qui contra nos? Il mistico richiamo a Dio è il solito, eppure in queste pagine di settembre del Journal prophétique il popolo - i popoli per meglio dire - ha un ruolo che mai prima, neppure negli scritti più patriottici del Pontard, aveva avuto: la libertà francese trionferà, specie se giocherà a suo favore la solidarietà dei popoli che hanno le stesse aspirazioni di quello francese, se la guerra dei re contro i popoli si trasformerà nella guerra dei popoli contro i re. L'osservazione del Pontard non ha valore alternativo, ma solo temporale, essa però è, a nostro avvi-so, indicativa. Così come è indicativo - anche se si considerano debitamente i motivi di opportunità che possono avere indotto il Pontard a ciò - il fatto che proprio dopo il 10 agosto il Journal prophé-tique incominci a dare spazio alle notizie politiche a scapito del suo profetismo e delle sue discus-sioni esclusivamente religiose. E - addirittura - di là a poco, si trasformi nel Journal de P. Pontard.

Per robusta che fosse, la carica mistica non poteva col tempo non perdere intensità; più di tre an-ni di turbinosi avvenimenti, di avvenimenti di cui con la più buona volontà era difficile, sempre più difficile, vedere lo sbocco definitivo, di avvenimenti così profondamente sconvolgenti tutti i valori e tutte le realtà, non potevano non influire anche sulla fede più salda. Se per la Labrousse, ormai

70 Ivi, IV sett. di luglio 1792, pp. 63-64. 71 Ivi, 27 agosto 1792, pp. 98-108. 72 Ivi, 3 settembre 1792, pp. 121-124.

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lontana dalla realtà viva della Rivoluzione vissuta giorno per giorno nel suo crogiolo, era possibile ancora guardare sicura innanzi (ma non troppo: il 1800 non era poi così lontano), ciò diveniva ben più difficile per coloro - come il Pontard - che, profondamente legati al popolo e partecipi del suo travaglio, si trovavano al centro della Rivoluzione stessa e, condividendone le aspirazioni, non po-tevano non considerare sempre di più i suoi aspetti umani quotidiani. La necessità di agire non po-teva non farsi strada anche nelle menti sino allora più incapaci di rendersi conto delle cause della crisi e dei mezzi per superarla. Non è forse dunque un caso che di lì a pochi mesi il Pontard sentisse, in misura tanto forte da indurlo ad abbandonare Parigi, la necessità che vi era in campagna di buoni preti costituzionali e, fatta anche questa esperienza, di là a poco più di un anno abbandonasse addi-rittura la sua missione vescovile per dedicarsi, da laico, ai problemi immediati del suo popolo73.

La logica dei fatti si dimostrava così più forte di qualsiasi mistica trascendentale. Da un lato que-sta, per forte che fosse, una volta postagli una scadenza terrena non poteva non esigere il suo rispet-to, il suo realizzarsi. Da un altro lato, il progressivo organizzarsi della nuova società nata dalla Ri-voluzione non poteva non ripercuotersi anche su quelle personalità che della precedente disorganiz-zazione di essa tanto avevano sentito il peso. L'unità inscindibile del processo sociale rivoluzionario non poteva non influire su queste personalità nel senso di una ricomposizione e di un riequilibrio, lento e parziale quanto si vuole, delle varie sfere sociali.

73 Pierre Pontard abdicò il vescovado il 15 novembre 1793. Si dedicò quindi alla vita politico-amministrativa locale.

Diresse l'ospedale di Périgueux. Tornato a Parigi alla fine del 1795 aprì una «maison d'éducation» per giovinette. Morì nel 1832.

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CAPITOLO QUINTO

L'ILLUMINISMO ROMANO: OTTAVIO CAPPELLI E SUZETTE LABROUSSE

L'illuminismo e la massoneria mistica furono introdotti a Roma verso la metà del decennio 1780-1790, ma come tale introduzione abbia avuto luogo nulla sappiamo: forse per opera di qualche ro-mano vissuto a lungo fuori dello Stato della Chiesa o, più probabilmente, di qualche straniero di passaggio, così come era già avvenuto un cinquantennio prima con la massoneria giacobita. Si po-trebbero del resto avanzare supposizioni (tramite di questa introduzione potrebbe essere stato l'Or-dre des Chevaliers Bienfaisants de la Cité Sainte che intorno al 1780-81 si estese in tutta Italia ed ebbe logge a Chambéry, a Torino, in Lombardia e a Napoli1) e fare nomi (si potrebbe pensare ai Gi-raud, al principe S. Chigi, e a qualche membro del seguito dello czarevic Paolo di Russia, e al Bru-more), ma, tutto sommato, allo stato attuale degli studi non ci sembra opportuno. Più interessante invece ci sembra notare, e già recenti studi l'hanno dimostrato, come l'ambiente romano non doves-se essere del tutto impreparato ad accogliere questi motivi mistici.

Alla fine del secolo XVII esisteva infatti a Roma una certa tradizione mistico-occultistica, che, per molti versi, sembra «anticipare stranamente taluni aspetti del Settecento di Cagliostro, di Me-smer e degli Illuminati»2. Nell'ultimo trentennio del XVIII secolo poi tale tradizione si arricchì di nuova linfa: il misticismo millenaristico ebbe notevole incremento ed irruppe - dapprima in forme elementari e sentimentali, poi in modo sempre più sistematico e profondo - nella società romana, soprattutto in quella ecclesiastica. Tramite di questa irruzione furono specialmente alcuni gesuiti ri-fugiatisi in gran numero a Roma e nello Stato della Chiesa in seguito alla crisi prima e alla soppres-sione poi della Compagnia di Gesù. Profeti e visionari costituirono durante il pontificato di Clemen-te XIV una «vera epidemia»3; durante quello di Pio VI il loro numero diminuì notevolmente, ma il movimento guadagnò in profondità e in serietà quanto perse in estensione. Molti gesuiti infatti - specialmente ispano-americani4 - reagirono allo choc della persecuzione e della soppressione orien-tandosi appunto verso forme mistico-millenaristiche, quasi vedendo nei turbinosi avvenimenti di quegli anni un segno dell'avvicinarsi del millennio annunciato da tante profezie dell'Antico Testa-mento e dall'Apocalisse. Motivi che trovavano la loro origine in Gioacchino da Fiore e nella sua scuola e, ancor più indietro, nel millenarismo di Giustino, Ireneo, Lattanzio e dello stesso s. Agosti-no, divennero comuni tra molti di essi.

Tipico rappresentante di questo orientamento fu il p. gesuita cileno Manuel de Lacunza5. La sua opera La venida del Mesias en gloria y magestad fu scritta appunto nello Stato della Chiesa tra il 1775 e il 1790. In essa, tutta basata sulla tradizione biblico-profetica, non solo si riscontra il mille-narismo più eccitato e fantastico, ma la Roma del XVIII secolo è esplicitamente identificata con la

1 A. JOLY, op. cit., pp. 133-34, 148 (con elenchi di nominativi). 2 G. SPINI, Ricerca dei libertini, Roma 1950, pp. 324-26. 3 L. v. PASTOR, Storia dei Papi, trad. it., XVI, p. II, Roma 1933, pp. 395, 397. 4 M. BATTLORI, La letteratura ispano-italiana del Settecento (II), in Civiltà Cattolica, 1956, III, pp. 510-11. 5 Su di lui si veda A.-F. VAUCHER, Une célébrité oubliée: le p. Manuel de Lacunza y Diaz S. J. (1731-1801), Col-

longes-sous-Salève 1941; ID., Lacunziana. Essais sur les prophéties bibliques, Collonges-sous-Salève 1949; B. VILLE-

GAS, El milenarismo y el antiguo testamento a traves de Lacunza, Valparaiso 1951.

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Babilonia e viene annunciata come prossima la seconda venuta del Messia6. Sull'ambiente romano tale opera ebbe larga influenza. Anche se il de Lacunza non si mosse quasi mai dal suo rifugio di Imola, essa fu infatti molto nota a Roma almeno dal 17857, poiché ne circolarono vari abbozzi e co-pie manoscritte.

Oltre al de Lacunza, molti altri studiarono del resto in questi anni nello Stato della Chiesa e a Roma in particolare la Bibbia da un punto di vista millenaristico. Tra l'altro proprio a Roma sap-piamo che «un grande teologo» giunse attorno al 1789 a conclusioni molto simili a quelle a cui era pervenuto l'ex gesuita cileno8. Se si deve credere al Pontard9, l'inizio di una nuova età veniva an-nunciato prossimo, tra il 1780 e il 1783, persino da Benoît Joseph Labre, l'asceta mistico francese che fu a Roma per sei anni a vi morì in odore e universale fama di santità10. È logico quindi pensare che su questo terreno favorevole l'illuminismo, in qualsiasi modo esso sia stato importato, riuscisse ad attecchire con una certa facilità e si formasse a Roma un gruppetto di illuminati11.

Di questi illuminati ben presto divenne l'anima Ottavio Cappelli. Di lui, sino ad oggi, poco si sa-peva: quasi tutte le notizie si potevano sostanzialmente far risalire ad un passo della famosa Histoire des sectes religieuses del Grégoire12, che a sua volta, del resto, non fa altro che riassumere e citare una notificazione a stampa del p. T. V. Pani, commissario generale dell'Inquisizione romana, in data 21 novembre 1791, con la quale si rendeva nota l'avvenuta condanna del Cappelli a sette anni di re-clusione. Oltre questo e oltre qualche documento locale e d'ambiente massonico, anche gli studiosi più seri dell'illuminismo avignonese - il de Vissac, l'Ujejski, la Bricaud, il Viatte - non hanno porta-to nuovi elementi utili per una migliore conoscenza della figura del Cappelli. Ignorati sono rimasti alcuni interessanti accenni al Cappelli sparsi in studi sul Settecento romano, e, ancor più grave, i-gnorato è rimasto quello che l'Huczanski dice sul nostro nella voce Grabianka della vecchia enci-

6 A.-F. VAUCHER, Une célébrité oublieé, ecc., cit., p. 131. 7 A. CHANETON, En torno a un «papel anónimo» del siglo XVIII, Buenos Aires 1928, pp. 16-19, 23-24. 8 A.-F. VAUCHER, Une célébrité oublieé, ecc., cit., p. 32. Chi fosse il «grande teologo» non sappiamo. Se ci è però

lecita una ipotesi, suggeriremmo il nome del famoso gesuita G. V. Bolgeni. Costui infatti fu successivamente traduttore ed annotatore de La venida del Mesias e pare accettasse in gran parte le tesi del de Lacunza (cfr. A.-F. VAUCHER, op. cit., pp. 37, 50-52; ID., Lacunziana, cit., p. 84). A Roma aveva fama di teologo di gran valore e fu da Pio VI, nel 1787, nominato teologo della S. Penitenziaria.

Sul Bolgeni manca un buono studio; si veda, con estrema prudenza, A. QUACQUARELLI, La teologia antigiansenista di C. V. Bolgeni, Mazara s.d.

9 Journal prophétique, II settimana di febbraio 1792. Parlando della setta di S. Giovanni Evangelista (pp. 43-45), il Pontard scrive che il Labre, così come il maestro di quella setta e S. Labrousse, annunziò un segno in cielo (nel sole) che avrebbe illuminato tutto e segnato il prossimo inizio di una nuova età.

10 B.-J. Labre morì a Roma nel 1783. A lui sono attribuite varie profezie; fu particolarmente devoto alla Vergine e agli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Su di lui si vedano: G. L. MARCONI, Ragguaglio della vita del servo di Dio B. G. Labre francese, Roma 1783; A. M. COLTRARO, Vita del ven. servo di Dio B. G. Labre, Roma (1807); L. AUBINE-

AU, La vie admirable du bienheureux mendiant et pélerin B.-J. Labre, Paris 1875; A. DHOTEL, Saint Benoît Labre, Paris 1957.

11 Che esistesse un terreno abbastanza favorevole è dimostrato, anche, dalla relativa facilità con cui, nel 1789, Ca-gliostro riuscì a far penetrare in certi ambienti la sua massoneria egizia.

La letteratura su Cagliostro è sterminata; dal nostro punto di vista si vedano: Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo denominato il conte Cagliostro, Roma 1791, e C. PHOTIADES, Les vies du comte Cagliostro, Paris 1932.

Cagliostro arrivò a Roma nel maggio 1789 e vi organizzò una loggia egizia a Villa Malta, che ebbe un certo succes-so (D. SILVAGNI , La corte e lo società romana nei secoli XVIII e XIX, I, Firenze 1881, pp. 311-16). Fu arrestato il 27 dicembre; condannato a morte (il 7 aprile 1791) la pena gli fu commutata nell'ergastolo a S. Leo, ove morì il 28 agosto 1795. Con lui fu condannato, a 10 anni, un suo adepto (un altro fu il marchese Vivaldi), il frate cappuccino Francesco Giuseppe di S. Maurizio, al secolo Hyacinthe-Antoine Roullier. Era stato in buoni rapporti con gli ambienti swedenbor-ghiani, per i quali sembra avesse anche commentato l'Apocalisse. Ostentava una particolare venerazione per Maria Ver-gine e considerava s. Giovanni Evangelista il patrono della massoneria egizia. Parlava di ristabilire la vera religione e ricorreva alle profezie (famosa fu la sua Lettera al popolo francese, del 1786, nella quale aveva annunciato alcuni avve-nimenti del primo periodo rivoluzionario): a Roma profetizzò che Pio VI sarebbe stato l'ultimo papa e la laicizzazione degli Stati della Chiesa.

12 H. GREGOIRE, op. cit., II. pp. 197-98.

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clopedia polacca13: egli infatti non solo conosce il Cappelli ed i suoi rapporti col Grabianka, ma ha addirittura notizia (probabilmente attraverso N. I. Novikov14) e del suo primo arresto del 1790 e del secondo, quello del 1799, nonché della sua impiccagione. E queste due ultime notizie sono ignorate da ogni altro autore a noi noto. Avendo potuto ricostruire con una certa precisione - almeno nei suoi tratti fondamentali - la biografia del Cappelli, ci sembra inoltre di poter affermare che nessuno di questi autori - almeno per 1'ambiente avignonese ad essi già abbastanza noto - sia giunto ad una va-lutazione accettabile della personalità del Cappelli stesso e della parte che egli ebbe nelle vicende dell'illuminismo avignonese. La maggior parte di essi - il de Vissac, l'Ujejski, la Bricaud - si sono lasciati troppo fuorviare dalla descrizione del Cappelli fatta dal p. Pani nella sua notificazione, co-me, cioè, di un uomo di bassissima estrazione sociale, privo di cultura (ciò che è invece smentito, fra 1'altro, dalle minute autografe di alcune sue lettere allegate agli atti processuali del 1799-1800), senza arte né parte, che, prima di carpire la buona fede dei confratelli avignonesi, aveva esercitato i mestieri più umili e disparati (fattore, servitore di piazza, ortolano, gallinaro, stracciarolo, prendito-re de' numero al lotto, ecc.); come, insomma, di un nuovo Cagliostro in sedicesimo. Nelle accuse del p. Pani15 vi è infatti molta esagerazione e anche falsità: loro scopo era quello di screditare il Cappelli ed i suoi complici, di disingannare il pubblico sul suo conto, di indurre la gente a denun-ciare i suoi seguaci che erano sfuggiti all'arresto. D'altro canto, invece, il Viatte è portato, a nostro avviso, ad esagerare troppo la parte del Cappelli nella setta avignonese e, soprattutto, le conseguen-ze negative del suo arresto e le voci corse, in quell'occasione, sul suo conto. Per noi la personalità di maggior spicco dell'illuminismo avignonese resta senza alcun dubbio quella del Grabianka, uomo tutto impegnato sul piano mistico, e, al tempo stesso, su quello politico, tipico rappresentante di quel mondo settario che caratterizza la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX. Quanto alle conse-guenze negative dell'arresto del Cappelli e più ancora dell'abiura da lui pronunciata, non neghiamo che tale avvenimento possa aver influito sulla crisi del Nuovo Israel, ma non ne fu certo una causa determinante: dalla discussione che seguì tra i confratelli è evidente che essi si resero conto dei mo-tivi pratici che avevano indotto il Cappelli ad abiurare. Vero motivo della crisi fu, a nostro avviso, come si è già detto, l'incapacità dell'illuminismo avignonese ad inserirsi nella nuova realtà storica in cui non vi era più posto per le moderatissime posizioni d'élite dei suoi membri che rifiutavano di ri-voluzionarizzarsi come tutte le altre correnti mistiche.

Ma torniamo a Roma e ad Ottavio Cappelli. Ecco come questo singolare personaggio ci appare sulla base delle sue deposizioni conservateci negli atti del processo del 1799-180016 e di qualche al-tro documento da noi rinvenuto.

Figlio di un pittore bresciano, Giannantonio (1669-1741), nacque a Siena nel 1736. Rimasto or-fano all'età di cinque anni, uno zio paterno lo avviò agli studi sacerdotali. Compiuti questi, prese gli ordini minori, ma ben presto abbandonò la vita religiosa, non sappiamo se per mancanza di una vera vocazione, come egli affermò davanti ai giudici, o per lo svilupparsi in lui di una religiosità etero-dossa di tipo mistico; purtroppo gli atti del primo processo davanti il tribunale del S. Uffizio sono per noi inaccessibili e quelli del secondo processo tacciono su ogni questione religiosa (silenzio strano questo, che ci porta quasi a formulare l'ipotesi che esistesse a tal riguardo un tacito accordo tra le due parti a non sollevare la questione). Abbandonato l'abito talare, comunque, il Cappelli si trasferì a Roma nel 1760 e qui, dopo esser stato per breve tempo chierichetto a S. Giovanni dei Fio-rentini, si dedicò al piccolo commercio. Da Roma, dopo qualche anno, passò a Bologna dove si in-dustriò in vari mestieri e attività commerciali e dove sposò nel 1764 una donna del luogo, certa Co-

13 W. HUCZANSKI, voce Grabianka, in Encyklopedija Powszechna, cit. X, p. 384. 14 Novikov (riferito dall'Huczanski) mette anzi in stretto rapporto l'esecuzione del Cappelli, ufficiale russo, e il ri-

chiamo del nunzio a Pietroburgo (il Litta). Un rapido confronto di date rende subito convinti della insostenibilità di que-sta tesi. Forse il Novikov confonde il Litta con l'Arezzo e il Cappelli con il Vernègues. Sugli ultimi anni di Novikov e le sue fonti di informazione ad Avdot'in, ove si era ritirato dopo la liberazione, si veda G. VERNADSKJI, Nikolai Ivanovic Novikov, Petrograd 1918, pp. 134 e segg.

15 Le accuse del p. Pani furono riprese pari pari e ampiamente illustrate dai giornali romani del tempo, gli Annali di Roma, nov. 1791, V, pp. 256-61, e il Diario Ordinario-Cracas, n. 1766 del 3 dic. 1791, pp. 17-23.

16 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fasc. 7.

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lomba, con cui visse circa quindici anni e dalla quale ebbe due figli, morti entrambi in giovane età. Nel 1770-71 fece ritorno a Roma. Ignoriamo quali motivi lo riportassero nella capitale. Stando alla sua affermazione, secondo la quale a Roma fu impiegato da Clemente XIV - che sembra avesse co-nosciuto quando era in religione - come scrivano, si può supporre che il suo ritorno fosse appunto determinato dalla speranza di trarre qualche beneficio dalla sua conoscenza con il nuovo papa. È certo comunque che non rimase a lungo nella pubblica amministrazione; parallelamente alla sua at-tività di scrivano egli continuò infatti ad esercitare i suoi traffici, riuscendo, anzi, a trarre «grossi guadagni» dal commercio delle penne e delle piume di gallina. Nel 1780 gli morì la moglie e l'anno seguente si risposò con Chiara Feltrini dalla quale ebbe altri sette figli, due soli dei quali però, Mar-gherita e Gerbonio, giunsero ad età adultà17.

Sino a quest'epoca nulla risulta circa particolari tendenze mistiche del Cappelli, e, addirittura, circa suoi legami con ambienti illuminati. Sulla base degli avvenimenti successivi, però, ci sembra lecito supporre che a Roma, su per giù in questo periodo, egli si avvicinasse al misticismo, se già non vi si era avvicinato al tempo dei suoi studi religiosi, probabilmente attraverso qualche ex gesui-ta ispano-americano. E a conferma di questa nostra supposizione abbiamo una lettera, scritta dall'a-bate Reginaldo Tanzini a Scipione de' Ricci il 15 ottobre 1790 in occasione del primo arresto del Cappelli, in cui si afferma che «questo senese aveva grande amicizia con i gesuiti, specialmente americani»18.

Il misticismo del Cappelli - sarebbe interessante sapere a qual punto di esaltazione egli fosse giunto e se già credesse di «parlare» con gli angeli- trovò comunque il suo coronamento nel 1785, con l'arrivo a Roma, nell'estate di quest'anno, di uno dei più importanti esponenti dell'illuminismo avignonese, Louis-Joseph-Bernard-Philibert de Morveau, detto Brumore. Questi era stato, con il Grabianka e il Pernety, uno degli iniziatori della società a Berlino e sembra anzi che avesse fornito uno dei testi principali sui quali si era articolato, in quei primi anni, il corpus dottrinale di essa. Ol-tre a questo, aveva recentemente dato alle stampe la traduzione francese di una delle più interessanti opere dello Swedenborg, il Traité curieux des charmes de l'amour conjugal (Berlin-Bâle 1784).

Perché il Brumore venne a Roma? Venne per motivi estranei al suo misticismo (per esempio mo-tivi di salute, dato che a Roma morì di mal di petto il 28 febbraio 1786), o perché gli era giunta al-l'orecchio qualche voce circa le doti mistiche del Cappelli, o perché gli illuminati pensavano di svolgere a Roma, sede del papato, una particolare azione in vista degli imminenti avvenimenti an-nunciati loro dalla Sainte Parole (fine del papato, inizio del nuovo regno)19? Pur propendendo per quest'ultima ipotesi, non ci è possibile però rispondere con sicurezza a questi quesiti, come pure dif-ficile ci sembra stabilire se il Cappelli ebbe qualche parte nella redazione della Lettre à M. le mar-quis de Thomé che il Brumore inviò nell'ottobre del 1785 al Journal encyclopédique ou universel20.

17 A. ADEMOLLO, Un processo celebre di veneficio a Roma nel '700 (l), in Nuova Antologia, 1881, XII, p. 603 n., ri-tiene che due bibliotecari della Chigiana, Luigi e Scipione Cappello, fossero rispettivamente figlio e nipote, o nipote e pronipote di O. Cappelli. Riteniamo la cosa molto improbabile, il Luigi certo non era figlio del Nostro.

18 A. ADEMOLLO, Cagliostro e i liberi muratori, in Nuova Antologia, 1881, VIII, p. 628. Quanto all'accusa che sia il Tanzini sia il conte G. Astorri (in una lettera dello stesso giorno anch'essa al de' Ricci, pure edita dall'Ademollo) lancia-rono contro il Cappelli di essere molto probabilmente un agente dei gesuiti, non solo ogni documento tace e tutta la fi-gura del senese la smentisce, ma ci sembra anche facile spiegarne l'origine se appena si considerano da una parte i rap-porti che egli aveva con alcuni gesuiti ispano-americani e con la corte russa, presso la quale in quegli anni i gesuiti ave-vano trovato ospitalità e protezione, e dall'altra il rigido giansenismo di coloro che tale accusa formularono.

19 J. BRICAUD, op. cit., pp. 39-65; A. VIATTE, op. cit., I, pp. 98-99. 20 Il Journal encyclopédique ou universel nel 1785 si occupò molto del magnetismo animale, pubblicando, tra l'altro,

anche la relazione della commissione regia nominata ad hoc in Francia. Nel tomo VI, parte 11, pp. 310-20 (settembre) pubblicò dei Remarques sur une assertion des commissaires nommés par le roi pour l'examen du magnétisme animal a firma marquis de Thomé, nel corso dei quali l'autore polemizza aspramente contro la relazione della commissione regia ed in particolare con il passo di essa in cui si diceva che «n'existoit point encore de théorie de l'aimant». Swedenborg, egli ricordava, nella sua Opera philosophica et mineralia (Leipzig 1734) aveva dimostrato la formazione del mondo e l'aveva fondata proprio sull'elemento magnetico. In un post scriptum sottolineava poi le differenze che intercorrevano tra lo swedenborghismo e il martinismo. La Lettre del Brumore (tomo VIII, parte II, pp. 286-97, dicembre) datata Roma 10 ottobre 1785, riprende in buona parre i concetti del Thomé, lo loda per la sua difesa di Swedenborg e insiste sul fatto che il mesmerismo non avrebbe, secondo lui, altro pregio che quello di favorire utili discussioni e ricerche.

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Quel che è certo è che il Brumore mise il Cappelli in diretto contatto con i confratelli d'Avignone e che nel giro di pochi mesi, dopo il Brumore, Cappelli conobbe Joseph Ferrier de Chivas, anch'egli importante membro della setta, e poi addirittura il Grabianka, rispettivamente a Roma nell'86 e nel-l'87: e in seguito a queste amicizie il Cappelli si decise, verso la fme dell'87, a mettersi in viaggio per Avignone21, dove dovette trattenersi circa un anno, poiché sappiamo, dalla sua deposizione, che nell'89 era di nuovo a Roma. Il soggiorno avignonese del Cappelli, ançhe se breve, fu intensissimo: sin dal suo arrivo occupò nella setta un posto di primissimo piano diventandone, grazie alle sue doti mistiche (capacità medianiche?), il profeta principale. Il suo prestigio dovette essere subito grandis-simo: a differenza di altri confratelli, che anche loro avevano avuto o avevano ancora relazioni con l'aldilà, egli solo infatti sembra fosse capace di entrare in diretto contatto con gli angeli. Fu quindi assunto nel «direttorio» della società e nell'ambito di esso acquistò un enorme ascendente che lo metteva quasi sul piano del Grabianka stesso che del Popolo di Dio era il Re. Per lui infatti fu creata la carica di Uomo-Re, destinata - di fatto - ad assorbire o almeno a sminuire di molto quella del Pro-feta, cioè del Pernety. Attraverso di lui la società ed i singoli confratelli regolavano la loro vita spi-rituale e materiale sin nei più piccoli particolari: si può dire che nulla venisse intrapreso prima che il Cappelli avesse interpellato gli angeli, specialmente gli arcangeli Gabriele e Raffaele, per conoscere la loro opinione su ogni singola questione. In breve tempo il suo ascendente e la sua fama varcarono il ristretto ambito dei confratelli avignonesi e si sparsero in tutto il vasto mondo mistico e teosofico dell'epoca, acquistando per il Popolo di Dio un prestigio inimmaginabile e nuovi adepti da tutte le parti d'Europa. Con il soggiorno del Cappelli ad Avignone ha inizio l'epoca d'oro della setta: il nu-mero dei confratelli superò di parecchio il centinaio e, quel che più conta, il Nuovo Israel si affermò nel mondo degli illuminati come la società più vicina alla perfezione mistica e a Dio. Le pagine de-dicate dal Dampmartin agli illuminati d'Avignone alcuni anni dopo, quando cioè già era scoppiato quello che qualcuno ha voluto chiamare «lo scandalo Cappelli», sono una sufficiente testimonianza di questo loro ascendente e di questa loro fama. Nonostante fosse ancora viva l'eco dell'abiura del Cappelli, il Dampmartin infatti formulò nel 1799 ne Le Spectateur du Nord e ripeté molti anni dopo nelle sue memorie, un giudizio, che, da qualsiasi punto di vista lo si esamini, non rivela che elogio, ammirazione e rispetto: e questo giudizio ha per noi tanto maggior valore in quanto è stato dato da un uomo che non fece mai parte della società avignonese e che apertamente dichiara di essere stato incapace di abbracciarne sinceramente il credo. «Mon second séjour à Avignon - egli narra ricor-dando gli avvenimenti dell'anno 1792 - me mit à portée de connaître une société surprenante dont les membres m'inspirèrent un respect mêlé de doute, de surprise et d'admiration. Sur un ordre qu'ils croyaient surnaturel et émané de la puissance suprême, ils étaient venus de différentes contrées de l'Europe se rassembler dans un même centre. Un seigneur polonais avait sur eux l'autorité de chef: Dom Pernetti, ancien bibliothécaire du grand Frédéric, exerçait les fonctions d'apôtre, et plusieurs hommes connus se montraient des disciples zèlés. Les uns comme les autres, pleins de confìance dans la voix, selon eux céleste, qui réglait leurs actions, bravaient les dangers et ne redoutaient ni le désordre ni le tumulte. On les vit, également tranquilles et fermes, pratiquer les vertus bienfaisantes, remplir les exercises de la piété, faire, en un mot, dans le sein de l'abomination, revivre les moeurs des premiers chrétiens. Une alliance d'hommes religieux, placée en parallèle avec une coalition de scélérats effrénes, formait le contraste le plus sublime22. Les sectaires, égarés peut-être par leur amour même pour la Divinité, m'accueillerent avec un empressement qui me toucha. J'éprouvai d'abord le désir d'être du nombre de ces élus; mais la réflection et le sentiment l'étaignirent. Je ché-ris, je respectais des hommes dont l'immagination se montrait exaltée par des motifs nobles et reli-

21 Nella sua deposizione davanti alla Giunta di Stato il Cappelli affermò di essersi recato a Torino e poi ad Avignone

perché il Ferrier de Chivas gli aveva promesso - come in effetti fu - di farlo assumere come ufficiale in qualche esercito. In effetti l'assunzione del Cappelli nell'esercito del Württemberg e poi in quello russo (in entrambi con il grado di tenen-te) dovette essere una conseguenza della sua adesione all'illuminismo avignonese; un modo con cui la setta, attraverso alcuni suoi membri particolarmente qualificati (nella fatti specie il duca Federico Guglielmo del Württemberg e l'ammi-raglio Plesceev), aiutava i confratelli privi di beni di fortuna.

22 Si noti come il Dampmartin tenga a sottolineare il carattere non rivoluzionario della setta.

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gieux; mais je reconnus en moi l'impossibilité d'embrasser sincèrement leur opinions. Les tromper par un zèle hypocrite! Grâce au ciel, mon coeur en repoussa la pensée. Ils me prédirent avec une surprenante clarté les événemens dont je n'ai pas cessé d'être ou le jouet ou la victime. Rien de plus naturel que le souvenir doux et précieux qu'ils m'ont laissé»23.

Abbiamo visto sin qui l'importanza che il soggiorno del Cappelli ebbe per la fama e il prestigio della setta avignonese, ci resta ora da esaminare l'importanza e il peso che esso ebbe nella vita in-terna e nell'interno sviluppo della setta stessa.

Coloro che si sono occupati dell'illuminismo avignonese hanno tutti concordemente affermato24 che il Cappelli, durante il suo soggiorno in Provenza, avrebbe avuto una parte notevole in una scis-sione della società operata dal Grabianka ai danni del nucleo primitivo della setta impersonato dal Pernety. Anzi da questa scissione sarebbe addirittura sorto il vero e proprio Nouvel Israël che do-vrebbe pertanto considerarsi, secondo tali autori, un ramo secondario e spurio dell'illuminismo avi-gnonese e da non identificarsi con questo25. Noi riteniamo invece che tale affermazione sia errata, frutto di una troppo radicale valutazione di alcuni episodi della storia interna dell'illuminismo avi-gnonese e di un mancato approfondimento dei suoi presupposti ideologici. Il nostro disaccordo si basa soprattutto su studi polacchi su Grabianka e specialmente sulla voce dell'Huczanski, veramente fondamentale per la conoscenza che egli ha di materiali russi di primissima mano, e, soprattutto su un Breve dettaglio della Società e Setta scoperta nell'arresto di Ottavio Cappelli, tratto dalle carte allo stesso perquisite, conservato manoscritto insieme ad altri atti istruttori di processi anti-massonici romani del 1790-9126.

Dagli studi sul Grabianka27 risulta infatti che ad Avignone il Cappelli non ebbe parte in alcuna supposta secessione provocata dal Grabianka, ma anzi ebbe proprio con lui accesi contrasti. Inoltre dal Breve dettaglio, fondato sulle carte sequestrate al Cappelli a Roma nel 1790 e soprattutto su una cinquantina di lettere scrittegli nel corso di quell'anno da confratelli, risulta senza possibilità di dub-bio che in seno alla società non si era operata alcuna scissione e che sia il Grabianka sia il Pernety continuavano a farne parte. Non si può negare certo che tra il Grabianka e il Pernety ci fosse un cer-to contrasto di vedute circa il corpus dottrinale della società, ma tutta la questione deve essere vista e valutata in modo radicalmente diverso.

Cerchiamo ora di comprendere, sia pure nelle sue più grandi linee, in cosa consistesse questo contrasto di vedute tra i due maggiori esponenti della società avignonese e come in esso si inserì il Cappelli.

Il Grabianka doveva essere sostanzialmente uno swedenborghiano, la sua concezione quindi do-veva essere una sorta di supercriticismo, di superconfessionalismo cristiano che non accettava la dogmatica e il rituale di nessuna delle Chiese cristiane costituite e tanto meno di quella cattolica, che anzi doveva apparirgli come la più corrotta e pericolosa. La sua concezione mistica, fatto più interiore che di cultura storico-religiosa, del mondo celeste delle anime e della vera Chiesa, doveva comprendere tutti gli eletti, tutti coloro che riconoscevano il divino a prescindere da ogni apparte-nenza a questa o quella Chiesa e religione, e veniva così inconsapevolmente a prendere sfumature deistiche. E, fatto anche questo importante, questa concezione del Grabianka si distingueva da quel-la dei suoi confratelli per un carattere più accentuatamente terreno e meno spirituale, dovuto quasi sicuramente ai suoi vivissimi interessi e segreti maneggi politici. Insomma, se su un piano indivi-

23 A.-H. DAMPMARTIN , Mémoires sur divers événemens de la Révolution et de l'émigration, I, Paris 1825, pp. 306-

08. 24 In realtà, anche a questo proposito, il fenomeno si può spiegare con la stretta dipendenza che lega tutti questi auto-

ri: l'uno dipende infatti quasi completamente dall'altro. 25 M. DE V ISSAC, art. cit., pp. 232-34; M. MARCEL, art. cit., pp. 87; J. BRICAUD, op. cit., pp. 83-84; A. VIATTE, op.

cit., I, p. 101; A. JOLY, op. cit., pp. 279-80. La Bricaud sola nega la scissione e parla di riforma; anch'essa però mette il Cappelli insieme a Grabianka.

26 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, fondo Vittorio Emanuele, n. 245, ff. 557-92. Un brevissimo accenno a questo ms. in M. P. AZZURRI (P. MARUZZI), I liberi Muratori a Roma nel secolo XVIII (VII), in Lumen Vitae, 1954, VIII-IX, p. 32, e in R. SORIGA, op. cit., p. 37.

27 J. ANTONI (ROLLE), op. cit., pp. 192-211; J. UJEJSKI, op. cit., pp. 116-122.

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duale il suo misticismo non era alieno dal ricorso a pratiche magiche ed erotico-sessuali, su un pia-no più generale esso si poneva precise prospettive di carattere temporale: la Nuova Gerusalemme swedenborghiana doveva essere per lui oltre che una realizzazione religiosa, interiore, personale, anche una realizzazione terrena, temporale. Doveva anzi concretizzarsi nella fondazione per il Po-polo di Dio, anche mediante il ricorso alle armi se necessario, di una ben precisa Nuova Gerusa-lemme terrena, occupante la Palestina, la Siria e parte dell'Africa nord-orientale.

Il Pernety invece era su tutt'altre posizioni: ex benedettino già venuto a contrasto con le gerarchie ecclesiastiche su tutta una serie di problemi, ma che nonostante ciò aveva mantenuto la sua fede, era portato a ricollegare, con un procedimento un po' arnoldiano, il suo misticismo e la sua posizione religiosa in genere alla tradizione mistico-ereticale dei secoli precedenti. Uomo di vastissima cultu-ra - in effetti il teorico della setta - non fu mai un vero e proprio swedenborghiano, sebbene mo-strasse per l'illuminato svedese grande rispetto e ne avesse tradotto varie opere28. Nella sua forma-zione si affiancavano, a quelli swedenborghiani, molti altri influssi, talvolta molto lontani dalla con-cezione del maestro: primi fra tutti quelli ermetici, alchimistici e kabbalistici, che gli aprivano vie attraverso le quali egli cercava di svelare gli arcani della natura, comprendere i segreti divini e giungere così a una comunione la più completa possibile col mondo degli spiriti. E tutti questi in-flussi e motivi egli poi risolveva in chiave sostanzialmente cattolica, suscitando, come è facile com-prendere, le critiche più accese degli swedenborghiani ortodossi29. E infatti anche la sua adesione allo Swedenborg, tutta filtrata attraverso motivi e formule cattoliche, perdeva di fatto ogni carattere veramente superconfessionale; la Nuova Gerusalemme, nella sua concezione, cessava di avere quel-la universalità assoluta che le aveva dato il grande illuminato svedese e finiva per ridursi quasi ad un'ennesima eresia apocalittico-millenaristica, a sfondo sì tipicamente antiromano, ma pur sempre nell'ambito del cattolicesimo. Su un punto soprattutto il suo zelo cattolico entrava apertamente in contrasto con lo svedese: ed era nell'accusarlo di aver tentato di sminuire la posizione di Maria Ver-gine nella gerarchia celeste e la parte di lei nel rapporto Dio-Uomo e nel contrapporle addirittura una sua personale valutazione di tale posizione e parte30. Su questo problema siamo minutamente informati da un'opera che il Pernety gli dedicò: Les vertus, le pouvoir, la clémence et la gloire de Marie, Mère de Dieu, edita a Parigi nel 1790. Da essa risulta che il Pernety (come già l'ab. Fournié) faceva di Maria una figura fondamentale del mondo celeste: le dedicava un culto specialissimo, ne professava l'Immacolata Concezione, le dava presso il Padre i medesimi poteri del Figlio, fino a farne una sorta di quarta persona della SS. Trinità31.

Come si vede notevoli erano le divergenze tra la posizione del Grabianka e quella del Pernety, e a questo proposito vi erano stati tra i due vari contrasti, accentuati anche dal fatto che il Grabianka doveva essere preoccupato, per i suoi fini politici, che il filocattolicesimo del Pernety gli alienasse le simpatie degli swedenborghiani ortodossi, specie svedesi. È alla luce di questi più o meno latenti contrasti che bisogna valutare esattamente i motivi che portarono alla creazione di un nuovo tempio ad Avignone città: a noi sembra che essa non rappresentò una scissione nella setta, ma solo un ten-tativo del Grabianka di sbloccare parzialmente la situazione, offrendo ai confratelli non cattolici un culto meno rigido e più aperto alle loro idee. In realtà non vi è traccia alcuna di scissione: la società

28 Les merveilles du ciel et de l'enfer et des terres planétaires et astrales, Berlin 1782; La sagesse angélique sur l'amour divin et sur la sagesse divine, s. l. 1786.

29 Si vedano per tutte le osservazioni dello CHATANIER nella sua traduzione francese del Du commerce établi entre l'âme et les corps (Londres-La Haye 1785, pp. 47, 56) dello Swedenborg.

30 In un dispaccio svedese della fine del 1790-primi del 1791 citato dal GEFFROY (op. cit., II, p. 476) è detto che tali accuse - che secondo l'autore avrebbero alienate all'illuminismo avignonese le simpatie di gran parte degli ambienti swedenborghiani - sarebbero state mosse dal Grabianka. Noi riteniamo si tratti di un errore, o meglio, che il nome del capo del Nouvel Israël stia nel dispaccio ad indicare la setta nel suo complesso, specie dopo che questa aveva adottato la riforma del Cappelli.

31 Si veda a questo proposito in A. VIATTE (op. cit., I, p. 95) una interessantissima lettera di Ferdinando del Wür-ttemberg al Lavater del 13 marzo 1790 nella quale è appunto descritto il culto che secondo gli avignonesi si doveva alla Vergine. Nel suo libro il Pernety asseriva che tutte le virtù - che esaminava una per una dimostrando una notevolissima conoscenza biblica e storico-ecclesiastica - si raccolgono in Maria Vergine, sostenendone, tra l'altro, l'Immacolata Con-cezione. Essa è «tabernacolo di Dio» e, dopo Gesù, è a lei che i fedeli si devono rivolgere.

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rimase sempre unita e anche il contrasto Grabianka-Pernety non superò mai determinati limiti; basta dire che il polacco continuò, durante le sue assenze, anche abbastanza lunghe, da Avignone, ad affi-dare la direzione della setta all'ex benedettino.

Per quel che riguarda la posizione del Cappelli in questo periodo di tensione bisogna anche qui capovolgere addirittura il giudizio tradizionale: egli infatti non solo non fu causa della scissione, ma anzi risolse sostanzialmente i contrasti esistenti tra il Grabianka e il Pernety, appoggiando, durante il suo soggiorno avignonese, con tutto il peso del suo prestigio l'ex benedettino32. È possibile rico-struire con notevole precisione, sulla base del già ricordato Breve dettaglio, quale fu in questa occa-sione l'atteggiamento del senese.

Non può destare meraviglia che il Cappelli si schierasse ad Avignone con il Pernety e si facesse assertore di una maggiore cattolicizzazione della setta; il suo misticismo infatti, non solo era sostan-zialmente cattolico, ma anche - a parte alcuni motivi kabbalistici - molto meno influenzato da altri motivi culturali di quello del Pernety. La sua adesione allo Swedenborg doveva essere anche più superficiale di quella dell'ex benedettino e di fatto doveva limitarsi al solo aspetto apocalittico-millenaristico. La sua opposizione al cattolicesimo non doveva andare al di là dell'avversione al po-tere temporale e alla gerarchia ecclesiastica, se egli arrivava fino ad affermare che «la persona del vicario di Cristo» doveva essere rispettata «come se fosse lo stesso Dio ancora sulla terra»33. Ed è più che sintomatico il fatto che l'estensore del Breve dettaglio, certamente un funzionario del tribu-nale del S. Uffizio, riconoscesse che il Cappelli non abusò del suo ascendente sui confratelli «per corromperli in massime e per tirarli a irreligiosi traviamenti; che anzi espressamente rilevasi dall'in-tiero carteggio (sequestratogli), che egli ingiungeva a' fratelli l'obligo di abbracciare la fede cattolica romana e di ripurgare da varie superstiziose osservanze la società»34.

Davanti alle affermazioni del senese - che asseriva di non far altro che ripetere ciò che gli veniva detto dagli arcangeli Gabriele e Raffaele - pure il Grabianka, forse anche per salvare l'unità della società e la sua autorità di capo, dovette chinare la testa e accettare il punto di vista del Cappelli e del Pernety (contro cui, del resto, si rivolgevano anche implicitamente alcune delle critiche del se-nese). Frutto di questo accordo fu l'introduzione di alcune riforme nel rituale della società, di cui già si era parlato durante il soggiorno avignonese del Cappelli, ma che si concretizzarono dopo il suo ritorno a Roma verso i primi del 1789. Tornato infatti a Roma il Cappelli comunicò ai confratelli un abbozzo di riforma da lui stesso redatto dietro rivelazioni angeliche: furono prescritte «alcune ora-zioni al P. Eterno e alla B. Vergine, la recita dell'officio secondo il rito latino romano, il Veni Crea-tor prima di aprire le assemblee e l'abiura ai confratelli di altra comunione, i digiuni ecclesiastici, la Eucarestia ai laici sotto la specie sola del pane secondo il rito romano», nonché «la fede in Dio, alla SS.ma Trinità, alla B. Vergine e a S. Raffaele»35. Oltre a ciò fu mutato radicalmente il rituale d'ini-ziazione: fu spogliato da quasi tutti gli aspetti magici e kabbalistici cui furono sostituiti espliciti ri-ferimenti a Dio e alla Vergine, fu prescritta la recita di particolari preghiere sempre in onore di Dio e della Vergine e fu aggiunta, per gli acattolici, la formale abiura della loro precedente religione.

Come si è detto il Cappelli tornò a Roma ai primi dell'89: come mai, dopo aver riscosso un tale successo ed esser divenuto quasi indispensabile alla vita spirituale della setta, egli si inducesse ad abbandonare Avignone, non sappiamo, possiamo solo formulare l'ipotesi che questo ritorno a Roma facesse parte dei piani della società avignonese. A Roma, oltre che riallacciare i legami con l'am-biente mistico locale e cercare di fare nuovi proseliti, noi crediamo che il Cappelli dovesse in un certo qual senso riprendere, secondo le intenzioni del Nouvel Israël, la missione che a suo tempo doveva essere stata affidata al Brumore. Secondo gli illuminati infatti - avignonesi e non avignonesi

32 Tale fatto ci sembra da sottolineare anche in risposta a coloro che accusarono il Cappelli di essere un fripon, tutto intento solo ad arricchirsi sfruttando la dabbenaggine dei confratelli. A parte che non risulta che il Cappelli si sia vera-mente arricchito e che i contributi che egli riceveva fossero di gran lunga superiori alle sue necessità, è sintomatico che egli si sia schierato con il Pernety e non con il Grabianka (e i suoi amici russi tutt'altro che teneri con il cattolicesimo), che, di fatto, era il finanziatore della società.

33 Breve dettaglio, ecc., cit., in Appendice C, ff. 568-568 v. 34 Ivi, ff. 567-567 v. 35 Ivi, ff. 567 v.-568.

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(si pensi alla Labrousse) - si preparavano, per la fede e per l'umanità intera, anni di importanza pari a quelli che avevano visto la nascita, la predicazione e il martirio di Cristo: avrebbe avuto finalmen-te inizio la realizzazione della profezia dell'Apocalisse giovannea, il Regno di Dio in terra sarebbe divenuto una realtà. È logico che in vista di tali avvenimenti, dei quali Roma sarebbe stata il centro e per i quali il Cappelli fissava addirittura l'inizio entro l'anno 1790, l'illuminismo avignonese voles-se essere presente a Roma con il suo rappresentante più qualificato, e non saremmo alieni dal crede-re che esso si proponesse persino di far svolgere al Cappelli una precisa azione presso il papa tale da facilitare la realizzazione del gran giorno: forse si proponeva addirittura, come più tardi il gruppo del Pontard con la missione della Labrousse, di convincere Pio VI ad abdicare e favorire così i dise-gni della Provvidenza36. La fama del Cappelli, anche da Roma, continuò ad aumentare: si può dire che egli godette di un prestigio, nel mondo teosofico, superiore a quello di qualsiasi altro illuminato. Rimase in corrispondenza con tutti gli elementi più qualificati dell'illuminismo, e molti di questi si ripromettevano di andarlo a trovare appena possibile per poter usufruire direttamente dei suoi lumi. Tipico a questo proposito ci sembra un passo di una lettera del Reuterholm, citata dal Viatte37, al duca di Sudermania del 20 gennaio 1790. In tale lettera il Reuterholm, appena iniziato al Nouvel Israël, scriveva che presto si sarebbe recato a Roma per poter conoscere il Cappelli, «un homme comblé des bienfaits de Dieu», un confratello «qui a plus de lumière à lui seul que tous les frères d'Avignon ensemble, qui est, pour mieux dire, la source d'où ils tirent leur lumière, et celle-ci res-semble à la Divinité». In realtà il Reuterholm venne a Roma alcuni mesi dopo aver scritto questa lettera in compagnia di K. G. Silfverhjelm, ma non poté realizzare il suo desiderio perché il Cappel-li a quell'epoca era già rinchiuso nelle carceri del S. Uffizio.

Sull'attività romana del Cappelli poco sappiamo: dai documenti sequestratigli e riportati nel Bre-ve dettaglio, siamo al corrente dei suoi rapporti epistolari con Avignone e i confratelli d'oltralpe e sulla funzione che egli svolgeva come trait-d'union tra i membri della setta e il mondo celeste, so-prattutto gli arcangeli Gabriele e Raffaele; ma ignoriamo quasi completamente quali furono i suoi rapporti con l'ambiente romano: dalla notificazione del p. Pani sappiamo che intorno a lui si riunì ben presto un gruppetto di mistici locali che tenne regolari assemblee cui partecipavano anche alcu-ne sorelle. Di fronte a delle notizie così schematiche e ad una mancanza così assoluta di dati più precisi e di nomi, non possiamo far altro che cercare di diradare un po' l'oscurità che circonda que-sto esiguo ma non certo insignificante gruppetto di romani: si potrebbe dare, sempre in via ipotetica, un nome a questi anonimi, misteriosi personaggi. Si potrebbe per esempio dar fede alla notizia del-l'Ademollo38 che esplicitamente afferma che in stretta relazione con Ottavio Cappelli fu il principe Sigismondo Chigi; e della compagnia potrebbe esser stato il conte Gastone Rezzonico della Torre, che Silvia Curtoni Verza dice, in una lettera dell'ottobre del 1790 al p. Cossali39, sospetto di illumi-nismo e perciò fuggito da Roma; e non sarebbe strano che anche la moglie di quest'ultimo, la con-tessa Ippolita Boncompagni Ludovisi, di cui sono noti i precedenti rapporti con Cagliostro, potesse identificarsi con una delle sorelle di cui parla la notificazione40; ci sono poi i due preti corsi che sappiamo furono arrestati col Cappelli: per uno di questi il Maruzzi ha avanzato il nome dell'abate Giuseppe Guasco41 e, al punto attuale degli studi, anche questo nome non ci sembra da respingere.

36 Che il ritorno a Roma del Cappelli prevedesse anche contatti diretti con il papa sembra essere indirettamente con-

fermato da un accenno del Breve dettaglio (f. 568) da cui risulta che nell'89 il Cappelli sembrava proporsi di fare passi personalmente presso Pio VI per ottenere l'approvazione di un nuovo ordine in onore della Madonna di Loreto, rivelato ad una sorella avignonese in sogno ed osteggiato dai preti.

37 A. VIATTE, op. cit., I, p. 100. 38 A. ADEMOLLO, Un processo celebre, ecc., cit., p. 603 n. L'Ademollo dice pure che il Cappelli, appena scarcerato,

avrebbe raggiunto in esilio il Chigi. La notizia è, almeno per questa parte, però sicuramente errata. Il Cappelli fu infatti scarcerato nel 1795, due anni dopo la morte del Chigi, avvenuta nel 1793.

39 Carteggio inedito d'una gentildonna veronese, a cura di G. BIADEGO, Verona 1884, p. 49. 40 Argomenti ancora più deboli potrebbero, forse, far azzardare altre supposizioni - il marchese e la marchesa Vival-

di, Francesco Piranesi, ecc. - ma non vogliamo indulgere ad essi. 41 M. P. AZZURI (P. MARUZZI), art. cit., p. 32.

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Certo è che a Roma l'illuminismo avignonese dovette far presa soprattutto negli ambienti socialmen-te più elevati e tra i religiosi.

Ma, nonostante la sua relativa fortuna, l'apostolato romano del Cappelli non ebbe vita lunga per-ché ben presto il S. Uffizio intervenne nell'attività del gruppetto arrestando, alla fme del settembre del 1790, il Cappelli stesso e pochi giorni dopo sua moglie e alcuni adepti. Come si giunse all'arre-sto non ci è dato, ancora una volta, sapere. Una soluzione semplice e logica l'ha avanzata il Maruz-zi42 affermando che, a rivelare l'attività del Cappelli, fosse la censura papale: l'autorità pontificia era infatti sicuramente informata del soggiorno avignonese del Cappelli e dei suoi rapporti con l'am-biente illuminato43, e può darsi benissimo che l'intenso carteggio mantenuto dal senese al suo ritor-no a Roma con la città provenzale l'avesse insospettita. Ma nonostante la plausibilità di tale ipotesi non possiamo nemmeno scartare a priori la spiegazione che il Cappelli stesso diede nel 1799 del suo primo arresto: sembra improbabile infatti che il Cappelli credesse, a distanza di soli nove anni, che i suoi giudici non si fossero informati sul suo conto e tanto più disponendo essi degli atti del primo processo del S. uffizio. Egli in quell'occasione diede una sua personale interpretazione della sua prima vicenda giudiziaria e attribuì la colpa del suo arresto alla gelosia nei suoi riguardi del console russo a Roma, Santini, che lo avrebbe calunniato e fatto arrestare. Come abbiamo detto questa ver-sione potrebbe anche avere un fondo di verità. Gaspare Santini, banchiere e commerciante romano, era dal 1783, quando si erano stabiliti regolari rapporti diplomatici tra la Russia e gli Stati italiani44, console russo a Roma e in varie altre capitali italiane. Uomo di notevoli capacità, egli era divenuto ben presto - specie dopo il viaggio in Italia di Grimm che ne fece il suo braccio destro - uno dei più attivi agenti russi nella penisola e dalla sua attività ricavava notevoli utili, tanto che, a suo tempo, il figlio Francesco cercò in ogni modo di succedergli nella carica45. È pertanto probabile che egli ve-desse nel Cappelli un pericoloso rivale: il senese, appena ricevutala, gli aveva mostrato la patente di tenente dell'esercito russo fattagli avere dai suoi altolocati confratelli del Nouvel Israël, gli aveva molto probabilmente vantato i suoi rapporti di amicizia col Plesceev, amico e addetto alla persona dello czarevic, con l'O'Hara e con il duca Ferdinando del Württemberg, cognato dello czarevic. Per il Santini queste potevano essere tutte dimostrazioni di una particolare fiducia della corte pietrobur-ghese per il Cappelli ed egli dovette temere di stare sul punto di essere soppiantato nella sua lucrosa carica; è probabile quindi che si fosse adoperato per mettere il S. uffizio sulle tracce del pericoloso rivale: quello che è certo è che il rappresentante russo dimostrò una strana fretta nell'ottenere da Pietroburgo l'autorizzazione ad «abbandonare alla legge» pontificia il tenente Cappelli46. Forse le sue argomentazioni non dovettero essere a questo proposito molto valide perché sappiamo che nel '96 Caterina II non trovò nulla in contrario a riabilitare il suo ex tenente e quasi contemporaneamen-te rifiutò a Francesco Santini di poter succedere al padre nella carica di console russo a Roma.

Ma queste ipotesi, ora esaminate, non riguardano che il motivo contingente, il pretesto che può avere indotto l'autorità pontificia a procedere all'arresto del Cappelli, perché in realtà tale arresto fa-ceva parte di un più vasto piano di polizia contro tutti gli oppositori del governo papale. Il periodo che corre tra la fine dell'89 e la fine del '90 vide infatti in pieno svolgimento una vastissima azione di repressione contro ogni forma di opposizione e di malcontento negli Stati pontifici, di cui il gruppetto del Cappelli doveva rappresentare un nucleo abbastanza pericoloso e non solo per l'aspet-to ereticale, già di per sé gravissimo per l'autorità pontificia, della sua posizione religiosa. Molte preoccupazioni doveva suscitare il timore che l'illuminismo, che si ignorava se e quali fini politici nascondesse, potesse, seguendo l'esempio francese, aver presa nel ceto più umile della popolazione,

42 Ivi, pp. 31-32. 43 J. BRICAUD, op. cit., p. 93. 44 G. BERTI, Russia e stati italiani nel Risorgimento, Torino 1957, p. 61. 45 Sbornik Russkogo Istoriceskogo Obscestva, XLIV (1885), Corrispondenza di F. M. Grimm con Caterina II, pp.

119-20, 137-38, 163; XXII (1878), Corrispondenza di Caterina II con F M. Grimm, p. 195. 46 Nel fascicolo del processo davanti la Giunta di Stato è conservato un biglietto del conte Casini, console russo a

Roma dopo la caduta della Repubblica Romana, al presidente della Giunta stessa, Giacomo Giustiniani, in cui si riferi-sce che in occasione del primo processo del Cappelli questi era stato «abbandonato alla legge con dispaccio del vice-cancelliere conte Ostermann del 15 novembre 1790.

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presa di cui già si era avuta una dimostrazione a Napoli certamente non ignorata dalle autorità ro-mane47.

Appena arrestato, il Cappelli dovette mettere in moto le sue alte conoscenze e dovette forse spe-rare che la sua qualità di ufficiale al servizio di corti straniere gli potesse giovare per evitare il pro-cesso. È sicuro che fece passi presso il residente del Württemberg a Roma, Gaetano Marini che ne scrisse a sua volta a Giovanni Fantuzzi in una lettera del 9 ottobre 1790. Ma questi passi non sorti-rono l'effetto sperato. La faccenda scottava e tutti si tirarono indietro. Il Marini, per esempio, gli ne-gò ogni aiuto48. «Il S. Offizio - scriveva nella lettera citata49 - si è popolato di un certo Ottavio Cap-pello senese o lucchese, stato servitore di piazza, locandiere e ora tenente russo e volontario del principe Federico diWürtemberga; con esso travasi la moglie e due preti corsi, che abitavano in sua casa. Si dice fosse capo di una società come d'Illuminati e tramasse grandi cose: era chiamato il mago, indovinava i parti e le cose perdute, dava i numeri pel lotto, sparlava de' preti e de' frati, ma parlava poi colla Madonna e cogl'Angeli. Insomma era un solenne furfante ed impostore. Si presen-tò da me nello scorso aprile, ma io gli dissi che non scrivendo il duca regnante di lui, non potevo prenderlo in alcuna considerazione e che si guardasse bene dall'aver a fare col governo, perch'io non avrei mai risposto di nulla. Fui presago: appena arrestato venne a darmene la nuova uno de' suoi preti, che fu carcerato poscia in quello stesso dì, e il giorno seguente venne la moglie, che pur fu ar-restata di lì a poco, e a tutti dissi che io non doveva ne poteva mescolarmi dell'uomo, di cui niente mi aveva scritto la corte».

Era dunque inevitabile che il Cappelli comparisse davanti al tribunale ecclesiastico. Mancando degli atti veri e propri del processo non abbiamo possibilità di ricostruire questo nei suoi dettagli. A quanto possiamo ricavare dagli accenni contenuti nella corrispondenza di altri illuminati (a Roma, durante il processo Cappelli furono sicuramente il duca Ferdinando del Württemberg, nel novem-bre-dicembre 1791, che fu anche ricevuto dal papa e al cui intervento, pensiamo, il senese dovette la mitezza della sua condanna, il Reuterholm, che si trattenne almeno sino all'aprile '9250, e il Silfver-hjelm) il Cappelli, dopo aver fatto invano giocare la sua qualità di ufficiale straniero, dovette - am-maestrato dalla recente esperienza di Cagliostro - fare piena abiura dei suoi errori e, addirittura, ne-garli di fatto riconoscendosi un impostore, in modo da scagionarsi dalle accuse più gravi ed evitare una condanna a vita. Intento nel quale, grazie anche ad accorti interventi a suo favore presso il pon-tefice, riuscì appieno. Quando infatti, dopo oltre un anno d'istruttoria, il S. Uffizio emise la sentenza questa fu particolarmente mite: sette anni di fortezza.

Il processo, l'abiura, la condanna del Cappelli erano serviti a sradicare completamente l'illumini-smo da Roma? a screditarne completamente il suo illustre rappresentante e capo? Il S. Uffizio non dovette esserne molto convinto e lo dimostra il tono dalla Notificazione del p. T. V. Pani commissa-rio generale della S. romana e universale Inquisizione, pubblicata il 21 novembre 1791 e fatta affig-gere per le vie di Roma il 23 dello stesso mese. Da essa appare evidente il timore che vi potessero essere ancora nella capitale adepti della setta avignonese non ancora scoperti e che questi, nonostan-te l'abiura del Cappelli e la condanna dell'illuminismo come «superstizioso e gravemente sospetto d'eresia», potessero, grazie alla solidarietà del popolo, andare impuniti e addirittura fare nuovi acco-

47 In data 17 aprile 1791 il conte L. Divonne scriveva al Reuterholm (A. VIATTE, op. cit., I, p. 237 n.) «Dans les der-

nières lettres que j'ai reçues de Naples l'on me mande qu'il vient d'y mourir un homme, que je connaissais de réputation, et qui vivait depuis longtemps dans la plus haute sainté. Il a laissé beaucoup de papiers contenants des prophéties, qui ont la plus grande conformité avec tout ce qui nous a été annoncé, les plus grands malheurs y sont prédits, et l'on me dit qu'entre autres, il annonce la mort du pape pour cette année: l'on m'a promis de me faire part de tous ses écrits. Il se trouve également à Naples cinq à six personnes dans la classe du peuple qui sont de véritables serviteurs de Dieu et qui, sans se connaître, s'accordent tous à repéter que les plus grands malheurs sont prêts à foudre sur la terre». A Napoli esi-steva da quasi mezzo secolo una tradizione mistico-apocalittica locale. Anima di essa era stato, verso la metà del secolo, un padre benedettino morto in odore di santità.

48 A questo proposito sarebbe interessante sapere se la sostituzione del Marini, alla fine del '91, con Pietro Piranesi fu in qualche modo dovuta all'atteggiamento da lui avuto nel «caso» Cappelli.

49 Lettere inedite di G. MARINI. II. A G. FANTUZZI, Città del Vaticano 1938, pp. 326-27. 50 L. VICCHI, V. Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830, IV, Fusignano 1887, p. 21.

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liti. Come già abbiamo messo in rilievo, mentre nella Notificazione scarse sono le notizie sulla setta avignonese e sul Cappelli, largo spazio è dedicato a disingannare il pubblico sulla vera religiosità e cattolicesimo degli illuminati. «In questi tempi infelici, in cui un'insano filosofico furore distoglie gli uomini dall'infallibil sentiero della Divina Religione rivelata, e per giusto giudizio di Dio li ac-cieca perfino ne' primi lumi della Religione naturale, si è trovato chi ha preteso di difendere, e pro-pagare la Cattolica Religione per mezzi affatto illeciti, e direttamente contrarj a suoi santissimi dogmi... Si vanta da' seguaci di questa società un singolare attaccamento alla Religione cattolica, e si promuovono anche delle divozioni... I mezzi poi, con cui volean giungere al vantato lodevol fme di propagare la nostra Santa Religione non sono altro che cabale superstiziose, sogni vani e chime-rici, una pretesa assistenza degli angioli, una favolosa di loro apparizione, e una temeraria interpel-lazione per risapere da essi le cose future. Quindi con queste vane e superstiziose divinazioni si pre-tende sciogliere i dubbi, che nascono sull'interpretazione della Sacra Scrittura, di prevedere gli e-venti futuri, di decidere le controversie di affari di Religione, di comporre i dispareri tra' fratelli, ed infine di riformare il Mondo e di rigenerarlo con un nuovo Popolo di Dio».

L'azione del S. Uffizio contro il Cappelli veniva sostanzialmente presentata come volta ad impe-dire che «sotto il pretesto di qualche bene niuno concepisca buona opinione della predetta società e molto meno ardisca ascriversi nel numero de' fratelli ad essa aggregati» e la popolazione tutta veni-va invitata perentoriamente a denunziare tutti i casi di illuminismo di cui fosse a conoscenza.

Quali risultati questi ammonimenti e queste minacce sortissero in realtà non possiamo dire: gli anni successivi alla condanna del Cappelli sino all'occupazione francese di Roma del 1798 sono, da questo punto di vista, ancora completamente nel buio. Dal completo silenzio della stampa romana dell'epoca circa arresti in seguito a delazioni, e da qualche altro elemento spigolato qua e là, cre-diamo di poter affermare che l'illuminismo non fu spazzato via da Roma, e oltre al gruppo di mistici presente nella capitale nell'98-99, altri due episodi, del '93 e del '96, ci confermano in questa ipotesi. Nel 1793, alla fine del mese di luglio, fu arrestato a Roma e condannato all'ergastolo il padre Giu-seppe Brandani, nativo di Cascia, e, dalle notizie che abbiamo su di lui51, chiaramente un illumina-to. Egli si definiva infatti inviato da Dio per «supplire alla mancanza di passione di Gesù Cristo» e per rinnovare il Regno di Dio e instaurarlo in terra e si rifaceva esplicitamente alla tipica interpreta-zione mistico-apocalittica settecentesca dalle Sacre Scritture. Nel 1796, poi, abbiamo un accenno all'esistenza a Roma in quell'epoca di un gruppo mistico in una lettera di N. A. Kirchberger al Saint-Martin in data 27 agosto52.

Questo è quello che abbiamo potuto raccogliere sulla sopravvivenza a Roma di un gruppo misti-co: quello che è certo è che l'interesse degli illuminati per Roma non si lasciò raffreddare dall'arre-sto del Cappelli e dalla vasta eco di polemiche53 che esso suscitò. Erano infatti passati poco più di sei mesi dalla condanna del senese che un altro esponente di primissimo piano dell'illuminismo, Su-zette Labrousse, prese la via di Roma, decisa a convincere il papa ad abdicare e ad intraprendere una radicale riforma della Chiesa.

Sulla missione della Labrousse a Roma scrisse un saggio particolare G. Bourgin54, il problema è però tutto da riprendere in considerazione, troppe essendo in tale saggio le imprecisioni e le lacune. Primo problema che non è possibile chiarire al punto attuale degli studi, ma che si può impostare nei suoi termini precisi, è se la missione della Labrousse fu in qualche modo collegata con le inizia-

51 Annali di Roma, luglio 1793, X, pp. 192-193. 52 La correspondance inédite, ecc., cit., p. 282. Data la fonte della notizia si può supporre che questo gruppo mistico

fosse forse di orientamento martinista piuttosto che avignonese. Il Saint-Martin fu a Roma per qualche tempo nell'au-tunno 1787 con il principe russo Alexis Galitzin, anch'egli seguace del misticismo, frequentandovi la migliore società e svolgendovi, a quanto pare, una certa opera di propaganda (cfr. M. MATTER, op. cit., pp. 140-42).

53 Il principale accusatore del Cappelli fu il Reuterholm (A. GEFFROY, op. cit., II, p. 476), contro di lui, che sostene-va trattarsi di un volgare truffatore, insorsero in difesa del senese il Gombauld e il Divonne (A. VIATTE, op. cit., II, pp. 101-02). Quest'ultimo, in una lettera del 13 febbraio 1792 al Reuterholm, ebbe a scrivere: «D'après le témoignage des personnes qui l'ont connu il paraît qu'il était de bonne foi; et il faut bien qu'il ait été envisagé sous ce point de vue par l'inquisition, sans quoi je ne comprendrais pas comment le jugement pourrait être aussi modéré».

54 G. BOURGIN, art. cit., pp. 311-22.

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tive romane degli illuminati d'Avignone o se nacque e si sviluppò, come sembrano credere il More-au e il Bourgin, autonomamente. A favore della tesi dell'esistenza di un collegamento organizzativo (dell'esistenza di contatti tra il gruppo Bourbon-Pontard e il gruppo del Nouvel Israël, specie attra-verso il tramite del Gombauld, siamo informati da varie fonti), potrebbero giocare i seguenti ele-menti: primo, in un'operetta antigiacobina tedesca del 1799, Ueber den Illuminatenorden, è detto che la Labrousse sarebbe stata membro della setta degli illuminati; secondo, tale notizia sembra confermata in modo circostanziato dai Ricordi del Reuterholm editi dal Bergman e citati dal Gef-froy55; terzo, la presenza di una lettera, tra quelle da Avignone sequestrate al Cappelli, in cui il se-nese era dettagliatamente informato sul conto della Labrousse e delle sue profezie56; quarto, la no-tevole concordanza tra queste profezie e quelle del Cappelli e degli altri ispirati avignonesi. Ele-menti tutti questi, come si vede, non sufficienti per fornire la prova di un sicuro collegamento tra la missione della Labrousse e le iniziative romane del Nouvel Israël, ma, a nostro avviso, sufficienti a farci prendere in debita considerazione la possibilità di tale collegamento.

È necessario inoltre fare un'altra considerazione, importante anche se non si vuole ammettere re-sistenza di rapporti tra la Labrousse e gli avignonesi: è estremamente significativo che, nonostante l'arresto e la condanna del Cappelli, gli elementi illuminati e tra loro anche i più seri e qualificati (il gruppo Bourbon-Pontard era, come si è visto, legato al Saint-Martin) sentissero con tanta insistenza la necessità di avere un rappresentante a Roma e di fare un estremo tentativo presso il papa per con-vincerlo a facilitare i disegni della Provvidenza ormai prossimi a realizzarsi. E questo interesse spiega a sua volta quello, altrettanto vivo, dell'autorità romana ad impedire che si ricostituisse, in-torno a un capo di indiscusso prestigio, un gruppo mistico, pericoloso, a nostro avviso, più che per il suo carattere ereticale, per le sue eventuali ripercussioni sull'ordine pubblico. E questa preoccupa-zione consigliò l'autorità pontificia a sorvegliare, attraverso l'abate Salamon, i gruppi mistici a Pari-gi57 e, non appena avvertita dal solerte abate della partenza della Labrousse, a dare disposizioni per il suo arresto58: arresto che venne effettuato il 5 settembre del 1792 a Montefiascone, non appena la presenza della mistica francese nel territorio della Chiesa fu conosciuta59, dopo che le autorità di Bologna si erano limitate ad espellerla. Suzette Labrousse fu meno fortunata del Cappelli, perché ormai Roma aveva deciso, per scoraggiare altre simili iniziative, di usare il pugno di ferro: dopo a-ver invano tentato di farle confessare di aver progettato di assassinare il papa60, l'autorità romana la rinchiuse in Castel Sant'Angelo senza sottoporla nemmeno a processo con la scusa che si trattava di una povera folle. A nulla valsero i ripetuti interventi in suo favore del governo francese61: anzi essi aggravarono la posizione della donna confermando il sospetto che essa fosse lo strumento di ben più temibili forze cospiranti contro Roma da Parigi62.

55 A. GEFFROY, art. cit., p. 35 n. 56 Breve dettaglio, ecc., Appendice C, ff. 587-88. 57 Correspondance, ecc., cit., pp. 242-43, 253. 58 G. BOURGIN, La France et Rome de 1788 à 1797, Paris 1909, pp. 19 (nn. 175-77), 33 (n. 330), 34-35 (nn. 344,

346, 348). 59 Secondo le Notizie Politiche, di Cesena, n. 74 del 15 sett. 1792, pp. 605-606, che definisce l'arresto della Labrous-

se «assai importante», trattandosi di persona «considerata finora in Francia uno dei più attrattivi mezzi per accrescere il proselitismo» e dotata di «molteplici abilità», fu tratto in arresto a Viterbo anche un suo uomo (probabilmente un primo adepto).

60 Correspondance des Directeurs de l'Académie de France à Rome, par A. De Montaiglon et J. Guiffrey, XVI, Pa-ris 1907, pp. 475-77. L'accusa fu forse basata sul fatto che la Labrousse fu trovata - sembra - in possesso al momento dell'arresto di una boccetta di veleno e di un bastone animato. Cfr. G. TANURSI, Congiura contro la Religione Cattolica ed i sovrani, Roma 1794, pp. 199-202.

61 Correspondance des Directeurs, cit., XVI, pp. 295, 296-97, 298, 299, 300, 304, 316, 317-318, 319, 348, 362, 405, 473-74, 475-77; XVII, pp. 35, 110-111, 131-32.

62 La Labrousse - della quale la stampa romana aveva parlato sin dal 1790 in relazione al suo apostolato francese (Annali di Roma, marzo 1790, I, p. 98) - era considerata in certi ambienti, probabilmente per i suoi legami con la du-chessa di Barbone, uno strumento del duca d'Orléans (e forse dello stesso Robespierre, o, almeno, da questo protetta per una certa qual comunanza di idee religiose) a proposito del quale si vociferava con insistenza dei suoi oscuri progetti contro Roma (Cfr. Histoire de la conjuration de Philippe-Joseph D'Orléans, Paris 1796, Ill, pp. 64, 263-64, 294-95).

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Con l'arresto della Labrousse il primo periodo della storia dell'illuminismo romano si chiude. Il secondo si apre con l'occupazione francese di Roma del febbraio 1798 e con la instaurazione della Repubblica Romana. Protagonisti principali di questo secondo periodo, furono, ancora una volta, Suzette Labrousse e Ottavio Cappelli.

Occupata Roma dai francesi le porte di Castel Sant'Angelo si aprirono subito per Suzette La-brousse; ella però non volle approfittarne: «Nous avons vu la citoyenne Labrousse - scrivevano a Parigi al ministro degli affari esteri i commissari del Direttorio a Roma il 30 germile VI (19 aprile '98) -. «Quelque temps après l'arrivée à Rome des troupes françaises, on lui offrit la liberté de sortir du Château-Saint-Ange. Elle ne voulut point accepter, et se contente de la liberté d'en sortir tous les jours pour visiter ses connaissances et les curiosités de la ville. Elle ne veut quitter cette demeure que quand la révolution sera pleinement affermie ici. Elle fixe même l'époque de sa sortie du Châ-teau-Saint-Ange à la fm de ce siècle, parce que, dit-elle, tout n'est pas encore fini. Quand on lui parle de ses parents, elle nous a dit plusieurs fois: Dites leur que je pense à tous et à tout...»63.

I cinque e più anni di detenzione sembravano quasi non essere trascorsi per lei. E in realtà si può dire che questa detenzione, dopo un primo momento di estrema severità nei suoi confronti, grazie al continuo interessamento di Parigi, si era fatta sempre meno gravosa e gli anni trascorsi in carcere erano stati per lei anni di meditazione e di studio. Anzi, a un certo punto, dopo il '96, con le grandi vittorie francesi nell'Italia settentrionale, avrebbe anche potuto riottenere la libertà, ma non aveva voluto: il suo posto era a Roma. E rimase in carcere sempre calma, sempre serena, in uno stato di felicità angelica, come scrisse il Pontard alla famiglia sulla base delle notizie inviate a Parigi dal-l'ambasciata a Roma64, con la sola compagnia di cinque o sei coppie di piccioni che aveva avuto l'autorizzazione di tenere con sé nella cella; trascorreva il tempo leggendo e rileggendo la Bibbia e in particolare l'Apocalisse giovannea su cui scrisse delle meditazioni65: frutto di questi anni di rac-coglimento e di ripensamento fu il convincimento sempre più radicato che il mondo fosse ormai alla vigilia di avvenimenti di importanza unica, destinati a mutare finalmente il corso della storia del-l'umanità e a gettare le basi del Regno di Dio sulla terra. La data di tale avvenimento e il modo con cui esso si sarebbe verificato erano divenute a lei finalmente chiari e trovavano corrispondenza non solo nell'Apocalisse, ma anche nelle sue profezie giovanili. Non aveva forse profetizzato nel 1779: «Il y a dix ans que, si les hommes n'eussent pas méprisé mon plan, la révolution indispensable se serait faite dans la joie de tous les coeurs et sans l'effusion d'aucune goutte de sang; maintenant, s'ils s'y refusent encore, il sera differé de dix ans, et d'ici à ce temp il y aura excetera partout alors, de gré ou de force cela sera. Les choses ont été, sant, et seront ainsi, à raison que, quoique le tout ne dépende pas des hommes, ils y ont cependant une tâche à remplir, dont le refus sera encore cause de la transmission de ce temps à un autre» (X profezia).

Il grande anno sarebbe dunque stato il 1800. In un giorno di quest'anno, nel giro solo di venti-quattro ore, tutto si sarebbe compiuto così come era annunciato da Giovanni nel XII capitolo dell'A-pocalisse. «Elle déterminera ou effrayera le Pape, par un signe, qui instruira toutes les nations de l'aveuglement de la cour de Rome»66: in quel giorno essa si sarebbe librata in cielo al cospetto di tutta Roma e questo sarebbe stato il segno dell'inizio della nuova era67.

La Labrousse aveva già espresso questo suo convincimento agli ambasciatori francesi a Roma68 e ora lo ripeteva ai commissari del Direttorio e a tutti coloro che pensava di poter guadagnare alla realizzazione del grande evento: pertanto «elle ne se songeait revenir en France qu'en l'année mille-huit-cent»69.

63 G. BOURGIN, art. cit., pp. 320-21. 64 Recueil, ecc., cit., p. 294. 65 C. MOREAU, op. cit., p. 234. 66 Recueil, ecc., cit., p. 294. 67 C. MOREAU, op. cit., p. 233. 68 Correspondance des Directeurs, ecc., cit., XVI. pp. 473-77; XVII, pp. 110-111; Moniteur, nn. 119 (29 nevoso

VI), pp. 477-78; 216 (6 fiorile VI), p. 866; G. BOURGIN, art. cit., pp. 320-21. 69 Recueil, ecc., cit., p. 294.

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Salda in questo suo convincimento, dal giorno della sua liberazione (il 10 febbraio) la Labrousse si dedicò subito al suo apostolato: ogni giorno usciva da Castel Sant'Angelo e si recava tra il popolo a portargli i suoi lumi; ma non a tutti si rivelava in egual misura: la rivelazione dell'avvento e la preparazione ad esso era riservata a riunioni più ristrette e a uditori più scelti, a un pubblico più grosso e non selezionato ella si limitava a tenere appassionate lezioni di morale patriottica e a dare consigli di vita individuale e collettiva. Anche da questi discorsi, così ricchi di idee e di passione da risultare arruffati e caotici e che pretendevano dar fondo a tutti i problemi, si poteva però facilmente intuire come per la Labrousse esistessero dietro a quei problemi altri problemi ben più importanti, dietro agli avvenimenti a cui si rifaceva altri avvenimenti ben più significativi e di là da venire, sui guai ella sorvolava, ma che costituivano invece la chiave di volta, la ragion d'essere di tutto il suo pensiero. Spesso le sue allocuzioni e i suoi discorsi - come risulta dalla loro lettura nell'edizione fat-tane dal Puccinelli nei primi mesi del 179970 - si chiudevano con frasi ambigue e di sapore vaga-mente messianico che lasciavano intuire l'avvicinarsi di grandi eventi: «aspettate e vedrete come si farà», oppure con frasi di carattere apertamente iniziatico, come «per ragioni a me particolari e co-me spero che il tempo farà vedere».

In breve, la sua figura dovette divenire nota a tutta la città. Ai più doveva apparire come una po-vera pazza innocua, un prodotto dell'esaltazione del momento, un aspetto del folclore repubblicano, e le fu affibbiato il soprannome di Pitonessa71. Ma nonostante ciò intorno ad essa si raccolse un pic-colo gruppo di fedeli: e per stare vicino ad essi e per svolgere più liberamente il suo apostolato al sicuro dai motteggi e dalle risa oscene dei soldati della guarnigione essa dovette ai primi del '99 la-sciare la sua cella a Castel Sant'Angelo e trasferirsi prima a palazzo Corsini, sede dell'ambasciata di Francia, e poi in tre stanze nell'ex sede del S. Uffizio72. I fedeli della Labrousse, contrariamente a quelli del Cappelli dell'89-'90, sembra fossero soprattutto di modesta condizione sociale così come già a Parigi, e pochi sono i nomi a noi noti: quello di un certo Gaudenzi, agiato borghese proprieta-rio di una vigna presso il macello della Pace e di una casa in località Madonna di Loreto73, quello di una certa Maria Rosa Moroni, giovane donna sui 32-33 anni e quello di un certo Paul Granchier, un francese all'incirca della stessa età74.

Ma se, come crediamo, i suoi fedeli erano di scarso numero e non ricoprivano nella neonata re-pubblica posti socialmente e politicamente importanti ed essa stessa rivolgeva la sua attenzione, e quindi il suo apostolato, soprattutto verso gli strati più poveri e bisognosi della cittadinanza roma-na75, la sua fama, invece, nell'ambiente democratico-repubblicano e specialmente nei circoli più a-vanzati doveva essere notevole e il giudizio che tali circoli formulavano su di lei doveva differire notevolmente da quello dell'ambiente clerico-reazionario, ostile alla repubblica e estraneo alla sua vita ufficiale, e da quello, anche, dell'ambiente più moderato. Certo è strano pensare che persone o-

70 Curiosa è stata la sorte dei Discorsi recitati dalla cittadina Courcelles Labrousse nel Circolo Costituzionale di Roma nel mese fiorite dell'anno VI fatti e riveduti dalla medesima, Roma presso Puccinelli Gioacchino (frontespizio e testo bilingue, francese e italiano), pp. 285. Il Grégoire, al solito (op. cit., II, p. 47), sapeva che erano stati pronunciati a Roma durante la prima Repubblica Romana; il Moreau (op. cit., p. 236 n.) e il PÉLLET (op. cit., p. 212) affermano inve-ce trattarsi di discorsi recitati dalla Labrousse durante il suo viaggio verso Roma e tradotti in italiano all'epoca della in-carcerazione (?!); il Bourgin (art. cit., p. 321) che pure condusse ricerche a Roma ove il volume è conservato in più co-pie in varie biiblioteche pubbliche e private, non sembra conoscerli direttamente.

71 (F. VALENTINELLI ), Memorie storiche sulle principali cagioni e circostanze della Rivoluzione di Roma e di Napo-li , s.l. 1800, p. 280. La Labrousse nei suoi Discorsi (pp. 196-203) respinse i nomi di profetessa e di pitonessa. A tali de-nominazioni soleva replicare: «non sono profetessa più degli altri... tutto il mondo è come me, ma... nessuno fissa la sua attenzione che a quel che passa avanti i suoi sentimenti (sens nel testo francese) e non a quello che passa nel suo cuore; cosa ch'è per ciascuno la più essenziale del mondo, com'essendo per lui il suo oracolo che non l'ingannerà mai» (p. 197).

72 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fascicolo 65, Clotilde Corsiel (sic). 73 Ivi. 74 C. TRASSELLI, Processi politici romani dal 1792 al 1798 (II), in Rass. St. del Risorgimento, 1938, XII, p. 1631. 75 La Labrousse visitava assiduamente un gran numero di bisognosi, li confortava, cercava di istillar loro le massime

repubblicane e li aiutava distribuendo loro gran parte delle quindici piastre che mensilmente il governo francese le pas-sava per il suo sostentamento; si faceva persino portavoce delle loro richieste, portando in continuazione le loro petizio-ni e i loro memoriali ai Commissari del Direttorio (cfr. Discorsi, ecc., cit., p. 229).

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rientate sotto tutti i punti di vista verso le posizioni più estreme, incredule, deiste, atee qualche vol-ta, decisamente avverse ad ogni forma di fanatismo76, tenessero la Labrousse in grande stima e con-siderazione. Forse giocavano in suo favore i cinque anni di detenzione, i rapporti con importanti personalità parigine che si sapeva aveva e quelli che si sussurrava avesse avuti in tempi passati; for-se la sua avversione per il papa e la Chiesa romana e le sue aperte simpatie per la Costituzione civi-le del clero francese contribuivano a far chiudere un occhio sulle sue «manie». Ma non esclude-remmo neppure a priori che il messianesimo rivoluzionario di tanta parte della democrazia estrema romana (e per questo ci troviamo nella necessità di rinviare al nostro prossimo lavoro sul pensiero politico romano dell'età rivoluzionaria), non trovasse, in linea di massima, nell'atteggiamento della Labrousse e nelle sue apocalittiche visione del mondo di domani qualcosa di rispondente al suo stesso atteggiamento, di comune, pur su piani diversi, alle sue stesse visioni. Quello che è certo è che la Labrousse fu frequentatrice assidua della casa della giacobina principessa Santacroce77, e, cosa più significativa, fu invitata più volte a prendere parte alle sedute del Circolo Costituzionale appena apertosi e a prendervi la parola - ciò che fece a più riprese nell'aprile-maggio '98 - e che, an-zi, quando sopraggiunse la crisi dei rapporti tra il Circolo stesso e l'autorità francese e questa decise di chiuderlo (giugno 1798)78, essa fu pregata dai dirigenti di quello di perorarne la causa presso il generale Saint-Cyr ed ottenerne la riapertura, cosa che ella pure fece, almeno stando a quanto narra-to dal curatore dei suoi discorsi (forse il Gaudenzi)79. Il fatto che la Labrousse godesse di larga no-torietà negli ambienti democratici80 e che avesse partecipato ai lavori del Circolo Costituzionale, non vuol dire che anche in tali ambienti la sua posizione non trovasse di volta in volta resistenze e anche decise repulse. Per chi non partiva come lei da precise premesse di ordine mistico, il suo at-teggiamento doveva apparire contradittorio e sospetto: si trattava sì di una persona decisamente de-mocratica, vivamente attaccata alla causa repubblicana, che svolgeva attivo apostolato sociale e ci-vile81, che continuamente affermava l'impossibilità di essere buoni cristiani senza essere buoni pa-

76 D. CANTIMORI, V. Russo, il «Circolo Costituzionale» di Roma nel 1798 e la questione della tolleranza religiosa, in Annali della R. Scuola Normale Sup. di Pisa (lett. st. fil.), 1942, IV, pp. 179-200.

77 Discorsi, ecc. cit., pp. 191-93. 78 D. CANTIMORI, art. cit., pp. 180-89. 79 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fasc. cit. 80 A mostrare di che considerazione essa godesse negli ambienti democratici vale un episodio narrato dalla Labrous-

se nei suoi Discorsi (pp. 163-65) e da cui risulta che «in due differenti volte» essa dissuase «il partito patriottico, che aveva formato il progetto di mandare in Parigi i deputati al direttorio per esporgli la verità di tutto» (la triste situazione, cioè, della Repubblica Romana: «essi si eran determinati a tutto questo, perché avevano il cuore trapassato dal dolore, vedendo i loro nemici dominare ancora, e non servirsi della loro autorità che per rovinare la Repubblica, ed intorbidire tutto il mondo, metter li patriotti nel caso di vedersi obligati a rendersi fugitivi la seconda volta, o di vedersi massacrati, dopo che si son presi tanta pena per divenire Republica, e di vedersi peggio che mai»).

Quest'episodio, di notevole interesse dal punto di vista della storia della prima Repubblica Romana, ci permette al-tresì di conoscere l'opinione della Labrousse sul regime direttoriale allora al potere in Francia: essa infatti giustificò il suo parere negativo con l'inutilità che un simile passo avrebbe avuto a Parigi, dominata dall'«aristocrazia»: bisognava attendere la realizzazione della spedizione d'Inghilterra, allora sarebbe stata rimessa in funzione a Parigi la ghigliottina «per mettere a basso tutti questi viola tori delle leggi repubblicane» e i benefici influssi di ciò si sarebbero sentiti anche in Italia. Alla luce di questo passo, anche un'altra affermazione dei Discorsi (p. 173) della Labrousse, a proposito de «li falsi patriotti» di Francia «troppo lesti e solleciti a far passare (col ricorso alla ghigliottina) quelli che gli sono contrarj», ci sembra assuma un preciso significato di condanna dell'involuzione termidoriana del processo rivoluzionario.

81 Dai Discorsi si può rilevare l'atteggiamento della Labrousse rispetto alla situazione e alle vicende della Repubbli-ca Romana, almeno per quanto riguarda i primi mesi di vita di essa; nonché l'impegno democratico (politico e sociale) e, per molti aspetti, l'acume di tale atteggiamento. Tra le numerose notazioni riguardo gli avvenimenti e la situazione romana ricorderemo, da un lato le sue proposte per cercare di ovviare e alla lunga risolvere la crisi economica della Re-pubblica e venire incontro alle esigenze dei ceti popolari (incremento dell'agricoltura, assegnando gratuitamente ai con-tadini lotti di terra di circa due miglia quadrate con una casetta, due bovi, un cavallo, alcune pecore e animali da cortile [pp. 77-82]; bonifica del Tevere a levante di Roma in modo da preservare la città dalle inondazioni [pp. 82-85]; rivalu-tazione delle cedole e loro estinzione nel giro di un anno [pp. 82-83]; riduzione degli squilibri sociali, dando innanzi tut-to in proprietà a coloro che le abitano le case della Chiesa, degli ordini religiosi e «de' signori» [pp. 249-53]), dall'altro lato le sue critiche alla classe dirigente repubblicana, formata a suo dire di incapaci (pp. 24427), aristocratici, «egoisti», intenti non al bene dello Stato ma solo ai propri interessi personali (pp. 154-161), imbevuti ancora «de' principi del pas-sato governo» (pp. 12-17). Unico problema a proposito del quale l'atteggiamento della Labrousse si dimostra parziale ed

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trioti «perché il patriottismo non è che il Cristianesimo, il suo ritratto, il suo simile», ma si trattava pure di una persona tollerante verso uomini dell'antico regime, aristocratici e religiosi, aliena da o-gni ricorso alla violenza, tenacemente persuasa che le cose dovevano in ogni modo mutare solo per-ché così doveva essere. A uomini che per parte loro chiedevano il ricorso a provvedimenti speciali contro i nemici del popolo e l'introduzione anche a Roma della ghigliottina, il moderatismo della Labrousse doveva apparire come un tradimento, il suo affermare «bisogna compatirsi l'un coll'al-tro», «dobbiamo soccorrer quelli che ci vogliono distruggere»82 doveva apparire come infido e so-spetto. Di tali resistenze, repulse, sospetti, abbiamo una testimonianza di primissima mano nella già ricordata prefazione ai discorsi romani. L'autore di essa, spiegando i motivi che avevano indotto la Labrousse a raccogliere e pubblicare i suoi discorsi, narra infatti che la mistica francese, sin dalle prime volte che si era recata al Circolo Costituzionale, si fosse accorta che lo «zelo di alcuni andava troppo oltre per le circostanze del tempo» e che essa si era sforzata a portare «un poco di modera-zione», senza per altro che le sue esortazioni ottenessero alcun risultato «di maniera che il Circolo fu serrato». Ma anche dopo questo avvenimento, le cose non migliorarono perché, riapertosi il Cir-colo grazie anche all'intervento della Labrousse presso le autorità militari francesi, essa si accorse che i suoi frequentatori «cadevano più che mai in questo eccesso di zelo» per cui «rimontò di bel nuovo nella tribuna per fare le sue osservazioni», ottenendone, per tutto risultato, di essere sospetta-ta per le sue «opinioni di moderazione», di aristocrazia e di «voler indurre il Circolo a sciogliersi da per se stesso». Ma «a queste accuse - precisa l'autore della prefazione - ella si difese d'una maniera convincente», tanto convincente che la assemblea votò la pubblicazione del discorso da lei pronun-ciato in tale occasione. Nonostante ciò sembra che i mal umori di quest'ambiente non cessassero del tutto e, aggiunti alle accuse di estremismo formulate da altri ambienti, la decisero a dare alle stampe i discorsi incriminati83.

La sua dunque, nonostante il suo zelo patriottico, non era una posizione molto solida ed è certo che col passare del tempo e col radicalizzarsi della lotta politica, l'ascendente politico della La-brousse e quindi l'importanza del suo ruolo nella vita pubblica romana andarono velocemente decli-nando, portandola ad un rapido e squallido isolamento. Le fonti a suo riguardo tacciono progressi-vamente dagli inizi del '99 e confermano con ciò la nostra ipotesi che in quell'anno la sua attività si dovette restringere a quella meramente caritatevole e di assistenza spirituale e materiale verso i più poveri e nel giro del piccolo gruppo dei suoi fedeli: il fatidico 1800, che tutto avrebbe risolto, si av-vicinava ed ella era più che mai persuasa dell'impossibilità assoluta di aiutare la realizzazione del millennio. E in tale isolamento dovette coglierla la caduta della Repubblica Romana. Entrati i napo-letani ed i loro alleati in Roma il 30 settembre 1799, la Labrousse fu arrestata il 26 novembre suc-cessivo in casa del Gaudenzi alla Madonna di Loreto. Non risponde pertanto a verità la notizia del Moreau84, ripresa dal Bourgin85, secondo la quale la mistica perigordina si sarebbe ritirata da Roma con le truppe francesi. Che essa fosse rimasta a Roma non desta del resto alcuna meraviglia: il 1800 era ormai alle porte ed è chiaro che essa volesse rimanere ed essere la protagonista del gran giorno, sfidando ogni rischio, anche quello di ricadere nelle mani dei suoi persecutori di un tempo. Dello stesso parere non dovettero però essere i suoi compatrioti, se, come crediamo, intervennero subito in suo favore ottenendo - sicuramente facendo valere la clausola della capitolazione che riconosceva a tutti i francesi il diritto di potersi ritirare indisturbati dal territorio dell'ex repubblica - il suo rila-scio. Non altrimenti si spiega come dopo essere stata arrestata e sottoposta, il 3 dicembre, ad un

assolutamente sbagliato è per quel che riguarda la politica francese verso la Repubblica Romana. A questo proposito essa, infatti, mentre riconosce la veridicità delle accuse dei gruppi democratici più avanzati contro le ruberie dei gover-nanti romani (pp. 143-145, 150-151) respinge invece sdegnosamente le analoghe, e più violente accuse contro i suoi compatrioti (pp. 130-131), affermando che laddove vi sono state malversazioni e ruberie certo vi sarà a suo tempo un corrispondente risarcimento.

82 Discorsi, ecc., cit., p. 19. 83 Discorsi, ecc., cit., p. 19. 84 C. MOREAU, op. cit., p. 233. 85 G. BOURGIN, art. cit., p. 321.

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primo sommario interrogatorio86 da parte della Giunta di Stato, il procedimento fosse sospeso ed el-la riappaia di là a pochi mesi a Parigi. Rimarrebbe il problema di come mai la Labrousse poté gode-re da parte dell'autorità pontificia di tanta longanimità (lei che poteva essere a ragione accusata di giacobinismo e di atti rilevanti a favore del regime repubblicano in aggiunta alle accuse che a loro tempo le avevano valso la reclusione in Castel Sant'Angelo). Di questo problema preferiamo però parlare a conclusione del capitolo, quando disporremo di tutti gli elementi per poter fare un discorso più ampio, anche in riferimento al ben diverso trattamento riservato dall'autorità pontificia all'altro maggiore esponente del misticismo romano, Ottavio Cappelli.

Abbiamo lasciato costui condannato a soli sette anni di fortezza, grazie alle sue potenti amicizie e grazie specialmente alla sua accorta abiura. Prima di esaminare ora la sua nuova attività romana e il successo del suo rinnovato apostolato in tempo di repubblica è però necessario ricostruire, per quel che è possibile, le sue vicende tra il 1791 e il 1798.

Nell'agosto 1795, dopo aver presentato una supplica al papa, il Cappelli riottenne la libertà prima della scadenza della pena inflittagli, con la sola condizione, sembra, di non mettere più piede negli Stati pontifici. Dalla più volte citata sua deposizione del '99 sappiamo che una volta liberato si im-barcò a Civitavecchia su una nave genovese che faceva scalo a Livorno e che da qui si recò a Siena, presso certi suoi parenti, e dove rimase quattro mesi circa per vendere alcuni beni che possedeva da quelle parti. Raggranellata così una piccola somma, verso la fine dell'anno, si mise in viaggio per la Russia. Nel 1796 era a Pietroburgo e, sempre dalla sua deposizione, sappiamo che ci si trattenne per circa un mese: il tempo strettamente necessario, cioè, per ottenere una udienza da Caterina II per giustificarsi presso di lei delle accuse che gli erano state mosse. L'imperatrice - che come abbiamo visto era a quei tempi tutt'altro che ben disposta verso illuminati e massoni in genere - dovette rite-nere sufficienti le giustificazioni del senese se costui, alla sua partenza dalla Russia, era in possesso non solo di quattrini, ma anche di una nuova patente da ufficiale russo, questa volta con il grado di maggiore87.

Di questo soggiorno russo del Cappelli ignoriamo ogn'altro particolare; ricerche in loco potranno forse gettare su di esso un po' di luce, non crediamo però che ad esso si debba dare eccessivo peso. I rapporti del senese con il governo russo non dovevano avere, infatti, a nostro avviso, nessun rilievo e importanza: tacciono infatti a questo riguardo i dispacci editi ed inediti della nunziatura in Polonia e Russia e quelli dell'inviato dell'Ordine di Malta a Pietroburgo conte G. Litta88. Probabilmente, come nella concessione della prima patente non va visto altro che un modo con cui i confratelli avi-gnonesi vollero aiutare economicamente il Cappelli, così in questa seconda concessione non cre-diamo si debba vedere nient'altro che il risultato dell'interessamento per il senese del Plesceev (e forse addirittura dello czarevic Paolo) e, al massimo, un riflesso della scarsa simpatia che Roma e il papato godevano in Russia e presso la stessa imperatrice. Anche ammettendo resistenza di rapporti, oltre che mistico-religiosi, anche politici tra il Grabianka e il Plesceev e tramite quest'ultimo di di-segni dell'ancora czarevic Paolo di servirsi del Nouvel Israël per i suoi progetti mediterranei, non crediamo che il Cappelli rientrasse in alcun modo in essi, troppo scialba essendo da questo punto di vista la sua figura e non offrendo gli avvenimenti successivi della sua vita alcun elemento, sia pur tenue, che ci possa indurre a formulare una ipotesi positiva. Il viaggio del Cappelli in Russia e l'aiu-to accordatogli da Caterina II è quindi da attribuire principalmente alla mutua solidarietà dei confra-telli avignonesi89 e il fatto è anche indirettamente confermato dal viaggio che il Cappelli, lasciata Pietroburgo, compì, via Vienna-Paesi Bassi, ad Avignone dove, secondo la sua stessa ammissione, fu ospite per una diecina di giorni del Ferrier de Chivas.

86 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fasc. cit. 87 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fasc. cit. 88 M.-J. ROUET DE JOURNEL, Nunciatures de Russie. Nunciature de Litta (1797-99). Città del Vaticano 1943; ID.,

Interim de Benvenuti (1799-1803), Città del Vaticano 1957; nulla risulta neppure nelle carte della nunziatura non edite dal de Journel e conservate nell'Archivio Segreto Vaticano; Sbornik Russkogo Istoriceskoho Obscestva, II (1868), Di-spacci del Conte Litta mandato a Pietroburgo dall'Ordine di Malta (1796-97).

89 Il fatto che alcuni confratelli aiutassero ancora il Cappelli sta ad indicare come molti di essi avessero capito i mo-tivi che avevano a suo tempo indotto il senese ad abiurare e fossero convinti della sua buona fede.

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Dopo questo breve soggiorno avignonese il Cappelli si imbarcò a Marsiglia per Livorno (ebbe tra l'altro un viaggio piuttosto avventuroso avendo fatto la sua nave naufragio presso Lerici) e, con l'aiuto economico del principe del Württemberg, si stabilì a Firenze.

Poco sappiamo del suo soggiorno fiorentino: sembra che fosse molto preso dalle pratiche di un processo da lui intentato alla moglie. Questa, che l'aveva abbandonato al tempo della condanna, non solo si rifiutava di tornare a vivere con lui, ma si rifiutava anche di addivenire a una sistemazione amichevole dei loro rapporti economici e appunto per rientrare in possesso dei suoi beni romani il Cappelli aveva adito alle vie giudiziarie: a suo dire anzi90, era riuscito ad ottenere a suo favore l'in-teressamento del granduca che a sua volta ne aveva incaricato il suo ministro a Roma, il cav. Angio-lini; purtroppo la distruzione durante l'ultimo conflitto delle carte Angiolini conservate sino al 1942 a Milano, ci impedisce di avere conferma di queste asserzioni.

Poco altro sappiamo dell'attività del Cappelli a Firenze: forse a questo periodo si può far risalire l'invio al Direttorio a Parigi di un suo memoriale in cui egli si sarebbe vantato, senza alcun fonda-mento, di «essere stato l'autore primario, che la città e stato di Avignone si fosse sottratto al giogo ed obbedienza dei preti» e in cui avrebbe auspicato «che Roma fosse posta in libertà» e fosse dato «il crollo ai preti ed ai frati». Abbiamo detto forse, infatti si può anche supporre che il memoriale (che del resto non ci è stato possibile rinvenire negli archivi di Parigi) sia stato dato al Direttorio in occasione di una sosta che egli fece nella capitale francese durante l'ultimo suo viaggio ad Avigno-ne: unica cosa certa è la menzione dell'esistenza di un tale memoriale fatta in una lettera da lui in-viata verso la fine del '98 e i primi del '99 al console Zaccaleoni e la cui minuta gli fu sequestrata al momento del secondo arresto e annessa. agli atti del processo. A Firenze il Cappelli si fermò sino al novembre 1798, quando, dopo un brevissimo viaggio a Milano, decise improvvisamente di tornare a Roma. Così come per tanti altri episodi della sua vita, anche a questo proposito manchiamo di ele-menti sicuri che valgano ad illuminarci sui motivi che indussero il senese a questa decisione. Dalla sua deposizione davanti alla Giunta di Stato sembrerebbe che due fossero stati i motivi principali che lo riportarono a Roma: uno, di carattere personale, sarebbe stato il desiderio di riunirsi alla mo-glie o, almeno, di risolvere una buona volta la causa contro di lei; l'altro, sarebbe consistito, oltre che nel desiderio di rendersi conto personalmente della situazione della Repubblica Romana, anche in quello di riferirne (a suo dire per mezzo di alcuni dispacci in cifra) al granduca di Toscana, a mons. Zondadari e ad altri «aristocratici» di Siena e non per lucro, ma come cristiano e «buon sud-dito della monarchia»91. Ma un altro motivo, e contrastante con questi, risulta della minuta di un e-sposto ai Consoli della Repubblica Romana: secondo questo (che risale probabilmente al dicembre '98 o al gennaio '99) il Cappelli invece sarebbe stato sfrattato da Firenze in data 9 novembre per le pressioni esercitate sull'autorità granducale dal papa e dal card. De Zelada. Come si vede, ancora una volta le vicende del Cappelli e il suo vero volto sono avvolti nel mistero. A quale versione dar credito? Ci troviamo di fronte ad un piccolo avventuriero, abile nel doppio-gioco e volto a spremere quattrini e benefici a chiunque e da qualsiasi parte gli è possibile, o a un abile agente? Francamente non sappiamo dare una risposta precisa: tanto è chiara e lineare la figura della Labrousse, tanto è oscura a contorta quella del Cappelli. Tra le due ipotesi siamo forse più propensi a dar credito alla prima, anche se l'estrema severità con cui il Cappelli fu trattato dalla tutt'altro che severa Giunta di Stato romana (le condanne a morte da essa pronunciate si contano sulle dita di una mano) ci lasci fortemente in dubbio.

Il Cappelli si fermò a Roma per circa un anno e, ancora, ignoriamo quale vita vi condusse: certo è però che non ebbe alcuna parte nell'attività politica e pubblica in genere. Dalle tre lettere che di lui possediamo, indirizzate alle supreme autorità della Repubblica92, pare anzi che non vi tenesse

90 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fasc. cit. , ff. 15v-16. 91 Archivio di Stato di Roma, Giunta di Stato 1799-1800, fasc. cit. , ff. 15v-16. 92 Si tratta: 1) di una lettera personale al presidente del Consolato Zaccaleoni, dal Cappelli conosciuto durante la sua

detenzione nelle carceri del S. Uffìzio; 2) di una seconda lettera (del nevoso VII) anch'essa ai Consoli; 3) di un esposto ai Consoli; tutte note a noi nelle sole minute autografe del Cappelli allegate al fascicolo processuale della Giunta di Sta-to.

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nemmeno. Nella prima, del nevoso, afferma esplicitamente, dopo aver vantato le sue benemerenze patriottiche e la sua prigionia, di non pretendere gli impieghi e le cariche che gli competerebbero, ma chiede solo un indennizzo in Beni Nazionali (il che potrebbe autorizzare a credere che stimasse il nuovo regime saldo ed in grado di durare a lungo) per i danni subiti dalla persecuzione sacerdota-le e di essere liberato dall'ingiustissima lite con la moglie e riottenere così da lei la restituzione dei suoi beni. Certo però, nonostante questo suo disinteresse per la vita pubblica della Repubblica e le accuse di aristocrazia mossegli dalla moglie93, dovette essere in rapporti abbastanza buoni con le autorità; tra gli altri, oltre allo Zaccaleoni, doveva conoscere bene il Mutarelli e riuscì inoltre a re-cuperare dal Barbiellini94, conservatore delle carte del S. Uffizio, l'intero fascicolo del suo proces-so95. Quanto all'attività mistica essa dovette essere altrettanto limitata di quella politica e ormai ri-dotta alle forme più basse e ciarlatanesche. Dal diario dell'abate Fortunati sappiamo infatti che «in tempo della Repubblica teneva in casa sua Accademia di Ballo Angelico di donne e uomini nu-di...»96. E nulla sappiamo dei suoi adepti97.

Questo quello che conosciamo, ed è ben poco, dell'attività del Cappelli durante la rivoluzione: ci rimane ora di dare una sguardo alle sue vicende sotto la restaurazione papale. Caduta la Repubblica Romana, il Cappelli venne arrestato il 16 novembre nella sua abitazione agli Otto Cantoni, dietro palazzo Corea. Nella perquisizione gli furono trovati il fascicolo del primo processo, le minute delle lettere scritte da lui negli ultimi mesi al Consolato e, tra vari effetti personali, due sciabole e una baionetta. Accusato di lesa maestà, di contravvenzione all'esilio e di detenzione di armi da guerra, fu tradotto davanti alla Giunta di Stato. Il processo, di cui abbiamo tutti gli atti, fu rapido e chiunque legga i suoi verbali non potrebbe mai immaginare che si sia concluso con una condanna capitale: le accuse rivoltegli furono con facilità ribattute dal consigliere rotale Agostino Valla che all'imputa-zione di lesa maestà oppose la nazionalità toscana del Cappelli, e quella di detenzione di armi da guerra la sua qualità di ufficiale dell'esercito russo e alla contravvenzione all'esilio la mancata prova da parte dell'accusa della sua tempestiva notificazione all'imputato. Quanto alle accuse minori, cioè di essere stato un giacobino, il Valla facilmente poté dimostrare che il presunto ruolo del Cappelli nella rivolta di Avignone non era altro che una vanteria per ingraziarsi i governanti repubblicani nella vertenza con la moglie e che il suo difeso non solo non aveva avuto incarichi nell'amministra-zione repubblicana ma non era neppure riuscito ad ottenere la risoluzione a suo favore della causa, ancora sospesa, con la moglie. I veri sentimenti del Cappelli erano, secondo la difesa, testimoniati invece dalla sua lettera del 18 aprile '98 da Firenze alla moglie98. Nonostante ciò la sentenza della Giunta di Stato fu di morte e il Cappelli fu impiccato alle ore sedici del 29 gennaio 1800 sulla piaz-za del ponte Sant'Angelo. Dalla relazione dell'arciconfraternita di S. Giovanni Decollato, addetta al conforto dei condannati a morte, sappiamo che il Cappelli, dopo aver invano insistito per poter par-lare con il vicegerente di Roma, morì intrepidamente, dopo aver ricevuto i sacramenti e dopo aver a lungo devotamente pregato, specie s. Michele arcangelo «con vero furore e affetto»99. Lasciò dei suoi beni e dei molti crediti, un terzo al figlio Gerbonio e il resto alla figlia Margherita, educanda nel monastero dello Spirito Santo di Roma.

93 Dall'esposto ai Consoli risulta che il Cappelli dovette difendersi davanti alle autorità repubblicane - sembra con

successo - dalle accuse mossegli dalla moglie, sulla base di una sua lettera da Firenze del 18 aprile '98 nella quale egli aveva scritto: «Quando sentirete che le armate imperiali venghino a questa volta credete pure che fra quelle vi sarà vo-stro marito».

94 Sul Barbiellini cfr. G. A. SALA , Diario romano degli anni 1798-1799, I, Roma 1882, p. 174. 95 Il Galimberti (Memorie dell'avv. A. GALIMBERTI dell'occupazione francese di Roma dal 1798 alla fine del 1802,

Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, (fondo Vittorio Emanuele nn. 44-45, alla data del 29 gennaio 1800) definisce il Cappelli «celebre giacobino» e dice «che aveva fatto una luminosa figura nel governo repubblicano». La notizia è senza fondamento. Del resto tutto il pezzo è infarcito di errori e imprecisioni.

96 F. FORTUNATI, Avvenimenti sotto il pontificato di Pio VI dall'anno 1775 al 1800, Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Vaticano Latino n. 10730, alla data del 29 gennaio 1800.

97 L'unica ipotesi azzardabile è connessa al nome di certa Maria Dorsani, forse la sua amante. 98 Se ne veda il testo nella memoria difensiva del Valla negli atti del processo. 99 Archivio di Stato di Roma, Libro del Provveditore della Ven. Arciconfraternita di s. Giovanni decollato per la

giustizia. Dal 1772 al 1810, ff. 143-49.

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Come si vede né l'apostolato della Labrousse, né quello del Cappelli dovettero avere molto suc-cesso a Roma. Il misticismo degli illuminati, di qualsiasi tipo esso fosse, non era atto a trovare lar-ghe adesioni, specialmente al di fuori di certi ambienti colti e di un certo tipo di cattolicesimo. A Roma soprattutto, ove il cattolicesimo aveva salde radici e dove, specie durante il biennio repubbli-cano, i gruppi cattolici più avanzati preferivano, se mai, orientarsi verso forme di cristianesimo e-vangelico, più consono del misticismo alle nuove aspirazioni e alla nuova sensibilità. Anche a Ro-ma, dunque, si ripeté sostanzialmente (ed in misura più accentuata) lo stesso fenomeno che abbiamo già riscontrato - in proporzioni e aspetti ben più significativi - in Francia.

Dal riconoscimento di questo insuccesso bisogna partire anzi, secondo noi, proprio per spiegarci il diverso trattamento riservato dall'autorità pontificia ad Ottavio Cappelli e a Suzette Labrousse.

Spiegare la longanimità mostrata verso la Labrousse e il rigore estremo riservato per il Cappelli con il solo fatto che a favore della prima dovettero intervenire i francesi mentre nessuno si prese questa volta la briga di perorare la causa del secondo è troppo semplicistico. Il richiamo, per la La-brousse, alla capitolazione ha indubbiamente un valore, non è però sufficiente: non solo non spiega ovviamente l'estremo rigore verso il Cappelli, in ogni caso sproporzionato alla parte avuta dal sene-se negli avvenimenti di questi ultimi anni e al suo ormai insussistente ascendente (e quindi pericolo) sul piano religioso, ma neppure, a ben vedere, una sì totale longanimità verso la profetessa perigor-dina. Anche senza ricorrere ai precedenti napoletani, è infatti facile immaginare quante scuse si sa-rebbero potute trovare, volendo, per non farla rientrare (come ex prigioniera) nella capitolazione e non doverla liberare; specie tenendo presente la difficilissima situazione militare dei francesi in quel momento che non faceva certo prevedere un loro prossimo ritorno offensivo.

Il problema ci sembra da vedersi piuttosto al di fuori della qualità mistica dei due. Il misticismo era ormai completamente fallito a Roma e non doveva più destare alcune preoccupazioni nelle auto-rità pontificie. Ben altri problemi si presentavano ad esse. La Labrousse, in quanto innocuissima mistica, fu rimessa in libertà: il Cappelli, invece, fu impiccato, ma, a nostro avviso, non come misti-co - al processo non solo non si parlò della sua prima condanna davanti al S. Uffizio, ma neppure della sua attività mistica (i balli angelici) durante la Repubblica - bensì come ufficiale e possibile agente russo. Non bisogna infatti dimenticare mai il carattere particolarissimo che negli anni tra la seconda metà del secolo XVIII e il 1815 ebbero i rapporti tra la Russia e lo Stato della Chiesa ed in particolare l'ambiguissima politica italiana di Paolo I proprio di quei mesi100.

100 G. BERTI, op. cit., passim e spec. pp. 114-25, 166-71.

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APPENDICI

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APPENDICE A SUZETTE LABROUSSE

1 ENIGMES (1766-1779)

I.

J'ai vu le fort armé contre moi, ses armes m'agiter et sa puissance déguisée me poursuivre; mais espérant que dans la suite, la lumière et la puissance duquel je marche en la présence, me purifiant de ma lèpre qui est pour lui comme une pierre d'aimant, alors moi purifiée et lui renversé, ma bou-che ne s'ouvrira plus que pour parler des choses du Seigneur1.

II.

Si mon projet réussit, il enverra les uns dans l'autre monde, les autres aux antipodes, et moi au diantre bouilli2.

III.

Quant à mon oratoire, c'est l'amour qui m'en a donné l'idée, c'est l'amour qui me l'a fait bâtir, c'est l'amour qui le parachèvera, et la voie de l'amour fera le reste3.

V.

L'envie est comme une main pour me purifier, ma bêtise y contribuera, comme aussi à se détruire elle-même.

VI.

Si je ne me trompe pas, nous touchons au temps où l'on dira à tout prêtre ce qu'il fait là: s'il ne se trouve pas être entré par la porte de la bergerie, s'il n'a pas mené son troupeau paître dans de bons pâturages, il sera traité de manière qu'il lui sera trouvé meilleur de se retirer que de demeurer4.

VII.

Si je ne me trompe pas, la France va être le centre des grands événemens, et comme le berceau des heureux triomphes; ma province comme le Sanctuaire, et ma paroisse comme le saint des saints.

VIII.

Si je ne me trompe pas, nous touchons au temps où tout sentiment ne sera qu'un; tout cachet sera jeté au feu, et la croix précédera le seul qui demeurera.

IX.

Nous touchons encore au temps, si je ne me trompe pas, où tout homme sera aise de vivre, et ravi de mourir.

X.

Il y a dix ans que, si les hommes n'eussent pas méprisé mon plan, la révolution indispensable se serait faite dans la joie de tous les coeurs et sans l'effusion d'aucune goutte de sang; maintenant, s'ils

1 Suivant les interprètes, M.lle Labrousse entend par le fort, le diable, qui tient de Dieu la permission et le pouvoir de faire la guerre aux saints.

2 Son fameux projet est le triomphe de la religion, la régénération et l'affranchissement des hommes, par un événe-ment miraculeux que l'univers entier apercevra en quelques heures. Le reste de la prédiction n'a guère de sens, et il est à peu près sûr qu'elle a dû ignorer elle-même ce qu'elle voulait dire.

3 L'oratoire dont elle parle est le petit local qu'elle fit bâtir près de l'église paroissiale de Vauxains; c'est là qu'elle doit se retirer, après avoir rempli sa mission, pour être toujours en la compagnie de Jésus-Christ.

4 Allusion assez claire à la constitution civile du clergé, que Suzette défendra plus tard par la parole et par la plume.

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s'y refusent encore, il sera différé de dix ans, et d'ici à ce temps il y aura excetera partout alors, de gré ou de force cela sera. Les choses ont été, sont, et seront ainsi, à raison que, quoique le tout ne dépende pas des hommes, ils y ont cependant une tâche à remplir, dont le refus sera encore cause de la transmission de ce temps à un autre5.

XI.

La conclusion de cedit plan sera un événement de joie qui fera faire aux mortels des oh! et des ah! sans fin, il sera manifesté à toute la terre dans l'espace de 24 heures6.

XII.

Quant à moi, je ne dis mot, sinon que je serai comme un ver luisant, qui, à l'approche de l'aurore, se retire à son gîte7.

XIII.

Tôt après vont venir les doux, les beaux, les durs et anciens siècles, après lesquels le terrible, croyant me donner un coup de massue, se donnera une si terrible torture, que tout sera mis dans son assiette parfaite et éternelle8.

XIV.

Si je vais à Paris, mon plan adopté ou non, je reviens; si le tout doit s'effectuer, je repars pour al-ler compléter ma mission: qu'on ne me demande pas où je vais, car on ne le saura pas, si toutefois j'en suis crue9.

XV.

Pour obvier à ceux qui pourraient conjecturer que c'est la fin des siècles que j'annonce, pour preuve du contraire, c'est que j'ai parlé pour des personnes qui n'existeront que dans deux siècles d'ici.

XVI.

Qu'on observe que je ne parle dans le tout que conditionnellement et énigmatiquement, jusqu'à ce que l'Église m'ait autorisée à parler, non par défaut de certitude, en ressentant au contraire une très profonde et très intime, mais par respect pour l'autorité que lui a donnée son auteur.

5 Les hommes ayant méprisé son projet, la Révolution sera, dit-elle, retardée de dix ans à partir de 1789, c'est-à-dire

jusqu'en 1800. Durant cet espace de temps, il y aura excetera. On prétend qu'elle entend par ce mot les effroyables mas-sacres ordonnés par les terroristes, et les exécutions dites politiques.

6 Nous croyons qu'elle donne à entendre, par celle-ci, que la conclusion de ce plan se manifestera par un signe mira-culeux qui accompagnera le soleil. Sa course étant de vingt-quatre heures pour éclairer tout l'univers, tous les mortels verront cette merveille dans le même intervalle de temps, et seront tellement surpris d'admiration, qu'ils ne cesseront de faire des exclamations, soit par des oh! soit par des ah!

7 Elle dit qu'elle sera comme un ver luisant, qui, à l'approche de l'aurore, se retire à son gîte. Elle semble nous faire entendre par là qu'elle doit être le principal personnage qui doit figurer dans cette merveille, et qu'à l'avènement de Jé-sus-Christ, elle se retirera à Vauxains, dans son oratoire, qui est son gîte.

8 Par ces paroles, vont venir les doux, les beaux, les durs et les anciens siècles, nous présumons qu'elle a voulu dire que les hommes, instruits par cet événement étonnant, seront bons, sages et équitables, pendant plusieurs siècles; mais qu'ensuite, oubliant peu à peu les merveilles du Seigneur, ils dégénéreront de leurs vertus, retomberont insensiblement dans le mal, et éprouveront alors les durs et anciens siècles; après lesquels, ajoute-t-elle, il en viendra un plus terrible encore, où l'on croira pouvoir donner un coup de massue, pour faire entièrement oublier ce premier événement: mais alors, par un autre événement, plus miraculeux encore, tout sera remis dans un ordre parfait, et durera ainsi jusqu'a l'éternité.

9 Elle annonce, par celle-ci, qu'elle ira à Paris, et qu'elle reviendra chez elle, à Vauxains; ce qui a eu lieu. Elle dit en-suite que, si le tout doit s'effectuer, elle repart, pour aller compléter sa mission. Elle partit effectivement de chez elle, le 29 février 1792 (v. s.,) pour aller à Rome, instruire le pape des desseins de Dieu, et lui reprocher toutes les innovations qui ont été faites dans l'Église de Jésus-Christ, contraires à son Évangile.

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XVII.

Et si, en toutes ces choses, je me trompe dans la moindre de toutes comme dans la plus essen-tielle, quantité d'autres, respectables par leur authenticité, se sont trompés aussi; et pour répondre aux objections qu'on me fait touchant lesdites incertitudes que je mets, j'ajoute que tous ceux qui ont parlé positivement ont ici leurs raisons pour parler ainsi, et que moi j'ai les miennes10.

XVIII.

Si je ne me trompe pas, le roi de France, en qualité de fils aîné de l'Eglise, donnera la couronne du saint Empire à tous les rois de la terre; qu'en cette double couronne il y sera incrusté en matière première le symbole de la foi, et ils ne jureront que par lui et n'auront de gloire qu'en lui11.

XIX.

Le chef de l'Eglise n'aura plus aucune juridiction temporelle, qui a été jusqu'à présent comme un monstre qui a dévoré une infinité de peuples à l'Église, il ne sera plus regardé que comme médiateur entre Dieu et les hommes; les potentats qui auront accepté de cette double couronne, en protestant de le soutenir contre toute sorte d'attentats, lui feront, quant à son temporel, un sort infiniment au-dessus de celui qu'il s'est fait lui-même12.

XX.

Pour répondre à ceux qui me demandent ce qui surviendra si mon plan est mis au néant à tort ou avec raison; que si c'est à tort, l'excetera partout surviendra; que si c'est avec raison qu'il est mis au néant, je reviens continuer ma vie privée, et il n'en sera pas plus rien quant au public que si j'avais rêvé13.

XXI.

Quant à ceux qui pourraient conjecturer que ceci pourrait s'opérer par quelque violence, contre le gré ou droit des gens, surtout l'article que tout sentiment ne sera qu'un; pour les rassurer, je peux leur attester, si je ne me trompe pas, que le tout ne se fera que par un sentiment intime, c'est-à-dire que par la seule contrainte que leur fera leur propre conscience, et dans toute la joie de leur âme; et qu'il n'y aura que le mauvais qui voudra être mauvais, qui sera dans le cas de crever dans sa peau, n'osant se démontrer tel qu'il se sentira; j'ajoute que quiconque doutera de tout ceci, se donne la peine de venir me voir, et je lui donnerai telle vérification qu'il lui plaira14.

XXII.

Les états généraux de France ont été convoqués et harnachés comme des chevaux destinés à remporter un grand butin; mais l'ange exterminateur étant survenu, il a renversé les projets de ces hommes insensés, et s'en est servi à parcourir tous les sentiers de leur propre maison, et jusque dans les parvis de la maison du Seigneur, excepté le sanctuaire, comme n'étant qu'à l'oing du Seigneur Dieu de le visiter: là, comme partout, il sera chargé non d'un grand butin, mais seulement de tous les immondices qui y croupissaient depuis longtemps, et qui avaient occasionné une corruption géné-

10 Ces trois énigmes sont assez claires pour n'avoir pas besoin d'interprétation. 11 On croit que cette énigme parle de Jésus-Christ, qui, daignant reparaître parmi nous sur la terre, ramènera tous les

rois au sein de l'Église par le symbole de la foi, et qu'ils ne jureront alors que par lui et n'auront de gloire qu'en lui. 12 Le chef de l'Église est le pape. Il ne doit plus avoir de juridiction temporelle sur la terre; car cette juridiction a été

pour lui une source de richesses et de luxe qui, aux yeux de bien des peuples, le font regarder comme un monstre, atten-du que, par ce mauvais exemple, et plus encore par le trafic qu'il fait des choses saintes ou spirituelles, il a détourné beaucoup de nations du sein de l'Église, et a occasionné par là une infinité d'hérésies.

Il semble que cette prédiction touche à son accomplissement; et certes, si cet événement a lieu, loin de donner de l'inquiétude aux bons catholiques, il doit au contraire les rassurer, et leur faire espérer le rétablissement de cette belle épouse de Jésus-Christ dans son état primitif, et peut-être plus grand encore.

13 Ce qui est dit ici n'a pas eu lieu, puisqu'elle est partie après le consentement des évêques. 14 Dans cette énigme, elle ne parle point de la Révolution, mais bien de son projet (voyez énigmes VIII et XI).

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rale. Les chevaux mutins et rétifs, qui se sont trouvés parmi le nombre, n'ont fait que donner plus d'exercice aux autres, et les ont contraints de ménager leurs pas, afin que, n'en faisant pas d'inutiles et de surabondants, ils puissent tenir à tout; que si tous ces chevaux ne prennent pas le mors aux dents, l'ange s'en servira pour découvrir et nettoyer tous les sentiers de la vérité et de la justice, et terminera leur course par mériter à la terre de voir devancer de son terme de rigueur le temps par le-quel tout le genre humain verra de ses propres yeux l'échantillon de la pièce pour lequel il est desti-né, et le fera se conjouir et se hâter dans sa course, et se féliciter de la voir se terminer15.

XXIII.

Cet ange exterminateur ayant pris un des sujets de ces hommes insensés, a dit à un d'eux: «Sui-vez partout;» ce qui ayant été fait, il l'a introduit jusque dans les lieux les plus inconnus, et lui a dit: «Voyez, mais ne touchez à rien, parce que ce n'est que par mon moyen que vous êtes parmi tant de richesses; et comme vous êtes un trop petit vase pour contenir de ces choses, vous ne serez destiné, si vous écartez de vos voies, qu'à montrer l'échantillon dit ci-dessus, pour démontrer et convaincre les puissants que les grandes opérations, comme les plus petites, se font plus par des arrêtés de la Providence que par leurs pouvoirs»16.

XXIV.

Quant au serment, si tous eussent été aussi scrupuleux sur tout ce qu'on doit l'être que sur cet ar-ticle, ils auraient tous fait le serment sans hésiter un seul instant; mais ce temps jadis ayant comme jeté un voile obscur sur leur esprit, et un nuage épais étant survenu sur leur jugement, ils n'ont su le dissiper, ne voyant rien, et vont tous comme à tâtons17.

XXV.

Tout berger qui n'entre dans la bergerie que dans des vues de s'en nourrir, soit son âme, comme son corps, n'est point digne de mener paître le troupeau, comme n'étant que la portion du Seigneur Dieu, qu'il doit plus considérer que la sienne, aussi la marque distinctive paraîtra dans sa bouche comme dans tous ses traits.

XXVI.

Dans le vrai, tout prêtre qui se récrie du serment, se plaint tout seul; cependant, étant de bonne foi, il faut convenir qu'il est rude de jurer qu'on renonce à de si hautes possessions et à de si grands privilèges pour devenir, au vu des insensés, d'aussi petits garçons: de plus il faut convenir que le cas est embarrassant au premier coup d'oeil; l'inférieur étant comme obligé de se croire supérieur à son supérieur; cependant, tout bien combiné, pour savoir la marche à tenir, il ne faut point être savant, il ne faut qu'être bon.

XXVII.

Ce n'est pas le tout à l'homme de jurer; s'il ne se conforme exactement aux conditions de son serment, il aura deux forces contre lui: en outre, l'abus de l'abri où le met son jurement le rendra, à

15 Elle semble nous faire entendre, par cette énigme, que, dans les états généraux, plusieurs membres avaient formé

le projet de s'enrichir, mais que leur projet a été renversé. Par ces expressions, les chevaux mutins et rétifs, il paraît qu'on doit entendre ceux qui se sont opposés aux réformes que l'assemblée constituante prétendait faire, lesquels n'ayant par pris le mors aux dents, l'ange s'en est servi pour nettoyer tous les sentiers de la vérité et de la justice, c'est-à-dire pour découvrir des vérités qui étaient ensevelies depuis longtemps par le fanatisme et le despotisme; ce qui n'a pas peu contribué à provoquer plus tôt le terme de la Révolution, où chacun pourra voir, lorsqu'elle sera terminée, un échantillon de la destinée du genre humain.

16 Par l'ange exterminateur, on peut entendre l'ange du jugement, qui fait connaître à ces hommes insensés que les plus grandes opérations, comme les plus petites, sont plutôt l'effet de la Providence que de leurs pouvoirs.

17 Elle dit, ici, que plusieurs ont refusé de prêter le serment, parce qu'ils ont été comme des aveugles qui ne marchent qu'à tâtons. Si l'on considère attentivement, et sans esprit de parti, les raisons qu'elle donne, à ce sujet, dans sa réponse à l'abbé Maury, et dans les discours qu'elle a tenus dans son voyage, on se convaincra aisément qu'elle ne s'est pas écartée de la pure vérité.

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l'égard des grands coups qu'il se prépare et s'attire, comme la fourmi qui n'aperçoit que les petits ob-jets qui l'environnent, et qui est plutôt écrasée des grands, qu'elle ne les a vus18.

XXVIII.

Tout homme qui se livre au désordre et à la corruption, induit à cela tout ce qui l'avoisine, et la rendra par ce moyen comme générale, ce qui va occasionner, s'ils ne reviennent à l'ordre primitif établi par l'auteur, qu'ils marcheront sur la terre comme des cadavres non sortis du tombeau, mais plutôt prêts à y entrer à chaque instant, au point que leur printemps sera pire que la caducité. Quel aspect, grand Dieu de grâce! Hâtez-vous d'accorder à la terre un remède court et prompt pour la guérir de ces maux19.

XXIX.

Tout homme revêtu de l'autorité souveraine qui s'ingérera dans les affaires de la grande et nom-breuse famille de France, et qui en conséquence bougera de sa place, se trouvera entre deux feux, et s'exposera, comme tant d'autres, à la pointe aiguë20.

XXX.

Les intelligences mystiques de France, ne s'occupant depuis longtemps que de choses terrestres, se sont si fort métamorphosées en matière qu'elles ne sont maintenant dans leur sphère que comme une masse informe, et qui, au lieu de se mettre en activité, comme le reste des êtres, pour reprendre leur première forme, en se rendant intellectuelles, se renforcent au contraire encore plus dans la ma-tière, et ne s'efforcent par surcroît qu'à la vouloir rendre comme un miroir intelligible; et lorsqu'à ce-la un chacun regarde pour y voir sa lumière, et n'y voyant toujours qu'un noir brouillard, crache des-sus21.

XXXI.

Quelle que soit l'intelligence qui jette les yeux sur cette énigme ci-dessus, si dans sa sphère elle est marquée à la lettre hé, elle n'y verra goutte, goutte, goutte22.

XXXII.

Il n' y a pas à douter même un seul instant que le père putatif des enfants destinés à la béatitude favorise ses aînés, qui le démontent pour avoir toutes ses propriétés au préjudice de tous ses cadets qui réclament leurs droits; que s'il arrive cependant qu'il se laisse surprendre par leur importunité, il aura sur le nez23.

XXXIII.

La troupe noire ayant été munie d'ailes d'aigle pour pouvoir voler à la béatitude, et n'en ayant guère fait usage, elle est devenue oiseau de mauvais augure. Cependant, parmi cette troupe de loups, il y a beaucoup de moutons que le saccagement desdits loups pourrait bien envahir, sans que

18 Ces trois énigmes semblent faire allusion à l'ancien clergé, et à ceux qui ont rétracté leur serment. 19 Elle semble nous prédire, par celle-ci, qu'il y aura beaucoup de désordre en France, dont la corruption des moeurs

sera la suite; mais que les désorganisateurs et ceux qui marcheront sur leurs traces se trouveront tellement accablés, soit par le remords de leur conscience, soir par l'opprobre qui n'est réservé qu'aux méchants, qu'à chaque instant ils verront, pour ainsi dire, leur tombeau s'ouvrir sous leurs pas.

20 On ne peut se refuser, ce nous semble, à l'évidence de cette prophétie: plusieurs souverains, tels que ceux d'Espa-gne, de Sardaigne, de Prusse, etc., en ont déjà fait l'expérience. Nous devons espérer que l'Autriche, l'Angleterre, Rome etc., en finiront l'accomplissement.

21 Quant aux intelligences mystiques, elle entend sans doute le clergé, qui depuis longtemps ne forme qu'une masse informe qui, pour être mise en activité, a besoin d'être débrouillée du chaos où elle est ensevelie.

22 Il semble qu'elle entend, par celle-ci, que celui qui lira l'énigme précédente, s'il est marqué au caractère de la bête, n'y comprendra rien.

23 Le père putatif est le pape, les aînés sont le prêtres, et les cadets sont les peuples. Le clergé, toujours ambitieux, étant parvenu, sous les auspices du chef de l'Église, à accumuler de grandes richesses, au préjudice des peuples, le pape pourrait bien, un jour, être la victime d'une cupidité aussi condamnable.

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chacun osât guère leur aller donner la main, par la crainte que sous cette peau de mouton il n'y eût un loup déjà formé. Quelle plaie au coeur bon!24.

XXXIV.

A bas, à bas la loi: vive l'esprit de la loi, comme n'étant qu'à l'esprit de vivifier. La lettre tue, le cadavre empoisonne: s'il n'est donc plus possible de lui redonner la vie, réchauffons tous sans délai nos coeurs pour réédifier un nouveau corps à l'Être suprême resplendissant de lumière comme un gage garant de nos hommages, et qui invite et détermine tout être à en faire de même25.

XXXV.

Tout simulacre qui veut s'élever contre une nouvelle lumière qui lui est donnée en sera écrasé; plus il s'élancera vers elle pour la dissiper, plus il en sera ébloui et comme abîmé, le temps où il faut que toute justice se fasse étant arrivé26.

XXXVI.

Si la vérité est étouffée par les siens, elle ressortira plutôt par l'impie même, que demeurer en-fouie27.

XXXVII.

Tout homme qui se portera contre sa patrie deviendra l'horreur des nations, et sera obligé de se disperser, comme les renards de leurs tanières, poursuivis par les chasseurs, et qui se trouvent contraints de se cacher dans les antres de la terre et des rochers28.

XXXVIII.

Quant à ceux qui me demandent comment je vois ou d'où je tire ce que je dis, et je pourrais par-ler ainsi sur toute espèce de choses; je réponds à cela que c'est la nécessité qui détermine mes moyens, et que je n'en ai qu'autant que je me sens comme le pis aller des hommes: cependant j'ajoute encore qu'il me le semble, et je l'observerai toujours, jusqu'à ce que l'Église ait prononcé sur l'esprit qui dirige le mien29.

Énigmes faites pour des raisons que je laisse au temps à développer.

24 Par la troupe noire, il faut encore entendre le clergé, qui, par état, a tant de moyens pour parvenir à la béatitude, et

s'acquérir le respect et l'estime générale des peuples; mais n'en faisant, pour ainsi dire, aucun usage, il est devenu oiseau de mauvais augure. On ne peut cependant se dissimuler que, parmi cette troupe, il y en a de très respectables; mais ils ont le malheur d'être confondus avec ceux qui ne le sont pas.

25 La loi dont elle parle ici est, il ce qu'il nous semble, celle qui est renfermée dans l'Évangile, que la cour de Rome a interprétée dans son intérêt particulier, au grand préjudice de la religion. Il fait donc en faire revivre l'esprit; ce qui ne peur, sans doute, manquer d'arriver, car Jésus-Christ doit tout renouveler.

26 La nouvelle lumière semble être les droits de l'homme, et la réforme des abus introduits depuis longtemps dans le monde. Tous ceux qui s'y opposeront en seront éblouis et abîmés, car, dit-elle, il faut que toute justice se fasse.

27 Si la vérité est étouffée par les chrétiens, qui doivent eux-mêmes en être les plus fermes soutiens, elle ressortira plutôt par l'impie même. C'est ce que nous avons déjà éprouvé.

28 Cette prophétie, jusqu'à présent, s'est accomplie à la lettre, témoin les émigrés et ceux de leur parti qui sont restés parmi nous. Il serait à désirer que les hommes qui se sont égarés, jusqu'ici, en faisant le malheur de la France, rentras-sent en eux-mêmes et ne songeassent, dorénavant, qu'à faire leur bonheur en faisant celui du peuple.

29 Elle démontre, par cette énigme, que tout ce qu'elle voit et ce qu'elle dit tient à des circonstances que la nécessité détermine, et que les moyens qu'elle emploie pour les faire connaître viennent de l'esprit qui la dirige; mais qu'elle n'a de moyens qu'autant que les hommes cessent d'en employer de plus efficaces. Il faut observer qu'elle n'avance rien af-firmativement, non par défaut de certitude, mais par respect pour l'Église, et qu'elle ne cessera d'avoir les mêmes opi-nions, jusqu'à ce qu'elle ait déclaré si l'esprit qui la dirige vient de Dieu, ou non.

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LETTERA AL CUGINO (4 febbraio 1790)

Je vais, mon cher cousin, répondre aux questions que vous me faites, autant qu'il se pourra, c'est-

à-dire autant qu'il sera de la prudence de le faire. D. Vous me demandez quel est l'objet de mon plan; s'il embrasse l'univers entier, ou une de ses

parties; si l'effet qui en doit résulter influera également sur la religion et sur la politique? R. Je réponds que le but est de rendre les hommes meilleurs, en les dépouillant de leurs préjugés. Que ce plan embrasse l'univers entier. Que le succès qu'il aura doit influer sur le corps politique, en procurant de bonnes lois et de bon-

nes constitutions; mais il influera surtout sur la religion, qui l'emportera sur toutes les autres: l'Évangile sera préconisé par tout l'univers.

D. Vous demandez par quelle autorité je serai mandée à Paris; devant quel tribunal je rendrai compte des vues sublimes que j'annonce.

R. Je serai mandée à Paris par ordre législatif, si toutefois je ne me trompe pas. Arrivée dans la capitale, la première demande que je ferai, sera qu'il me soit permis de n'avoir d'autre asile qu'une église, tout le temps que je ne serai pas nécessaire ailleurs, ayant déjà demandé aux personnes qui agissent dans cette affaire qu'il soit formé un comité ecclésiastique, composé des évêques du royaume; ce comité sera chargé d'examiner mes ouvrages, et je les discuterai en sa présence, dans le plus grand détail, si cela est nécessaire.

Ce comité fera son rapport à l'Assemblée nationale, si elle le juge à propos. Après avoir recueilli les voix, on prononcera sur leur validité ou invalidité. Si leur validité est reconnue, et que je sois introduite, je n'aurai plus qu'un mot à dire, et à de-

mander qu'on y réponde; si la réponse est favorable, je me retire, pour aller achever de remplir ma mission; si cependant il arrivait qu'avant le rapport du comité ecclésiastique, la majeure partie de l'Assemblée nationale témoigne de l'empressement à m'entendre, je me rendrai à ses voeux, et, après avoir glorifié l'Être suprême, j'objecterai à l'Assemblée le parti à prendre me concernant.

Si on se rend à mes vues, je sais ce que j'ai à ajouter; si on s'y refuse, je me renferme dans le si-lence, jusqu'à ce que le comité ecclésiastique que je demande me soit accordé, de manière qu'il ne se décidera définitivement rien sans son concours.

D. Vous me demandez encore comment je démontrerai ma mission à des hommes la plupart, malheureusement, sans foi, sans religion; et que sera le signe auquel ils connaîtront l'esprit qui me conduit.

R. C'est un mystère que l'événement seul expliquera; je n'en puis dire davantage, si ce n'est que, d'après la connaissance que l'Assemblée prendra, si je ne me trompe pas, de mon affaire, elle aura toute satisfaction à cet égard, tout autant que le comité ecclésiastique m'autorisera à parler.

D. De plus, vous voulez savoir si on doit regarder la révolution actuelle comme le symptôme ou avant-coureur de l'événement annoncé; s'il est comme nécessaire; si le bouleversement s'opérera en même temps dans l'ordre moral et physique, et s'il doit en résulter une destruction quelconque.

R. Ce que l'on appelle aujourd'hui révolution n'est qu'un préliminaire nécessaire de ce que doit entraîner après lui l'événement attendu, et n'en est en effet que les symptômes; que l'univers, à cet instant, se sentira comme régénéré et rempli d'allégresse.

L'ordre moral et physique y est même intéressé; il n'en résultera d'autre destruction que celle des préjugés et de la cause des maux qui inondent toute la terre. Les corps reprendront une nouvelle vi-gueur, seront dans un nouvel état de santé, occasionné par la joie de leur âme. On s'attachera par toute la France à la faire abonder en fruits; la paix et la tranquillité seront universelles; loin qu'il s'ensuive aucune destruction, les hommes n'en seront que plus tôt régénérés. Cependant il me sem-ble que, si on met trop de retard, c'est-à-dire à seconder mes vues, une saignée cruelle s'ensuivra. Dans l'intérêt public, j'ai prévenu quelqu'un de l'Assemblée, et leur ai ajouté de mettre la première personne du royaume, ainsi que quelques autres, sous la protection de la sainte Vierge et de saint

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Michel, et de faire dire chaque jour une messe pour eux; et voyant cette crainte en tout citoyen, comme dans l'appréhension qu'elle ne se réalise, j'ai prié ceux qui sont dans le cas d'agir pour moi, que si on y met davantage de délai, de sortir de la capitale et de ses environs tout ouvrage qui pour-rait me concerner.

D. En outre, vous demandez s'il est vrai que j'ai prévu la révolution actuelle, c'est-à-dire la convocation de l'Assemblée nationale.

R. Quant à la révolution et à la convocation, je les ai toujours vues comme inévitables, ne com-mencer que par mon affaire, et ne finir que par elle; c'est-à-dire, quoique je n'aie pas désigné ces propres termes, l'idée, le besoin, n'en est pas moins donné par les plans, projets et sensations dé-montrés dans tous mes ouvrages, ainsi que par le concours de toutes les nations qui doivent enfin la compléter, suivant l'ordre qu'il m'a semblé devoir donner comme ce que je fis, il y a environ onze ou douze ans.

Quant aux ordres religieux, j'ai dit, et non écrit, à gens qui pourront le témoigner quand besoin sera, que, si je ne me trompe pas, de nécessité, plus de voeux de clôture; et pour en dire la raison, j'attends d'être interrogée.

Quant au clergé, j'ai dit, il y a environ trois ou quatre ans, et j'ai donné par écrit, à gens qui l'ont gardé, et le produiront quand on voudra, que nous voici au temps où l'on demandera à tout prêtre: Que faites-vous là? et s'il ne se trouve pas entré par la porte de la bergerie, ou n'avoir pas mené son troupeau dans de bons pâturages, il sera traité de manière qu'il trouvera meilleur de se retirer que de demeurer.

De plus, relativement au bien du clergé, j'en ai, s'il me semble, prévu, et en conséquence marqué, dans mes ouvrages donnés, quelle en serait en partie la diminution.

D. Vous me demandez enfin si le mois de mai 1790 sera l'époque de la conclusion de mon af-faire, et à quel signe on pourra connaître jusqu'à ce temps que je ne me suis pas trompée.

R. A cela je vous réponds que je n'ai fixé aucun temps; mais je dis seulement qu'il me semble que nous touchons comme au terme; que ce qui a donné lieu à cette opinion, c'est la demande que je fis, il y a trois ans au mois de mai prochain, à la communauté de Sainte-Ursule de Libourne, de prier Dieu pour moi, durant ce temps; leur répliquant, à une de leurs questions sur ce fait, qu'une fois les choses commencées, il se pourrait que trois ans suffiraient pour que le tout fût accompli. Quant au signe auquel on prouvera que je ne me suis pas trompée, le voici. Si je vais à Paris, comme il est, pour ainsi dire, assuré, et que ma mission soit reconnue vraie par les évêques qui m'examineront, et auxquels je ne me dépars pas d'en appeler, je reviens et peu de temps après je repars, pour conclure ma mission, par le plus grand des événements. Qu'on ne me demande point où je vais, parce qu'on ne le saura pas, si toutefois j'en suis crue: voilà le seul signe pour le succès à désirer et prévu depuis plus de trois mille ans, circonstancié par divers personnages, comme je l'ai détaillé avant d'avoir su ce qu'ils en avaient dit, et dont tout homme est capable de faire la vérification, s'il veut examiner toutes choses d'une manière pure et simple.

Voilà, mon cher cousin, le peu d'éclaircissements que je puis donner pour ce moment; je désire bien, je vous assure, que le temps vous en donne de plus grands; mais, quelle chose qui survienne, que rien ne vous fasse impression, et ne vous empêche de bénir Dieu de tout; dirigeant, à n'en pou-voir douter, tout pour notre plus grand avantage, ce que nous reconnaîtrons aisément, si nous avons le bonheur d'envisager toutes choses d'une manière pure et simple. Priez Dieu pour moi.

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3 Discorso

(marzo 1792)

Sur les objections qu'on lui a faites sur la constitution, et qu'elle a prononcé, d'une manière très in-telligible, dans plus de trente villes et villages, dans les clubs, dans les églises, et partout on l'on a voulu.

Messieurs,

Puisque vous me demandez que je vous fasse, avant de vous lire mon discours, un précis de ce que je suis, et qui je suis: volontiers je me rends, dès que vous me faites apercevoir un bien de le faire; mais ce ne sera qu'une idée simplement que je vais donner de ce qui en est, et suffisante seu-lement, pour qu'on puisse s'adresser à gens qui sont dans le cas d'en donner de plus amples connais-sances. Je vous dirai donc, premièrement, que je suis cette demoiselle Labrousse, du Périgord, dont on a tant parlé dans les papiers publics, dès le commencement de la révolution, et qu'on ajoutait l'avoir prédite depuis longtemps, au point que dom Gerle, député à l'Assemblée constituante, en fit une motion. Je suis donc cette Labrousse du Périgord, de la paroisse de Vauxains, près de Ribérac, en France, royaume de l'Europe.

Je suis née l'an 1747, le 8 mai, dans ladite paroisse de Vauxains, et fus baptisée le même jour, apparition de saint Michel archange, sous la protection duquel je me suis mise dès mon bas âge, et dont j'ai ressenti une grande protection, surtout contre la passion de l'orgueil, dont je ressentis de grandes attaques dès ma plus tendre jeunesse. A un âge plus avancé, qui est l'âge de treize ans, étant en compagnie de mon crucifix, que je regardais dès lors comme ma favorite, étant là, occupée de quelque ouvrage que j'avais à la main, je sentis un fort sentiment qui me disait de me prosterner à ses pieds, ce je que fis; aussitôt ce même sentiment continue, et me dit de sortir de la maison de mes pères, à l'insu de tous mes parents, d'aller parmi le monde, en mendiante et en inconnue, qu'il vou-lait, par une simple fille, réduire plusieurs des grands du monde, et remédier aux maux de son Église.

A cela j'eus peur, et je répondis: «Cependant, Seigneur, si c'est vous qui l'exigez de moi, j'irai quand vous voudrez; mais aussi, si ce n'est pas vous, je serais d'abord perdue; et comme on s'est dé-jà aperçu que je m'adonnais à votre sainte religion, on dira ensuite que c'est elle qui m'a fait tourner la tête, et cela lui portera tort».

De sorte que du depuis, qui fait une espace ou intervalle de trente-deux ans, depuis le carnaval dernier, ce sentiment s'imprégna si fort dans mon âme, que malgré que je l'aie éprouvé en cent mille manières, il n'a néanmoins resté, et me suis sentie portée, en toute occasion, à faire tout ce que j'ai fait dans la vie. En conséquence, c'est-à-dire, comme pour préparer de loin les matériaux, et me dis-poser à tout, avec toute la générosité possible, ce que j'ai toujours fait malgré les frayeurs étranges que l'idée d'un pareil projet peut et doit occasionner; mais le ressentant en moi, sans cesse, comme un sentiment irrésistible, j'ai cédé, en tremblant, et néanmoins avec confiance, et qui accroissait à mesure de mes condescendances à ses volontés; car Il me semblait toujours ne vouloir rien faire en moi, sans moi. Des circonstances s'étant présentées de faire mes ouvrages, j'ai cédé à cela comme au reste.

Je les ai donc faits par temps, c'est-à-dire à divers temps, et où j'y ai mis tout ce qui m'a semblé devoir être, touchant les choses du temps, comme celles me concernant, de sorte qu'on y verra le passé, le présent et l'avenir, et dont il me semble voir maintenant que j'y ai mis beaucoup de choses, plus par respect pour son Église, que par esprit de prophétie; mais qu'il bénira et couronnera ce louable respect, tout de même des beautés de sa vérité; ce qui me fait rappeler que je sentais, quand je forçais cet esprit, c'est-à-dire, que je le surpassais, quand il me paraissait aller contre les saintes lois de l'Église, que je sentais, dis-je, une frayeur qui me faisait passer outre, ou le donner direct, ou sous-entendre par des paroles de la loi, et par les paroles de la foi.

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Voilà ce que nul ne pourra guère saisir; mais qu'on passe outre, et qu'on se rappelle seulement que j'ai dit ceci, parce que quand ces paroles feront besoin, on les saisira; ainsi, dès que je n'exige rien de personne, que je ne compromets personne, il faut me faire grâce là-dessus, par une autre rai-son encore, qui est que si le tout se réalise, on verra ma raison.

Voilà donc que ce sentiment a toujours été en moi comme irrésistible, et lorsque j'ai pu obtenir de l'Église son adhésion, la regardant toujours comme une mère que Dieu nous a laissée, pour nous conduire dans ses voies, en quittant la terre, et lui ayant, à ce qu'il nous a promis, laissé son esprit, pour nous jamais égarer; j'ai cru, j'ai obéi, et je m'en suis toujours très bien trouvée, ma foi ne m'ayant jamais trompée d'un iota, de sorte que j'ai parti en grande assurance, et me voici rendue à Lyon, où je suis décidée à mettre par écrit les discours que j'ai faits au public, dans presque toutes les villes et villages où j'ai passé, et que j'ai promis de faire passer à plusieurs de ceux chez qui j'ai fait ces discours, soit en particulier, soit en public.

Voici donc, Messieurs, le détail de mes discours au public, que je vais faire, comme je vous l'ai promis; cependant, je vais vous marquer avant, comment je me déterminai à parler ainsi publique-ment, ne me l'étant certainement jamais proposé, n'étant pas même là ma mission, afin que vous soyez instruits du motif qui m'y engage, comme de la vérité de ce que j'ai dit: c'est donc à Montau-ban que, pour la première fois, j'ai parlé au public, le curé de Ville-Bourbon, voyant sa maison pleine de monde pour me voir et m'entendre, et qu'elle ne pouvait contenir tous ceux qui venaient, pour donner satisfaction à tous, le croyant nécessaire, dès que, pour ainsi dire, personne n'allait à la messe; il me proposa donc d'entrer dans l'église, comme n'ayant pas d'appartement qui pût contenir tous ceux qui venaient comme en foule; à cela je lui observai qu'il n'était pas d'usage que les fem-mes parlassent dans l'église, et qu'on ne manquerait pas de l'improuver; à ça il me répliqua qu'il se mettait au-dessus de toutes ces considérations, parce que le cas l'exigeait; à ceci je me rendis, en lui observant encore que je ne monterais pas en chaire, et que je ne me permettrais que quelque éléva-tion suffisante pour me faire entendre, ce qui fut fait, et ce que j'ai toujours observé du depuis, comme de n'aller jamais dans les églises, qu'autant qu'il n'y avait pas, dans les endroits, d'apparte-ment assez vaste pour contenir tous ceux qui voulaient m'entendre, et ce n'a même jamais été qu'avec regret que j'en ai accepté, par la vénération due au saint sacrement; mais sachant bien qu'en faveur du peuple on doit tout surpasser, comme tout n'étant fait que pour lui, Jésus même nous en ayant le premier montré l'exemple, en quittant la gloire de son Père, pour venir dans la dernière bas-sesse pour sauver son peuple. Aussi ne veut-il pas qu'à cause de lui on le prive, ce cher peuple, de ce qui peut lui être utile, c'est cette considération qui m'a fait franchir toute espèce de peine que j'au-rais ressentie, si je n'avais pas pressenti que c'était entrer dans les vues de ce divin Sauveur que de préférer l'avantage de son peuple au sien.

Les discours que j'ai donc faits au peuple, sont d'expliquer les points de la constitution contestés par gens qui ne la veulent pas, ou qui s'attachent à la déprimer par la fausse manière de l'envisager et de l'expliquer: à chaque fois que j'ai donc entendu de pareils propos, j'ai tâché, lorsque j'ai vu que la confiance qu'on me témoignait était suffisante pour être crue, de leur déciller les yeux, et de leur faire voir qu'ils n'entendaient pas leurs propres intérêts, ce qui a plu à la plupart, et m'a attiré par leur témoignage une si grande affluence de monde dans presque tous les endroits où j'ai passé, que n'ayant point d'appartement qui pût contenir tous ceux qui accouraient pour m'entendre, on m'a donc contrainte d'aller parler dans les églises, dans les clubs, et dehors, lorsque le temps l'a permis; ce-pendant j'ai observé qu'on ne m'a contrainte d'aller dans les églises et dans les salles de spectacles, que lorsqu'on n'avait pas pu trouver d'endroit assez vaste pour contenir le peuple; aussi, mal à pro-pos les malintentionnés veulent-ils blâmer ceux qui m'ont introduite dans ces endroits.

Voici donc les discours que j'ai faits aux divers endroits où j'ai passé, et qu'on pourra, par consé-quent, vérifier, si on en doute; cependant, j'observe que je n'ai pas dit partout, tout ce que je vais rapporter ici, par plusieurs raisons; car, souvent, il s'est trouvé que je n'en avais pas le temps, et quelquefois la force; d'autres, qu'il n'était d'aucune utilité de traiter de certains points, ce qui étant bon pour un endroit, ne l'étant pas à l'autre; ayant soin, pour l'ordinaire, de demander au maire, ou au curé qui m'accompagnait, ce qu'il était bon de traiter, ce qui étant fait, je voyais souvent qu'il

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n'aurait pas été sage de traiter de tout, partout; néanmoins je vais mettre ici tout ce que j'ai dit en temps et lieu, c'est-à-dire, ce que j'ai pu dire de la constitution en particulier, comme en public, pour l'avantage de tous, afin que ceux qui le liront, qui n'auront pu m'entendre, en profitent comme les autres, s'ils y trouvent des choses qui leur soient bonnes.

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APPENDICE B JOURNAL PROPHETIQUE

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N. 1, prima sett. di gennaio 1792, pp. 1-16.

Comme il faut commencer par établir la confiance, ma réponse à quelques objections, sera très-propre à servir de préface au Journal prophétique.

On m'objecte Ie. que le temps d'un député appartient tout à la nation. Je le sais; aussi veux-je le lui consacrer entièrement. Les matières que je dois publier n'ont besoin

que d'être réimprimées, en grande partie, et le commis, chargé de tous les envois, s'acquitte de sa tâ-che.

Le mot prophétique, donné au Journal, choque quelques uns de mes amis. Cette épithète, jointe au mot Journal, ne signifie autre chose, sinon que le Journal prophétique, au lieu de parler du pré-sent et du passé, comme les journaux ordinaires, a pour objet l'avenir.

L'excès de ma crédulité en désespère d'autres. Mais les anciens évêques qu'on n'accusera pas d'être trop crédules, puisqu'ils ne croient même pas aux événemens dont ils sont les victimes, et que selon eux les choses reviendront à leur état ancien; les évêques, dis-je, crurent aussi-bien que moi, qu'une fille pouvoit prédire la vérité.

Copie de la Lettre des Evêques de l'Assemblée Constituante à Mademoiselle Labrousse.

«Mademoiselle; La confiance qu'inspirent en vos vertus et en vos lumières, différents lettres que j'ai vues ici m'engagent à vous prier, au nom de plusieurs [1] saints évêques, de vouloir bien me communiquer, en détail, l'objet de vos prédictions sur ce royaume, en ce qui concerne la religion et le Roi, ainsi que l'ordre civil; on nous fait espérer que nous touchons au moment d'en voir l'accom-plissement; il seroit intéressant d'en avoir de vous-même un détail circonstancié avant l'événement. On annonce que depuis 1779, vous avez prédit la destruction des ordres religieux, et la substitution de deux grandes sociétés, l'une d'hommes, l'autre de femmes, dont vous avez tracé, dès ce temps, la fin et les règles. Je désire ardemment en avoir communication, pour les comparer avec des règles de deux sociétés annoncées dès 1772 par une demoiselle vertueuse de Paris, et morte en 1776 comme une sainte. J'ai vu ses manuscrits qui inspirent une grande piété.

On nous parle beaucoup de vos écrits qu'on dit à Paris, et malgré les recherches les plus exactes, on n'en peut rien découvrir; vous feriez une tres-bonne oeuvre si vous pouviez m'en procurer un exemplaire. On nous annonce aussi un signe merveilleux, mais on varie tant sur ce qu'il doit être, et sur l'époque où il doit arriver, que vous seule pouvez fixer nos idées sur un point aussi intéressant.

Je vous conjure avec instance, Mademoiselle, de satisfaire notre pieuse attente. Soyez sûre que personne ne s'intéresse davantage que nous au bien de la religion, au bonheur de notre patrie, et à votre propre gloire que nous savons bien que vous rapportez à Dieu seul.

Les prélats, au nom desquels je vous fais cette lettre, jugent qu'il est expédient de ne pas se nommer aujourd'hui, ni de signer la présente; si vous daignez vous rendre à nos pieux désirs, je vous les ferai connoître et signerai, en vous accusant la réponse de ce que vous voudrez bien m'écrire et m'envoyer. Je vous [2] prie d'adresser votre réponse cachetée au chanoine de Chance-lade, qui vous fera passer celle-ci, il la fera passer à Paris à la personne qui se charge de vous faire parvenir la mienne par Chancelade».

27 avril 1790

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M. Rochebrune, chanoine régulier, curé de saint Cyprien, fut le commissionnaire. Il remit la let-tre à Vauxain à Mlle. Labrousse, et sa chargea de la réponse; le cachet portoit l'empreinte du ci-devant évêque de Troyes.

Ce voeu, quoique sous l'anonyme, prouve que les évêques ne jugeoient pas indigne d'eux de croire aux prédictions d'une fille. Ne les auroient-ils pas publiées avant moi, ces prédictions, si elles leur eussent été favorables? Cela est au moins vraisemblable; ce qui n'est pas douteux, c'est qu'ils auroient bien fait de s'y conformer.

En effet, supposons que, secondant ces prédictions, ils se fussent dépouillés de leurs richesses, et qu'ils eussent obéi à la loi, que de biens n'auroient-ils pas opérés?

1. Ils seroient restés dans leurs siéges: car il faut être juste, quoique livrés à des préjugés destruc-teurs d'une religion qui prêche l'humilité et le détachement, ils mettoient dans les choses religieuses tant de décence qu'ils auroient facilement attiré tout à eux. Ah! si le peuple les eût vu prêcher, bapti-ser, confesser etc. le peuple se seroit converti par familles, par bourgades, et même par cités. Qu'ils en jugent par le succès de leurs démonstrations de zèle. Les évêques n'ont fait qu'un signe de piété, et la grande majorité des fidelles est encore ébranlée. Sans changer d'attitude, ils ont gouverné l'opi-nion au point qu'à peine pouvons-nous persuader aux prêtres les plus éclairés, que le corps du clergé ait pris dans cette cause un tout autre intérêt que celui de la religion. Rien de plus fa-[3] cile à dé-montrer que la nullité de leurs titres et la ridiculité de leurs prétentions, et néanmoins on les prend pour l'église; les évêques de ce temps-là auroient donc bien dit, non-seulement de chercher à connoître, mais même de mettre en pratique les prédictions de cette demoiselle. Mais outre qu'il fal-loit renoncer à un état pompeux, la crainte d'encourir le ridicule d'une soumission aux vues d'une fille prédisant l'avenir, etc.

Hélas! l'habitude où nous sommes de la pratique des erreurs pénibles, nous a rendu défians de la facile simplicité! On croit aux prédictions d'outre-Rhin; on les public quoique reconnues un million de fois en défaut: car depuis combien de temps la contre-révolution ne doit-elle point s'opérer au 21 du mois prochain? Une fille vient d'annoncer la décadence des évêques: ils sont déchus. Cette même fille déclare que Dieu demande qu'on se prête à l'établissent des victimes; j'en donnerai le plan. Elle dit qu'il frappera sur la France jusqu'à ce que cet établissement ait lieu; il est non-seulement compatible avec la liberté, il l'exige, il la suppose durant toute la vie, dans les sujets qui s'offrent pour victimes. Pourquoi l'idée d'un ridicule nous empêcheroit-elle de nous prêter à ce pro-jet? Supposons le vain, nul, fantastique, que nous attirera notre crédulité et notre coopération? la re-ligion ou la société en seront-elles altérées? Non; au contraire: car il s'agit d'un surcroît de ferveur et d'une communication de charité, qui nous unisse tous comme les enfans d'une même famille.

Au lieu que si nous supposons que les desseins de Dieu soient réellement tels que nous le dit mademoiselle Labrousse, et qu'elle ne se trompe pas plus sur notre compte que sur l'état des choses prédites aux anciens évêques, nous nous exposons, en nous y refusant, à provoquer sa vengeance terrible.

[4] Et pourquoi ne penserions-nous pas que les desseins de Dieu sont tels que nous les dépeint l'ensemble de ses prédictions, et que ces prédictions proviennent de Dieu même? que nous disent les saintes règles au sujet de ces communications surnaturelles?

Il est de principe évangélique, que lorsqu'un objet offert à la croyance ou à la pratique religieuse, a un rapport immédiat à la gloire de Dieu et au salut des hommes, sans aucune recherche humaine de la part de celui ou de celle à qui la communication est faite, on peut considérer cette communica-tion comme venant de Dieu, c'est-à-dire, comme une donnée surnaturelle.

En effet, Jésus-Christ lui-même employoit ce raisonnement pour décider les juifs à croire à sa mission. Celui-là, leur disoit-il, doit être véritable dans ses paroles qui ne cherche point sa gloire, mais la gloire de celui qui l'a envoyé. Non quaero gloriam meam... sed gloriam ejus qui misit me.

Or cette demoiselle s'est rendue l'objet d'une critique amère, depuis le moment où elle a produit seulement des énigmes sur le nouvel ordre qu'elle voyoit dans l'avenir. Les directeurs du collège de Mussidan, tous opposés au nouvel ordre, étoient dépositaires de ses écrits, dans le temps que les

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événemens ont vérifié ses prédictions; ce ne peut donc pas être ces messieurs qui y ont inséré ce que nous y trouvons de conforme à la révolution.

2. Tout ce qu'elle nous prédit a pour objet une régénération universelle. Quoi de plus digne de Dieu et de plus désirable pour l'homme!

Dieu ne créa point à la fois plusieurs peuples pour occuper le terre, quoiqu'il en eût le dessein dès l'époque de la formation de l'homme; il ne créa qu'Adam et Eve, dont il forma une seule société, de laquelle devoient sortir toutes les autres sociétés qui [5] devoient partager la terre; afin de rendre in-contestable l'unité de leur origine après la multiplication des hommes, et pour rendre indissoluble, dans toute le durée des siècles, le lien qui devoit les unir. Nous sommes destinés, quelque nombreux que nous soyons, à ne faire qu'une famille de frères dispersés sur la surface de la terre.

Tels furent les desseins de Dieu dans la division qu'il fit dans la suite de tous les hommes en corps de nations, quando dividebat altissimus gentes et separabat filios Adam. (Deut. ch. 32. v. 8.) Aussi répandit-il parmi les peuples ces besoins et ces secours innombrables qui les rendent dépen-dans les uns des autres. Il imprima sa volonté dans la distribution qu'il fit aux divers climats de la terre de mille propriétés diverses.

En effet, si elle nous refuse ici ce qu'elle donne ailleurs avec surabondance, c'est afin qu'un peu-ple se transpostant sous un ciel étranger, porte à celui-là ce qui lui manque, et que l'autre partage avec lui les productions particulières attachées à son territoire; c'étoit par ce contraste salutaire que Dieu prétendoit lier entre eux les citoyens des villes, les peuples des campagnes et toutes les nations de la terre.

Les premiers hommes, plus rapprochés que nous des desseins de l'Être suprême, secondèrent longtemps ses vues. Ils vivoient sous le régime paternel; leurs rois étoient, comme le nôtre, l'objet de leur choix et de leur amour.

Les hommes, qui préféroient l'indépendance pastorale, n'étoient point exposés à l'avidité des ty-rans, témoin Abimelech, roi de Gerare, qui fut au-devant d'Abraham pour traiter avec lui, quoi-qu'Abraham n'eût d'autre titre que celui d'être à la tête de ses troupeaux.

Il n'appartenoit qu'à un Nemrod, fils d'un père maudit, de propager parmi les hommes l'envie, la [6] fureur des conquêtes; nuis Dieu va renverser l'empire de tous les Nemrod de nos jours. Les peu-ples n'auront plus que des pères pour rois, qui les gouverneront avec tendresse; la France sera leur modèle. Tel est l'objet des prédictions auxquelles on nous accuse d'avoir la foiblesse de croire.

La liberté, ce don du ciel, sur lequel Dieu lui-même a suspendu l'exercice de sa souveraineté su-prême en faveur de tout être créé à son image; cette liberté, non pas d'un homme, mais de tout un peuple, est devenue, par l'effet de l'ambition, l'apanage de quelques individus ennemis de l'espèce humaine; ils la transmettent à leurs héritiers, contre l'aveu des nations dont ils ont usurpé l'empire, comme on transmet l'usage d'une chose purement matérielle.

Dieu veut investir l'homme de la propriété qu'il n'eût jamais dû perdre, parce que c'est de lui qu'il la tient; il va remettre tout dans l'ordre primitif. Que peuvent quelques insensés contre la sagesse suprême? Tel est l'objet des prédictions: y croire, ce ne peut être une folie, c'est, j'ose l'assurer, une espèce d'obligation.

On sait que le christianisme ne connoît qu'une voie pour parvenir au plus haut point de la gran-deur dont l'homme est susceptible; c'est de tenir le dernier rang, par une humilité sincère et vérita-ble. Hélas! nous ne dirons rien qui ne soit très-notoire! la religion étoit devenue le prétexte ou plutôt la mesure de l'espace infini qui séparoit le troupeau du pasteur; on ne voyoit que des grandeurs inaccessibles; c'est ainsi qu'on avoit tout perverti.

L'église universelle respecta toujours si parfaitement la liberté de l'homme, que, quelque ardent que soit son désir de notre régénération spirituelle par les eaux sanctifiantes, elle ne confère néan-moins le baptême à personne, pas même à un enfant qui ne [7] fait que de naître, sans être assuré par l'organe d'un interprète non suspect, du consentement de l'individu qu'on lui présente à baptiser, tant elle respecte la liberté de l'être créé à l'image de Dieu.

Cependant c'étoit au nom de l'église universelle qu'on enlevoit la liberté de tout le peuple for-mant une église particulière, comme s'il étoit plus essentiel à un peuple d'avoir un pasteur qu'à un

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enfant de recevoir le baptême: c'étoit, dis-je, au nom de l'église universelle qu'on envoyoit des pas-teurs, çà et là, aux églises, pasteurs qui, le caractère excepté, alloient en prendre possession et se mettre à la tête des peuples, comme le commandant d'une place ou comme un général d'armée. L'église, c'est-à-dire, non les évêques seulement, mais le corps des fidelles l'a toléré, et il le falloit bien. Le moment est venu où Dieu veut venger l'église universelle de cet état de violence.

Croire à des prédictions, qui si elles ne viennent pas de Dieu, sont si dignes de lui; et d'ailleurs, croire à des prédictions qui commencent à s'exécuter, rien de plus digne de l'homme et du chrétien.

Tout, jusqu'à la foi, ce don invisible et surnaturel, s'était depuis long-temps transformé en une arme du despotisme. Quelques hommes, qui ne sont que l'organe de la vérité, et non point la vérité elle-même, se sont fait passer exclusivement pour juges de la foi; ils ont subjugué toutes les opi-nions par cette espèce d'hérésie, ils se sont arrogé l'empire de la pensée et du sens commun même.

Aujourd'hui, des prédictions nous disent que le fondement de notre foi est uniquement la parole de Dieu révélée au corps des fidelles dans la personne des Apôtres; que cette divine parole n'est pas même l'ouvrage des Apôtres; qu'eux, ainsi que les fidelles, ont dû religieusement adopter ces vérités éternelles, sans rien y ajouter ni en rien soustraire; que toutes les [8] opinions des évêques du monde ne font un article de foi, qu'autant qu'elles sont la propagation de ces premières vérités révélées à l'église.

Des prédictions nous disent que la vérité existait avant les évêques, qu'elle ne dépend aucune-ment d'eux, que la voix de l'église doit être la règle de leur voix, et non pas leur voix la règle de la voix de l'église; qu'elle seule est la colonne infaillible et indéfectible; que cette infaillibilité n'est point attachée au caractère des ministres, mais au corps dont ils sont les membres.

Des prédictions nous prémunissent contre les prétentions de ceux qui se disent les seules juges de la foi; elles nous disent que les simples fidelles le sont aussi, en leur manière, les juges légitimes de la foi, et si bien que quand un ange descendroit du ciel, le simple fidelle est autorisé à prononcer une sentence d'anathème contre lui et contre ses discours, s'il tient un langage opposé à celui des premiers Apôtres; or, de leur temps, ni les dignités ni les richesses ne faisoient partie des articles de foi.

Elles nous disent que la foi d'un chrétien n'est pas un acte mécanique, comme on nous l'a dit, mais un hommage réfléchi, d'après le même Apôtre, rationabile obsequium, et que tout hommage réfléchi n'est autre chose qu'un vrai jugement; qu'il est très-permis, et même de devoir, à tous les fi-delles, de juger dans ce moment leurs propres ministres s'ils s'égarent, comme le firent les vrais croyans en Angleterre à l'époque du schisme, et qu'ils doivent les abandonner à leur erreur, sans at-tendre un prononcé particulier de la part de l'église universelle.

De telles prédictions sont raisonnables et religieuses, elles le sont bien plus que ces dogmes qui datent de deux ans, dont l'objet est de nous montrer la religion perdue dans l'anéantissement des ri-chesses [9] et des prérogatives temporelles, jouissances qui seules sont capables de l'anéantir.

On s'honore au lieu de s'avilir quand on peut ainsi rendre compte de sa crédulité. Enfin les hommes sont bien loin de soutenir dans leur conduite la grandeur de leur destinée; le

prêtre, hélas! trop souvent a été semblable au laïc, et le laïc à l'infidelle. Des prédictions nous disent que les temps que la Divinité a marqués pour se tenir cachée et voir

faire les hommes, sont finis, car celui pour qui les temps sont faits veut enfin en recueillir le fruit. «Les hommes se sont formés selon leur idée, et non pas selon les idées de la Divinité. Ils ont suivi les erremens de l'esprit humain, au lieu de suivre la droiture du coeur. La Divinité va changer les choses, et elle agira avec les hommes selon toute la bonté qu'ils lui attribuent, nuis à sa manière, non à leur; en Divinité dont les voies ne sont pas leurs voies: elle va commencer par se manifester à eux plus qu'elle n'a fait, tant par de nouvelles qu'elle va opérer au milieu d'eux, que par des vérités nou-velles qui leur seront découvertes».

J'avoue que des prédictions si dignes de Dieu et si nécessaires au bonheur de l'homme intéressent ma crédulité, sans effrayer mon amour propre par le spectacle de la singularité à laquelle je m'ex-pose en la manifestant.

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Mais que dis-je, singularité! qu'annoncent donc ces prédictions qui ne soit clairement prédit par les prophètes Isaïe, ch. 2, et Michée, ch. 4? Ces deux prophètes s'accordent à faire la même prophé-tie; prophétie qui ne s'est point encore accomplie, puisqu'il y est prédit qu'à l'époque dont ils parlent, tous les peuples se réuniront si bien qu'ils convertiront en outils aratoires le fer dont ils auront forgé leurs [10] armes, et qu'ils embrasseront tous la vraie foi: aussi les interprètes, malgré leur propen-sion routinière à tout appliquer au temps des juifs et au jugement dernier, rapportent cette prophétie à l'époque où J. C. renouvellera son église de restituenda per Christum ecclesia.

Voici en substance ce que disent ces deux prophètes de cet événement futur. Prophétie d'Isaïe et de Michée. «Dans les derniers temps l'église s'élèvera comme une montagne au-dessus des collines. Tous les

peuples y viendront à l'envi adorer le Seigneur. Au lieu de préparer leurs armes pour s'entre-détruire, ils ne songeront qu'à cultiver paisiblement la terre, ayant converti leurs armes en outils ara-toires.

Des orgueilleux essayeront de s'opposer à cet heureux événement. Ils répandront beaucoup d'or; ils consulteront une politique étrangère; ils assembleront des chars et des chevaux; il donneront dans la superstition et dans l'idolâtrie.

Mais que les peuples ne craignent point, le Seigneur leur donnera si bien l'épouvante, que tous ces dieux qui ressemblent par leur orgueil aux cèdres du Liban, se courberont pour se creuser des trous comme les taupes, et pour se réfugier dans les cavernes comme les chauve-souris, ayant rejeté tout ce qui entretenoit leurs vaines espérances.

Que les peuples ne craignent point, continue le Seigneur, car tous ces dieux de la terre n'ont de vie, non plus que le reste des hommes, qu'en prenant l'air par les narines. Je les frapperai si bien d'épouvante qu'ils iront s'étouffer dans des clapiers».

Les prédictions dont je suis le dépositaire ne prédisent que cela, savoir: l'abaissement des grands, [11] l'égalité parmi les hommes, une même façon de penser entre eux, par la foi qu'ils auront em-brassée; enfin une paix générale: fasse le ciel que nous y arrivions sans effusion de sang!

Quelle que soit donc l'époque à laquelle doivent s'accomplir ces prédictions, il est incontestable que non seulement il n'est pas ridicule d'y ajouter quelque croyance, mais qu'il est de devoir d'y croire: car dès que ces prédictions s'accordent avec celles que Dieu a fait annoncer à la terre, elles s'accompliront certainement; la parole de Dieu ne restera pas sans effet.

Il n'y a pas même de ridicule à croire que notre temps est ce dernier temps dont parlent les pro-phètes.

En effet, nous voyons au-delà du Rhin une armée de grands combiner des projets sous la protec-tion de tous les grands du monde, pendant que la superstition au sein du royaume s'efforce de les seconder. Il y a déjà quelque temps que cette crise dure: or il ne faut pas espérer que l'orgueil cède, ni que la superstition s'apaise; les fureurs et les prétentions ne s'arrêtent pour l'ordinaire que par l'impossibilité de s'exercer. Qui peut donc se refuser à croire que le temps où nous sommes présente le tableau prédit par les prophètes? Dieu veuille que nos ennemis en soient quittes pour l'effroi qu'ils ressentiront!

Je sais que le clergé soi-disant l'église, trouvera ridicule de ce que j'interprète en faveur du nou-veau clergé un triomphe qui est, dit-il, le sien précisément: car cette église cite aussi les prophètes Isaïe et Michée, pour se promettre un triomphe prochain. Hélas! ce triomphe attendu dépend du succès des croisés! mais cette prétention n'a pas besoin d'être prise en considération; la réponse est déjà dans la bouche de cette église même. En effet, le clergé convient qu'il avoit besoin de réformes, et de mille ré- [12] formes. Ce n'est donc pas le rétablissement de ce clergé que les prophètes nous annoncent, car ils prédisent le plus beau triomphe de l'église, et non le retour des abus. D'ailleurs, ces mille réformes, dont il avoit besoin, se rencontrent toutes dans le décret qui supprime le mode ancien de son existence abusive. Ainsi, rien de plus croyable que l'abaissement des grands ecclé-siastiques et autres, l'exaltation du christianisme et la paix générale. Je continuerai donc de donner très-exactement et avec la plus entière confiance, le Journal prophétique.

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Mademoiselle Labrousse nous parle d'un prodige qui doit étonner toutes les Nations. Elle joue un rôle presque incroyable dans ce prodige, je l'avoue; mais le peu de susceptibilité des hommes, dans le siècle où nous sommes, pour tout ce qui est de croyance surnaturelle, m'aide à croire au prodige, si surprenant et si extraordinaire qu'il soit; car ou il faut que Dieu consente à cette situation des hommes, ou qu'il les y confirme en continuant de leur faire du bien et de le leur présenter sur le pied qu'ils le reçoivent, ou il faut qu'il y remédie et qu'il y apporte du changement.

L'opposition du clergé, dans ce moment de crise, rend la touche ordinaire de la grâce encore plus difficile à distinguer: à moins d'une de ces secousses qui terrasse les Saül et qui précipite les Mag-deleine, personne n'osera prendre un parti, parmi le commun des fidelles, je dis le commun des fi-delles; les gens instruits ne sont sans doute pas incertains sur celui qu'ils auroient à prendre; mais la plus-part, indifferents ou corrompus, laissent la vérité où elle est, sans se mettre en peine de l'em-brasser, ou ils tâchent de s'en détourner pour suivre l'instinct de l'intérêt, en donnant la préférence à un système de coalition, qui sert leur passion dominante [13].

La vérité va donc, dit un auteur dont l'ouvrage fut imprimé en 1727, se manifester aux hommes, d'une manière si claire et si frappante, qu'ils n'auront pas besoin de demander où elle est.

Si les hommes la reconnoissent, ajoute-t-il, dans cette manifestation, s'ils soutiennent l'épreuve où elle va les mettre par rapport à la droiture de leur intention, et qu'ils se portent vers le bien qu'elle leur présente, plutôt que vers les prétextes qu'ils pourront prendre pour la rejeter, ils pourront se dire qu'ils se conduisent bien, et la providence continuera à les supporter et à leur faire du bien. Mais s'ils refusent de connoître la lumière nouvelle, parce qu'elle va leur montrer ce qu'ils ne veulent pas voir: si au lieu de rentrer en eux-mêmes et de consulter les sentiments de leur coeur, les sentiments intimes qui ne trompent pas, ils prennent le parti de raisonner ou de consulter ceux qui raisonnent pour eux, et dont ils savent la décision d'avance, la providence mettra fin à leur règne, et ils péri-ront.

Ce sont les avertissements d'un auteur très-pieux, dont les prédictions rendent très-croyables cel-les de Mademoiselle Labrousse.

Des jugement terribles, continue-t-il, vengeront la bonté Divine méprisée, après que cette divine sagesse aura laissé tomber le voile qui cachoit sa beauté. Jusqu'ici elle ne s'était montrée aux hom-mes que comme dans l'obscurité, et sous une figure plus triste que réjouissante.

Elle ne leur a parlé que par le ministère des gens qui ne la connoissoient que de loin; à présent ce n'est plus cela, les temps changent et se montrent plus favorables, et la religion entre dans une nou-velle période, ect.

Plusieurs autres données s'accordent à nous pré- [14] dire un grand événement qui étonnera tous les peuples; et véritablement il le faut, ou bien l'on doit désespérer du salut même de la plupart des Croyans. Tels sont les motif de ma crédulité pour tout ce qu'il y a de plus extraordinaire.

Avertissement.

Il est bon de prévenir les souscripteurs que le parti de l'opposition que nous avons à combattre commence déjà à réprouver le journal prophétique comme étant destructeur de la charité.

Il est certain qu'il n'est aucune des prédictions dont je suis le dépositaire qui ne soit très formelle contre l'ancien clergé, je ne ferai point imprimer les récits terribles des peines dont il est menacé de la part de Dieu, de crainte qu'on ne m'accusât de les provoquer: quant à ses erreurs, j'agirai bien dif-féremment, outre les prédictions qui les révèlent, je tâcherai d'en faire une justice publique, parce que les égards qui sont dus à quelques particuliers ne doivent pas l'emporter sur les vues de cette charité générale qui réclame en faveur des peuples qu'un clergé superstitieux égare.

Mais si je suis inexorable contre les erreurs, je ne cesserai d'être entièrement dévoué aux indivi-dus qui se trompent. L'objet des prédictions qui feront le sujet du journal est de hâter l'époque de cette fraternité qui doit nous lier tous en un même corps de famille. Je remplirois mal mon projet, si je me livrois à des explications qui pussent être personnelles; je ne parlerai qu'en général, à l'exem-ple de J. C. Attendite a falsis prophetis. Je dirai au peuple: prenez garde à vous prémunir contre le faux prophètes. Hélas! on a vu la religion abandonnée, toutes les plus saintes lois violées, tous les

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canons de ce saint concile (de Trente), dont on fait tant valoir les [15] décrets, nous les respectons comme eux, ces saints décrets, on les a vu foulés aux pieds par ceux même qui les proclament au-jourd'hui avec tant d'édification, et cependant, parce que la violation de ces décrets n'entraînoit pas avec elle la perte des biens temporels, aucun de ceux qui les recommandent aux autres avec tant de ferveur, ne faisoit attention s'il ne les violoit pas lui-même. A fructibus eorum cognoscetis eos. Re-connoissez-les à leur morale. Ne seroit-ce point uniquement parce que les biens temporels ont été saisis par la constitution, que la constitution se trouve contre les principes?

Eh, que diroit-on, d'une constitution qui retabliroit les abus que les intéressés avoient eux-mêmes établis? Cependant, je le répète, du temps de cette constitution arbitraire, qui étoit leur ouvrage, s'étoient-ils empressés à réveiller notre piété? Peuples, instruisez-vous, l'apôtre vous a défendu de croire ainsi à toute sorte de doctrine, ne croyez pas que vous ne deviez bien être juges de votre foi. en ce sens, que vous êtes tenus d'examiner la quelle de ces deux fois est celle que les Apôtres ont transmise à vos pères. Une regrette les richesses, les dignités. les prétentions; car tant qu'on n'a pas attaqué ces articles, tout le reste étant abandonné, on n'a pas craint pour la foi des fidelles.

L'autre embrasse, avec résignation, le parti qu'on lui fait du côté des ressources temporelles, et vous prêche, avec les Apôtres, toutes les vérités que crut et que dut pratiquer l'antiquité.

Bien loin donc de vous scandaliser de mon austère fermeté, vous devez vous en édifier, ou bien condamner J. C. même, qui déclamoit journellement dans le temple, contre les pontifes et les doc-teurs d'une loi qui était divine, comme la nôtre, mais dont ils étoient les faux docteurs [16].

2

N. 9, quarta sett. di marzo 1792, pp. 129-135.

On a vu par l'exposé des principes de Mademoiselle Labrousse, qu'elle a eu une idée plus juste de la puissance temporelle, que le corps du clergé. En effet, l'apôtre ne nous auroit pas dit: qu'en dé-sobéissant aux puissances, on scelloit la réprobation; s'il eut pensé que pour éluder l'obéissance, il eut suffi d'imaginer ces mots: il vaut mieux obéir à Dieu qu'aux hommes. Quel est le sujet malinten-tionné qui ne puisse abuser d'un pareil subterfuge? Qui ne sait pas que la conscience est entre les mains d'un chacun de nous? Et si le clergé donne l'exemple d'une tournure aussi hétérodoxe, quel est, je le répète, l'homme pervers qui ne puisse, au nom de la religion, diviser et renverser la société. C'est donc en vain que les prêtres voudroient s'autoriser de l'exemple et de la réponse des apôtres. On n'a qu'à lire les chapitres IV et XIV que j'ai cité dans mon avant-dernier n°. p. 112.

On ne sauroit donc répéter trop souvent que le clergé, pour le bien de la paix, feroit bien d'imiter les apôtres: d'ailleurs on ne les a pas maltraités. Car quoiqu'il se soit montré rebelle, on l'a doté bien mieux que les propres enfans de la constitution. Qu'il cesse donc de dire que c'est à l'exemple des apôtres qu'il fait tout cela, parce qu'il vaut mieux obéir à Dieu qu'aux hommes.

Je vais donner l'explication de la seconde épître de Saint Pierre. On verra que le maître de cette [129] société dont j'ai parlé dans le second numéro de février, p. 43, en a fait l'application aux cir-constances actuelles; on le voit par ce qu'il dit au chap. 1er, v. 14, que le temps auquel la tente de son corps doit être abattue, est proche, comme notre Seigneur Jésus-Christ le lui a fait connoître. Cette épître peut donc être considérée comme le testament spirituel de cet apôtre; elle contient les derniers avis qu'il dorme aux fideles. Le premier, qui fait la matière du chap. 1er, regarde le soin qu'ils doivent avoir de travailler à leur sanctification et à leur perfection. Le second, qui est le sujet du chap. 2e., concerne les périls qui menacent l'église du côté des hérétiques; il ne marque que ceux qu'elle aura à essayer dans son premier âge, et qu'elle éprouvoit déjà dès-lors. Dans le chapitre trois, il marque ceux auxquels elle se verra exposée dans les derniers temps.

Explication de la seconde épître de Saint-Pierre, appliquée aux circonstances présentes. Chap. 1er. Saint Pierre commence ainsi cette épître.

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Simon-Pierre, serviteur et apôtre de Jésus-Christ, à ceux qui ont reçu comme nous le précieux don de la foi, avec la justice de notre Dieu et Sauveur J. C.

Que la grâce et la paix croissent en vous de plus en plus, par la connoissance de Dieu, et de Jé-sus-Christ notre Seigneur.

Comme sa puissance divine nous a donné toutes les choses qui regardent la vie et la piété, en nous faisant connoître celui qui nous a appelés par sa propre gloire, et par sa propre vertu, et par lui nous a communiqué les grandes et précieuses grâces qu'il avoit promises, pour vous rendre par ces grâces [130] participant de la nature divine, si vous fuyez la corruption de la concupiscence qui rè-gne dans le siècle par le dérèglement des passions; vous devez aussi de votre part, apporter tout le soin possible pour joindre à votre foi, la vertu à la vertu, la science à la science, la tempérance à la tempérance, la patience à la patience, la piété à la piété, l'amour de vos frères, et à l'amour de vos frères, la charité. Car si ces vertus se trouvent en vous, et qu'elles y croissent de plus en plus, elles feront que la connoissance que vous avez de notre Seigneur Jésus-Christ, ne sera point stérile et in-fructueuse. Mais celui en qui elles ne sont point, est un aveugle qui marche à tâtons, et il a oublié de quelle sorte il a été purifié des péchés de sa vie passée.

Efforcez-vous donc de plus en plus, mes frères, d'assurer votre vocation, et votre élection par les bonnes oeuvres; car agissant de cette sorte, vous ne pêcherez jamais; et par ce moyen Dieu vous donnera une entrée facile au royaume éternel de notre seigneur et sauveur Jésus-Christ. C'est pour-quoi j'aurai soin de vous faire toujours ressouvenir de ces choses; quoique vous soyez déjà instruits et confirmés dans la vérité dont je vous parle; croyant qu'il est bien juste que pendant que je suis dans ce corps, comme dans une tente, je vous réveille, en vous en renouvellant le souvenir, car je sais que dans peu de temps je doit quitter cette tente, comme notre Seigneur Jésus-Christ me l'a fait connoître. Mais j'aurai soin que même après ma mort, vous puissiez toujours vous remettre ces cho-ses en mémoire.

Au reste, continue le saint apôtre, ce n'est point en suivant des fables et des fictions religieuses que nous vous avons fait connoître la puissance et l'avènement de notre Seigneur Jésus-Christ, mais c'est après avoir été nous-même les spectateurs de sa [131] majesté. Car il reçut de Dieu le père un témoignage d'honneur et de gloire, lorsque de cette nuée, où la gloire de Dieu paroissoit avec tant d'éclat, on entendit cette voix: Voici mon fils bien-aimé, en qui j'ai mis toute mon affection, écou-tez-le et nous entendîmes nous-mêmes cette voix qui venoit du ciel, lorsque nous étions avec lui sur la sainte montagne.

S. Pierre ajoute que nous avons encore les oracles des prophètes, qui sont pour nous, comme une lampe qui luit dans un lieu d'obscurité, jusqu'à ce que le jour commence à paroître, et que l'étoile du matin se lève dans nos coeurs; étant persuadés qu'il n'appartient à personne d'interpréter les écritures selon son propre sens».

L'apôtre paroît avoir voulu parler du temps où nous vivons. Nous voyons, en effet, les évêques attirer à leur sens particulier les passages de l'écriture. J'ai rapporté dans mon dernier numéro, quelle fut la conduite des apôtres dans des circonstances parfaitement semblables aux nôtres; c'est en vain que les prélats anciens voudroient éluder l'empire de ces exemples, ils sont leur condamnation évi-dente. Aussi l'apôtre Saint Pierre continue au chap. 2e ibid. v. 1.

«Vous aurez parmi vous des maîtres menteurs». Or observez que les prophètes appellent de ce nom les faux pasteurs, je l'ai déjà remarqué dans

un de mes n° précédens, voyez le 1er n° de mars, page 93. «Leur avarice leur suggérera des paroles hypocrites pour faire le commerce de vos âmes». Aussi le saint apôtre, après avoir exhorté les fidéles, dans le chap. 1er, à la lecture des prophètes,

et des autres livres sacrés, les avertit dans celui-ci qu'il y aura parmi eux de faux docteurs qui intro-duiront de pernicieuses hérésies, et qui chercheront à les [132] séduire par des paroles artificieu-ses. Mais il prédit en même temps le châtiment qui leur est réservé. Leur condamnation, dit-il, qui est résolue, il y a long-temps, s'avance à grands pas, et la main qui doit les perdre n'est pas endor-mie. La durée de plusieurs siècles se compte à peu près pour rien par les hommes de Dieu qui n'en-visagent que l'éternité. Car si Dieu, continue-t-il, n'a point pardonné aux anges qui ont péché, mais

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les a précipité dans l'abyme, pour être tourmentés; ... S'il n'a pas épargné l'ancien monde dont il n'a sauvé que sept personnes avec Noé prédicateur de la justice, en faisant fondre les eaux du déluge sur le monde des méchans; s'il a puni les villes de Sodome et Gomorrhe, en les ruinant de fond en comble et les réduisant en cendres; s'il en a fait un exemple pour ceux qui vivroient dans l'impiété; il perdra ces prévaricateurs et sauvera les hommes pieux».

On ne peut concevoir l'indifférence de la presque totalité des françois dans tous les états; on peut dire que nous imitons parfaitement les premiers habitans de la terre qui buvoient, chantoient et se jouoient même de Noé dont tous les soins, durant cent ans, se portoient à préparer le lieu de son re-fuge. Les évêques anciens suivent leurs mêmes erremens, ils vivent dans l'espoir, sans crainte et sans réforme, quoique tout soit perdu pour eux. Les nouveaux voyent leurs espérances trompées, puisque tout leur annonce une vie perpetuelle de troubles et d'opposition de la part des non-conformistes. L'assemblée nationale mettra, sans doute, en usage tous les moyens qu'inspire la sa-gesse humaine. Mais il est peu d'argent et beaucoup de dépenses à faire. Des ennemis sans nombre nous menacent au dehors, d'autres plus dangereux séjournent au dedans, les plus ardens protecteurs du peuple le desservent souvent [133] par leur zèle excessif. Dieu seul pourroit nous dispenser d'une crise sanguinaire qui nous menace, et nous sommes indifférens, comme s'il n'y avoit plus de Dieu à invoquer. Car où sont ceux qui pensent sérieusement à prier, à gémir, à devenir meilleurs confor-mément à l'avis de Saint Pierre, ch. 1 v. 5, déjà cité.

Mais c'est cette indifférence même qui nous démontre évidemment que notre temps est celui dont l'apôtre a entendu parler, car il ajoute au verset 12 du chapitre ibidem, «Or ces hommes sont comparables à des bêtes sans raison, hi vero velut irrationabilia pecora, tomberont par leur propre poids dans tous les pièges et dans la perdition naturaliter in captionem et in perniciem, et ils péri-ront dans leur corruption in corruptione sua peribunt, Dieu sauvera seulement ceux qui seront ani-més de l'esprit d'une piété véritable novit dominus pios de tentatione eripere, ibid. v. 9».

Mais les épîtres de S. Pierre sont trop relatives à nos circonstances pour en parler si superficiel-lement. Nous y reviendrons.

Voici la donnée du maître de la société des cent. «Eh bien voilà donc une partie des hommes qui se prépare à sortir des bornes de la raison. Nous

les comparons à des ours et à des sangliers qui sortent des forêts, croyent se jetter sur tous ces petits animaux pour les dévorer: mais ces petits animaux plus agiles et plus subtils qu'eux, échapperont, ils ne pourront rien sur eux.

Il est temps de nous réveiller de l'assoupissement où nous sommes depuis longtemps; car nous sommes plus près de notre salut que lorsque nous avons reçu la foi, la nuit commence à s'avancer et le jour ne tardera pas à paroître; quittons donc les oeuvres de ténèbres, et revêtons-nous des oeuvres de lumière, [134] c'est à cette fin que nous ne cessons de vous répéter ces choses; quoique vous soyez déjà affermis, éclairés et instruits; car ce n'a pas été des fables ni des fictions ingénieuses que nous vous avons annoncées, savoir la puissance et l'avènement de notre Seigneur Jésus-Christ, ce n'a été qu'après avoir vu nous-mêmes sa majesté divine que nous vous les avons annoncé. Mais vous avez les oracles des prophètes qui vous instruisent, et vous ferez bien de les suivre comme une lampe qui éclaire sur un lieu élevé, jusqu'à ce que le jour paroisse, et que l'étoile du matin vienne éclairer vos coeurs. Car ce n'a pas été par la volonté des hommes que les prophéties nous ont été apportées anciennement, mais par l'esprit de Dieu qui nous les a fait annoncer, il n'est permis à nul homme d'interpréter l'écriture sainte, par sa propre lumière, puisqu'ils ne peuvent inventer que des hérésies, comme font les hommes d'à présent, ne suivant plus l'esprit de la tradition, ni l'esprit de l'église. Quelqu'un nous dit prenons bien garde, car nous avons quantité, oui nous disons une quanti-té qui annonce un Dieu nouveau, et ils ont laissé le Dieu bon, le Dieu puissant et de toute éternité pour suivre ce Dieu inventé. Et nous nous répétons pour la seconde fois, prenons bien garde [135].

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3.

N. 11, prima sett. di aprile 1792, pp. 161-173.

Adresse de l'évêque constitutionnel au clergé non-conformiste du département de la Dordogne. Mes tres-chers et vénérables confrères, Jusques à quand persisterez-vous à vous opposer aux desseins de Dieu manifestés par ses pro-

phètes. Lisez les écrits d'Isaïe, d'Ezéchiel, de Jérémie, de Joël, d'Amos, de Malachie, en un mot de tous les grands et les petits prophètes. Vous y verrez à chaque page les menaces de Dieu. «Il viendra un temps où ne pouvant plus supporter les désordres et l'insouciance de ces pasteurs, ou plutôt de ces maîtres qui dominent au lieu de paître les troupeaux. Il viendra un temps où je leur enlèverai, dit Dieu, ces brebis qu'ils égorgent, pour les confier à d'autres qui les paîtront en mon nom, etc.».

Or je vous demande très-amicalement, mes chers confrères, de répondre à ces deux questions.

1°. Tous ces pasteurs, dont Dieu entend parler ne pourront-ils pas dire, dans le temps, qu'on leur enlève leur titre, leur jurisdiction, leurs sujets et [161] leur territoire, comme le disent tous les évê-ques remplacés.

2°. Dans quel temps Dieu a-t-il dû mieux exécuter les menaces susdites que dans le temps où nous vivons? Je ne crains pas de vous scandaliser en vous disant que tout étoit perverti dans l'ordre des institutions canoniques. Une cour corrompue ne donnoit plus de sièges qu'à l'intrigue et à l'am-bition. Jésus-Christ avoit pris ses apôtres de la classe la plus commune, et à la mort de ces premiers apôtres on choisissoit leurs successeurs parmi ces disciples fervens qui avoient été pris également de la classe la plus pauvre du peuple. Depuis le concordat, ce pacte simoniaque, il falloit être noble pour pouvoir être apôtre; et on en étoit à ce point de perversité, qu'il falloit parier plusieurs milliers d'écus qu'on n'auroit pas un siège, pour l'acquérir par cet infâme jeu.

Quoique la providence se fut ménagée de bons prélats au sein de cet abominable commerce, quelle étoit la conduite du plus grand nombre des évêques? Hélas toutes les fonctions apostoliques étoient abandonnées. Ni résidence, ni prédications, ni visites, points de sacremens administrés, à peine quelques-uns célébroient-ils la messe. Un tas de bénéfices formoit l'apanage des représentans d'un Dieu de pauvreté. Le luxe des tables, hélas les murailles et les pavés mêmes de leurs immenses palais étoient couverts hermétiquement de tapis magnifiques, pendant que les pauvres, nuds et tremblans de froid, présentoient à leurs portes le spectacle du Lazare abandonné.

Je vous demande donc, mes très-chers frères, si, dès qu'il doit y avoir un temps marqué par les prophètes où Dieu touché de pitié pour son peuple, ôtera à des maîtres qui se diront pasteurs, le soin de son bercail, je vous demande si Dieu a dû attendre que les abus fussent portés à de plus grands excès? [162] Laissez donc crier ces faux pasteurs. Laissez-leur réclamer leurs titres, leur territoire, etc. Leurs cris même deviennent un crime que vous devez garder de partager plus long-temps. Eh pensez-vous qu'en quel temps que ce moment arrive où Dieu fera dépouiller ces pasteurs de leurs titres d'opulence et d'inutilité, ils ne s'accordent à crier à l'injustice. On vous dit que l'assemblée n'étoit pas compétente. Mais qu'a-t-elle donc fait? Si non ordonner l'exécution des canons de l'église. N'en existe-t-il pas des milliers qui prescrivent tout ce que la constitution ordonne, et en particulier ceux du saint concile dont se prévalent les évêques (le concile de Trente). L'assemblée pouvoit-elle espérer que les prélats se réformeroient eux-mêmes? Non. Eh bien elle les y a contraint. Cet acte d'autorité est non seulement légitime, il est canonique, et des plus canoniques. La vénérable antiquité eût béni le ciel de cet événement, et vous en prenez sujet de l'offenser et de troubler la terre en divisant la société. Hélas! vous n'égarez le peuple, je le sais, que parce que vous êtes vous-mêmes trompés: mais souffrez que je vous parle avec une franchise et une fermeté vrai-ment sacerdotales.

Vous faites des efforts dont on vous auroit cru incapables, des efforts véritablement tumultueux, pour faire prévaloir la doctrine des fausses décrétales à la doctrine de l'église. Vous avez du zèle et

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vous en avez beaucoup. Mais, permettez-moi de vous le dire, votre zèle doit vous être suspect. Il est trop amer pour avoir la charité pour principe: il donne dans de trop grands écarts pour avoir la pru-dence pour guide. Ce sont vos préjugés tous seuls qui l'ont allumé: ce sont eux tous seuls qui l'ont dirigé. Je le crois bien intentionné; mais si, par cet endroit, il est moins digne de blâme, il n'en est pas moins dangereux. Vous [163] marchez, sans y penser, sur les traces de ces Israélites charnels qui entêtés de quelques traditions humaines que Jésus-Christ ne respectoit pas assez, à leur gré, s'imaginoient honorer Dieu en persécutant la personne, la doctrine et les disciples de ce divin Sau-veur. C'est une disposition bien déplorable que celle où l'on prend les ténèbres pour la lumière, et où l'on combat la vérité, croyant ne combattre que des erreurs exécrables. Cette disposition est la vôtre. Vos discours et vos écrits sur les droits du saint-siège, sont à mes yeux un exemple frappant des ex-cès dont est capable un zèle qui n'est pas selon la science. Rien ne vous coûte, rien ne vous arrête. La doctrine simple et édifiante de l'église, vous la traitez d'invention diabolique; les opinions ultra-montanes, inconnues aux premiers siècles de l'église, mille fois pulvérisées par les Bossuet, les Ar-nauld, les Fleury, vous les donnez pour la doctrine de l'église. Pourquoi ignorez-vous ce qu'il vous est si facile d'apprendre, savoir que Pie VI n'a pas plus de pouvoir que Pierre, ni Pierre que Jésus-Christ, qui est venu pour accomplir la loi et non pour la détruire? Pourquoi ignorez-vous que le pape n'a pu en France ni ailleurs, mais encore moins

en France exercer dans aucune diocèse une jurisdiction immédiate? Pourquoi ignorez-vous que les libertés de l'église gallicane sont des règles canoniques qui doivent maîtriser le pape au lieu qu'il ait le droit de maîtriser ces règles? Pourquoi ignorez-vous que l'autorité des conciles seuls vrais au-teurs de ces saintes règles, est une autorité supérieure à tous les pouvoirs du saint-siège. Enfin pour-quoi ignorez-vous ce que savent tous les jurisconsultes, tous les avocats, tous les laïcs; en un mot, lisez Fuët, liv. 1er, chap. 1er, du pape, p. 5, édition in-4° de 1721.

«La dignité de cette personne sacrée, dit ce [164] savant jurisconsulte (en parlant du pape) est as-sez relevée par ses véritables prérogatives, sans y en ajouter d'autres, par lesquelles les ultramon-tains veulent la rendre recommandable, en lui attribuant une plénitude de puissance souveraine dans l'église et sur l'église, que l'antiquité a ignoré, que les conciles ont proscrit, que les plus saints papes eux-mêmes ont refusé, et qu'on ne peut leur donner sans blesser la vérité dans ses maximes, les évê-ques dans leurs droits, les rois dans l'indépendance de leur couronne, et l'église universelle dans les privilèges que J. C. lui a accordés».

Esclaves aveugles des préjugés vulgaires, si vous aviez vécu dans ces temps de ténèbres, dont on ne peut rappeler le souvenir sans horreur, vous auriez donc fait du pape le roi des rois et le seigneur des seigneurs: vous auriez traité d'impies, les hommes vertueux et savans qui auroient eu le courage de lui contester le pouvoir de changer les empires, de transporter les couronnes, de disposer des trô-nes, d'absoudre les sujets du serment de fidélité, de punir les princes des peines temporelles, et d'en substituer d'autres à leur place, selon qu'il le jugeroit à propos pour la gloire de Dieu et le salut des âmes, vous auriez cru qu'il pouvoit quelquefois être permis d'entreprendre la guerre pour le bien de la religion, et de mettre tout à feu et à sang pour l'utilité spirituelle de l'église.

La charité fraternelle est la marque distinctive des disciples et des ministres de Jésus-Christ; vous reconnoit-on, vous reconnoissez-vous vous-même à cet aimable caractère. Dites-moi, un homme charitable se permet-il de déchirer ses frères par la calomnie, se permet-il de tourner en ridicule aux yeux de leurs paroissiens, des curés sans reproche, de noircir leurs personnes pour décrier leurs écrits? Se permet-il de [165] désirer la guerre, de s'impatienter de ce qu'elle n'arrive pas assez-tôt, de se désespérer, quand on assure qu'elle n'aura pas lieu? Se permet-il de faire cause commune avec des hommes superbes et dédaigneux qui enragent de ne plus voir leurs concitoyens tremper à leurs pieds comme de vils insectes, et gui s'imaginent ne pouvoir plus paroître avec honneur dans leur pa-trie, parce qu'en bonne mère elle veut que dans l'ordre social, tous ses enfans soient libres et égaux? Se permet-il de traiter de schismatiques, des hommes que l'église n'a point condamnés, et qui ne se séparent de personne, des hommes pleinement soumis au jugement de l'église, des hommes qui de-mandent sincèrement d'être éclairés, prêts à rétracter les erreurs dont on les accuse, dès qu'on les en aura convaincus? Se permet-il de traiter d'apostats, des pasteurs et des fidelles qui n'ont point chan-

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gé de croyance, et qui aimeroient mieux mourir mille fois de la mort la plus cruelle et la plus igno-minieuse, que d'en changer?

Mais je pourrois encore ici vous demander pourquoi vous ignorez que la cour de Rome, le pape, ni le clergé ne sont pas l'église? Pourquoi vous n'avez pas lu les saintes règles et les principes contenus dans les deux volumes des libertés de l'église gallicane où vous auriez trouvé que l'église est composée de tous ceux qui sont baptisés; car Jésus-Christ, vous disent ces saintes maximes, n'est pas mort pour le clergé seul. Pourquoi encore ignorez-vous la définition que nous en a donné saint Cyprien.

Ecclesia est plebs adunata pastori: le corps des fidelles ensemble avec les pasteurs voilà l'église. Pourquoi ignorez vous que le corps des fidelles a droit de se plaindre et même de rejeter des pas-teurs particuliers qui leur prêchent des dogmes que l'antiquité ne connut jamais. Car quand un ange, disoit [166] l'apôtre aux premiers chrétiens, viendroit vous prêcher une doctrine différente de la mienne, dites lui anathème. Un concordat, monument exécrable, est consacré dans les écrits du pon-tife romain (Voyez le bref du 10 mars 1791) lisez-y une insigne fausseté que le traducteur de ce bref a sans doute insérée de son chef dans cet écrit d'ailleurs si peu digne du père commun des fidelles. Lisez-y que le concile de Latran a approuvé le concordat. Imposture! Ce prétendu concile de La-tran n'a jamais été regardé par la France comme un concile, mais comme une assemblée de quelques particuliers esclaves du trop fameux despote Léon X. Voyez Bossuet, déclaration du clergé, liv. 6. ch. 18. Des évêques coalisés s'accordent à préconiser ce pacte infâme et ce concile désavoué par toute l'église. Et vous pensez devoir vous asservir et asservir tous les fidelles à une croyance vérita-blement anti-évangélique. Ah quel est votre zèle, mes chers confrères! Encore faites-vous des ef-forts tumultueux pour établir cette croyance. Enfin pourquoi n'avez-vous pas connaissance de la fameuse circulaire des agens à tous les évêques, en date du 12 décembre 1716, au sujet du bref que le pape vouloit introduire dans le royaume, à l'occasion de la bulle Unigenitus. C'étoit du temps de la régence de M. le Duc d'Orléans. La voici:

«Monseigneur le Duc d'Orléans nous ayant fait avertir d'aller recevoir ses ordres, nous nous sommes rendus aujourd'hui au Palais-Royal, où S.A.R. nous a fait l'honneur de nous dire que, quoi-qu'elle vous croye trop instruit des règles et de l'ordre public observé dans ce royaume, pour avoir besoin d'être averti qu'il n'est permis à aucun évêque, ni autre sujet du roi, d'avoir aucun commerce avec les personnes étrangères, ni avec leurs ministres, et de recevoir aucun bref du pape sans l'agrément et la permis- [167] sion de sa majesté: cependant S.A.R. étant informée que le bruit s'est répandu depuis quelques jours, qu'il alloit paroître un bref adressé par le pape aux prélats de ce royaume, elle nous ordonne de vous faire savoir que son intention est, que les anciennes maximes du royaume sur une matière si importante, soient inviolable ment observées pendant la régence, comme elles l'ont été par le passé, qu'ainsi vous ne receviez aucun bref du pape sans la permission expresse de S.A.R. et qu'en cas qu'il vous en fut adressé par la poste, ou par une autre voie que vous n'auriez pu prévoir ni prévenir, vous ayez en ce cas à l'envoyer à S.A.R. aussitôt que vous l'auriez reçu, sans en laisser prendre de copies, et sans le communiquer à personne, pour attendre ensuite les ordres que Mgr. le Duc d'Orléans jugera à propos de vous donner à cet égard. S.A.R. a ajouté qu'elle ne doutoit pas que vous ne recusiez, et que vous n'exécutassiez cet ordre avec autant de respect pour l'autorité du roi, que de zèle pour la conservation des maximes de son royaume».

Nous sommes avec respect. Le pape en effet ne manqua point d'adresser un bref à chaque évêque par la poste; mais à l'excep-

tion de quelques-uns, ils se conformèrent aux ordres du régent. Ils étoient bien éloignés de penser qu'un bref eut ni put avoir aucun effet sans l'autorisation de celui qui représentoit le prince. Aujour-d'hui c'est la nation qui méconnoit ces productions romaines, et les anciens évêques sont prosternés devant ces actes de la rébellion la plus formelle.

Les parlemens casserent et anéantirent ce bref dès qu'ils en eurent connoissance, et le pape tout irrité qu'il fut, se garda bien de s'en plaindre. La sorbone qui vient de se couvrir d'opprobre en se coalisant avec le corps du clergé, envoya une dépu- [168] tation vers M. le cardinal de Noailles, ar-

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chevêque de Paris, qui défendoit contre le pape les libertés de l'église gallicane. Voici les propres termes de sa délibération.

«La faculté ordonne que les docteurs iront sur-le-champ au palais de son Eminence Monseigneur le Cardinal de Noailles, archevêque de Paris, pour lui déclarer, et l'assurer que la faculté lui sera in-violablement attachée, tant qu'il continuera à l'être lui-même aux intérêts de la patrie, de l'église et de la vérité, ce qu'elle espère de lui avec une confiance entière, etc.».

Je pourois ajouter les belles paroles du cardinal de la Tremouille, ambassadeur de France à Rome, qui disoit, en parlant au pape au sujet de son bref d'excommunication:

«Si Rome dans cette occasion se porte à quelques extrémités contre nous, elle nous affligera sans doute, car son autorité sera toujours chère, et l'on n'en verra jamais l'avilissement qu'avec douleur. Mais si ces coups affligent, ils n'effraieront pas. Il en tomberoit mille à notre gauche et dix mille à notre droite, qu'ils ne pourroient nous blesser, parce que sous la protection de la règle de la foi, sa ferme solidité nous couvrira comme un bouclier puissant.

«Jésus-Christ nous a préparé lui-même dans ces conjonctures affligeantes, une ressource pleine de consolation, en nous apprenant à ne pas confondre l'autorité qui proprement ne fait jamais de faute, avec les hommes qu'il en a revêtus, et dont les plus justes et les plus saints, parce qu'ils sont en même temps revêtus d'infirmités, pêchent souvent dans un même jour. S'il nous a soumis invio-lablement à l'autorité qu'il a donnée à des hommes comme nous, à Dieu ne plaise que nous puis-sions croire qu'il ait voulu nous rendre ou le jouet ou la victime de foiblesses de l'humanité!» [169].

Pourquoi, dis-je, M.T.C. confrères, ignorez-vous des vérités si indispensables, dans la pénible circonstance où nous nous trouvons? Ou du moins, pourquoi refuseriez-vous de les apprendre?

Souvenez-vous au moins que le vrai zèle, ainsi que la charité qui en est le principe, est patient, doux, bienfaisant et pacifique; qu'il n'est ni orgueilleux, ni envieux, ni téméraire, ni précipité, ni dé-daigneux: qu'il ne cherche point ses propres intérêts; qu'il ne se pique et ne s'aigrit de rien; qu'il ne se réjouit point de l'injustice, mais qu'il se réjouit de la vérité.

Souvenez-vous que les prêtres ne sont pas moins obligés que les simples fidelles, de rendre à Cé-sar ce qui lui appartient, c'est-à-dire, de lui obéir fidèlement dans toutes les circonstances où l'on peut lui obéir sans offenser Dieu; et que, comme on doit être prêt à tout souffrir, et la mort même, plutôt que de lui accorder ce qu'il demande contre la loi de Dieu; on doit de même avoir assez de fermeté pour fouler aux pieds le respect humain, l'intérêt, et toutes les considérations humaines, qui porteroient à lui refuser ce qu'il a droit d'exiger.

Souvenez-vous que rendre la religion odieuse aux puissances de la terre, est un crime énorme en soi, et infiniment funeste dans ses suites; que c'en est un autre non moins énorme et non moins fu-neste que de faire accroire au peuple fidelle, qu'il est dans la triste et accablante alternative de re-noncer, ou à la religion de ses pères, ou à la constitution de sa patrie.

Ouvrez les yeux: voyez dans quel abîme de maux vous avez précipité l'église gallicane! Voyez comme les impies triomphent à la vue de vos séditieuses et schismatiques démarches! Voyez le par-ti qu'ils se proposent d'en tirer pour l'accomplissement de leurs vues sacrilèges! Ou revenez à nous, ou faites-nous voir que nous devons aller à vous; c'est peut-être le [170] seul moyen de conserver la religion en France. Cherchons la paix, pratiquons la charité, instruisons-nous, cherchons la lumière où elle est; la chercher dans les ouvrages calqués sur les fausses décrétales, c'est la chercher loin de sa source. Cherchons-la dans l'écriture, dans les saints pères, et dans les grands hommes du dernier siècle, qui à un jugement solide ont réuni une profonde connoissance de l'antiquité ecclésiastique.

Hélas cette philosophie qui n'est autre chose que la plus affreuse impiété, sourit à nos débats, bientôt elle pénétrera jusque dans l'assemblée actuelle. Ni nous ni vous n'y trouverons d'appui. Et dans la suite hélas! nous touchons peut-être à cet événement, on verra les législateurs contens de ne pas transgresser la constitution qui tend à conserver le culte catholique, se réjouir de nous l'avoir vu renverser nous-mêmes par le scandale de nos divisions respectives. C'est ainsi, n'en doutons pas, qu'un système passif en apparence, se repose sur nous du soin de mettre en activité tout ce qu'il n'ose pas opérer lui-même. Bientôt on fera naître quelque nouvelle question embarrassante, afin nous mettre aux prises les uns contre les autres. Le sacerdoce, oui le sacerdoce est l'instrument le

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plus terrible que la philosophie ait en son pouvoir pour anéantir le culte catholique. Eh travaillez tant que vous voudrez, mais faites-le charitablement, méconnoissez-moi, ne m'obéissez pas, mépri-sez-moi, si vous voulez, mais souvenez-vous de cette dernière recommandation de Jésus-Christ: hoc est preceptum meum ut diligatis invicem sicut dilexi vos. Ma dernière volonté est que vous vous ai-miez réciproquement comme je vous ai aimé. Vous savez M.T.C. confrères, avec quelle effusion de coeur les enfans se rappellent les dernières paroles de leur père mourant. [171] Or si je vous suis à charge, j'invoque auprès de vous cette dernière recommandation de notre père commun.

J'ai différé jusqu'à ce jour à vous envoyer cette adresse afin que la circonstance du temps auquel J. C. a prononcé cette recommandation, afin que, dis-je, la circonstance du temps réveillât en vous et en moi les sentimens d'une fraternité sincère. Quant à moi, mes très chers et vénérables confrères, je tiendrai à votre égard la conduite tracée dans ces belles paroles de saint-Bernard, Epis. 253:

«Vous avez beau faire, malgré votre indifférence, je suis résolu de vous aimer constamment... J'apprends du prophète, qu'il est bon de vivre dans l'union. Détachez-vous, rompez avec moi si vous le voulez, je ne cesserai point de vous être uni; je le serai malgré vous, malgré moi-même: Oui, les liens de la charité qui m'attachent à vous sont indissolubles et invariables. Lorsque je vous verrai ir-rités, je tâcherai de vous apaiser; lorsque-vous voudrez m'irriter, je céderai à votre colère de peur de céder au démon. Plus vous m'accablerez d'injures, plus je vous comblerai d'honnêtetés. Je vous ser-virai malgré vous; votre ingratitude augmentera mes bienfaits, vos mépris redoubleront mon res-pect... Je vous presserai dans toutes les occasions, je coucherai à votre porte, j'y frapperai, j'y de-meurerai jusqu'à ce que ma persévérance ait comme arraché vos bonnes grâces».

Humilions-nous profondément sous la main toute-puissante de Dieu: il n'arrive rien, qu'il ne fasse ou ne permette; adorons ses desseins, soit de miséricorde, soit de justice, dans la révolution française; craignons de nous y opposer; ne nous lassons point de le conjurer de nous faire accom-plir, en tout et par-tout, sa sainte et adorable volonté. Si nous avons le bonheur d'entrer tous dans ces saintes dispositions, bientôt il n'y aura plus de schisme dans l'église gallicane. Il est [172] im-possible que le schisme dure entre des hommes humbles, désintéressés et pacifiques: comme il est impossible qu'il ne dure pas entre des hommes orgueilleux, intéressés, et turbulens.

Connoissez-vous parmi vous des hommes de ce caractère? Ne rompez pas de communion avec eux; ne faites point aux autres ce que vous seriez fâchés que l'on vous fit à vous-même; faites tout cela dans la vue de plaire à Dieu, et parce qu'il vous le commande; et le Dieu de paix et de toute consolation sera avec vous.

En parlant ainsi, nous déplairons sans doute à certaines gens; nuis notre premier devoir n'est pas de leur plaire. Si je cherchais encore à plaire aux hommes, disait Saint-Paul, je ne serais pas servi-teur de J. C. Marchons d'un pas ferme sur la ligne de notre devoir sans nous mettre en peine de ce qu'on pensera de nous. Eh! Qu'importe que certaines gens nous approuvent ou nous condamnent, nous louent ou nous blâment, nous recherchent ou nous fuient, pourvu que Dieu soit pour nous et avec nous.

Je suis, MT.C.F. avec des sentimens fraternels [173]

4.

N. 17, terza sett. di maggio 1792, pp. 265-269.

Notions essentielles dans la circonstance actuelle.

M. Fleury dit, et la raison d'accord avec l'évangile l'avoient dit avant lui, que l'église durant les premiers siècles, n'eût d'autres loix que celles de l'évangile. En effet, la loi mosaïque étant détruite, les chrétiens furent astreints aux paroles de Jésus-Christ; ainsi les apôtres eurent bientôt composé le code de la religion avant de se séparer. Je crois en Dieu etc., voilà tout ce qui tenait lieu de droit ca-nonique et de cours de théologie dans des temps où la religion méconnue de tout l'univers, n'avait d'autres protecteurs que ceux qui professaient le symbole.

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Ces protecteurs ne pouvaient rien sur la terre, que mourir; et leur impuissance était le plus beau triomphe de la religion. Bien loin de disputer avec les peuples et les rois de la terre sur ces mots ju-risdiction, sujet, territoire, apanages et biens temporels, titres et dignités, la religion s'accommo-dant de tout, excepté des sacrifices qu'on offroit aux idoles; profondément empreignée dans les coeurs, elle florissoit et triomphoit de tout au sein de cet abandon et cette persécution générale.

Je me garderai bien de critiquer ce que l'église a fait, je me prosterne au contraire en présence de toutes ses institutions. Mais tout ce qu'elle a fait au-delà du Credo, comme tout ce qui est de disci-pline et de pure cérémonie extérieure, n'a certainement été fait que dans les vues du salut des fidè-les; or, si ce même salut demande aujourd'hui que ce qu'elle a fait soit détruit, cela l'est par le fait seul de l'avantage qui en revient aux fidèles.

Le pape et les évêques ne le veulent pas. C'est ce que dit l'aristocratie, mais 1°. ont-ils le droit de ne le vouloir pas?

L'apôtre dit: que toute puissance venant de Dieu, [265] n'est donnée que pour l'édification et ja-mais pour la destruction. Non est potestas ad destructionem. Il est donc inutile de les consulter sur la cessation des abus ou des usages dont la société ne veut plus.

Mais il s'agit de la foi. Je défie hardiment le pape et tous les évêques du monde chrétien de me persuader que je ne crois pas à tous les articles compris dans le symbole, et à toutes les pratiques universellement reçues.

2°. J'ai une autre question importante à faire à tous les prêtres non conformistes. Ils veulent que nous nous conduisions par les canons de l'église, sous peine de damnation. Je leur demande donc de m'indiquer où sont ces canons de l'église? Car les grandes vérités du symbole exceptées, rien n'est moins certain que la pratique universelle des canons que l'on appelle canons de l'église. 1°. Les ca-nons attribués aux apôtres offrent déjà une grande incertitude. Ceux qui ne les rejettent pas parmi les Latins n'en comptent que cinquante, et ceux qui les admettent parmi les Grecs en comptent qua-tre-vingt-cinq. Ainsi comment faire; s'il y en a quatre-vingt-cinq, les Latins sont damnés; et s'il n'yen a que cinquante, comment choisir les cinquante parmi les quatre-vingt-cinq?

2°. La plupart des canons des conciles sont contradictoires à d'autres canons des conciles. 3°. La compilation des décrétales des papes établies sur la perfidie d'Isidore, forment un corps de

droit plus digne de réjection que de respect, de l'aveu de tous les canonistes. 4°. Les pratiques de cet infâme concordat qui a fait tant de playes à l'église, ne sont certainement

pas des articles de foi depuis que le corps du clergé ne compose plus le symbole de la foi de l'église de France.

5°. Les conciles quelque écuméniques qu'ils ayent [266] été, ont toujours dépendu dans leurs ca-nons de la puissance temporelle. Car si le symbole existoit, il n'avoit pas besoin d'être appuyé par des canons pour être ce qu'il est. Jamais un concile n'a eu le droit de faire un article de foi. Ils sont tous faits des le principe, en effet nous n'avons pas mieux la plénitude de la foi que les premiers chrétiens. Les canons seuls que l'universalité des églises a admis, intéressent la foi, non pas parce que le concile les a articulé, mais parce que toutes les églises les ont adopté. Il est bon de savoir qu'un canon fait dans un concile particulier qui a été reçu dans toutes les églises porte ce caractère obligatoire, et qu'un canon fait par un concile écuménique, quelqu'il soit, si les églises ne le reçoi-vent pas, n'oblige point l'universalité des fidèles. Ainsi les canons du concile de Trente n'ont été obligatoires que pour les églises qui les ont adoptés.

Les non conformistes ont donc un catéchisme bien volumineux à composer, s'ils veulent guider notre foi par les canons de l'église. D'abord il faut qu'ils commencent par s'entendre sur les termes. Qu'est-ce qu'un concile écuménique? Il faut, disent Messieurs les missionnaires de Périgueux, que le pape le convoque? Et le concile le plus respectable, a été convoqué par Constantin (celui de Ni-cée)? Il faut que le pape y préside, ou quelqu'un en son nom. Eustathius, patriarche d'Antioche, pré-sida le concile susdit. Qu'on nous exhibe les lettres missives du pape. Je défie toute la science des non conformistes de se tirer de cette première et si simple question.

Ensuite il faudra parcourir toute l'histoire ecclésiastique pour savoir au juste si toutes les églises d'Orient, d'Occident, ont admis les canons qu'ils voudront proposer comme articles de foi. Tels sont

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les embarras de nos docteurs insermentés. Misérables scholastiques, que vous faites de mal avec vo-tre pé- [267] dantisme pieux en apparence; car bientôt il faudra demander si votre bonne foi est de bonne foi.

Pour nous, nous avons le symbole et nous offrons à la nation le sacrifice de tout ce qui n'est pas je crois en Dieu. Elle nous laisse la libre profession du symbole et des pratiques de l'antiquité. La libre administration de nos sacremens. Pourquoi ne pas s'en contenter? Que de reproches ne méri-tez-vous point, prêtres séditieux, qui exposez le fond pour vous attacher à des formes dont on pour-roit, au reste, vous défier de démontrer la canonicité. Je le fais. Je vous en défie. Montrez qu'il y ait un seul article qui fut canoniquement établi de toutes les pratiques et les institutions qu'on vient de détruire, montrez-le, vous ne le ferez pas, je vous en répète le défi. O peuple sois attentif. Tu verras paroître quelqu'ouvrage anonyme: mais aucun de ces héros n'osera se montrer. L'avenir prouvera tout. En attendant, je dirai sans crainte d'être démenti, que les auteurs de ces atqui et ces ergo, c'est-à-dire, que les auteurs de ces subtilités théologiques ont formé des traités tout-à-fait semblables à la science des Scribes et des Pharisiens, qui firent mourir Jésus-Christ. La théologie de nos savans non conformistes, tend à anéantir l'église de ce divin instituteur. Je défie qu'on la reconnoisse sous la plume de ces docteurs. Hélas dans la religion de Jésus-Christ il n'y a presque rien à savoir, tout gît dans la pratique, il y a beaucoup à faire. M. Collet qu'on a si méthodiquement enseigné dans les sé-minaires, a fait de la science apostolique un jeu d'escrime, il a fait de la chaire de vérité un champ de bataille, où champion contre champion on se bât à coup de syllogisme; et du feu de ce combat d'opiniâtretés scientifiques, sort une fumée qui empêche les combattans même de s'apperçevoir. Ils se heurtent, ils se blessent comme on le faisoit au milieu des ténèbres palpables de [268] l'Egypte. Je défie qu'on lise ces ouvrages théologiques, sans être scandalisé de leurs contradictions. On n'y voit qu'un échafaudage d'argumens sur argumens qui bouchent le jour plutôt que d'en donner. Il semble que le sieur Collet et compagnie, aient pris à tâche d'obscurcir la lumière même, d'embrouil-ler le fil de la religion, et qu'à l'exemple des prêtres des faux Dieux, ils aient voulu faire un mystère de tout ce que le monde doit savoir. Je crois en Dieu. Les apôtres auroient frémi, s'ils eussent entre-vû le charlatanisme de ces théologiens qui ont substitué à la simple connoissance de la religion qua-tre ans de cours théologiques, sans compter ces morceaux d'images qu'on annexoit à des questions qu'on appelloit des thèses. Les non conformistes de nos jours sont de ces souteneurs de thèses. Comparons ce luxe scientifique dont on faisoit parade sur des théâtres, aux tableaux magiques des baladins qu'on montre sur les places publiques.

O doux Jésus, vous n'aviez-donc pas destiné votre religion aux peuples de la terre, mais seule-ment aux docteurs des universités, aux professeurs des séminaires et à leurs élèves. Mais que dis-je. Vos apôtres après avoir appris le symbole aux premiers chrétiens, leur recommandèrent de dire ana-thème à tous ces joueurs de gobelets, à tous ces raconteurs de fables inales fabulas. Peuple chrétien a-t-on altéré ton symbole? Non. Eh bien laisse-là les charlatans de la religion, pour écouter les vrais apôtres. Ils sont de retour, ils ne demandent à te prêcher que la simplicité par leurs exemples autant que par leurs discours. Tu n'as pas besoin de science, mais seulement de connoître la vérité. Ils te prêcheront le symbole; c'est-à-dire tout ce que prêchoient les premiers apôtres aux fidèles.

5.

Nn. 21 e 22, seconda, terza e quarta settimana di giugno 1792, pp. 321-334 e 337-360.

Comme les choses que je vais dire sont de conséquence, il faut éviter le malentendu. J'entends par le mot Peuple, non pas les habitans de Paris seulement, de Lyon et de Rennes, &c. mais l'en-semble de la nation, considéré moralement.

Considéré moralement, cela veut dire que comme quand un million d'hommes sortiroient de la France, le peuple français ne seroit pas moins le peuple français; de même, quoique plusieurs et un

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très-grand nombre d'individus répugnent à une détermination qui plaît au plus grand nombre; c'est-à-dire, à la presque totalité, la détermination n'en est pas moins une loi vraiment obligatoire.

D'après cette explication, on peut tout dire sans danger; il est prudes sempiternels qui recom-mandent sans cesse de ne pas faire connoître au peuple sa force. Tous les malheurs de la société ne proviennent que de l'ignorance du peuple; ils ne se meut pas, le corps du peuple, comme le font un ou quelques poignées d'individus; il lui faut des siècles pour mouvoir seulement un doigt, un pied, &c ... Les Français ont souffert plus de huit cents ans le despotisme le plus insupportable, quoiqu'ils pussent le dissiper en un clin [321] d'oeil; car le peuple n'étoit pas moins fort en 1590 qu'il l'est pré-sentement: ce n'est pas la révolution qui lui a donné sa force, c'est sa force qui a opéré la révolution. On peut prudemment cacher quelque vérité à une fraction du peuple; c'est toujours un crime de ne pas tout dire au corps, à l'ensemble d'une nation.

De la souveraineté

Ce qu'on appelle souveraineté parmi les hommes n'est pas une propriété particulière, indivi-duelle, mais une propriété générale et collective; c'est-à-dire, que la souveraineté générale et collec-tive n'est pas une personne, mais une chose qui appartient à un être collectif. Ceux qui ont dit jus-qu'à présent en parlant d'un individu, le souverain de France et d'Allemagne, notre souverain et leur souverain ont dit une absurdité complète; Dieu est le seul souverain individuel; après lui, il n'est qu'une collection, une association, qui puisse être dit le souverain, savoir; un corps de peuple est le souverain de lui-même, et la raison en est bien sensible.

Qu'est-ce qu'un souverain? C'est un être qui met à exécution toutes ses volontés. En effet, que seroit-ce qu'un souverain qui voudroit et qui n'auroit pas le pouvoir d'exécuter ce

qu'il voudroit? Ce seroit un être imaginaire, fantastique. Ainsi, Dieu seul est le souverain individuel des hommes et des peuples, parce qu'il peut faire exécuter toutes ses volontés: ainsi nul homme n'est le souverain d'un peuple, parce que nul homme n'a le pouvoir de faire exécuter ses volontés à un corps de peuple. La souveraineté, ou le pouvoir souverain parmi les hom [322] mes, ne peut, n'a pu, ni ne pourra jamais se personnifier dans un individu, puisqu'il n'est aucun individu qui soit suscepti-ble de la masse des forces capables de mouvoir tout un peuple.

Pour se faire une idée juste de la souveraineté des hommes, disons qu'elle composée de deux rapports, savoir; d'une volonté et d'une force égale à cette volonté. Or quelle est cette volonté qui est accompagnée d'une force égale à cette volonté, propres à faire mouvoir tout un peuple? C'est la vo-lonté de tout le peuple qui est soutenue par toute la force de ce même peuple.

Ainsi la souveraineté est une force conventionnelle, c'est-à-dire, une force qui convient avec elle-même d'exécuter tout ce qu'elle a résolu, de manière que la volonté souveraine ne peut exister sans la force souveraine, ou, en d'autres termes, c'est seulement à la force souveraine que peut appartenir la volonté souveraine: or la force souveraine appartient au corps du peuple; c'est donc au corps du peuple qu'appartient la véritable souveraineté, c'est-à-dire, que tout peuple est le souverain de lui-même, et qu'il ne peut en exister d'autre dans ce monde visible.

Tous ces prétendus souverains du Japon de la Chine et d'ailleurs, sont autant phantômes: en effet, c'est en dirigeant les forces souveraines du peuple qu'ils trouvent l'art de rendre leur volonté souve-raine; leur souveraineté a donc pour base un principe qui ne leur appartient pas. Il faut deux choses pour composer une souveraineté véritable et légitime; une souveraineté de droit et une souveraineté de fait. Continuons le développement de cette notion; tout dépend de cette intelligence. Une souve-raineté de droit seroit une chimère, sans une souveraineté effective réduite à l'acte par la force.

Une souveraineté de fait, sans une souveraineté de [323] droit, c'est-à-dire, sans la convention se-roit, non une souveraineté, mais l'exercice d'une violence.

Ainsi la souveraineté de droit ne peut appartenir qu'à la souveraineté de fait, laquelle souveraine-té de fait, sur tout un corps de peuple, ne peut appartenir qu'au corps de ce peuple même.

Le droit et le fait sont donc inséparables pour établir une vraie souveraineté: il y a néanmoins cette différence entre la souveraineté de fait et la souveraineté de droit; c'est que le droit souverain

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ne peut exister sans les forces souveraines, au lieu que les forces souveraines peuvent exister sans le droit souverain. Ainsi, un peuple qui subjugue quelques individus, avec lesquels il n'est point en guerre, et qui sont étrangers à son association, a sur ces individus la souveraineté de fait, mais non pas la souveraineté de droit.

C'est aussi de cette manière que l'ancien gouvernement a exercé la souveraineté de fait, en diri-geant les forces souveraines des Français contre les Français même, quoiqu'il n'eût pas la souverai-neté de droit sur eux, puisqu'il n'existoit aucune convention avec les agens du despotisme et le peu-ple français.

Cette notion se développera mieux par un exemple.

Hypothèse

Nous sommes cent qui voulons composer un peuple à part: le nombre n'y fait rien, et qu'on ne dise pas qu'aucun peuple n'a suivi ce procédé dans sa formation. Les vérités éternelles sont, parce qu'elles sont. Les hommes ne se sont jamais assemblés pour convenir de ce principe: Ne faits pas à autrui ce que tu ne voudrois pas qui fût fait à toi-même. Cependant le principe n'en est pas moins inviolable pour tous les [324] hommes en général, et pour chacun d'eux en particulier.

L'hypothèse contient donc le principe indispensable de la formation de tous les peuples du monde? Point de contrat social qui ne repose sur cette base, soit que ce protocole ait été énoncé ou non.

Nous sommes cent qui voulons composer un peuple à part, appelé le peuple français. Lequel de nous a droit de faire obéir tous le autres? Aucun; car s'il en existoit un qui prétendit

l'avoir, nous lui répondrions: Faites-nous donc obéir, montrez votre droit par le fait. C'est nous qui vous prouverons que nous avons le droit de vous faire obéir en vous y contrai-

gnant; en effet, après que nous serons convenus que la masse de nos forces s'appliquera à faire exé-cuter à chaque particulier, ce que la volonté de tous aura résolu, ainsi convenons de cet article, et après cette convention, en forçant chaque individu à s'y conformer, ce ne sera que le forcer à être libre; car il a si bien consenti à se voir forcé à faire ce que la volonté générale a résolu, qu'il a consenti à faire corps avec les cent de l'hypothèse.

L'individu est donc le sujet de la masse des forces et des volontés des cent? C'est donc le tout qui est le souverain du particulier, et jamais le particulier n'est le souverain du tout? La souveraineté est donc toujours incommunicable; car il n'a pas été donné aux hommes de moyens pour communiquer à un seul, une masse de forces, capable de faire mouvoir tout un peuple; que dis-je? Dieu a si bien voulu bannir cette prétention de la tête d'un individu, qu'il a rendu le procédé de la communication des forces absolument impraticable. On peut inoculer sa volonté. Un domestique peut s'approprier si bien le vouloir de son maître, qu'il devienne le sien propre, de telle sorte [325] qu'il veuille tout ce que son maître veut, comme qu'il veuille porter le fardeau qui surcharge son maître; mais s'il n'a pas le même degré de force que son maître, inutilement son maître et lui voudroient qu'il portât ce far-deau; jamais le maître ne pourra communiquer au domestique un seul degré de force par l'effet de la volonté, ni le domestique ne pourra l'acquérir, il auroit beau faire.

La souveraineté reposant donc sur la force comme sur la première base, et la force étant incom-municable, il est de toute évidence que jamais un homme n'a pu prétendre avoir reçu ni prescrit le droit de souveraineté sur un peuple.

On voit par cette seule explication que la noblesse n'avoit pas étudié l'alphabet du contrat social quand elle prétendoit à Versailles faire un grand sacrifice en renonçant à ses privilèges pécuniaires, disant que d'ailleurs elle soutiendroit les droits constitutifs de la royauté.

Les droits constitutifs de la royauté dérivent, comme tous les autres droits sociaux, du droit de la souveraineté; c'est de cette source que partent tous les droits particuliers. Ainsi le roi n'a pas plus de droit à la souveraineté qu'un autre individu; l'appeler souverain, c'est articuler un barbarisme anti-social, une absurdité parfaite. (On verra par le chapitre suivant que je ne suis pas ennemi de la royauté).

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Les princes qui répondent au roi à cause de son acceptation de la constitution, qu'il n'à pas été le maître de céder le droit qu'il a reçu de ses ancêtres, pour le transmettre à ses descendans, ont suivi les mêmes erremens; et toute l'émigration en général qui prétend avoir des droits indépendans de la souveraineté nationale, se rend coupable d'une grande injustice. [326].

Du roi.

Pour comprendre ce que c'est que la royauté, reprenons l'hypothèse des cent. Après qu'ils sont convenus que leurs forces seront employées à faire exécuter à chaque individu la volonté de tous ou les articles convenus, c'est-à-dire, les moyens d'être tous heureux, ils font une seconde convention qui est nécessitée par la circonstance.

Il importe encore fort peu que cet énoncé soit articulé ou non, il sort de la nature de toute asso-ciation, vivant sous le régime d'un roi.

Les cent associés font donc une seconde convention qui est nécessitée par le fait même de leur association; car ne pouvant pas être toujours assemblés pour forcer le particulier à faire ce que la communauté a résolu, ils prennent le parti de convenir, avant de se séparer, qu'un d'eux sera autorisé à convoquer le nombre suffisant d'entr'eux pour faire exécuter la loi aux particuliers réfractaires. Cet agent unique est appelé roi, rex à regendo, ou directeur des forces communes. De-là, on conçoit aussi ce que c'est qu'une loi; car cette notion si simple est la clef de tout le système social.

La loi est l'arrêté que fait la force avec elle-même, de manière que la loi est toujours sûre de son exécution; ainsi, lex à ligando. On demandoit autrefois si le roi avoit le droit de faire des loix; au-tant valoit-il faire cette question: Le roi a-t-il la force individuelle capable de faire exécuter sa vo-lonté particulière à vingt-cinq lions d'individus?

Le corps législatif lui-même ne fait des loix que parce que le corps du peuple, auquel la force souveraine appartient, les accepte, et qu'il est convenu de les accepter, car autrement, ni les décrets ni les [327] veto ne feroient aucune loi, ni n'empêcheroient pas le corps du peuple de ne reconnoître d'autre loi que sa volonté souveraine. Tout s'explique donc dès qu'on est persuadé de cette vérité première; savoir: Que la souveraineté est la source de tous les droits, et que la souveraineté est une force conventionnelle, c'est-à-dire, un peuple convenant avec lui-même de ce qui peut le rendre heureux. Il n'y a, à proprement parler, que cette proposition qui soit constitutionnelle, savoir; que le peuple en corps est toujours le maître de ses volontés, et que le particulier n'est rien en présence de la volonté générale: c'est cette convention suprême qui existe toujours, soit qu'elle ait été énoncée ou non dans la formation d'un peuple; car un corps de peuple ne songe qu'à son bonheur, à l'instar d'un simple individu. Les prétendus souverains, qui ne songent qu'au leur, sous prétexte qu'ils n'étoient convenus de rien avec les peuples, sont tombés dans une injustice universelle. Les articles de droit naturel n'ont pas besoin d'être arrêtés parmi les hommes pour être obligatoires pour chacun d'eux et pour la totalité.

De-là on voit en évidence la masse énorme des injustes prétentions des grands, qui disent tenir leurs droits de Dieu et de leur épée.

De-là on voit encore l'absurdité de cette morale qu'avoient inventés les tyrans des consciences. Le clergé en corps nous prêchoit, du temps du règne arbitraire du roi et des ministres, le clergé

nous prechoit cette saine morale: Obéissez aux puissances de ce monde, car celui qui résiste aux puissances résiste à Dieu lui-même, et quiconque résiste à Dieu, consomme sa réprobation. Elle est saine en effet cette morale, elle est la nôtre. Il est un article de plus pour nous qui n'est ni moins sa-lutaire ni moins sacré, puisqu'il part de la même source; c'est que les [328] puissances de ce monde n'émanent de Dieu qu'autant qu'elles proviennent de la justice éternelle, condition que l'apôtre arti-cule au même endroit par ces paroles: Quae autem adeo ordinata sunt. Il faut donc pour qu'une puissance puisse s'investir du caractère divin, qu'elle ait pour base la justice qui n'est autre chose que l'ordre de Dieu, ordre de Dieu duquel ne sont jamais sortis les tyrans, les aventuriers, car les usurpateurs et les oppresseurs n'ont d'autre puissance que celle du désordre et de la violence, pou-voir atroce dont Dieu déteste l'exercice. Un oppresseur, dans quel genre qu'il soit, un aventurier

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voudroit en vain se déïfier; il sera toujours un méchant homme, un monstre aux yeux de Dieu comme aux yeux des hommes.

Je sais que l'apôtre ordonne d'obéir même aux tyrans, etiam discolis; mais ce précepte n'est relatif qu'à chaque particulier, et n'est obligatoire qu'en faveur d'un roi librement élu; ainsi David dût res-pecter Saül, quoique tyran, et son persécuteur: mais ce précepte n'est point relatif à un peuple, puis-que Dieu même ordonne à Samuel d'obéir à la volonté du peuple, qui ne veut plus de son gouver-nement pour se choisir un roi, et qu'il défend à Roboam, par l'organe de Semeias, de s'opposer à la volonté des dix tribus qui veulent se choisir un roi à la place de lui, Roboam.

Je répète donc que nul ne doit l'obéissance à un usurpateur du sceptre. Ou trouvera que je m'explique clairement. Cela doit être ainsi: un Journal Prophétique doit imi-

ter le langage naïf et naturel des anciens prophètes. Les chiens lècheront votre sang, disoit Elie à Nachab et à Zezabel en punition de votre injustice... Qu'avoient-ils fait? Avoient-ils désolé la terre? Ils avoient envahi la vigne du simple particulier (Naboth). Tu es [329] ille vir , tu es ce coupable, ce monstre, disoit Nathan au plus puissant des monarques du monde, qui avoit abusé de la femme d'un simple particulier. Il ne t'est pas permis d'être adultère, disoit le saint précurseur au plus injuste des despotes, à l'occasion d'un scandale individuel. C'est notre mauvaise éducation qui fait qu'on prend pour insolence l'expression de la sincérite: les hommes de Dieu ne connoissent que le langage de la vérité toute pure.

Je continuerai donc de dire qu'il n'y avoit rien de si commode pour les grands de ce monde; ils se disoient tous des images de Dieu, sans qu'ils se donnassent la peine de lui ressembler; que dis-je? Dieu est tout amour pour les hommes, il ne veut que leur bien. Les autres Dieux, en ne nous faisant que du mal, en ne songeant qu'à sacrifier les autres à leur bonheur individuel, se disoient exerçant sur les hommes les fonctions de la divinité dont ils étoient l'image, et cette morale absurde a pu être celle de quelques hommes préchans au nom de l'église!

Qu'on remarque l'inconséquence! Dans le temps du pouvoir arbitraire, il falloit, vous disoit le clergé, obéir aux tyrans même. La

nation, selon eux, ou ses représentans, exercent la tyrannie; donc, disent les mêmes docteurs, vous ne devez pas leur obéir. Peuple, je t'avertis, au nom de Jésus-Christ, c'est aux oeuvres que tu dois connoître les faux docteurs.

Cette simple notion, qui nous découvre la souveraineté dans une force conventionnelle, nous montre tout cela, elle nous montre encore, car il n'est rien qu'un rayon de cette lumière de justice n'éclaire à-la-fois.

Elle nous montre en quoi consiste la puissance d'un roi, et quel est le péril qu'il court en ne fai-sant pas [330] tout par lui-même; il ne le peut pas, et c'est-là le malheur. Un roi ne peut pas être un méchant roi; ce sont ses agens qui, vu la foiblesse humaine, ne peuvent presque jamais être de bons agens.

Je n'ai pas intention d'inculper les ministres actuels, mais uniquement de démontrer qu'un roi ne peut jamais être qu'un bon roi, et que s'il y a du désordre dans le gouvernement, c'est aux agens su-balternes seuls qu'il faut l'attribuer, et à ceux qui l'entourent.

De la royauté

Le roi est l'agent ou le mobile de la souveraineté; il n'est par lui-même rien de plus qu'un simple citoyen, c'est par l'effet de la convention qu'il est ce qu'il est; or, par la convention, lui seul a le droit d'employer les forces souveraines du peuple au maintien des loix consenties par ce même peuple; mais de ce qu'il n'a pas la souveraineté en apanage, et de ce qu'il ne jouit du droit de souveraineté que par convention, il ne faut pas conclure qu'il en soit moins recommandable; au contraire, la nais-sance ne lui conféreroit le sceptre et la couronne que par un événement purement accidental, la convention lui met le sceptre à la main, la couronne sur la tête et sur celle de ses successeurs, par l'effet d'un choix libre et volontaire. Si le droit de souveraineté se transmettoit de l'un à l'autre par la loi de la nécessité, nous pourrions jeter quelquefois un regard d'indignation sur le prince qui nous gouverneroit; mais la convention établissant un roi sur le trône, il ne nous convient jamais de

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concevoir même le plus petit ressentiment contre sa personne, elle doit être sacrée, inviolable, elle doit être l'object de tout notre amour; car, par la seule raison que le roi est [331] roi, il est toujours censé être tout ce qu'il doit être; il peut dire au peuple, en quelque sorte, comme Dieu dit à Moïse: Ego sum qui sum, je suis celui qui suis; c'est vous qui m'avez fait ce que je suis, et qui me faites perpétuellement ce que je suis. Il est impossible que le corps du peuple se révolte contre son roi, puisqu'il ne fait qu'obéir à lui-même en lui obéissant. Un roi n'est roi que par le cheuf-d'oeuvre de sentiment le plus flatteur; ce ne peut être que l'amour qui lui met le sceptre à la main, c'est l'aimable liberté qui le couronne. S'il étoit possible de faire un homme Dieu, la qualité de roi seroit seule une apothéose parfaite. Chaque citoyen ne peut rien en particulier, c'est dans la personne du roi que se concentrent tous les pouvoirs; il réunit les coeurs comme il a en ses mains toutes les forces physi-ques de son peuple; mais quoiqu'il puisse tout sur chaque individu, il est toujours intéressé à les ménager, à les protéger tous également, le corps du peuple n'a jamais rien à craindre de son roi, parce que le plus haut degré de gloire et de force que le roi puisse ambitionner, le contrat social le lui donne dès l'instant même qu'il est roi: en effet, nous l'avons dit, la souveraineté a deux rapports, le droit et le fait; le droit de souveraineté consiste dans le consentement moral de tous les associés; or, on ne peut avoir un plus grand droit qui procède de la convention que d'avoir le consentement de tout un peuple; le roi n'a donc jamais aucun effort à faire envers son peuple pour augmenter ce droit: de même, la souveraineté de fait ne peut s'étendre au-delà de la masse des forces physiques de tous les associés. Le roi n'a donc non plus aucun effort à faire pour accroître son pouvoir effectif, son unique application est donc de se conserver au faîte de la gloire et de la force où le peuple l'a établi; car on peut dire du roi comme de Dieu [332] même, qu'il peut tout ce qu'il veut. En effet, les volontés du peuple sont aussi étendues que ses forces, puisque la souveraineté consiste dans la ré-union des forces et des volontés du peuple.

Ainsi, bien loin qu'un roi soit intéressé à rompre le contrat social, c'est sur l'intégrité de cet acte que reposent sa gloire, sa force et son bonheur suprêmes, comme la gloire la force et le bonheur su-prême du peuple. De-là, il suit qu'entre le roi et le peuple il ne peut jamais s'introduire d'intérêts op-posés; que tout ce qui tend à altérer la sainteté de ce contrat est aussi contraire au roi qu'au peuple, et préjudicie autant le peuple que le roi. Si la nécessité n'obligeoit l'un et l'autre, le roi et le peuple, d'établir entr'eux un corps hétérogène, je veux dire ces agens de l'administration, qui sont pour l'or-dinaire aussi ennemis du roi dont ils reçoivent les faveurs, que du peuple dont ils absorbent la subs-tance; si, dis-je, le roi pouvoit tout faire par lui immédiatement, jamais le contrat ne seroit violé; nous aurions toujours un bon roi, et le roi auroit toujours dans chaque citoyen un sujet fidèle; mais un seul homme ne pouvant embrasser tous les rapports qui intéressent une grande nation, il faut au roi, comme il faut pour l'utilité du peuple, que le roi s'associe dans le gouvernement, des sujets trop souvent perfides; car, comme ces agens subalternes ne peuvent pas envahir chacun pour soi l'autori-té toute entière en se mettant à la place du prince, ils cherchent à la diviser en divisant l'opinion pu-blique pour se la partager entr'eux, ils admettroient volontiers des rangs, des ordres, des religions, que sais-je! afin que le peuple ne s'entendant plus, il ne puisse leur disputer le droit de souveraineté, pendant que l'usage des forces souveraines ou la souveraineté de fait reste entièrement à leurs dis-positions. En effet, que parmi les citoyens les uns [333] soient nobles, les autres roturiers, ceux-ci juifs, ceux-là catholiques, leurs forces physiques n'en sont pas moins subordonnées au pouvoir du gouvernement; mais leurs forces morales, qui consistent dans l'unité de l'opinion, sont extrêmement affoiblies: c'est ainsi que s'introduisent et que se maintiennent les tyrans. On ne sauroit donc trop se défier, nous pouvons le dire hardiment aujourd'hui, que nous avons de bons ministres; on ne saur oit trop se défier des agens ministériels, des financiers, et de tous leurs commis de bureaux. Ce corps ne fait corps ni avec le roi, ni avec le peuple; ses intérêts sont au contraire le vrai antipode des intérêts du roi et des intérêts du peuple. [334]

Du pouvoir de l'église

La souveraineté temporelle ou civile existoit avant l'établissement de l'église; car avant l'époque de cette divine institution, les rois disposoient de leur territoire à leur gré, et ils gouvernoient leurs

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peuples sans rencontrer aucun obstacle de la part d'une religion dont ils ne prévoyoient pas même l'existence. Jésus-Christ, en créant son église, n'entendit donner aucune atteinte à la puissance tem-porelle; il s'en déclara au contraire le protecteur, et tel fut son respect pour cette puissance, que quoiqu'il vint sous le règne des plus injustes despotes, il se conduisit, comme doit le faire tout parti-culier, avec la plus exacte soumission; il fit même un miracle tout exprès pour payer le tribut à Cé-sar: enfin il condamna précisément les prétentions temporelles du pape et du clergé de France, car il déclara à ses apôtres, que son royaume n'étoit pas de ce monde; qu'ils pourraient bien essayer de s'établir dans les cités, mais que sitôt qu'elles ne voudroient plus de leur ministère, ils n'avoient d'au-tre devoir à remplir que celui d'une fuite paisible. Jésus-Christ, auquel tout de qu'il-y-a dans [337] le ciel et sur la terre avoit été donné, ne disoit pas comme les héros apostoliques de nos jours, mon siège, ma jurisdiction, mon territoire et mes sujets; il disoit encore moins ces termes dont on re-grette la signification pécuniaire, mon prieuré, mon abbaye, mon revenu, ma prébende, &c., &c.; au contraire, il défendoit à ses apôtres de posséder ni or, ni argent, d'avoir même de poche pour le met-tre. Il leur avoir recommandé le désintéressement, au point de n'avoir en propriété ni carrosse, ni... que dis-je? pas même le bâton dont ils se serviroient en voyageant: il voulut qu'en fait de subsis-tance ils s'en rapportassent entièrement à la charité des peuples.

En effet, l'église subsista long-temps des oblations volontaires des fidelles; et les apôtres, pour se transporter d'un endroit dans un autre, y alloient en marchant.

Le pouvoir que Jésus-Christ leur confia n'embrasse donc aucunement les objets extérieurs. Aussi les apôtres, avant de se séparer, composèrent à Jérusalem le symbole tel que nous le récitons: c'est-là toute la science canonique. Avec ce code portatif, chaque apôtre en savoit assez; il étoit sûr d'ap-prendre la même chose que tous les autres, quelque part qu'il se trouvât, et sous quelle dénomina-tion qu'il fût; ils ne songèrent point à faire d'autre exposition de principes que le simple symbole, et ils n'en auroient pas fait d'autre quand ils auroient été députés à une assemblée nationale. Les évê-ques de l'assemblée constituante ont fait un gros volume, sans compter des milliers de mandemens et de lettres pastorales, pour persuader aux peuples que rien ne peut s'opérer sur la surface de la terre, et principalement sur le territoire Français, que moyennant l'assentiment du pape et le leurs, ils se trompent bien visiblement, et pour le leur prouver reprenons l'histoire des pre- [338] miers siècles de l'église, où nous trouverons la marche des principes qu'ils abandonnent, et l'origine des abus qu'ils soutiennent.

Ce fut sous Constantin que le christianisme, après bien des épreuves, devint la religion de l'em-pire. Constantin prit pour modèle dans la formation des évêchés, relativement au territoire qu'il ac-corda à chaque siège; il prit pour modèle la distribution du territoire des magistrats civils. On peut penser qu'il auroit été singulièrement étonné si les évêques de ce temps-là lui eussent annoncé que cette distribution territorial imprimeroit sur la surface de l'empire, un caractère ineffaçable, ainsi que l'ordination l'imprimoit sur les personnes consacrées; mais les premiers ministres étoient bien éloignés de ces prétentions anti-canoniques, aussi Constantin les combla de faveurs; faveurs qui fu-rent bientôt transformées par l'ambition ecclésiastique, en autant de droits, que l'église n'entendit jamais s'approprier; car elle déclare encore ce qu'elle déclara par la bouche de son instituteur dès le commencement, savoir; qu'elle n'entend pas régner de la manière dont règnent les rois de la terre: mais elle réclame inutilement, car depuis longtemps le pape, les évêques du ci-devant corps du cler-gé se sont servis du pouvoir que leur avoient librement accordé les peuples et les princes, pouvoir toujours révocable à volonté, puisqu'il est dans l'église un pouvoir hétérogène; le pape et les évê-ques, dis-je, se sont servi de ce pouvoir étranger à l'église, pour opprimer l'église elle-même, c'est-à-dire, le corps des fidelles: ils ont prétendu, et ils ont encore la témérité de prétendre, que l'église a reçu de Jésus-Christ un pouvoir législatif, d'où ils concluent qu'ils ont des jurisdictions, des titres, des sujets et des territoires; toutes ces prétentions sont autant de chimères. Il est temps de venger l'église [339] en prouvant que l'évêque de Rome et les évêques du ci-devant clergé ont été et sont encore les vrais oppresseurs. Entrons en preuve.

Ce fut par le laps de temps qui corrompt les meilleures institutions, que les ministres des autels transformèrent en droits de l'église des jouissances que les princes leur avoient accordé par pure

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condescendance. Ainsi les successeurs des apôtres s'accoutumèrent à dire nos loix, notre jurisdic-tion, nos titres, notre territoire, et même nos sujets: termes tous abusifs, qu'ils empruntèrent de la puissance temporelle. En effet, c'est depuis que le pape est devenu souverain temporel et que les évêques ont été faits seigneurs des terres; c'est depuis cette époque qu'il a fallu trouver au pape et aux autres évêques des jurisdictions, des territoires et des sujets, sans compter des missions et des loix.

L'église n'a jamais fait de loix; car, comme je l'ai dit à la page 317, toute loi répond de son effi-cacité; elle est l'énoncé de la force conventionnelle. L'église propose des règles qui n'ont force de loix qu'autant que la nation ou le corps du peuple leur communique par sa sanction ce caractère obligatoire. Ainsi les articles décrétés par le concile de Trente n'ont point été obligatoires en France, par le défaut de sanction de la part du prince.

Les peines même de l'église ne sont pas coactives. Elle a sans doute le droit de séparer de la communion des membres corrupteurs; mais, que doivent faire les ministres qui célebreroient les saints mystères auxquels voudroient assister des excommuniés? Ils doivent les suspendre ou les ces-ser. C'est donc l'église qui plie toujours et qui ne contraint jamais.

Elle n'a donc non plus aucune jurisdiction, car la jurisdiction consiste, non pas seulement à arti-culer les points de droit, mais à les faire exécuter. [340]

Les titres des ministres sont tous dans leur caractère; ils n'en ont de temporels que ceux que la puissance temporelle a voulu leur accorder: une prise de possession est un acte civil; or le rapport spirituel qu'ils ont de plus est un visa; un visa est un jugement d'idoneité, qui suppose le pouvoir spirituel et qui ne le communique pas.

C'est sans doute un ordre respectable et salutaire que l'église a sagement établi entre ses ministres par ces institutions individuelles et locales, puisqu'elles montrent au peuple que celui qu'il a choisi pour le gouverner est habile à cet effet, et qu'elles instituent entre les pasteurs une fixité utile et né-cessaire.

Mais ce visa ou ces bulles, qu'on appeloient missions, ne sont la source d'aucun pouvoir spirituel. La source de tous les pouvoirs est dans l'ordination; aussi autrefois on ne connoissoit que la vacance d'un office et l'ordination, conformément au passage de l'apôtre: Sic nos existimet homo, ut minis-tros Dei, c'est un ministère qu'on nous communique, l'ordination en est la source unique.

Or l'ordination ne communique d'autre droit temporel, quand le peuple ne veut pas de notre mi-nistère, que celui de secouer en se retirant paisiblement la poussière de ses souliers; mais Jésus-Christ, dit-on, a distingué la mission de l'ordination: il étoit le maître de ne faire ses institutions que de la manière qui lui paroissoit convenable; mais, quoiqu'il en soit, de la manière dont il l'a fait, il est certain, par la tradition, qu'il n'a pas chargé l'église de distinguer la mission de l'ordination. En effet, sans recourir à des temps plus reculés, comment se pratiquoient les saintes règles avant les seigneuries temporelles du pape et des évêques, avant le fameux concordat? Quelle autre mission ont reçue les Ambroise, les [341] Chrysostôme, les Augustin, &c. &c. que la nomination du peuple et l'ordination?

Notre territoire est l'espace moral des consciences. Celui qui prétendroit avoir droit de planter une borne sur la surface de la terre, entreprendroit sur les droits de la puissance temporelle.

Nos sujets sont ceux qui veulent l'être; nous n'avons que des volontaires dans notre état, devenu si redoutable par la superstition. Voilà l'abrégé et le total de tous les droits canoniques.

Enseigner les vérités éternelles à ceux qui veulent nous entendre, remettre les péchés à ceux qui s'en repentent et les confessent, administrer les sacremens aux fidelles, décerner des peines contre des coupables et des obstinés, sans pouvoir les contraindre; voilà la somme des droits accordés à l'église.

Je dis décerner des peines contre les coupables; car il ne faut pas s'imaginer qu'une censure por-tée par l'évêque ou par des évêques contre un innocent l'atteigne.

Qui manet in charitate in Deo manet et Deus in eo. Je dis obstinés, car si des pécheurs, tout coupables qu'ils soient, veulent appartenir à l'église, ils

participent à sa communion dès ce moment, nonobstant toutes les censures, autrement il faudroit

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dire que l'église réprouve les pécheurs de bonne volonté; en un mot, il ne faut jamais confondre les prétentions ministérielles avec les droits réels de l'église.

Tout se réduit donc, quand il s'agit du pouvoir de l'église, à trouver des personnes qui veuillent se soumettre à elle. Ce n'est donc pas la peine de faire tant de bruit pour sauver nos loix, notre jurisdic-tion, notre territoire et nos sujets. Hélas! notre mission, ce mot si mal entendu et si mal pratiqué, est de rester tranquilles et d'y maintenir les autres. [342]

Ce n'est même pas la peine de faire tant d'étalage de science canonique; les apôtres avant de se séparer, je le répète, étoient convenus de toute la science nécessaire au salut, par l'arrêté des articles du symbole.

Ces vérités sont incontestables; et qui doit mieux les connoître que le clergé de France? Je vais le démontrer par un seul fait, et ce fait est tout frais encore. Lisez le rapport du procès-verbal de l'as-semblée générale du clergé en juin 1780; il étoit question des misérables congruistes, qui, ne trou-vant que des sentiments de finance dans le coeur des premiers pasteurs, avoient tenté de s'assem-bler, pour essayer de remuer la sensibilité des tribunaux par quelques remontrances. Entendez l'ora-teur de cette assemblée de gros décimateurs, dont la délicatesse ne souffre pas aujourd'hui que la na-tion se mêle de disposer du sort des ministres; c'est lui qui parle (il vit encore).

«Il semble que les curés veuillent obtenir l'augmentation de la portion congrue, par une autre voie que celle du gouvernement, qui n'est susceptible d'aucune procédure».

On pouvoit tout alors sans procédure, moyennant la manipulation ministérielle; maintenant on invoque des formes canoniques.

Ajoutons un autre trait. Que fit le clergé, quand il voulut dépouiller les curés des novales? Notez que les novales étoient de toute justice, car les défriches suivent les proportions de la po-

pulation; or plus une paroisse se peuple, et plus le curé se surcharge, et conséquemment plus il ac-quiert de droits au salaire.

Le clergé fit ainsi parler Louis XV, édit de 1768. «Nous avons toujours envisagé comme un de nos [343] premiers devoirs, de procurer à nos peu-

ples des pasteurs qui, débarrassés des sollicitudes temporelles, n'eussent à s'occuper qu'à leur don-ner de bons exemples et de salutaires instructions».

En conséquence, on condamna tous les curés à être privés de l'apanage le plus légitime et le mieux mérité, afin d'en investir les gros décimateurs, qui, moyennant ce trait surnaturel prêté gratui-tement à Louis XV, firent doubler, tripler et quadrupler leurs baux en ferme.

On ne doit pas douter de la vérité de ce fait, M. Camus, Avocat du clergé, nous assure, dans son ouvrage sur les portions congrues, ouvrage imprimé du temps du despotisme ecclésiastique, nous assure, à la page 298, tome I., «que les commissaires du clergé dressèrent le projet d'une loi nou-velle, lequel projet fut lu à l'assemblée, et il obtint, ajoue-t-il en propres termes, son approbation unanime».

Comment donc le pouvoir temporel a-t-il tant perdu de ses forces? Il n'y a que quelques jours qu'il pouvoit tout sans aucune forme canonique, même dépouiller les pasteurs, et maintenant il ne peut rien. Hélas! la raison de cette différence vient de ce que jadis il dépouilloit les misérables congruistes afin d'enrichir les évêques, les chanoines, les prieurs et les gros abbés, et qu'aujourd'hui il cherche à doter les curés en dépouillant de leur surabondance une nuée de ministres voués au faste et à l'inutilité.

Mais achevons de démontrer l'oppression de l'évêque de Rome et des évêques de France, ci de-vant corps du clergé; et pour cet effet, ouvrons les écritures.

Dieu voulant sanctifier et sauver l'homme par l'amour de la justice et de la vérité, a voulu que cet amour de la justice et de la vérité, a voulu que cet amour qui le sanctifie, fût en même-temps l'ou-vrage de sa grâce, et l'ouvrage de l'homme, et que le salut [344] qu'il y a attaché, fût la récompense de son mérite par un saint et libre usage de sa volonté.

Telle est en effet l'économie de la religion de Jésus-Christ, parce que l'homme ne peut être sanc-tifié ni sauvé qu'il ne le veuille, et qu'il ne le veuille librement. C'est dans cette vue que le divin lé-

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gislateur a banni de l'établissement de sa religion tout ce qui peut ressentir la violence et la force, et qu'il n'y a employé que les motifs capables de faire impression sur les esprits et sur les coeurs, l'ins-truction, les miracles, comme preuves de sa mission, la promesse des récompenses, et la crainte des peines éternelles. Mon Royaume n'est pas de ce monde, dit-il à Pilate: comme il n'a rien de commun avec le monde qui périt, je n'ai que faire de sa foible puissance pour l'établir. Je suis roi, mais je ne le suis que pour la vérité, et je suis venu pour lui rendre témoignage: comme je ne règne que pour elle, ce n'est aussi que par elle que je veux régner: quiconque est né d'elle, entend ma voix et recon-noit mon empire: je ne veux ni d'autres sujets que ceux qu'elle me donne, ni d'autre lien pour me les attacher, ni d'autres armes pour me les soumettre. Loin de moi toute autre force: non-seulement je veux régner sans elle, mais sans elle je soutiendrai les plus grands efforts, et j'en triompherai. Vous, que je veux charger du soin de poursuivre et de perpétuer ma victoire, je vous envoie, dit-il à ses disciples, comme des brebis au milieu des loups: le serviteur n'est pas au-dessus du maître: pour vaincre comme moi, n'employez que mes armes, et combattez comme j'ai moi-même combattu. Par-tez, enfans du tonnerre; que votre voix se fasse entendre de l'un à l'autre bout du monde. La parole de vérité que j'ai mise dans votre bouche, est la seule force que je vous permets d'employer; elle seule vous soumettra l'univers conjuré contre elle et contre vous. [345]

Que ces religions insensées, que les passions et la politique ont enfantées, se soient donc établies par la force et se soutiennent de même, cela n'est point étonnant. Mais la véritable religion, la reli-gion du coeur, celle dont l'objet est de sanctifier et de sauver l'homme, celle dont l'auteur n'a point d'autre nom que celui de sauveur, ou dont tous les autres noms se rapportent à celui-là pour son éta-blissement et sa conservation, cette religion, dis-je, n'a que faire de force, parce que ce n'est point par la force qu'on fait croire les hommes, et qu'on les fait aimer; leur esprit et leur coeur ne pouvant être déterminés, l'esprit à croire, que par les motifs de raison ou d'autorité qu'on lui propose; et le coeur à aimer, que par les motifs d'espérance, de crainte ou d'amour qui, dans l'ordre de la religion, peuvent agir sur lui. Tel est donc l'objet de la puissance spirituelle, qui ne se peut proposer que la sanctification et le salut des hommes, et tout cela par un saint et libre usage de leur volonté.

Le caractère essentiel de la puissance spirituelle est donc, non le domaine, dominium, mais l'ex-clusion formelle du domaine; ses sujets étant essentiellement les propriétaires de leurs actes, dont le domaine ne peut leur être enlevé, et de-là vient:

1.° Que l'obéissance qu'ils lui rendent, qu'ils lui doivent, ne peut être qu'une obéissance volon-taire et libre.

2.° Qu'à la différence des peines de la puissance temporelle, celles de la puissance spirituelle suivent nécessairement le mérite ou le démérite du sujet, la peine demeurant sans effet, supposé qu'elle n'ait pas été méritée.

Par-là on sent l'exacte vérité de cette parole de Jésus-Christ, reges gentium dominantur carum, [346] vos autem non sic; les rois de la terre ont un domaine, mais non pas vous: de celles de saint Paul; non dominamur fidaei vestrae, nous n'avons pas de domaine sur votre foi; et de celles de saint Pierre, non dominantes in cleris, il n'est point de domination à exercer sur le clergé; ce qui fait dire à b. de marca, que, verus dominatus est apud Principes, non autem penes sacerdotium; que le sa-cerdoce ne jouit d'aucune domination, laquelle est réservée aux princes. Ainsi ces grands mots de territoire, et de jurisdiction et de sujets furent inconnus à l'antiquité; ce ne fut qu'après l'investiture du pape et des évêques de leurs principautés terrestres et de leurs seigneuries temporelles, que, fai-sant leur ciel de la terre, ils spiritualisèrent tous les noms d'ici-bas.

On ne finiroit pas si l'on vouloit rapporter tout ce que les pères ont dit à ce sujet, et pour faire sentir que Jésus-Christ a posé lui-même les bornes et la distinction des deux puissances. dans la domination d'une part, et de l'autre dans l'exclusion absolue de toute domination.

Vouloir s'attribuer un titre, une jurisdiction, un sujet, un territoire sur un espace moral dont l'es-sence est la liberté, tel que l'est l'espace, si je puis le dire, où notre conscience se meurt, vit et existe. C'est non seulement une absurdité, mais la plus formelle de toutes les hérésies.

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En effet Dieu lui-même agissant sur les âmes, non-seulement par les grâces extérieures, mais immédiatement par sa lumière, par les inspirations de son amour, et par la frayeur de ses redouta-bles jugemens, n'exerce pas cependant de jurisdiction proprement dite sur elles.

Les pasteurs de son église, qui par rapport à lui n'agissent qu'en sous-ordre, et qui n'ont rien de son [347] action immédiate, réclament, à quelque prix que ce soit, un pouvoir de jurisdiction sur ces mêmes âmes: cela se conçoit-il, et croiroit-on qu'on eût porté l'éblouissement jusques-là? Tel est ce-lui du pape et des évêques du ci-devant clergé; tels sont ceux de nos incomparables professeurs en théologie, et tout cela au nom de Jésus-Christ.

Du moins auroient-ils dû respecter les propres expressions de Jésus-Christ: Paissez, dit-il, le troupeau, non par la coaction, non coacté, mais par une affection volontaire, sed spontanée. Conduisez-vous de la sorte pour agir selon Dieu, secundum Deum, parce qu'en effet Dieu ne voulant point d'une volonté de cette espèce, c'est aller directement contre les vues de Dieu dans l'établisse-ment de la puissance ecclésiastique, que de la faire servir à conduire les hommes dans l'ordre de la religion par un pouvoir judiciaire, et non par un saint et libre usage de leur volonté, providentes non coactè, sed spontaneè, sed voluntariè, secundum Deum [sic].

Ce n'est pas que je condamne, il s'en faut bien, les réglemens ecclésiastiques qui donnent aux pasteurs et aux troupeaux une fixité locale: je veux dire uniquement que cette fixité salutaire, sur la-quelle le pape et les évêques établissent ces mots despotiques, de nos titres, notre jurisdiction, nos sujets et nos territoires; je veux dire que cette fixité est le prononcé de la volonté du peuple qui se renferme lui-même et de son propre mouvement dans cette localité; car, qui a jamais disputé à une nation le droit de se former en fractions locales, et a un individu le droit de sortir, quand cela lui a plu, d'un diocèse ou d'une paroisse, et d'être catholique ou protestant, et même juif s'il lui en a pris l'envie? Oh! mais... je vais répondre à un autre mais qui fait [348] toute la fortune et la ressource des professeurs de théologie.

Objections

Mais que deviennent donc ces textes si formels: tout ce que vous lierez sur la terre, sera lié dans le Ciel. Si votre frère n'écoute pas l'église, qu'il soit pour vous comme un Publicain et comme un Payen. Nous faisons encore, dit-on, des décisions, tant sur la foi que sur les moeurs; n'est-on pas obligé de s'y soumettre? Nous frappons d'excommunication l'esprit indocile qui s'élève contre l'au-torité de l'église. Qu'est-ce qu'un pouvoir coactif, si ce n'est pas cela?

A toutes ces questions la réponse est naturelle. Cet homme que vous liez, le liez-vous autrement que Dieu ne le lie lui-même? Cet excommunié qui doit être comme mort à nos yeux, meurt-t-il en effet d'une autre mort que de celle qu'il se donne? Si vous le livrez à Satan, lui est-il autrement livré que par sa propre volonté? Comment donc le pouvoir que vous exercez à tous ces différens égards, seroit-il un pouvoir de jurisdiction?

C'est dans ce sens que l'Apôtre saint Paul disoit à Tite: Evitez l'homme hérétique après une ou deux corrections, sachant que cet homme est perdu et coupable, parce qu'il est condamné par son propre jugement; cum sit proprio judicio condemnatur. Comme s'il lui eût dit. Son jugement a pré-cédé le vôtre, et le vôtre n'est proprement que l'exécution du sien. Bornez-vous donc à le reprendre une ou deux fois: après quoi fuyez-le, aban-[349]donnez-le à lui-même qui s'est condamné: tout ce que vous feriez contre lui, seroit fort inutile.

La réponse à toutes ces fausses inductions par lesquelles on s'efforce d'établir que le pouvoir de l'église est un pouvoir de jurisdiction, s'offre donc et se présente comme d'elle-même.

Cet excommunié, cet homme que vous dites l'être malgré lui, mérite-t-il, ou ne mérite-t-il pas, quand il se soumet? Et supposé qu'il résiste, est-il ou n'est-il pas coupable? Je demande la même chose de tous les différens exercices de la puissance ecclésiastique, tant par rapport, aux décisions de foi, que par rapport aux régie mens de discipline: anéantissent-ils ou n'anéantissent-ils pas le mé-rite? Choisissez.

Si vous dites qu'ils anéantissent le mérite, vous détruisez la religion, et conséquemment la puis-sance ecclésiastique même, qui n'est établie que pour conduire les hommes au salut par leurs méri-

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tes, unis par la grâce à ceux du médiateur: et si vous dites que ces différens exercices du pouvoir ec-clésiastique ne détruisent pas le mérite, comment ce pouvoir seroit-il une jurisdiction, puisque non seulement toute coaction, mais même toute nécessité la détruit si parfaitement, que ce seroit une hé-résie formelle, de ne le pas reconnoître? Qui ne sait pas que la jurisdiction consiste moins dans le pouvoir de juger, que dans le pouvoir de faire exécuter ses jugemens?

Enfin, pour achever de confondre tout l'espoir des non-conformistes, caractérisons bien les res-sorts des deux puissances [350].

Quelle est la nature du pouvoir du sacerdoce et de l'empire

La puissance temporelle ayant pour objet l'ordre à conserver dans la vie présente, on conçoit ai-sément que cet ordre ne souffre de délai dans son exécution. Serait-il question de mettre l'ordre dans les choses présentes, quand elles seront passées? Comme elles passent donc tous les jours, il a fallu que la puissance établie pour y maintenir l'ordre, eût en main une exécution journalière, dont l'ordre des choses ne sauroit se passer. En est-il de même de la puissance spirituelle? Etablie non par rap-port aux choses qui passent, mais par rapport à celles qui ne passent point; non dans l'ordre des cho-ses présentes, mais des choses futures; non seulement l'exécution forcée de ses ordres n'a rien de pressé, mais la disposition même & l'arrangement des choses futures demande qu'elle soit différée. La sanctification des âmes est son objet; et c'est par-là qu'elle entre dans les vues de Dieu, qui ne l'a établie que pour la formation de ce monde invisible, dont il est seul le maître et le roi.

Ainsi dans la formation de ce monde invisible, et dans l'ordre que le roi des siècles veut y mettre, à quoi destine-t-il les jours de la vie présente? Qui ne sait que ces jours sont le temps favorable, les jours du salut, les jours de la préparation et du travail, les jours du mérite de l'homme, & de la pa-tience de Dieu? Un jour viendra, sans doute, dans lequel le maître et le roi des esprits exercera toute la puissance qu'il a, de perdre et les corps et les âmes: encore ne l'exercera-t-il qu'à raison du mérite ou du démérite que les hommes auront acquis pendant leur vie. Ses jugemens, et les ordres qu'il a [351] donnés, ou par lui-même ou par ses ministres, auront alors une exécution éternelle: alors dit l'Ecriture, il fera triompher la justice de sa cause: Donec efficiat ad victoriam judicium. Et qui pour-roit résister à ce qu'il ordonnera? Mais le roi des esprit est aussi leur père, Spirituum pater. Et il ne veut se montrer leur juge et leur roi, qu'après s'être montré leur juge et leur roi, qu'après s'être mon-tré leur père. Il ne fera donc pas triompher d'abord ses jugemens: il se contentera de les proposer dit l'Ecriture Judicium gentibus nuntiabit. Il en attendra l'exécution de la part de l'homme, il l'y invitera, il l'y sollicitera par la crainte, par la beauté de la justice qu'il fera sentir à son coeur, et par la connoissance des devoirs dont il éclairera son esprit: du reste il s'interdira toute contrainte à cet égard, parce qu'il veut que la soumission à ses jugemens soit le fruit de la volonté libre de l'homme, et qu'elle entre ainsi dans l'économie du salut. C'est dans ce sens que Jésus-Christ lui-même a dit, que le Père n'a pas envoyé le Fils pour juger le monde, mais pour le sauver. Et dans une autre en-droit: je ne suis pas venu pour juger le monde, mais pour le sauver. Non veni ut judicem mundi, sed ut salvificem mundum. Celui qui ne reçoit pas mes paroles, qui le jugera: la parole que j'ai annon-cée, est ce qui le jugera dans le dernier jour. Qui non accipit verba mea, habet qui judicet eum; ser-mo quem locutus sum, ipse judicabit eum in novissimo die. Jésus-Christ lui-même n'a donc pas vou-lu dans la vie présente exercer la plénitude de jugement qui porte avec soi l'exécution forcée du ju-gement rendu; car ce n'est-que dans ce sens qu'il a pu dire: Qu'il n'étoit pas venu pour juger le monde. Il étoit venu sans doute pour y porter le jugement, judicium proferet, mais non pour le faire exécuter de force; parce [352] qu'il n'eût pu le faire sans renverser l'ordre des choses et l'économie du salut, qui ne peut s'opérer que par une exécution libre et non forcée; de sorte qu'en attendant de la part de l'homme cette exécution libre, toute exécution forcée a dû conséquemment être remise au dernier jour.

Le pape et les évêques ont-ils donc une autre puissance que celle de Jésus-Christ; peuvent-ils se proposer d'autres vues, un autre plan, un autre ordre de choses? Un jour viendra, sans doute, où les dépositaires fidèles de cette puissance jugeront pleinement avec Jésus-Christ, Sedebitis et vos judi-cantes. Mais jusques-là peuvent-ils dire autre chose de leur pouvoir et de leur mission, que ce que

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Jésus-Christ a dit de la sienne? Je ne suis pas venu pour juger le monde, mais pour le sauver. Et si Jésus-Christ, agissant dans cet ordre du salut, n'a pas voulu que ses propres jugemens portassent leur exécution par eux-mêmes dans la vie présente, comment seroit-il possible d'accorder ce pou-voir d'exécution aux dépositaires de sa puissance? L'ordre même des choses qu'ils ne peuvent chan-ger ne s' oppose-t-il pas directement à cette prétention? La puissance ecclésiastique n'est donc qu'une puissance économique et paternelle, et non une puissance despotique et souveraine: c'est-là sa gloire, parce qu'elle n'entre que par-là dans les desseins de Dieu, qui dans la vie présente ne veut avoir d'autre nom à notre égard que celui de Père. On la déshonore cette puissance par toutes ses idées de force, de coaction, de jurisdiction, de contrainte. Nulle puissance, dit saint Chrisostome, n'est comparable à la nôtre; et pourquoi? Parce que la soumission à nos ordonnances est toute en-tière au pouvoir du malade, et non du médecin: Illic enim curationis suscipiendae facilitas omnis, non in eo qui [353] medicinam adhibet, sed in eo qui laborat, posita est.

Le pape et les évêques n'ont donc reçu de Jésus-Christ ni titre, ni jurisdiction, ni sujets, ni terri-toire; c'est uniquement à la volonté des fidelles qu'il appartient de leur conférer le titre ou la faculté d'exercer le pouvoir de l'église, de leur désigner les sujets et le territoire, de manière qu'au lieu que les ministres aient les droits que réclament nos despotes spirituels sur les fidelles, ce sont les fidelles qui ont tout droit sur leur ministère. Que les peuples nous considèrent, disoit l'apôtre, non comme des maîtres, des seigneurs ayant des titres, des jurisdictions, des sujets et des territoires, mais comme les serviteurs des serviteurs, qui sont aux ordres du moindre des hommes. Omnibus debitor sum: Sic nos existimet homo ut ministros, et dispensatores mysteriorum Christi.

Cessez donc, pontife de Rome, vous qui n'êtes le premier que parce que vous êtes obligé d'être pour nous tous un modèle d'humilité, en nous surpassant dans la pratique de cette vertu; cessez de faire sonner si haut votre empire; et toi, trop visible corps du ci-devant clergé, baisse les yeux, et soumets-toi, ou loin de crier à la persécution, confesse que tu mérites l'exil et les cachots, comme étant perturbateur de la tranquillité publique.

En effet, l'Etat pourrait-il ne pas sentir de quelle conséquence il est pour l'ordre public de s'oppo-ser avec courage à une prétention dont les suites ne sont en effet que trop certaines, trop fâcheuses, trop sensibles, et trop inévitables? Jésus-Christ, le Dieu de la paix, n'auroit-il il donc établi les hommes dépositaires de sa puissance, que pour les mettre en état de troubler impunément cette paix dans tous les lieux où l'on reconnoitroit cette puissance? lui [354] qui leur a dit si formellement de n'entrer nulle part, qu'en disant: la paix soit dans cette maison et parmi ceux qui l'habitent. Et tout le fruit que l'Empire retireroit de la protection qu'il donne à l'église, ne se termineroit-il enfin, qu'à le priver non seulement d'une partie de sa puissance, mais encore de toute ressource contre les entre-prises de la puissance ecclésiastiques, qu'il seroit tenu de souffrir sans qu'il fût possible d'y apporter du remède?

Ce n'est pas tout, non-seulement cette jurisdiction extérieure, indépendante de la concession du peuple, partage l'Empire entre les évêques et la Nation, mais elle iroit encore à s'établir sur elle-même; et c'est ici une seconde vue à laquelle on ne sauroit donner trop d'attention. Qu'on suppose en effet ce for extérieure, cette puissance portant jurisdiction; en un mot, qu'on suppose une fois cette domination épiscopale établie, comme faisant partie du propre domaine de l'église, et non de la police de l'Etat par la concession nationale, la conséquence est inévitable, et les peuples n'ont plus qu'à choisir, ou de laisser là cette domination pour ce qu'elle est, ou de s'y reconnoître eux-mêmes assujettis, sans qu'il leur soit possible de se défendre eux-mêmes des torts qui pourraient leur être faits, qu'en secouant le joug et se séparant de l'église. Ainsi chaque peuple devra renoncer à l'église, ou reconnoître dans son propre état un for extérieur devant lequel il peut être cité; une puissance ex-térieure à la quelle il doit être assujetti; une jurisdiction extérieure contre lui-même. Où nous mène-t-on? Et cette réflexion toute seule ne devroit-elle pas avoir fait sentir la témérité de ces dangereuses maximes?

Tout dépend donc d'un seul point dans ces matières, et ce point consiste à renfermer chacune des deux puissances dans l'ordre de la société, par rap- [355] port à laquelle chacune d'elles est établie. C'est dans ce sens et par cette raison que le célèbre Bossuet a dit, que la religion et l'empire ont été

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de telle sorte établis de Dieu, que l'une peut avoir toute sa perfection dans son genre, sans le secours de l'autre. Jamais l'église n'a été plus éclatante, ni sa puissance plus véritablement grande et parfaite, que dans le temps même qu'elle paroissoit comme succomber sous les efforts de l'empire conjuré contre elle. Qu'on la fasse encore subsister cette puissance dans ce qu'elle est véritablement, rien de plus auguste ni de plus divin, et par conséquent rien de plus respectable qu'elle. Toute sa force est dans la vertu, son courage dans la foi, et son immobile fermeté dans l'espérance inébranlable des promesses qui lui ont été faites. Elle ne parle et n'instruit que pour la vérité, n'ordonne que pour la justice, ne règne que par l'amour, et ne se fait obéir que par la confiance. L'exécution de ses juge-mens est dans leur équité, la force de ses commande mens dans leurs avantages, l'autorité de ses dé-cisions dans la sagesse de ses conseils, et dans sa constance à persévérer invariablement dans la pro-fession publique de sa doctrine. De gloire, elle n'en connoît qu'à mépriser tout ce que l'homme peut être obligé de perdre malgré soi, et qui par cela même ne sauroit être ses véritables biens: de gran-deur, qu'à n'estimer que ceux que ni la mort, ni les accidens de la vie ne sauroient enlever; de véri-table noblesse, qu'à descendre de Dieu; ni de sublimités de vues, qu'à lui ramener les hommes. Ses sujets sont les enfans du Très-haut: ses fonctions à leur égard se réduisent à les conduire en son nom; son élévation au-dessus d'eux, à leur être utile, et à mépriser toute domination, parce que la domination ne sauroit les rendre meilleurs. L'étendue de son empire ne connoit de bornes que celles de l'univers: sa durée est la durée [356] du monde même. Sa fin est l'immortalité, et son unique oc-cupation, en l'attendant, est le soin qu'elle prend de conserver les hommes dans la paix avec tout ce qui les environne, leur apprenant à respecter par la religion l'ordre public, à craindre de le troubler, et à se soumettre invariablement par l'ordre de Dieu aux puissances qu'il a lui-même établies sur la terre, pendant que le reste des hommes ne leur demeure assujetti, que par les vils et trop fragiles motifs de l'intérêt ou de la crainte.

Qu'y a-t-il de plus grand qu'une puissance de ce caractère? Que pourroit craindre l'empire de son établissement, ou de ses progrès? Combien la jugera-t-il digne de toute sa protection, quand il aura le bonheur de la connoître! Tout cela sans doute est très-vrai. Que l'on substitue à ces idées si dignes de Dieu, celles que la vaine ambition de l'esprit humain s'efforce de mettre à la place, et bientôt la jalousie se fera sentir entre le sacerdoce et l'empire. De la jalousie naîtront les inquiétudes et les dé-fiances; de la défiance les entreprises; des entreprises le trouble et la confusion; de la confusion la mésintelligence; et peut-être même les ruptures les plus fâcheuses, que Dieu dans sa miséricorde veuille détourner. On sentira la nécessité de se démêler, et peut-être l'essaiera-t-on, sans qu'il soit possible d'en venir à bout, pendant que l'on tiendra trop fortement à des prétentions que les illusions du coeur ont rendu chères, et qu'on a voulu comme sanctifier par de fausses vues de religion. On ne sauroit rentrer dans l'ordre qu'en revenant à la règle que le principe de tout ordre à lui-même établie; et cette règle, la voici, dit saint Bernard: forma Apostolica haec est. Les puissances temporelles exercent la domination sur ceux qui leur sont assujettis; mais pour nous, il n'en est pas ainsi. Règle apostolique, et tout ensemble règle divine, [357] c'est la voix du seigneur qui l'a donnée, vox Domini est. Toute domination est interdite aux apôtres et à leurs successeurs: Planum est; Apostolis interdi-citur dominatio. Deux sortes de grandeurs ont par son ordre partagé toute puissance. La première est celle qui consiste à servir, à se rendre utile aux hommes qui veulent devenir meilleurs; et la se-conde consiste à commander à ceux qui ne s'en embarrassent guère, et qui, dès-là même, méritent d'être commandés et dominés. Celle-ci s'appelle domination; la première ministère, dominatio, mi-nistratio. Choisissez de l'une ou de l'autre; car vous ne sauriez avoir les deux tout à-la-fois, plane ab alterutro prohiberis. Vous réduisez-vous au ministère, abandonnez la domination qui vous est in-terdite en elle-même et dans ses conséquences. Dominatio interdicitur, indicitur ministratio. Laissez donc la domination à l'Empire: car de vouloir vous l'arroger après avoir choisi le ministère, ce n'est pas accorder le sacerdoce et l'empire, mais vous exposer trop visiblement à perdre l'un et l'autre: quo si utrumque habere volueris, perdes utrumque.

Malheureusement, c'est ce que tentent de faire, sans le vouloir, tant de saintes âmes, dominées par l'esprit aveugle du pape, des évêques et des professeurs de séminaire.

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Conclusion

Il résulte du développement de ces principes, deux questions absolument décisives. 1°. Qui a autorisé la nomination du pape par un conclave, au préjudice du peuple romain? C'est

l'église, dit-on, c'est-à-dire, les ministres de l'église [358] car l'église où le corps des fidelles en ser-vitude n'a pas pu énoncer son voeu, voyez ce qu'a fait l'église de France au sujet du concordat: dès que les fidelles ont eu la liberté de s'expliquer, ils ont anéanti ce pacte injuste. Qui nous a dit que le peuple romain ne suivroit pas ce procédé contre l'institution du conclave, s'il rentroit dans sa pre-mière liberté?

Il faut distinguer la religion des ministres, de la religion de Jésus-Christ; une preuve que l'église n'a pas accordé le droit que s'arroge le conclave, et celui que soutiennent les partisans du concordat, c'est que l'église même universelle n'en avoit pas le droit; Jésus-Christ n'a donné à son église qu'un gouvernement paternel. Les ministres sont les pères adoptifs des peuples; ils ont le droit d'établir des règles extérieures vraiment obligatoires; mais il faut préalablement que les peuples les aient adoptées. Ils sont les médecins des âmes: mais quel est le médecin qui s'arroge le droit d'ordonner des remèdes dans une maison, sans être appelé par la confiance des malades qui ont besoin de son ministère? Ce qu'il y a de bien sûr, c'est que l'église n'a que le pouvoir de Jésus-Christ; or, Jésus-Christ n'a jamais prétendu exercer son ministère, même dans les bourgades qui n'ont pas voulu de ses bons offices; et l'église, dans les premiers siècles, donnoit un autre évêque à toute église qui ne vouloit pas de l'évêque qu'on lui avoit envoyé. L'église de ces premiers temps, connoissoit mieux ses droits que l'église moderne, c'est-à-dire, que les ministres de ces derniers siècles; car l'église n'a point changé d'esprit; elle n'a rien perdu de ses principes antiques qui excluent toute prétention.

2°. Qui a autorisé les nominations royales de nos anciens pontifes? L'église encore, dit-on, et c'est toujours l'église que les ministres mettent en [359] avant pour soutenir leurs prétentions indivi-duelles: mais l'église, je le répète, n'en avoit pas le droit; elle ne l'a donc pas fait? car l'église est in-faillible. Telle est ma croyance, je donnerois mon sang pour le soutien de cette vérité.

Ainsi le pape fera bien de jouir paisiblement de la tolérance qui nous détermine à le reconnoître; s'il excède la tolérance, nous lui montrerons paisiblement le vice de son origine, et sans faire de brê-che à la paix de l'église, nous le forcerons à être modeste dans l'usage de sa primauté. Pour moi, en respectant tous les droits du Saint-siège, je suis bien loin de redouter les anathèmes de Pie VI, ni les caprices injustes d'une cour corrompue qui l'environne; le costume dont elle est revêtue annonce par sa couleur, celle qui devroit couvrir le visage de tous ceux qui en sont revêtus.

Ma fermeté, jointe à une soumission inviolable aux saintes règles, c'est-à-dire, aux articles du symbole et à tous les canons universellement reçus, est faite pour édifier. Si mes antagonistes espè-rent de triompher en me montrant des erreurs dans mes écrits, ils se trompent; car le jour même où ils me démontreront que je me suis trompé, sera un jour de triomphe pour moi; au moment et à l'heure même je me rétracterai, je confesserai mon erreur en face de l'Europe entière: avec de telles dispositions on est toujours au-dessus de la crainte. Je ne crains pas le nombre de mes ennemis, au contraire, s'ils ont la vérité pour eux, qu'ils la montrent; je les provoque tous à m'aider à faire cette découverte, et je m'empresserai à les seconder [360].

6.

N. 30, 3 settembre 1792, pp. 113-115.

Avis de l'auteur

Jamais nous n'atteindrons la tranquillité sociale & morale, que par un aveu clair & un dévelop-pement sincère de toutes les erreurs & de tous les principes.

Je crois & je crois fermement en un seul Dieu, &c. (au symbole) je crois aux promesses infailli-bles de Jésus-Christ, dans l'infaillibilité, l'indéfectibilité & la catholicité de son église, et à la pri-mauté du pape, car je suis orthodoxe; mais je crois & je le démontrerai, 1°. que le pape ni les évê-ques seuls ne sont pas l'Eglise, comme ils le prétendent; 2°. que le pape n'a que la plénitude du sa-

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cerdoce, & que le local appelé Rome, ne confère aucune surabondance de pouvoir; en sorte que l'évêque de Rome est apôtre comme les autres, & que les autres évêques sont apôtres comme lui, tous propres à être papes, sans aucun autre degré de pouvoir, &c. J'expliquerai très-au-long ma pen-sée; en attendant, j'avance que de droit divin, l'évêque de Rome n'a que l'apostolat, & que tout le reste de cet accessoire de puissance dont il tire vanité, & dont il abuse, lui vient d'une convention ecclésiastique. Je crois qu'il n'est d'article essentiel au corps visible de l'église que l'unité; mais qu'il [113] n'importe pas que ce point d'unité soit concentré dans Rome. Tous ces points, bien dévelop-pés, amèneront la paix dans les consciences timorées; or je les développerai ces divers points, non par le témoignage des pères & des conciles; car tout y est contradiction. A part les articles relatifs au symbole, dont l'église en corps est la dépositaire, & sur lesquels elle ne sera jamais induite en er-reur; tous autres articles sont purement d'institution humaine, & conséquemment susceptibles d'être changés selon les circonstances. Il est au sein du christianisme une infinité de règles & de statuts il-lusoires, & même injustes, qui ont été faits au nom de l'église, & que l'église a toujours repoussé; mais toujours oppressée par le pape & le haut-clergé, elle n'a pu jusqu'à ce moment s'en faire jus-tice; & c'est si bien l'ouvrage des hommes, que je défie dans tout ce qui n'appartient pas au Sym-bole..., le plus irrité de nos scholastiques, de me citer le passage d'un père, sans que je lui oppose un passage d'un autre père, & souvent un passage opposé, pris dans les ouvrages de ce père même. Je le défie encore de me citer un canon contre lequel je ne puisse lui montrer un autre canon. Je dis bien plus, je défie le plus savant des non-conformistes de me dire, 1°. s'il y a eu des conciles oecu-méniques? 2°. s'il en est, quels sont-ils? car l'histoire ecclésiastique fourmille d'opinions qui se contredisent à cet égard; 3°. quels sont ceux qui sont légitimes; car on voit le même inconvénient pour se fixer sur cette légitimité?

Enfin, enfin, à quelles marques, à quelles conditions on peut reconnoître un concile vraiment oe-cuménique. Il n'est pas jusqu'au [114] concile de Nicée, auquel on ne pût contester l'oecuménicité; car la plupart des scholastiques prétendent qu'il faut que le pape convoque le concile, pour qu'il puisse être considéré comme oecuménique. Voilà des questions propres à intimider les ignorans & les pusillanimes; car pour peu qu'on connoisse l'antiquité, bien loin de s'étonner de tous les défis que je donne, on ne peut qu'en être édifié; c'est l'esprit des hommes, leurs factions, leurs cabales, leurs crimes, leur avidité; en un mot, leur perversité qui a rendu la religion de Jésus-Christ ainsi mé-connoissable; mais l'erreur qu'il paroît le plus pressant de faire disparoître est celle qui concerne le pape.

J'en parlerai dans les Numéros suivans; assurément on verra ques je suis orthodoxe.

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APPENDICE C

Breve dettaglio della Società, o Setta scoperta nell'arresto di Ottavio Cappelli, tratto dalle Carte allo stesso perquisite (1790)1.

È assai difficile il dettagliare una Società stravagante per se stessa, ed equivoca da un Carteggio di pochi mesi, di poche Persone, ed in cui più si accenna quanto alla giornata andava occorrendo al-la società stessa, che non si descriva l'indole sua, le sue prattiche, ed i suoi statuti: E tale appunto è il carteggio perquisito al Cappelli consistendo questo in 50 lettere circa del corrente anno prove-nienti presso che tutte d'Avignone da sette, o otto de principali membri di questa unione, i quali s'indirizzavano a Lui per avere istruzzioni, e per comunicargli ancora quanto andava colà accadendo [557] di singolare che potesse interessare la Società.

È chiaro però in Processo, che non è in quest'anno soltanto incominciata la comunicazione, e il carteggio dell'inquisito Cappelli cogli Avignonesi, e altri della Società, ma bensì da tre anni, e mez-zo circa a questa parte almeno. Sarebbe perciò stato desiderabile, che tutto si fosse conservato, e venuto in potere del Fisco, che forse meglio potrebbesi rilevare l'origine, la natura, lo scopo, l'esten-zione di questa combriccola. Ma incominciando il Carteggio, che si ha negli atti in data dei 2 di Gennaro del cadente 1790, e continuando senza interruzzione in tutte le Poste successive, ed anche posteriori alla sua carcerazione sino al di 1 di Ottobre, perciò, è presumibile, che d'anno in anno an-dasse il Cappelli abbrugiando [557 v.] le lettere degl'anni antecedenti, e conservasse sol quelle del corrente, defraudando così de migliori monumenti quei che avessero voluto tessere una minuta sto-ria di quella Società, che Egli favoriva, e proteggeva.

Secondo adunque il prospetto, che forma di questa unione l'accennato ristretto Carteggio, con-viene definirla come una Società d'Ispirati, ed Ispirate, ossia di Uomini, e Donne, che regolano le loro azzioni religiose, morali, politiche, ed economiche secondo gl'immediati, o mediati oracoli de-gli Angeli, e della Kabala.

Sono principalmente gli Arcangeli Gabriele, e Raffaele, che appajono i Direttori, e Protettori di questa Setta. Vantano alcuni Capi dell'Unione, e specialmente il Cappelli, di avere con queste Cele-sti intelligenze visibili Congressi, reali [558]2 colloqui, o di ricevere dalle medesime interne illu-strazioni, ed ispirazioni. Le risposte, che vengono fatte ai loro quesiti dagli Angeli o personalmente nelle loro comparse, o mediante le operazioni, e Calcoli Kabalistici (nel che si mostrano assai istrut-ti, e ben muniti di scritti sortileghi, e superstiziosi) sono quelle, che decidono su quanto hanno essi a fare, o a credere, e a sperare. Parlano anche gl'Angeli ai Membri dell'Unione senza essere interroga-ti dai medesimi, ed ordinano, consigliano, prenunziano; e questi ordini, consigli, predizioni fatte da-gli Angeli dalle loro apparizioni personali, nei Sogni si comunicano alla Società colla spiegazione del Fratello Profeta, onde siano eseguiti, e secondati come ordini, consigli, e predizioni del cielo.

Insomma da tutto il complesso delle lettere perquisite apparisce, che [558 v.] s'interpella l'oraco-lo degl'Angeli, e della Kabala allorche deve alcuno o iniziarsi alla Società, o intraprendere un viag-gio, o elegger Stato. I rimedi per guarire dalle Infermità, le opere de Fratelli da stamparsi, i mezzi da adoprarsi per sottrarsi dai pericoli, o dalle miserie devono essere o approvati, o prescritti dall'Ange-lo.

Le stesse devozioni, che vengono o ideate, o sognate, le pratiche di Religione, i digiuni, le con-fessioni, e Comunioni, i Sensi della Sagra Scrittura, i dubj, che nascono in materia di fede, tutto si sottopone all'oracolo dell'Angelo, e al di lui comando, e decisioni.

Troppo lungo sarebbe, e per aventura nojoso il riferire qui distesamente tutte le interpellazioni fatte dai Socj di questa unione a Gabriele, e Raffaele, e registrate nelle Lettere perquisite. Si accen- [559] neranno le più singolari in conferma del sovraesposto, prenotandosi, che queste interpellazio-

1 Roma. Biblioteca Nazionale Centrale. Mss. Vittorio Emanuele, 245, ff. 557-592. È stata conservata scrupolosa-

mente la grafia originale. 2 Vedasi singolarmente Lett. segno O da 25 settembre.

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ni degli Angeli nelle lettere sudette riferite o erano fatte da Fratelli in A vignone, e si comunicavale al Cappelli, acciò anch'Egli le replicasse al S.A. Raffaelle, o immediatamente a Lui si dirigevano per poi saperne le Angeliche decisioni. Nella lettera dei 7. Agosto si chiede di sottoporre agl'occhj del S. Protettore le seguenti domande del F. Homme.

«Gli accessi della mia malattia rendendosi più frequenti farò bene di procurare di allontanarli co' differenti rimedj, che mi vengono indicati, e quali sarebbero quelli, che dovrei preferire?»

E in altra lettera del Religioso Min. Conventuale P. Barozzi al Cappelli scritta da Moziaco 17. Febbraro 1790. «L'Amico, e Fratello [559 v.] Nicolaj Medico di Grenoble ha sempre male nella sua gamba... Accostatevi meco, e a noi si accostino le Sorelle, ed insieme scongiuriamo il nostro Vene-rabilissimo Medico lo Santo Vecchio, che voglia indicarmi un rimedio per questi Amici, che mi hanno dato molti, e grandissimi servizj».

Lo stesso si vede in altra lettera richiesta in favore di altri fratelli, e sorelle inferme, e special-mente per la Sorella Maire.

In data degli 8. Maggio 1790 - scrive Mr. de la Richardier «Evviva il nostro Celeste Benefattore Raffaele... Imploro se sia la sua volontà di darmi qualche avviso per servirmi di regola verso la mia Consorte, e qualche consolazione sopra la sua sorte futura, e quella de miei figli. Gle ne renderò le più distinte grazie, ma di qualunque maniera gli sia [560] di gradimento d'operare, rimetto tutto nel-le sue Sante mani, e lo stesso fo di me per sempre».

La Vedova Maria Olimpia de Fumelle domanda, che il Cappelli chiegga a Raffaelle se abbia a secondare l'invito replicato del mr. di Lespinasse Governatore della Città di Ponte S. Spirito di an-darlo a visitare, e che abbia d'accompagnarla nel viaggio.

In altro foglio v'è la domanda da farsi - Quale strada abbiano a tenere alcuni fratelli nel loro ri-torno, e se abbiano a passare per Avignone, e altrove - Se il S. Protettore gradirà il viaggio a Greno-ble della sorella Maire.

Inoltre si prega d'interpellare Raffaele 1. - se il desino del Fr. de l'Homme sia realmente per il Sacerdozio, e quali mezzi debba usare per prepararsi a ricevere un tal favore. 2. - se la Sorella [560 v.] Beraud abbia da ritirarsi in un Monastero, o piuttosto maritarsi; e altrove si chiede se il Barone Silveriel Svezzese debba rimaner scapolo - Così pure il Principe Ferdinando di Wittembergh scrive al Cappelli - «Presenti in mio nome al nostro S. Protettore Raffaele la domanda... Se piace a Dio di lasciarmi ancora per un tempo lungo nell'aspettazione del favore prenunciatomi allorchè fui chiama-to nella vera strada, dandomi l'ordine di maritarmi, e quella che mi deve essere congiunta ritornerà presto a Dio».

Quanto alle pratiche di pietà, e all'esercizio dei doveri di Cristiano sono notabili le seguenti do-mande della lett. E. 26. in data dei 12 Giugno 1790 - «La supplichiamo presentargli (al S. Angelo Raffaele) li punti seguenti, [561] ai quali noterà la risposta, che si degnerà dare - 1. Se sarebbe leci-to a chiunque di recitare in lingua Francese l'uffizio della B. Vergine, che ci viene imposto di recita-re sotto il nome d'Uffizio Latino Romano - 2. Se sia a proposito, che seguitino a comunicare l'Acha-bes ai consagrati nuovi, e futuri Fratelli all'effetto di recitarlo come lo recitano i primi - 3. Se ci permette di comunicare a persone non consagrate le due prime orazioni al P. Eterno, e alla V. Maria - 4. se sia permesso di dar copia a qualcuno de Fratelli oltre alli sette delle rivelazioni profetiche, e di quelle che riguardano le destinazioni - 5. Se non trovando la coscienza carica di peccato grave deve uno di necessità assoluta presentarsi al Confessore - 6. Se la [561 v.] Comunione si abbia a far spesso, o rare volte - 7. Se oltre le 4 Tempora, le vigilie, la quaresima resti l'obligo a tutti i Fratelli di digiunare in pane, ed acqua ciascun mese, e li tre sabbati prima di Pasqua, e Natale».

In materia di Religione si hanno anche in altre lettere le domande seguenti. - Se il Fratello Nico-lai debba svelare a poco a poco al di lui Fratello, ed al Sig.re Barrel Consigliere del Parlamento la verità della Religione, e della nostra strada per indurli a venire in Avignone a domandare la consa-grazione, e altrove si scrive al Cappelli dal Fratello Plescheyef Russo d'implorare da Raffaele di suggerire cosa abbia a scrivergli per parte sua di grazioso, e di utile. - «Devo presentemente indurre questo Fratello alla [562] Comunione Romana? Devo portar lo stesso a maritarsi come si pratica

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nella Chiesa Romana, ed a ricevere la benedizione da un Prete di quella Religione? Devo invitarlo con premura acciò mandi li suoi figli in Avignone?».

In un'altra lettera si ha - il F. Boussiè dimanda il parere dal S. Vecchio (Raffaele) sopra l'abjura-zione della sua Religione tanto per lui, che per la sua Famiglia se deve essere o publica, o privata, o segreta fatta a Dio col cuore.

E altrove - Beniamino (P.e Ferdinando di Wittembergh) ammaestrato nella religione di Lutero, ed avendo giurato di non celebrare la Cena, che sotto le specie del Pane, e del vino, à domandato se deve guardare un tal giuramento - e altrove [562 v.] - «sono tra li Fratelli dal Cielo inviatici molti, che professano la religione di Lutero, e Calvino, ed altri: tutti questi praticano il Sagramento Euca-ristico sotto la specie del Pane, e del vino... e ripresi oppongono le risposte del S. Arcangelo Gabrie-le, che dicono, che la pratica sotto le due specie sarà ristabilita, e si maravigliano, che l'Arcangelo Raffaele l'abbia abbolita... supplica perciò lo scrivente il Cappelli, acciò faccia dichiarare dal S. Ar-cangelo se ne tempi posteriori le Persone laiche seguiteranno a cibarsi del solo Pane Eucaristico a norma dell'uso, che pratica in oggi la chiesa Romana». Si legge anche nella stessa lettera (A. C.) quanto siegue - «Siamo in tempo di grazia [563], e di lumi, e quelli che ci da il nostro S. Arcangelo, passeranno come il Decalogo ai secoli venturi. Perciò lo supplichiamo di seguitare ad arricchirci, ed a spianarci le strade, acciò non ci troviamo più ingombrati dalle fallacie del ragionamento umano, che ci vengono sempre opposte allorche parliamo delle cose del cielo, e della verità del S. Vangelo - Indi si prega la S. Guida cosa abbiamo a rispondere alle obiezzioni, che gli si fanno da molti sulla differenza delle due genealogie di Gesù Cristo, sul peccato originale, sul colloquio di Eva col Ser-pente, sull'albero della Vita. Si prega anche di far spiegare il senso forse nascosto de seguenti arti-coli della S. Scrittura. 1. circa i sei giorni della Creazione- 2. [563 v.] sulla creazione di Eva dalla Costa di Adamo - 3. sul senso di quelle parole - Ecco l'uomo divenuto come uno di Noi, sapendo il bene, ed il male; impediamo dunque ad esso che porti la mano all'albero della vita. Così pure il sen-so delle seguenti - Il Signore impresse un segno a Caino, acciò chiunque l'avrebbe trovato non l'ammazzasse. - 4. Se Adamo non peccando avesse menata vita contemplativa, e se fosse eterna-mente vissuto sopra la terra, godendo della presenza di Dio, e della società degl'Angeli» - Dopo di ciò si conchiude - «Se tali domande non sono temerarie, speriamo che il nostro S. Istitutore, e Pro-tettore si compiacerà manifestarci quanto sarà del suo parere, che ne conoscia- [564] mo mentre speriamo di più dalla sua bontà tanti altri raggi della vera luce, giacchè essendosi dichiarato il no-stro Padre nello stesso tempo si manifesta ristaoratore della legge Divina nel cuore, e nella mente dell'uomo. Oltre ciò chi meglio di lui può spiegarci la creazione? Li Angeli sono molto prima di noi usciti dal seno del P. Eterno, e come testimonj delle sue opere Divine: se si trova del beneplacito di Dio, che ne siamo illuminati, ci prostriamo a piedi del Vostro Santo, e venerabile Maestro per rice-vere le sue Sante lezzioni».

Dal complesso di tutte queste domande (omesse molte altre per amore di brevità) ben si rileva, che i membri di questa unione avevano per base di regolarsi presso che in tutto [564 v.] a norma de-gli ordini, e risposte, che ricercavano dagl'Angeli intermediarj, ed essendo tali domande proposte all'Inquisito Cappelli, perche da lui si presentassero a Raffaele, e ne ricevesse Egli, e comunicasse le risposte, si deduce la buona opinione, che avevano i Socj della protezione che Egli godeva sopra d'ogn'altro di questo comune loro Maestro, e Protettore, e della perizia che aveva sopra d' ogn' altro d'interpellare le Celesti intelligenze, e col mezzo loro sapere le Supreme determinazioni, e i voleri del Cielo; ond'è che in più lettere fra le perquisite, l'Arcangelo Raffaele è chiamato non solo Mae-stro, e Protettore, ma eziandio o Interprete dei voleri del cielo, o Ristoratore della Divina legge, e della Cristiana Religione, o Guida sicura, ed unica per la salute, [565] e protestano di non voler fare la minima cosa, e di non muover paglia senza il consenso di Raffaele. Del pari Ottavio Cappelli si denomina da suoi corrispondenti Organo Sublime, per mezzo del quale vengono compartiti lumi sublimi, l'uomo di Dio, di Maria, e di Raffaele, Guida, Maestro, Capo, Padre spirituale, Appoggio,

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Avvocato presso l'Angeliche Sorelle, Organo di Raffaele per la comune conversione, e illuminazio-ne, e gli si fanno replicate proteste di obbedienza, sottomissione, riconoscenza, e fedeltà3.

Ed effettivamente risulta dal Carteggio, che i fratelli prontissimi erano nell'adempiere gl'Ordini, che loro inviava l'Inquisito in nome di Raffaele. Vuole Raffaele, che gli si mandin soccorsi; e i soc-corsi non tardavano a mandarsi in abbondanza; e apparisce dal Carteggio, che nel corrente anno fra Cambiali, e robbe preziose avrà [565 v] Egli avuto dalla Società il valsente di circa mille zecchini. Comanda Raffaele per motivi Arcani, che questo Interprete Divino venga decorato di Militari divise di Principi Stranieri; e sollecitamente il Principe Ferdinando Wittembergh, ed il Comandante Ple-scheyes (ambedue alleati della Unione) si adoprano per ottenere a lui, e a due suoi figli, il primo la Divisa delle Guardie volontarie del Duca suo Padre, il secondo quella di S. M. Imperiale l'Impera-trice delle Russie, e ne spediscono ambedue le Patenti. Ordina Raffaele, che la Prole da nascere al Sig.re Ottavio Gentiluomo Italiano dalla Nobile sig.ra Chiara sua moglie4 sia tenuta al Sagro Fon-te da Fratelli, e questi si prestano volentieri, e ne mandano la carta di procura: a quest'oggetto sono negl'atti i mandati di Procura del Sig.re de la Richardiere in data dei 24. Maggio 1788, del Sig.r Pie-tro Wolf Gentiluomo Irlandese in data de 7. Maggio 1790, della Sig.ra Maria Olimpia de Fumelle in data de 7. Maggio 1790, ed è notabile, che oltre ai detti mandati di Procura vi è negl'atti un foglio di mano dell'Inquisito, in cui si ordina al Fratello eletto destinato a propalare la verità, ed illuminare chi è vissuto cieco sino a quest'anno, di partecipare al Duca Carlo l'ordine del Cielo, ch' egli tenga al battesimo la Prole, che deve nascere in breve al sudetto, e in un'altra carta di carattere parimenti del Cappelli vi sono i nomi imposti alla Figlia natagli li 13. luglio, e vi si nota, che fù compare il Principe Ferdinando, di Wittembergh, e Commare [566 v.] Madama de Brivat di Bartier Contessa di Rochefort (tutti dell'Alleanza) e la lettera scritta ai sudetti di ringraziamento; e finalmente in altro Foglietto vi sono scritti i nomi imposti ad altro Figlio del Cappelli natogli li 23 Marzo, di cui fu Compare Giuseppe figlio di Pietro Ferreri de Chivas d'Arles (altro Fratello) e Commare Caterina di Pietro Ferreri Vedova di Payan. Saprà poi l'Inquisito ne' suoi Costituti spiegare questa prodigiosa affluenza di figli, e di Compadrini.

Fa duopo però confessare, che se al nostro Ispirato riuscì felicemente di abusarsi della soverchia credulità dei Consocj suoi per aver soccorsi, per ottener distintivi, per istringer con essi Nobili Spi-rituali Parentele, non egualmente se ne abusò (almeno direttamente) per corromperli in massi- [567] me, e per tirarli a irreligiosi traviamenti; che anzi espressamente rilevasi dall'intiero Carteggio, che Egli ingiungeva a Fratelli l'obligo di abbracciare la Fede Cattolica Romana, e di ripurgare da varie superstiziose osservanze la Società; e sebbene non abbiansi negl'atti tutte le risposte, che in nome di Raffaele Egli dava alle diverse interpellazioni, che gli si facevano in materie di Fede, e di Pratiche Cristiane, rilevasi però dal Carteggio, ch'Egli aveva prescritte alcune Orazioni al P. Eterno, e alla B. Vergine, la recita dell'Officio secondo il rito Latino Romano, il Veni Creator prima di aprire le As-semblee, e l'abjura ai Fratelli d'altra Comunione, i Digiuni Ecclesiastici, la Eucarestia ai Laici sotto la specie sola del Pane secondo il rito Romano, e che finalmente, inculcava la fede in Dio alla SS.ma [567 v.] Trinità alla B. Vergine e a S. Raffaele. Rilevasi inoltre, ch'Egli qui ricercò, ed otten-ne una Indulgenza plenaria chiestagli dal Fr. Chivas in nome di una Sorella Monaca Avignonese; che dopo d'aver Egli comendato, ed approvato un nuovo Istituto in onore della B. Vergine di Loreto rivelato il sogno ad una delle Sorelle, avvisato, che i Preti proibivano alle Penitenti una tale associa-zione, e negavano l'assoluzione, se non lasciavano lo Scapolare, scrisse di avere ideato di dare una supplica al Papa per l'approvazione dell'Istituto sudetto, e finalmente nella lettera E 2. in data dei 9 Gennaro gli scrive così - Il Fratello 1.1.1. (ed è l'Inquisito) à ottimamente capito il discorso del S. V. (Raffaele) sopra la Persona del vicario di Cristo, la quale si deve rispettare [568] come se fosse lo stesso Dio ancora sulla Terra.

3 Lettera degli 8 maggio 1790 cost. 97. 4 Si ha negli atti di mano dello stesso Cappelli incominciata, ma non compita la Genealogia di sua Famiglia. In essa

si fa Egli discendere dalla Nobil Casa Cappello di Venezia. In due lettere fra le perquisite risulta che Egli facesse crede-re ai Fratelli, che suo figlio gran Capitano Gerbonio fosse in Roma munito d'altra Patente assai Nobile, e rimerchevole, e fosse sin'anche chiamato Contestabile [566].

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Poco però è consonante ai surriferiti tratti l'abituazione dell'Inquisito di mormorare di Roma, e specialmente del Governo, dei Preti, e Frati, come risulta negl'atti, deponendo alcuni Testimoni Fi-scali, che più volte si protestasse, che se fosse toccato a lui non avrebbe voluto, che restasse al Mondo nè un Prete, nè un Frate. Poco anche si combina col rispetto al vicario di Cristo l'Articolo di lettera scritta di mano dell'Inquisito in data dei 29. Settembre 1790 (preparata forse per spedirsi alla Posta, se non fosse stato previamente catturato) nel quale dopo la narrativa di un tetro sogno spiega-togli da Raffaele come Nunzio di precipizj, e di guai, soggiunse - «Dubitiamo sentire gran cose, du-bitiamo anche, che le risoluzioni della seguita Congregazione [568 v.] qui avanti il Papa non sia sta-ta fatta con chiedere ajuto da Dio, e che possan render pregiudizii alla Chiesa» - e l'altro tratto pari-menti di sua mano, da cui apparisce, ch'Egli scrivesse a Roma al Principe di Wittembergh - «L'E. V. per voler del Cielo qui non è pervenuta appunto perchè rimanesse salda nella Fede, che forse peri-coloso era il perderla quando veduto avesse li costumi, che qui pratticano» - Finalmente è incombi-nabile come il nostro nuovo Apostolo potesse vantare di avere a bella posta studiato il Vangelo per condurre alla vera Strada, e alla Religione Cattolica alcuni Fratelli Miscredenti, e fecesse poi crede-re ai medesimi (come risulta dal Carteggio) che il protettore Raffaele gli avesse rivelato, che Ema-nuele Swedemborgh non solo avesse comunicazione cogli Angeli, ma anche avesse avuta la sorte di essere nelle loro Abitazioni, quando vivea, [569] aiutandoli così a prestar fede ai sogni di questo Il-luminato Entusiasta.

Ma qualunque giudizio abbia a farsi di questi chiari oscuri (quali forse riceveranno maggior lu-me, e risalto da quanto in fine dovrà osservarsi) gioverà l'indagare qual fosse l'origine di questa stravagante Società, quali i suoi riti, quali i suoi Membri, e sopra tutto a quale scopo mirasse.

Dell'origine parlano assai confusamente le lettere perquisite. Ne abbiamo una di Giuseppe Chi-vas in data de 9. Gennaro 1790, in cui entrando Egli a descrivere al Cappelli la cerimonia della Consagrazione, quale da Fratelli si prattica in Avignone, asserisce, che l'Abbe. Brumore (morto in Roma li 28. Febbraro 1787) avendo ritrovato a lungo disteso né Scritti, che rubò ad un defonto suo Zio il rito di detta Consagrazione, trasferitosi a [569 v.] Berlino di consenso, e di ordine del Cielo pratticò ivi detta Cerimonia (nell'anno 1779) unitamente ad altri tre Fratelli, cioè al Conte Taddeo Grabianka, all'Abbate di Bargel Antonio Giuseppe Pernety, e ad Annè di Morinval, e che poscia Grabianka (che fu il consagratore, o Sagrificatore di se, e degl'altri tre sudetti, come il più puro di tutti) ritornato in Polonia consagrò tutta la sua Famiglia, e la Famiglia di sua Sorella in numero di dieci persone.

Da questo pezzo storico sembra doversi conchiudere, che questa Confraternita principiasse in Berlino coll'enunciata Consagrazione, e che fossero ivi gettate le fondamenta dall'Abbate Brumore. E nientemeno asserisce in qualche sua lettera lo stesso Conte Grabianka, quale di più chiama spesso il Brumore sua prima Guida, e suo [570] primo Maestro. Ma a dubitare di quest'epoca ci portano i seguenti riflessi tratti dallo stesso Carteggio. Primieramente è chiaro che in questa Società la Con-sagrazione è preceduta dall'iniziazione, e che tra l'una, e l'altra vi corre uno spazio di tempo più o meno esteso, secondo l'Oracolo, e volontà di Raffaele, e chiamasi il tempo di probazione; e quindi da più lettere risulta la distinzione, che si fà di Fratelli consagrati da non consagrati, e le istanze da questi fatte al Santo Vecchio, perche non permetta, che venga più oltre differita la loro Consagra-zione: Onde convien conchiudere, che l'Epoca di questa Fratellanza non debba Fissarsi all'Epoca della Consagrazione. Infatti lo stesso Conte Grabianka in un'altra sua lettera al Cappelli del corrente anno 1790 consta trovarsi Egli ini- [570 v.] ziato alla Società da 14. anni a q.a parte, vale a dire tre anni prima, che si consagrasse in Berlino.

Oltre di che nel Catalogo perquisito segnato E 76. (che confrontato colle lettere risulta tener l'Ordine dell'iniziazione de Fratelli alla Società) altri diversi Soggetti sono notati, e precedono i Consagrati di Berlino, dal che pare abbia a dedursi la respettiva loro anzianità sopra di questi.

Finalmente il precitato Fratello Chivas nell'anzidetta lettera prima di descrivere il rito della pre-lodata Consagrazione, ex auditu di molti suoi Fratelli riporta al Cappelli, che questa Cerimonia così come esprimesi ne' scritti rubati dal Brumore al suo Zio fù stabilita, e praticata da Mosè sul Monte Sinai, e poscia raccolta, e trasmessa ai Posteri dal suo Discepolo Albumazar; dal quale [571] rac-

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conto (comeché per avventura Favoloso) apertamente conchiudesi, che questi Angelici Sagrificato-ri, e Sagrificati da ben più alti principj, che da quelli del Brumore, e di Berlino ripetono l'origine, e i natali del loro Sagrificio, e che forse parlandoci essi in altra occasione dell'iniziazione alla Fratel-lanza, che deve certamente esser più antica della Consagrazione, o Sagrifizio ci rimetteranno ai tempi Ante-Crenari o Lunari [?] per ritrovarne il fausto cominciamento.

Comunque però siasi importa assai più dell'origine il risapere l'ossatura, dirò così, ed il piano di questa Unione. Dal contesto delle Carte nulla si ha del metodo, che tiene per l'iniziazione dei Fratel-li. Risulta però, che vi s'iniziano uomini, e donne, Laici, Sacerdoti, e Claustrali, ed anche i fanciulli di tenera età. Si leggono nei Cata- [571 v.] loghi iniziati Polacchi, Tedeschi, Svezzesi, Francesi, Russi, Ginevrini, Olandesi, Irlandesi, ed Italiani di ambedue i sessi. Non sono esclusi dalla inizia-zione i Luterani, Calvinisti, Protestanti, né alcun'altro di qualunque Setta o Religione, mà soltanto quelli si escludono, che l'Angelo Gabriele o Raffaele interpellato fa nelle sue risposte capire o che non è degno di essere ammesso, o che deve essere maggiormente provato. Nell'atto però della Con-sagrazione (secondo la riforma fatta nell'aprile del cadente anno dal nostro Inquisito) devono gli E-retici abjurare nel modo che si dirà, i loro errori opposti alla Cattolica Fede, e giurare l'osservanza de' Divini, ed Ecclesiastici Precetti.

Ha questa Unione il suo Capo, che si denomina Capo di tutta la Società, ed è ora questi il sunno- [572] minato Conte Taddeo Grabianka, quale anche in più lettere perquisite viene chiamato Re del-l'Unione, vi sono poi altri sei Capi, i quali uniti al sudetto regolano l'Assemblee, ed ogni altro aff.re interessante dell'Unione. Risiedono i sudetti in Avignone, e sono i seguenti.

- L'abbate di Burgel Antonio Giuseppe Pernety - Antonio Bouge Dot. Medico di Aix - Sig.re N. le Blond Avignonese - Claudio de l'Homme di Valenza - Giuseppe Ferrier de Chivas di Provenza. - Francesco Bourgeois de la Richardier Medico di Parigi.

E tutti i sudetti si trovano sottoscritti in quasi tutte le divisate lettere d'Avignone, che si hanno in Processo dirette dalla Società all'Inquisito Cappelli, Capo anch'Egli, da cui gli altri tutti dipendeva-no. Non si trova, che vi fosse tra i [572 v.] Fratelli altra diversità di gradi, e fù il Cappelli, che nella sua riforma ordinò, che in tre Classi si distinguessero, la prima de Figli Magni, la seconda de Figli Medi, e la terza de Figli minimi; Scieglieva da prima ogni fratello tre numeri ad arbitrio, e il primo chiamavasi numero divino, il secondo numero angelico, il terzo numero proprio, de quali numeri si faceva uso nella Consagrazione nel modo, che si dirà, e apponevasi nelle sottoscrizioni in luogo del proprio nome, e cognome. Il Cappelli nella riforma à stabilito, che i Figli Magni avessero tre nume-ri, i Medj due, e i Minimi uno, ed a ciascuno venivagli col di lui mezzo assegnato dall'Angelo, e spiegavasi a ciascuno il Senso Mistico del numero prefissogli, e si ha negl'atti che [573] ricercato il Cappelli della spiegazione dei numeri 373 e 357 da esso assegnati a due Fratelli, scrisse, che il pri-mo vuol dire, che li sette Pianeti sono in mezzo alla Trinità, e che il secondo denota la Trinità per-fetta scolpita colle cinque piaghe, e che li sette Cori Angelici ne fanno allegria.

Si ha puramente dalle Carte, che fra i membri di questa unione, vi è il Pontefice, o Patriarca, il Sagrificatore, il Profeta, il Segretario. Deducesi, che il Pontefice, o Patriarca assiste alla cerimonia della consagrazione, ed anche celebra la Messa (almeno in questi ultimi tempi) e comunica i Fratel-li, e sorelle o consagrate, o da consagrarsi, su di che possono vedersi le lettere E. 20. E. 41. E. 23. Il Sagrificatore anch'Egli à molta parte nella Consagrazione, e rilevasi che nella [573 v.] Consagrazio-ne di Berlino sovraccennata fù sagrificatore il Conte Grabianda [sic]. Presentemente in Avignone è Sagrificatore l'Abbate de Burgel, e nella lettera segnata E. 7. si ha, che i Fratelli Svezzesi (Barone di Ruterholm, e Barone di Silveriel) erano stati dichiarati Sagrificatori nella loro Patria. Il Profeta è quello, che interpreta i sogni o mediante l'ispirazione interna, nel che distinguesi il Fratello Bouge, o mediante la spiegazione vocale di Raffaele, del che voleva il privativo privilegio il nostro Cappel-li, come può rilevarsi dalla lettera segnata E. 5. p. 2., e dalla lettera segnata O. La carica di Segreta-rio vedesi conferita al fratello de la Richardier indicato al numero 925. e vedesi in tutte le lettere

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della Società sottoscritto in ultimo luogo, ed in qualcuna vi aggiunge - Segretario - [574] Trovasi anche qualcuno fregiato del Titolo di Cardinale, e Cardinale politico. Nella lett. E. 229. lo Scriven-te conchiude - «Sono veramente del F. Cardinale 111. Aff.mo Fratello, e Compare» - E nella lettera E. 13. - «Il Fratello 111. ricevuto nella lettera d'oggi è troppo differente da quello di Roma, ma de-corato del titolo di Cardinale Politico avrà fatta mutazione nel suo viso naturale». Finalmente i Fra-telli consagrati una volta al mese prendevano d'ordine di Raffael comunicato loro col mezzo del Cappelli un cucchiajo di liquore, in luogo di quelle che antecedentemente alla riforma bevevano; ma non è chiaro nelle carte il fine, e nettampoco la virtù di questa bevanda.

La cerimonia della Consagrazione, per quanto dalle carte risulta, non fù sempre uniformemente [574 v.] pratticata in questa Società - «Nella passata lettera (così scrive d'Avignone al Cappelli il Fratello Chivas in data dei 9. Gennaro 1790) mi dimenticai di discorrere della Consagrazione, e di spiegare a favore della Sorella 1. la differenza, che passa tra la sua Consagrazione, e quella che da noi si prattica... La cerimonia qui si prattica in questa maniera.

Il Pontefice col Candidato si portano in un Monte, o almeno, se non si trova, in un'altura. Qui voltandosi dall'Oriente si descrive un circolo, il quale si chiama Circolo di Potenza per essere que-sto a Dio dedicato, il quale non deve mai essere né toccato, né trapassato da chicchesia, e se sfortu-natamente succedesse tal caso, resterebbe interrotta la cerimonia, e bisognerebbe principiarla. At-torno quel Circolo si scrive dalle [575] quattro parti il numo. 9. Si descrive un secondo Circolo sotto di quello, che serve al Candidato, e deve essere assai grande, acciò possa stendersi senza toccarlo, e attorno si scrive il numero del Candidato... Dopo descritti i circoli si principia la cerimonia. Si fa il giro del circolo di potenza nove volte alla dritta, e nove alla manca. Si recitano molte orazioni, che gli si diranno quando verrà da Noi. Si accende il fuoco, e dentro il Circolo di Potenza si abrugia del-l'Incenzo, dell'Aloe, ed altro, e si fa un profumo. Di poi il Candidato fa il giro del suo circolo tante volte, quante sono le unità del numero proprio, e sarebbero 9. per il Fratello 3.6.9., ed 1. per il Fra-tello 1.1.1., e si fanno i giri prima a dritta, poi a manca. Terminate tutte le Orazioni, si mette in gi-nocchio, e senza toccare il Circolo di Potenza, colle [575 v.] braccia stese si baciano i numeri scritti attorno tal circolo, e si recitano le orazioni prescritte. Dipoi si entra nel suo circolo, e qui stando dritto in piedi colla faccia voltata sempre all'Oriente, et in faccia al circolo di potenza tenendo la mano manca in testa, e la dritta sul petto si recita l'Acabes per tre volte, e nella stessa positura si fanno sempre giri attorno i Circoli. Terminata questa prima cerimonia, il Candidato ritorna solo per sette giorni al Circolo per ivi fare li giri, e recitare le preghiere indicate. Il nono giorno il Pontefice ritorna per terminare la Consagrazione, la quale se viene interrotta da qualche sconcerto, si deve principiare. Il dettaglio presente (così conclude chi scrive) l'ho scritto alla rinfusa per averlo sentito dai Fratelli consagrati, e non sulla mia sperienza, non [576] essendo, come loro ben sanno, consa-grato ancora. Ecco spiegato a modo mio quanto ricerca la Sorella 1. sopra la Consagrazione. Se non è stata simile la sua, e se sopra l'Altare (si noti questa differenza, ch'è assai notabile) è stato posto il Crocifisso, ed a quello fatto profumi, crederei, che come quella era tra gl'Infedeli, e non conosceva il nostro Redentore, una tal cerimonia fu adoprata per una specie di Ripagrazione [sic] e per farglie-lo conoscere, e adorare per quello, che è, tale sarebbe la mia idea, che forse sarà sciocca».

Fu soltanto ai 21. di Aprile 1790. che al nostro Inquisito si compiacque il S. Protettore Raffaele di dettare una nuova formola di consagrazione ordinandogli, che in avvenire di quella si servissero tutti gl'altri Fratelli, e Sorelle, che si sarebbero mute alla Società. La quale [576 v.] rivelazione non tardò il buon Cappelli a comunicare a suoi Compagni all'occasione, che doveva consagrarsi la Pari-gina Vedova di Fumelle, e fu essa la prima consagrata secondo questa formola Angelica, e succes-sivamente tutti gl'altri nel modo stesso, come risulta dagl'atti.

Soffrirà il benigno lettore, che qui riporti estesamente questa riformata formola, quale si à fra le Carte dell'Inquisito, onde meglio si possa rilevarne il di lei pregio sopra l'altra riportata di sopra.

«Consagrazione dettata al fratello 1.1.1. (è questo il numero proprio del Cappelli) dal nostro S. Protettore R..... il 21. Aprile 1790.

Vada al Monte; si formi tre Cerchj, ed ognuno di questi abbia in mezzo le linee scritto tre volte il Nome Sagrosanto di Dio, e tre volte [577] il nome di Maria Vostra Protettrice. Il primo giorno si

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ponga in ginocchio alla prima linea, e colla bocca, e colla lingua baci tutti tre li nomi di Dio, e di Maria ad uno ad uno, e ad ogni bagio dica quando è al nome di Dio:

Dio Onnipotente! Creatore dell'Universo! Voi che mi creaste acciò vi amassi, e servissi! Eccomi prostrato a terra, chiedendo prima perdono di tutta la vita passata, volendo in questo momento esse-re tutto vostro; volere in avvenire adempire esattamente li vostri Precetti, che dati avete nel Monte Sinai al vostro fedele Profeta per salvare tutti quelli, che saranno per osservarli. Come pure abjuro tutte le massime, che dagl'iniqui Scrittori sono state insegnate alla maggior parte dell'Universo. Giu-ro, e prometto avanti di Voi, e del vostro Sagrosanto Nome di [577 v.] volere essere vero seguace dei Precetti vostri, e di quei della Chiesa Apostolica Romana, e di riconoscere il Capo di essa in noi stesso, pronto a spargere il proprio Sangue, e la vita stessa. Perciò vi prego colla vostra mano con-sagrare dall'alto dei Cieli non solo il mio corpo, ma anche l'Anima mia, e di ascrivermi nel numero de vostri diletti figli, acciò con maggior forza possa combattere, unito alli miei fratelli, e possa ave-re quella forza, che ad essi sarete per dare.

A tutti i nomi, che sono nel primo cerchio dirà le dette parole - quando giungerà al nome di Ma-ria, andandolo trovando sempre in ginocchio, e torno al Cerchio farà come sopra, baciandolo, e poi dirà:

E voi Vergine Pura, ed Immacolata Maria, vi prego per vostra intercessione, che siate per me me- [578] diatrice, acciò Dio mi conceda in questi tre giorni la triplice consagrazione, promettendo, e giurando di essergli obbediente, come sopra ho promesso avanti di lui, del suo Santo nome, e co-me prometto avanti il vostro.

Il secondo giorno entri nel primo Cerchio, e si prostri avanti il secondo, e faccia, e dica come a-vrà fatto nel primo. Il terzo giorno entri nel secondo cerchio, sempre però colle ginocchia, come pu-re nell'uscire, e faccia il simile, come à fatto negli Anteriori due giorni.

E poi giunto, che sarà nel cerchio di mezzo colle dita farà un Triangolo, e a piedi di questo ac-cenda un poco di fuoco, che a tal'effetto si porterà un piccolo fascietto di legna, e acceso che sarà, vi porrà tre oncie d'Incenso, che offerirà alla ss.ma Trinità, e consumato [578 v.] il tutto, raccolga quelle ceneri, e le spanda al vento, dicendo così:

Si spanda in tutto l'Universo il vero nome di Dio, e sia da tutto il Mondo conosciuto, e glorifica-to.

Di poi cassi li suoi Cerchi, ed esca: e nell'atto, che si alzerà, faccia una Croce nella Terra, che sa-rà consagrato, e terminato tutto»5.

Si vedono in questa nuova formola sostituiti ai Numeri i nomi di Dio, e di Maria all'Achabes, ed alle Orazioni ignote le due Orazioni al Padre Eterno, ed a Maria, che forse comprenderanno l'Abju-ra, di cui si è parlato di sopra. Non risulta se fossero più in osservanza [579] le varie positure del Consagrando le prostrazioni, i baci prescritti nell'antica formola. Si è però osservato di sopra, che fù l'Inquisito richiesto sotto il di 12. Giugno 1790 se dovevasi seguitare a communicare l'Achabes ai Fratelli nuovi, e futuri, onde lo recitassero come gl'altri, ma non risulta cos'Egli rispondesse. Da più lettere anche apparisce, che in questa nuova Consagrazione inchiudesi l'assistenza del Pontefice, e Patriarca: Poiché in data dei 7. Agosto il Fratell'dell'Homme scrive al Cappelli d'interpellare il S. Protettore, «se nel caso di assenza, o di malattia del Nostro caro Patriarca potrei far le sue veci il primo giorno nella Congregazione de Circoli quondam chiamai l'Altare di Potenza» - E il Conte Grabianka in data de' 9. Luglio aveva scritto - «Siccome [579 v.] il nostro Pontefice, e Patriarca e-sercita le sue funzioni eziandio alla Consagrazione a titolo di primo Capo dell'Unione, così credo, che in qualità di Capo del nuovo Popolo».

Finalmente nel Settembre del corrente anno fù dato principio in Avignone alle Assemblee della Società prescritte dal Cappelli in nome di Raffaele - per ordinare unitamente tutto quello, che deve essere per la gloria di Dio, di Maria, dei SS. Protettori, per il bene di tutta la Società, e di quelli, e quelle, che devono comporre il nuovo Popolo di Dio. Non risulta dalle poche lettere posteriormente venute, che in queste prime adunanze fossero fatti decreti interessanti. Risulta bensì che fù stabilito,

5 L'istesso, che si ordina di questa (Giovine Vedova) da qui avanti faranno tutti gl'altri Fratelli, e Sorelle non Consa-grate, che saranno per unirsi a voi.

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che li sette Fratelli si adunassero la Domenica, Martedì, [580] e Giovedì al mezzo giorno, e occor-rendo per affari straordinarj anche in altri giorni, ad arbitrio; e che ogni Assemblea si cominciasse coll'invocazione dello Spirito Santo e si terminasse col rendimento di grazie.

Questa è l'ossatura, ed il piano, e questi i riti, e Cerimonie della Società contro di cui si procede nella Causa del Cappelli, e suoi pretesi complici, per quanto almeno si è potuto dedurre dalle poche carte perquisite. Non farà meraviglia, che in un Secolo fecondo di Entusiasti, o sia fecondo di So-cietà, e di combriccole formate, alimentate, e sostenute dall'Entusiasmo, questa, di cui si parla, ab-bia potuto essere accetta a molte persone anche di distinto rango, ed in molti Dominj, e Nazioni, come potrà rilevarsi dal Catalogo, che si annette alla presente relazione tratta dalle lettere, e carte [580 v.] introdotte in Processo.

Più d'ogn'altra cosa però interessarebbe il sapere quale e per possa [?] lo scopo, e quali le mire di questa nuova setta; Ma questo è appunto che nel carteggio rimane o equivocamente indicato, o do-lorosam.te nascosto. Se deve formarsi il giudizio da ciò che viene più chiaramente espresso, si do-vrà dire, che lo scopo, e le mire di questa Società fossero di Formare un nuovo Popolo di Dio, un nuovo Regno di Cristo, riformare la Religione, ristorare la legge, e dilatare la Fede. Sono fra gl'altri assai significanti i tratti delle contrasegnate lettere scritte da Avignone al Cappelli nel Corrente an-no. Nella prima dopo il racconto delle cattive nuove avute della salute dell'Imperatore, e della Prin-cipessa di Wittembergh si soggiunge - «avendo anche sentite le cose, che devono seguire nel [581] Mondo, quantunque da gran tempo prevenuti di tutto, non lascia il pensiero funesto rendere gran terrore, mai trovano (i fratelli) qualche consolazione nel pensare, che tali avvenimenti necessarj sa-ranno per accelerare il grande avvenimento della rigenerazione del Globo, e dello stabilimento del nuovo regno di Gesù Cristo» - Nella seconda, che è copia di una lettera diretta dal Conte Grabianka al Sig.re Ohara Capo-Squadra delle Armate Russe residente ora in Livorno, si à quanto siegue - «Il nostro benamato Fratello Ottavio Cappelli ci à dato parte, che l'Altissimo si è degnato volgere a Lei i suoi occhj propjzj, che lo chiama, lo benedice, e che vuoi far seco Lei una nuova alleanza per farlo entrare nel numero de figli del suo nuovo Popolo, che si elegge per il suo nuovo Regno» - E alla pag. 3 [581 v.] soggiunge il sudo al Cappelli - «Tutti dovressimo far sempre il meglio, avendo la sorte di essere più ammaestrati, ed illuminati dalla luce Divina, essendo chiamati per eseguire i gran disegni dell'Altissimo, ed annunciandoci come discepoli della verità, non è dunque bastante dichia-rarsi tali, bisogna provare al pubblico, che siamo guidati, e condotti dal Cielo, e non potendo far mi-racoli, e non potendo ancora con saviezza far fronte ai Dotti del Secolo, che hanno la sapienza sotti-le, accorta, ed astuta dell'Inferno, bisogna almeno provare la nostra Missione, il nostro ministero, dando in tutto buono, e migliore esempio colla nostra Condotta». Simili espressioni si trovano an-che qua, e la sparse in più lettere.

Questa riforma del Globo, e questo stabilimento del Regno di Cristo sembra [582] che dovesse eseguirsi non senza la forza delle armi, né senza la direzione di uno o più Capi. Il Principe Ferdi-nando di Wittembergh (indicato sotto il nome di Beniamino) era già stato dal S. Arcangelo Raffaele prenunciato Salvatore del Mondo, e Trionfatore della nuova riforma della Terra corrotta, come da Avignone fu scritto al Cappelli in data 10. Aprile 1790. In altre lettere Avignonesi si loda il suo ze-lo, il suo Fervore, ed impegno per l'Unione, e mostrando i suoi Consocj di essere assai contenti di questo loro Alleato. E in data dei 19. Marzo 1790, aveano scritto del Conte Grabianka - «Malgrado la sua poca salute, vuoi far la Quaresima... Beato Lui, che vive da vero Cristiano! Beati noi, che a-vremo un Capo così degno, Dio lo mantenghi in salute per la sua gloria, e felicità dei Popoli [582 v.] che saranno sotto la sua dominazione. Affretta il tempo del suo inalzamento, avendo Raffaele prenunziato, che nell'anno 90. quello sarebbe in possesso. Non si tarderà a vedere l'effetto di tali pa-role» - Coerentemente il Fratello de la Richardiere in data dei 24. Luglio 1790 scrive al Cappelli - «Gli eventi futuri indicati nell'ultima sua ci danno a congetturare, che non resteremo gran tempo nell'oziosità. La pace pare, che si conchiuda con li Turchi, ma non sarà però di gran durata, e quan-do il vedremo rientrare in Campagna, allora è da credere, che riceveremo anche noi l'ordine di pre-parare li nostri stivali. Si ricorda senza dubbio, che nel 1783 fù detto al nostro Caro Re 1.3.9. (Conte Grabianka) che in tal'anno sarebbe in possesso. Siccome non è stata indicata la cosa, restano al più

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cinque altri mesi ad aspettare [583] che si sappia, e per rallegrarci di quanto potrà succedere di gra-devole. Il Fratello Beniamino (Principe di Wittembergh) ci ha scritto, che il Principe Enrico di Prus-sia era per arrivar presto nella Svizzera, se è così si ravvicinerà da noi, e se dal Ciclo è così condotto per farlo entrare nell'Unione, crediamo, che questo sarà per noi ancora un segno, che non tarderemo a comparire in Scena» - Finalmente merita qualche riflessione l'articolo della lettera de 2. Aprile 1790 scritta al Cappelli dai sette principali Membri della Società - « Non bastando al nostro caris-simo Beniamino (Wittembergh) l'invio della Patente, e della mia lettera, vuole ancora farle sapere, che se dette Patenti non fossero ritrovate dal S. Vecchio (Raffaele) sufficienti per adempire le sue [583 v.] volontà, si trova pronto a fare qualunque altro passo, che li verrà dal medesimo comandato, ed in tale intenzione lo previene, che se fosse la sua volontà, che giungesse presto l'Armata, baste-rebbe, che ne fosse prevenuto qualche settimana prima del suo arrivo, e che in tal caso, che Dio permetta presto, quantunque non tocchi a lui di spedire, come Padrone né la prima, né la seconda Patente, ma la terza sola, con tutto ciò essendo avvisato prima della risoluzione del Cielo, farebbe in guisa tale, che subito giunto al suo Reggimento sarebbe ricevuto, ed aggregato».

Da tutto il contesto degl'articoli precisati sembra, che questi nuovi Apostoli guerrieri portassero ben lungi di qua le loro mire bellicose, e che aspettassero gl'ordini del Cielo per inoltrare coll'armi [584) la Fede ove non è, e non per distruggerla, o riformarla ove già trovasi. Realmente anche il Cappelli né fogli, che à scritto in Carcere, depone, che in Torino alcuni anni fa unitamente ad altri tre Fratelli, giurò di portarsi a debbellar gli Affricani, e che questa è la mira di tutta la sua Società. Anche il Conte Grabianka in data de 25. 7bre 1790 scrive al Cappelli «Da poco ho ricevuto due let-tere dal nostro caro Fratello Plescheyef (Comandante Russo)... mi fa varie domande, tra le quali so-no queste: quando voi rientrerete nella vostra Patria? Quando rivedrete la Sorella 1.3.9. Annetta (Figlia del Gabrianka) la Madre del nuovo Popolo? Quando sarà resa al suo Padre, ed al suo Rè? Quando il Caro 9.2.5. (de la Richardiere) volgerà [584. v.] il piede verso il Settentrione, e mi procu-rerà il piacere di riceverlo in mia Casa?».

Nondimeno vi è anche qualche tratto nell'accennato carteggio, onde presumere, che in mezzo a queste Sante intenzioni, la Società non perdesse di mira anche Roma, e che s'erano lontani quest'I-spirati dall'entrare in qualche sedizioso progetto sopra di lei (come dalle lettere apparisce lo siano stato rapporto alla ribellione Avignonese da essi nella sua totalità né promossa né gradita) propen-devano nondimeno a predirne male, e ad annunciare vicine rivolte, e tumulti.

Nell'ultima precitata lettera il Conte Grabianka aggiunge, che il sud.o Plescheyef gli scrive oltre al già detto - «Mi parli di tutto che possa da loro, mi parli in [585] dettaglio, le ne scongiuro, della Società, delle sue scoperte, delle sue occupazioni, de suoi progressi nella causa di Dio: che si fa a Roma? Che vi si manda di la?».

Si ha in progresso per deposizione de auditu proprio di un Testimonio Fiscale, che l'Inquisito Cappelli quattr'anni fà prognosticasse, che in breve Roma dovea cader nelle mani dell'Imperatore, e che l'Esercito dovea farsi vedere a Monte Mario, quindi ha fatto specie trovare nel Carteggio per-quisito i seguenti Articoli - In data de' 2 Gennaro 1790 - «Eccoci giunti così si spera da tutti, a quel-l'anno tanto bramato, a quel termine tanto sospirato, si, e lo crediamo fermamente: Ecco l'anno fau-sto, felice, e fortunato, nel quale loro tutti volte- [585 v.] ranno il piede alla Città perversa per non vedere un popolo afflitto» - Sotto il di 13. Febbraro 1790. - «Avendo tanto bene augurato dall'in-contro di Madama a Villa Borghese, ov'ebbe parola di Lei, si spera con anzietà, che qui non saranno per terminare le cose, e che quella prima grazia del N. S. Protettore ricevuta sarà per essergli conti-nuata. Faccia Iddio alle istanze delle care Sorelle, che colla sua Famiglia venga presto illuminata, acciò possa a tempo suo godere la protezione, e li favori del Cielo. Oh se piacesse alla Misericordia di Dio, che fosse quella cara Famiglia destinata a partire di Roma quando si sentirà la Campana del Campidoglio; o quando si sentirà il Tamburo a Monte Mario! Caro Fratello, Cara Sorella, voi [586] tutti, che volete bene al poverello 3.6.9. vostro Fratello, pregate Iddio, Maria, e il S. Vecchio (Raf-faele) acciò dalla loro bontà li venga concessa una si particolar grazia» - Così pure in data dei 24. Aprile 1790 fù scritto al Cappelli da sud.i suoi Consocj - «Giugne la Cara sua de 14. corrente, nella quale si è letta la sublime, ed interessante risposta alli Fratelli Svedesi, come anche la nuova dell'ar-

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rivo delle tre Patenti. Dalla premura del S. Vecchio a farti portare prontamente la Divisa rilevano i Fratelli, che il Tamburo di Monte Mario, e la Campana del Campidoglio non tarderanno a farsi sen-tire, ma che prima di questo sarà la Città di Roma tutta in Scompiglio, e che allora si verificherà la parola della cara Sorella 1. che diceva, che avendo la Divisa in [586 v.] caso di qualche tumulto le due parti della Città lo piglierebbero per Capo, che rimedierebbe a tutto, e che liberarebbe la Casa da qualunque pericolo. Come anche la spiegazione fatta del sogno della Giovane Vedova, che le matasse si cangiavano in oro, ed in Argento, li Fratelli non sarebbero costretti di pregare, e che sa-rebbero esenti da ogni malore».

In altre lettere si trova ancora predetto, che dalla decorazione delle militari Insegne dal Cappelli ricercate in Nome di Raffaele dipendeva la sorte de Fratelli in occasione de vicini tumulti di Roma.

È anche notabile la Profezia della Damigella d'Abroisse, o la Brousse di Francia, che si narra al Cappelli in una lettera di Avignone prima d'informarlo dell' [587] arrivo del Celestini colà, e dello Stato attuale di quella Città. Si dice adunque che questa Profetessa negl'anni 1779. 1783. 1789. ha costantemente predette le calamità dell'anno 1790; la soppressione generale de Monaci, ai quali do-veano succedere due grandi Società una di Uomini, l'altra di donne, la rinnovazione della Chiesa tal quale si trova descritta nel Cap. 60. d'Isaia, l'Umiliazione de Magnati, ed una specie di egualità tra gli uomini, ed in questa egualità sublime, perfezzionata, santificata dalla più ardente Carità, l'ori-gine feconda della felicità la più stabile, e la più desiderabile - La medesima (sono parole della let-tera) prenunzia positivamente la cadl/ta del Dominio temporale del Sommo Pontefice, e dice che lei stessa anderà pellegrina [587v.] a Roma per dame la nuova al Papa. Aggiungo, dice lo Scrivente, che il Re di Francia ha ricevuto una lettera della medesima Damigella, e questa novità è stata scritta da chi è stato incombenzato di far cader la lettera nelle mani del Re, e per tal motivo la nuova si tro-va indubitata. Al sin qui esposto fa duopo aggiungere i seguenti riflessi, dai quali men temerario ap-parirà ogni sospetto formato a carico di questa illuminata Società.

È necessario riflettere 1. Alla cattiva qualità de primarj membri della Società, risultante rapporto al Cappelli dall'Uniforme deposizione di tutti i Testimonj Fiscali, e rapporto ad alcuni altri dalla e-stragiudiziale relazione di chi ha potuto agiatamente conoscerli, e trattarli. 2°. Alla connessione, che alcuni de sudj [588] hanno colla Società de' Liberi Muratori, come costa dall'Archivio di questo S. Offizio, e dalla sovra indicata stragiudiziale relazione inscritta in Processo.

In terzo luogo convien riflettere a certi tratti delle lettere che indicano special segreto di cose che non si scrivevano, ne volevano azzardarsi alla penna, e perciò assai sospette, e sono notabili spe-cialmente i tratti delle lettere E. 2. E. 8. E. 9. E. 23. E. 142. e infine merita considerazione ciò che nella lettera al num. 1. dicesi di certa polvere, che ricercasi dall'Inquisito per scacciare persecutori della Società, colla quale riuscì loro di scacciare il famoso Cavaliere Polacco, e finalmente ciò, che di Cagliostro dicesi nella lettera successiva, cioè che non furono indifferenti pe' Fra- [588 v.] telli le nuove dell'arresto di quest'uomo famoso ad essi dal Cappelli comunicate, e che ne attendevano con anzi età gli ulteriori riscontri.

Amminicela [sic] i sospetti divisati il timore, in cui erano costoro di poter essere scoperti spe-cialmente dal Governo, e dal S. Offizio - «Per alcuni sogni, ed avvisi particolari avuti abbiamo a temere di qualche affronto per parte del Governo, e del S. Uffizio». - Così una lettera d'Avignone in data de 30. Gennaro 1790. Né questi timori nascono in cuore di chi opera con retto fine, con sana intenzione e per comune utilità: vedasi anche il num.° 8. della lett. E. 31.

Il disprezzo che mostrano de Ministri del Santuario, e del Tribunale della Fede, rende maggior-mente equivoca questa Com- [589] briccola - «La mia moglie (scrive il Conte Grabianka) ha molto del buono, ma non crede alla nostra strada, benché sia consagrata. Il suo spirito s'inganna, i sofismi de Preti l'anno indotta nell'errore.... Mi ha per un matto, per un imbecille, senza religione, senza virtù, e crede che sia come un Ebreo praticando la Kabala, contro la quale ci è la prevenzione del mio Paese» - «Il Diavolo (scrivono i sette Fratelli) à fatto nascere dei scrupoli nella mente di molte persone, e principalmente di molti sacerdoti, i quali sotto pretesto, che l'Istituto della B. V. di Loreto sognato dalla Sorella (2.2.2.) non è sanzionato dal Papa, proibiscono ai loro penitenti una tale asso-ciazione, e negano anche l'assoluzione se non lasciano lo [589 v.] Scapolare... sotto la protezione di

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S. Raffaele poco badiamo a tali inezie per quanto riguarda le nostre Persone, ma la cara Sorella 2.2.2. domanda se approva, che seguiti» - E in altra lettera parlando delle novità di Francia - «Li Preti mal volentieri si vedono spogliati, e nella lor rabbia pian piano concertano, e congiurano..... Sono uniti colle Nobiltà per impedire, se lo ponno, tutto quello, che si fa per ristaurare lo Stato». - E altrove finalmente dopo aver narrata la Storia della soppressione seguita in Avignone del S. Off.o conchiudono i Fratelli così - «Resta adesso a sentire che senso avrà fatto in Roma una tal novità. Giunta che sarà in Spagna, e Portogallo, si dubita, che que' due Regni ne [590] faranno un Auto-da fe. Così finirà una giurisdizione, che se nel ben principio fù stabilita in fin di bene per la sceleratez-za degli uomini era da quattro secoli l'obbrobrio della Religione Romana, e lo scandalo di tutte le Nazioni». -

Il cumulo di tutti questi indizj somministratici dal carteggio perquisito, e amminicolati [sic] dalle deposizioni Fiscali ci obbligano a conchiudere, che le viste di costoro non ponno essere certamente vantaggiose né alla Religione, né allo Stato, e che venendo alla luce questo nuovo Popolo, e nuovo Regno di Cristo, di cui si vantano di essere i Precursori, e gl'Apostoli, poco figurar potrebbe il sa-cerdozio, e la Fede, e languirebbe per lo meno il Magistero della Chiesa, a [590 v.] cui questi Atleti la voce sostituiscono, e l'Oracolo del Celeste Genio.

Tale fù anche il giudizio, che di questa Società si fece in Avignone allorché riuscì di scoprirne le traccie - «Alcuni (così scrivono all'Inquisito Cappelli i suoi Compagni) suppongono in tale associa-zione delle Viste politiche, e si sforzano a farci credere come persone pericolose, dicendo, che la Religione è la maschera, colla quale ci nascondiamo per meglio giungere alle nostre mire» - E più chiaram.te il Gazzettiere Avignonese, che informato di tutto quello, che tocca questa Unione da un Fratello sviato (come dolcemente ne scrive al Cappelli il Dott. Bouge) ne' pubblici fogli sotto il di 15. Agosto svelò l'arcano, e smascherò la [591] Società si riporterà qui l'articolo di questa Gazza [sic] tal quale è riportata nella suddetta lettera del Dott. Bouge, e servirà come di epilogo del sin qui detto, poiché in esso trovansi compendiati i delineamenti di questa combriccola, quasi nel prospetto stesso, che si sono estratti dal Carteggio, ed in questi Fogli forse troppo diffusamente esposti - 15. Agosto 1790.

«Avvemo qualche volta l'occasione di parlare di una Setta d'Ispirati, e d'Ispirate, che fanno pro-gressi, li quali devono spaventare il Governo. Sappiamo, che li Capi, li quali sperano di diventar Regi, Imperatori, Sommi Pontefici, Patriarchi, Cardinali, Ministri di Stato, Ambasciatori, Generali degli Eserciti; ed [591 v.] altri più modesti aspettano di essere Propagatori della Fede nuova, che si deve propalare per tutta la Terra, sappiamo, dissi, che questi capi ambiziosi, che hanno il suo gran Generale in Roma: tirano a se un numero prodigioso di Proseliti, che si lasciano sedurre o per igno-ranza, o per allettamento di gran guadagno. Si ammettono principalmente in questa Fraternità li uomini ricchi, o Nobili, li Giovani, che hanno le passioni focose, le donne leggiadre, e di comples-sione ardente, e che hanno il cuor tenero, e sensibile, e la testa pronta ad esaltarsi.

Il Codice loro è il Vangelo, il quale commentano, e spiegano alla loro guisa, e con il quale mi-schiano i libri di Swedemborgh fana- [592] tico del Settentrione, che si vanta di aver vissuto qua-rant'anni fra le Celesti Intelligenze [592v.]».

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INDICE DEL VOLUME

pag.

Avvertenza del Curatore 2

Introduzione 4

Cap. I - Il Settecento e la mentalità mistica 10

Cap. II - L'Illuminismo e la Rivoluzione Francese 28

Cap. III - Suzette Labrousse 42

Cap. IV - Il «Journal Prophétique» di Pierre Pontard 58

Cap. V - L'Illuminismo romano: Ottavio Cappelli e Suzette Labrousse 72

APPENDICI

A. Suzette Labrousse 94

B. «Journal Prophétique» 105

C. Breve Dettaglio 136