curiosità e immagini di una marina n (1) che non c’è più · trasformano in tante piccole e...

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Curiosità e immagini di una Marina che non c’è più a cura di Erminio Bagnasco Presidente onorario Gruppo ANMI “V. Folco” – Savona Archivio N on me ne vorrà l’ammiraglio Gino Galuppini se per il ti- toletto di queste note sono parzialmente ricorso a quel- lo di una sua splendida, recente opera (1), ma non ho saputo trovarne uno migliore… La prima delle quattro foto che seguono è dedicata ad una cu- riosità da concorso del tipo “indovina che cos’è?”: in realtà, si tratta semplicemente di un’istantanea che riproduce una pic- cola parte della carena di una nave appena messa a secco in bacino di carenaggio e ancora gocciolante d’acqua. 18 Marinai d’Italia intento a trasmettere un messaggio “a banderuole”, un tradi- zionale metodo di comunicazione ottica per corte distanze abbandonato solo da qualche decennio. NOTA (1) G. Galuppini, Storia di una Marina che non c’è più, 2 volumi, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 2000 FOTO 1 FOTO 1 • La Spezia, aprile 1960. Particolare della parte inferiore della carena della nave idrografica Staffetta appoggiata alle taccate di uno dei bacini di carenaggio dell’arsenale per le consuete operazioni di pulizia della carena in vista dell’annuale campagna estiva di scandagliamenti per l’aggiornamento della cartografia nazionale. Il bacino è stato appena svuotato dall’acqua e le gocce trattenute dai ciuffi della “barba” subacquea, formatasi nei parecchi mesi di inattività invernale, li trasformano in tante piccole e curiose stalattiti vegetali (Foto E. Bagnasco) FOTO 2 FOTO 2 • Rifornimento di carbone per le cal- daie dell’incrociatore corazzato Giuseppe Ga- ribaldi in una base navale italiana nei mesi estivi del 1910. Sulle navi maggiori, alle operazioni di “carbo- namento”, particolarmente lunghe e impe- gnative, partecipava l’intero equipaggio, con i vari reparti che facevano a gara per imbarca- re le maggiori quantità e riscuotere i relativi “premi” messi in palio dai comandi di bordo. Il carbone, indispensabile per l’operatività del bastimento, veniva sollevato mediante ceste, dette “coffe” o “corbe”, dalle bettoline affian- cate sottobordo e trasferito ai carbonili della nave le cui imboccature si trovavano normal- mente nella zona centrale all’altezza del pon- te di batteria. Inutile dilungarsi sulla fatica degli uomini e sui perniciosi effetti della polvere che si sollevava... Già all’epoca di questa foto, però, l’uso della nafta per la combustione nelle caldaie aveva iniziato ad affermarsi, sostituendosi a quella a carbone, e in relativamente pochi anni quasi tutta l’attività a questo collegata, a bordo e a terra, scomparve quasi totalmente. Ancora per alcuni decenni l’impiego del car- bone rimase per talune vecchie navi ausiliarie e su piccole unità di uso locale, poi scompar- ve del tutto, lasciando, tra l’altro, completa- mente vuote le vaste aeree destinate a “par- co” per combustibili solidi che sorgevano ai margini delle basi navali e che molti dei me- no giovani tra di noi ricorderanno (Coll. G. Alfano) Proprio quelle gocce conferiscono un particolare e inconsue- to aspetto alla vegetazione (detta comunemente “barba”) for- matasi durante la permanenza dello scafo in acque ferme. Le altre quattro rappresentano invece pratiche ed aspetti della vita di bordo dei quali si è persa oramai totalmente o parzialmente traccia: il “carbonamento” di una grande nave all’inizio del Novecento; la distribuzione del rancio con il me- todo delle gamelle; l’armamento scalzo del motoscafo del co- mandante di un’unità navale negli anni Venti e un segnalatore

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Page 1: Curiosità e immagini di una Marina N (1) che non c’è più · trasformano in tante piccole e curiose stalattiti vegetali (Foto E. Bagnasco) FOTO 2 FOTO 2 †Rifornimento di carbone

Curiosità e immagini di

una Marinache non c’è più

a cura di Erminio BagnascoPresidente onorario Gruppo ANMI “V. Folco” – Savona

Archivio

N on me ne vorrà l’ammiraglio Gino Galuppini se per il ti-toletto di queste note sono parzialmente ricorso a quel-lo di una sua splendida, recente opera (1), ma non ho

saputo trovarne uno migliore…La prima delle quattro foto che seguono è dedicata ad una cu-riosità da concorso del tipo “indovina che cos’è?”: in realtà, sitratta semplicemente di un’istantanea che riproduce una pic-cola parte della carena di una nave appena messa a secco inbacino di carenaggio e ancora gocciolante d’acqua.

18 Marinai d’Italia

intento a trasmettere un messaggio “a banderuole”, un tradi-zionale metodo di comunicazione ottica per corte distanzeabbandonato solo da qualche decennio.

NOTA

(1) G. Galuppini, Storia di una Marina che non c’è più,2 volumi, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 2000

FOTO 1

FOTO 1 • La Spezia, aprile 1960. Particolare della parte inferiore della carena della nave idrografica Staffetta appoggiata alle taccate di uno dei bacini di carenaggio dell’arsenale per leconsuete operazioni di pulizia della carena in vista dell’annuale campagna estiva di scandagliamenti per l’aggiornamento della cartografia nazionale. Ilbacino è stato appena svuotato dall’acqua e le gocce trattenute dai ciuffi della “barba” subacquea, formatasi nei parecchi mesi di inattività invernale, litrasformano in tante piccole e curiose stalattiti vegetali

(Foto E. Bagnasco)

FOTO 2

FOTO 2 • Rifornimento di carbone per le cal-daie dell’incrociatore corazzato Giuseppe Ga-ribaldi in una base navale italiana nei mesiestivi del 1910.Sulle navi maggiori, alle operazioni di “carbo-namento”, particolarmente lunghe e impe-gnative, partecipava l’intero equipaggio, con ivari reparti che facevano a gara per imbarca-re le maggiori quantità e riscuotere i relativi“premi” messi in palio dai comandi di bordo.Il carbone, indispensabile per l’operatività delbastimento, veniva sollevato mediante ceste,dette “coffe” o “corbe”, dalle bettoline affian-cate sottobordo e trasferito ai carbonili dellanave le cui imboccature si trovavano normal-mente nella zona centrale all’altezza del pon-te di batteria.Inutile dilungarsi sulla fatica degli uomini e suiperniciosi effetti della polvere che si sollevava...Già all’epoca di questa foto, però, l’uso dellanafta per la combustione nelle caldaie avevainiziato ad affermarsi, sostituendosi a quella acarbone, e in relativamente pochi anni quasitutta l’attività a questo collegata, a bordo e aterra, scomparve quasi totalmente.Ancora per alcuni decenni l’impiego del car-bone rimase per talune vecchie navi ausiliariee su piccole unità di uso locale, poi scompar-ve del tutto, lasciando, tra l’altro, completa-mente vuote le vaste aeree destinate a “par-co” per combustibili solidi che sorgevano aimargini delle basi navali e che molti dei me-no giovani tra di noi ricorderanno

(Coll. G. Alfano)

Proprio quelle gocce conferiscono un particolare e inconsue-to aspetto alla vegetazione (detta comunemente “barba”) for-matasi durante la permanenza dello scafo in acque ferme.Le altre quattro rappresentano invece pratiche ed aspettidella vita di bordo dei quali si è persa oramai totalmente oparzialmente traccia: il “carbonamento” di una grande naveall’inizio del Novecento; la distribuzione del rancio con il me-todo delle gamelle; l’armamento scalzo del motoscafo del co-mandante di un’unità navale negli anni Venti e un segnalatore

Page 2: Curiosità e immagini di una Marina N (1) che non c’è più · trasformano in tante piccole e curiose stalattiti vegetali (Foto E. Bagnasco) FOTO 2 FOTO 2 †Rifornimento di carbone

Archivio

FOTO 3

FOTO 4

Marinai d’Italia 21

FOTO 3 • Distribuzione del rancio a bordo della torpediniera (già ct) Giuseppe Dezza in navigazione negli anni Trenta del Novecento.Le capaci gamelle sono allineate in coperta fuori della cucina equipaggio e i cuochi stanno provvedendo al loro confezionamento mentre gli addetti al ritirodelle stesse attendono pazientemente.Ogni gamella conteneva il pasto completo per un gruppo di sei o dieci persone, definito appunto “rancio”, che lo consumava ai tavoli con relative panchenei locali equipaggio o, all’occorrenza, ai posti di combattimento.Il procedimento era alquanto lento e laborioso, oltre a costituire, sovente, motivo di sprechi; tuttavia, non avendone escogitato uno migliore, rimase invigore nella Marina italiana per molti decenni, sino a che, negli anni Cinquanta, cominciò a venir sostituito dal metodo, molto più funzionale ed economico,della “tavola calda”

(Coll. A. Molinari)

FOTO 4 • L’armamento del motoscafo del comandante di un’unità navale in posa sulla propria imbarcazione negli anni Venti del Novecento.Nella foto si distinguono il padrone, a poppavia della timoneria; il motorista, temporaneamente seduto su un angolo della timoneria stessa, e i due prodieriche tengono a portata di mano le proprie “gaffe”. Come da regolamento, il personale di coperta è a piedi nudi e in tenuta ordinaria

(g.c. “STORIA militare”)

FOTO 5

FOTO 5 • Un segnalatore intento a trasmette-re un messaggio con il metodo detto “a ban-deruole” da bordo di una nave maggiore ita-liana nei primi mesi della seconda guerramondiale.Il sistema utilizzava le varie lettere dell’alfa-beto indicate mediante la diversa posizionerelativa delle due braccia tese dell’operatoreche teneva in mano due asticelle di legno mu-nite di una piccola bandiera “O” del codice deisegnali.La distanza massima a cui, anche con l’usodel binocolo, la trasmissione poteva esseredistinta e compresa era ovviamente limitata,ma il metodo era sostanzialmente semplice,facile da imparare e da tenere a mente, pur sealquanto lento e impiegabile solo di giorno.Inoltre, era particolarmente coreografico e dif-ficilmente sfuggiva all’attenzione dei fotogra-fi professionisti quando imbarcavano per i lo-ro reportages sulle unità navali

(Foto LUCE)