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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 6 - numero 2 (50) - Febbraio 2009 IN QUESTO NUMERO: Grandi Temi Benedetto XVI: - Una premura mondiale - Disubbidienza e povertà. - L’ecologia umana e l’autodemolizione Concilio Vaticano II: - Lumen Gentium 31: natura e missione dei laici -Speciale Convegno - L’intervento di mons. Bregantini. - Il convegno occasione per riflettere sul modo di essere comunità - Trasmissione della fede e servizio della carità - Rilettura di un evento - Prime conclusioni Vocazioni Anno Paolino - Vocabolario Paolino 6: Koinonia - I Compagni di Paolo: Tichico e gli Efesini - Lettera di San Paolo agli Efesini - I luoghi paolini, 7 Efeso - Una luce sopra Damasco: la converzione di Saulo - San Paolo Apostolo per vocazione Vocazioni - I giovani nel cuore di un grande profeta. - Il dono della povertà: sostenere e fortificare l’obbedienza Educare oggi - L’educazione interculturale SPECIALE 50° NUMERO DI ECCLESIA IN C@MMINO

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    IN QUESTONUMERO:

    Grandi Temi

    Benedetto XVI: - Una premura mondiale- Disubbidienza e povertà.

    - L’ecologia umana e l’autodemolizione

    Concilio Vaticano II:

    - Lumen Gentium 31:natura e missione dei laici

    -Speciale Convegno

    - L’intervento di mons. Bregantini.

    - Il convegno occasione per riflettere sul modo di essere comunità

    - Trasmissione della fede e servizio della carità

    - Rilettura di un evento- Prime conclusioni

    Vocazioni

    Anno Paolino

    - Vocabolario Paolino 6:Koinonia- I Compagni di Paolo:Tichico e gli Efesini- Lettera di San Paolo agli Efesini

    - I luoghi paolini, 7 Efeso- Una luce sopra Damasco:la converzione di Saulo

    - San Paolo Apostolo per vocazione

    Vocazioni

    - I giovani nel cuore di un grande profeta.

    - Il dono della povertà:sostenere e fortificare l’obbedienza

    Educare oggi

    - L’educazione interculturale

    SPECIALE 50° NUMERO DI ECCLESIA IN C@MMINO

  • 22 FebbraioFebbraio20092009

    Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello volu-to da chi vi compare rispecchia

    esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola maiin nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la reda-

    zione Queste, insieme alla proprietà,si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di

    pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile dis-crezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se

    non pubblicati, non si restituiscono.E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni,

    marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore.

    Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

    Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

    Diocesi di Velletri-Segni

    Direttore Responsabile

    Don Angelo ManciniCollaboratori

    Stanislao Fioramonti

    Tonino Parmeggiani

    Gaetano Campanile

    ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

    Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del23.04.2004Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

    Via delle Viti, 1 - Cancelliera di Albano LazialeRedazione

    C.so della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

    A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, S.E. mons. AndreaMaria Erba, mon. Luigi Vari, Costantino Coros, don DarioVitali, mons. Franco Risi, Carotas Diocesana, Maria Pietroni,mons. Franco Fagiolo, don Fabrizio Marchetti, don MarcoNemesi, Dorina e Nicolino Tartaglione, Antonio Galati, ,Mara Della Vecchia, Pier Giorgio Liverani, AntonioVenditti, Emanuela Ciarla, Valentina Fioramonti, DanielePietrosanti,Graziano Comandini, Sara Gilotta, don GianniCastignoli, Sara Calì, Angelo Bottaro, Fernanda Spigone,Vari-Colaiacomo; Monastero di Clausura, MicheleSiconolfi, Fausto Ercolani.

    Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

    DISTRIBUZIONE GRATUITA

    In copertina:Foto di copertine di numeri passati di

    Ecclesìa in C@mmimo

    Vincenzo Apicella, vescovo

    Il Convegno diocesano ha offerto sen-za dubbio a quanti vi hanno partecipato nume-rosi spunti di riflessione, oltre che un preziosomomento di comunione e di confronto. A me sembra anzitutto doveroso ringraziare il mioamico vescovo Giancarlo Bregantini, che, nellaprima serata, ha saputo riscaldare i cuori e illu-minare le menti con la sua testimonianza. Sì, perché quello di p. Giancarlo non è stato undiscorso accademico, né una pia esortazione,ma la condivisione di quanto è maturato in luilungo l’esperienza di tutta una vita, passata attra-verso tante fasi e ambienti diversi. “Pecorai si nasce e pastori si diventa”: è statoil suo esordio e si potrebbe aggiungere, rove-sciando la prospettiva, che il grande nostro rischioè di far scadere la “pastorale” nella “pastorizia”.

    La sfida è sempre quella di non ripie-garci su noi stessi, di non accontentarci dell’or-dinaria amministrazione, ma di saper guardareinnanzi e in profondità, di lasciarci prendere permano e guidare dallo Spirito del Risorto, che ciistruisce costantemente, anche attraverso i fat-ti della nostra storia, siano essi felici o tristi, buo-ni o cattivi. La condizione previa indispensabile per poter tra-smettere la fede è, infatti, quella di sentirci noiper primi coinvolti nella ricerca delle vie di Dio,che sembrano sempre tanto diverse e lontanedalle nostre.

    Solo così gli altri potranno accettare lanostra compagnia e ascoltare le nostre parole,che devono venire dal cuore, perché “solo il cuo-re parla ai cuori”, secondo l’espressione di S. Francescodi Sales, che p. Giancarlo ci ha ricordato. Da queste premesse si è mosso l’itinerario, attra-verso cu siamo stati guidati a riscoprire gli ele-menti essenziali che debbono caratterizzare ognitentativo di trasmissione della fede.

    Anzitutto l’aver gustato, noi per primi,la dolcezza di Cristo, la sua tenerezza e la suamisericordia, con cui siamo stati accolti per quel-lo che siamo, con tutti i nostri limiti e perfino colnostro peccato, perché in questo si dimostra l’a-more di Dio: “perché mentre eravamo ancora pec-catori, Cristo è morto per noi”(Rom.5,8).

    Se siamo consapevoli di essere ama-ti e sostenuti in ogni situazione da Cristo,, poi-ché Egli ci ha fatto spazio nel suo cuore e hasposato la nostra causa, possiamo a nostra vol-ta accogliere l’altro e fargli spazio nella nostravita; non a caso d. Lorenzo Milani aveva postacome motto della sua scuola di Barbiana. “I care”,cioè “mi prendo cura”, “mi interessa”, “mi sta acuore”, insomma il contrario del menefreghismo.

    In questo Cristo ci precede sempre, Egliè la luce che illumina ogni uomo, nascosta nelsegreto di ogni coscienza, che attende di esse-re scoperta e alimenta la nostra ricerca e i nostrisogni. Il nostro compito è di far emergere, con

    umiltà e dolcezza, questa presenza che non giu-dica e non condanna, ma svela il nostro vero vol-to e l’immagine che portiamo indelebilmente impres-sa in noi, al di l di tutte le incrostazioni e defor-mazioni.

    Altra condizione perché l’annuncio pos-sa essere efficace è che provenga da un’espe-rienza di unità e di comunione: “Da questo tut-ti sapranno che siete miei discepoli, se avreteamore gli uni per gli altri” (Gv.13,35), aveva det-to Gesù nell’ultimo colloquio con i discepoli pri-ma della sua Passione.

    Non ci possiamo attendere che la pro-posta della fede sia accolta se andiamo in ordi-ne sparso e, magari, in concorrenza reciproca;potremmo essere i più esperti e i più coinvolgenti,ma il nostro massimo risultato sarebbe quello diaver fondato una nuova setta. Inoltre ci è statoricordato l’esigenza della chiarezza, di fare alcu-ne scelte indispensabili di povertà, di semplici-tà, e quindi di libertà, che portino ad un coinvolgimentoreale nelle situazioni.

    Qui p. Giancarlo ha parlato, senza dub-bio, a partire da ciò che in prima persona ha vis-suto in terra di Calabria, dove il rischio è di sem-brare equidistanti, di non schierarsi e, quindi diessere, in qualche ,modo, compromessi con unsistema di prepotenza e di ingiustizia.

    Ma in ogni situazione resta l’esigenzadi testimoniare chiaramente le scelte del Vangelo,che sono espresse nella forma più piena e piùsemplice da Maria nel canto del Magnificat: “Hadisperso i superbi nei pensieri del loro cuore, harovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umi-li, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimanda-ti i ricchi a mani vuote” (Lc.1, 51b-53). Infine, come vertice e coronamento di tutto, è neces-sario il riferimento costante a quanto il cristianovive nell’Eucarestia, in cui Cristo continua a con-segnare se stesso senza condizioni e senza riser-ve, anche a coloro che lo consegnano alla Croce.

    Alla massima ingiustizia e violenza Eglirisponde col massimo dell’amore, poiché solo inquesto modo si apre la via ad un mondo diver-so, al Regno della giustizia e della pace, alla vit-toria finale della Resurrezione e della Vita sulletenebre della morte. In questo modo si può sfuggire alla logica checi impone di scegliere tra contrapposizione e sud-ditanza , per diventare annunciatori di una pro-posta alternativa ai criteri di questo mondo.

    Chi può rendere possibile tutto questonon è la nostra bontà o la nostra intelligenza; comedimostra l’episodio dell’incontro tra il diaco-no Filippo e l’eunuco (At.8,26-40), il vero pro-tagonista della trasmissione della fede è loSpirito del Risorto, che agisce costantementenella Chiesa e che il Padre buono concedesenza misura a tutti coloro che glielo chie-dono (Lc.8,13).

    A proposito del Convegno Diocesano:“La condizione previa indispensabile per poter trasmettere la

    fede è quella di sentirci noi per primi coinvolti nella ricerca delle vie di Dio”

  • 33Febbraio Febbraio 20092009

    Stanislao Fioramonti

    ella tradizionale udienza di inizioanno ai 177 rappresentati diplomati-ci accreditati presso la S. Sede (in pra-tica, tutte le nazioni del mondo tran-

    ne 7), svoltasi l’8 gennaio 2009, papa BenedettoXVI ha “meditato” in termini molto chiari sugli “avve-nimenti che segnano il corso della storia”, ana-lizzando tutte le aree di crisi del pianeta e pro-ponendo per ognuna soluzioni praticabili. Il suoprimo pensiero “affettuoso” è per le popolazioniche hanno sofferto per gravi catastrofi natura-li (Vietnam, Birmania, Cina, Filippine, America Centralee Caraibi, Colombia, Brasile), oppure per sanguinosiconflitti nazionali o regionali o per attentati ter-roristici (Afghanistan, India, Pakistan, Algeria).L’invito è a raddoppiare gli sforzi per promuove-re la sicurezza e lo sviluppo, ad esempio firmando(come ha fatto la S Sede tra i primi) la “conven-zione sulle munizioni a grappolo”. “Non siamo ingrado di costruire la pace, ripete il papa, quan-do la spesa militare sottrae enormi risorse uma-ne e materiali per i progetti di sviluppo, special-mente dei popoli più poveri”. Rivolgendo quindi la sua attenzione ai “troppo nume-rosi poveri del nostro pianeta”, egli ricorda il suomessaggio per la Giornata mondiale della pace(“Combattere la povertà, costruire la pace”) e l’en-ciclica di Paolo VI “Populorum progressio” (n.6)e aggiunge che per costruire la pace occorre rida-re speranza ai poveri. Pensando alle persone col-pite dall’attuale crisi economica e finanziaria mon-diale, dalla crisi alimentare e dal riscaldamentoclimatico, che aggravano ulteriormente la caren-za di cibo e di acqua nelle regioni più povere, invi-ta “ad adottare strategie efficaci per combatterela fame e facilitare lo sviluppo agricolo locale”, ancheperché aumenta il numero dei poveri nei paesiricchi. Per rendere l’economia sana, prosegue il papa,è necessario costruire una nuova fiducia, attuan-do un’etica basata sull’innata dignità della per-sona umana. Un compito impegnativo, ma nonuna utopia! Se si vuole lottare cotro la povertà,bisogna investire soprattutto nei giovani, educandolia un ideale di vera fraternità; inoltre una sana lai-cità della società non ignora la dimensione spi-rituale e i suoi valori, perché la religione non èun ostacolo, ma un fondamento per costruire unasocietà più giusta e libera. Ripensando alle discriminazioni e attacchi sub-iti nel 2008 da migliaia di cristiani, specie inIndia e Iraq, papa Ratzinger riflette che non gio-va alla pace non solo la povertà materiale, manemmeno quella morale; è nella povertà mora-le infatti che si fondano quegli abusi. Ai diplomaticidel mondo egli ribadisce che “il cristianesimo èuna religione di libertà e di pace ed è al serviziodel vero bene dell’umanità”; rinnova il suo affet-to per le vittime dell’intolleranza anticristiana e ilsuo invito alle autorità civili e politiche di quei pae-

    si di porre fine alle violenze, di riparare i danni edi avere il giusto rispetto per tutte le religioni. L’odioe le sofferenze delle popolazioni civili ancora osta-colano una soluzione al conflitto tra israelianie palestinesi; ma l’opzione militare non è mai unasoluzione e la violenza va sempre condannata:il papa perciò auspica una conferma della treguanella striscia di Gaza e un rilancio dei negoziatidi pace rinunciando all’odio, alle provocazioni eall’uso delle armi. Ed essendo prossime in quel-l’area importanti scadenze elettorali, si augura cheda esse emergano dirigenti capaci di guidare i loropopoli verso la riconciliazione, mediante un approc-cio globale ai problemi di quei Paesi. Sempre per il Medio Oriente, oltre alla soluzio-ne del conflitto suddetto si invita al sostegno deldialogo tra Israele e Siria, al consolidamento del-le istituzioni nel Libano, a un futuro senza discriminazioniper l’Iraq, a negoziare con l’Iran una soluzionesul suo programma nucleare che soddisfi le esi-genze sia del Paese che della comunità internazionale.Riguardo al grande continente asiatico, il papaconstata il perdurare di violenze e di tensione poli-tica in certi Paesi (la soluzione al conflitto nelloSri Lanka può essere solo politica), ma anche pro-gressi che danno fiducia, come i negoziati di pacea Mindanao (Filippine) e le migliorate relazioni traPechino e Taipei (Formosa). Al processo globale di pace nel continente voglio-no contribuire le piccole ma vive comunità cristianein esso presenti; la beatificazione dei 188 marti-ri giapponesi conferma che la Chiesa non chie-de privilegi, ma solo libertà religiosa. Ricordando il suo prossimo viaggio in Africa (Angolae Camerun), Benedetto XVI prega che i fratelliafricani siano disponibili ad accogliere e vivere ilVangelo e a costruire la pace lottando contro lapovertà morale e materiale. I bambini africani sof-frono ancora in molte parti del continente(Somalia, Darfur, Rep. Democratica del Congo),sono rifugiati e profughi, privati dei loro diritti edella loro dignità. La S. Sede, che segue con atten-zione speciale il continente africano, chiede ai respon-

    sabili politici nazionali e internazionali di adotta-re ogni misura per risolvere i conflitti e le ingiu-stizie in Africa (Somalia, Zimbabwe, Burundi). Anchein America Latina si desidera la pace, il supe-ramento della povertà, l’esercizio dei diritti fon-damentali. I legislatori devono assicurare ai migran-ti facilitazioni (ad esempio i ricongiungimenti fami-liari) e rispetto delle persone; devono lottare con-tro il traffico di stupefacenti e la corruzione. Il papasi rallegra per il monumento a Giovanni Paolo IIvoluto da Cile e Argentina come riconoscimentodella mediazione pontificia sulla vertenza per leloro terre australi; e per il recente accordo dellaS. Sede con il Brasile, che faciliterà l’evangeliz-zazione e la promozione umana in quel grandee difficile Paese: illuminare le coscienze e formarei laici perché servano il bene comune sarà il com-pito di quei pastori. Guardando infine alle comunità più vicine, il pon-tefice saluta i cristiani di Turchia e considera chein questo Anno Paolino molti pellegrini visiteran-no la loro terra, dove il Cristianesimo ha avutoorigine. Si augura una felice conclusione dei nego-ziati di Cipro per risolvere equamente la divisio-ne dell’isola. Invita a non risolvere con le armi lequestioni del Caucaso e a onorare appieno il ces-sate il fuoco in Georgia, onde gli sfollati possa-no tornare al più presto nelle loro case. Costanteè l’impegno della S. Sede per la stabilizzazionedel Sud-est europeo e per la riconciliazione traSerbia e Kosovo, anche per difendere il prezio-so patrimonio artistico e culturale cristiano pre-sente in quell’area, e per il rispetto delle mino-ranze. La conclusione del discorso papale tor-na al messaggio per la Giornata mondiale dellapace (1° gennaio 2009), ribadisce che i più pove-ri tra gli esseri umani sono i bambini non anco-ra nati e pensa agli altri poveri: malati, anziani soli,famiglie irrimediabilmente divise. La povertà si com-batte se l’umanità è unita da valori e ideali con-divisi; la solidarietà fra gli uomini – ce lo insegnaGesù che nasce – è la via maestra per combat-tere la povertà e per costruire la pace.

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  • 44 FebbraioFebbraio20092009

    Sara Gilotta rmai da molti mesi il Papa si riferiscealle gravi ingiustizie sociali, che sem-brano essere divenute il carattere fon-damentale del nostro secolo, con paro-

    le commosse e forti, sulle quali, secondo me, ènecessario riflettere non solo da parte dei poten-ti che governano il mondo, ma, prima ancora,daparte di ogni individuo, ogni famiglia, ogni comunità.Ma, per cercare di comprendere meglio la situa-zione, nella quale tutti i paesi del globo sembra-ne essere precipitati,è necessario ricordare chela storia tutta, da sempre ha conosciuto ogni tipodi disuguaglianza, a cominciare dalla povertà ,senza nemmeno essersi posta la “questione”, peril semplice fatto che la stessa idea di un dirittobasato sull’etica , che fosse capace e volesse rego-lare i diversi problemi che da sempre si pongo-no, riguardo alle diverse dimensioni della vita pra-tica, era estranea al mondo antico.Intanto perché allora come oggi il tentativo di distin-guere l’etica dall’economia è sempre risultato dif-ficile, se non impossibile, per il fatto assai sem-plice per cui l’economia tocca interessi privati epubblici,mentre l’etica comprende l’universo deivalori, che interessa inevitabilmente quelli chesi possono definire i problemi derivanti dai con-flitti sociali su cui, appunto, dovrebbe vertere l’e-

    tica per offrire le norme necessarie a regolarli.. Ora è chiaro che lì dove,invece, come oggi acca-de, la regola fondamentale del vivere sociale sibasi sull’egoismo e sul più totale edonismo, incom-patibili completamente con qualsivoglia atteggiamentoetico, allora qualunque discorso, per quanto auto-revole possa essere, diviene incomprensibile eirrealizzabile .Ed è questa, secondo me, la situazione, cui si rife-risce il Pontefice, che naturalmente non potevanon guardare soprattutto al realtà sempre più este-sa dei poveri e dei diseredati. Povertà che nasce per molti aspetti dal seno stes-so della società postindustriale, la cui organizzazionedel lavoro e la cui visione del lavoratore è muta-ta profondamente, acuendo irrimediabilmente i con-flitti sociali già esistenti, che la società industria-lizzata non aveva potuto o voluto risolvere. E le cause sono chiare e semplici da compren-dere: se infatti il mito della produzione ad ognicosto è andato trasformandosi nel mito altrettantoforte del consumismo e del divertimento obbligato, che, pur tuttavia, sono divenuti l’ unica possi-bilità di produrre, creare e progredire, è chiaro chei problemi emersi con maggiore forza non pote-vano che riguardare la povertà e i poveri vecchie nuovi. Così le indagini demoscopiche rivelanoe confermano quanto ormai è ben noto e cioè che

    le aree di povertà stanno divenendo in Italia e nelmondo sempre più estese, quasi che proprio lesocietà occidentali siano divenute capaci per lorostessa natura di secernere il fenomeno della pover-tà. Povertà che si deve considerare ormai la pri-ma causa di emarginazione dalla vita sociale, pro-prio per il fatto che chi è povero viene automa-ticamente estromesso dalla comunità nella qua-le vive o, forse meglio cerca di sopravvivere. E di fronte a tale gravissimo fenomeno nessunopuò assolversi, tanto meno le classi dirigenti, cheinvece di tentare di migliorare la situazione, nehanno fatto il luogo per dominare più facilmentele masse, facendone non il fine di un progressoutile per tutti, ma il mezzo per l’utile di pochi pri-vilegiati, che neanche si avvedono, né d’altra par-te interesserebbe loro, di quanta povertà è cari-co il mondo. Dei poveri che si trovano inevitabilmente fuori “delcerchio” di chi stabilisce gli standard richiesti daimeccanismi del sistema. Ci si può allora ancora chiedere il perché in real-tà anche tra loro assai diverse e lontane si veri-fichino le medesime illusioni e frustrazioni, chenessun provvedimento di legge, per lo più inat-tuato riesce a lenire? No. Anzi il tutto è aggravato dall’egoismo dei sin-goli, che sono indotti a rifiutare coloro che con-siderano semplicisticamente diversi, acuendo intal modo gli effetti disastrosi di una situazione giàassai grave. Per tutto questo, secondo me, è ormaitempo che nessuno deleghi a nessuno quel cheè necessario fare per migliorare la situazione ,che ciascuno senta la sua personale responsa-bilità di azione e di scelta, che ciascuno, torni adoperare tenendo presenti i valori umani fonda-mentali, quelli insegnati dalla natura stessa, chepretende il rispetto per l’ altro, come del resto èconfermato nel Vangelo di Cristo, che, come nes-suno mai prima, ha predicato l’uguaglianza tra gliuomini, figli di Dio e fratelli di Cristo.Insomma voglio dire che non bastano più le dichia-razioni di buona volontà, non è più sufficiente spe-rare in un futuro migliore costruito da chi ci gover-na, ma è necessario per tutti cercare di dar vitaad un nuovo mondo, in cui finalmente venga menoil principio dello sfruttamento dell’uomo sull’uo-mo, giacché esso di per sé può migliorare la situa-zione e suscitare la capacità di rapportarsi conl’altro secondo un rapporto davvero paritario, capa-ce di far sì che le sperequazioni, almeno quellepiù gravi vengano affrontate con spirito nuovo, nel-la volontà di “rimediare” davvero con i fatti ai pro-blemi che il cosiddetto mondo civile non può piùfar finta di ignorare. Diversamente ci attende un futuro di violenze eribellioni , che , provenienti dagli oppressi e dagliemarginati,( né i prodromi mancano) che finiràper coinvolgere inevitabilmente tutti, distruggen-do anche le forme più semplici di diritto e preci-pitando il mondo nel caos totale, nella guerra ditutti contro tutti.

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  • 55Febbraio Febbraio 20092009

    Pier Giorgio Liverani

    a suscitato scalpore la rivelazione, fat-ta sull’Osservatore Romano dal pre-sidente della Federazione internazionaledelle associazioni dei medici cattoli-

    ci, prof. José Maria Simón Castellví, che la pil-lola contraccettiva inquina non soltanto le don-ne che l’assumono, ma anche l’ambiente e, conmolta probabilità, è tra le cause della fortementediminuita fertilità maschile. Questa notizia ha tanto colpito l’opinione pub-blica, oggi assai sensibile agli aspetti dell’inquinamento,che, non avendo elementi scientifici per conte-starla, il fronte laicista e in special modo quel-lo che si riconosce nella sinistra politica, ha fat-to ricorso all’ironia. I due quotidiani della cosid-detta “Sinistra radicale”, hanno scritto, infatti –chiedo scusa ai lettori della citazione – che «que-sta Chiesa ha paura anche della pipì delle don-ne».Invece il prof. Castellví parlava molto seriamentee serenamente di un «documento lungo centopagine e molto tecnico e con 300 citazioni biblio-grafiche» della sua Federazione, pubblicato nel40° anniversario dell’enciclica di Paolo VIHumanæ Vitæ. Il documento contiene gli esitidegli studi della FIAMC e, tra questi, descriveanche «gli effetti ecologici devastanti delle ton-nellate di ormoni per anni rilasciati nell’ambiente.Abbiamo dati a sufficienza per affermare che unodei motivi per nulla disprezzabile dell’infertilitàmaschile in occidente (con sempre meno sper-matozoi nell’uomo) è l’inquinamento ambienta-le provocato da prodotti della “pillola”. Siamo qui di fronte a un effetto anti-ecologicochiaro, che esige ulteriori spiegazioni da partedei fabbricanti. Sono noti a tutti gli altri effetti secondari dellecombinazioni fra estrogeni e progestinici. La stessa Agenzia Internazionale di Ricerca delCancro, con sede a Lione, dipendentedall’Organizzazione mondiale della sanità, nelsuo comunicato stampa del 29 luglio 2005, ave-va già costatato la carcinogenicità dei preparatiorali di combinati estrogeno-progestinici», di cuisono fatte le pillole (il carcinoma è una delle peg-giori forme di cancro).Com’è evidente c’è poco fa fare ironia. Meglioriflettere come tutti i ritrovati tecnici e farmaco-logici che mirano a impedire il concepimento ea procurare l’aborto, come pure quelli inventa-ti per i maschi e le tecniche di fecondazione arti-ficiale, mettano in evidenza, per contrasto, l’im-portanza di quella “ecologia umana”, su cui PaoloVI fondò la sua Humanæ Vitæ, e cui si riferì GiovanniPaolo II nella Centesimus Annus, riaffermandoche «la prima e fondamentale struttura dell’e-cologia umana è la famiglia, nella quale l’uomoriceve la prima formazione di idee riguardantila verità e la bontà, e impara che cosa signifi-

    ca amare edessere amati equindi che cosasignifica esserepersona». Questo concet-to fu, infine, for-malmente pre-sentato all’opi-nione pubblicamondiale dallaSanta Sede alVertice Mondialeper lo SviluppoSostenibile tenu-tosi aJohannesburgnel giugno del2002, con undocumento incui si ribadivache «il fonda-mento per losviluppo soste-nibile» è il rico-noscimento del-la dignità uma-na, a sua voltafondato princi-palmente sul«rispetto e sul-la salvaguardiadelle condizionimorali nell’ope-rato dell’uomo».Bastano questipochi accennia comprenderequanto l’ironiasulla rivelazionedell’Osservatore Romano sia fuor di luogo e, inve-ce, quanto il discorso sul rispetto della dignitàdell’uomo – platealmente violata da ogni formadi intervento estraneo nei più intimi e ricchi momen-ti della vita degli esseri umani – non sia soltantodi natura religiosa, ma appartenga a un’etica assaipiù diffusa dello stesso cristianesimo: quella delrispetto della natura. Ne parlava anche Papa Benedetto XVI, il 22 dicem-bre dello scorso anno, alla Curia romana. Dopo aver ricordato che la Chiesa non può enon deve limitarsi a trasmettere ai propri fede-li soltanto il messaggio della salvezza, ma che«essa ha una responsabilità per il creato e devefar valere questa responsabilità anche in pub-blico», il Papa ha aggiunto che nel Creato, oggisottoposto a grandi pericoli di distruzione e dadifendere come un bene appartenente a tutti,non esistono soltanto l’atmosfera, i ghiacci pola-ri e quelli delle nostre montagne, il mare e le fore-ste tropicali, ma rientra anche l’uomo.

    È compito primario della Chiesa «proteggere l’uo-mo contro la distruzione di se stesso». In altre parole (e come più volte questo concettoè stato presentato su queste pagine), l’arroganzacon cui oggi una parte notevole della cultura pro-clama l’autodeterminazione, cioè la libertà difronte alle “vecchie” morali e la pretesa di esse-re padroni della propria nascita e della propriamorte – l’“uomo autopoietico” ovvero l’“uomo-che-si-fa-da-sé” –, non può che portare alla distru-zione. dell’uomoSe è lecito concludere con una battuta un dis-corso serio come questo, confesserò che unascritta che s’incontra frequentemente sui cartelloninelle periferie urbane – “Autodemolizione” – parea me che indichi ben altro che un cantiere di “sfa-sciacarrozze” e costituisce un involontariosevero monito contro l’autodistruzione dell’uo-mo.

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  • 66 FebbraioFebbraio20092009

    “Non c’è pace senza giustizia ,ma non c’è giustizia senza perdono”

    Angelo Bottaro

    Il dieci gennaio scorso una donna disabile e costret-ta sulla sedia a rotelle all’uscita dell’ufficio posta-le è stata aggredita e derubata della esigua pen-sione appena prelevata. I due rapinatori con il vol-to coperto da un casco integrale erano armati dipistola e hanno picchiato brutalmente la vittimache tentava di opporsi alla vile aggressione In con-seguenza del forte trauma la donna di nome Feliciaè morta d’infarto. La vittima da anni era impegnataattivamente a difendere i diritti dei disabili e ad aiu-tare e a consigliare le persone nelle sue stesse

    condizioni. Questo fatto di cronaca mi ha colpitoin modo particolare perché in esso , nonostantei “mala tempora” che corrono e nonostante il “bol-lettino di guerra” giornaliero, ho riscontrato una mal-vagità gratuita ed efferata che supera abbondan-temente la soglia di “normale” tollerabilità. Mi sono chiesto quale potrebbe essere la puni-zione più adeguata laddove i due malviventi, comespero ardentemente , fossero individuati e processati: sarebbe indispensabile una lunga e dura penadetentiva o si dovrebbe tentare un percorso riedu-cativo , tendente a porre gli autori del crimine difronte alla loro responsabilità , a cercare di por-re riparo in modo attivo e concreto al male com-messo e quindi a cambiare vita una volta per sem-pre? La questione non è nuova , anzi è sempreesistita , ma ancora oggi è ben lungi dall’essererisolta. Ogni comunità , a partire da quelle primi-tive , per reggersi e per progredire ha necessitàdi regole e di leggi. Nelle società antiche la vendetta era l’atto legit-timo attraverso il quale veniva resa giustizia allavittima in quanto era finalizzato a ristabilire l’e-quilibrio sociale che l’atto criminale aveva rotto emirava a garantire la convivenza sociale. La penaper le varie fattispecie di reato spesso era identi-ca al torto subito o al danno provocato e veniva

    eseguita dalla parte lesa , di solito un familiare del-la vittima. Ad esempio per l’omicidio la pena erala morte e se la vittima era figlio di un altro uomoall’omicida veniva ucciso un figlio. Se la vittima erauno schiavo la pena era costituita da una ammen-da equivalente al prezzo di acquisto dello schia-vo ucciso. Sebbene la legge del taglione sia quasi sempreriferita alla Bibbia in realtà essa è molto più anti-ca poichè era sancita già dal codice Hammurabi, re babilonese che regnò dal 1792 al 1750 avan-ti Cristo. La regola occhio per occhio,dente per den-te , tuttavia,alla lunga si rivelò non idonea a garan-tire stabilità e pace sociale perché fomentava eestendeva a macchia d’olio ulteriore rancore eodio inestinguibile tra le famiglie delle vittime e le

    famiglie dei colpevoli. A tale riguardo può essereesemplificativa , senza entrare nel merito dei tor-ti e delle ragioni, la situazione venutasi a crearetra palestinesi e israeliani con tutte le tragiche con-seguenze e sofferenze , al momento senza alcu-na prospettiva di attenuazione e di superamen-to. Per evitare di innescare una escalation di vio-lenza e di odio nella evoluzione storica e socia-le l’esercizio della vendetta fu avocato a sè dallacomunità e , quindi, sottratto alle vittime e ai lorofamiliari. La formulazione , la applicazione e laesecuzione delle leggi da parte di rappresentan-ti e garanti della comunità costituì un passo fon-damentale nella lunga e travagliata evoluzionestorica della giustizia , ma il cammino ancora oggiè ben lungi dall’essere concluso. Il tema della giustizia , infatti, è spinosamente attua-le ,perchè continua a creare delusioni, lacerazio-ni e contrapposizioni. Al centro della questione del-la sicurezza del cittadino e della giustizia resta irri-solto il nodo se la strada da perseguire sia quel-la della repressione e della vendetta o quella del-la riabilitazione e del perdono. Ogni volta che vie-ne commesso un crimine l’opinione pubblica con-tinua a dividersi in due correnti separate e distin-te : una parte prevalente , che vorrebbe commi-nare al colpevole “quello che si merita”, una puni-zione severa ed esemplare e una parte più incli-

    ne al recupero e al perdono . In altri termini allagiustizia cosiddetta retributiva continua a contrapporsiuna giustizia cosiddetta riabilitativa : sembra diessere di fronte ad un aut aut senza altra possi-bile alternativa , ad un braccio di ferro senza vin-ti e senza vincitori. Secondo coloro che intendo-no far pagare fino in fondo il male commessola punizione deve essere la più dura possibile eproporzionata alla sofferenza provocata dal cri-minale , che a sua volta deve soffrire almeno quan-to ha fatto soffrire la sua vittima. In questo caso ,nel nostro ordinamento penale, la pena che rispon-de alla finalità indicata è il carcere , luogo dovel’autore del reato è innanzi tutto privato della liber-tà , con tutte le conseguenze che conseguono atale condizione. Nulla importa , pertanto, che il criminale di fattoresti a marcire in carcere per tutta la durata del-la condanna , con la prospettiva quasi certa cheuna volta scontata la pena tornerà a delinquere.Coloro che vorrebbero fare giustizia in direzionedella riabilitazione e della riconciliazione per prin-cipio mirano , invece , ad un percorso di ricostruzionedella personalità relazionale , cioè ad un percor-so di rieducazione e di recupero dell’autore delreato. Questa soluzione , peraltro , non compor-ta necessariamente la detenzione in un carcere ,ma prevede , quando ne ricorrano le motivazionie le condizioni , le cosiddette misure alternative.Tale posizione è ritenuta dai più inaccettabile per-chè non renderebbe giustizia alle vittime , anzile umilierebbe. Oltre tutto cambiare l’indole, il carattere , il mododi agire di una persona abituata a delinquere ,anche se scientificamente e ragionevolmente pos-sibile , è di certo difficile e oltretutto comporta tem-pi lunghi e la disponibilità ed il supporto di ingen-ti risorse umane, professionali,economiche, strut-turali. Rieducare e recuperare un delinquente sareb-be , perciò, una utopia , un obiettivo nei fatti irrea-lizzabile. Ma come ha più volte affermato anche GiovanniPaolo II “non c’è pace senza giustizia, ma non c’ègiustizia senza perdono”: perdono e giustizia infat-ti non sono due termini antitetici che fanno a pugnitra di loro, ma possono e devono essere due ele-menti che si integrano e si completano a vicen-da. E’ falsa la contrapposizione tra una giustizia fred-da e disumana ed un perdono ricco di calore e diumanità : essi sono invece due facce della stes-sa medaglia , perché non si può fondare la pacesociale solo sulla repressione , ma neppure sulperdonismo e sul buonismo a buon mercato.L’innesto nella civiltà umana del perdono cristia-no non può essere stravolto e ridotto ad un fat-to banale , esteriore, formale , svuotato del suopiù genuino significato. Il perdono è un punto sostanziale del messaggioevangelico , un aspetto fondamentale della nostrafede e del nostro vivere , ma assume profondo econcreto valore solo quando aiuta e stimola il col-pevole ad assumere la responsabilità del propriogesto, attraverso un reale e sincero pentimento ecomunque attraverso una forma di espiazione edi riparazione che sia idonea a ristabilire il rap-porto con la vittima e l’equilibrio sociale turbato.

  • 77Febbraio Febbraio 20092009

    Marta Pietroni

    Il 21 gennaio 2008, in una lettera indirizzata allaDiocesi di Roma sul compito educativo, Papa BenedettoXVI ha scritto “Non temete!” . In riferimento alleinnumerevoli difficoltà che si moltiplicano nel pro-blema educativo il Santo Padre ci dice che essenon sono altro che il rovescio della medaglia diquel dono grande e prezioso che è rappresenta-to dalla nostra libertà e dalla responsabilità chene consegue, responsabilità che diventa decisi-va nel fenomeno dell’educare. Questa libertà, diceBenedetto XVI, è sempre nuova e proprio per que-sto ciascuna persona e ciascuna generazione deveprendere di nuovo le proprie decisioni. 2. Alla radice della crisi del-l’educazione o, come più volte detto dallo stes-so Benedetto XVI, dell’emergenza educativa c’èinfatti una crisi di fiducia della vita, laddove il rela-tivismo è divenuto una sorta di dogma; in questoclima si è diffusa l’idea che sia “pericoloso” par-lare di verità. Per affrontare l’attuale crisi mondialeè necessaria una “formazione ai valori”3. La stes-sa crisi economica, continua il Papa, è strettamenteconnessa a quella strutturale, culturale e di valo-ri. Esiste infatti un’emergenza educativa e solo lapienezza della verità può aprire ad un giovane l’av-ventura della vita4. L’odierno nichilismo, che ridu-ce l’uomo ad oggetto, a esperimento e che ten-ta da più parti di farsi strada toccando soprattut-to le questioni bioetiche, contrasta con il “vero”educare che mira ad un progetto di maggiore uma-nità, nel quale bisogna ispirarsi al criterio della cen-tralità della persona umana, colmando un pericolosovuoto di valori che si accompagna all’esaltazio-ne del tecnicismo e che sfida l’umanesimo cristiano.Il rivoluzionario concetto di persona, la dignità delcorpo, il riconoscimento della dignità del bambi-no, della donna, del malato, del disabile sono glielementi che stravolsero la mondo occidentale gra-zie alla rivoluzione culturale del cristianesimo.L’antropologia e l’educazione sono stati fattori fon-damentali per l’origine della cultura occidentale.

    L’educare – dallatino educereovvero portarein luce, inten-zionare, daree promuovere,formare soprat-tutto ai valori –non può esse-re scisso dallaricerca di valo-re e di senso,dallo sviluppodel senso mora-le, dall’educa-re alle virtù.Per questo laquestione edu-cativa si occu-pa dell’uomoin tutto l’arco del-la sua vita e nel-la totalità dellasua persona.Se riconoscia-mo nelle finali-tà della bioetica il tentativo di identificare valori enorme che guidano l’agire umano nella stretta rela-zione tra scienza, tecnologia ed etica ci rendia-mo conto di come essa, la bioetica, si ponga anchecome importante sfida educativa e come “educatrice”di coscienza critica in una civiltà come la nostra.La sfida più grande emerge indubbiamente ed inprimis in ambito scolastico. Educare i ragazzi allabioetica vorrebbe dire infatti educare al confron-to, al dialogo, rappresenterebbe il luogo di rifles-sione sulla vita, sulla sofferenza, sulla morte, suiconcetti di dignità, di qualità della vita. Nella con-sapevolezza della portata educativa e culturaledella bioetica, il 6 ottobre 1999 è stato redatto unprotocollo d’intesa tra il Ministero della pubblicaistruzione ed il Comitato Nazionale di Bioetica nelquale si sottolinea l’importanza dello sviluppo diiniziative a favore delle scuole, volte alla conoscenzadei problemi che scaturiscono dai progressi del-la scienza e dall’uso delle biotecnologie. Le que-stioni in ballo sono talmente importanti che tra-scurare la sfera educativa corrisponderebbe aduna grave irresponsabilità con ripercussioni sul-la sfera individuale di ciascuno e su quella col-

    lettiva. La stessa Chiesa, che da anni concen-tra i suoi sforzi sulla “missione” dell’educazione,sente su di sé questa grande responsabilità per-ché ad essere compromessa è oggi la stessa visio-ne della natura dell’uomo, dell’identità umana, lastessa idea di persona e di corporeità. Abbiamoil dovere di educare i giovani anche sui temi del-la sessualità, della procreazione, dell’aborto. Lavisione della vita e dell’uomo che “avrà lameglio” sarà determinante per il futuro dell’uomo,per le stesse scelte pratiche che si realizzeran-no anche in campo biomedico e sperimentale. (Maritain) 1 Papa Benedetto XVI.2 Benedetto XVI nella lettere alla Diocesi di Roma sul compitoeducativo, 21 gennaio 2008. 3 Benedetto XVI durante l’udienza concessa ai membridell’Amministrazione della Regione Lazio, della città e dellaprovincia di Roma il 12 gennaio 2009.4 Idem.

    Alla vittima o ai suoi familiari deve essere offer-ta una condivisione solidale del dolore che con-senta loro , nei tempi e nei modi necessari , di ela-borarlo , di accettarlo e di superarlo fino a trasformarloin un gesto d’amore, reso possibile solo e soltantocon il perdono. Senza il presupposto di una effet-tiva assunzione di responsabilità , di pentimento, di espiazione , di richiesta sincera di perdono daparte del colpevole da un lato e senza il presup-posto della elaborazione del dolore , della accet-tazione della richiesta di perdono da parte dellavittima , reso più forte e autentico dalla parteci-

    pazione e dalla condivisione solidale della comu-nità dall’altro lato, il perdono non potrà mai assur-gere ad un atto di vera riconciliazione. Non potràmai esserlo se non si manifesterà nella sua pie-na autenticità , fino a divenire un atto di giustiziaper tutte le parti in causa,colpevole,vittima,comu-nità sociale. Unicamente in questa prospettiva il perdono nonconsiste nel buonismo o nel perdonismo contro-producente e dannoso , ma nella convinzione ,nella volontà e nell’impegno di rendere vera giu-stizia. Perdonare è tutto altro che facile , perché

    è un gesto autentico e proficuo solo se è il risul-tato di un cammino faticoso e doloroso di costru-zione di una realtà umana più aperta alle fragili-tà e ai bisogni e soprattutto disponibile all’amo-re , l’amore convergente delle vittime , dei col-pevoli , della intera collettività. Offrire una via d’u-scita , la possibilità di un concreto cambiamentoè al tempo stesso un atto di amore e una gestolungimirante : lo spirito di riconciliazione è quasisempre destinato a produrre , nel tempo neces-sario , frutti positivi , rispettando pienamente il sen-so e la domanda di giustizia.

    segue dalla pagina precedente

  • 88 FebbraioFebbraio20092009

    Don Dario Vitali*

    Tema difficile quello dei laici, che rischia enfa-tizzazioni a non finire per l’evidenza che ha cono-sciuto al Vaticano II, senza per questo sfuggire dal-la tentazione di ripetere schemi di pensiero chenascondono un rapporto asimmetrico con il mini-stero ordinato.

    La posizione di superiorità della gerarchia incul-cata per secoli, la concezione piramidale della Chiesa,dove i laici occupano sempre l’ultimo posto, è duraa scomparire, essendo diventata, di fatto, u rifles-so condizionato nella mentalità più profonda delpopolo cristiano.

    D’altronde, se per secoli si è definito il fede-le laico in negativo, per esclusione, in ragione diquello che non è, il passaggio a una descrizionepositiva presenta dei problemi, quasi mancasseuno strumentario concettuale e linguistico adeguato.

    Al rischio non è sfuggito nemmeno il conci-lio. Quando infatti descrive la natura e la missio-ne dei laici, LG 31 afferma che «con il nome dilaici si intendono qui tutti i fedeli eccetto (praeter)i membri dell’ordine sacro e dello stato religiosoriconosciuto nella Chiesa, i fedeli cioè che, dopoessere stati incorporati a Cristo con il battesimoed essere stati costituiti Popolo di Dio e, nella loromisura, resi partecipi della funzione sacerdotale,profetica e regale di Cristo, per la loro parte com-piono, nella Chiesa e nel mondo, la missione pro-pria di tutto il Popolo cristiano».

    Molti Padri avevano chiesto una descrizionepiù ampia, che prendesse in considerazione l’in-dole secolare, ma la sottocommissione ribadì il testo,per evitare discussioni di scuola circa lo statutodei membri di istituti religiosi o secolari che nonfossero chierici. In altre parole, la sottocommissioneproponeva una descrizione tipologica più che onto-logica, scegliendo di indicare la ragione più gene-rica e positiva della condizione propria dei fede-li, vale a dire il battesimo e la conseguente par-tecipazione ai tria munera – sacerdotale, profe-tico e regale – di Cristo.

    Sicuramente il testo poteva essere meglio armo-nizzato con il cap. II sul Popolo di Dio, dove si affer-mava la condizione di dignità e di libertà dei figlidi Dio (cfr LG 9): in quel contesto, infatti, si descri-veva la condizione dell’uomo rigenerato in Cristo,qui una funzione: quella di compiere, «nella loromisura, la missione propria di tutto il popolo cri-stiano».

    Come a dire che tale missione della Chiesa,compiuta da tutti e da ciascuno dei battezzati secon-do la propria vocazione e il proprio stato di vita,trova una forma originale di attuazione anche neifedeli laici.

    Il testo apre in certo qual modo la strada auna considerazione della condizione laicale come«stato di vita», in analogia a quanto si dice dellostato clericale e di quello religioso, dai quali si distin-gue e con i quali entra in un rapporto di comple-mentarietà. Il secondo capoverso spiega poi la natu-ra della condizione/missione dei laici: «è propriae peculiare dei laici l’indole secolare». Con que-sto è indicato il campo primo e fondamentale del-l’azione dei laici cristiani: il mondo. Non laChiesa, dunque, come tante – troppe – volte si èinsistito nel post-concilio, offrendo ai laici uno spa-zio e domandando loro un impegno diretto den-tro la Chiesa, inversamente proporzionale alla dimi-nuzione dei ministri ordinati.

    Uno spazio di supplenza, di rincalzo, con ilrischio della clericalizzazione dei laici. Per quan-to il testo non sfugga al contrappunto con gli altristati di vita, quasi che l’impegno dei laici nel mon-do dipendesse dal fatto che chierici e religiosi han-no lasciato libero il campo, perché i primi devonodedicarsi al ministero e i secondi alla vita di per-fezione, tuttavia il compito di presenza e di azio-ne dei laici nel mondo è ben configurato. «Infatti– spiega il testo – i membri dell’ordine sacro, seb-bene possano dedicarsi talvolta ad attività seco-lari, anche esercitando una professione secolare,tuttavia per la loro speciale vocazione sono desti-nati principalmente e propriamente al ministero sacro,mentre i religiosi con il loro stato danno la lumi-nosa e magnifica testimonianza che il mondo nonpuò essere trasfigurato e offerto a Dio senza lospirito delle beatitudini».

    Come si riconosce una specifica vocazioneai ministri ordinati, uno stato proprio ai religiosi,così si parla – finalmente! – di vocazione propriadei laici: «Appartiene ai laici, per vocazione loropropria, cercare il Regno di Dio trattando e ordi-nando le cose temporali secondo Dio».

    Il rischio, come facevano notare alcuni Padriconciliari, era di ripartire troppo schematicamen-te delle funzioni e dei campi di azione a secondadelle diverse vocazioni; Per contro, la sottocom-missione ha strenuamente difeso questa formu-lazione, nella convinzione che in questo modo ilaici venivano veramente riconosciuti come sog-

    getti attivi e responsabili nella vita della Chiesa.Cosa poi significhi trattare e ordinare le cose tem-porali secondo Dio, il testo lo spiega immediata-mente: i laici «vivono nel secolo, cioè in tutti e sin-goli i doveri e gli affari del mondo e nelle ordina-rie condizioni della vita familiare e sociale, di cuila loro esistenza è come intessuta.

    Ivi sono chiamati da Dio a contribuire comeun fermento alla santificazione del mondo quasidall’interno, adempiendo i compiti loro propri gui-dati da spirito evangelico e così, luminosi per fede,speranza e carità, manifestare Cristo agli altri pri-ma di tutto con la testimonianza della propria vita».

    Si tratta davvero di una missione, fondata sul-la vita un Cristo (come dimostra il richiamo a fede,speranza e carità, principi della vita teologale) cheabilita ogni cristiano a una testimonianza del Vangelofatta nelle e delle cose ordinarie della vita.

    È dentro i vari ambienti in cui si svolge la vitache i credenti sono chiamati a essere fermento divita nuova; e sono chiamati ad esserlo non attra-verso azioni straordinarie, ma attraverso la straor-dinarietà della vita ordinaria.

    Prima di ogni altra azione che dipenda dallecompetenze e dalle responsabilità che i cristianirivestono nel mondo, conta la testimonianza di vita:è questo il primo modo di contribuire alla santifi-cazione del mondo.

    Ma l’uomo è un tutt’uno: non può esistere spi-rito evangelico che ispiri la testimonianza cristia-na e non plasmi al contempo ogni aspetto dellavita, nei diversi momenti e situazioni dell’esisten-za.

    Il testo non sviluppa ulteriormente le implicazionidi questa testimonianza, chiarendo magari comeessa renda presente il Regno di Dio nel mondo,o, correlativamente, come porti il mondo a Dio.

    Ma si avverte il dischiudersi di tutto un oriz-zonte incredibile, dove i laici sono chiamati a esse-re «segno e strumento dell’intima unione con Dioe dell’unità del genere umano» (LG 1), in camminoverso il Regno.

    «A loro spetta in modo particolare di illumi-nare e ordinare tutte le realtà temporali, alle qua-li essi sono strettamente legati, in modo che sem-pre siano fatte secondo Cristo, e crescano e sia-no in lode del Creatore e Redentore».

    *Teologo e Dir del CDFP

  • 99Febbraio Febbraio 20092009

    “Esprimo preoccupazione per l’aumen-to di forme di lavoro precario, e faccio appello affin-ché le condizioni lavorative siano sempre digni-tose per tutti”. Questo è stato l’auspicio che il SantoPadre ha rivolto a tutti gli uomini durante l’Angeluspronunciato in occasione della Festa della SantaFamiglia di Nazaret. “Le parole di Benedetto XVIsono un invito per il Movimento Lavoratori di AzioneCattolica a continuare la strada intrapresa già daalcuni anni nell’analisi delle dinamiche sociali e nel-la tutela di tutte le fasce dei lavoratori anche quel-le culturalmente più deboli”. Ha detto Cristiano Nervegna,segretario nazionale del Movimento. “Ci aspettaun 2009 – ha sottolineato il segretario del MLAC- pieno d’incognite, determinate dagli effetti dellacrisi economica internazionale, le cui conseguenze,in termini di riduzione delle commesse alle impre-se e conseguente diminuzione dei posti di lavo-ro, si iniziano a sentire anche in Italia”. Per que-sti motivi le parole del Santo Padre sono più chemai attuali e servono da stimolo per non abbas-sare la guardia perché in questa fase accade sem-pre più spesso che le persone si trovano a lavo-rare in contesti caratterizzati da forti elementi diflessibilità che sino ad ora hanno avvantaggiatosoprattutto le imprese. “Per affrontare senza trop-pi danni la crisi servono - secondo il segretario delMLAC - nuovi percorsi di solidarietà, attuati anche

    attraverso una flessibilità governata e sostenibi-le, accompagnata da politiche per il lavoro a medioe lungo termine che possano contare su solidi stru-menti di welfare. Inoltre, per rendere i lavoratoripiù attrezzati ad affrontare i terremoti dell’econo-mia mondiale si rende necessario programmaree realizzare strategie di formazione professiona-le, sempre più in regime di bilateralità tra azien-de e lavoratori”. Il MLAC si è fatto parte attiva pre-sentando al Ministero del Welfare un documentocontenente delle proposte relativamente alla con-sultazione pubblica sul “Libro Verde sul futuro delmodello sociale”. Alla luce degli eventi più recen-ti l’Azione Cattolica italiana si sta impegnando per

    dare l’opportunità ai giovani che entrano nel mon-do del lavoro a trovare degli spazi dove esprime-re le loro speranze e maturare le loro scelte allaluce del Vangelo. E’ in questa direzione che van-no i venticinque progetti che il MLAC ha ricevutoper il concorso legato alla “progettazione socia-le” e che saranno presentati a Roma presso la DomusPacis, in occasione della “Terza giornata dellaProgettazione Sociale” il 24 e 25 gennaio prossi-mi. Detti progetti sono un passo importante, cuideve seguire il sostegno dell’AC, soprattutto ver-so chi sembra aver perduto molte certezze e maga-ri guarda con distacco anche i segnali positivi.

    a cura di Costantino Coros

    SIR Italia di mercoledì 28 gennaio 2009Num.6 (1711)

    Storie di giovani e futuroMlac: tre progetti per vincere

    lo scoraggiamento“I cento passi”, “Happy hour del lavoro” e“Frequenza lavoro - sintonizzati per il giusto lavo-ro” sono i titoli dei tre progetti che hanno vinto l’e-dizione 2009 del concorso di idee “Lavoro e pasto-rale” promosso dall’Azione Cattolica attraverso ilMovimento lavoratori (Mlac) e il settore giovani,ottenendo ciascuno una somma pari a tremila euro.“La scelta è stata molto difficile - ha detto CristianoNervegna, segretario nazionale del Mlac, al momen-to della premiazione dei vincitori avvenuta il 25gennaio a Roma - perché ogni progetto è statoorganizzato con molta cura. L’auspicio, al di là diquelli finanziati è che tutti possano essere realizzati”.Franco Miano, presidente nazionale di Ac, ha mes-so in evidenza che il tratto unificante di tutti i pro-getti è stata la creatività e il dinamismo. Il SIR hachiesto ai tre vincitori di presentare i loro proget-ti e ha raccolto anche la storia del vincitore dellascorsa edizione, scoprendo che i progetti non han-no necessariamente un inizio e una fine ma pos-sono continuare a vivere grazie alla creazione direti sul territorio.Educare alla legalità. “I Cento Passi”, raccontaCarmine Vasciaveo, animatore senior del progettoPolicoro della diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano,è un progetto “nato dopo un corso promosso dal-l’associazione Libera” e “dato che nella città di Cerignolac’è una presenza di microcriminalità da non sot-tovalutare, abbiamo pensato di organizzare unainiziativa che contribuisca a diffondere la cultura

    della legalità”. In concreto l’idea si articolerà in alcu-ni cineforum sul tema della legalità che sarannorealizzati nei tre centri sociali e nelle scuole supe-riori della città. Ci sarà poi un evento conclusivoorganizzato presso una struttura confiscata allamafia.

    Parlare nei pub. Mirella Amaturo è un anima-trice di comunità del progetto Policoro della Diocesidi Cerreto Sannita - Telese - Sant’Agata de’ Gotiin provincia di Benevento e spiega che il proget-to realizzato insieme al settore giovani e a tuttal’Ac della diocesi e al quale hanno dato nome di“Happy hour del lavoro” si propone di incontraree di ascoltare i giovani sul tema del lavoro nei loroluoghi di ritrovo. “Andremo nei pub, nei caffè let-terari - spiega Amaturo - e attraverso l’organizzazionedi apertivi solidali, che consisteranno nell’offrireprodotti tipici del luogo, parleremo di lavoro, infor-mandoli sui servizi esistenti per la ricerca di unimpiego, oppure spiegando loro come si compi-la un curriculum, ovviamente - prosegue l’animatrice- ci saranno anche degli esperti, come operatoridei centri per l’impiego”. Ma non finisce qui, nel-le intenzioni dei promotori le serate saranno allie-tate da concerti di gruppi musicali emergenti a pat-to che affrontino il tema del lavoro. Ogni eventosarà annunciato anche attraverso Facebook.Lavoro e radio. “Frequenza lavoro-sintonizzati peril giusto lavoro” è titolo del progetto realizzato dalMlac e dal progetto Policoro della diocesi di Potenza.“L’idea - spiega Raffaella De Nicola, del Mlac -è nata dal fatto che, osservando la realtà, ci sia-mo resi conto che oltre al problema della man-canza di lavoro c’è un forte sentimento di sco-raggiamento. Quindi, ecco l’intuizione, perché non

    provare a mettere insieme attraverso la radio chisi occupa di temi del lavoro, informando la gen-te su bandi, leggi, novità, auto imprenditorialità emolto altro”. Le puntate, della durata di 30 minu-ti ciascuna, inizieranno a marzo e finiranno a giu-gno, per un totale di 16 trasmissioni.

    I progetti hanno un futuro. “Io ci sarò” è il ban-do che ha vinto la passata edizione del concor-so di idee “Lavoro e pastorale”. Oggi, il progettonon è finito, anzi grazie al successo ottenuto sireplicherà. “La nostra idea consisteva nel fare ani-mazione presso gli istituti di formazione profes-sionale a ragazzi con storie difficili alle spalle, cometossicodipenza o agli arrestidomiciliari”. Racconta Antonio Petraroli, incari-cato del Mlac Puglia e segretario nella diocesi diBrindisi-Ostuni. “I ragazzi che abbiamo incontra-to si sentivano già adulti a 14-15 anni, in realtàavevano bisogno di un aiuto per crescere. La chia-ve di volta per rompere il ghiaccio è stato il gio-co e il divertimento. Superato questo ostacolo siè creato un buon rapporto e abbiamo fatto il cam-po estivo insieme”. Dopo l’estate, i giovani di Achanno avuto una piacevole sorpresa, il direttoredel centro di formazione professionale Enaip diBrindisi, si è rivolto di nuovo a loro, perché i ragaz-zi del centro volevano ripetere l’esperienza,aggiungendo che si sarebbe dato da fare per tro-vare nuovi finanziamenti. In tutto ciò si è aggre-gato anche il presidente regionale delle Acli. “Durantela nostra esperienza - dice Petraroli - ci hanno accom-pagnato un assistente sociale e un sacerdote. Iragazzi, pur non parlando di religione hanno ini-ziato a farsi degli interrogativi su Dio”.

    a cura di Costantino Coros

  • 1010 FebbraioFebbraio20092009

    L’INTERVENTO DDIMONS. BBREGANTINI AL CCONVEGNO DIOCESANO

    Stanislao FioramontiIl convegno diocesano annuale della diocesi di Velletri-Segni si è aperto, il pomeriggio di venerdì 23 gen-naio, con l’intervento di mons. Giancarlo Maria Bregantini,già vescovo di Locri-Gerace in Calabria ed attua-le arcivescovo di Campobasso-Boiano, in Basilicata.Un uomo del Sud, mons. Bregantini, perché anchese è nato in provincia di Trento il 28 settembre 1948,ha trascorso buona parte del suo ministero sacer-dotale ed episcopale in Calabria: infatti, dopo lostudentato a Verona e l’Università Gregoriana diRoma (dove si è “licenziato” in Storia della Chiesa),è stato ordinato sacerdote a Crotone nel 1978 evi è rimasto fino al 1987; è quindi passato nell’ar-cidiocesi di Bari-Bitonto, in Puglia, prima di esse-re eletto vescovo di Locri-Gerace nel 1994. Appartenente alla Congregazione dei PadriStimmatini, fondata a Verona nel 1816 da san GaspareBertoni, cresciuto quindi con la devozione particolarealle Stimmate e alla Passione di Gesù propria del-la sua famiglia religiosa, padre Giancarlo ha fat-to come sacerdote una molteplicità di esperienze(professore in seminario, insegnante di religionenelle scuole statali, delegato diocesano per la Pastorale

    del Lavoro, cappellano del carcere e del-l’ospedale...) che - ha rivelato duran-

    te il suo intervento- gli hanno per-messo di stare accanto alla

    gente e di conoscerne a fon-do problemi e ricchezze.Nel fare una sintesi dellesue parole, bisogna direcome premessa necessariache riferire quanto lui dicefa “perdere” molto dell’ inte-resse che invece si prova

    nell’ascoltarlo, un

    interesse legato alla sua figura mite, al suo pas-sato di contraddittore pacifico della malavita cala-brese e al suo ruolo – che riveste dal maggio 2000– di Presidente della Commissione CEI per i ProblemiSociali e del Lavoro, Giustizia e Pace e Salvaguardiadel Creato. L’intervento di mons. Bregantini è sta-to strettamente aderente al tema di fondo del ConvegnoDiocesano, che era quello della Tradizione e Trasmissionedella Fede. E’ iniziato con un paragone: comuni-care la fede è come usare, in un discorso, moltiaggettivi e meno verbi oppure, in una casa, comecolorare i muri con tanti colori. Poi, richiamandola sua esperienza sia della Locride che della Lucania,ha ricordato che “pecorai si nasce, pastori si diven-ta” e che è diverso trasmettere col cuore dell’unoo dell’altro; il pastore si preoccupa di cosa trasmettere,di come trasmettere la forza del Vangelo, perchéè preso dal cuore di Paolo che, dice san GiovaniCrisostomo, è il cuore di Dio. Ricordando poi leparole-chiave della Chiesa in questo decennio(“Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”),padre Giancarlo ha ribadito che il Vangelo va comu-nicato, annunciato con la vita; e ricordando che siera alla vigilia della festa di S. Francesco di Sales,Patrono dei giornalisti e comunicatore della fedein un ambiente ostile (calvinista), tanto da non potermai occupare la sua sede episcopale di Ginevra,ha aggiunto che lo stile con cui si deve trasmet-tere la fede è quello del cuore, proprio come dice-va S. Francesco di Sales: “Cor ad cor loquitur”.Per lui la tradizione è trasmettere vitalmente quan-to uno ha vissuto, è spandere il dono ricevuto comeun profumo: bisogna solo aprire il contenitore, poila fragranza si sparge da sé; proprio come Maria,piena di grazia, la cui grazia trabocca come unabrocca alla fonte trabocca d’acqua; Maria è l’ico-na di chi riversa una fede debordante, tanto da incar-nare Cristo; proprio come una cisterna nel deser-to è la speranza dell’acqua che salva.Mons. Bregantini non vuole dare indicazioni sul-le modalità di trasmissione della fede, ma sullo sti-le di essa, e per chiarire il suo pensiero prendein prestito cinque immagini, che hanno molto diautobiografico in quanto riguardano alcuni momen-

    ti della sua esperienza pastorale.La prima

    Il Convegno pastorale:occasione per

    riflettere sul modo di essere comunità

    Mons. Luigi Vari*

    Nei giorni 23-25 gennaio si è celebrato il con-vegno della diocesi di Velletri-Segni sul temadella Tradizione. I tre giorni sono stati par-ticolarmente intensi, a cominciare dal primo,quando mons. Giancarlo Bregantini, invita-to ad intervenire sul tema della trasmissio-ne della fede, ha immediatamente creato ilclima che si auspicavano gli organizzatori.Nel lavoro preparatorio le parrocchie eranostate invitate a riflettere sulla loro esperien-za nella trasmissione della fede; fra le altredomande ve ne era una che invitava a riflet-tere sul modo di essere comunità. Si chiedeva se la fede in Cristo risorto fos-se percepibile nella vita delle parrocchie, seessa si traduceva in stili particolari, se pro-duceva scelte precise. Proprio sullo stile dell’evangelizzazione il rela-tore ha dato un forte contributo, mostrandocome la scelta dello stile non è assolutamenteformale, ma la conseguenza del modo di esse-re e di sentire. Una parola può sintetizzare la proposta delprimo giorno del convegno ed è creatività.Realmente il passaggio dalle analisi alle pro-poste risulterà un utile cammino di evange-lizzazione. La mattina del Sabato è stata dedicata pro-prio a percorrere la strada delle proposte. Ai convegnisti era stato chiesto di non fer-marsi troppo sulla situazione delle loro par-rocchie di provenienza quanto di indicare lescelte fatte, le iniziative proposte, con l’in-tento di aiutare il Vescovo a raccogliere tut-ti i suggerimenti per proporre delle scelte comu-ni diocesane per l’impegno della trasmissione

    della fede. Si è compresobene che fare uncammino comu-ne non equivalea fare tutti lestesse cose;ma a cercaredi fare comu-nione, essaproprio è ilprimo mododell’avan-gelizzazio-ne.

    Pensareinsieme,

    esplo-rare

  • 1111Febbraio Febbraio 20092009

    immagine è quella di una preghiera che usava reci-tare da giovane chierico, “Jesu dulcis memoria”;ebbene, non si può annunciare Gesù se prima nonl’hai gustato, se non ne hai sperimentato l’aiutoche sa dare nelle amarezze e nelle stanchezzedella vita. E come riferimento biblico cita ilVangelo di Giovanni (3,27-30), l’immagine dell’a-mico dello sposo che esulta alla voce dello spo-so, la necessità che la Parola (Cristo) sia colle-gata alla nostra opera, al bisogno che in chi tra-smette la fede coesistano allo stesso modo qua-lità e umiltà, pienezza e dolcezza. La secon-da immagine è quella dei preti operai, del-l’ambiente di lavoro: tra i lavoratori Gesùè già arrivato, ma il prete che lavora conessi lo deve scoprire: come parlare di Cristoin quell’ambiente? Qual’è il sogno degli ope-rai? A quei sogni devono corrispondere segnicoerenti, uno stile che, specie nei momen-ti di crisi come quello attuale, deve esse-re di sobrietà e di povertà, per dimostrarecondivisione e vicinanza. Dio ci precede sem-pre e noi non dobbiamo mai anticiparlo, maseguirlo. La terza immagine è quella del-la vita comunitaria (che padre Giancarlo hascelto come religioso Stimmatino): la suaforza sta nell’armonia delle iniziative pro-poste, nel riunire la tipicità di ognuno in unaunica forza. E siccome non c’è progresso senzaperdono, educare al perdono è esigente ma evan-gelico; dice di aver imparato negli ambienti diffi-cili dove è vissuto (dove non mancarono omicidi,violenze e vendette) che bisogna agire tenendopresenti cinque “passi”: riflettere sulle cose vissute;pregare molto davanti alla croce; proporre una buo-na confessione; utilizzare l’intermediazione comu-nitaria; diventare ministro di riconciliazione, trasformarele stimmate in feritoie di grazia. La quarta imma-gine è quella della passione e calore del sud, doveil nostro vescovo vive da 35 anni; in quella terra,dice, non c’è via di mezzo, niente colori grigi, masempre una tinta precisa, bianco o nero. Non sipuò restare al di sopra delle parti; occorre schie-rarsi, dire con chi stai, per sentire con lui. Occorrepredisposizione, che non è tattica, ma attesa diuna voce di un popolo: in questo senso sono fon-damentali le donne, per quello che sanno dire conil cuore. Allora il canto più bello diventa ilMagnificat. La quinta immagine è l’Eucaristia: l’Eucaristiaè la risposta più alta al momento più basso del-l’umanità, Cristo che nella notte in cui veniva tra-dito (è stata qui ricordata la catechesi della tradi-zione tenuta da Benedetto XVI a Colonia) donasé stesso per chi lo tradiva; non c’è evangelizza-zione senza Eucaristia, è la conclusione di padreGiancarlo, il quale richiama qui l’episodio degli Atti(cap. 8) dell’Eunuco accompagnato al battesimodal diacono Filippo, episodio che è stato scelto comeriferimento scritturale dallo stesso nostro ConvegnoDiocesano. In quell’episodio l’attore protagonista,dice mons. Bregantini, è lo Spirito Santo: l’eunu-co è lontano, rassegnato, quasi come i discepoli

    di Emmaus; Filippo invece è spinto dall’angelo aparlare nel deserto, cioè in una situazione diffici-le, ostile, a correre avanti al carro, dove correresignifica amare. Filippo chiede all’eunuco se cap-sce quello che legge, glielo spiega, i due dialogano,l’uno chiede all’altro che gli apra la strada alla paro-la di Gesù; e Filippo, cioè il catechista, spiega unCristo che è gioia, ricevuta dall’eunuco col batte-simo e con la ripresa fiduciosa del cammino. Indefinitiva trasmettere la fede è mettere Cristo nel-le persone che si incontrano, sedendo accanto a

    loro; è annunciare con forza, denunciare con corag-gio e rinunciare con coerenza. Altri spunti di inte-resse sono poi venuti dalle risposte del vescovoalle domande dell’assemblea. Piuttosto sintetica-mente ricorderemo soprattutto il consiglio per affron-tare la vita sociale e civile: in politica, nel lavoro,contro la malavita, ha detto Bregantini, i cristianinon devono essere né succubi né contrapposti, devo-no essere alternativi (come i Magi, di fronte al dilem-ma della stella e di Erode). La proposta è diffici-le, ma tanto più valida quanto più è sviluppata insie-me a tutta una comunità; in questa logica l’avver-sario (il politico, il mafioso...) ti obbliga ad esserecoerente. Deve tornare di moda la povertà, e ancheil nostro cattolicesimo deve scegliere tra il “menomale” e il “purtroppo”; come affermava Rosmini,quanto più la Chiesa è povera, tanto più è liberae solo così può dare prova della fede che propo-ne. Altro imput: per annunciare e trasmettere, inun ambiente difficile come quello del Sud ma anchein qualsiasi altro ambiente, occorre essere presenti;esserci è la prima evangelizzazione: stando vici-ni alle persone, condividendo le loro esperienze,si può proporre loro anche le cose più eroiche. Ultimospunto: Anche in rapporto al conflitto fede-ragio-ne, non più vincere ma convincere, non più impor-re ma proporre, non più giudicare ma analizza-re. Lalibertà èun mezzo,la veritàil fine daraggiun-gere.

    sentieri insieme è molto di più che ricercareuna sorta di uniformità, appare invece comeun’azione entusiasmante e coinvolgente. I convegnisti, divisi in gruppi hanno suggeritodal punto di vista della Catechesi di sviluppareuna maggiore attenzione ai destinatari, didare spazio maggiore alla testimonianza.È stato suggerito uno stile più accoglien-te. Si è notato come uno degli ostacoli allatrasmissione della fede è quello della delu-sione che nasce da cammini intrapresi enon compiuti,da cose lasciate a metà. Soprattutto è stato sottolineato il desideriodi uscire da logiche di contrapposizione. La cura delle relazioni, della formazione esoprattutto della preghiera sono i suggeri-menti che sintetizzano le proposte che riguar-dano l’impegno della trasmissione della fedenelle nostre comunità. La liturgia delle nostre parrocchie deve espri-mere queste scelte e questi orientamenti.Per quanto riguarda la Carità si è osser-vato che la Carità è lo stile della comuni-tà cristiana. Anche qui alcune proposte sono risuona-te spesso, quali quella di non giudicare, diessere attenti ad incoraggiare e di fidarsidi più delle persone. La carità trasmette la fede con la vita quo-tidiana, essa non è riducibile ad una atti-vità della Parrocchia , ma è opera di evan-gelizzazione, è un linguaggio che trasmettela fede. Anche qui si è insistito molto sulla preghiera.Molti altri sono stati gli interventi e moltesono state anche le testimonianze che sisono riallacciate alle parole del VescovoBregantini. La domenica i convegnisti si sono raccol-ti per un pomeriggio segnato dalla riflessionesull’apostolo Paolo, il maestro dell’evan-gelizzazione. Alle ore 16,00 uno spettacolo di una com-pagnia teatrale ha dato a tutti la possibili-tà di incontrarsi con la figura dell’apostolodelle genti, sigillando le riflessioni sulla tra-smissione della fede con la dimensione cheè necessaria per la realizzazione di que-sto compito: la santità. La celebrazione eucaristica proprio nel gior-no della Conversione di san Paolo, ha con-cluso un incontro di tre giorni nei quali mol-ti si sono sentiti confortati, incoraggiati e soprat-tutto non soli nel compito che rende entu-siasmante la vita dei cristiani, quello di esse-re coinvolti nel Vangelo, annunciandolo ediventando essi stessi per la società unabuona notizia.

    *vicario ep.le per la pastorale

  • 1212 FebbraioFebbraio20092009

    ““AAllzzaattii ee vvaa’’ ......

    ssuullllaa ssttrraaddaa”” ((AAtt 88,,55-4400))TTrraassmmiissssiioonnee ddeellllaa FFeeddee eesseerrvviizziioo ddeellllaa ccaarriittààIl convegno ecclesiale di gennaio ha previstonella mattinata di sabato 24 un momento diincontro tra i partecipanti divisi per ambitidi impegno che realizzano nelle parrocchie.Uno dei due ambiti è stato quello del . Ad esso hanno parte-cipato tutti coloro che si impegnano nella cari-tas parrocchiale della nostra Diocesi e nel-le altre forme di volontariato (circa 45 per-sone). Aquesto gruppo di lavoro si sono aggiun-ti i responsabili della pastorale sociale e dellavoro. Ci è sembrato utili riportare in que-sta pagina l’introduzione, preparata dall’e-quipe della Caritas diocesana, e alcune rifles-sioni emerse nel lavoro della mattinata.Il testo biblico che ha fatto da sfondo all’in-contro è il racconto dell’evangelizzazione ope-rata dal diacono Filippo riportato nel librodegli Atti degli Apostoli.

    1. Atti 8, 5ss: lettura e qualche riflessione.Abbiamo a che fare con Filippo che è un per-sonaggio minore (vedete non stiamo parlandodi Paolo o Pietro, ecc) e come spesso acca-de questi personaggi svolgono un ruolo deter-minante nella trasmissione della fede, dun-que siamo in buona compagnia!!Si va oltre Gerusalemme, siamo in Samaria:c’è una comunità matura alle spalle di Filippo.Questa è la premessa all’azione di Filippo.Questo è un racconto esemplificativo per lacrescita dell’evangelizzazione, noi lo guar-diamo con attenzione, ci specchiamo in essoperché ci sono passaggi, stili, scelte, moda-lità che ci fanno pensare e ci illuminano neltrasmettere oggi il Vangelo.Abbiamo a che fare con due quadri: I quadro vv 5-25 direzione nord verso, ver-so i samaritani;II quadro vv 26-40 direzione sud verso Gazapoi di nuovo a nord (Cesarea). Nord-Sud-Nord.Questo è un personaggio divertente e com-movente.In questi due quadri ci sono due situazionipastorali diverse e distinte, ma complementari:I quadro: il Vangelo entra in città; II qua-dro: il Vangelo nella persona. Quando si haa che fare con la città non ci si deve dimen-ticare della persona e al contrario quando siha a che fare con la singola persona non cisi deve dimenticare della città. Altra cosa dafissare è la gioia che fa da cornice a questiquadri (Atti 8, 8.39), fa da collante al tutto.

    I QUADRO vv 5-25: ci fu grande gioia inquella città. La presenza di Filippo ha pro-vocato la comparsa in pubblico di una situa-zione di marginalità (disagio, sofferenza, dis-abilità, violenza, ecc) che la città degli uomi-ni tende a coprire ad emarginare, a far sem-brare tutto normale, tende ad abituarsi al tut-to, fino ad arrivare a forme di disordine isti-tuzionalizzato. Nella città di Caino tutto fun-ziona bene (più o meno): servizi ad hoc, tec-nologia, ecc e organizzandosi a tal punto chesi arriva ad istituzionalizzare il non-ricono-scere il fratello. Tutto ciò che è devestare distante e molto meglio se ci sono i pro-fessionisti: non è compito mio…pago e qual-cuno fa il servizio!! L’altro non lo incontro.Filippo incontra la città degli uomini: a que-sto punto il Vangelo provoca l’epifania, lamanifestazione dei disagi, le ingiustizie repres-se, nascoste, indemoniate. La città dei dolo-ri diventa la città della gioia (libro del notogiornalista su Calcutta). E questa non è unagioia effimera, superficiale, banale ecc no quitutti i dolori sono illuminati perché sono accolti nel mistero di Dio (cheè un mistero di Amore) in riferimento allanovità del Figlio (Pasqua).v. 9: la città è il luogo della magia, della mera-viglia, dell’imbroglio. È tutto ciò che attira,cattura interessi, fa spostare la gente (e i capi-tali!!), essa si regge su una organizzazionedi poteri: il, culto del potere (non il servi-zio).Simone dentro questa città è il mago che sidà da fare, è un manager promette soluzio-ni magiche e tutti in qualche modo si aspet-tano questo, è il potere da adorare per garan-tirsi la salute, la pace, la prosperità, la vita…ma quando mai?; ma dove si è mai visto?Ma queste luci sono sempre attraenti è unatentazione continua. In città arriva Filippo (cioè il Vangelo) e sipresenta come colui cheè capace di accoglie-re il dolore nella gra-tuità dell’amore. Ilmago Simone si con-verte: lui che aveva fat-to il master sottoCaino e poi nessunogli aveva più raccon-tato cose diverse, cer-to non immaginava checi fosse la gratuità, nongli sfiorava nemmenolontanamente l’ideadi una vicinanza al male,al dolore, alla sofferenzadettata dalla gratuitàe dalla carità.v. 13: Filippo sparisce(come il profeta Elianell’AT), se ne va’.v. 14: arrivano Pietroe Giovanni: si muovela Chiesa. Filippo hafatto il suo servizio e

    INSEGNAMENTO DDELLARELIGIONE CCATTOLICA AASCUOLA EE TTRASMISSIONE

    DELLA FFEDEMichele Siconolfi IRC

    L’insegnamento della religione cattolica (I.R.C.)in Italia si presenta come un’esperienza di “fron-tiera” sia per gli operatori (insegnanti, scuola, orga-nizzatori), sia per gli utenti (alunni, famiglie). La particolarità di questa esperienza (la frontie-ra) è data dal fatto che una realtà confessiona-le, come la religione cattolica, è ospitata in unaistituzione statale, come la scuola pubblica. Al di là degli aspetti normativi come l’intesa del1985, tra la Santa Sede e lo Stato italiano, cheseguiva il nuovo Concordato del 1984, è impor-tante chiarire, in maniera univoca, le dinamicheche intercorrono tra questi due mondi, distinti eautonomi: la fede e la cultura. La ‘fede’ scaturi-sce da una libera scelta, da un incontro tra Persone,dalla risposta personale ad una proposta divinaed è finalizzata alla salvezza personale e comu-nitaria. Essa, appunto come ‘scelta’, è trasmes-sa da i genitori ed educatori e si fonda sull’esempiodi una proposta di vita reale. La ‘cultura’ vieneimposta per il solo fatto che si nasce in un ambien-te o in un altro.La lingua parlata, le usanze, le tradizioni, alcunivalori non sono scelti liberamente, ma trasmes-si dalla famiglia, dalla società, dalla scuola. L’I.R.C, come proposta culturale, è presente quin-di nella scuola, giustificata dal fatto che

  • 1313Febbraio Febbraio 20092009

    poi è sparito, ora arrivano in due. Confermanol’opera di Filippo al servizio del Vangelo e delSignore Gesù per ritornare alla pienezza di vita.L’incontro tra la città e il Vangelo è sempre ambi-guo, è rischioso perché c’è il rischio di assue-farsi, di innaffiare la novità del Vangelo allelogiche strutturali della città di Caino e que-sto accade nei seguenti.vv 18-19: è la città che si è strutturata nellalogica del mercato, si vende tutto anche la vitaumana e questo lo fa anche Simone che ha impa-rato ad attrezzarsi, anche finanziariamente, pertrarne profitto, e di questo lui né è convinto:Ma gli dice male perché dall’altra parte sonoconvinti anche Pietro e Giovanni: il dono diDio non si compra e non si vende!! Il Vangeloci fa rendere conto di quale tipo di città è lanostra , alla fine Simone si arrende. Tutto sifa anche per una sola persona, una sola per-sona basta per il Vangelo.II QUADRO vv 26-40: che cosa ci sta a fare

    Filippo a mezzogiorno in una strada deserta?(questo è un aspetto un pò comico!) A Filipponon gli viene detto:>; dunque il cattolicesimo fa parte inte-grante del patrimonio culturale italiano ed èlegittimo il suo insegnamento nelle scuole. Ladifferenza tra gli I.R.C. e la trasmissione del-la fede (catechesi), quindi, non è sul piano deicontenuti confessionali, perfettamente ugua-li nei due ambiti, ma sul piano delle finalità:per l’I.R.C. la finalità è la conoscenza, l’ap-profondimento culturale, la presa di coscien-za da parte dell’alunno di una appartenenzasociale e storica. Per la catechesi la finalitàè la fede, autonomamente scelta, proiettataalla salvezza propria e comunitaria. I conte-nuti dell’I.R.C. e della catechesi sono, comeabbiamo detto, identici e quindi i libri di testodevono ricevere l’imprimatur di una curia vesco-vile, gli insegnanti devono avere l’idoneitàdell’Ordinario e l’esistenza di questa discipli-na dipende da un regime patrizio tra lo Statoitaliano e la Santa Sede. Solo nel rispetto del-le finalità proprie di una disciplina scolastica,l’insegnante di Religione viene accettato comeprofessionista, rispettato come esperto, ammi-rato come testimone. Ogni contaminazione trai due piani, nella scuola, non giova né alla pre-sunta trasmissione della fede, né alla serie-tà della disciplina scolastica. Gli alunni devo-no avere la percezione chiara che la scuolaè il luogo della ‘conoscenza’, dell’approfon-dimento culturale; la parrocchia è il luogo del-l’approfondimento della fede. Infine, sempreper la chiarezza delle dinamiche tra I.R.C. etrasmissione della fede, nulla impedisce cheun corretto ed efficace insegnamento della Religione

    Cattolica a scuola, nelrispetto delle finalitàproprie, possa rappre-sentare per gli alunni unabuona base per un cam-mino personale di fede,un seme gettato nelterreno delle loro cono-scenze riflesse che, ali-mentato dalla testimo-nianza di vita dell’inse-gnante, dalla sua pre-parazione e onestà cul-turale, possa germo-gliare in un assenso difede, matura e consa-pevole. Questa è la intima spe-ranza di ogni docente diReligione Cattolica, nelsuo quotidiano lavoro di‘frontiera’.

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    CONVEGNORilettura ddi uun eeventoDon Dario Vitali*

    Sono in molti ad interrogarsi se abbia ancorasenso un convegno diocesano. Più di qualcu-no, a margine dei lavori, commentava. “Siamosempre gli stessi”; “si ripetono da anni le stes-se cose”. Se si accompagna questo sentimen-to diffuso con l’inflazione di convegni, congres-

    si, incontri che affligge la Chiesa, un po’ a tuttii livelli, con il rischio di affogare la vita ecclesialein un fiume di parole, pare giunto il tempo di riflet-tere sul senso e la validità di questi eventi, o alme-no sulla modalità della loro celebrazione. Ma lariflessione non può consistere in un giudizio som-mario sulla moda dei convegni nella Chiesa. Seun convegno rimanda al “convenire”, e come taleviene vissuto, può configurarsi come un atto eccle-siale di grande portata: dipende da chi lo fa edalle intenzioni che lo spingono a organizzar-lo. Ora, si dà il caso che il convegno sulla tra-smissione della fede, celebrato il 23-25 gennaiou.s. sia manifestazione della Chiesa di Velletri-Segni: povera magari, ma sempre una Chiesache, per camminare nella storia, si interroga sucome testimoniare il Vangelo. Si tratta di un even-to che, prima ancora dei temi trattati, delle moda-lità di organizzazione e di quant’altro va a strut-turare un convegno, dice la nostra identità e misu-ra la nostra coscienza di Chiesa. Certo, sem-bra una Chiesa un po’ ferma: la galleria dei vol-ti che sfilano al convegno è, da molti anni, la stes-sa. Né basta, a parziale giustificazione, il fattoche gli incontri fossero riservati ai delegati del-le parrocchie, in particolare ai membri dei Consiglipastorali. La ripetizione è un nemico sottile, chesvuota di significato anche gli eventi più signi-ficativi. Dopo anni e anni di convegni, il rischio

    è quel-lo diu n ac e l e -brazio-ne fine

    a se stessa, vissuta – o forse subita – dagli addet-ti ai lavori, che tendono a muoversi per inerzia,ricalcando all’infinito lo stesso cliché: qualchevoce critica ha notato che il tema era già statotrattato in altri convegni, e che alcuni parteci-panti hanno ripetuto un’altra volta le stesse cosedi sempre. Se poi il contributo si riduce al rac-conto dell’esperienza, peraltro ormai cristalliz-zata negli anni, ben pochi frutti ci si dovrebbeattendere dall’evento in questione. L’esito nonpuò che essere un clima di stanchezza, di dis-illusione, di fretta: meglio tornare alle cose di sem-pre, ai veri problemi da affrontare e risolvere.Questa potrebbe essere una scelta coraggio-sa, se non fosse palmare che il convegno nonha sottratto tempo ed energie a realtà vive e pro-fetiche: a trascinarsi stancamente non è statoil convegno, è la Chiesa. Sembra, questo, unclima diffuso, che tocca un po’ tutto e tutti e cheassume forme e registri molteplici nei diversi con-testi in cui la Chiesa vive: quasi si fosse in riser-va o, come si usa dire oggi, in stand-by. O, det-to altrimenti, come se la Chiesa avesse in granparte smarrito la capacità di sognare, di imma-ginare il futuro. Davvero non sembra questo iltempo vagheggiato da Gioele: «I vostri figli e levostre figlie avranno visioni, i vostri vecchi faran-no sogni» (Gl 4,1-4). Le parole degli esperti poi,se si limitano all’analisi senza almeno suggeri-re aperture, possibilità, sfide, aumentano il sen-so di impotenza e di disarmo, spingendo ciascunoa rinchiudersi nel proprio orticello. Ma proprioquesta lettura, spazzando l’esperienza che abbia-mo vissuto da ogni fronzolo, lascia emergere alcu-ni elementi di grande interesse da cui ripartire. Anzitutto, l’ASCOLTO: il primo giorno la Chiesadi Velletri-Segni ha fatto esperienza della paro-la dolce e tagliente di un testimone della fede.Si potrà obiettare che si era in pochi, che si pote-va renderlo un momento di maggior risonanzae partecipazione; ma al Teatro Aurora c’erano

    PPrriimmee ccoonncclluussiioonnii::TTrraassmmiissssiioonnee ddeellllaa FFeeddee ee sseerrvviizziioo ddeellllaa CCaarriittàà

    1.Premessa:il clima chesi è respiratonel gruppo

    di lavoro è stato buono, costruttivo, nonci si è soffermati sugli aspetti di divisio-ne, alle contrapposizioni, a gettare respon-sabilità ad altri, ma nei partecipanti si è avver-tito un senso maturo di appartenenza allaChiesa, di fare un servizio per conto e anome di una comunità (e ci sembra di nota-re che è cresciuto in questi ultimi anni, ricor-dando ad es. tante discussioni di convegniprecedenti). C’è stata una buona capacitàdi ascolto.

    2. Entrando nel tema.Una convinzione ha attraversato i diversiinterventi: la Chiesa trasmette la fede inGesù Cristo quando è capace di stare vici-no alla persone che sono nel dolore, nel-la sofferenza, nella malattia, nella fragili-tà. Questo vicinanza permette di fare le pro-poste di vita cristiana. E fa questo senzagiudicare (è una parola che è risuonata mol-to: dice un atteggiamento no del tutto pre-sente nella nostra vita, nel nostro impegnoda cui ci si vuole liberare ma dice anchetutte le fragilità e le povertà presenti nel-la comunità e nei componenti di essa ) elo fa nella gratuità (è uno atteggiamentoche richiama lo stile di Gesù e dei suoi disce-

  • 1515Febbraio Febbraio 20092009

    D

    quanti erano stati convocati: per cui quell’incontroe tutto il convegno è stato un evento di Chiesa,nella quale lo Spirito di Cristo era presente edefficace. Come digitarlo, d’altronde, di fronte allaparola dimessa eppure forte, dolce eppure gra-ve di mons. Brigantini, che ha permesso il ripe-tersi della dinamica biblica dell’ascolto? I pas-saggi attraverso cui ci ha condotto: l’invito a matu-rare uno stile di annuncio attraverso la testimonianza,la sollecitazione a calarsi nella storia degli uomi-ni incarnando il Vangelo attraverso la vicinan-za e la condivisione, nella povertà e nella liber-tà, la sfida del perdono cheegli stesso ha vissuto nelladifficile situazione di Locri, sonostati un itinerario di conver-sione rivolto non tanto e nonsolo ai singoli, quanto a unaChiesa convocata per ascol-tare ciò che lo Spirito le vole-va dire (cfr Ap 2,7 e passim). Ma qual è stata la RISPOSTAal messaggio di mons.Bregantini? Di fronte a que-sto testimone l’assemblea, postanella possibilità di confrontarsi con un messaggioforte, è apparsa impacciata, esitante, senza doman-de che non fossero di pura curiosità, o legatealle situazioni contingenti dei singoli e delle comu-nità, quasi frenata a interrogare un testimone d’ec-cezione, che poteva indicare strade alternative,e che di fatto le ha indicate a partire dalla suaesperienza. Di che cosa è segno questo atteg-giamento piuttosto passivo? Le letture posso-no essere diverse, ma certamente la disparitàtra proposta e risposta è stato evidente.Soprattutto, era evidente l’estemporaneità deldialogo, che lasciava emergere la frammenta-rietà dell’uditorio, forse impreparato a un impat-to così forte e a un messaggio così alto. Né sitrattava che qualcuno facesse qualche doman-

    da più acuta e interessante: di persone che potes-sero rivolgere domande intelligenti al teatro Aurorace n’erano a iosa. È mancata invece l’espres-sione di una identità ecclesiale: mons. Brigantiniparlava a una Chiesa chiamata a interrogarsi cometrasmettere la fede, e la Chiesa non c’era; o meglio,chi c’era sembrava non avere coscienza di esse-re Chiesa – la Chiesa di Dio che è in Velletri-Segni – ma esprimeva una presenza persona-le o di gruppo che faceva dell’assemblea la som-ma di realtà diverse, presenti in quel luogo a tito-lo più personale che in ragione di una precisa

    identità ecclesiale.La medesima impressionedi COSCIENZA ECCLE-SIALE debole si è avver-tita nei gruppi di studio.Nel gruppo in cui mi tro-vavo il confronto è sta-to bello e vivace, alcu-ne delle idee espresseveramente interessanti,a dimostrazione cheesistono in diocesi real-tà capaci di sperimen-

    tare e di proporre percorsi di evangelizzazionee formazione cristiana di tutto rispetto. Ma quan-ti partecipavano al dialogo non componevano ipezzi di una realtà “una”, ma si confrontavanoa partire dalla propria realtà, distinta dalle altre,affermando se non difendendo la bontà dell’e-sperienza propria o della comunità di apparte-nenza a fronte di altre esperienze, esse pure degnedi ascolto e di attenzione.Ma il convegno il suopiccolo miracolo l’ha fatto: mettere tante personea parlare con educazione e rispetto delle diver-sità, senza irrigidimenti e paure, consapevoli chesolo attraverso la conoscenza reciproca si rice-vono i doni degli altri e si donano i propri, arric-chendosi dei primi senza perdere i propri! È soloun balbettamento, o un vagito di discorso eccle-

    siale. Ma è nella direzione del con-venire, motivato dalla docilità allo Spiritoe dall’apertura all’altro, che si potran-no scoprire le tante forme di trasmissionedella fede attuate nella nostra dio-cesi, ma a