così - circolo di bruxelles · l’amico chavez, un “socialismo del xxi secolo”. democratica...
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azione e di dibattito sulle questioni di ordine sociale, politico e culturale che caratterizzano i tem
pi attuali. I nostri lettori sanno bene che ci rivolgiamo princi-
palmente a un pubblico di italiani che per diversi m
otivi vivono e lavorano in altri paesi europei. Intendiam
o, pertanto, accentuare la valenza europea del mensile; con
questo voglio dire che ogni numero ospiterà notizie e approfondim
enti riguardanti le particolari situazioni esistenti nei vari paesi del Vecchio continente che ospitano com
unità italiane. Soffermerem
o maggiorm
ente la nostra attenzione sulle attività delle nostre organizzazioni politiche negli stati ospitanti e sui rapporti di collabora-zione eventualm
ente esistenti tra esse e quelle locali. Consideriam
o, infatti, impor-
tante rendere pubbliche le iniziative che maturano all’interno della Federazione e le
motivazioni che le ispirano. R
enderemo
periodico l’appuntamento con la politica
estera e col dibattito politico focalizzato sulla necessità di unire le forze che si collocano entro un orizzonte culturale m
arxista e di realizzare un movim
ento com
unista forte e unito, destinato a raccogliere l’eredità del PC
I. Garantia-
mo spazio e periodicità alle rubriche sul
lavoro e sulla condizione femm
inile, vogliam
o portare avanti questo impe-
gno con la pubblicazione di articoli e di inform
azioni utili agli emigrati italiani. A
urora, come dicevo, vuole essere un
giornale europeo che non perde il contatto con la nostra Terra d’origine e che, anzi, prova a far conoscere agli italiani rim
asti in Patria la realtà dei loro connazionali all’estero. Stiam
o lavorando a questo e ad altro per l’imm
ediato futuro del giornale, m
a per realizzare tali progetti abbiamo bisogno di voi lettori. A
bbiamo bisogno dei
vostri suggerimenti, di critiche costruttive. C
onsideriamo indispensabile avviare un
dialogo con voi che ci leggete e che magari com
inciate a vederci come un punto
di riferimento nel m
ondo dell’italianità all’estero. Scriveteci, aiutateci a stimolare
il dibattito politico-culturale, a fare di Aurora un giornale interattivo, opera di
noi redattori e di voi lettori critici e attenti. Facciamo in m
odo che questa rivista divenga un valore com
une e condiviso. Aiutateci anche a diffonderla m
eglio, fatela conoscere a chi ancora non sa della sua esistenza, dateci una m
ano ad ampliare il
bacino di lettura per avere ulteriori possibilità di confronto e di crescita. Intanto vi invito alla lettura di questo num
ero che è specchio delle intenzioni che ho descritto in questo editoriale e che ha una novità im
portante: un supplemento dedicato alla
Rivoluzione d’ottobre. N
on si tratta di un’iniziativa pensata unicamente per questa
ricorrenza, ma di un appuntam
ento periodico che contribuirà a stimolare il dibattito
politico-culturale e ad elaborare idee e concetti. Abbiam
o deciso di chiamarlo “Il
contemporaneo”, ci siam
o in questo modo ispirati all’om
onimo supplem
ento del settim
anale del PCI, R
inascita e pensiamo già ai prossim
i numeri che ospiteranno
una serie di articoli su Lukács, vi auguro buona lettura.
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Alla base del corporativismo fascista c’è l’abolizione di fatto
del concetto di “classe”, il voler credere che fra classi sociali antagoniste (com
e quella dei lavoratori e quella dei padroni) possano esserci punti di contatto e interessi condivisi. M
a quale può essere l’interesse com
une fra un operaio delle Offi
cine che rischiava il posto o un buralista delle ex-PT
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strada a 50 anni, e i rispettivi manager o azionisti? G
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ese svolgendo un lavoro onesto, gli altri si interessano solo dei propri dividendi e del raggiungim
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o profitto a scapito, se necessario, anche dell’essere um
ano. Il conflitto è insomm
a un elemento
imprescindibile nella società liberale, dove le differenze sociali
sono alla base del sistema econom
ico stesso. In una società divisa in classi, infatti, se i lavoratori vogliono conquistare dei diritti devono lottare, creando dei rapporti di forza verso il padronato, cioè sviluppare un sindacalism
o combattivo che
concepisca il conflitto sociale come m
otore del progresso! È la storia che ce lo insegna: se non c’era l’occupazione operaia del luogo di lavoro, oggi le O
fficine di Bellinzona sarebbero
state un ricordo. Il sindacalismo, in una società dem
ocratica (e non fascista), non deve essere di accom
pagnamento alle
logiche padronali neo-liberali e non deve occuparsi soltanto degli effetti senza verificare le cause dei problem
i riscontrati dai lavoratori. E la causa di tutti gli effetti risiede a m
onte, in un sistem
a economico profondam
ente iniquo e perverso. La causa si chiam
a liberalismo e questa crisi dobbiam
o saperla usare per costruire dal basso dei nuovi rapporti econom
ici e sociali sostenibili, aum
entando i diritti ai salariati e nazionaliz-zando i settori econom
ici strategici: insomm
a, per dirla con l’am
ico Chavez, un “socialism
o del XX
I secolo”.
Per i sindacati è necessario «arm
onizzare la propria azione con le direttive del governo che ha ripetutam
ente dichi-arato di ritenere la concorde volontà di lavoro dei dirigenti delle industrie, dei tecnici e degli operai com
e il mezzo più
sicuro per accrescere il benessere di tutte le classi e le fortune della nazione». Insom
ma va finalm
ente compreso «il principio
che l’organizzazione sindacale non deve basarsi sul criterio dell’irriducibile contrasto di interessi tra industriali ed operai, m
a ispirarsi alla necessità di stringere sempre più cordiali
rapporti tra i singoli datori di lavoro e i lavoratori». Ciò, in
pratica, significa che «nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione, m
ediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione». Sem
brano frasi così attuali, così “norm
ali”, così “equilibrate”, così “di buona volontà” che potrebbero essere state dette da uno qualsiasi dei nostri C
onsiglieri di Stato, da un dirigente sindacale a modo
o da un rappresentante del padronato “illuminato”, aperto al
dialogo. Anzi, spingiamoci oltre: sono parole com
patibili con il sistem
a svizzero della concertazione, della “pace del lavoro”, dell’eterno com
promesso. E invece non è così: le frasi che avete
letto, infatti, sono datate 23 dicembre 1923 e, con la loro
codificazione nella “Carta del Lavoro” del 1927, rappresentano
nientemeno che l’ossatura del sistem
a economico del regim
e fascista in Italia! Q
uesta profonda similitudine fra il m
odo di concepire la contraddizione capitale-lavoro nell’Italia dittatori-ale e fascista del Ventennio e nella Svizzera liberal-dem
ocratica contem
poranea dovrebbe far riflettere molto tutti noi, soprat-
tutto gli apologeti del nostro sistema politico consociativo.
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parlato dei vari aspetti relativi al fenom
eno delle migrazioni
specialmente nel M
editerra-neo dall’Africa, in particolare riguardo a quello che sta succedendo in Italia: dove esistono atteg-giam
enti gravemente ostili, se non proprio razzisti, verso i m
igranti, spinti specialm
ente dall’attuale governo di destra che usa questi tem
i a fini populisti e propagandistici, ma che vengono anche da
più lontano, da una ignoranza e pressappochismo generalizzati.
Il quadro legale attuale, con il “pacchetto sicurezza”, le tasse sui perm
essi di soggiorno e sulle attività economiche, la m
ancanza di vere risorse per l’integrazione e lo sviluppo delle persone etc., spinge i m
igranti sempre di più verso una situazione di “clandes-
tinità”, di “illegalità” che non solo li priva della loro personalità e dignità di esseri um
ani che sem
plicemente cercano di
vivere una vita appunto come
“persone come tutti gli altri”,
ma li rendono ancora più de-
boli e sfruttabili da chi ha tutto l’interesse che così rim
angano – espressione, del resto, di un sistem
a economico che si basa
appunto sullo sfruttamento
delle persone e delle cose.D
a lì si è sviluppato un acceso dibattito che ha preso in considerazione anche le esperienze delle m
igrazioni in Belgio, tra le quali quelle storiche degli Italiani – che a suo tem
po subirono lo stesso trattam
ento ostile e razzista dei migranti di oggi – e le possibili cose
da fare, innanzitutto non considerando più le migrazioni com
e un “problem
a”, magari da “affrontare” con logiche securitarie e poliz-
iesche, ma com
e un fenomeno um
ano da studiare a fondo e con serietà, per costruire tutti insiem
e una società dell’accoglienza, del rispetto, della dignità e della giustizia, senza più pregiudizi, ostilità e sfruttam
ento. La serata è stata anche un’occasione per la presentazione del program
ma annuale 2009-2010 dell’Associazione G
ramsci, che
comprende una serie di attività di in/form
azione, presentazione di libri, cinem
a, poesia, attualità, etc. Tutti i dettagli presso i contatti h
ttp://g
ramscib
xl.tripo
d.co
m, g
ramscib
xl@g
mail.co
m, tel.
0477-258-765.
O rganizzata dal C
lub del Libro asbl e dall’Associazione
Culturale A
ntonio Gram
sci, ha avuto luogo sabato 17 ottobre 2009 a Bruxelles, la proiezione del film
-documentario
“U stisso sangu – Storie più a sud di Tunisi”, con un succes-
sivo dibattito su “Le migrazioni ieri e oggi”, in occasione della
grande manifestazione nazionale antirazzista convocata a Rom
a lo stesso giorno.
Nella Salle C
ulturelle Espace Marx si sono riunite varie decine
di persone per assistere alla prima presentazione fuori dall’Italia di
questo lavoro dei giovani realizzatori siciliani Francesco Di M
artino e Sebastiano Adernò, che racconta il dram
ma dei m
igranti che arrivano in Sicilia, attraverso le loro parole, i loro sguardi, le loro storie. “U
stisso sangu”, “lo stesso sangue” in siciliano, ripercorre le tappe fondam
entali che, in maniera diversa, affrontano i m
igranti che ar-rivano sulle coste m
eridionali della Sicilia, su quelle terre che stanno appunto “più a sud di Tunisi”: si vede il viaggio e lo sbarco in condizioni m
olto precarie, la prim
a accoglienza e il problem
a della casa, il lavoro e l’integrazione, i “C
entri di Perm
anenza Temporanea” e
i bivacchi nei campi sotto gli
alberi... Le storie si incrociano e a volte si scontrano con quelle della nostra realtà: la G
uardia C
ostiera che li recupera in m
are, il medico che presta loro
i primi soccorsi, il reporter
che segue le loro vicende, l’im
prenditore che li prende a lavorare nei cam
pi, il personale della comunità che li ospita, fino
allo “sconosciuto” che pure assiste al rito di comm
emorazione
di quelli tra loro che sono morti in m
are. Tutto questo, con la coscienza di trovarsi di fronte sem
pre a delle persone con la loro personalità, la loro storia e i loro progetti, e che hanno com
e tutti lo stesso sangue che scorre nelle vene.
Questo film
-documentario è attualm
ente in corso di presen-tazione in Italia e in Europa, con iniziative diffuse e “dal basso”, basandosi sulla licenza “creative com
mons” che perm
ette la libera riproduzione e copia dell’opera stessa, in m
odo che possa avere la m
assima diffusione possibile (per m
aggiori dettagli vedere il sito w
eb ww
w.u
stissosan
gu
.com
).Alla proiezione è seguito un lungo dibattito su “Le m
igrazioni ieri e oggi”, condotto da H
icham Am
rani, mediatore interculturale,
esperto di migrazioni e tem
atiche di frontiera, originario di Casa-
blanca in Marocco, residente e attivo durante m
olti anni ad Acqui Term
e (Alessandria) e oggi a Bruxelles. Prendendo spunto dal film
, così come dalle proprie circostanze ed esperienze personali e
professionali di quando svolgeva la sua attività in Italia, Hicham
ha
17 ottobre 2009
AU
RO
RA
– n. 11 – Anno II – ottobre 2009
3
Durante l’intervista a Luca A
riano ed ai prim
i 3 “carovanti” poetici, è nato un nuovo m
odo di leggere Pro/Testo, la protesta attiva e partecipativa nella poesia. Incom
inciamo
a scandire e suddividere questa parola: pro, “in favore” e testo, “testa”/il principio di una nuova vita, un nuovo sogno, quello arm
onico. N
on più individualismo desertificato m
a co-m
unità di intenti in cerchio magico, queste
le parole di Luca Ariano. La raccolta poetica
è stata da noi studiata e l’invito in diretta in radio ci è parso un m
odo per alleviare le grandi difficoltà finanziarie che incontrano gli indipendenti, schiacciati dalle pratiche com
merciali e dall’innalzam
ento sulle quote di m
ercato. La radio é una “antenna”, capta m
essaggi, suoni e parole, e Radio A
lma che
ci ha dato questa possibilità, é uno strumento
molto potente all’estero per la diffusione della
poesia e della letteratura in genere. “Pro/Testo” ha trovato in R
adio Alm
a un’occasione che diventerà un appuntam
ento fisso per tutto il m
ese di ottobre, puntuale e gratuito, per presentare alcune poesie di questa antologia. “La Tela Sonora” è un atto di resistenza alla norm
alizzazione editoriale. Il Filo Rosso di
Anna M
aria Farabbi, che ci ha accompagnato
L’Elzeviro
di G
abriella T.
LA “CAROVAN
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ella raccolta “Pro
/Testo V
ersi”. (MG
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ei versi “Pro
/Testo”
DEI PO
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A DI BRU
XELLES:
durante il 2008/2009, è stato un mom
ento ma-
gico da lei creato e pensato con questa finalità. Pro/Testo, testim
onianza viva, non sarebbe mai
esistito senza l’aiuto di Anna, che silenziosa
dietro le quinte, resta e sarà sempre la vera
mente della tela, il suo ragno. R
eputiamo,
quindi, la radio una esistenza indispensabile. La m
usica utilizzata durante la trasmissione
delle varie puntate della Carovana dei Poeti,
é offerta da Note Volanti, orm
ai sponsor di questo program
ma. R
adio Alm
a, la sola radio che abbia un program
ma del genere, esprim
e l’alta professionalità delle case editrici e degli scrittori, nonché l’am
ore senza confini dei nostri collaboratori che si nutrono di questo “hum
us”: sono senza dubbio una esperienza degna di essere vissuta a B
ruxelles, capitale dell’E
uropa.
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– n. 12 – Anno II – novem
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Lunedì, 28 settembre 2009
Al Presidente della R
epubblica Giorgio N
apolitano
Sono d’accordo con lei Presidente. È vero, agli “episodi di becera
e indegna contestazione non può essere attribuito alcun peso e rilievo effettivo”. N
oi infatti non scriviamo m
eno sei. Noi non bruciam
o bandiere. M
a noi Presidente, siamo contro. Siam
o rimasti gli unici
lo so. Ma noi siam
o contro la guerra. Si può dire o è vietato? Si può ancora dissentire in questo Paese? O
è vietato? Si può ancora non essere d’accordo? M
agari in maniera civile e pacata. M
a altrettanto ferm
a. O è vietato?
Presidente, lei è il Presidente di tutti gli italiani. D
unque è anche il nostro Presidente. M
a lei non può assegnare ruoli e prim
azie alle opposizioni. Non può dire chi siano e chi non
siano “le forze fondamentali dell’opposizione”. È vero noi non
siamo più in Parlam
ento, ma noi siam
o opposizione. E siamo
opposizione a quel pensiero unico che ormai ci viene propinato
quotidianamente. Q
ui altro che libertà di stampa, nem
meno
più la libertà di espressione fra un po’. Siam
o contrari Presidente, siamo contrari alla guerra, siam
o contrari alla m
issione in Afghanistan. A quella missione che ci è
stato detto fosse di pace. E non lo era. E noi eravamo contrari
per quello, perché lo sapevamo. E oggi il G
overno dice che è m
issione di guerra. E noi siamo contrari, oggi, com
e ieri. Siam
o contrari perché siamo rispettosi della C
ostituzione che all’articolo 11 ripudia la guerra. E lei Presidente, è il custode della C
ostituzione. C
on deferenza. O
liviero Diliberto
DILIB
ERTO
NA
PO
LITAN
Oscrive a
VIA L’ITA
LIA D
ALL’A
FGH
AN
ISTAN
Un ennesim
o attentato dei talebani distrugge due veicoli “Lince” delle nostre truppe e provoca 6 m
orti tra i parà della Folgore e altri 4 feriti, questi ultim
i non in pericolo di vita. C
i sono anche 10 morti tra i civili afghani e 55 feriti.
L’idea ch
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ifen
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la lib
ertà
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dice
La R
ussa
, è rid
icola
se n
on
fosse
trag
ica.
Purtroppo è tragica e dal governo arriva il solito balletto delle m
enzogne condito da dichiarazioni contraddittorie che cercano di pescare consensi bipartisan: m
entre il ministro degli
Esteri Frattini parla di necessaria presenza “dettata dall’orgoglio nazionale”, il nostro caro presidente del C
onsiglio annuncia un im
minente ritiro di 500 unità com
e abbozzo di un’imm
inente “transition strategy”.
È palese che la confusione regna sovrana e che anche questo episodio quotidiano di guerra m
ostra al paese che il nostro stesso governo non abbia la m
inima percezione del ruolo che le
nostre truppe stanno svolgendo in Afghanistan se non quello di legittim
are un’alleanza politico militare che a sessanta anni dalla
sua nascita mostra appieno il proprio ruolo di carattere offensivo
e complem
entare all’imperialism
o statunitense.
La nuova dottrina Obam
a ha condotto a un potenziamento
del conflitto e alla sua estensione nel vicino Pakistan; è in Pakistan che gli Stati U
niti vogliono mettere in crisi la potenza em
ergente cinese sotto il profilo energetico m
inacciando il vitale porto di G
wadar nodo del 30%
del suo approvigionamento.
I soldati italiani che muoiono, l’oltre m
ezzo miliardo di euro
spesi per l’avventura militare in Afghanistan, la costruzione della
base militare U
SA a Vicenza, sono il prezzo che il governo paga
per il suo rapporto di sudditanza verso l’imperialism
o degli Stati U
niti e dei suoi interessi geopolitici.Sono otto anni che i m
ovimenti contro la guerra e le forze
anticapitaliste chiedono la cessazione dell’avventura neocoloniale e l’im
mediato ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan. O
ggi questi obiettivi hanno l’urgenza e la possibilità di diventare opposizione reale e di m
assa. O
ccorre lavorare sin da subito per una grande mobilitazio-
ne che pretenda l’imm
ediato ritiro delle truppe italiane dalla guerra in Afghanistan e riponga al centro della lotta politica lo sm
antellamento della partecipazione italiana a tutti gli apparati
di sistema m
ilitare offensivo e della NATO
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). Per quello che riguarda i due partiti comunisti, non
hanno smesso di tirarsi calci negli stinchi per tutta la durata
della propaganda elettorale (l’unica cosa di internazionale che è rim
asta ai partiti comunisti europei). Aleka Papariga, segretaria
del KK
E, ha ripetuto cose giustissime, però – ahim
è – le ripete da troppi anni e sem
pre nello stesso ordine; è stata comunque
premiata con un 7,3%
, percentuale in lieve flessione rispetto agli anni precedenti, m
a che lascia il partito al terzo posto nel Paese. Per quello che riguarda il secondo partito com
unista, Siriza, con il giovanissim
o segretario Tsipras ha ottenuto il 4,5%
, nonostante nella sua stessa segreteria la gerontocrazia abbia in tutti i m
odi cercato di rendergli la vita difficile.
Tra gli ultimi, m
a certamente non ultim
o, il partito Laos (popolo) con il suo segretario K
aratzaferis, partito che ha delle sim
ilitudini con la nostra Lega. Anche il Laos ha radici razziste, nazionaliste, filo-ecclesiastiche, e riunisce una destra estrem
a assieme ai pentiti di N
D e ad una parte della sinistra.
Questo partito è stato l’incognita e per m
e anche il terrore di queste elezioni. Il problem
a che si sarebbe potuto presentare
era che se il partito di maggioranza relativa avesse avuto uno
scarto minim
o con il Pasok, sarebbe stato costretto ad alle-arsi con loro. Per fortuna qui nessuno ha 6 canali televisivi, e dal 10%
cui veniva dato, ha passato il turno con un 5,7%,
sempre in crescita, m
a inutile ai fini elettorali. Ora Papandreu
ha già nominato i m
inistri e nella compagine sono presenti
ben nove donne. Non ci resta che ben sperare; la cosa certa
è che il popolo è armato sem
pre di meno pazienza, e, qui in
Grecia al contrario che da noi, le dim
ostrazioni si temono e
non ci si pensa un attimo prim
a di bloccare strade, ferrovie e quant’altro anche per settim
ane.
Le ultim
e elezioni in Grecia ci hanno fatto vedere dei grandi
cambiam
enti. Quali? beh, ora che ci penso praticam
ente nessuno. Alla fam
iglia Karam
anlis (nonno, zio e nipote in ordi-ne di apparizione storica), si è sostituita la fam
iglia Papandreu (nonno, padre e figlio). D
ire che Karam
anlis era segretario di N
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ocrazia e che Andrea Papandreu è segretario del Pasok, ed ora anche prim
o ministro in realtà è m
olto ridutti-vo. Q
ui in Grecia esiste da dopo la caduta dei colonnelli un
bipolarismo così asfittico che in pratica dal 1975 si assiste ad
un’alternanza di governi ND
-Pasok con una cadenza quasi svizzera. In genere se i governi cadono prim
a dei cinque anni è solo perché si è verificato qualche scandalo econom
ico che rende indigeribile chi è al potere. M
a anche questo però non sem
pre succede. Ad esempio l’ultim
a volta ND
è tornato al potere, nonostante gli incendi e le vittim
e in Peloponneso, è stato solo perché la figura di Papandreu era così scialba che i greci proprio non se la sono sentita di votarlo. Inoltre l’ex capo del governo K
aramanlis aveva prom
esso sfracelli contro la corruzione. Purtroppo per lui, i suoi m
inistri hanno rubato troppo e anche m
ale. Ci sono stati, nell’ordine, gli scandali della
Siemens (in cui è coinvolto
anche il Pasok), lo scambio
di un parco naturale con lago annesso, che la chiesa “diceva” di avere in proprietà secondo dei docum
enti di epoca bizantina, con un cen-tro congressi costruito dallo Stato durante le olim
piadi, il cui valore era di m
olti milio-
ni di euro. A questo si deve aggiungere l’om
icidio di un ragazzino di 15 anni per stra-da, da parte di un poliziotto soprannom
inato “Ram
bo” dai suoi colleghi e che prendeva farm
aci ad uso psichiatrico. Se som
miam
o poi che il governo ha subìto anche tre rimpasti, si
capisce perché sia caduto prima di concludere il m
andato (come
d’altra parte avviene in Italia). Le elezioni si sono svolte in un im
mobilism
o glaciale per la Grecia. Il Pasok non ha nem
meno
incollato manifesti per strada, poiché non voleva inquinare
l’ambiente. C
urioso perché invece gli ecologisti i manifesti
li attaccavano. In realtà che il Pasok dovesse vincere era così sicuro che non valeva la pena di spendere soldi. Per quello che riguarda le percentuali, il Pasok ha sbancato (43%
) non certo grazie a Papandreu, m
a solo perché non ne potevano più del
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– n. 12 – Anno II – novem
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nei pagamenti, la circolazione si arresta in più punti, e
infine tutto il meccanism
o entra in stallo.A
questo punto il credito si contrae: la restrizione del credito e la richiesta di pagam
enti in contanti contribuis-cono a conferire alla crisi la sua apparenza di crisi creditizia e m
onetaria. Ma la realtà secondo M
arx è un’altra. Emergono
«transazioni truffaldine, che ora sono scoppiate e vengono alla luce del sole; esse rappresentano speculazioni andate m
ale e fatte con il denaro altrui». Ma em
erge soprattutto il fatto che le m
erci restano invendute e perdono il loro valore e che i profitti attesi non possono più essere realizzati.
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Dietro la crisi «creditizia e m
onetaria», oltre al fallimento
di speculazioni nate nel mom
ento di massim
a espansione del credito, c’è insom
ma una crisi di sovrapproduzione e di
realizzazione del capitale. Questo è vero in generale, ed è
vero anche per quanto riguarda la crisi scoppiata nel 2007. Lo dim
ostra una ricerca pubblicata dall’Ocse nel m
aggio del 2009 – e com
pletamente ignorata da gran parte degli
economisti e dei com
mentatori – che evidenzia com
e la produttività del lavoro fosse in rallentam
ento già molto
prima dello scoppio della crisi finanziaria. O
ra, siccome
la produttività è calcolata in termini di quantità di m
erci prodotte per lavoratore, un suo calo (soprattutto se m
arcato e im
provviso) indica una diminuzione della produzione a
seguito di sovrapproduzione, o – come oggi si preferisce
dire – «eccesso di offerta» (excess supply): in tal caso infatti le m
erci invendute inducono a diminuire la produzione e
a non utilizzare appieno la capacità produttiva. Nel settore
delle costruzioni Usa il calo inizia tra i
due e i quattro anni prima della crisi;
sino a quando, nel 2007, la produttività del lavoro in tale settore segna un -12%
. Alla base c’è quindi, afferm
ano quindi D.
Brackfield e J. Oliveira M
artins, gli autori della ricerca, «un problem
a di eccesso di offerta». Per un certo periodo è sem
brato che «una forte spinta alla dom
anda at-traverso un’estensione delle facilitazioni creditizie avrebbe potuto com
pensare i problem
i dal lato dell’offerta. Ma
alla fine si è dovuto pagare pegno all’econom
ia reale». Va notato che non soltanto negli U
sa, ma anche in Europa
e in Giappone, tra il 2006 e il 2007 vi
è un stato chiaro rallentamento della
produttività. La conclusione della ricerca è espressa in term
ini diplomatici, m
a è chiara lo stesso: «rispetto all’assunto che il deterioram
ento dell’economia reale sia
stato semplicem
ente causato dalla crisi finanziaria, i dati danno sostegno ad una relazione più com
plessa». Insomm
a: la crisi, una classica crisi da sovrappro-
duzione, è precedente lo scoppio della bolla creditizia. La bolla creditizia l’ha prim
a mascherata e poi, esplodendo,
ha creato l’illusione di esserne la causa.
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”. Il progetto viene form
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ente abbandonato ma
glielo ripresentano, pari pari, tranne tre articoli, sotto le m
entite spoglie del Trattato di Lisbona. U
n’operazione di lifting, m
a da non sottomettere
al voto dei cittadini poi-ché – afferm
a il Presidente della repubblica francese Sarkozy – altrim
enti vo-terebbero contro: m
eglio quindi ratificare il Trattato dal Parlam
ento controllato dalla m
aggioranza. Ovvero il Parlam
ento francese non rappresenta il popolo. Anche il C
omm
issario irlandese Charlie M
cCreevy è sta-
to chiarissimo al proposito: “il Trattato di Lisbona sarebbe rigettato
dal 95% dei Paesi europei se fosse loro concesso un referendum
”. Lo stesso ha fatto il governo olandese, m
eglio mettere a riparo dal
voto popolare le codificazione degli interessi delle multinazionali
di origine europea. Insomm
a se i cittadini si oppongono con il voto ad una legge, devono rivotare finché non sono d’accordo. Lo stesso è successo in Irlanda. In quel paese il referendum
sugli accordi internazionali è legge; quindi bisogna votare. Lo scorso anno il popolo irlandese ha detto N
O al Trattato di Lisbona. Il
popolo, per il grande capi-tale europeo, ha sbagliato, quindi deve tornare al voto poiché non è am
missibile
che le masse si oppongano
ai suoi disegni. Dunque
anche in Irlanda si deve tornare a votare, a danno del concetto di dem
ocrazia foss’anche quella borghese. D
el resto già nel 2001 gli irlandesi bocciarono una prim
a volta il Trattato di N
izza per poi essere obbligati a tornare a voto per adottarlo. O
vviamente
se avesse vinto il SÌ gli irlandesi sarebbero stati chiam
ati alle urne. “Non
Iniziò il Parlam
ento europeo ad utilizzare ufficialm
ente il term
ine “deficit democratico” per definire la m
ancanza di dem
ocrazia nella crescita dell’Unione europea. Erano gli anni
’80, più di venti anni fa.Il deficit è diventato un enorm
e buco di democrazia. Il caso del
referendum irlandese, ovvero il processo decisionale legato all’ado-
zione da parte dei Paesi mem
bri dell’Unione europea dei Trattati
e della Costituzione, più di ogni altro ce lo può illustrare.
Ad ogni tappa che ha segnato l’integrazione europea, for-m
almente la questione della legittim
ità democratica si è im
posta all’attenzione in m
odo sempre più forte. I trattati di M
aastricht, Am
sterdam e N
izza hanno avviato l’incorporazione del principio della legittim
ità democratica nell’am
bito del sistema istituzionale,
rafforzando i poteri del Parlam
ento in materia di
designazione e control-lo della C
omm
issione, nonché am
pliando gra-dualm
ente il campo di
applicazione della proce-dura di codecisione. M
a si tratta solo di apparenza in un sistem
a che, figlio del C
apitale, ha dentro di sé la sua contraddizione. Intanto nel m
odo con il quale si è percorso il cam
-m
ino dell’integrazione del capitale europeo nelle sue form
e di rappresentanza e cam
ere di compensazione
delle contraddizioni tra i cari capital-nazionali. Il m
odo è il seguente. Ogni capo di Stato o
di Governo dei Paesi m
embri nom
ina un rappresentante personale. Q
uesti propongono modifiche ai trattati esistenti e queste vengono
poi adottate dal Consiglio europeo (la riunione dei capi di stato
e di governo dei Paesi mem
bri dell’Ue). I parlam
enti nazionali e quello europeo ne sono esclusi. In un paio di Stati vi è però la buona usanza dem
ocratica (in Irlanda è automatico per legge)
di tenere un referendum popolare in m
erito all’adozione di tali trattati. Q
uesti sono Danim
arca e Irlanda. Il vulnus ‘democratico’
risiede nel fatto che il voto del popolo non viene tenuto in conto qualora sia negativo. Esem
pio: Nel 1992 i danesi, con referendum
, bocciano il Trattato di M
aastricht (quello che introduce il comando
della moneta sulla società – vedi dichiarazioni di G
uido Carli).
L’anno successivo sono chiamati di nuovo al voto e con m
ontagne di prom
esse rispondono “SÌ”. Nel 2005 francesi ed olandesi sono
chiamati a votare, per via referendaria, sul progetto di C
ostituzione,
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crisi, relegata a incidente di percorso del capitalismo.
Spiegazione che può essere smontata a partire dagli
scritti di Marx dedicati al tem
a e che sono stati raccolti in un volum
e da oggi in libreria di cui pubblichiamo
brani dell’introduzioneLa spiegazione della crisi attuale com
e una crisi finanziaria che ha contagiato l’econom
ia reale è oggi largam
ente prevalente. Si tratta della versione contem-
poranea della concezione, ben nota a Marx, secondo
cui la crisi sarebbe dovuta «all’eccesso di speculazioni e all’abuso del credito». Precisam
ente questa spiegazione delle crisi era stata sostenuta dalla com
missione incari-
cata dalla Cam
era dei Com
uni inglese di redigere un rapporto sulla crisi del 1857. M
arx contestava questo punto di vista: «la speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione m
omentanei canali
di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aum
enta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprim
a nel campo della speculazione e solo
successivamente passa a quello della produzione. N
on la sovrapproduzione, m
a la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintom
o della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell’osservatore superficiale com
e causa della crisi».O
ltre ogni limite
Per Marx i m
otivi per cui le crisi si presentano come
crisi creditizie e monetarie sono senz’altro radicati in
alcune caratteristiche di fondo del funzionamento
dell’economia capitalistica. M
a le crisi non sono in prim
o luogo creditizie e monetarie: alla loro base si
trova la sovrapproduzione di capitale e di merci. Il
fatto è che per Marx il credito è uno dei principali
strumenti attraverso cui il capitale tenta di superare
i propri limiti. Infatti, grazie al credito i «lim
iti del consum
o vengono allargati dalla intensificazione del processo di riproduzione, che da un lato accresce il consum
o di reddito da parte degli operai e dei capi-talisti, d’altro lato si identifica con l’intensificazione del consum
o produttivo». Inoltre il credito «spinge la produzione capitalistica al di là dei suoi lim
iti» anche nel senso di porre a disposizione della produzione «tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società, nella m
isura in cui esso non è stato già at-tivam
ente investito».È precisam
ente per questi motivi, osserva M
arx nel m
anoscritto del terzo libro del Capitale, che il
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ovimenti e ini-
ziative, tra Belgio e Francia, che, pur nella loro diversità e particolarità, hanno senza dubbio qualcosa in com
une: esprimo-
no il fermento di rivolta e di lotta che nessun capitalism
o con le sue ricorrenti crisi e le sue sem
pre maggiori strette repressive
potrà mai ferm
are, e sono delle esperienze che possono aprire degli spazi di lotta contro il potere dom
inante, nei suoi aspetti di sfruttam
ento economico e di controllo sociale. È giusto
quindi che richiedano l’attenzione e la partecipazione attiva di noi com
unisti, perché non restino degli episodi fine a se stessi, m
a che permettano la proposta e l’applicazione di alternative
possibili e necessarie. Tra agosto e settembre 2009 ci sono stati
a pìù riprese degli incidenti, spesso di vera e propria “guerriglia urbana”, nelle popolari e popolose “com
munes” (quartieri auto-
nomi) di M
olenbeek e di Anderlecht a Bruxelles, riecheggiando in qualche m
odo gli incidenti di qualche tempo fa nelle “banlieus”
parigine. Anche qui ci sono quelle caratteristiche sociali ed eco-nom
iche di zone periferiche un tempo industriali ora soggette a
riconversione – leggi desertificazione e marginalizzazione –, con
forti disagi e con una importante presenza di com
unità migranti
di diverse generazioni: prima Italiani, Spagnoli e Portoghesi,
e poi Marocchini e altri Africani, Turchi, Pakistani, Europei
dell’est, etc. Oggi le com
munes di M
olenbeek e di Anderlecht condividono la situazione di m
olte altre comm
unes di Bruxelles troppo lontane, in tutti i sensi, dallo splendore dei quartieri del potere nella capitale belga, delle istituzioni europee e delle m
ul-tinazionali e le loro zone residenziali: si tratta di vere e proprie “periferie sociali”, che in un contesto di depressione econom
ica, disoccupazione/sottoccupazione e m
ancanza di vere prospettive di sviluppo, danno terreno fertile all’esplosione delle tipiche tensioni della “guerra tra poveri”: m
agari sotto l’aspetto delle diversità di etnie, lingue e culture, dove ogni com
unità tende a
fare gruppo a sé per una que-stione non solo di identità, m
a anche di autodi-fesa. Sono stati infatti dei m
o-vim
enti di autodifesa comunitaria contro certi interventi della
polizia a dare luogo a gravi incidenti con scontri, automobili
incendiate e arredi urbani danneggiati, gas lacrimogeni, feriti,
arresti e denunce di abusi... con le autorità che preferivano esplicitam
ente i metodi di repressione a quelli di prevenzione,
per gli attuali “tempi di crisi”, secondo quanto ha dichiarato alla
stampa il borgom
astro “socialista” di Molenbeek. Possiam
o dire insom
ma che prim
a il sistema capitalista provoca la crisi, e poi in
nome della crisi reprim
e le principali vittime della crisi stessa: una
perfetta quadratura del cerchio! Allo stesso tempo, si diffondono
le lotte contro la crescente tendenza alla privatizzazione dei servizi pubblici, per darli in m
ano all’ingordigia privata con il pretesto di “renderli più effi
cienti”: in realtà, per farli diventare delle m
acchine per far soldi per pochi, peggiorando o direttamente
tagliando tutta quella serie di servizi che vengono considerati “non redditizi”, escludendone le fasce sociali più deboli. Si sta facendo e si è fatto con i trasporti, con l’energia, con l’acqua, e si sta provando anche con le poste: m
a in Francia e in Belgio è in atto un forte m
ovimento di resistenza a tutto ciò. Il 3 ottobre
scorso si è tenuto in tutto il territorio francese, per iniziativa del Parti C
omm
uniste Français e di varie altre organizzazioni e collettivi politici e sociali, un “referendum
popolare” sulla pos-sibilità di privatizzare il servizio postale del paese, con un chiaro risultato per il N
O di oltre due m
ilioni di persone: anche se non uffi
ciale, questo è stato importante specialm
ente per la grande m
obilitazione e partecipazione cittadina negli ultimi m
esi, che continua reclam
ando una vera e propria consultazione popolare sulla m
ateria, e che comunque ha obbligato il governo francese
a fermare i suoi progetti, alm
eno per il mom
ento. E in Belgio ugualm
ente è in corso una lotta, innanzitutto per impedire la
chiusura di tutta una serie di uffici postali che si vorrebbe fare
con il pretesto di “razionalizzare la rete”, e poi per rivendicare il ritorno a delle poste 100%
pubbliche, dopo la privatizza-zione di quasi la loro m
età negli anni scorsi: anche qui il Parti C
omm
uniste (Wallonie-Bruxelles) e il K
omm
unistische Partij (delle Fiandre) sono in prim
a linea, con l’iniziativa “Sauvons la Poste” (inform
azioni, materiali e raccolta di firm
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Incidenti in quartieri “difficili”, iniziative contro la privatizzazione dei servizi pubblici... Spazi di lotta per alternative possibili?
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Le accuse rivolte da “R
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ose 10 domande, e am
piamente
riprese dalla stampa internazionale, riguardano, com
e noto: presunti com
merci sessuali con m
inorenni, scambio di
denaro e di favori – tra belle donne e anziani sviriliti (io ti do sul piano privato, tu m
i dai su quello economico e
politico) – mediante collaborazione di am
biziosi faccendieri cocainom
ani, con gravi ripercussioni a livello pubblico, istituzionale, elettorale. È quello che un docum
ento femm
i-nista giustam
ente analizza come nodo sesso-potere-politica
nel post-patriarcato. C
oncordo, come è stato detto da più parti, sul ruolo
niente affatto passivo delle donne implicate nella saga porno
di B. D’altra parte, tutte le donne – grazie al fem
minism
o – hanno acquistato agentività. Sono soggetti attivi anche quando vengono um
iliate e ridotte al silenzio. È questa la grande novità dei brutti tem
pi che corrono. Le recenti berlusconadas non sono tuttavia sem
plici da analizzare nelle loro diverse com
ponenti poiché in esse si rivela qualcosa di diverso da vicende analoghe, in Italia e all’estero; qualcosa che in parte ricorda il film
�e Trum
an Show e che il lin-
guaggio e le imm
agini utilizzati dai media hanno finito per
imporre a livello di senso com
une. È chiaro che nel discorso corrente dei m
edia e anche tra la cittadinanza spettatrice si parla spesso di sessualità intendendo, a seconda di chi usa il term
ine, cose diversissime.
“Sesso” e “sessualità” sono termini il cui significato non
è affatto scontato, oltre a cambiare nel tem
po; ciò vale sia per le donne che per gli uom
ini. Da anni m
olte donne intendono per “sessualità” un am
bito assai variegato e com
plesso, da non confondere con “sesso”; spesso confi-nante e/o sovrapposto a erotism
o, “sessualità” comprende
desideri e pulsioni di genere diverso – fisico e mentale, del
corpo, dei sensi e della conoscenza, sentimentale, artistico
e intellettuale – non necessariamente coincidenti con la
copula. E tutto questo include naturalmente anche una
varietà di pratiche. A
l contrario, per gran parte degli uomini, com
e bene illustrato dalle cronache degli ultim
i mesi, la parola è
quasi sempre banalm
ente sinonimo di sesso, di incontri
con fini copulatori, di cene con belle ragazze disponibili; il desiderio sem
bra qualcosa di molto sem
plice e meccanico,
che la sola presenza di una giovane di bell’aspetto basta a
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ei corpi si parla soprattutto per esaltarne la bellezza e seduttività, oppure per denunciarne la m
ercifi-cazione. M
a in gioco c’è ben altro. A
metà degli anni ’70, oltre a parlare di un “dispositivo
della sessualità” (un insieme eterogeneo com
posto di corpi, organi sessuali, piaceri, alleanze, relazioni inter-individuali, dal quale sarebbe poi derivato il “sesso”; e m
olto altro) ne L
a volontà di sapere Foucault spiegava che a partire dal X
VII secolo l’esercizio del potere sulla vita – anziché
sulla morte com
’era nelle epoche precedenti – si è andato esercitando lungo due direttrici principali: il corpo in quanto m
acchina (da disciplinare, istruire, potenziare), e il corpo-specie, al fine di regolare le popolazioni.
Progressivamente, e sem
pre più a partire dall’800, all’interno di questo quadro ha acquistato una grande im
portanza il sesso, in quanto partecipe sia delle discipline del corpo che delle regolazioni delle popolazioni: “Il sesso è contem
poraneamente accesso alla vita del corpo ed alla
vita della specie” (p. 129).Senza poter addentrarci nelle assai com
plesse artico-lazioni di questa analisi, basti ricordare che una sim
ile com
binatoria, spiega come m
ai il corpo occupi un posto di tale rilevanza nelle società contem
poranee, e consente di capire perché sia così forte la pressione a voler sapere sem
pre di più intorno al sesso. Non contano tanto le
ingiunzioni della morale e della C
hiesa, la repressione, i castighi, “l’im
portante è che il sesso non sia stato solo questione di sensazione e di piacere, di legge o di divieto, m
a anche di vero e di falso” (p. 52).Scrivendo sull’erm
afroditismo di H
erculine Barbin, aggiungeva che “è sul versante del sesso che bisogna cer-care le verità più segrete dell’individuo; che là è possibile scoprire m
eglio ciò che è e ciò che lo determina”, “in
fondo al sesso, la verità”. La parresia, la pratica di “dire il vero”, è il com
pito che il filosofo si poneva, qualcosa per cui vale la pena porre la propria vita a rischio.
Qualche decennio più tardi, nelle sue V
ite precarie (2004), nel clim
a di guerra, violenza e lutto successivo all’attacco al W
orld Trade Center, Judith B
utler – che ha rivisitato con grande acutezza le analisi di Foucault – a proposito della vulnerabilità dei corpi, la caratteristica di essere esposti e dipendenti da altri, ha insistito sul fatto che “il corpo ha una im
prescindibile dimensione pubblica.
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o stancarci di difendere con coraggio la natura per salvare il nostro Pianeta da una possibile distruzione ad opera di
chi pensa solo al guadagno imm
ediato. Credo sia fondam
entale rendersi conto dell’im
portanza di questo tema e di un nostro im
pegno, cercando di com
prendere in profondità quanto ci trasmette W
illie Smits, un
olandese che, dopo essersi laureato in ingegneria forestale, sta lavorando in Indonesia da più di 30 anni, cercando di ridurre la distruzione delle foreste e degli anim
ali tropicali in quel Paese. In un suo recente viaggio in Europa spiegò che si sta progettando nell’arcipelago indonesiano la distruzione di m
ilioni di ettari di selva tropicale con capitale proveniente principalm
ente dall’Europa, dal Nord Am
erica e dall’Asia Orientale,
per utilizzare il legname e soprattutto per sviluppare m
onocoltivazioni di palm
e per la produzione di olio che si vende in enormi quantità nei
supermercati, in particolare in quelli europei. Sm
its inoltre ci informa
che con questi orribili progetti si seviziano e si distruggono migliaia di
orangutan, con il rischio di una loro estinzione. Il suo primo incontro
con questo tipo di animali fu con un giovanissim
o orangutan gettato su una m
ontagna di rifiuti vicino ad un mercato orm
ai disidratato e quasi m
orente. Lo portò a casa, gli diede latte e soprattutto calore um
ano e così il piccolo di nome U
ce, recuperò poco a poco. Poi lo portò nella foresta, e andandolo a visitare dopo del tem
po, Uce scese da
un albero e lo abbracciò con amore. Sm
its sorridendo comm
entò che questa esperienza lo spingeva a conoscere in profondità gli orangutan e così poteva rendersi conto che si trattava di anim
ali molto attenti a
preservare le foreste con la biodiversità, avendo essi vere conoscenze di botanica che trasm
ettono di generazione in generazione. È riuscito poco a poco e con notevoli sacrifici a fondare un’Asso-ciazione, attraverso la quale è iniziata nel 2001 la com
pera di terreni dove ora già crescono migliaia
di alberi e vivono più di 1500 orangutan e 70 varietà di uccelli, tutto questo con la partecipazione attiva della popolazione locale, che sta cosí arricchendosi di una vera cultura ecologica. Sm
its sottolinea l’im-
portanza che non sia un’esperienza isolata, ma che per esem
pio anche i cittadini europei diano il loro contributo, cercando di far com
prendere ai politici sensibili a questo tipo di problem
atiche, che si limiti la vendita
di olio di palma im
portandone solo quantitativi in forma equilibrata.
Esperienze come questa ci possono aiutare, innanzitutto a rendersi
conto che, anche in situazioni estremam
ente difficili, se ci si im
pegna con intelligenza e con am
ore, si possono ottenere risultati che, se pur piccoli, possono poi diffondersi; possiam
o inoltre convincerci che anche noi, pur vivendo in Europa, abbiam
o la possibilità di sviluppa-re iniziative che contribuiscano a sensibilizzare sem
pre più persone, puntando sopratutto sui giovani, che si im
pegnino con generosità per salvare dalla distruzione il nostro Pianeta tanto bello.
• Gennaio – da G
iano, Dio bifronte che guarda al passato e al futuro.
• Febbraio – dalla Dea Februa (cioè G
iunone Purificata). Nell’antichità
in questo periodo si svolgevano cerimonie di “purificazione”, che nel
cristianesimo sono state assorbite dalla Q
uaresima.
• Marzo – dedicato a M
arte, Dio della guerra, m
a anche della natura che in prim
avera si risveglia.• Aprile – ha la stessa radice del verbo “aprire”. In questo m
ese infatti si apre la bella stagione, la prim
avera.• M
aggio – Dedicato a M
aia, la madre di M
ercurio, Dea della terra e
dell’abbondanza. Esiste anche la possibilità che questo mese sia invece
dedicato a Giove, il “m
aggiore” degli dei.• G
iugno – dedicato alla Dea G
iunone, simbolo della fecondità Q
uinti-lius, cioè quinto m
ese, poi chiamato Luglio – Prende il nom
e da Giulio
Cesare Sextilis, cioè sesto mese, poi chiam
ato Agosto – da Augusto.• Settem
bre, ottobre, novembre e dicem
bre – sono il settimo, l’ottavo,
il nono e il decimo m
ese nel calendario antico.Per quanto riguarda i giorni invece l’origine dei nom
i è legata ai corpi celesti: lunedì, m
artedì, mercoledì, giovedì e venerdì corrispondono
infatti al giorno della Luna (in inglese Monday e tedesco M
ontag da M
oon, Mond, cioè Luna), di M
arte (ingl, Tuesday, dal nome
nordico di questo pianeta, Tiw), Mercurio (ingl. W
ednesday dal
nome nordico di M
ercurio: Woden), G
iove (ingl. �ursday ted.
Donnerstag, dall’equivalente nordico di G
iove, il dio �or), Ve-
nere (ingl. Friday, ted. Freitag, da Fria nome nordico di Venere).
Sabato e domenica derivano invece da sabbath ebraico e dal cristiano dies
domini, giorno del Signore. In inglese Saturday e Sunday m
antengono il riferim
ento a Saturno e al Sole. In tedesco Sonntag è il giorno del Sole, m
a Samstag ha invece la radice ebraica sabbath, com
e sabato.In ogni lingua poi ci può essere qualche caratteristica diversa: il por-
toghese ha abbandonato ogni riferimento agli dei pagani e ha preso un
sistema num
erico di origine cristiana (segunda-feira, terça-feira ecc); le lingue scandinave hanno il sabato che si basa sulla radice laugr- (svedese Lördag, norvegese Lørdag, islandese Laugardagur) che significa bagno ...eh sì, il sabato è il giorno del bagnetto, no?; e m
olte lingue anche di ceppo diverso hanno il m
ercoledì che significa giorno in mezzo alla settim
ana: tedesco M
ittwoch, finlandese K
eskiviikko, islandese Miðvikudagur.
E del resto anche in italiano si può dire scherzosamente “Sei sem
pre in m
ezzo, come un m
ercoledì!”Per ricordare quanti giorni ci sono in un m
ese si usa spesso questa filastrocca:
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