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1 Università degli Studi della Tuscia Viterbo Dipartimento di Scienze e tecnologie per l’Agricoltura, le Foreste, la Natura e l’Energia (DAFNE) Paolo CORNELINI CORSO DI INGEGNERIA NATURALISTICA a.a.2015-2016

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Università degli Studi della Tuscia

Viterbo

Dipartimento di Scienze e tecnologie per

l’Agricoltura, le Foreste, la Natura e l’Energia

(DAFNE)

Paolo CORNELINI

CORSO DI

INGEGNERIA NATURALISTICA

a.a.2015-2016

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INDICE

1.PRINCIPI, DEFINIZIONI E METODI DELL’INGEGNERIA NATURALISTICA

2. LA DEONTOLOGIA

3.ANALISI BOTANICA

Analisi bioclimatica

Flora e vegetazione

Il progetto botanico

4.BIOTECNICA DELLE SPECIE VEGETALI

Proprietà tecniche

Proprietà biologiche

5. ANALISI GEOLOGICO-GEOTECNICHE APPLICATE AGLI INTERVENTI DI

INGEGNERIA NATURALISTICA (Olivia Iacoangeli)

Processi di modellamento dei versanti

Casistica degli interventi di ingegneria naturalistica (I.N.) utilizzabili nei diversi tipi di dissesto

6. SCHEDE DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI INGEGNERIA NATURALISTICA

7. ECOSISTEMI IDRAULICI

Il corso d’acqua e’ un ecosistema

Analisi delle componenti dell’ecosistema

La scheda di valutazione speditiva della qualità ecomorfologica di un corso d’acqua

Guida illustrata alla compilazione della scheda di valutazione speditiva della qualità

ecomorfologica di un corso d’acqua

8. ELEMENTI DI PROGETTAZIONE NATURALISTICA PER IL RECUPERO

ECOMORFOLOGICO DEI CORSI D’ACQUA

Principi generali

Spazio di libertà del corso d’acqua

Lunghezza minima dell’intervento

Livelli di ambizione degli interventi di recupero ecomorfologico

Interventi tipologici per il recupero ecomorfologico dei corsi d’acqua articolati per componente

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9. IDRAULICA APPLICATA ALLA RINATURAZIONE DEI CORSI D’ACQUA

Moto permanente e moto uniforme

10.LA SISTEMAZIONE DEGLI ALVEI INSTABILI

La instabilità degli alvei

La incisione degli alvei

L’erosione delle sponde

11. LE TECNICHE DI INGEGNERIA NATURALISTICA NELLE SISTEMAZIONI

SPONDALI

Verifica della resistenza di opere di difesa spondale con tecniche di IN

Regole per buone pratiche negli interventi sui corsi d’acqua

Schede di interventi tipo

La dispensa del corso di Ingegneria Naturalistica, realizzata con il contributo della dott.ssa Olivia

Iacoangeli, fa riferimento a vari testi del docente, specialmente al Compendio di Ingegneria Naturalistica

della Regione Lazio ed al Manuale di Indirizzo del Ministero dell’Ambiente ai quali si rimanda per gli

approfondimenti.

Per la bibliografia si fa riferimento al citato Compendio.

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1. PRINCIPI DEFINIZIONI E METODI DELL’INGEGNERIA NATURALISTICA

L'ingegneria naturalistica (IN) è una disciplina tecnica che utilizza le piante vive negli interventi antierosivi, di

consolidamento e di rinaturazione, da sole, o in abbinamento con altri materiali (paglia, legno, pietrame, reti

metalliche, biostuoie, geotessuti, etc).

La presenza delle piante vive diviene così l’elemento qualificante e discriminante di un intervento di IN.

Tali opere di sostegno in legno non possono essere considerate di ingegneria naturalistica per l’assenza di

arbusti con funzione di consolidamento . Foto Cornelini

I campi di applicazione dell’IN sono vari e spaziano dai problemi classici di erosione dei versanti, delle frane, delle

sistemazioni idrauliche, a quelli delle infrastrutture lineari (scarpate stradali e ferroviarie, condotte interrate), delle

cave e discariche, degli insediamenti industriali e di altre infrastrutture puntuali, delle sistemazioni costiere, fino ai

interventi di rinaturalizzazione e ricostruzione di habitat e di reti ecologiche.

Interventi di IN alle Olimpiadi di Torino 2006 . Foto Cornelini

Le principali finalità degli interventi di ingegneria naturalistica sono:

1) tecnico-funzionali: con riferimento, ad esempio, all’efficacia antierosiva e di consolidamento di un versante

franoso, di una sponda o di una scarpata stradale;

2) naturalistiche: in quanto non semplice copertura a verde, ma ricostruzione o innesco di ecosistemi mediante

impiego di specie autoctone degli stadi delle serie dinamiche della vegetazione potenziale dei siti di intervento;

3) paesaggistiche: di "ricucitura" del paesaggio naturale circostante, effetto strettamente collegato all’impiego

di specie autoctone;

4) economiche: in quanto strutture competitive e alternative ad opere tradizionali (ad esempio muri in cemento

armato sostituiti da palificate vive o da terre verdi rinforzate).

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Affinché quindi, un intervento possa dirsi di IN, devono verificarsi le finalità suddette, con particolare

riferimento alle prime due; ciò significa, ad esempio, che se in un’opera in tronchi di legno manca la componente

viva delle piante l’intervento non può essere considerato di IN, così se l’uso delle piante non comporta finalità

tecniche antierosive o di rinaturazione, può essere un bellissimo intervento a verde , ma non di IN.

Questo bell’intervento di verde urbano non può essere considerato di IN . Perché?

All’interno del filone dell’ingegneria naturalistica si delineano tre principali settori:

la “rinaturazione” o “rinaturalizzazione” vera e propria cioè la ricostruzione di habitat, biotopi o ecosistemi

paranaturali, non collegata ad interventi funzionali, anche se talvolta realizzata quale opera “compensatoria”.

Ad esempio la realizzazione di un biotopo umido o di un’area boscata realizzati in zona agricola nell’ambito

del progetto di una nuova infrastruttura viaria;

Trapianto di habitat rari per la loro salvaguardia, a seguito della realizzazione di una diga. Piana della

Lacina (VV). Foto Cornelini

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l’ingegneria naturalistica in senso stretto, cioè la realizzazione di sistemi antierosivi, stabilizzanti o di

consolidamento con piante vive abbinate ad altri materiali;

Sistemazione spondale del Rio Inferno (Cassino) con palificata viva e scogliera rinverdita nel 2000 ed un

anno dopo. Foto Cornelini

i provvedimenti per la fauna, anche semplicemente tecnologici, e, in particolare, quelli per garantire la

continuità degli habitat (rampe di risalita per pesci, sottopassi per anfibi, sottopassi e sovrappassi per ungulati,

etc).

Rampa di risalita per i pesci sul fiume Rapido presso

Cassino. Foto Cornelini

Sovrappasso autostradale per gli orsi in Austria .

Foto Cornelini

Differenze rispetto agli interventi tradizionali

Gli interventi di IN si differenziano da quelli tradizionali principalmente per l’impiego delle piante con finalità

tecniche e naturalistiche, per cui le analisi stazionali delle aree di intervento vanno effettuate con particolare

attenzione alla componente viva (le piante); la sua conoscenza è, infatti, condizione prima del successo

dell’intervento che è legato alla crescita delle radici che rinforzano il terreno e dei rami con le foglie che

proteggono il suolo dall’erosione delle acque.

Per quanto riguarda l’analisi botanica riferita sia alla flora che alla vegetazione si adottano normalmente i principi

dell’ecologia vegetale e della fitosociologia, per arrivare alla definizione delle specie e delle tipologie vegetazionali

da inserire nell’opera di IN .

Per la selezione delle specie di possibile impiego ci si riferisce a quelle spontanee presenti o potenziali dell’area

della stazione, tenendo conto che alcune specie, negli interventi di IN, sono più importanti di altre per le

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caratteristiche biotecniche. Classico è l'impiego di specie arbustive e, nell'ambito delle erbacee, di specie delle

famiglie delle graminacee e delle leguminose.

I principali settori di indagine utili nella progettazione ed esecuzione di opere di IN sono riportati nello schema

seguente (da Manuale 2 Regione Lazio) .

L’ingegneria naturalistica è, quindi, una disciplina “trasversale” che fa capo a vari settori tecnico-scientifici di cui

si utilizzano, a fini applicativi, dati di analisi e di calcolo.

Le tecniche di ingegneria naturalistica sinora applicate nel Centro Europa sono circa un centinaio e si possono

distinguere nelle seguenti categorie (Schiechtl,1992 – A.A.V.V. 1997):

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1) di rivestimento o antierosivi (tutti i tipi di semina,

stuoie, etc)

2) stabilizzanti (messa a dimora di arbusti, talee, fascinate,

gradonate, viminate, etc);

Idrosemina su scarpata in erosione. Foto Cornelini Cordonate vive su scarpate ferroviarie. Foto Cornelini

3) combinati di consolidamento (palificate vive, grate

vive,terre rinforzate verdi, etc)

4) particolari (barriere antirumore,opere frangivento,

etc).

Palificata viva di sostegno. Foto Cornelini Barriera antirumore. Foto Cornelini

A livello nazionale e regionale esistono, ormai, numerosi strumenti normativi e tecnici nei settori della

rinaturalizzazione e dell'ingegneria naturalistica, sia per i professionisti e i funzionari pubblici che per le imprese.

Nel Lazio è operativa dal 1996 la Delibera di Giunta Regionale n. 3440 del 26 maggio 1996 ove si ribadisce il

fondamentale concetto di impiegare, in primis, le tecniche di ingegneria naturalistica negli interventi di difesa del

suolo e nelle sistemazioni idrauliche del territorio regionale.

Tra la manualistica esistente a livello nazionale, i tre manuali di ingegneria naturalistica (idraulica, infrastrutture,

coste, versanti), il Compendio del 2015 ed i quaderni di cantiere della Regione Lazio (scaricabili dal sito

www.regione.lazio.it), rappresentano un fondamentale riferimento per le applicazioni nella realtà mediterranea.

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2. LA DEONTOLOGIA

La deontologia viene definita nel vocabolario della lingua italiana (Zingarelli) come la trattazione dei doveri

inerenti a particolari categorie di persone; oggi se ne parla soprattutto nel campo della medicina, ma anche

le altre categorie professionali si rifanno a codici etici che indicano il corretto comportamento.

Principi di deontologia applicati all’IN

Come in tutte le discipline, anche nell'ingegneria naturalistica si sono affermate alcune regole comportamentali di

riferimento per i professionisti, i funzionari e gli imprenditori che si occupano degli interventi di IN.

Si riporta in tal senso, in estratto, un articolo del Codice Deontologico dell’ Associazione Italiana per l’Ingegneria

Naturalistica (AIPIN).

Art. 4. Il socio AIPIN si adopera in tutte le sedi e in particolare in quella progettuale per la priorità delle finalità

naturalistiche degli interventi. L’impiego di tecnologia e materiali non naturali è possibile nei casi di necessità

strutturale e/o funzionale normalmente in abbinamento con materiale vivente. Deve comunque essere adottata la

tecnologia meno complessa a pari risultato, considerando anche l’ipotesi del non intervento.

Vale, quindi, il principio di adottare nelle scelte di progetto le tecniche a minor livello di energia (complessità,

tecnicismo, artificialità, rigidità, costo) a pari risultato funzionale / biologico come rappresentato per maggior

chiarezza nello schema che segue (da Manuale 2 Regione Lazio).

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Secondo lo schema due sono i possibili errori da evitare:

L’errore deontologico se, ad esempio, si intervenisse con una terra rinforzata laddove fosse sufficiente una

biostuoia, più semplice e meno costosa.; quindi sovradimensionare le opere, anche se di ingegneria

naturalistica, per l’incapacità di scegliere la soluzione efficace più semplice e meno costosa è un grave

errore deontologico.

L’errore tecnico ove, per eccesso di entusiasmo naturalistico, si realizzasse una fascinata spondale,

destinata allo scalzamento da parte della corrente, al posto di una gabbionata rinverdita, unica opera che

possa resistere in quella situazione idraulica. Questo errore è dovuto alla incapacità di valutare i limiti

delle tecniche di IN.

Per quanto riguarda la selezione delle specie e dei materiali da impiegare nelle tecniche di IN, il concetto generale è

quello di impiegare il più possibile materiali naturali biodegradabili e specie autoctone , comunque in maniera

esclusiva nelle aree protette e naturali.

Nella tabella seguente (da Manuale 2 Regione Lazio) l’AIPIN ha fatto un tentativo di schematizzare la graduatoria

di preferibilità e liceità di impiego di specie e materiali nei vari possibili ambiti territoriali di impiego

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Tabella 1 : Preferibilità/liceità d’impiego dei materiali vivi e morti per le tecniche di Ingegneria Naturalistica

- AIPIN

Piante naturalità crescente

Materiali utilizzabili naturalità

crescente

Ambiti di impiego Piante

autoctone

Piante

esotiche

naturalizzate

Piante

esotiche di

recente

introduzione

Materiali

naturali

Materiali

biodegradabili

Materiali

artificiali

1

Na

tura

lità crescen

te

Aree

protette XXX - - XX XX -(1)

2 Aree

naturali XXX - - XX XX X

3 Aree

agricole XX X - XX XX X

4 Parchi e

giardini XX X X X X X

5 Aree

urbane XX X X X X X

6 Aree

industriali XX X X X X X

XXX Impiego esclusivo

XX Impiego preferenziale

X Impiego in funzione delle scelte progettuali

- Incompatibilità assoluta

(1) Utilizzo solo per la soluzione di problemi geotecnica e idraulici per la protezione diretta di edifici e

infrastrutture esistenti

Errore deontologico: uso di stuoie in plastica su

scarpate ove bastavano biostuoie biodegradabili. Foto

Cornelini

Errore tecnico: uso di biostuoie

biodegradabili ove era necessaria

un’opera di sostegno viva in legno. Foto

Cornelini

SCHEDA: LE ORIGINI STORICHE DELL’INGEGNERIA NATURALISTICA

Le radici dei salici non permettono alle scarpate di spaccarsi e i rami dei salici lungo le scarpate vengono potati in

modo che diventino ogni anno più robusti. E così diventa una sponda vivente compatta. Queste parole così semplici

ed efficaci che non sono di uno studioso contemporaneo, ma hanno più di cinque secoli, essendo state scritte da

Leonardo da Vinci (1452-1519), mostrano come i concetti alla base dell’ingegneria naturalistica siano tutt’altro che

recenti, ma radicati nell’esperienza storica del mondo agricolo e forestale, fino a risalire ai tempi degli antichi

Romani.

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Gli antichi romani, pragmatici e con finalità eminentemente applicative, possedevano conoscenze approfondite nel

settore agronomico, come testimoniano varie opere di Catone, Virgilio e Columella, nei cui trattati vengono

affrontate con metodo scientifico le vaste problematiche dello sfruttamento dei terreni per fini agricoli.

Rispetto ai fondamenti dell’ingegneria naturalistica, nella letteratura classica, in particolare in Columella, Cesare e

Catone, si trovano numerosi riferimenti sia alla parte viva che alla parte strutturale delle opere, che mostrano come i

principi di base per la realizzazione di tali interventi fossero noti nel mondo latino (vedi tabella seguente, da

Manuale 2 Regione Lazio).

Tipiche opere romane riferibili all’ingegneria naturalistica

Messa a dimora delle

piante

Semina deponere Columella

De Re Rustica

LIBRO QUINTO, 9.8-12

Talee di salice Taleae sesquipedales terreno

inmersae paulum obruuntur.

Columella

De Re Rustica

LIBRO QUARTO, 30.1-5

Talee di olivo Taleae deinde sesquipedales serra

praecidantur.

Columella

De Re Rustica

LIBRO QUINTO, 9

Messa a dimora del

rizoma e della Talea di

canna

Seritur bulbus radicis, seritur et

talea calami, nec minus toto

prosternitur corpore.

Columella

De Re Rustica

LIBRO QUARTO, 32

Zolle erbose a semplici

file

singulis ordinibus cespitum Cesare

De Bello Gallico 5, 51

Rivestimenti con

ramaglia intrecciata

loricae ex cratibus Cesare

De Bello Gallico 5, 40

Viminate contexa viminibus membra Cesare

De Bello Gallico 6, 16

Graticciate di

rivestimento delle torri

viminea loricula Cesare

De Bello Gallico 8, 9

Palificate e terre

rinforzate

oppidum gallicum Cesare

De Bello Gallico 7, 23

Drenaggi tecnici,

fascinate drenanti

sarmentis conexus velut funis

informabitur in eam crassitudinem,

quam solum fossae possit ...capere.

Si lapis non erit, perticis saligneis

viridibus controversus conlatis

consternito ; si pertica non erit,

sarmentis conligatis

Columella

De Re Rustica

LIBRO SECONDO, 2.7-11

Catone

De Agricoltura, 43

In particolare i romani conoscevano bene le capacità riproduttive dei salici per talea (da cui ricavavano i legami per

la coltura della vigna) e nel testo di Columella sono fornite anche le dimensioni della lunghezza per l’infissione nel

terreno, pari ad un piede e mezzo (circa 45 cm): Taleae sesquipedales terreno inmersae paulum obruuntur (le talee

di un piede e mezzo di lunghezza, si piantano nel terreno ricoprendole un poco, Columella: De Re Rustica libro

quarto, 30.1-5).

In tempi più recenti i militari del Genio hanno avuto l’esigenza di utilizzare nei lavori sul campo di battaglia i

materiali reperiti in loco per la realizzazione di trincee, ricoveri, postazioni, etc. con uso, oltre ai materiali morti

(legno, pietra, terra, etc.) anche di piante vive (arbusti, zolle erbose, etc.) per la stabilizzazione dei pendii e per la

mimetizzazione delle opere, con funzioni analoghe a quelle degli interventi di IN per l’inserimento paesaggistico

delle infrastrutture.

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Rivestimento di scarpata con fascinoni (Manuale per gli ufficiali del Genio Vol.1 Lavori del campo di

battaglia – Ispettorato dell’Arma del Genio 1914)

Si può , quindi affermare che le tecniche di ingegneria naturalistica, così come oggi intese, vengono da molto

lontano e, in particolare, per le opere nei bacini idrografici , trovino le loro radici storiche come disciplina nelle

sistemazioni idraulico forestali, con il contributo dell’ecologia vegetale per la scelta delle piante vive da inserire

nelle opere.

In proposito è esemplare il contenuto di alcune raccomandazioni del D.M. 20 agosto 1912 (Approvazione delle

norme per la preparazione di progetti di sistemazione idraulico-forestale nei bacini montani), nelle quali sono

contenuti in toto i principi di quella che, decenni dopo, si sarebbe chiamata ingegneria naturalistica :

………impiegare i materiali rustici del sito, pietre, legnami, chiedendo alla forza della vegetazione i materiali

viventi per il consolidamento dei terreni…..

Sistemazione idraulico-forestale con piccole opere trasversali realizzate mediante graticciate vive nell’alta

Val Carane (Caprino Veronese). A sinistra dopo l’esecuzione dei lavori, a destra 5 anni dopo (Puglisi da Di

Tella, 1912)

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3. ANALISI BOTANICA

Introduzione

In un intervento di ingegneria naturalistica che intende riproporre ecosistemi con funzioni tecniche i fattori sui quali

il progetto può incidere riguardano le specie e le tipologie vegetazionali unitamente alla morfologia ed alla scelta

dei suoli.

Nel caso della palificata viva, ad esempio, l’opera ha lo scopo di garantire il consolidamento del piede di una

scarpata in alternativa ad un muro di sostegno, ma, poiché , in tal caso, le piante non sono in grado, da subito, di

garantire il consolidamento, unitamente ad esse, viene utilizzato un cassone di tronchi in legno chiodati tra loro

che, modificando la morfologia , consente al suolo di essere in equilibrio e, quindi , di consentire lo sviluppo delle

piante. Con la decomposizione del legno nel tempo gli arbusti e/o le talee cresciuti sia nella parte aerea che

nell’apparato radicale, formeranno un cespuglieto e consolideranno il cuneo di terra con il raggiungimento delle

finalità tecniche, naturalistiche e paesaggistiche tipiche dell’ingegneria naturalistica.

La finalità progettuale viene, quindi, affidata, alle piante vive, delle quali è essenziale conoscere, per il successo

dell’intervento la ecologia, e la modalità di colonizzazione negli ambienti degradati di intervento tramite un

accurato studio floristico e vegetazionale (analisi botanica). Lo studio ha il compito di individuare nella stazione di

intervento con determinate caratteristiche ecologiche (altitudine, esposizione, morfologia, suolo, luce, umidità,

etc.) le specie e le tipologie di progetto (prato, cespuglieto, bosco od una loro combinazione ), unitamente al pattern

della loro distribuzione che consentano, nel tempo, un processo dinamico di recupero verso la vegetazione naturale

potenziale.

Metodologia tipo di analisi botanica

Lo studio va eseguito, generalmente, secondo le seguenti fasi:

raccolta ed analisi dei dati bibliografici relativi all’area di studio

esame delle cartografie e delle foto aeree

esame dei vincoli territoriali

reperimento e interpretazione dei dati climatici esistenti

inquadramento vegetazionale di area vasta e individuazione della vegetazione potenziale.

indagini floristiche ai fini del censimento delle specie vegetali presenti nell’area di studio;

indagini vegetazionali ai fini della individuazione delle tipologie vegetazionali e del pattern

distributivo nell’area di studio nonché della serie dinamica della vegetazione

report fotografico delle fitocenosi rivenute (almeno una foto per rilievo)

definizione delle condizioni ecologiche microstazionali e dei fattori limitanti (spessore e tipo di

suolo, aridità, insolazione, etc)

redazione della carta fisionomico-strutturale della vegetazione

definizione delle specie e delle tipologie vegetazionali di progetto e del pattern distributivo

Nel caso di interventi in aree altamente antropizzate la metodologia resta valida, in quanto si farà

riferimento agli ambiti di vegetazione naturale presenti in prossimità.

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La biodiversità

I paesi partecipanti alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro nel

giugno 1992 hanno firmato una Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) sottoscritta dall’Unione

europea, quale strumento di conservazione e tutela del patrimonio biologico del pianeta.

La CDB è stata ratificata dall’Italia con L. n.124 del 14 febbraio 1994, con l’impegno di elaborare piani e

programmi per la conservazione della biodiversità e per l’uso sostenibile delle risorse.

Alla diversità biologica o biodiversità definita all’art.2 come “la variabilità tra gli organismi viventi di ogni

origine, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e gli altri ecosistemi acquatici ed i complessi

ecogeologici di cui fanno parte, comprendendo inoltre la diversità nell’ambito di ciascuna specie e tra le

specie degli ecosistemi” viene riconosciuto non solo un valore derivante dall’uso delle risorse (legname,

alimenti, selvaggina, etc.), ma anche un valore estetico, scientifico e strategico fino all’affermazione del

valore etico”in sé” dell’esistenza di ogni essere vivente.

Se si considera che la diversità delle specie viene stimata dai 10 ai 30 milioni di esseri viventi, dei quali

sono noti solo 1,4 milioni e che, a causa delle attività antropiche, è possibile la perdita di un quarto di questi

nei prossimi 50 anni, si comprende la inderogabile necessità della conservazione di questo patrimonio frutto

di milioni di anni di evoluzione.

La Convenzione sulla Diversità Biologica propone un approccio ecosistemico per la conservazione dei vari

livelli di biodiversità degli esseri viventi (a livello genetico, di specie, di ecosistemi) come ribadito nella II

Conferenza delle Parti per l’attuazione della CBD di Jakarta nel 1995: “la conservazione e l’uso sostenibile

della diversità biologica dovrebbe essere attuato con un approccio olistico, tenendo conto dei tre livelli di

diversità.”.

L’Italia è compresa nel bacino del Mediterraneo, identificato come uno dei 25 hotspot o ecoregioni terrestri

ad alta priorità di conservazione del pianeta, con presenza di una eccezionale concentrazione di specie

endemiche, ma sottoposte ad una eccezionale perdita di habitat. Il 44% delle piante vascolari ed il 35% dei

vertebrati del mondo sono presenti nei 25 hotspot che occupano l’1,4% della superficie terrestre (Manes F.,

Capogna F. in Stato della biodiversità in Italia, Palombi editori 2005). Nel bacino del mediterraneo vivono

13.000 piante endemiche.

In Italia vivono 6711 piante vascolari e 55.600 specie animali , un elevatissimo patrimonio di ricchezza

floristica e faunistica , che pone l’Italia al primo posto in Europa per numero di specie vegetali con la metà

di tutte le specie europee. Questo per la elevatissima variabilità di ambienti ecologici dovuti alle

variabilissime condizioni litologiche, morfologiche e climatiche del nostro paese.

La conservazione della biodiversità è quindi fondamentale per la qualità della vita umana e per uno sviluppo

sostenibile e ciò vale non solo per gli ecosistemi naturali, ma anche per quelli altamente antropizzati, come

quelli urbani, ove l’uso sostenibile delle risorse si deve imporre sempre più come unico modello di sviluppo.

La conservazione e l’aumento della biodiversità devono, quindi, essere tra gli obiettivi primari degli

interventi di ingegneria naturalistica .

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La biodiversità floristica è uno degli obiettivi di un progetto di

ingegneria naturalistica raggiungibile con una attenta scelta

delle specie e delle tipologie vegetazionali. Foto P. Cornelini

Analisi bioclimatica

L’analisi botanica va sempre accompagnata da uno studio sui lineamenti climatici della zona di intervento, in

quanto la distribuzione della vegetazione sul territorio dipende principalmente dai parametri climatici temperatura

e precipitazioni. La Fitoclimatologia o Bioclimatogia studia le relazioni tra la distribuzione della vegetazione e le

variazioni di temperatura e precipitazioni.

L’Italia, a causa della grande variabilità geografica e morfologica, presenta una grande variabilità climatica e,

quindi, una grande variabilità vegetazionale, con conseguente grande biodiversità.

L’elaborazione con analisi multivariata dei dati termopluviometrici di 400 stazioni italiane, unitamente al calcolo di

indici bioclimatici (Blasi e Michetti - Biodiversità e clima in Stato della biodiversità in Italia, Palombi editori

2005) ha portato all’individuazione di 9 bioclimi con 28 classi e ben 83 varianti (vedi Carta del Fitoclima d’Italia

sotto).

Per la caratterizzazione del clima esistono vari indici climatici (De Martonne, Emberger, Mitrakos, Rivas Martinez,

i principali) e diagrammi climatici, tra i quali va ricordato per la semplicità di realizzazione e per le informazioni

ecologiche ricavabili il diagramma ombrotermico (precipitazioni-temperature) di Bagnouls e Gaussen (1957)

migliorato da Walter e Lieth (1960-67). Viene costruito ponendo in ascisse i mesi dell’anno e sulle ordinate le

precipitazioni (in mm, a destra) e le temperature mensili (a sinistra, riportate in una scala doppia delle

precipitazioni:1°C = 2 mm di precipitazione) riferite ai valori medi di un periodo pluridecennale. La modalità di

realizzazione, se la curva delle temperature incrocia, superandola, quella delle precipitazioni, evidenzia in maniera

empirica la presenza di un periodo di aridità estivo, tipico del clima mediterraneo.

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Carta del Fitoclima d’Italia

La figura sottostante (Manuale Ingegneria Naturalistica provincia di Terni) fornisce una spiegazione del

diagramma ombrotermico di Walter e Lieth ,

Per il completamento dell’inquadramento fitoclimatico è utile l’indice di Mitrakos relativo allo stress da freddo che

indica i mesi invernali con possibilità di gelo.

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La conoscenza di operare nel clima mediterraneo, rende il progettista consapevole di una situazione più difficile di

quella del clima temperato, causa l’aridità estiva, e di dover curare particolarmente le analisi per la scelta delle

specie e le modalità realizzative dell’intervento.

Informazioni fondamentali per il Lazio sono contenute nella pubblicazione FITOCLIMATOLOGIA DEL LAZIO

(Blasi ,1994) che contiene la CARTA DEL FITOCLIMA DEL LAZIO. Le 15 unità fitoclimatiche individuate sono

state accorpate, per una analisi semplificata, nelle quattro grandi Regioni fitoclimatiche riportate nella figura sotto.

Analisi botanica: flora e vegetazione

Nell’analisi botanica vengono normalmente effettuati due tipi di indagine di campagna, quella floristica e quella

vegetazionale o fitosociologia , la prima, più speditiva, e la seconda più completa e impegnativa. Tali analisi

normalmente sono svolte insieme e si integrano tra loro, ma esistono situazioni progettuali di interventi semplici,

di limitata estensione e caratteristiche ecologiche omogenee, ove le dettagliate informazioni provenienti da una

analisi vegetazionale possono essere sovradimensionate per i fini progettuali; in questi casi è sufficiente elaborare

i dati floristici.

Contestualmente alle analisi floristiche e vegetazionali di campagna dell’area di intervento è necessario un

inquadramento della vegetazione a livello di area vasta, per una conferma delle analisi di campo e per la

individuazione della vegetazione potenziale.

Nel caso di un territorio di studio altamente antropizzato, unitamente alle informazioni bibliografiche di area vasta,

sono necessarie anche indagini di campagna estese alle formazioni vegetazionali autoctone presenti al di fuori

dell’area di intervento. Per un inquadramento speditivo, ma efficace dell’area vasta si può fare riferimento alle

serie della vegetazione italiana di GIS Natura o alla Carta delle serie di vegetazione d’Italia (Blasi, 2010).

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Strumenti di lavoro per la determinazione

floristica: in secondo piano il binoculare

Analisi floristica

L’analisi floristica si basa sulla determinazione delle entità floristiche presenti con il riconoscimento delle loro

preferenze ecologiche (indici di Ellenberg), della struttura (forme biologiche) e della distribuzione biogeografia

(tipi corologici) .

INDICI DI ELLENBERG

Gli indici di Ellenberg (1974) che descrivono le esigenze ecologiche delle piante (luce, temperatura, umidità, etc.)

costituiscono un utile strumento di utilizzo delle informazioni floristiche per comprendere le caratteristiche

ecologiche del territorio di studio. Ogni volta che una pianta, per cause naturali, si trova a vegetare in un

determinato sito, questo è una prova che il sito è compatibile con le sue esigenze ecologiche: dalla sua presenza si

possono dunque ricavare informazioni sulle caratteristiche ecologiche del sito stesso. La vegetazione si può

pertanto interpretare come un segnale, che fornisce informazione sulle condizioni ecologiche dell’ambiente

(Pignatti, 1980). I valori di bioindicazione costituiscono la valutazione numerica del segnale che ciascuna specie

fornisce, sull’incidenza dei principali fattori ecologici nel determinare le caratteristiche del sito: si tratta di una

valutazione soggettiva, ma che tiene conto di una grande quantità di fatti obiettivi: distribuzione geografica e

topografica della specie, misure sperimentali in campo, paragoni con altre specie. (Pignatti, 2005)

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Analisi stazionale botanica sulle rupi del Circeo (LT). Foto P. Cornelini

FORME BIOLOGICHE

Le forme biologiche o di crescita delle piante rappresentano la possibilità di descrivere la struttura della

vegetazione tramite i differenti adattamenti all’ambiente esterno (esempi intuitivi di forme biologiche sono

l’albero, l’arbusto o la specie erbacea).

Il sistema utilizzato per classificare le forme biologiche è quello del botanico danese Raunkiaer (1902) che

si basa sulla strategia assunta dalle piante per proteggere le gemme durante la stagione avversa (il freddo

invernale o l’aridità estiva, a seconda del clima). Le piante vascolari sono così suddivise in 6 classi

principali:

Terofite (T): piante annuali che superano la stagione avversa sotto forma di semi

(ad es. Papaver rhoeas, papavero)

Idrofite (I): piante perenni acquatiche con gemme sommerse durante la stagione sfavorevole (ad es.

Potamogeton natans, lingua d’acqua)

Geofite (G) : piante perenni con organi ipogei (bulbi o rizomi) sui quali si trovano le gemme. (ad es,

Phragmites australis, cannuccia di palude)

Emicriptofite (H) : piante perenni con le gemme a livello del suolo (ad es. Bellis perennis, margherita)

Camefite (Ch) : piante perenni, alla base legnose, con le gemme fino a 30 cm. da terra. (ad es. Helichrysum

italicum, elicriso)

Fanerofite (P) : piante perenni legnose con le gemme a più di 30 cm. dal suolo (alberi ed arbusti).

Lo spettro biologico rappresenta la ripartizione percentuale delle varie forme biologiche della flora di un

territorio ed evidenzia le relazioni tra clima e flora.

La conoscenza delle forme biologiche è di grande interesse applicativo nella progettazione degli interventi di

IN, in particolare nella scelta delle sementi per gli inerbimenti.

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Papaver rhoeas( rosolaccio), terofita

comune in Italia. Foto P. Cornelini

Hedysarum coronarium (sulla), emicriptofita tipica dei

terreni argillosi. Foto P.Cornelini

Narcisus tazetta, geofita.presente nella

flora di Roma, Foto P. Petrella

La fanerofita Prunus spinosa (prugnolo), si riconosce, a

primavera, per la fioritura che precede lo sviluppo

delle foglie. Foto P. Cornelini

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TIPI COROLOGICI

Ogni specie occupa un areale, entro il quale vive allo stato spontaneo. I tipi corologici della flora italiana,

cioè i gruppi che rappresentano la distribuzione biogeografica delle specie, sono (Pignatti, 1982):

Endemiche: specie ad areale ristretto, sono l’elemento più caratteristico di una flora. L’Italia è ricca di

endemismi (circa il 13,5% della flora) per la sua conformazione geografica e per la storia evolutiva della

flora (ad es. Primula palinuri).

Mediterranee: si dividono in stenomediterranee con areale lungo le coste del bacino mediterraneo come

Arbutus unedo (corbezzolo) ed eurimediterranee che si estendono fino all’Europa media quali Fraxinus

ornus (orniello).

Orofite sudeuropee: specie differenziatesi sulle montagne dell’Europa meridionale dopo l’orogenesi

terziaria come Abies alba (abete bianco).

Eurasiatiche: diffuse nelle zone temperate dell’Europa e dell’Asia, in Italia predominano nella pianura

padana e nella fascia di bassa montagna (ad es. Corylus avellana, nocciolo).

Atlantiche: specie con areale che gravita sulle coste atlantiche dell’Europa, legate ad un clima oceanico, con

precipitazioni distribuite durante tutto l’anno e inverni non troppo freddi, ad es. Helleborus foetidus (elleboro

puzzolente).

Settentrionali: distribuite nelle zone più fredde del globo, in Italia si rinvengono soprattutto nelle zone

montane, come, ad es., Vaccinium myrtillus (mirtillo).

Cosmopolite: specie ad ampia distribuzione diffuse in tutti i continenti, si ritrovano soprattutto negli

ambienti antropizzati, come Amaranthus retroflexus (amaranto comune).

L’analisi dei tipi corologici consente di individuare le specie autoctone per gli interventi progettuali.

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Schematizzazione dell’areale di Quercus ilex (leccio) (da Meusel et al., 1964 modificata , Manuali e Linee

Guida ISPRA n.65/2010).

Nella Tabella sotto sono riportati i rilievi floristici per il progetto botanico di una palificata viva nel Viterbese

effettuati dagli studenti del corso di Ingegneria naturalistica dell’Università della Tuscia (www.regione.lazio.it) in

tre stazioni con valori di presenza/assenza delle specie rilevate e le principali caratteristiche stazionali.

Tabella 2 rilievi floristici per il progetto botanico di una palificata viva nel Viterbese

STAZIONE

1 STAZIONE

E 2 STAZIONE

3

Località: Svincolo di Soriano-Superstrada Viterbo

Orte

Altitudine: 270 m. s. l . m.

Esposizione: Piana Sud - Ovest Piana

Inclinazione: Assente 30° Assente

Substrato: Suolo con Lett iera

Altezza arbustivo(m): 2 - 5 0,5 - 5 0,5 - 3

Luce Luce Sottobosco

Specie arbustive

Rosa sempervirens

Crataegus monogyna

Prunus spinosa

Ligustrum vulgare

Cytisus scoparius

Euonymus europaeus

Rubus ulmifolius

Lonicera implexa

Ruscus aculeatus

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Analisi fitosociologica

Tale analisi da impiegarsi, unitamente a quella floristica, nelle situazioni più estese e complesse è quella che

fornisce le informazioni più complete nella decodifica del messaggio che la copertura vegetale fornisce al

progettista.

La fitosociologia è la branca della botanica che studia le comunità vegetali con un’analisi che esce dal puro ambito

qualitativo e approda ad un’analisi qualitativa-quantitativa, che consente un confronto oggettivo tra situazioni

fisionomicamente simili o diverse.

Il metodo messo a punto da J. Braun Blanquet negli anni ‘20 del secolo scorso si basa sul riconoscere la

vegetazione formata da unità discrete caratterizzate da una certa composizione floristica: le associazioni.

L’associazione vegetale è definita da J. Braun Blanquet come “un aggruppamento vegetale più o meno stabile ed in

equilibrio con l’ambiente, caratterizzato da una composizione floristica, in cui alcune specie vegetali, che si

rinvengono quasi esclusivamente in questo popolamento, rilevano con la loro presenza, un’ecologia particolare ed

autonoma”.

A partire dalle associazioni costituenti le unità di base, è possibile riconoscere delle unità sintassonomiche

superiori comprendenti la vegetazione di territori sempre più estesi, secondo un

sistema gerarchico di categorie.

L’elemento operativo fondamentale nell’indagine fitosociologica è il rilievo consistente nel censimento delle specie

vegetali di una stazione opportunamente scelta all’interno di una zona fisionomicamente omogenea, accompagnato

da una valutazione quantitativa sull’abbondanza di ogni specie, nonché dalle principali caratteristiche ecologiche e

strutturali della stazione stessa (altitudine, inclinazione, esposizione, stratificazione, etc.).

Per la stima della copertura vegetale nei rilievi effettuati si usa normalmente la scala di Braun Blanquet con i

seguenti valori:

Tab 3 - Indici di Braun Blanquet

valore indice di

copertura valori %

+ fino 1

1 1-5

2 5-25

3 25-50

4 50-75

5 75-100

I rilievi vanno effettuati nei popolamenti elementari presenti correlati con i fattori ambientali per definire le

tipologie vegetazionali e la struttura delle formazioni con riferimento alle formazioni arboree arbustive ed erbacee

sia in ambito terrestre che idraulico. Tali indagini sono fondamentali per definire le tipologie vegetazionali di

progetto.

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Ubicazione dei rilievi effettuati

I rilievi possono essere elaborati con metodi statistici di analisi multivariata allo scopo di ottenere una tabella

strutturata.

I rilievi e le specie con metodi di classificazione, vengono raggruppati secondo indici di somiglianza, al fine di

associare ad un gruppo di rilievi, che ne risulta così caratterizzato, uno o più gruppi di specie ad esso collegate.

Sulla base degli indici di somiglianza viene costruito un dendrogramma ( figura sotto), sia per le specie che per i

rilievi, ed in base ai livelli di fusione viene deciso il numero dei gruppi significativi.

Esempio di dendrogramma dei rilievi delle specie erbacee presenti nei vari ambienti elaborati con Syntax

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A seguito del dendrogramma è possibile ottenere la tabella strutturata dei rilievi (esempio seguente)

Tabella 4 Tabella strutturata dei rilievi (dati presenza/assenza)

Forma

biologica

Tipo corologico strada

rilevato

strada

scarpate

rocciose

ferrovia steppa

T SCAP STENOMEDIT. ANTHEMIS ARVENSIS L. 1 0 0 0

T SCAP EURIMEDIT. AVENA BARBATA POTTER 1 0 1 1

T SCAP EURIMEDIT. BROMUS GUSSONEI PARL. 1 0 1 1

H BIENNE EURIMEDIT.-TURAN. CARDUUS PYCNOCEPHALUS L. 1 0 0 0

H CAESP STENOMEDIT. DACTYLIS HISPANICA ROTH 1 0 0 1

H BIENNE PALEOTEMP. DAUCUS CAROTA L. 1 0 0 1

H BIENNE EUROP. ECHIUM VULGARE L. 1 0 1 1

H SCAP S-EURIMEDIT. FERULA COMMUNIS L. 1 1 1 1

T SCAP E-MEDIT.-MONT. PAPAVER RHOEAS L. 1 1 1 0

T SCAP EURIMEDIT.-TURAN. VICIA SATIVA L. 1 0 0 0

H SCAP STENOMEDIT.-ATL. SALVIA VERBENACA L. 1 0 0 0

T SCAP EURASIAT. SONCHUS OLERACEUS L. 1 0 0 0

T SCAP STENOMEDIT. RESEDA ALBA L. 1 0 1 0

H BIENNE AVV. NATURALIZZ. ISATIS TINCTORIA L. 1 0 1 1

T SCAP SUBCOSMOP. GERANIUM ROBERTIANUM L. 1 0 0 0

H SCAP EUROSIB. MALVA SYLVESTRIS L. 1 0 0 0

H SCAP PALEOTEMP. SANGUISORBA MINOR SCOP. 1 0 1 0

H CAESP ENDEM. STIPA AUSTROITALICA MARTINOWSKY 0 1 0 1

H SCAP STENOMEDIT. CARLINA CORYMBOSA L. 0 0 1 1

G RHIZ W-STENOMEDIT. EUPHORBIA NICAEENSIS ALL. 0 1 1 1

H CAESP EURIMEDIT. FESTUCA CIRCUMMEDITERRANEA PATZKE 0 0 0 1

H CAESP MEDIT.-MONT. KOELERIA SPLENDENS PRESL 0 1 1 1

H SCAP SE-EUROP.-PONTICA ERYNGIUM AMETHYSTINUM L. 0 0 0 1

H BIENNE CENTRO-EUROP. ANTHEMIS TINCTORIA L. 0 0 1 0

G RHIZ STENOMEDIT. ASPHODELUS MICROCARPUS SALZM. ET VIV. 0 0 0 1

T SCAP SUBTROP. BRIZA MAXIMA L. 0 1 1 1

T SCAP STENOMEDIT. BROMUS SCOPARIUS L. 0 0 0 1

H BIENNE W-EUROP. (ATL.) CARDUUS NUTANS L. 0 0 1 1

H BIENNE ENDEM. CENTAUREA DEUSTA TEN. 0 1 0 1

H SCAP EURIMEDIT. CONVOLVULUS CANTABRICA L. 0 1 1 1

H SCAP EURIMEDIT. ERYNGIUM CAMPESTRE L. 0 1 0 1

NP STENOMEDIT. ASPARAGUS ACUTIFOLIUS L. 0 0 0 1

T SCAP EURIMEDIT.-TURAN. DASYPIRUM VILLOSUM (L.) BORBAS 0 0 1 1

CH SUFFR N-EURIMEDIT. HELICHRYSUM ITALICUM (ROTH) DON 0 1 0 0

T SCAP EURIMEDIT. LAGURUS OVATUS L. 0 1 1 0

H BIENNE EURIMEDIT. VERBASCUM SINUATUM L. 0 0 1 1

H SCAP STENOMEDIT. REICHARDIA PICROIDES (L.) ROTH 0 1 1 1

H SCAP NE-STENOMEDIT. STACHYS SALVIIFOLIA TEN. 0 1 1 1

T SCAP PALEOTEMP. TRIFOLIUM CAMPESTRE SCHREBER 0 1 1 1

T SCAP EURIMEDIT. PALLENIS SPINOSA (L.) CASS. 0 1 0 1

T SCAP EURIMEDIT. BELLARDIA TRIXAGO (L.) ALL. 0 1 1 1

CH SUCC W- E C-EUROP. SEDUM RUPESTRE L. 0 1 0 0

T SCAP STENOMEDIT. TORDYLIUM APULUM L. 0 0 1 1

H SCAP EURIMEDIT. ANTHYLLIS VULNERARIA L. 0 0 1 1

H BIENNE EURIMEDIT. TRAGOPOGON PORRIFOLIUS L. 0 1 1 1

NP EURIMEDIT. OSYRIS ALBA L. 0 1 0 0

P CAESP STENOMEDIT. PIRUS AMYGDALIFORMIS VILL. 0 1 0 1

T SCAP STENOMEDIT. CRUPINA CRUPINASTRUM (MORIS) VIS. 0 1 0 1

L’analisi fitosociologica è, quindi, uno strumento fondamentale nello studio di un territorio e nella progettazione

degli interventi di recupero ambientale, in quanto consente di classificare la vegetazione di una zona in unità

organizzate gerarchicamente in relazione ai parametri ambientali e di individuare la serie dinamica evolutiva o

regressiva di una comunità vegetale, ottenendo elementi di previsione del suo sviluppo nel tempo.

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Serie dinamica della vegetazione

Negli interventi di ingegneria naturalistica è indispensabile considerare la comunità vegetale nella sua dimensione

dinamica.

La vegetazione, infatti, non è un sistema statico, ma vivente variabile con il tempo. Tale evoluzione, osservabile, ad

esempio, nella capacità di un bosco di riconquistare un campo abbandonato dalle coltivazioni, procede, nel tempo,

molto schematicamente dalle forme più semplici erbacee verso quelle legnose strutturalmente più complesse:

Prato prato

cespugliato Cespuglieto cespuglieto

arborato bosco

La conoscenza della serie dinamica della vegetazione o sigmetum costituisce, quindi, un elemento fondamentale

nella scelta delle tipologie progettuali per il recupero ambientale.

La serie di vegetazione è l’insieme degli aggruppamenti vegetali che costituiscono i diversi stadi dinamici tendenti

ad un solo aggruppamento maturo (vegetazione naturale potenziale), presenti all’interno di un territorio

sufficientemente omogeneo dal punto di vista litogeomorfologico e bioclimatico (Filesi, 2006)

Roso sempervirentis-Querceto pubescentis sigmetum (Manuale 3 Ingegneria Naturalistica Regione Lazio)

1- Bosco di roverella (Roso sempervirentis-Quercetum pubescentis)

2- Cespuglieto (Roso sempervirentis-Rubetum ulmifolii)

3- Ampelodesmeto (Psoraleo – Ampelodesmetum)

4- Pratello emicriptofitico (Galio lucidi – Brachypodietum rupestris)

Dalle analisi floristiche e vegetazionali effettuate nell’area e dall’analisi della tabella strutturata dei rilievi è

possibile mettere in evidenza le tipologie vegetazionali indagate in chiave applicativa di relazioni dinamiche riferite

agli stadi della serie terrestre o igrofila per ricavare le specie, le tipologie, il pattern e lo stadio dinamico di

riferimento per il progetto botanico .

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Processi dinamici di colonizzazione di una falda di detrito da

parte della vegetazione mediterranea nella maremma grossetana,

nella fase del cespuglieto rado. Foto P. Cornelini

Accanto alla serie di vegetazione climacica correlata prevalentemente con le precipitazioni medie, possono

svilupparsi una o più serie edafofile (Biondi e Blasi, 2004b) distinte in serie edafoigrofile, caratterizzate da una

maggiore umidità nel suolo corsi d’acqua, base dei versanti, ecc.), e serie edafoxerofile, caratterizzate da una

maggiore aridità rispetto alle condizioni medie locali (versanti più inclinati, rocce affioranti, ecc., - Manuali e

Linee Guida ISPRA n.65/2010)

Esempio di geosigmeto del settore collinare anconetano, costituito da tre serie di vegetazione: una serie

edafo-xerofila (A) sui substrati arenacei, una serie climacica (B) sui versanti pelitico-arenacei, una serie

edafo-igrofila (C) sui terrazzi alluvionali recenti (da Biondi e Allegrezza, 1996).

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Cartografia della vegetazione

La redazione della carta della vegetazione costituisce la graficizzazione della sua distribuzione sul territorio

secondo i fattori ambientali e consente di avere informazioni sulle caratteristiche ecologiche e strutturali delle varie

fitocenosi, nonché sul dinamismo in atto.

Le principali tipologie di carte vegetazionali sono:

La carta fisionomica strutturale che riporta le analisi di tipo fisionomico strutturale della vegetazione

naturale e semi-naturale nonché delle aree artificiali e agricole con una legenda che, generalmente, fa

riferimento a quella del programma europeo CORINE Land Cover (APAT, 2005)

Esempio di Carta fisionomico-strutturale della Vegetazione

la carta fitosociologica che si ottiene se la descrizione delle tipologie vegetazionali di una carta

fisionomica viene approfondita con i riferimenti sintassonomici del sistema gerarchico fitosociologico.

La carta delle serie di vegetazione che rappresenta le varie serie della vegetazione presenti sul territorio

per la quale può fare riferimento alla cartografia recentemente prodotta per

conto del Ministero dell’Ambiente (Blasi, 2010).

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CARTA DELLE SERIE DINAMICHE DELLA VEGETAZIONE

Geosigmeto ripariale (Salicion albae, Populion albae, Alno-Ulmion) Serie delle cerrete termofile submesomediterraneee dei depositi piroclastici (Carpino orientalis-Quercetum cerris ) dell'Italia centrale Serie appenninica centro-meridionale submediterranea e mesomediterranea neutrobasifila della roverella (Roso sempervirentis -Quercetum pubescentis)

Carta delle Serie di vegetazione d’Italia (Blasi, 2010 in Manuali e Linee Guida ISPRA n.65/2010)

Il progetto botanico

Il progetto botanico deve individuare, a seguito delle analisi topografiche, geomorfologiche, geotecniche,

idrauliche, floristiche e vegetazionali, con riferimento ai parametri ecologici stazionali dell’area di intervento, la

lista con le quantità delle specie di progetto, le tipologie vegetazionali di progetto coerenti con il territorio ed affini

a stadi della serie della vegetazionale autoctona e i patterns di distribuzione.

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In un intervento di I.N., dato che è molto raramente è possibile prevedere la vegetazione più evoluta (il bosco), a

causa delle limitazioni ecologiche stazionali (pendenze elevate, spessore ridotto del suolo, aridità, etc.), va

individuato lo stadio dinamico di riferimento compatibile con la situazione morfologica ed ecologica reale; nella

consapevolezza che se è possibile imitare e accelerare i processi naturali, non è comunque possibile forzarli oltre

un certo limite: ad esempio, si può proporre un prato cespugliato ed aspettare una evoluzione spontanea verso

tipologie strutturalmente più complesse.

L’obiettivo è di proporre fitocenosi coerenti con la vegetazione autoctona, realizzando impianti pionieri

successionali capaci di attivare il recupero naturale della vegetazione locale con riduzione notevole dei costi per

l’acquisto delle piante e per gli interventi di manutenzione.

Criteri di scelta delle specie

Nelle aree con vegetazione autoctona , attraverso le analisi floristiche e vegetazionali è possibile individuare le

specie e le tipologie vegetali coerenti con i caratteri stazionali del sito di intervento, mentre in aree molto

antropizzate, si dovrà fare riferimento alla vegetazione naturale potenziale individuata dalle indagini di area vasta.

In sintesi le specie vanno scelte in base ai seguenti i criteri:

coerenza con la vegetazione locale autoctona (numero di specie, pattern naturale, ecc.) e con le

caratteristiche fitoclimatiche e fitogeografiche dell’area;

compatibilità ecologica con i caratteri stazionali (clima ed eventualmente microclima, substrato,

morfologia, ecc.) dell’area di intervento; può risultare molto utile l’uso degli indicatori ecologici di

Ellenberg (Pignatti et al., 2005);

appartenenza ad uno stadio della serie della vegetazione autoctona, scelto come il più evoluto possibile,

anche in funzione delle condizioni ecologiche artificialmente realizzate dall’intervento (ad esempio con

rimodellamenti morfologici, riporto di suolo, impianto di irrigazione, ecc.)

caratteristiche biotecniche

facilità di approvvigionamento nei vivai locali

facilità di attecchimento e ridotta manutenzione;

L’affinità degli impianti con la vegetazione reale e con la complessità della serie di vegetazione determina habitat

di particolare valore anche per la componente faunistica, di norma strettamente collegata con le caratteristiche

cenologiche delle comunità vegetali.

Negli interventi di recupero ambientale in ambito infrastrutturale la vegetazione messa a dimora può assumere

anche il ruolo di compensazione delle emissioni di CO2 dovute al traffico veicolare delle fasi di costruzione e di

esercizio.

Nei paragrafi successivi vengono approfonditi gli aspetti specifici legati ai criteri di scelta delle specie.

Le specie autoctone

La necessità di utilizzare specie autoctone per gli interventi di recupero ambientale e di ingegneria naturalistica è

un criterio fondamentale da adottare per riproporre fitocenosi coerenti con la vegetazione autoctona e per

scongiurare il pericolo di introduzione di specie esotiche, con le possibili conseguenze (inquinamento floristico,

inquinamento genetico dovuto a varietà o cultivar di regioni o nazioni diverse, etc.).

Una ricerca per individuare le specie arboree ed arbustive autoctone comuni della flora italiana di potenziale

impiego negli interventi di rinaturalizzazione e di ingegneria naturalistica (Cornelini et al., 2002) ha dimostrato che,

per quanto riguarda le specie arboree, la maggioranza è disponibile sul mercato, mentre per gli arbusti, l’offerta

vivaistica è più ridotta, con le carenze più vistose per alcune specie dei generi Salix, Calicotome, Cytisus e

Lonicera.

Per una maggior conoscenza delle specie esotiche, da evitare comunque, si può fare riferimento alla banca dati

nazionale Non-native flora of Italy che include 1023 specie (Celesti-Grapow et al., 2010).

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Compatibilità ecologica con i caratteri stazionali: gli indici di Ellenberg

Gli indici di Ellenberg considerano sette fattori ecologici fondamentali per la vita delle piante (luce, temperatura,

continentalità del clima, disponibilità di acqua, pH del suolo, nutrienti, salinità) In Ellenberg (1974) la scala

comprende, per la maggior parte, valori da 1 a 9;

L – radiazione luminosa (1-9)

T – calore (1-9)

C – continentalità del clima (1-9)

U – umidità o disponibilità di acqua (1-12)

R – reazione del suolo (1-9)

N – nutrienti (1-9)

(S – salinità, 1-3)

I valori di biondicazione per le specie della Flora d’Italia (cfr. Pignatti S., 2005) risultano utili per la valutazione

delle caratteristiche ecologiche della stazione di intervento in base alla flora presente, al fine della scelta delle

specie di progetto..

Nella tabella seguente vengono riportati, a titolo di esempio, gli indici di Ellenberg delle specie rinvenute in

un’area della costa laziale per la caratterizzazione ecologica del sito (non sono stati considerati la continentalità del

clima e la salinità, di scarso interesse nel caso di studio). La tabella, per motivi di spazio, viene riportata non

completa,.

Tab.5: Indici di Ellenberg di un censimento floristico sulla costa laziale

Forma

biologica COROTIPO NOME SCIENTIFICO L T U R N P SCAP 210 STENOMEDIT. Quercus ilex L. 2 9 3 X X P SCAP 540 EUROP.-CAUCAS. Acer campestre L. 5 7 5 7 6

P SCAP 530 S-EUROP.-

SUDSIB. Cercis siliquastrum L. 8 7 4 7 4

P SCAP 530 S-EUROP.-

SUDSIB. Fraxinus ornusLl. 5 8 3 8 3

P SCAP 210 STENOMEDIT. Olea europaeaLl. var.sylvestris 1

1 1

0 1 X 2 P SCAP 510 PALEOTEMP. Populus nigra L 5 7 8 7 7

P SCAP 980 AVV.

NATURALIZZ. Pyrus communis L. 7 7 5 5 5 P SCAP 320 N-EURIMEDIT. Quercus cerris L. 6 8 4 4 4 P SCAP 510 PALEOTEMP. Salix alba L. 5 6 7 8 7 P LIAN 210 STENOMEDIT. Rubia peregrin L. 5 9 4 5 3

P CAESP 210 STENOMEDIT. Arbutus unedo L. 1

1 9 3 4 2 P CAESP 210 STENOMEDIT. Laurus nobilis L. 2 7 8 4 6 P CAESP 210 STENOMEDIT. Phillyrea latifolia L. 5 8 4 X 5

P CAESP 240 S-STENOMEDIT. Pistacia lentiscus L. 1

1 1

0 2 X 2 P CAESP 310 EURIMEDIT. Spartium junceum l. 7 7 4 7 2 P CAESP 210 STENOMEDIT. Viburnum tinus L. 5 9 4 5 3 P CAESP 520 EURASIAT. Cornus sanguinea L. 7 5 7 8 X P CAESP 510 PALEOTEMP. Crataegus monogyna Jacq. 6 7 4 6 3 P CAESP 520 EURASIAT. Euonymus europaeus L. 6 5 5 8 5 P CAESP 540 EUROP.-CAUCAS. Prunus spinosa L. 7 5 X X X P CAESP 580 SE-EUROP. Quercus pubescens Willd. 7 8 3 7 4 P CAESP 540 EUROP.-CAUCAS. Sambucus nigra L. 7 5 5 X 9

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P CAESP 540 EUROP.-CAUCAS. Ulmus minor Miller 5 7 X 8 X NP 210 STENOMEDIT. Asparagus acutifolius L. 6 9 2 5 5 NP 210 STENOMEDIT. Rosa sempervirens L. 6 8 3 4 6 NP 310 EURIMEDIT. Rubus ulmifolius Schott 5 8 4 5 8

I valori dei bioindicatori dall’elaborazione dei dati completi sono riportati nella tabella seguente :

Tabella 6: Valori dei bioindicatori dall’elaborazione dei dati completi di tab.3.4

L radiazione

luminosa T calore

U umidità o

disponibilità

di acqua

R reazione

suolo

N

nutrienti

6.725 6.8 3.625 4.375 4.15

Ne risultano utili informazioni sulla ecologia del sito di studio: in media piante adatte quasi alla piena luce,

temperature di clima non strettamente mediterraneo, suoli con condizioni intermedie tra l’aridità e la disponibilità

idrica, a reazione subacida e provvisti di nutrienti.

Nella tabella sotto gli indici di Ellenberg sono stati impiegati per verificare la compatibilità ecologica stazionale

delle specie scelte nel progetto botanico di una palificata viva nel Viterbese effettuato dagli studenti del corso di

Ingegneria naturalistica dell’Università della Tuscia (www.regione.lazio.it).

Tabella7: Specie di progetto

Nome scientifico Forma biologica

Corotipo L T U R N

Ligustrum vulgare NP Europeo-Caucasica 7 6 X 8 X Cytisus scoparius P caesp. Europea 7 6 5 2 2 Prunus spinosa P caesp. Europeo-Caucasica 7 5 X X X Rosa sempervirens NP (SV) Stenomediterranea 6 8 3 4 6 Crataegus monogyna P caesp. Paleotemperata 6 7 4 6 3 Euonymus europaeus P caesp Euroasiatica 6 5 5 8 5

Specie a determinati stadi della serie di vegetazione

La conoscenza delle serie di vegetazione e dei singoli stadi che le compongono, consente l'individuazione dello

stadio dinamico di riferimento per il progetto, con la previsione della sua evoluzione nel tempo anche tramite i

necessari interventi di manutenzione.

A seconda degli obiettivi di progetto si potranno, di volta in volta, privilegiare le comunità che rappresentano gli

stadi iniziali della serie (generalmente erbacee), quelli intermedi (generalmente arbustive), o gli stadi maturi

(generalmente forestali). Per raggiungere l’obiettivo progettuale, nella maggior parte delle situazioni, si utilizzano

specie caratteristiche degli stadi pionieri o intermedi, capaci di innescare processi evolutivi e portare al progressivo

insediamento di formazioni più complesse

Le proprietà biotecniche

I criteri di progettazione e di sistemazione dei versanti tramite specie arbustive non possono prescindere, nella loro

applicazione, da una conoscenza approfondita dei meccanismi di natura biotecnica per la stabilizzazione dello

strato superficiale del suolo (vedi cap. biotecnica).

Le tipologie vegetazionali di riferimento

Le formazioni arboree

Le comunità arboree rappresentano lo stadio strutturale più complesso delle tipologie vegetazionali

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negli interventi di recupero delle aree stabili. Gli alberi vengono piantati ove la morfologia e i vincoli connessi alla

distanza di sicurezza lo consentono. Le stazioni con caratteristiche morfologiche ed ecologiche difficili, quali ad

esempio le scarpate instabili con suoli poco evoluti o assenti sono, in genere, poco idonee all’impianto degli alberi,

che richiedono condizioni più favorevoli e, comunque, con il loro peso possono creare problemi di instabilità.

La maggior parte delle specie arboree possono essere, quindi, utilizzate solo qualora l’intervento interessi ambiti

forestali preesistenti in cui le attività di cantiere prevedano la conservazione in condizioni adeguate del suolo

asportato.

Alcune specie arboree come Quercus pubescens, Q. cerris, Fraxinus ornus e Ostrya carpinifolia mostrano una

buona capacità di attecchimento anche su suoli post-agrari. Tali specie, nelle opportune condizioni, possono

facilmente concorrere alla creazione di fasce arborate molto importanti negli interventi di mitigazione e nella

creazione di corridoi ecologici.

Le formazioni arbustive

Le specie più adatte per gli interventi di stabilizzazione e consolidamento sono gli arbusti pionieri autoctoni, in

quanto, in genere, non si usano gli alberi, che richiedono condizioni più favorevoli, e che, comunque, possono

creare problemi di instabilità ;

Gli arbusti pionieri autoctoni possiedono apparati radicali in grado di stabilizzare, in media, fino ad uno spessore di

circa 0,3-0,6 metri di substrato; a tale azione va, comunque, unita un’azione di protezione antierosiva areale tramite

inerbimento. Ne risulta che le tipologie vegetazionali di riferimento nelle sistemazioni dell’ingegneria naturalistica

possono ricondursi, in sintesi, alle formazioni arbustive e a quelle erbacee o ad una loro combinazione.

Negli interventi di ingegneria naturalistica gli arbusti autoctoni (camefite, nanofanerofite e fanerofite cespitose )

rappresentano i principali materiali vivi per il raggiungimento degli obiettivi progettuali, impiegati sia da soli, sia in

abbinamento con i materiali morti negli interventi stabilizzanti (viminate vive, fascinate vive , palizzate vive,etc.) e

consolidanti (palificate vive, grate vive, etc.)

Per quanto riguarda le opere stabilizzanti, basate sull’impiego di arbusti radicati o talee, da soli o, con un supporto

di legno morto (ad esempio nella viminata), il loro campo di applicazione, secondo i monitoraggi effettuati,

andrebbe esteso, in molti casi, a scarpate sistemate con soli interventi antierosivi (idrosemine, biostuoie, etc.),

giudicate stabili dal punto di vista geotecnico, ma con processi erosivi in atto.

I cespuglieti e le siepi assumono inoltre un ruolo importante nella funzionalità delle reti ecologiche, soprattutto in

ambienti agricoli. Possono attirare animali insettivori che controllano le specie dannose all’agricoltura e

rappresentare zone di rifugio per gli animali che frequentano i campi coltivati.

In ambito mediterraneo vanno inoltre tenuti in considerazione i fattori limitanti dovuti a:

la presenza di un periodo estivo xerico con stress idrico, che determina una serie di adattamenti biologici

(sclerofillia, tomentosità, spinosità, ecc.)

la presenza di un periodo di riposo vegetativo più breve di quello delle regioni montane, con conseguente

periodo più breve per l’utilizzo delle specie con capacità di riproduzione vegetativa, quali i salici o le

tamerici, il cui utilizzo ottimale è legato al periodo di riposo vegetativo

la difficile reperibilità delle talee e del materiale vivaistico autoctono, sia dal punto di vista qualitativo che

quantitativo

Ne deriva la necessità di maggiori accorgimenti, con idonee analisi floristiche e vegetazionali, nella scelta delle

specie, in quanto le specie autoctone di comune impiego e maggiormente reperibili nei vivai non sempre sono

coerenti con le serie di vegetazione della biocora mediterranea.

Emerge, quindi, la esigenza di una attenta individuazione e reperimento delle specie mediterranee che vale ancor

più per le aree naturali e protette ove va garantita la provenienza del materiale vivaistico per il pericolo

dell’inquinamento genetico dovuto a varietà o cultivar di regioni o addirittura nazioni diverse (vedi scheda vivaio di

Itri)

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Inserimento di arbusti autoctoni in una

palificata latina. Cà i Fabbri (PU) 2007. Foto

P. Cornelini

Sviluppo degli arbusti della foto accanto dopo

3 anni. Foto P. Cornelini

Alcune specie arbustive, quali la leguminosa Spartium junceum, favoriscono l’accumulo di suolo e l’arricchimento

di azoto ed accelerano lo sviluppo delle plantule di alberi come Fraxinus ornus e Quercus pubescens; ne va,

tuttavia, limitata la percentuale tra le specie di progetto, per la tendenza a dominare nella copertura a scapito degli

altri arbusti e quindi della diversità di specie.

Nelle tabelle seguenti si riportano due esempi di progetto botanico articolato per la parte inferiore e superiore di

una grata, ove le specie hanno diverse esigenze ecologiche

Tabella 8 TIPOLOGIA C- ARBUSTI DELLA

PARTE INFERIORE DELLE GRATE

Specie % JUNIPERUS OXYCEDRUS L. 15 FRAXINUS ORNUS L. 10 CORNUS SANGUINEA L. 10 EUONYMUS EUROPAEUS L. 10 LIGUSTRUM VULGARE L. 10 CORONILLA EMERUS L. 10 BUXUS SEMPERVIRENS L. 10 ACER MONSPESSULANUM L. 5 SPARTIUM JUNCEUM L. 5 PISTACIA TEREBINTHUS L. 5 ROSA CANINA L. 5 CISTUS INCANUS L. 5

Tabella 9 TIPOLOGIA D - ARBUSTI DELLA PARTE SUPERIORE

DELLE GRATE

Specie % HELICHRYSUM ITALICUM (ROTH) DON 20 SATUREJA MONTANA L. 15 RUSCUS ACULEATUS L. 15 JUNIPERUS OXYCEDRUS L. 15 BUXUS SEMPERVIRENS L. 15 OSYRIS ALBA L. 10 PHILLYREA LATIFOLIA L. 10

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Arbusti comuni della macchia mediterranea. Foto P. Cornelini

Arbutus unedo Corbezzolo Steno Medit Phillyrea latifolia Lilatro Steno Medit

Pistacia lentiscus Lentisco Steno Medit Rhamnus alaternus Alaterno Steno Medit

Myrtus communis Mirto Steno Medit Juniperus oxycedrus Ginepro ossicedro Eurimedit

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Erica arborea Erica arborea Steno Medit Cistus salvifolius Cisto femmina Steno Medit

Cistus incanus Cisto rosso Steno Medit Artemisia arborescens Assenzio arbustivo S

Medit

Arbusti comuni degli ambienti termo-mesofili. Foto P. Cornelini

Rosa canina Rosa selvatica: Paleotemp Prunus spinosa Prugnolo Europ Caucas

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Ligustrum vulgare Ligustro Europeo W-Asiat Crataegus monogyna Biancospino Paleotemp

Spartium junceum Ginestra odorosa Euri Medit Cytisus scoparius Ginestra dei carbonai Europ

Le formazioni erbacee

L'intervento d’inerbimento sulle scarpate, sui rilevati e sulle superfici messe a nudo dai lavori svolge le seguenti

funzioni:

biotecnica: protezione del il terreno dall’erosione superficiale e stabilizzazione con l'azione degli apparati

radicali;

vegetazionale ed ecosistemica: impedire la crescita e lo sviluppo di specie invadenti sinantropiche che

abbasserebbero la qualità ambientale e favorire la creazione di habitat adatti allo sviluppo della microfauna;

paesaggistica.

E’ fondamentale prevedere l’accantonamento degli strati fertili di suolo per riposizionarli sulle scarpate al termine

dei lavori favorendo così la colonizzazione naturale da parte dei semi nel suolo

Nei casi in cui il suolo sia assente o molto primitivo, va previsto l’impiego di miscele di inerbimento ricche in

leguminose (limitatamente a quelle presenti nell’area di intervento) che provocano l’arricchimento del suolo e lo

sviluppo degli stadi più evoluti della serie di vegetazione

L'intervento di inerbimento viene eseguito, nelle situazioni più comuni con un miscuglio a dominanza di

graminacee e leguminose che hanno caratteristiche biotecniche complementari: le prime con radici fascicolate che

formano un feltro vivo e le seconde con apparati fittonanti che lo fissano con chiodi vivi (vedi tabella di seguuito).

La miscela delle sementi dell’idrosemina viene definita, in base alla capacità di formare un rivestimento rapido e

continuo e di migliorare il terreno, in attesa che le specie spontanee dell’area colonizzino le superfici.

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Interventi di idrosemina sulle scarpate della DD Roma-Firenze (AR)

1989. Dal Monitoraggio (1988-2001) degli interventi di idrosemina è

emerso come l’inerbimento iniziale a leguminose ha consentito la

successione dinamica e la dominanza della vegetazione autoctona

(Cornelini, 2001). Foto P. Cornelini

Leguminose erbacee di interesse negli inerbimenti Foto P. Cornelini

Onobrychis viciifolia Lupinella H scap.

Mwedit-Mont

Anthyllis vulneraria Vulneraria comune H

scap. Euri-Medit.

Hedysarum coronarium Sulla H scap W-

Medit

Trifolium repens Trifoglio bianco H rept

Subcosm

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La composizione della miscela e la quantità sono stabilite in funzione delle caratteristiche geolitologiche,

pedologiche, microclimatiche, floristiche e vegetazionali della stazione; dovranno essere certificati la provenienza

delle sementi, la composizione della miscela, il grado di purezza ed il grado di germinabilità.

La tecnica migliore prevede l’uso del fiorume raccolto in loco, oppure, trattandosi di intervento costoso, si può

ricorrere a semine di copertura con specie a rapida scomparsa, quali ad esempio, loglio e trifoglio, per lasciare il

campo alla colonizzazione spontanea delle specie autoctone.

Tabella 10 Miscuglio tipo delle

sementi per l’inerbimento usato in

ambito mediterraneo collinare nel

Lazio.

Specie % in peso

Famiglia Gramineae Lolium perenne 8 Lolium multiflorum 6 Dactylis glomerata 8 Cynodon dactylon 10 Agropyron repens 4 Poa trivialis 3 Brachypodium rupestre 4 Festuca arundinacea 5 TOT Gramineae 48

Famiglia Leguminosae Trifolium pratense 8 Trifolium repens 8 Lotus corniculatus 8 Medicago lupulina 8 Medicago sativa 8 Vicia sativa 4 Vicia villosa 4 TOT Leguminosae 48 Altre Plantago lanceolata 2 Sanguisorba minor 2 Totale 100 Quantità gr/m

2 40

Intervento di idrosemina su terra

rinforzata stradale. Atina (FR) 2001. Foto

P. Cornelini

Intervento foto accanto dopo 1 anno Foto

P. Cornelini

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Per i miscugli erbacei si registra attualmente una carenza relativamente alla disponibilità delle specie locali delle

cenosi prative. La maggior parte dei miscugli in commercio è, infatti, composta da miscugli di specie foraggere a

larga distribuzione, che nelle situazioni ecologiche più semplici (rilevati stradali o ferroviari) possono anche andar

bene in quanto fermano l’erosione superficiale e preparano la colonizzazione delle specie autoctone delle zone

circostanti, ma nelle situazioni ecologiche e morfologiche difficili (scarpate instabili, microclimi estremi, ecc.) sono

destinate al fallimento. Va quindi, in questi casi, curata particolarmente, tramite accurate indagini botaniche, la

scelta delle specie e la loro provenienza geografica per evitare, oltre all’insuccesso dell’inerbimento,

l’inquinamento genetico ad opera di cultivar non autoctoni.

Graminacee di interesse nelle sistemazioni antierosive superficiali Foto P. Cornelini

Arundo pliniana Canna del Reno G rhiz

Steno Medit

Lygeum spartum Sparto H caesp Medit

Ampelodesmos mauritanicus Tagliamani

H caesp Steno Medit

Dactylis glomerata Erba mazzolina

H caesp Paleotemp

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4. BIOTECNICA DELLE SPECIE VEGETALI

Le proprietà tecniche e quelle biologiche costituiscono le caratteristiche biotecniche che caratterizzano alcune

pecie vegetali e che risultano essenziali per il successo degli interventi di ingegneria naturalistica.

Proprietà tecniche

Consistono nella capacità delle piante vive, tramite azioni di tipo meccanico ed idrologico, di proteggere il suolo

dall’erosione delle acque di pioggia, utilizzate nelle sistemazioni antierosive con specie erbacee, e nella

stabilizzazione di uno strato superficiale del suolo tramite l’effetto “chiodatura” delle radici degli arbusti

(sistemazioni stabilizzanti).

Le azioni di tipo meccanico consistono nella riduzione dell’erosione e del trasporto solido a valle; lungo un

versante con copertura vegetale densa, la velocità di deflusso delle acque è circa ¼ di quella che si avrebbe, a parità

di pioggia, su suoli privi di vegetazione e, di conseguenza, l’azione erosiva, che varia con il quadrato della velocità,

può scendere fino a 1/16.

Le radici delle piante legano le particelle di suolo e lo rinforzano, aumentandone la resistenza al taglio. Foto

P. Cornelini

Analogamente a quello meccanico, le piante, soprattutto i popolamenti forestali, svolgono sui versanti un ruolo

importante di tipo idrologico, assorbendo nel suolo, che funziona come una spugna, le acque di pioggia e

diminuendo, così, i picchi delle piene a valle.

I principali effetti della vegetazione sulla stabilità dei pendii sono riportate nella figura e tabella seguenti.

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Interazioni vegetazione-versante che influenzano la stabilità (da Greenway, 1987)

Effetti della vegetazione sulla stabilità dei pendii (da Greenway, 1987)

Effetti di tipo idrologico contrario alla

stabilità

favorevole

alla stabilità

1. Le foglie intercettano le precipitazioni,

causando perdite per assorbimento ed

evaporazione: si riduce l'acqua disponibile

per l'infiltrazione

X

2. Le radici e i fusti aumentano la scabrezza

del terreno e la permeabilità del suolo,

aumentando la capacità di infiltrazione X

3. Le radici assorbono l'umidità dal suolo che

si perde nell'atmosfera mediante la

traspirazione, favorendo una minore

pressione interstiziale

X

4. La diminuzione dell'umidità del terreno

può accentuare le fessure di disseccamento ,

con una maggiore capacità di infiltrazione X

Effetti di tipo meccanico contrario alla

stabilità

favorevole

alla stabilità

5. Le radici rinforzano il suolo,

aumentandone la resistenza al taglio X

6. Le radici degli alberi possono ancorarsi

negli strati stabili con l'effetto di pilastri di

ancoraggio funzionanti come le spalle di un

ponte ad arco

X

7. Il peso degli alberi sovraccarica il versante,

aumentando le componenti normale e

tangenziale X X

8. Le piante esposte al vento trasmettono

forze dinamiche al versante X

9. Le radici legano le particelle del suolo,

riducendo la loro suscettibilità all'erosione X

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In sintesi, nelle situazioni geomorfologiche favorevoli il bosco può rappresentare l’obiettivo progettuale degli

interventi di riduzione del rischio idrogeologico, ma in quelle sfavorevoli (forti pendenze, substrati erodibili, etc.),

l’effetto degli alberi, a causa del sovraccarico indotto e del vento, può tradursi in fenomeni contrari alla stabilità; ne

deriva che negli interventi di ingegneria naturalistica sui versanti instabili, fermo restando il ruolo essenziale della

copertura vegetale, il progetto botanico non prevede mai la piantagione degli alberi, bensì opere antierosive,

stabilizzanti e consolidanti basate sulle caratteristiche biotecniche delle specie erbacee ed arbustive.

Resistenza delle radici

Le piante con elevata valenza biotecnica possiedono apparati radicali resistenti con una capacità di consolidare il

terreno che deriva dalla forma e densità delle radici e si traduce in un aumento della resistenza al taglio e della

coesione.

Il consolidamento più efficace del terreno si ottiene quando la compenetrazione radicale avviene in diversi strati e a

varie profondità, per cui è necessario impiegare specie diverse.

Per una valutazione delle attitudini biotecniche di una specie si usano alcuni indicatori :

il rapporto fra il volume delle radici ed il volume dei getti (Schiechtl, 1973)

la resistenza all’estirpazione dell’intera pianta

la resistenza a trazione delle radici con le classiche prove di resistenza dei materiali

Tabella 11: Rapporto tra il volume dell’apparato radicale e della parte aerea di diverse piante.

Arbusti e alberi Piante erbacee

Salix glabra 2,4 Stipa sp. 5-15 Viburnum

Lantana 2,3 Equisestum

arvense 5,5

Erica carnea 2,0 Rumes scutatus 5,5 Salix eleagnos 1,8 Deschampsia

caespitosa 1,6

Salix nigricans 1,8 Festuca ovina 1,1 Alnus viridis 1,6 Anthyllis

vulneraria 0,8

Salix purpurea 1,5 Achillea

millefolium 0,7

Fraxinus excelsior 1,5 Lotus corniculatus 0,7 Ligustrum vulgare 1,2 Acer

pseudoplatanus 1,1

Hippophae

rhamnoides 1,0

Berberis vulgaris 0,6 Salix alba 0,5 Fonte: da Florineth, 1993

Dalla tabella risulta, ad esempio, molto più utile inserire in una palificata viva spondale, talee di Salix eleagnos

piuttosto che di Salix alba.

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Tabella 12: Resistenza all’estirpazione di piante erbacee e latifoglie

Specie Forza di trazione

(N)

Diametro della

radice (ø mm)

Tensione di

trazione (N/cm²)

Poa annua 1,04 Agrostis

stolonifera 1,24

Festuca

duriuscula 2,04

Deschampsia

caespitosa 2,9

Lolium perenne 5,0 Nardus striata 7,6 Bromus inernis 9,9 Trifolium repens 3,5 0,9 547 Anthyllis

vulneraria 86 3,5 901

Trifolium

hybridum 125 3,1 1658

Lotus corniculatus 142 3,6 1404 Trifolium pratense 154 3,7 1438 Onobrychis sativa 350 10 443 Medicago sativa 3250 30 460 Salix caprea 5500 85 97 Betula pendula 3000 53 136 Carpinus betulus 4000 78 83 Fonte: da Florineth, 1993

Strumento per misurare la resistenza all’estirpazione delle piante. Foto F. Sutili

I dati della tabella precedente mostrano, ad esempio, che Medicago sativa (erba medica) ha una resistenza

all’estirpazione pari a circa 40 volte quella di Anthyllis vulneraria.

.

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Tabella 13: Valori di resistenza a trazione delle radici di alcune piante comuni presenti nel Lazio

Specie Resistenza a trazione delle radici

(MPa, valori medi)

Spartium junceum 44,6

Salix purpurea 36

Euonymus europaeus 34,6

Rhamnus alaternus 34

Quercus robur 32

Cytisus scoparius 32

Acer campestre 28,2

Viburnum tinus 23,6

Phillyrea latifolia 21,1

Coronilla emerus 19,2

Pistacia terebinthus 17,2

Salix elaegnos 15

Populus nigra 5 12

Fonte: Manuale 2 Ingegneria Naturalistica Regione Lazio

Dispositivo di prova di resistenza a trazione delle

radici presso il Laboratorio Prove Materiali del

Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale

dell’Università di Catania. Foto G. Terranova

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Proprietà biologiche

Oltre alle proprietà tecniche di stabilizzazione del suolo molte piante possiedono proprietà biologiche, ed, in

particolare:

1. capacità di riproduzione per via vegetativa, ovvero per talea. Viene sfruttata la capacità di alcune specie

di conservare entro i tessuti specializzati alcune cellule meristematiche, con il messaggio genetico in grado

di attivare i processi biologici di ricostruzione dell'intero individuo: i generi Salix (salice) , Populus.

(pioppo), Tamarix (tamerice), Nerium oleander (oleandro), Laurus nobilis (alloro), Atryplex halimus

(atriplice), Artemisia arborescens (assenzio arbustivo), Laburnum anagyroides (maggiociondolo),

Ligustrum vulgare (Ligustro), Sambucus nigra (sambuco), Phragmites australis (rizomi), Arundo pliniana

(rizomi), Corylus avellana (nocciolo, talea radicale), etc. Nell’eseguire opere d’ingegneria naturalistica, si

possono impiegare convenientemente solo quelle specie che hanno capacità di attecchimento almeno del

60-70%, dal momento che alcune radicano e ricacciano in modo insufficiente come, ad esempio, Salix

caprea (salicone) (Schiechtl, 1992).

Tabella 14 Capacità d’attecchimento di specie con riproduzione vegetativa ( AIPIN Bolzano adattata)

Tipologia Specie % attecchimento

Salici

Salix purpurea 100%

Salix cinerea 75% Salix alba 75% Salix elaeagnos Salix caprea

70% 5%

Altre specie Populus nigra 65%

Ligustrum vulgare 65%

Talea di salice su scogliera

spondale , messa a nudo da un

evento eccezionale. Foto P.

Cornelini

Talea di tamerice estratta da una protezione spondale. Foto P.

Cornelini

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Specie con capacità di riproduzione vegetativa, utilizzabili per talea Foto P. Cornelini

Tamarix africana Tamerice maggiore WMedit Salix purpurea Salice rosso Euras Temp

Salix eleagnos Salice ripaiolo Orof S-Europ Salix alba Salice comune Paleotemp

Populus nigra Pioppo nero Paleotemp

Laburnum anagyroides Maggiociondolo S-europ

Foto L. Ruggieri

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Artemisia arborescens assenzio arbustivo S-

Medit

Ligustrum vulgare Europeo W Asiat

Nelle sistemazioni di IN i salici che possiedono, in genere, un’ottima attitudine biotecnica e una rapida

propagazione vegetativa, .vengono utilizzati soprattutto nelle sistemazioni idrauliche. L’utilizzo massiccio dei

salici, specie in genere meso-igrofile, nel mondo mediterraneo pur compatibile dal punto di vista ecologico nelle

stazioni umide, quali quelle dei corsi d’acqua o di montagna, va ben valutato nelle altre stazioni, ove spesso non è

proponibile per limiti ecologici e climatici, per assenza di coerenza floristico-vegetazionale e per le difficoltà di

reperimento.

Il taglio delle talee va, comunque, effettuato nel periodo che coincide generalmente con quello del riposo

vegetativo (piante prive di foglie). Dall’esperienza in ambito mediterraneo si è visto, tuttavia, che il taglio è

possibile, a seconda della ecologia della stazione (umidità, altitudine, esposizione, etc) anche in alcuni mesi

primaverili e autunnali, ad eccezione, comunque, del periodo fra la fioritura e la fruttificazione e quello

dell’alterazione cromatica autunnale delle foglie, con capacità di attecchimento bassissima.

Nel tagliare i salici va ricordato che la talea più lunga e di maggior spessore possiede, a causa di una maggiore

riserva di ormoni immagazzinata nelle cellule, una migliore capacità d’accrescimento nei primi tre anni di vita.

Le specie di salici più frequenti nelle regioni meridionali sono:

Salix alba , S. purpurea, S. triandra, S. eleagnos, S. cinerea e S. caprea (utilizzabile come pianta radicata e non per

talea).

Salix eleagnos da talea. Foto P.

Cornelini

Talee di salici a 7 anni dall’impianto.

Foto P. Cornelini

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2.capacità di emettere radici avventizie dai fusti interrati: i generi Alnus (ontano),Salix, Populus, Fraxinus

(frassino), Euonymus europaeus (berretta da prete), Viburnum tinus (lentaggine), Cornus sanguinea

(sanguinello), Acer pseudoplatanus (acero montano), Corylus avellana (nocciolo), etc.

Sulle scarpate mediterranee, ove sono reali le difficoltà di uso delle talee dei salici, in quanto poco coerenti dal

punto di vista ecologico, va privilegiato l’impiego di specie termo-xerofile con capacità di sviluppo di radici

avventizie dal fusto interrato, da usare come piante radicate, ma con la stessa funzione delle talee. Tale

caratteristica biotecnica trova riscontro in natura nella resistenza all'inghiaiamento di alcune piante: mentre un

ricoprimento per sovralluvionamento provoca il deperimento progressivo per asfissia della maggior parte delle

specie, alcune piante legnose lo sopportano senza perdere la vitalità.

Sperimentazione Università Tuscia per individuare le specie con capacità di sviluppo di radici avventizie dal

fusto interrato. Foto P. Cornelini

Tabella 15 Piante sperimentate in Alto Adige, Austria e nel Lazio sulla capacità di emettere radici avventizie

dal fusto interrato

Austria e Alto Adige (Florineth) AIPIN Lazio (Dallari e Laranci)

Idonee

Alnus glutinosa, A. incana e A.viridis Viburnum tinus

Fraxinus ornus , F.excelsior Euonymus europaeus Acer pseudoplatanus Prunus padus Sorbus aucuparia Corylus avellana Lonicera xylosteum Euonymus europaeus Viburnum opulus, V.lantana Salix caprea Populus alba

Meno idonee Acer campestre , A. platanoides Phillyrea latifolia Betula pendula Coronilla emerus Carpinus betulus Rhamnus alaternus Crataegus monogyna Frangula alnus

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Piante con capacità di emettere radici avventizie dal fusto interrato Foto P. Cornelini

Fraxinus ornus Orniello Euri N-Medit Acer campestre Loppio Europ Caucas

Alnus glutinosa Ontano comune Paleotemp Populus alba pioppo bianco Paleotemp

Viburnum tinus Lentaggine Steno Medit Euonymus europaeus Berretta da prete

Eurasiat

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Cornus sanguinea Sanguinello Euras Temper Corylus avellana Nocciolo Europeo

Caucas

Salix caprea Salice delle capre Euras presenta

scarso attecchimento per talea, ma è idonea con il

fusto interrato

Crataegus monogyna Biancospino

Paleotemp

Myrtus communis: sperimentazione

per verificare l’emissione di radici

avventizie Foto P. Cornelini

Cornus sanguinea: specie sperimentazione per verificare

l’emissione di radici avventizie. Foto F. Cassetti

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3. resistenza alla sommersione anche per periodi prolungati : salici, Populus alba (pioppo bianco), Alnus

glutinosa (ontano nero), frassini. Le associazioni riparali possono sopportare senza danni sommersioni della durata

da varie ore fino a vari giorni, anche più volte all'anno, ma non la sommersione totale che comporta la morte per

asfissia. Di tale proprietà va tenuto conto nella progettazione degli interventi di I.N. in ambito idraulico.

Pioppi sommersi nel lago di Canterno (FR).

Foto P. Cornelini

Radici avventizie di Salix a seguito

della sommersione. Lago di Piana

Albanesi (PA). Foto P. Cornelini

Nella tabella seguente è riportata una sintesi dei dati dei parametri biotecnici più noti: la “resistenza a trazione

nominale”, la capacità di radicazione avventizia dalle radici, e la capacità di propagazione per talea di arbusti

comuni in ambito mediterraneo.(Pirrera, Federico, Cornelini 2008)

Tabella 16 Parametri biotecnici delle specie arbustive di interesse per l'ingegneria naturalistica in ambito

mediterraneo

Fanerofite cespitose, nanofanerofite, camefite

Capacità di

radicazione avventizia dal

fusto interrato

Capacità di

propagazione vegetativa

(talea / cespi)

in natura

Resistenza

a trazione (Mpa) N° Specie Nome comune

Arbustive

Aceraceae

1 Acer campestre L. Acero campestre M (*) 28,2 (3)

Anacardiaceae

2 Pistacia lentiscus L. Lentisco 55,0 (2)

3 Pistacia terebinthus L. Pistacchio terebinto 17,2 (3)

Asteraceae

4 Artemisia arborescens L. Assenzio arbustivo I (§)

6 Senecio cineraria N. Senecione cinerario I (+)

Apocynaceae

7 Nerium oleander L. Oleandro M E (*)

Capryfoliaceae

8 Sambucus nigra L. Sambuco comune I (*)

9 Viburnum tinus L. Viburno tino M 23,6 (3)

Celastraceae

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11 Euonymus europaeus L. Fusaria comune E (*) 34,6 (3)

Chenopodiaceae

12 Atriplex halimus L. Atriplice alimo E 57,2 (2)

Cornaceae

15 Cornus sanguinea L. Corniolo sanguinello E (*)

Leguminosae

16 Coronilla emerus L. Cornetta dondolina 19,2 (3)

17 Cytisus villosus Pourret Citiso trifloro 32 (2)

18 Medicago arborea L. Erba medica arborea E (*)

19 Spartium junceum L. Ginestra comune 44,6 (3)

Liliaceae

20 Asparagus acutifolius L. Asparago pungente 3.9 (1)

Myrtaceae

21 Myrtus communis L. Mirto comune M

Oleaceae

22 Fraxinus ornus L. Frassino da manna E (*)

23 Phillyrea latifolia L. Ilatro comune 21,1 (3)

Rhamnaceae

24 Rhamnus alaternus L. Ranno alaterno 34 (3)

Rosaceae

25 Crataegus monogyna Jacq. Biancospino comune M (*) I (°)

26 Sarcopoterium spinosum (L.) Spach Spinaporci I (§)

Salicaceae

27 Salix alba L. ssp. alba Salice comune E (*)

28 Salix elaeagnos Salice ripaiolo E (*) 15 (3)

31 Salix purpurea L. Salice rosso E (*) 36 (3)

32 Populus alba (L.) Pioppo bianco E (*)

33 Populus nigra L. Pioppo nero E (*) 5-12 (3)

34 Populus tremula L. Pioppo tremulo E (°)

Tamaricaceae

35 Tamarix africana Poiret Tamerice maggiore E E (*)

36 Tamarix gallica L. Tamerice comune E E (*)

Erbacee

Graminaceae

1 Ampelodesmos mauritanicus (Poiret)

Dur et Sch. Disa

E I (§)

2 Arundo plinii Turra Canna del Reno E I (§)

4 Lygeum spartum L. Sparto steppico E (+) 37,8 (2)

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LEGENDA: (*): Cornelini-Dallari-Florineth ACER 3/05

(+) = La Mantia - Livreri Console - Pasta Alberi e Territorio 10-11/05

(§) = AIPIN Sicilia

(°) = Menegazzi

E = Molto idonee

M= Mediamente

Idonee

Fonte:

Cornelini-

Dallari-Florineth

ACER 3/05

E = Molto

idonee

(maggiori del

75%)

I= Meno Idonee

(25 - 75%)

1= Tab.

Tesi

Gabriela

Terranova

2= Preti

(Manuale

Lazio 3)

3=

Cornelini

(Manuale

Lazio 3)

Si riportano di seguito alcune raffigurazioni di apparati radicali di specie erbacee e legnose comuni nel Lazio, che

mettono in evidenza il volume di terreno coinvolto dalla stabilizzazione delle radici (Manuale 3 Ingegneria

Naturalistica Regione Lazio).

Lolium perenne (Kutschera–Sobotik, 1997)

graminacea a radici fascicolate (espanse in tutte le

direzioni)

Trifolium repens (Kutschera–Sobotik, 1997)

leguminosa a radice fittonante (sviluppata in una

direzione prevalente)

Juniperus communis ssp. communis (Kutschera–Sobotik, 1997)

Nella figura seguente vengono confrontati gli apparati radicali di diverse specie di alberi (Mathey, 1929, Manuale 3

Regione Lazio)

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Confronto tra i diversi apparati radicali delle diverse specie di alberi (Mathey, 1929)

Conclusioni

Sui versanti le piante agiscono solo sullo strato superficiale del terreno e, quindi, l’effetto stabilizzante di chiodi

vivi vale per una superficie di scorrimento posta a poche decine di cm. di profondità.

Ciò per l’opera con le piante sviluppate ed il contributo delle radici, ma ai fini del calcolo della stabilità del

versante , è necessario mettersi nelle condizioni più sfavorevoli, cioè a fine lavori , di opera appena eseguita senza

sviluppo delle radici.

Nel calcolo della stabilità di un versante sistemato con tecniche di ingegneria naturalistica si astrae, quindi, dal

contributo delle piante vive. Solo dopo anni con lo sviluppo degli arbusti si potrà valutare un incremento del fattore

di sicurezza considerando un aumento della coesione del suolo dovuto alle radici.

Il problema della valutazione della stabilità di un versante è stato affrontato da Gallotta et al. (2003), per

quantificare l’entità del contributo di resistenza fornito dalle radici di Prunus mahaleb . evidenziando (figura sotto)

che la vegetazione comporta un incremento del fattore di sicurezza solo per profondità limitate, fino a circa 0.4 m;

Variazione del coefficiente di sicurezza in presenza di vegetazione (Gallotta, Gentile, Puglisi e Romano,2003)

Nel tempo, poi, lo sviluppo degli apparati radicali degli arbusti avverrà in funzione del tipo di substrato.

Ne deriva l’importanza della ricerca sulla morfologia degli apparati radicali degli arbusti in funzione dei substrati,

per valutare l’incremento di stabilità di un versante nel tempo. Se, ad esempio, il campo di oscillazione della

profondità di radicazione varia da 0,6 a 1,2 m, come emerso dalle ricerche sulla morfometria citate, non significa

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che in prospettiva venga migliorata la stabilità di uno spessore di 0,6-1,2 m di substrato, ma che l’effetto di

ancoraggio delle radici fa si che sia stabilizzato uno spessore inferiore con un piano di scorrimento posto al

massimo a circa 0,3-0,6 m di profondità (figura sotto), valore paragonabile come ordine di grandezza a quello delle

ricerche sul Prunus mahaleb.

Schema dell’effetto stabilizzante degli arbusti radicati. (P. Cornelini e G. Sauli 2005)

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5. ANALISI GEOLOGICO-GEOTECNICHE APPLICATE AGLI INTERVENTI DI

INGEGNERIA NATURALISTICA (Olivia Iacoangeli)

Premessa

Il presente capitolo descrive le analisi geologiche e geotecniche che devono essere messe in atto nell’ambito della

progettazione di interventi di ingegneria naturalistica. Tali attività hanno lo scopo di ottenere una conoscenza

approfondita delle caratteristiche del sottosuolo. La determinazione delle caratteristiche dei terreni, nei termini di

parametri geotecnici, peculiarità di messa in posto da processi naturali o artificiali, e particolarità di comportamento

sotto l’azione degli agenti atmosferici e sismici, guideranno nella scelta del miglior tipo di intervento da mettere in

atto per la prevenzione o la messa in sicurezza del dissesto.

Il capitolo costituisce una proposta metodologica, applicabile in qualsiasi caso di dissesto, in cui sia coinvolto del

materiale terroso, e costituisce il metodo di indagine minimo.

In geologia una roccia è un aggregato di minerali formatosi in seguito a processi naturali. Sono quindi rocce sia i

materiali litoidi come il calcare ed il granito ma anche quelle sciolte come la sabbia. Nella geologia tecnica una

roccia è un materiale lapideo ed una terra è un materiale sciolto.

Il suolo è la parte più superficiale della crosta terrestre. Esso è interessato dagli apparati radicali e da attività

biologica, e deriva dall’azione integrata del clima, della morfologia, della roccia madre e degli organismi.

In allegato è presentato il caso di studio:

verifica di stabilità di una scarpata artificiale e della sua sistemazione con l’utilizzo di tecniche di

ingegneria naturalistica.

Per l’approfondimento degli argomenti trattati si rimanda a testi specifici, alcuni dei quali citati in bibliografia.

Processi di modellamento dei versanti

I processi di degradazione meteorica (weathering) sono costituiti dall'insieme delle modificazioni fisiche e

chimiche che una roccia subisce al contatto con gli agenti atmosferici. Essi hanno come risultato quello di produrre

una disgregazione della roccia in elementi più piccoli e disaggregati o di procedere ad una trasformazione chimica

dei minerali costituenti; in entrambi i casi si può giungere alla parziale o totale scomparsa della roccia stessa.

La forza di gravità è una forza motrice naturale di trasporto, ed è uno dei fattori fondamentali della morfogenesi

terrestre.

I processi morfogenetici che causano il modellamento dei versanti si possono riassumere in due categorie:

Processi di alterazione della roccia in sito: degradazione fisica (crioclastismo e termoclastismo) ed

alterazione chimica; portano alla formazione di un mantello detritico che a seconda della pendenza del

versante può restare in posto o scendere lungo di esso.

Processi di erosione e trasporto dei prodotti alterati (gravità, acque dilavanti).

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Processi Rocce H2O Agenti Prodotti Zone

Climatiche

Crioclastismo Tutte Si Ghiaccio Crio

clasti

Freddo-

umide

Termoclastismo Tutte No Radiazione

solare Termo

clasti

Caldo-

aride

Idroclastismo Argillose Si Acqua Idroclasti Umide

Aloclastismo Tutte Si Sali Aloclasti Varie

F

I

S

I

C

I Bioclastismo Tutte No Organismi

viventi Bioclasti Varie

Idratazione Alcune Si Acqua Idrati Umide

Ossidazione Alcune No Ossigeno Ossidi Varie

Idrolisi Silicatiche Si Acqua Minerali

Residuali

Caldo-

umide

C

H

I

M

I

C

I

Azioni

biochimiche

Tutte No Organismi

viventi Suoli Varie

Soluzione o

Corrasione

Rocce

Solubili

Si Acqua e

CO2 Umide

Tab. 17: Schema sintetico dei processi fisici e chimici di alterazione della roccia tratto da

http://www.regione.sicilia.it (Rischio_geologico_a1.ppt)

Dilavamento superficiale

Il dilavamento superficiale è un fenomeno strettamente legato alla durata ed all'intensità delle precipitazioni e cessa

all’esaurirsi di queste. Il processo si sviluppa dallo spartiacque sino alla base dei versanti coinvolgendo diversi

volumi di materiali erosi. La pioggia viene inizialmente intercettata dalla vegetazione, si raccoglie, quindi, in

piccole gocce sulle foglie poi, a saturazione, cade al suolo ove si infiltra sino a raggiungere un valore costante (in

cui le precipitazioni sono tali da non poter più essere assorbite). Più esattamente l’acqua si raccoglie prima nelle

piccole concavità del terreno o dietro ostacoli naturali (foglie, rami ecc.) e, successivamente, comincia a scorrere.

Se il suolo non è coperto da uno strato di vegetazione, l’erosione avviene per distacco delle particelle causato

dall’azione battente della pioggia (splash erosion), e dall’azione di trasporto operata dalle acque di scorrimento.

Schema della progressione dell’erosione della pioggia a partire dalla splash erosion

(http://geofaculty.uwyo.edu/neil/teaching/geologypics/rain%20erosion%20progression.png)

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Si possono individuare tre forme di deflusso:

Acqua pellicolare Velo sottile e continuo di acqua che si muove in regime laminare o turbolento a seconda dei

suoi caratteri idrodinamici ed assume velocità e tiranti idrici in relazione alla pendenza e alla scabrezza del versante

stesso. (Il tirante idraulico in generale è l’altezza dell’acqua presa ortogonalmente rispetto al fondo dell’alveo e la

scabrezza in fluidodinamica è l’insieme delle irregolarità superficiali che determinano la resistenza al moto di un

fluido). L’acqua pellicolare è osservabile soprattutto su versanti privi di asperità. Il deflusso laminare (sheet erosion

o interrill erosion) è un processo selettivo, in quanto solo la terra fine viene rimossa, mentre le particelle più

grossolane (cioè dalle dimensioni maggiori di 2mm) contenute nella massa terrosa asportata si accumulano sulla

superficie del suolo.

Erosione areale: asportazione del materiale fino con messa a nudo del reticolo di radici. Parco Nazionale

d’Abruzzo. Foto: O. Iacoangeli

Forme di erosione: L=erosione laminare, R=erosione incanalata (rivoli o rigagnoli),

S=zone di sedimentazione, A=l’erosione causa l’arricchimento dello scheletro.

Roma (RM). Foto: O. Iacoangeli

Rivoli Solchi di modeste dimensioni, con profondità da pochi cm ad un massimo di 30cm, che si allontanano e si

ricongiungono adattandosi alle asperità del suolo. Si tratta di erosione incanalata (rill erosion) con aumento del

quantitativo del trasposto ed allontanamento delle particelle. Quando i rigagnoli assumono una dimensione tale da

non poter più essere eliminati con la lavorazione del suolo si giunge alla erosione per solchi o burroni (gully

erosion). I gully sono solchi d’erosione con una profondità minima di 30cm.

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Erosione incanalata e per solchi Cave di Riano (RM). Foto: O. Iacoangeli

Ruscelli Acque che si concentrano su direttrici meglio definite e scorrono lungo fossi o piccoli alvei che hanno

scavato per erosione.

L’entità dei processi di dilavamento è da mettere in relazione all’intensità, alla durata ed al tipo delle precipitazioni,

all’infiltrazione, alla copertura vegetale, alla rugosità della superficie del terreno, alle resistenze dei materiali cioè

all’erosione selettiva, alla pendenza ed alla lunghezza dei versanti, oltre che ai fattori antropici.

Particolari processi di dilavamento sono rappresentati dai calanchi e dalle Piramidi di terra.

Schema dei processi di dilavamento e loro distribuzione lungo un versante privo di vegetazione

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(Ferro V., 2008 “Sistemazione dei bacini montani e difesa del suolo”, modificato: O. Iacoangeli)

Movimenti lenti del regolite

Il regolite presente su un versante è il mantello detritico dovuto al disfacimento delle rocce sottostanti. Nella sua

parte più superficiale, dove è presente l’attività biologica e la vegetazione possiamo individuale il suolo.

Il regolite subisce la forza di gravità che ne determina uno spostamento verso il basso lento ma continuo.

Vengono riconosciuti due fenomeni principali: Soil creep e Soliflusso.

Soil creep: movimento lungo il versante dello strato più superficiale, alterato ed humificato per escursioni termiche

e variazione dell’imbibizione. Velocità da qualche mm ad alcuni cm all’anno. Interessa i primi 20-30cm di spessore

dello strato più superficiale.

Schema di soil creep (disegno: O. Iacoangeli)

Lo schema sotto riportato evidenzia lo spostamento delle particelle che durante l’espansione, cioè durante il

congelamento dell’acqua presente tra i granuli, si spostano perpendicolarmente al pendio, ma quando sopraggiunge

la contrazione (scioglimento del ghiaccio) sotto l’azione della forza di gravità non possono ritornare al punto di

partenza ma si spostano lungo la massima pendenza del versante. Il susseguirsi delle escursioni termiche e le

variazioni di imbibizione determina un movimento delle particelle lento ed areale che coinvolge porzioni più o

meno estese del versante.

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Percorso delle particelle di suolo lungo il versante ( da “Frane e Territorio” di A. Vallario,

ridisegnato: O. Iacoangeli)

Soliflusso: movimento lento e discontinuo di masse fluide o molto viscose. Non necessita di forti pendenze.

Velocità da pochi cm a qualche metro all’anno. Questo movimento avviene in rocce prevalentemente argillose con

abbondanti piogge e forte imbibizione ed interessa il primo metro di spessore.

Schema di soliflusso (disegno: O. Iacoangeli)

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Cenni di Evoluzione dei versanti

Un versante, subendo un processo di modellamento, evolve verso una forma più stabile con un progressivo

esaurimento dei processi di evoluzione sino al raggiungimento, in tempi più o meno lunghi, di una condizione di

equilibrio. L’entità del modellamento è fortemente condizionata dall’assetto geostrutturale dei corpi geologici

affioranti.

I fattori all’origine dei dissesti (fenomeni franosi) possono essere suddivisi in fattori passivi e attivi.

Fattori passivi

Fattori geologici: caratteri strutturali (faglie e fratture), giacitura, scistosità, associazione ed alternanza tra

litotipi, degradazione, alterazione, ma anche eventi sismici ed eruzioni vulcaniche.

Fattori pedologici: tessitura del suolo, struttura, spessore, drenaggio, contenuto in sostanza organica

Fattori morfologici: pendenza del versante, esposizione, quota, lunghezza del versante.

Fattori idrogeologici: diversa permeabilità delle rocce, solubilizzazione delle sostanze cementanti.

Fattori attivi

Fattori climatici: alternanza di lunghe stagioni secche e periodi di intensa e/o prolungata piovosità,

esposizione dei versanti (es: sedimenti argillosi esposti a nord movimenti plastici, esposti a sud calanchi).

Fattori vegetazionali: specie vegetali, densità della copertura vegetale, tipo di associazione vegetale, tipo di

coltura, tecniche colturali.

Fattori antropici: attivi (scavi, disboscamenti, appesantimenti dei versanti, incendi) passivi (abbandono

delle terre)

Nomenclatura e classificazione - Schemi dei principali tipi di movimenti franosi, la classificazione delle

frane di Cruden & Varnes (1996)

“Con il termine frana si indica un movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante. Il

movimento è innescato da cause preparatrici e/o provocatrici e da fattori predisponenti propri del versante, il

quale ha subito un mutamento dell’equilibrio preesistente tra le forze mobilitate e le resistenze disponibili su una

superficie più o meno ampia.” Cruden (1991)

Per quanto concerne la nomenclatura e classificazione dei movimenti franosi si propone il riferimento alla

classificazione di Cruden & Varnes (1996), basata sulla caratterizzazione del tipo di movimento relativo tra il

materiale spostato ed il materiale in posto.

Fig. 4.6: Schema generale della nomenclatura delle parti di una frana secondo Varnes.

( da Desio A. “Geologia applicata alla Ingegneria”)

Si riporta di seguito la sintesi dei principali movimenti franosi raggruppati in 5 classi.

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CROLLO (fall): materiale che si stacca da un pendio molto ripido, fino ad essere aggettante, e si muove per caduta

libera. Il fenomeno è improvviso e la velocità del materiale è elevata. Dopo l’impatto con il versante, il moto dei

frammenti di roccia prosegue per rimbalzi e/o rotolamenti. Generalmente si verifica su versanti in cui sono presenti

discontinuità strutturali (faglie e piani di stratificazione). I crolli si sviluppano prevalentemente in rocce lapidee,

massicce o stratificate in grossi banchi, fratturate o carsificate.

Frana di crollo (disegno: O. Iacoangeli)

RIBALTAMENTO (topple): rotazione in avanti, verso l'esterno del versante, di una massa di terra o roccia, intorno

ad un punto o un asse situato al di sotto del centro di gravità della massa spostata. Generalmente il movimento è

legato alla presenza di materiale isolato da fratture preesistenti verticali o giunti di stratificazione verticali degli

ammassi rocciosi. Può anche verificarsi quando una roccia lapidea è sovrapposta ad un substrato plastico

deformabile ed erodibile.

Frana di ribaltamento (l’erosione al piede è dovuta alla presenza di un corso d’acqua) (disegno: O. Iacoangeli)

ESPANSIONE LATERALE (spread): movimento di un terreno coesivo o di un ammasso roccioso, in seguito

all'estrusione e allo spostamento di un livello sottostante di materiale meno competente, associate alla subsidenza

della massa fratturata. L'espansione può essere causata dalla liquefazione o dal flusso del materiale a bassa

competenza.

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Schema di espansione laterale (disegno: O. Iacoangeli)

SCIVOLAMENTI O SCORRIMENTI:

possono essere a) traslazionali o b) rotazionali

a) SCIVOLAMENTO TRASLAZIONALE (rock-slide): movimento verso la base del versante di una massa

di terra o roccia che avviene in gran parte lungo una superficie di rottura o entro una fascia, relativamente

sottile, di intensa deformazione di taglio.

Schema di scivolamento traslazionale (disegno: O. Iacoangeli)

b) SCIVOLAMENTO ROTAZIONALE (rock-slump): scorrimento di masse di terreno o roccia lungo una

superficie curvilinea (concava verso l’alto). Si verifica spesso in seguito a rottura progressiva, che si

propaga a partire dal piede del pendio.

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Schema di scivolamento rotazionale (disegno: O. Iacoangeli)

COLAMENTO (flow): il colamento può essere di due tipi per differenza di materiali interessati e velocità di

movimento. Maggiore è il contenuto di acqua e maggiore sarà la velocità di flusso, che può andare da alcuni minuti

ad alcuni anni. Nel primo tipo il materiale si muove lentamente, come un fluido molto viscoso, senza una netta

superficie di separazione con la roccia in posto (rock flow). Nel secondo tipo una miscela di materiali sciolti ed

acqua si sposta in modo rapido ed improvviso lungo una vallecola stretta e ripida (colata di detriti debris flow, e

colata di terra earthflow).

Frana di colamento (disegno: O. Iacoangeli)

Le frane possono essere distinte ulteriormente in base al loro stato di attività. Nella tabella sottostante rielaborata, si

evidenzia la corrispondenza di alcuni elementi geomorfologici in fase attiva ed inattiva dei fenomeni franosi.

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Fenomeni Attivi Fenomeni Inattivi Scarpate, terrazzi e crepacci con bordi netti Scarpate, terrazzi e crepacci con bordi arrotondati Crepacci e depressioni privi di riempimenti secondari Crepacci e depressioni con riempimento secondario

Movimenti di massa secondari sulle scarpate Nessun movimento di massa secondario sulle

scarpate Strie fresche sulla superficie di rottura e sui piani di taglio

marginali Strie assenti o degradate sulla superficie di rottura e

piani di taglio marginali Superfici di frattura fresche sui blocchi Superfici di frattura degradate sui blocchi Sistema di drenaggio sconvolto, numerosi ristagni

d’acqua e depressioni a drenaggio interno Sistema di drenaggio integro

Creste di pressione al contatto con i margini di scorrimento Fessure marginali e argini abbandonati Assenza di sviluppo di suolo sulla parte esposta della

superficie di rottura Sviluppo di suolo sulla parte esposta della superficie

di rottura Presenza di vegetazione a crescita rapida Presenza di vegetazione a crescita lenta Differenza netta di vegetazione tra le zone interne ed

esterne della frana Nessuna differenza di vegetazione tra le zone interne

ed esterne della frana

Alberi inclinati senza ricrescita verticale Alberi inclinati con ricrescita verticale nelle

porzioni successive alla parte inclinata

Tab. 18: Criteri geomorfologici per il riconoscimento sul terreno dell'attività dei fenomeni franosi

(Crozier, 1984, modificato) (http://www.afs.enea.it/protprev/www/)

Le frane oltre a presentare caratteristiche morfologiche che ne evidenziano l’attività, come da schema precedente,

presentano delle caratteristiche strettamente dipendenti anche dalle condizioni climatiche. Ne sono due esempi

quelli tratti dal sito dell’ENEA in cui sono rappresentate l’evoluzione in ambiente umido ed arido rispettivamente

(vedi fig. seguenti).

Recentemente sono stati definiti nuovi criteri per la definizione dello stato di attività di una frana quali:

attiva: attualmente in movimento

sospesa: si è mossa entro l’ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente

riattivata: di nuovo attiva dopo essere stata inattiva

inattiva: si è mossa per l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale

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Blocco diagramma dei cambiamenti geomorfologici nel tempo di una frana durante condizioni climatiche

umide (Turner & Schuster, 1996). A, i caratteri di una frana attiva o attiva in tempi recenti (quiescente-

storica) sono fortemente definiti e distinti; B, i caratteri di una frana quiescente-recente restano chiari, ma

non fortemente definiti a causa del dilavamento e dei movimenti di versante superficiali su scarpate ripide;

C, i caratteri di una frana quiescente-matura vengono modificati dal drenaggio superficiale, dall'erosione

interna, da fenomeni deposizionali e dalla vegetazione; D, i caratteri di una frana quiescente-antica sono

deboli e spesso obliterati. (http://www.afs.enea.it/protprev/www/lineeguida2/definizione_frana.htm)

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. Blocco

diagramma dei cambiamenti geomorfologici nel tempo di una frana durante condizioni climatiche aride

(Turner & Schuster, 1996). A, i caratteri di una frana attiva o attiva in tempi recenti (quiescente-storica)

sono fortemente definiti e distinti; B, i caratteri di una frana quiescente-recente restano chiari, ma non

fortemente definiti a causa del dilavamento e dei movimenti di versante superficiali su scarpate ripide; C, i

caratteri di una frana quiescente-matura vengono modificati dal drenaggio superficiale, dall’erosione

interna, da fenomeni deposizionali e dalla vegetazione; D, i caratteri di una frana quiescente-antica sono

deboli e spesso obliterati. (http://www.afs.enea.it/protprev/www/lineeguida2/definizione_frana.htm)

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Casistica degli interventi di ingegneria naturalistica (I.N.) utilizzabili nei diversi tipi di dissesto

Gli interventi di Ingegneria Naturalistica (I.N.) sono efficaci nel caso di dissesti prevalentemente superficiali o

poco profondi, in quanto le forze che entrano in gioco nel dissesto devono essere equilibrate ed assorbite dalla

resistenza degli apparati radicali delle specie vegetali utilizzate.

Gli interventi di I.N. si distinguono in antierosivi, stabilizzanti e consolidanti.

In generale con gli interventi antierosivi le piante erbacee impiegate riescono a garantire l’efficacia dell’intervento

nel proteggere l’area dagli agenti esogeni in particolare dalle precipitazioni meteoriche. Nei dissesti superficiali che

coinvolgono poche decine di centimetri di spessore di regolite possono impiegarsi le sistemazioni stabilizzanti con

utilizzo di arbusti autoctoni. Negli interventi con spessori di materiale instabile superiori, alle piante si debbono

associare elementi inerti (tronchi, pietre, etc. ) con i quali si costituiscono strutture consolidanti. Infine quando le

instabilità coinvolgono masse eccessive si deve far ricorso alle tecniche di ingegneria civile.

Nella tabella seguente si evidenzia la correlazione tra i principali tipi di frane e dissesti e le varie possibilità di

intervento con tecniche tradizionali e di I.N. E’ subito evidente la non applicabilità delle tecniche di ingegneria

naturalistica nei casi di crollo e ribaltamento dove la componente litoide è predominante.

A seguire si riportano due tabelle: la prima confronta le diverse tipologie di substrato e le possibili tecniche di

ingegneria naturalistica utilizzabili per la prevenzione o la stabilizzazione dei dissesti che interessano le coperture

detritiche da esse derivate e la seconda la applicabilità delle tecniche di ingegneria naturalistica in funzione del substrato

litologico ( “Manuale di Ingegneria Naturalistica, Sistemazione dei Versanti” Regione Lazio – 2006)

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Tab. 19 schema riassuntivo tra i diversi dissesti e le possibili soluzioni (O. Iacoangeli)

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Applicabilità delle tecniche di ingegneria naturalistica in funzione del substrato litologico T

ecn

ich

e d

i in

geg

ner

ia n

atu

rali

stic

a

Tipo di substrato

Sciolto

Sciolto

con

cemento

Coesivo Misto Semilapideo Lapideo

Inerbimento

Semina manuale a

spaglio X X O O O O

Idrosemina X X O O O O

Stuoie naturali

e sintetiche

Biostuoie

rinverdite X X X X - -

Geostuoie

rinverdite X X X X - -

Messa a dimora

di specie arbustive X X X X O O

Canalette

Gradinate in

legname o pietrame X X X X - -

Gradinate in terra

inerbite X X X X - -

Gradinate in legno X X X X - -

Drenaggi Cunei filtranti X X - X - -

Fascinate drenanti X X X X O O

Tecniche di

stabilizzazione

superficiale

Gradinate vive X X O O

Stecconate X X X X O O

Viminate X X X X O O

Fascinate X X X X - -

Palificate vive

di sostegno

Palificate vive di

sostegno a una

parete

X X X X - -

Palificate vive di

sostegno a doppia

parete

X X X X - -

Palificate vive a

doppia parete con

ancoraggi profondi

X X X X - -

Grate vive X X O O - -

Opere in

pietrame

Murature in

pietrame X X O O X X

Gabbionate

rinverdite X X O O X X

Opere in terra

rinforzata

rinverdite

Con funzioni di

contenimento X X O O - -

Con funzioni

paramassi - X - - X X

X= tecnica adottabile senza particolari controindicazioni

O= tecnica adottabile in particolari condizioni morfologiche, idrogeologiche o solo insieme ad altre tecniche

- = adozione sconsigliata per motivazioni connesse alla fattibilità o alla scarsa efficacia funzionale

Tab. 20: Applicabilità delle tecniche di ingegneria naturalistica in funzione del substrato litologico.(estratto

da “Manuale di Ingegneria Naturalistica, Sistemazione dei Versanti” Regione Lazio – 2006)

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6. SCHEDE DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI INGEGNERIA NATURALISTICA

( Disegni di Olivia Iacoangeli)

Interventi antierosivi 1. Semina

2. Idrosemina

3. Idrosemina a spessore

4. Biostuoie

Interventi stabilizzanti 5. Messa a dimora di talee

6. Messa a dimora di arbusti

7. Viminata viva seminterrata

8. Gradonata viva

9. Fascinata viva

10. Palizzata viva

Interventi di consolidamento 11. Grata viva

12. Palificata viva doppia

13. Gabbionata viva

14. Terra rinforzata rinverdita

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Interventi antierosivi

1.SEMINA

Descrizione

Spargimento manuale a spaglio di miscele di sementi:

a) con miscele commerciali di origine certificata (origine specie, composizione

miscela, grado di purezza, grado di germinabilità);

b) con fiorume raccolto direttamente in campo da stazioni di condizioni simili a

quelle in cui si deve operare.

La copertura risulta immediata, con un effetto antierosivo superficiale determinato

dal reticolo radicale approfondito nel terreno (10 - 30 cm).

Campi di applicazione

Superfici piane o con pendenze inferiori a 25° - 30°, destinate alla rivegetazione,

in accordo con le condizioni stazionali ecologiche (esame delle condizioni

pedoclimatiche, analisi floristica e/o vegetazionale), per evitare erosione da

ruscellamento, eolica e limitare l’essiccamento.

Materiali

Laddove ve ne sia la necessità, la semina è abbinata allo spargimento di

concimanti organici e/o inorganici, la cui quantità varia a seconda del periodo di

intervento: in primavera sarà maggiore poiché la stagione consente alle piante di

utilizzarne la maggior parte; in autunno minore per evitare il dilavamento della

quantità non utilizzata dalle piante per l’arrivo della stagione fredda.

Una variante migliorativa alla semina è il Metodo Schiechteln (circolato in

Italia come metodo a paglia e bitume o nero – verde) che prevede, oltre alla

semina, la stesura sul terreno di pacciamatura con paglia a fibra lunga e fissaggio

della stessa con una emulsione idrobituminosa spruzzata a freddo. E’ molto adatta

per substrati poveri di sostanza organica, suoli poco profondi e aridi situati a quote

elevate, zone montane in ambito mediterraneo.

Fiorume per la semina a spaglio ( luglio 1996) Acqualagna (PU) - Foto P. Cornelini

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2. IDROSEMINA

Descrizione

Spargimento mediante macchina idroseminatrice, dotata di botte, di una miscela

composta in prevalenza da sementi, collanti, concimanti e acqua. Nel mezzo

meccanico vengono miscelati i vari componenti della miscela, che viene quindi

spruzzata sulle superfici da inerbire mediante pompe e ugelli con pressione

adeguata e tale da non danneggiare le sementi. La presenza dei collanti garantisce

la protezione delle sementi durante la prima fase della germinazione.

Campi di applicazione

Superfici caratterizzate da assenza o comunque scarsità di humus, superfici ripide o

scarsamente accessibili, aree di notevole sviluppo superficiale. L’effetto

antierosivo è immediato per la presenza della pellicola dovuta al collante e in

seguito del reticolo radicale approfondito nel terreno (10 - 30 cm). In breve tempo

si sviluppa un ambiente idoneo per la microfauna.

Materiali

Sementi con certificazione di origine del seme e in quantità non inferiore a 30 – 60

gr/m2, acqua, concimi/fertilizzanti, ammendanti, collanti. La percentuale dei vari

componenti della miscela varia da caso a caso; è necessario pertanto effettuare

preliminarmente un’analisi stazionale che consenta di valutare la composizione.

Idroseminatrice su scarpata (aprile 2002) Atina (FR) - Foto P. Cornelini

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3. IDROSEMINA A SPESSORE

Descrizione

Spargimento in due passate mediante idroseminatrice di una miscela di sementi,

ammendanti, collanti, fibra organica (mulch) e acqua per il rivestimento di

superfici. La distribuzione deve essere omogenea e gli strati avranno spessore da

0,5 a 2 cm. L'impiego di sostanze collanti favorisce il fissaggio delle sementi al

substrato e la formazione di una pellicola antierosiva, di supporto nelle fasi iniziali

di germinazione delle sementi. L'impiego della fibra organica (mulch) esalta le

funzioni di trattenimento dell'umidità e di supporto organico, facilitando la

germogliazione dei semi e lo sviluppo delle piante.

Campi di applicazione

Superfici acclivi prive di terreno vegetale, soggette a erosione, talvolta in

abbinamento a rivestimenti vegetativi in rete metallica e stuoie, terre rinforzate

verdi, etc.. Scarpate stradali e ferroviarie in trincea, cave in roccia, discariche di

inerti. Scarpate con eccessiva pendenza, zone con prolungati periodi di siccità,

pendii soggetti a movimento del terreno.

Materiali

Mezzo meccanico (idroseminatrice), fibra organica (mulch) (300-700 g/mq),

concimanti e fertilizzanti, sementi, collanti a base polimerica, acqua. La

composizione della miscela e la quantità di sementi deve essere scelta in seguito ad

un'analisi stazionale, che tenga conto delle caratteristiche pedoclimatiche e

vegetazionali locali.

Idrosemina a spessore su terra rinforzata (aprile 2002) Atina (FR) - Foto P. Cornelini

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4. BIOSTUOIE

Descrizione

Stuoie in fibra vegetale (paglia, cocco, miste) o intessute in filo di juta o cocco (di

notevole resistenza), impiegate negli interventi antierosivi di rivestimento di

scarpate povere di sostanza organica e soggette a erosione meteorica. La stuoia

viene stesa e fissata al substrato mediante picchetti di varia forma. Viene

normalmente abbinata a semina e messa a dimora di talee e/o arbusti.

Tecnica di esecuzione rapida e semplice, con protezione immediata della

superficie. Consente il rinverdimento di superfici acclivi, con terreni a scarsa

dotazione fisico-organica, adatto su scarpate regolarizzate. Il materiale terroso

sottostante la stuoia viene trattenuto, impedendone così il trasporto verso valle.

Campi di applicazione

La stuoia in juta risulta idonea su scarpate a bassa pendenza, su rocce sciolte

(ghiaie, argille), substrati denudati o di neoformazione, anche irregolari,

possibilmente con substrato terroso in superficie, substrati aridi e a eccessivo

drenaggio: l’acqua si infiltra, ma non ristagna e non erode. Le maglie della stuoia

consentono alle piante di crescere, assicurando in tal modo la protezione della

superficie una volta che la stuoia ha subito completa degradazione.

Le stuoie intessute in filo di cocco risultano idonee su scarpate a maggior pendenza

su substrati aridi e a forte drenaggio. Sono altresì idonee su sponde in erosione

soggette a periodica sommersione.

Le stuoie proteggono le scarpate dall’erosione meteorica ed eolica, migliorano

l’equilibrio idrico e termico al suolo, apportano sostanza organica. La durata nel

tempo è variabile, la fibra di cocco in particolare dura sino a 5 – 6 anni, ma la

degradazione finale è completa.

Materiali

Stuoie biodegradabili in fibre organiche di paglia, cocco o mista di peso non

inferiore a 250 g/m2, in genere supportate da una rete fotoossidabile

biodegradabile, con maglia minima 1x1 cm, oppure carta cucita con filo

biodegradabile, eventualmente preseminate; stuoie intessute (in genere con fili di

juta o cocco); staffe o picchetti in ferro acciaioso piegati a U o in legno; miscela di

sementi (40 g/m2); talee e arbusti autoctoni.

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Biostuoia su argille ( ottobre 1996) Anversa degli Abruzzi (AQ) - Foto P. Cornelini

Biostuoia in fibra vegetale

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Interventi stabilizzanti

5. MESSA A DIMORA DI TALEE

Descrizione

Infissione di talee legnose e/o ramaglie di specie vegetali con capacità di

propagazione vegetativa nel terreno o nelle fessure tra massi, inserimento in

palificate vive, gabbioni e terre rinforzate. E’ classico l’impiego dei salici, ma

anche di altre specie quali il ligustro e le tamerici (queste ultime resistenti a

condizioni alterne di forte aridità e presenza di sali nel terreno). La densità di

impianto aumenta all'aumentare della pendenza del terreno: da 2-5 talee/mq a 5-10

talee/mq. L'effetto stabilizzante/consolidante in profondità aumenta con la

lunghezza della parte infissa delle talee. La stabilità della scarpata e il

consolidamento superficiale del terreno sono limitati sino allo sviluppo di un

adeguato apparato radicale. Vanno eseguite saltuarie potature di irrobustimento e

sfoltimento per evitare popolamenti monospecifici.

L’effetto di drenaggio (i salici sono delle vere e proprie “pompe dell’acqua”) è

dovuto ad assorbimento e traspirazione del materiale vivo impiegato.

Le ramaglie devono essere raccolte ed impiegate rapidamente. La conservazione

per periodi più lunghi può essere effettuata in celle frigorifere a basse temperature

(4-5 °C) e 90% di umidità o sommerse in vasche di acqua fredda.

Campi di applicazione

Superfici di neoformazione, scarpate a pendenza limitata; interstizi e fessure di

scogliere, muri, gabbionate, terre rinforzate; come picchetti vivi nella posa di reti,

stuoie, fascinate, viminate. L’azione è inizialmente puntuale, ma estesa e coprente

dopo lo sviluppo (6 mesi ÷ 1-2 anni).

Trovano vasta applicabilità, con esclusione di substrati litoidi e particolarmente

aridi: le varie specie di salici coprono una vasta gamma di ambienti dal livello del

mare sino ai 2000 m s.l.m. ed oltre, ma temono le condizioni di forte aridità dei

climi stenomediterranei, la salinità del substrato (vicinanza al mare, terreni

calanchivi), l’eccesso di ombreggiamento; le tamerici resistono a tali condizioni

ma non sono impiegabili a quote superiori ai 4-500 m s.l.m.

Materiali

Infissione nel terreno: getti non ramificati, di 2 o più anni, ø 2 ÷ 5 cm, L = 0,50 ÷

0,80 m, di piante legnose in genere arbustive con capacità di propagazione

vegetativa (salici); inserimento in fase di costruzione: ramaglie vive di L 1÷5 m e

diam. 1-5 cm

Talea di Atriplex halimus su terra rinforzata (maggio 1999) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani

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Talea di oleandro (luglio 2001) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani

Messa a dimora di talee

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6. MESSA A DIMORA DI ARBUSTI

Descrizione

Messa a dimora di giovani arbusti autoctoni in zolla in vasetto o fitocella (di

produzione vivaistica) in buche appositamente predisposte e di dimensioni

opportune ad accogliere l'intera zolla o tutto il volume radicale della pianta. La

piantagione deve avvenire secondo un sesto d'impianto irregolare e con specie

diverse disposte a mosaico. Per i primi anni le piante devono essere dotate di palo

tutore, pacciamatura alla base per ridurre la concorrenza con le specie erbacee e

cilindro in rete per protezione dalla fauna. Il trapianto a radice nuda, molto usato

nell’Europa centrale ed anche nelle zone alpine italiane, è poco proponibile nelle

regioni meridionali. La stabilizzazione del terreno è limitata sino allo sviluppo di

un adeguato apparato radicale e quindi tale condizione deve inizialmente essere

garantita da altro materiale.

Campi di applicazione

Superfici a bassa pendenza, preferibilmente con presenza di suolo organico. Nei

terreni privi di tale sostanza è opportuno preparare delle buche nel substrato e

riempirle con una certa quantità di terreno vegetale, fibra organica e fertilizzanti

atti a garantire l’attecchimento delle piante; in tali terreni sarà comunque da

preferire la scelta di piante a comportamento pioniero degli stadi corrispondenti

della serie dinamica potenziale naturale del sito.

Materiali

Arbusti da vivaio in contenitore; altezza compresa tra 0,30 e 0,80 m; dischi

pacciamanti, o strato di corteccia di pino; pali tutori; reti di protezione antifauna.

Arbusti mediterranei (aprile 2002) Castel del Monte (BA) - Foto P. Cornelini

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Piantagione di arbusto radicato autoctono

7. VIMINATA VIVA SEMINTERRATA

Descrizione

Intreccio di verghe di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa,

attorno a paletti in legno. Si ottiene una rapida stabilizzazione sino a 25-30 cm di

profondità e immediato contenimento del materiale. E’ una tecnica adattabile alla

morfologia della scarpata. La sua esecuzione richiede notevole mano d’opera e non

sempre sono reperibili, per l’intreccio, verghe lunghe ed elastiche in quantità

sufficiente. La stabilizzazione è immediata per gli strati superficiali di terreno, e si

ha un miglioramento quando le verghe emettono radici, anche se la radicazione è

modesta rispetto alle quantità di materiale utilizzato.

Spesso può accadere che i paletti vengano spezzati per un eccesso di carico da

monte o a causa dei sassi che precipitano dall’alto. In tal caso si rendono necessarie

opere manutentive e la sostituzione dei paletti spezzati.

L’effetto stabilizzante si ha solamente nel caso di viminate interrate e seminterrate,

nelle quali sono ridotti i fenomeni di sottoescavazione e scalzamento.

Campi di applicazione

Scarpate con inclinazione massima 40° e soggette a movimento superficiale del

terreno o a modesti franamenti.

Sponde di corsi d'acqua a velocità della corrente medio-bassa e trasporto solido

ridotto. Non è una tecnica utilizzabile in corsi d'acqua ad elevata energia.

Tecnica utilizzabile su terreni sassosi o rocciosi se abbinata a riporti di terreno.

Materiali

Verghe elastiche di specie legnose, adatte all'intreccio e con capacità di

propagazione vegetativa (salici, tamerici), poco ramificate, L min. 1,50 m e ø alla

base non inferiore ai 2 – 4 cm; paletti in legno di conifere o castagno ø 5 ÷ 8 cm, L

= 1,00 ÷ 1,50 m; picchetti di ferro ø 14 ÷ 16 mm, L 50 cm ÷ 1m; filo di ferro

cotto.

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Viminata viva seminterrata (ottobre 1996) Anversa degli Abruzzi (AQ) - Foto P. Cornelini

Viminata viva seminterrata

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8. GRADONATA VIVA

Descrizione

Messa a dimora, all’interno di gradoncini o terrazzamenti scavati a file parallele su

pendii, di ramaglia di piante legnose con capacità di riproduzione vegetativa

(Salici, Tamerici, etc) e/o arbusti radicati autoctoni e successiva copertura con il

materiale proveniente dagli scavi superiori. Si ottiene una radicazione profonda con

effetto di drenaggio; viene impedita sia l’erosione sia il movimento del terreno; il

ruscellamento superficiale viene rallentato.

La messa a dimora di latifoglie radicate tra le file consente di raggiungere più

rapidamente uno stadio evoluto della serie della vegetazione potenziale.

La tecnica risulta costosa per l’elevato fabbisogno di materiale vegetale.

Nel caso del rilevato la messa a dimora delle talee contemporaneamente alla

formazione del rilevato a strati determina un effetto simile a quello delle terre

rinforzate, per il consolidamento in profondità.

Campi di applicazione

Pendii incoerenti, frane superficiali, rilevati in fase di esecuzione.

Stabilizzazione di frane in materiale morenico o alluvionale, con inclinazione del

versante massima di 40°.

Materiali

Rami o verghe o astoni di specie con capacità di riproduzione vegetativa; arbusti

radicati.

Gradonata viva (giugno 2003) Faicchio (BN) - Foto A. Bruzzese e MAlliegro

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Gradonata viva

9. FASCINATA VIVA

Descrizione

Messa a dimora di fascine vive di specie legnose con capacità di propagazione

vegetativa (verghe legate assieme con filo di ferro) all’interno di un solco: a) su

versante: assicurate con picchetti battuti attraverso le fascine o di fronte ad esse;

b) su sponda: infissione dei picchetti in legno con orientazione alternata, per

rendere così la struttura più elastica e solidale in caso di piena La realizzazione di

fascine spondali determina un restringimento dell’alveo; è necessario quindi

prevedere lo spazio necessario per il regolare deflusso delle acque.

La stabilizzazione è rapida e di facile esecuzione. I costi sono contenuti anche per

lo scarso movimento di terra. Tuttavia l’effetto in profondità è limitato e le fascine

sono sensibili alla caduta sassi. I rami più esterni sono soggetti ad abrasione. Sui

pendii funge da dreno biotecnico e facilita lo sgrondo delle acque.

c) morta: lungo sponde di corsi d’acqua a bassa velocità dell'acqua e limitato

trasporto solido, vengono poste fascine morte di specie legnose, disposte

longitudinalmente sulla sponda al di sotto del livello medio dell’acqua. Si ottiene

una protezione immediata del piede della sponda in poco spazio e con impiego

limitato di materiale. Eseguibile in qualsiasi momento dell’anno, funge anche da

riparo per piccoli animali acquatici. Usualmente questa tipologia non viene

applicata quale unica soluzione di intervento, ma abbinata ad altre tecniche che

prevedono l'impiego di materiale vivo. La fascinata morta risulta pertanto un

ulteriore protezione di base per altre tecniche di ingegneria naturalistica.

Campi di applicazione

Pendii con pendenza non superiore ai 35°, con necessità di drenaggio biotecnico,

scarpate stradali e ferroviarie, scarpate di discarica.

Corsi d’acqua a energia media con portate e livello medio relativamente costanti.

Materiali

a) e b) verghe di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa (salici,

tamerici) ø min. 1 cm e L min. 2.00 m; filo di ferro; paletti di legno ø 5 cm o

picchetti in ferro ø 8÷14 mm e L min. 60 cm; terreno di riporto.

c) verghe morte di specie legnose ø min. 2 cm e L min. 2,00 m; paletti di legno ø 5

cm o picchetti in ferro ø 8÷14 mm e L min. 60; pietrame.

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Fascinata viva spondale (aprile 2000) Rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini

Fascinata viva su pendio

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10. PALIZZATA VIVA

Descrizione

Intervento per la stabilizzazione di scarpate consistente nella realizzazione di

strutture in legname trasversali alla linea di massima pendenza, composte da due

file sovrapposte di tronchi fissati con picchetti in ferro, messa a dimora di talee tra i

due tronchi e messa a dimora di arbusti a monte nel gradone ottenuto. Tale

intervento è caratterizzato da una ampia valenza applicativa, limitatamente alla

stabilizzazione superficiale dei versanti, sia in scavo che in rilevato.

Campi di applicazione

Scarpate in scavo, consolidamento di solchi di erosione, stabilizzazione

superficiale di rilevati e/o accumuli di materiale sciolto, versanti percorsi da

incendi, etc.

Materiali

Tronchi di castagno o conifere (escluso l’abete) ø 15 ÷ 25 cm, L = 2,00 ÷ 5,00 m;

picchetti in ferro ø 14 (16) mm, L 40 ÷ 100 cm; talee legnose di salici; arbusti

autoctoni, inerte; sementi autoctone.

Palizzate vive in corso di realizzazione (ottobre 2003) Pizzoli (AQ) - Foto P. Cornelini

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Palizzata viva

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Interventi di consolidamento

11.GRATA VIVA

Descrizione

Struttura in tondame ottenuta mediante la posa di tronchi verticali e orizzontali

disposti perpendicolarmente tra loro, questi ultimi sovrapposti a quelli verticali e

chiodati ad essi. All’interno delle camere così ottenute, vengono poste in corso

d’opera talee di salici e/o arbusti radicati (talvolta supportati da pezzi di rete

elettrosaldata) e il tutto viene ricoperto con inerte terroso locale. Una grata di

piccole dimensioni può essere eseguita anche con l'impiego di astoni vivi.

La stabilizzazione è immediata grazie all’armatura di legno e l’effetto aumenta con

la radicazione delle specie vegetali, che svolgono anche un’azione drenante.

Il legno col tempo marcisce, per cui oltre a buone chiodature, è necessario che le

piante inserite nella struttura siano vitali e radichino in profondità, così da sostituire

la funzione di sostegno e consolidamento della scarpata una volta che il legno ha

perso le sue funzioni.

Campi di applicazione

Ricostruzione del profilo di smottamenti con pendenze tra 45° e 55° che non

possono essere ridotte; scarpate di infrastrutture viarie.

Materiali

Tronchi di castagno o conifere (escluso l’abete) ø 15 ÷ 25 cm, L = 2,00 ÷ 5,00 m;

picchetti in ferro ø 14 (16) mm, L = 40 ÷ 100 cm; talee legnose di salici L min.

1.00 m; inerte; sementi idonee; arbusti autoctoni; rete elettrosaldata di

contenimento dell’inerte tra le camere.

Grata viva (aprile 2002) M. Vulture (PZ) - Foto P. Cornelini

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Grata viva semplice su scarpata

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12. PALIFICATA VIVA DOPPIA

Descrizione

Struttura in legname costituita da un’incastellatura di tronchi a formare camere

nelle quali vengono inserite talee e/o fascine di specie con capacità di propagazione

vegetativa. L’opera, posta alla base di un pendio o di una sponda, è completata dal

riempimento con materiale terroso inerte e pietrame nella parte sotto il livello

medio dell’acqua. Il pietrame e le fascine poste a chiudere le celle verso l’esterno

garantiscono la struttura dagli svuotamenti. Le talee inserite in profondità sono

necessarie per garantire l’attecchimento delle piante che negli ambienti

mediterranei soffrono per le condizioni di aridità. L’effetto consolidante è notevole,

è legato inizialmente alla durata del legname e viene sostituito nel tempo dallo

sviluppo delle redici delle piante. In tal senso sono consigliabili altezze della

struttura inferiori a 2,5 m.

Il consolidamento è rapido e robusto, con un effetto visivo immediatamente

gradevole e di grande effetto paesaggistico, legato al rapido sviluppo delle

ramaglie.

Il legno col tempo marcisce, per cui oltre a buone chiodature, è necessario che le

piante inserite nella struttura siano vitali e radichino in profondità, così da

sostituire, come detto, la funzione di sostegno e consolidamento della scarpata, una

volta che il legno si deteriora.

Campi di applicazione

Consolidamento di pendii e scarpate franosi; al piede di scarpate stradali o

ferroviarie; sponde fluviali soggette ad erosione di corsi d'acqua ad energia medio

– alta con trasporto solido anche di medie dimensioni. La variante a una parete è

preferibile in situazioni di spazio o di possibilità di scavo limitati.

Materiali

Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 30 cm; chiodature metalliche ø

12 ÷ 14 mm; talee e ramaglie (da abbinare a fascine vive di salice ø 20 ÷ 30 cm e

fascine morte ø 25 ÷ 30 cm nel caso di palificata spondale); inerte terroso e

pietrame (nella palificata spondale); arbusti autoctoni.

Lavori di realizzazione di palificata viva doppia (marzo 2004) Vieste (FG) - Foto C. Bonelli

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Palificata viva di sostegno a parete doppia

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13. GABBIONATA VIVA

Descrizione

Tecnica adatta sia per sistemazioni lineari che per sistemazioni puntiformi,

costituita da gabbioni in rete metallica zincata a doppia torsione e maglia

esagonale, riempiti in loco con pietrisco di pezzatura minima 15 cm, disposti a file

parallele sovrapposte. All’interno dei gabbioni vengono inserite talee di salice o

tamerice con disposizione irregolare o a file nella prima maglia del gabbione

superiore (non tra un gabbione e l'altro). Per evitare erosione al piede di sponda,

prima della posa dei gabbioni viene predisposta una idonea fondazione prolungata

verso il centro alveo (materasso). Struttura di sostegno elastica, molto adatta per

sistemazioni in condizioni di forte pendenza e in spazi limitati; l’uso dei ciottoli

locali garantisce una coerenza visuale della struttura con la litologia locale;

nell’arco di 1 – 2 anni le radici dei salici o tamerici aumentano la stabilità della

struttura stessa che viene anche mascherata dallo sviluppo delle parti aeree. Nel

loro impiego combinato con piante vive si prestano a varie applicazioni

dell’ingegneria naturalistica che sono suscettibili di ulteriori evoluzioni data

l’adattabilità dei materiali. Già il loro uso tradizionale presenta notevole plasticità

dando adito nel tempo a processi di rinaturazione spontanea. Possono svolgere sia

funzione di protezione rispetto all'erosione fluviale ed al contempo sostegno della

sponda in caso di instabilità gravitativa. Sono strutture permeabili che non

ostacolano la filtrazione dell'acqua da e verso le sponde. Vanno utilizzate

verificandone la stabilità rispetto alle tensioni di trascinamento dovute all'azione

dell'acqua. In genere se ne sconsiglia l'uso in presenza di trasporto solido intenso

caratterizzato da materiale di grosse dimensioni. Vengono impiegate per costruire

strutture di sostegno a gravità caratterizzate da una elevata flessibilità e

permeabilità. Vanno dimensionati come opere di sostegno eseguendo le opportune

verifiche di stabilità. L’esecuzione è rapida e semplice, con effetto contenitivo

immediato. La realizzazione è preferibile in zone con disponibilità di materiale

lapideo.

Campi di applicazione

Difesa longitudinale e/o trasversale di corsi d’acqua; piede di pendii umidi e

instabili; versanti in erosione; briglie in golene allagate occasionalmente; sistemi di

fitodepurazione; difesa e sostegno di sponde lacustri; ricostruzione e/o sostituzione

di muri di sostegno in calcestruzzo in terreni instabili.

Materiali

Ciottoli di fiume ø 15÷30 cm o pietrame; scatolare in filo di acciaio zincato (e

plastificato se a contatto con l’acqua), maglia tipo 8 x 10 a doppia torsione; filo di

ferro zincato ø 2,2 mm o punti metallici meccanizzati in acciaio ø 3,0 mm; talee di

salice o tamerice di lunghezza tale da toccare il terreno naturale dietro il gabbione,

in genere 1,5 – 2 m e di ø min. 2 cm.

Gabbionata rinverdita (marzo 2000) Rio Valleluce (FR) - Foto P. Cornelini

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Gabbionata in rete metallica zincata rinverdita con talee

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14. TERRA RINFORZATA RINVERDITA

Descrizione

Opera di sostegno realizzata mediante l’abbinamento di materiali di rinforzo in reti

sintetiche o metalliche plastificate, inerti di riempimento e rivestimento in stuoie

sul fronte esterno, tali da consentire la crescita delle piante. Sotto il profilo statico,

la stabilità della struttura è garantita dal peso stesso del terreno consolidato

internamente dai rinforzi; la stabilità superficiale dell’opera è assicurata dalle

stuoie sul paramento e dalle piante.

Si tratta di una struttura di sostegno molto adatta per sistemazioni in spazi limitati o

in vicinanza di infrastrutture viarie. La plasticità delle morfologie realizzabili e la

totale rivegetabilità ne fanno una delle tecniche più facilmente reinseribili nel

paesaggio a parità di funzionalità di consolidamento.

Per garantire l’attecchimento e la crescita delle piante e del cotico erboso, i fronti

dovranno avere pendenza massima di 60° per consentire l’apporto delle acque

piovane. Il solo cotico erboso deperisce nel tempo e non garantisce la funzione

antierosiva del cuneo di terra vegetale, che tende a dilavarsi; quando le stuoie

perdono la loro funzione, risulta pertanto indispensabile l’inserimento,

raccomandato in fase di costruzione, di talee e arbusti radicati e l’uso combinato di

stuoie sintetiche permanenti.

I manufatti risultano avere un’elevata durata temporale e la costruzione per moduli

consente di ottenere molteplici forme, adatte alle condizioni locali del terreno.

Risulta perciò un’opera elastica e permeabile, anche se, per i costi e l’ingombro

risulta essere maggiore rispetto alle strutture murarie in cls. E’ necessario reperire

materiale di riempimento con caratteristiche geotecniche idonee.

Campi di applicazione

Sostegno di scarpate in riporto, consolidamento di scarpate stradali e ferroviarie,

consolidamento di sponde e argini. Terrapieni antirumore, modellamento e

ricostruzione nei casi di spazio limitato.

Materiali

A seconda della diversa tipologia costruttiva vengono impiegati geosintetici;

griglia metallica e geosintetici; griglia e armatura metallica; elementi preassemblati

in rete metallica a doppia torsione. In tutti i casi trovano impiego punti metallici,

materiale inerte di riempimento, terreno vegetale, talee vive di salice, arbusti

radicati, idrosemine normali o a spessore.

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Terra rinforzata rinverdita

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7. VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ DEGLI ECOSISTEMI IDRAULICI

Il corso d’acqua e’ un ecosistema

I corsi d’acqua sono una successione di ecosistemi “aperti” (dotati cioè di importanti interconnessioni trofiche,

flussi di materia ed energia) non solo in senso longitudinale, ma anche trasversale e verticale; in essi le fasce di

vegetazione riparia esplicano un ruolo t

almente importante da divenire inscindibili dal fiume in senso stretto (IFF 2007).

Il corso d’acqua nell’insieme, con l’alveo bagnato, le sponde, le rive, la falda ed il bacino costituisce un complesso

che deve essere analizzato globalmente (Lachat 1991) per cui una modifica a una delle componenti comporta un

mutamento nel sistema stesso. Questo determina nella fase diagnostica la necessità di una analisi globale di tutte le

componenti.

Il corso d’acqua è un ecosistema definito dalla morfologia dell’alveo in cui vivono piante e animali. Kazinga

channel Uganda. Foto C. Ceribelli

Questa interpretazione ecosistemica e pluridimensionale del corso d’acqua ne fa comprendere la vulnerabilità a

causa di interventi che interrompano la continuità del flusso idrico nella direzione longitudinale (dighe, briglie),

trasversale (sponde ed argini impermeabili) e verticale (rivestimenti impermeabili del fondo).

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Approccio pluridimensionale all’ambiente fluviale (IFF 2007)

Il corso d’acqua è un ecosistema al quale l’uomo, con la sua storia, aggiunge valore simbolico. Fiume

Giordano Terrasanta. Foto D. Meli

Nel Manuale Deontologico della Regione Lazio (P. Cornelini e G. Sauli, 2012) sono state riportate le principali

alterazioni di funzionalità di un corso d’acqua.

L’ingegneria naturalistica nei corsi d’acqua ha per oggetto il recupero ecomorfologico dell’ecosistema degradato

e/o la stabilizzazione viva delle sponde e si riferisce essenzialmente alle seguenti tipologie tra loro strettamente

interconnesse in quanto gli interventi di recupero ecomorfologico hanno effetti sulla stabilità e le opere vive

stabilizzanti migliorano la qualità ecomorfologica .

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TIPOLOGIA A

INTERVENTI DI RECUPERO ECOMORFOLOGICO

RESTITUIRE LA MORFOLOGIA NATURALE PER IL

RIPRISTINO DELLE CONNETTIVITA’

RICOSTRUIRE GLI HABITAT DELLA SERIE

IGROFILA (sponde e piana inondabile.)

TIPOLOGIA B INTERVENTI BIOTECNICI DI CONSOLIDAMENTO

SPONDALE NELL'AMBITO DI PROGETTI DI

SISTEMAZIONE IDRAULICA

USO PREVALENTE DI TECNICHE DI INGEGNERIA

NATURALISTICA

Analisi delle componenti dell’ecosistema

Nelle indagini finalizzate sia al recupero ecomorfologico di un corso d’acqua (tipologia A) che al consolidamento

spondale (tipologia B) è necessario prendere in considerazione e valutare tutte le componenti ecosistemiche, con

una visione olistica dei loro rapporti funzionali, evidenziando le problematiche in atto.

I Settori di analisi (Fisico, Chimico e Biologico) sono:

• Geomorfologia

• Regime idrico

• Qualità idrica

• Vegetazione

• Fauna ittica

Vengono brevemente descritte le principali funzionalità delle componenti ecosistemiche .

Geomorfologia

Data l’importanza della componente idromorfologica nella rinaturazione di un corso d’acqua, si è ritenuto utile

fare riferimento al MANUALE ISPRA di Rinaldi M., Surian N., Comiti F., Bussettini M. 2014: IDRAIM –

Sistema di valutazione idromorfologica, analisi e monitoraggio dei corsi d'acqua – ISPRA – Manuali e Linee

Guida 113/2014. e all’Appendice 4 -Guida illustrata alle risposte – Indice di Qualità Morfologica (IQM) che

rappresenta il testo più avanzato e approfondito allo stato attuale in Italia, di seguito citato come “ISPRA”, al quale

si rimanda per ulteriori approfondimenti.

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Bacino idrografico in formazione. Gran Canon Arizona USA. Foto P. Cornelini

Nella consapevolezza della variazione dei parametri idraulici e sedimentologici da monte a valle nel bacino

idrografico (figura 5.2) la prima valutazione nelle analisi di un corso d’acqua è di individuare il tratto di interesse

nell’ambito del bacino che possiamo suddividere nei tre tratti caratteristici:

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Tratto montano Tratto medio Tratto vallivo

Valli incise con pendenze elevate.

Piana inondabile quasi inesistente

Velocità di corrente elevata

Acque fredde e ben ossigenate

Substrato di roccia e massi

Ittiofauna di salmonidi

Assenza o limitata presenza di

fitocenosi ripariali igrofile

Valli più larghe con pianura

inondabile e pendenze minori.

Velocità di corrente media

Acque mediamente fredde e

mediamente ossigenate

Substrato di massi e ciottoli

Ittiofauna di salmonidi e ciprinidi a

deposizione litofila.

Presenza di fitocenosi ripariali

igrofile

Pendenze basse e pianure alluvionali

inondabili.

Velocità di corrente lenta

Acque calde e poco ossigenate

Substrato di sabbia e limi

Ittiofauna di ciprinidi a deposizione

litofila

Presenza di fitocenosi ripariali igrofile

Regime idrico

Il regime delle piene genera la forma e i processi fluviali, conferisce funzionalità alle dimensioni dell’alveo e delle

rive e determina la struttura delle comunità biologiche (Gonzales del Tanago, Garcia de Jalon, 2007). Le

alterazioni al regime idrico per prelievi, sbarramenti con dighe, etc. possono portare a riduzioni delle portate fino ad

alvei in secca per la maggior parte dell’anno con influenza sugli habitat acquatici. Risulta, quindi, fondamentale per

la sopravvivenza delle comunità vegetali e animali garantire il deflusso minimo vitale (DMV).

Realizzazione di savanella di magra per garantire una portata minima nella stagione secca. Rio Inferno

Cassino (FR). Foto P. Cornelini

Il regime dei corsi d’acqua mediterranei si caratterizza, in genere, per un periodo più o meno lungo di magra estiva,

con rischio di alvei in secca o con pozze residue; l’abbassamento della falda ha influenza sia sulla vegetazione

favorendo le specie termo-xerofile che sulla fauna ittica determinando migrazioni e/o rifugio nelle pozze.

Le piene, che sviluppano intense forze erosive che incidono l’alveo e possono sradicare alberi, sono fondamentali

per la riconnessione del corso d’acqua alla piana inondabile con la formazione di vari habitat igrofili

indispensabili alla vita acquatica. Le piene, anche artificiali (hydropeaking), hanno effetti sui pesci che, in assenza

di zone di riparo rischiano la morte per l’eccessivo sforzo di contrapporsi alla corrente.

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Fiume in secca estiva. F. Aterno (AQ). Foto L.

Ruggieri

Rilascio acque da centrale idroelettrica

(hydropeaking). Fiume Vomano (TE). Foto L.

Ruggieri

Nel capitolo 7 vengono ripresi i concetti fondamentali dell’idraulica applicata all’ingegneria naturalistica con

esercizi.

Qualità delle acque

L’attività antropica, nelle sue molteplici manifestazioni, influisce direttamente sull’ambiente fluviale modificando

la qualità delle acque e, di conseguenza, le fitocenosi e le zoocenosi.

Le acque inquinate possono alterare le condizioni di vita delle piante e degli animali acquatici. Foto P.

Cornelini

Vegetazione

La vegetazione contribuisce in maniera fondamentale alla funzionalità dell’ecosistema fiume.

Le principali funzioni svolte dalla fascia riparia possono ricondursi a:

habitat di alimentazione, rifugio e riproduzione per numerose specie di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e,

soprattutto, pesci.

elevata biodiversità dovuta all’effetto margine (ecotono).

corridoio naturale (natural habitat corridors), dato dalla continuità della fascia riparia, che garantisce la

connettività vegetazionale longitudinale.

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L’assenza di una fascia ripariale, interrompendo la connettività vegetazionale longitudinale, priva il corso

d’acqua di numerosi habitat e della funzione di corridoio ecologico. Foto P. Cornelini

notevole fonte di materia organica disponibile per gli organismi sminuzzatori/tagliuzzatori che comporta

l’equilibrio della comunità biologica

fasce tampone che, per intercettazione e/o rimozione dei nutrienti (azoto e fosforo), riducono

l’inquinamento delle acque da fonte diffusa (runoff agricolo e runoff stradale)

L’inquinamento floristico della vegetazione ripariale con specie esotiche e la dominanza di specie

sinantropiche (nella foto Arundo donax) comportano un impoverimento della qualità ambientale del corso

d’acqua. Foto P. Cornelini

ombreggiamento con riduzione dell’irraggiamento solare; ciò comporta sia il mantenimento di acque

fresche ed ossigenate, sia una riduzione della fotosintesi clorofilliana che, a sua volta, condiziona le reti

alimentari fluviali e, nello specifico, le comunità dei macroinvertebrati bentonici.

Lo spessore ridotto e la discontinuità alterano le caratteristiche ecologiche e funzionali delle fasce

vegetazionali e interrompono la connettività vegetazionale longitudinale. Foto P. Cornelini

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stabilizzazione del suolo grazie agli apparati radicali e alla dissipazione dell’energia idraulica ad opera

delle parti vegetate, con la riduzione della velocità della corrente. Le formazioni arbustive ed arboree

durante le piene favoriscono, inoltre, il deposito del sedimento e della materia organica. La vegetazione

spondale è quindi un elemento fondamentale della geomorfologia del corso d’acqua.

Il mosaico degli habitat presenti nella pianura inondabile rappresenta un indicatore della connettività trasversale in

quanto si sviluppa in funzione del regime delle portate (oscillazioni del livello di piena, della falda e delle

esondazioni) non ostacolato da interruzioni.

Una fascia ripariale ad elevata naturalità influisce, tra l’altro, sulla morfologia del corso d’acqua. Fiume

Biferno (CB). Foto V. Merola

Fauna ittica (Lino Ruggieri)

Le alterazioni alla vegetazione, alla morfologia, alla qualità delle acque e alla portata idrica hanno conseguenze

dirette sulla sopravvivenza delle specie faunistiche degli ambienti umidi e terrestri. La fauna che maggiormente

caratterizza l’ambiente fluviale è certamente rappresentata dai pesci che occupano differenti nicchie lungo il corso

d’acqua, secondo i fattori morfodinamici, le caratteristiche fisico chimiche e le comunità degli organismi

macrobentonici.

Un fiume, in senso longitudinale, viene suddiviso dagli ittiologi in quattro zone (zonazione ittica), in base alla

specie dominante:

Zona della trota

Zona dei ciprinidi a deposizione litofila (barbo, vairone )

Zona dei ciprinidi a deposizione fitofila (tinca, carpa, cavedano)

Zona delle acque salmastre (cheppia)

Conoscere la comunità ittica, nell’area di progettazione, è di particolare interesse, dal momento che le specie target,

che caratterizzano i tratti fluviali, presentano peculiarità specifiche, come il periodo di riproduzione, le capacità

natatorie e, quindi, la possibilità o meno di superare ostacoli (briglie) e l’habitat di riferimento.

Un altro aspetto di notevole interesse ai fini progettuali relativo all’ittiofauna, può essere l’appartenenza di alcune

specie all’allegato 2 della Direttiva 92/43/CEE, nota come Direttiva Habitat, per cui risultano d’interesse

comunitario e, se presenti in un sito d’importanza comunitaria (SIC) o in una zona di protezione speciale (ZPS), la

progettazione dovrà essere sottoposta a Valutazione d’Incidenza Ambientale (VIncA).

La Direttiva Quadro sulle acque, la 2000/60/CE, tra gli indicatori biologici, da utilizzare per la determinazione

dello “stato ecologico” di un corso d’acqua, ha introdotto la fauna ittica.

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Tra i diversi indici ittici elaborati, si è andato sempre più affermando l’ISECI (Indice di Stato Ecologico delle

Comunità Ittiche), la valutazione del quale viene effettuata sulla base di 5 indicatori principali, tra i quali, hanno

maggior peso:

la naturalità della comunità, intesa come la ricchezza determinata dalla presenza di specie indigene attese in

relazione al quadro zoogeografico ed ecologico;

la condizione biologica delle popolazioni indigene, in termini di struttura di popolazione in classi di età e

consistenza demografica.

Ne consegue, in termini generali, che, dal momento che la struttura di popolazione in classi di età e la consistenza

demografica sono determinati dalle condizioni complessive dell’habitat fluviale (zone rifugio, ripari, continuità

biologica, naturalità della sezione, ecc.), qualsiasi progettazione in ambito fluviale deve necessariamente tenerne

conto.

Piccoli mammiferi, rettili anfibi e uccelli occupano i numerosi habitat presenti sulle rive.

Le alterazioni alla morfologia della sezione e l’inquinamento idrico comportano una bassa qualità

ambientale con effetti negativi sull’ittiofauna. Foto P. Cornelini

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La scheda di valutazione speditiva della qualità ecomorfologica di un corso d’acqua (P. Cornelini, G. Sauli, L. Ruggieri, 2015)

In un approccio ecosistemico al corso d’acqua, sia per finalità didattiche, sia per orientare meglio le scelte

progettuali, che per la pianificazione di area vasta e per il monitoraggio è necessaria una valutazione della qualità

ecomorfologica dei tratti interessati. Se, ad esempio, la individuazione di tratti con presenza di vegetazione ripariale

di pregio pone il problema della loro salvaguardia e conservazione, all’opposto, l’individuazione di tratti con forte

pressione antropica, pone il problema della loro riqualificazione.

Può essere utile, in tal senso, la scheda di valutazione speditiva della qualità ecomorfologica di un corso

d’acqua, mutuata dalla Scheda della Qualità Ambientale di un corso d’acqua (Manuale Regione Lazio settore

idraulico, 2002) e modificata tenendo conto del MANUALE IFF 2007, del Manuale IDRAIM - ISPRA 2014 e

della relativa Guida illustrata, ai quali si rimanda per gli approfondimenti.

La scheda, che costringe a valutare tutte le componenti ecosistemiche, può rappresentare un primo livello di analisi,

individuandoi settori ecosistemici da approfondire , eventualmente, con analisi specialistiche.

La scheda è preceduta da un inquadramento idromorfologico (da ISPRA modificato), utile alla sua compilazione,

nonché ad individuare le unità morfologiche di riferimento per la rinaturazione.

La scheda, che vale per le acque dolci correnti, analizza le componenti articolate in fattori e relativi indicatori per i

quali è prevista una sola scelta (la più rispondente alla realtà con notevole dose di buonsenso), nella

consapevolezza dell’impossibilità di interpretare tutte le articolazioni che emergono nel rilevamento.

I valori numerici sono espressi in scala esponenziale per valorizzare gli aspetti di maggior qualità ; tale scelta,

puramente soggettiva, deriva da una verifica pluriennale nell’attività professionale di tale scala (Sartori, 1986) nelle

valutazioni di qualità ambientale.

Oltre a tratti di interesse limitati, la valutazione può essere estesa fino a tutto il corso d’acqua con finalità di

pianificazione, riportando il risultato su cartografie in scala 1:10.000 o di minor dettaglio, rappresentando lungo

le sponde destra e sinistra due linee con i colori della classe corrispondente ai livelli di funzionalità (vedi tabella

Valutazione qualità ecomorfologica) .

La compilazione prevede, nella parte del corso d’acqua interessato dalle indagini, l’identificazione di tratti di

caratteristiche morfologiche, idrauliche e vegetazionali omogenee, per ognuno dei quali va compilata una scheda

con relative foto (del sito, a monte, a valle e, se possibile, dei sedimenti del fondo). Le schede possono essere

riportate in tabelle di rilevamenti, nelle quali ad ogni 2 colonne (sponda DX e SX) corrisponde un tratto del corso

d’acqua.

In corrispondenza di cambiamenti significativi, anche di una sola componente, va considerato un nuovo tratto , ad

es.:

variazione della portata idrica (immissione di affluenti o prelievi, sbarramenti)

variazione nella geologia del bacino (calcari, argille, etc.) e/o nella geomorfologia (confinamento, forma

planimetrica, sedimenti)

variazioni della sezione e/o della pendenza dell’alveo

variazioni nella vegetazione ripariale

variazioni nell’uso del suolo

variazioni nella qualità delle acque

La rilevazione va iniziata da valle ed i tratti, data la necessità di non frammentare eccessivamente il corso

d’acqua per fornire una lettura di insieme e data la scala di restituzione, non devono essere troppo brevi

(alcune centinaia di metri ).

Nel caso di piccole opere puntuali (ponti, briglie) non si interrompe il tratto; in caso di grandi opere

puntuali (dighe, grandi briglie di trattenuta dei sedimenti) per gli effetti sulla continuità longitudinale

delle portate solide e delle portate idriche si considera il tratto a monte separato da quello a valle, e gli

effetti si considerano riferiti solo a quello di valle .

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La scheda, oltre che per una valutazione ante operam, può essere usata anche per una valutazione speditiva post

operam, per verificare l’aumento di qualità ambientale a seguito di interventi di rinaturazione o ingegneria

naturalistica.

La scheda, inizia con un valutazione dell’uso del suolo del territorio circostante (fattore 1 ) per una fascia ampia

circa 500 m a partire dalla riva destra e dalla riva sinistra per un totale di 1000 m circa a cavallo del corso d’acqua;

successivamente sono valutate le componenti ecosistemiche (fattori 2-10):

Uso del suolo che influenza la geomorfologia, il regime idrico, la qualità delle acque, la vegetazione e la

fauna (1)

Geomorfologia che influenza la vegetazione e la fauna (2,3,4)

Regime idrico che influenza la vegetazione, la forma e le dimensioni dell’alveo, la fauna ( 5)

Qualità delle acque che influenza la vegetazione e la fauna (6)

Vegetazione che influenza la morfologia, la qualità delle acque e la fauna (7,8,9)

Fauna acquatica (10)

La classe di qualità ecomorfologica va calcolata sia per la sponda DX che per la SX, sommando ai relativi valori di

ogni sponda quelli dell’alveo che va, quindi, computato due volte (una per ogni sponda) con un punteggio MAX

per ogni sponda di 160 e MIN di 10 (tabella valutazione della qualità ecomorfologica).

Nel caso di alvei di alta montagna, ove manca una fascia di vegetazione igrofila funzionale, e in quelli con naturale

assenza di vegetazione igrofila, quali gli alvei incassati o in secca quasi tutto l’anno, la componente Vegetazione

non viene valutata ed il giudizio viene disaggregato per componente tramite la tabella di valutazione della qualità

di ogni singola componente ecosistemica.

Dall’analisi delle componenti risulta un giudizio complessivo sulla qualità del tratto esaminato. E’ fondamentale,

però, ai fini di un intervento, valutare ogni componente ecosistemica, per capire ove indirizzare le azioni

progettuali (tabella di valutazione della qualità di ogni singola componente ecosistemica).

Per la guida illustrata alla compilazione si veda il paragrafo successivo.

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SCHEDA DI VALUTAZIONE SPEDITIVA DELLA QUALITA’ ECOMORFOLOGICA

DI UN CORSO D’ACQUA (P. Cornelini, G. Sauli, L. Ruggieri, 2014)

SCHEDA N. DATA

CORSO D’ACQUA LOCALITA

COMUNE TRATTO

ALTITUDINE LUNGHEZZA TRATTO ESAMINATO

COMPILATORE FOTO

INQUADRAMENTO IDROMORFOLOGICO

AMBITO FISIOGRAFICO

C M = collinare-montano P=pianura

CONFINAMENTO

C=confinato SC=semiconfinato NC= non confinato

MORFOLOGIA ALVEO

A canale singolo

Tipologia : R=rettilineo Si=sinuoso M=meandriforme SiBA=transizionale sinuoso barre

alternate

A canali multipli o transizionali

Tipologia : W= transizionale wandering CI=canali intrecciati A=anastomizzato

Configurazione fondo : R=roccia C=colluviale A =Alluvionale

Unità morfologiche (ove riconoscibili): G=gradinata LP=letto piano RP=riffle pool

D=dune A=artificiale

Sedimenti dominanti in alveo: Limo: 0.002÷0.0625 mm; Sabbia: 0.0625÷2 mm; Ghiaia: 2÷64 mm;

Ciottoli: 64÷256 mm; Massi: > 256 mm)

Litologie dominanti nel tratto

Indicatori di dinamismo idromorfologico: S sponde erodibili D depositi alluvionali

Pendenza media del fondo m/m

Dimensioni sezione portata idrica dominante (bankfull, ove riconoscibile) :

larghezza m

altezza m

OSSERVAZIONI

VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ ECOMORFOLOGICA

1.USO DEL SUOLO DEL TERRITORIO CIRCOSTANTE SPONDA

SX DX

Prevalenza di formazioni arboreo arbustive della serie autoctona 16 16

Prevalenza di formazioni erbacee autoctone 8 8

Prevalenza di usi agricoli, vegetazione sinantropica 4 4

Prevalenza di aree periurbane con spazi verdi 2 2

Prevalenza di aree urbanizzate con suolo impermeabile 1 1

GEOMORFOLOGIA

2.CONTINUITA’ LATERALE E VERTICALE

a) Tratto di alveo semiconfinato e non confinato : Totale spazio di mobilità laterale del corso d’acqua (processi di esondazione nella piana inondabile, anche

se di piccola entità, sponde erodibili ) con assenza di elementi artificiali (difese spondali , argini o strade )

e totale continuità verticale degli scambi tra acque superficiali e di falda

16

16

Discreto spazio di mobilità laterale: limitate difese spondali , argini o strade distanti dall’alveo; totale

continuità verticale

8 8

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Ridotto spazio di mobilità laterale: estese difese spondali, argini o strade prossimi all’alveo; buona

continuità verticale (limitata presenza di rivestimenti permeabili)

4

4

Spazio di mobilità laterale assente: sponde completamente artificiali; ridotta continuità verticale (estesa

presenza di rivestimenti permeabili)

2 2

Spazio di mobilità laterale e verticale assente: alveo completamente artificiale (canalizzazioni,

rettificazioni, spostamenti alveo) con fondo impermeabile

1 1

b) Tratto di alveo confinato: Totale continuità laterale tra versanti e alveo (assenza di elementi artificiali che alterino l’alimentazione

di sedimenti quali difese spondali, strade, barriere paramassi, etc.) e totale continuità verticale degli

scambi tra acque superficiali e di falda

16

16

Limitate alterazioni alla continuità laterale tra versanti e alveo per presenza di elementi artificiali; totale

continuità verticale

8 8

Estese alterazioni alla continuità laterale tra versanti e alveo per presenza di elementi artificiali; buona

continuità verticale (limitata presenza di rivestimenti permeabili) 4

4

Totale alterazione della continuità laterale tra versanti e alveo per presenza di elementi artificiali; ridotta

continuità verticale (estesa presenza di rivestimenti permeabili) 2 2

Totale alterazione della continuità laterale e verticale ( fondo impermeabile) 1 1

3.CONTINUITA’ LONGITUDINALE DELLE PORTATE SOLIDE ALVEO

Totale continuità longitudinale, con assenza o con presenza di effetto trascurabile, di opere con

intercettazione delle portate solide (dighe, briglie, casse in linea, ponti con luci strette, tombini), senza

evidenti differenze granulometriche tra monte e valle delle opere

16

Buona continuità longitudinale. Saltuarie opere con intercettazione delle portate solide 8

Limitata continuità longitudinale. Opere diffuse con intercettazione delle portate solide 4

Assenza di continuità longitudinale. Opere con totale intercettazione delle portate solide 1

4.MORFOLOGIA DELL’ALVEO E DEL SUBSTRATO ALVEO

a) Presenza delle morfologie attese nel tratto:

alvei alluvionali collinari montani : configurazione del fondo con unità morfologiche (gradinate,

riffle pool, etc.) coerenti con la pendenza media della valle

alvei alluvionali di pianura: tipologie planimetriche (sinuoso, meandriforme, a canali intrecciati,

etc.)

b) Substrato degli alvei alluvionali con naturale eterogeneità dei sedimenti del fondo ( non si valuta

in caso di fondo in roccia o sabbia né ove è impossibile osservarlo a causa della profondità)

16

Limitate alterazioni delle morfologie attese e del substrato (soglie, rampe, rivestimenti) 8

Estese alterazioni delle morfologie attese e del substrato 4

Alterazione totale delle morfologie attese e del substrato 1

TOTALE MORFOLOGIA (2a oppure 2b +3+4)

REGIME IDRICO ALVEO

5.CONTINUITA’ LONGITUDINALE DELLE PORTATE IDRICHE

Assenza di alterazione della continuità longitudinale delle portate liquide (dighe, diversivi, scolmatori,

casse di espansione, immissioni artificiali, derivazioni per prelievi)

16

Presenza di alterazioni che modificano solo lievemente il regime idrico 8

Presenza di alterazioni che modificano significativamente il regime idrico 4

Presenza di regolazione delle portate, con il verificarsi di fenomeni di picchi improvvisi (hydropeaking) 2

Presenza di alterazioni complete del regime idrico, con determinazione di periodi di secca 1

QUALITA’ DELLE ACQUE ALVEO

6.LIVELLI DI INQUINAMENTO

Acque non inquinate 16

Acque leggermente inquinate 8

Acque inquinate 4

Acque fortemente inquinate 1

VEGETAZIONE ( non si valuta nei tratti di alta montagna e in quelli con naturale assenza di vegetazione igrofila quali

alvei incassati o in secca ) SPONDA

7.VEGETAZIONE FASCIA RIPARIALE SX DX

a)Formazioni arboree ripariali autoctone (saliceti, ontaneti, pioppeti) 16 16

b)Formazioni arbustive ripariali autoctone (saliceti, cespuglieti igrofili), popolamenti elofitici, cariceti, 8 8

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formazioni erbacee igrofile, formazioni arboree ripariali autoctone con presenze di specie sinantropiche

Incolti, prati pascoli, formazioni sinantropiche (robinieti, roveti , canneti ad Arundo donax, etc.) 4 4

Colture agrarie 2 2

Assenza di vegetazione 1 1

8.AMPIEZZA FASCIA RIPARIALE ( si valuta solo per 7a o 7b)

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona maggiore di 10 m. 16 16

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona 6 -10 m. 8 8

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona 3 -6 m. 4 4

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona ˂ 3 m 2 2

Assenza fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona 1 1

9.CONTINUITA’ FASCIA RIPARIALE ( si valuta solo per 7a o 7b)

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa > 90% della lunghezza 16 16

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa 60-90% della lunghezza 8 8

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa 30-60% della lunghezza 4 4

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa ˂30% della lunghezza 2 2

Assenza fascia arborea o arbustiva ripariale autoctona 1 1

TOTALE VEGETAZIONE

ELENCO PRINCIPALI SPECIE FLORISTICHE RIPARIALI

FAUNA ITTICA

10.HABITAT PER PESCI E CONTINUITA’ LONGITUDINALE ALVEO

Elevata presenza di aree di rifugio, di frega, e di ombreggiamento e totale continuità longitudinale

(assenza sbarramenti per la migrazione)

16

Buona presenza aree di rifugio, di frega, e di ombreggiamento e totale continuità longitudinale 8

Scarsa presenza aree di rifugio, di frega, e di ombreggiamento, ma totale continuità longitudinale 4

Assenza aree di rifugio, di frega e di ombreggiamento, presenza di sbarramenti superabili dall’ittiofauna 2

Assenza aree di rifugio, di frega e di ombreggiamento con presenza di sbarramenti che impediscono la

migrazione (assenza di continuità longitudinale)

1

TOTALE QUALITA’ ECOMORFOLOGICA

LIVELLO DI FUNZIONALITA’

VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ DI OGNI COMPONENTE ECOSISTEMICA

COMPONENTE VALUTAZIONE DI FUNZIONALITA’

PESSIMA MEDIOCRE SUFFICIENTE BUONA OTTIMA

GEOMORFOLOGI

A

3-9 10-19 20-29 30-39 40-48

REGIME IDRICO 1 2 4 8 16

QUALITA’ ACQUE 1 4 8 16

VEGETAZIONE 3-9 10-19 20-29 30-39 40-48

FAUNA ITTICA 1 2 4 8 16

VALUTAZIONE QUALITA’ ECOMORFOLOGICA

LIVELLO DI

FUNZIONALITA’

VALORI VALUTAZIONE DI

FUNZIONALITA’

COLORE

V 10-31 PESSIMA

IV 32-63 MEDIOCRE

III 64-95 SUFFICIENTE

II 96-127 BUONA

I 128-160 OTTIMA

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Gli esempi seguenti presentano due casi tipo

GEOMORF REGIM

IDRIC

QUALITA VEGETAZ FAUNA

GEOMORF REGIM

IDRIC

QUALITA VEGETAZ FAUNA

La scheda di valutazione applicata alle due rive

evidenzia una pessima qualità vegetazionale e

mediocre qualità geomorfologica e faunistica.

La scheda evidenzia una ottima qualità

ecomorfologica per le due rive.

Dopo un inquadramento preliminare dei problemi a scala generale, in funzione degli obiettivi progettuali (recupero

geomorfologico, ricostituzione della fascia ripariale, aumento della biodiversità faunistica, etc.) è necessario un

approfondimento delle analisi a scala di maggior dettaglio.

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Guida illustrata alla compilazione della scheda di valutazione speditiva della qualita’

ecomorfologica di un corso d’acqua

Vengono di seguito trattati gli elementi utili alla compilazione della SCHEDA.

I testi della prima parte relativa all’INQUADRAMENTO IDROMORFOLOGICO derivano dal Manuale

ISPRA.

INQUADRAMENTO IDROMORFOLOGICO

AMBITO FISIOGRAFICO

C M = collinare-montano P=pianura

CONFINAMENTO

C=confinato SC=semiconfinato NC= non confinato

MORFOLOGIA ALVEO

A canale singolo

Tipologia : R=rettilineo Si=sinuoso M=meandriforme SiBA=transizionale sinuoso barre

alternate

A canali multipli o transizionali

Tipologia : W= transizionale wandering CI=canali intrecciati A=anastomizzato

Configurazione fondo : R=roccia C=colluviale A =Alluvionale

Unità morfologiche (ove riconoscibili): G=gradinata LP=letto piano RP=riffle pool

D=dune A=artificiale

Sedimenti dominanti in alveo: Limo: 0.002÷0.0625 mm; Sabbia: 0.0625÷2 mm; Ghiaia: 2÷64 mm;

Ciottoli: 64÷256 mm; Massi: > 256 mm)

Litologie dominanti nel tratto

Indicatori di dinamismo idromorfologico: S sponde erodibili D depositi alluvionali

Pendenza media del fondo m/m

Dimensioni sezione portata idrica dominante (bankfull, ove riconoscibile) :

larghezza m

altezza m

Bacino idrografico appenninico. Monti Sibillini. Foto P. Cornelini

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AMBITO FISIOGRAFICO I principali ambiti fisiografici sono:

Collinare- montano

Pianura

che possono essere ulteriormente descritti in unità fisiografiche come, ad esempio, nella tabella 1.

All’interno dei settori collinari-montani possono trovarsi i pianure intermontane.

Montagna. Val d’Aosta. Foto P. Cornelini Colline del Teramano. Foto C. Crocetti

Reatino

Pianura intermontana appenninica del Reatino. Foto

P. Cornelini

Pianura F. Tevere. Foto P. Cornelini

CONFINAMENTO

Le condizioni del grado di confinamento degli alvei vengono individuate con l’utilizzo di carte topografiche e

geologiche, GIS, foto aeree e valutate separatamente per ogni sponda :

1. Alveo confinato: pianura assente con sponde in contatto con elementi che impediscono la mobilità laterale

(versanti, conoidi o corpi di frana, terrazzi antichi, interventi antropici) per più del 90% della lunghezza

del tratto; una incisione recente con un terrazzo alto pochi metri rispetto all’alveo, che può essere

inondabile, seppure con tempi di ritorno elevati, non si considera elemento di confinamento.

2. Alveo semiconfinato: sponde a contatto con la pianura tra il 10 ed il 90% della lunghezza del tratto.

3. Alveo non confinato: pianura continua con meno del 10% dei margini dell’alveo a contatto con elementi

che impediscono la mobilità laterale.

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Grado di confinamento e dimensioni dei corsi d’acqua nelle diverse zone del bacino. ISPRA

Confinato su entrambe le sponde. Gole del.

Sagittario (AQ). Foto P. Cornelini

Confinato su entrambe le sponde. Abisko

Svezia. Foto P. Cornelini

Prima delle gole: confinato in sponda destra, non

confinato a sinistra. Castelvecchio Subequo (AQ).

Foto P. Cornelini

Non confinato su entrambe le sponde. Bosa

(OR). Foto P. Cornelini

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MORFOLOGIA DELL’ALVEO

Si basa sul confinamento, numero dei canali, forma planimetrica e configurazione del fondo.

Una prima divisione considera il confinamento ed il numero dei canali:

1. Alvei a canale singolo.

2. Alvei a canali multipli. o transizionali (caratteri intermedi tra canale singolo e canali multipli)

Figura riassuntiva dell’inquadramento idromorfologico ( ISPRA). Criteri di classificazione morfologica sono

basati sul tipo di ambito fisiografico, sul confinamento, sulla forma planimetrica e sulla configurazione del

fondo. La classificazione morfologica funzionale alla suddivisione in tratti si basa sul numero di canali e sulla

forma planimetrica, mentre a un successivo livello di approfondimento si può procedere alla classificazione

della configurazione del fondo.

Canale singolo. F. Tevere. Foto C. Ceribelli Canali multipli. Fiumara Inganno (ME). Foto

P. Cornelini

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Classificazione dei corsi d’acqua confinati

Per i corsi d’acqua confinati, il criterio di classificazione si differenzia a seconda che siano a canali multipli o

transizionali wandering ,oppure a canale singolo.

Nel caso di canali multipli o transizionali wandering, vengono adoperati gli stessi criteri di classificazione degli

alvei di pianura distinguendo alvei wandering, a canali intrecciati o anabranching (anastomizzati).

I corsi d’acqua montani a canale singolo vengono classificati, dopo la fase di valutazione sul terreno, in base alla

configurazione del fondo e, per gli alvei alluvionali anche in base alle unità morfologiche .

Configurazione del fondo

Alveo in roccia.

I tratti in roccia sono contraddistinti dall’assenza, in modo continuo, di un letto alluvionale (WOHL, 2000) Tuttavia,

anche negli alvei in roccia del sedimento può essere momentaneamente accumulato in pozze o a valle di ostruzioni.

La mancanza di depositi alluvionali in alveo è da attribuire all’elevata capacità di trasporto associata ad una forte

pendenza del canale e/o ad un elevato tirante idrico. La pendenza può essere sia molto elevata (> 20%) che

relativamente bassa (< 1%)

Alvei in roccia Foto P. Cornelini

Monti della Laga (AQ)

Abisko( Svezia) Lillaz (AO)

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F. Vomano (TE) Uganda Foto C. Ceribelli

Alveo colluviale. E’inciso all’interno dei depositi colluviali e di versante, all’inizio del reticolo idrografico

Alvei colluviali

Val Grisenche (AO). Foto P. Cornelini Gruppo del Catinaccio Val di Fassa

(TN). Foto P. Cornelini

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Alveo a fondo mobile o alluvionale.

Presenta un letto con uno strato di sedimento continuo, anche se grossolano.

I corsi d’acqua alluvionali scorrono sui propri sedimenti. Gruppo del Catinaccio. Val di Fassa (TN). Foto P.

Cornelini

Negli alvei alluvionali si distinguono varie unità morfologiche utilizzando come criterio la configurazione del

fondo, riprendendo quasi del tutto la classificazione di MONTGOMERY & BUFFINGTON (1997). L’instaurarsi di

queste morfologie è strettamente associato al rapporto tra la capacità di trasporto della corrente e l’alimentazione

solida, il quale è intimamente connesso alla pendenza del letto. Le unità morfologiche utilizzate nella presente

classificazione sono le seguenti:

-

.

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Alvei a gradinata

Val d’Ega (BZ). Foto P. Cornelini Monviso (CN). Foto P. Cornelini

Val di Susa (TO). Foto P. Cornelini F. Vomano (TE). Foto P. Cornelini

Rio las piedras (Colombia). Foto C. Crocetti Fiume Sangro (CH). Foto A. De Simone

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Alvei a letto piano

F.Isonzo ( Slovenia). Foto P. Cornelini Lillaz (AO). Foto P. Cornelini

T.Avisio (TN). Foto P. Cornelini Val di Susa (TO). Foto P. Cornelini

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Riffle pool

Valle di Ilhara (Cappadocia Turchia). Foto A.

Giorgi

Rio Torbido (VT). Foto V. Manzari

F. Vomano (TE). Foto P. Cornelini

Dune ripple

F.Cedrino (NU). Foto P. Cornelini Svezia. Foto P. Cornelini

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Classificazione dei corsi d’acqua semiconfinati o non confinati

Per la definizione della morfologia fluviale dei corsi d’acqua non confinati e semiconfinati, si procede con

un’analisi di immagini telerilevate

La tipologia si basa sulla forma planimetrica:

1.Canale singolo

Rettilineo. L’indice di sinuosità (rapporto tra la lunghezza effettiva dell’asse del tracciato planimetrico e la

lunghezza rettificata del tratto) è inferiore ad 1.05 (BRICE, 1975; MALAVOI & BRAVARD, 2010); morfologia rara

in natura, che indica una situazione non naturale e, quando presente, generalmente non per tratti più lunghi di 10

volte la larghezza dell’alveo.

Sinuoso. A differenza dei rettilinei, gli alvei di tipo sinuoso hanno un indice di sinuosità superiore ad 1.05. Il valore

superiore comunemente più accettato, che separa i sinuosi dai meandriformi, è di 1.5 (LEOPOLD & WOLMAN,

1957).

Meandriforme. Si tratta di un alveo con una successione di meandri

Sinuoso a barre alternate : canale di magra sinuoso che scorre entro un ampio alveo di piena

2.Canali multipli

Wandering , alvei di transizione tra meandriformi e canali intrecciati

Canali intrecciati. Alvei con più canali separati da barre. Durante le piene le barre sono completamente sommerse

e l’alveo diventa monocursale.

Anastomizzato. Alvei a più canali separati da isole vegetate. Durante le piene le isole rimangono e l’alveo resta

pluricursale

Sinuoso. F. Vomano (TE). Foto P. Cornelini Meandriforme (Borneo). Foto C. Ceribelli

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Transizionale sinuoso a barre alternate. T. Avisio.

Val di Fassa (TN). Foto P. Cornelini

Alveo a canali intrecciati Cervinia (AO). Foto P.

Cornelini

La configurazione morfologica complessiva (o pattern morfologico) è riportata nella figura seguente.

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Morfologie fluviali e relazioni con i principali parametri di controllo.

(da RINALDI, 2003, modificato, ISPRA). R: Rettilineo; S: Sinuoso; M: Meandriforme; A: Anastomizzato;

SBA: Sinuoso a barre alternate; W: Wandering; CI: Canali intrecciati.

Per i corsi d’acqua semiconfinati o non confinati si possono aggiungere a fini descrittivi, quando riconoscibili, la

configurazione del fondo e le unità morfologiche.

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Trasporto solido e sedimenti del fondo

Il trasporto solido di un corso d’acqua naturale può essere suddiviso nei seguenti tipi:

- Trasporto solido al fondo: è costituito dai sedimenti che si muovono sul fondo o a bassa distanza da questo, come

elementi singoli o come movimento generalizzato di tutti i granuli di ogni dimensione. Seppure quasi sempre

quantitativamente inferiore rispetto a quello in sospensione, rappresenta una frazione molto importante del

trasporto totale perché direttamente connessa alle modificazioni morfologiche dell’alveo.

- Trasporto solido in sospensione: le particelle vengono sollevate dal fondo e vengono tenute in sospensione dalla

turbolenza della corrente, percorrendo tratti più o meno lunghi prima di ritornare al fondo. Per la maggior parte dei

fiumi costituisce la frazione più importante del trasporto solido totale. Questo tipo di trasporto solido è a sua volta

suddivisibile in due classi: il wash load (trasporto per dilavamento) ed il trasporto in sospensione in senso stretto. Il

primo rappresenta la porzione più fine del trasporto in sospensione (diametro inferiore a 0.064 mm, cioè a partire

dal limo), che ha origine dai versanti durante un periodo piovoso e si muove direttamente fino alle zone di

sedimentazione (quali laghi, zone palustri o mare), senza entrare a far parte del materiale del letto. Il trasporto in

sospensione s.s. al contrario può essere sedimentato nell’alveo stesso in zone o in periodi di minore capacità di

trasporto della corrente.

- Trasporto solido in soluzione: si tratta del trasporto di sostanze disciolte nell’acqua del fiume derivanti da

processi di dissoluzione delle rocce affioranti nel bacino. Può avere qualche importanza in corsi d’acqua che

drenano rocce solubili ma difficilmente rappresenta una frazione significativa del trasporto solido totale.

- Trasporto solido per flottazione (o fluitazione): è costituito prevalentemente da materiali legnosi (tronchi, rami)

galleggianti. In particolari regioni, può comprendere anche blocchi e frammenti di ghiaccio.

- Colate detritiche e di fango (debris flow e mud flow): si tratta del movimento di una massa di detriti o di fango

che, completamente imbevuta di acqua, si muove comportandosi essa stessa come un fluido avente una complessa

reologia di tipo non-newtoniano. Si tratta quindi di processi intermedi tra trasporto solido e movimenti di massa, i

quali avvengono generalmente lungo i tratti colluviali del reticolo idrografico.

Lo studio dei caratteri sedimentari di un alveo fluviale, ed in particolare delle granulometrie presenti sul fondo,

riveste una particolare importanza perché fornisce indicazioni sul tipo e sulle dimensioni del materiale coinvolto

nel trasporto solido. Le caratteristiche granulometriche dei sedimenti del letto variano anche notevolmente in senso

longitudinale e trasversale, sia procedendo da monte verso valle (per i processi di abrasione e di azione selettiva

della corrente ed in rapporto agli apporti laterali degli affluenti), che in relazione alle diverse unità morfologiche

che compongono l’alveo (canale, barra, riffle, pool, ecc.). In molti alvei fluviali il cui fondo è costituito da

sedimenti eterogenei sufficientemente grossolani (ghiaia, ciottoli), esiste inoltre una differenziazione

granulometrica anche in senso verticale dal momento che tende a svilupparsi un livello superficiale di dimensioni

granulometriche superiori rispetto al livello sottostante. Tale caratteristica del fondo prende il nome di

corazzamento: si distinguono uno strato superficiale corazzato (armour) ed un sottostrato (subarmour).

Trasporto solido in sospensione dopo un periodo

piovoso. Rio Torbido (VT). Foto V. Manzari

Trasporto solido in sospensione e per flottazione.

Cantone di Zurigo (CH). Foto P. Cornelini

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Sedimenti dominanti nell’alveo Per una più completa caratterizzazione morfologica, è necessario indicare il tipo di sedimenti dominanti presenti

nella porzione più attiva dell’alveo (canale e barre), scegliendo tra le seguenti classi granulometriche: Limo (0.002

mm < d < 0.0625 mm), Sabbia (0.0625 mm < d < 2 mm), Ghiaia (2 mm < d < 64 mm), Ciottoli (64 mm < d < 256

mm), Massi (d > 256 mm). Nel caso di sedimenti eterogenei, è possibile indicare più di una classe..

Ciottoli e ghiaia su un letto sabbioso. Foto P.

Cornelini

Ghiaia. Foto P. Cornelini

Dimensione mediana dei ciottoli. Foto P.

Cornelini

Massi. Briga (Francia). Foto P. Cornelini

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La presenza di ciottoli di origine vulcanica nel tratto di valle a dominanza di argille del bacino del Rio

Torbido (Bagnoregio, VT) indica il loro trasporto da monte. Foto P. Cornelini

Litologie dominanti nel tratto Vanno indicate le litologie dominanti nel bacino nel tratto considerato , ad esempio, calcaree, argillose, granitiche,

etc.

Indicatori di dinamismo idromorfologico La presenza nel tratto di sponde erodibili e/o depositi alluvionali permette, unitamente alla valutazione della

potenza specifica, una valutazione speditiva del dinamismo idromorfologico del corso d’acqua

Depositi alluvionali e sponde erodibili indicano un dinamismo idromorfologico che può favorire il recupero

spontaneo della geomorfologia del corso d’acqua. Foto P. Cornelini

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La portata dominante (bankfull) A causa dell’estrema variabilità dei livelli idrometrici e delle corrispondenti portate in una singola sezione di un

corso d’acqua naturale, è nata l’esigenza di definire una portata rappresentativa della forma e delle dimensioni

dell’alveo: nasce il concetto di portata formativa o dominante. I termini “portata formativa” (channel-forming

discharge) e “portata dominante” (dominant discharge) sono in genere usati come sinonimi, e si identificano con

quella portata che produce i maggiori effetti morfologici sulla forma e sulle dimensioni dell’alveo in un intervallo

di tempo sufficientemente ampio.

Esistono almeno tre approcci per calcolare la portata formativa o dominante (BIEDENHARN et al. 2001; SHIELDS

et al., 2003; SOAR & THORNE, 2011):

(1) portata ad alveo pieno (bankfull discharge);

(2) portata con un dato tempo di ritorno (generalmente 1.5 o 2 anni);

(3) portata “efficace” (effective discharge), corrispondente alla portata liquida a cui è associato il valore massimo di

portata solida media annua in un intervallo pluriennale (secondo WOLMAN &MILLER, 1960; ANDREWS,

1980).Questo approccio è quello preferibile in quanto si basa sui processi fisici che determinano la forma e le

dimensioni dell’alveo.

Ai fini pratici per una valutazione speditiva in campagna, conviene fare riferimento, ove riconoscibile, alla portata

ad alveo pieno (bankfull discharge).

Nel caso di alvei non confinati, l’identificazione del livello di bankfull coincide con quella della piana inondabile e

si basa sulla combinazione di tre tipi di evidenze:

(1) evidenza topografica, consistente nel passaggio ad una superficie pianeggiante (nel caso di presenza di barre di

meandro o laterali, in genere corrisponde alla loro sommità);

(2) evidenza tessiturale, consistente in una variazione della granulometria da sedimenti relativamente più grossolani

(che denotano trasporto solido al fondo) a sedimenti fini (tipici di decantazione associata a correnti di esondazione);

(3) evidenze vegetazionali, consistenti nella presenza di vegetazione diffusa e più matura.

Si noti che, nel caso di alvei incisi che non hanno ricostruito una nuova piana inondabile, il livello di bankfull si

identifica con la quota del terrazzo più basso. In questi casi, la portata ad alveo pieno può essere associata a tempi

di ritorno superiori a quelli che normalmente interessano una piana inondabile in un corso d’acqua in equilibrio e

non è correlabile con la portata formativa.

Nel caso di alvei confinati, l’identificazione del livello di bankfull è più problematica, dato che quasi sempre non è

presente una piana inondabile. In questi casi, le evidenze che vengono usate sono:

(1) quota massima delle barre presenti;

(2) limiti inferiori della vegetazione arborea e arbustiva;

(3) limite inferiore dei licheni (evidenza tuttavia ritenuta di minore attendibilità). Tutti questi indicatori

forniscono un limite inferiore per il livello di bankfull.

Nel caso di alvei con morfologie a canali intrecciati o transizionali (wandering), il livello ad alveo pieno presenta

maggiori difficoltà di identificazione, così come è discutibile il concetto stesso di portata dominante.

Alvei alluvionali stabili ove la portata formativa (Q 1-2 anni) coincide con quella a piene rive

(bankfull): T. Chiarino (AQ) a sinistra e Rio San Nicolò, Pozza di Fassa (TN) a destra. Foto P.

Cornelini

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Alvei instabili per incisione del fondo ove la portata formativa (Q 1-2 anni) non coincide con quella a

piene rive (bankfull). Si notano piccoli terrazzi e la posizione degli alberi , utili per valutare il livello

della portata formativa . Rio Torbido (VT) Foto V. Manzari

La posizione degli alberi segna un livello idrico in corrispondenza di una portata, che, in prima

approssimazione, può essere assimilata a quella dominante. Assergi (AQ) a sinistra e F. Aterno (AQ)

a destra. Foto P. Cornelini

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VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ ECOMORFOLOGICA

1.USO DEL SUOLO DEL TERRITORIO CIRCOSTANTE SPONDA

SX DX

Prevalenza di formazioni arboreo arbustive della serie autoctona 16 16

Prevalenza di formazioni erbacee autoctone 8 8

Prevalenza di usi agricoli, vegetazione sinantropica 4 4

Prevalenza di aree periurbane con spazi verdi 2 2

Prevalenza di aree urbanizzate con suolo impermeabile 1 1

Territorio con tipologie vegetazionali della serie

autoctona a destra e a sinistra della fiumara (ME)

Foto B. Lachat

Calanchi di Atri (TE) , con vegetazione della serie

autoctona a sinistra e uso agricolo a destra. Foto C.

Crocetti

Prevalenza di usi agricoli a destra e sinistra del F.

Tevere. Foto C. Ceribelli

Aree industriali sulla piana inondabile del Salinello

(TE). Foto C. Crocetti

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GEOMORFOLOGIA

2.CONTINUITA’ LATERALE E VERTICALE

a) Tratti di alveo semi e non confinati :

Totale spazio di mobilità laterale del corso d’acqua (processi di esondazione nella piana inondabile, anche

se di piccola entità, sponde erodibili ) con assenza di elementi artificiali (difese spondali , argini o strade )

e totale continuità verticale degli scambi tra acque superficiali e di falda

16

16

Discreto spazio di mobilità laterale: limitate difese spondali , argini o strade distanti dall’alveo; totale

continuità verticale

8 8

Ridotto spazio di mobilità laterale: estese difese spondali, argini o strade prossimi all’alveo; buona

continuità verticale (limitata presenza di rivestimenti permeabili)

4

4

Spazio di mobilità laterale assente: sponde completamente artificiali; ridotta continuità verticale (estesa

presenza di rivestimenti permeabili)

2 2

Spazio di mobilità laterale e verticale assente: alveo completamente artificiale (canalizzazioni,

rettificazioni, spostamenti alveo) con fondo impermeabile

1 1

b) Tratti di alveo confinati:

Totale continuità laterale tra versanti e alveo (assenza di elementi artificiali che alterino l’alimentazione

di sedimenti quali difese spondali, strade, barriere paramassi, etc.) e totale continuità verticale degli

scambi tra acque superficiali e di falda

16

16

Alveo non confinato su entrambe le sponde. Totale

continuità laterale e verticale. Val di Susa (TO).

Foto P. Cornelini

Alveo non confinato in sponda destra e confinato in

sinistra. Limitata continuità laterale sponda a

sinistra nella foto, totale continuità verticale Lillaz

(AO). Foto P. Cornelini

Limitate alterazioni alla continuità laterale tra versanti e alveo per presenza di elementi artificiali; totale

continuità verticale

8 8

Estese alterazioni alla continuità laterale tra versanti e alveo per presenza di elementi artificiali; buona

continuità verticale (limitata presenza di rivestimenti permeabili) 4

4

Totale alterazione della continuità laterale tra versanti e alveo per presenza di elementi artificiali; ridotta

continuità verticale (estesa presenza di rivestimenti permeabili) 2 2

Totale alterazione della continuità laterale e verticale ( fondo impermeabile) 1 1

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Alveo non confinato su entrambe le sponde.

Mancanza di continuità laterale per sponde

artificiali che impediscono ogni mobilità (anche se

vi sono cresciute le talee); totale continuità

verticale Val di Fassa (TN). Foto P. Cornelini

Alveo confinato su entrambe le sponde con totale

continuità tra versanti e alveo.

Moena (TN). Foto P. Cornelini

Negli alvei confinati la presenza di strade altera lo

scambio di sedimenti con i versanti. Gole di San

Venanzio (AQ). Foto P. Cornelini

Alveo confinato completamente artificiale con

fondo permeabile, Friuli. Foto P. Cornelini

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3.CONTINUITA’ LONGITUDINALE DELLE PORTATE SOLIDE ALVEO

Totale continuità longitudinale, con assenza o con presenza di effetto trascurabile, di opere con

intercettazione delle portate solide (dighe, briglie, casse in linea, ponti con luci strette, tombini), senza

evidenti differenze granulometriche tra monte e valle delle opere

16

Buona continuità longitudinale. Saltuarie opere con intercettazione delle portate solide 8

Limitata continuità longitudinale. Opere diffuse con intercettazione delle portate solide 4

Assenza di continuità longitudinale. Opere con totale intercettazione delle portate solide 1

Totale continuità longitudinale delle portate solide,

Cogne (AO). Foto P. Cornelini

Briglia di trattenuta aperta a funi. Buona

continuità longitudinale delle portate solide. Val

Pusteria (BZ). Foto F. Boccalaro

Briglie di consolidamento continue. Limitata

continuità longitudinale delle portate solide.

T.Fersina (TN). Foto P. Cornelini

Ponte a luci strette. Limitata continuità

longitudinale delle portate solide, Friuli. Foto P.

Cornelini

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4.MORFOLOGIA DELL’ALVEO E DEL SUBSTRATO ALVEO

c) Presenza delle morfologie attese nel tratto:

alvei alluvionali collinari montani : configurazione del fondo con unità morfologiche (gradinate,

riffle pool, etc.) coerenti con la pendenza media della valle

alvei alluvionali di pianura: tipologie planimetriche (sinuoso, meandriforme, a canali intrecciati,

etc.)

d) Substrato degli alvei alluvionali con naturale eterogeneità dei sedimenti del fondo ( non si valuta

in caso di fondo in roccia o sabbia né ove è impossibile osservarlo a causa della profondità)

16

Limitate alterazioni delle morfologie attese e del substrato (briglie, soglie, rampe, rivestimenti) 8

Estese alterazioni delle morfologie attese e del substrato 4

Alterazione totale delle morfologie attese e del substrato 1

Morfologia a gradinata, attesa in funzione della

pendenza della valle. Cervinia (AO). Foto P.

Cornelini

Morfologia a step pool coerente con la pendenza

della valle. Val di Fassa (TN). Foto P. Cornelini

Morfologie attese in pianura: alveo sinuoso con aree

umide all’esterno. Bosa (OR). Foto P. Cornelini

Morfologie attese in pianura: alveo meandriforme

con barre di deposito. F. Candigliano (PU). Foto

P. Cornelini

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Alterazioni delle morfologie attese e del substrato,

Friuli. Foto P. Cornelini

Alterazioni delle morfologie attese e del substrato

(TE). Foto C. Crocetti

REGIME IDRICO ALVEO

5.CONTINUITA’ LONGITUDINALE DELLE PORTATE IDRICHE

Assenza di alterazione della continuità longitudinale delle portate liquide (dighe, diversivi, scolmatori,

casse di espansione, immissioni artificiali, derivazioni per prelievi)

16

Presenza di alterazioni che modificano solo lievemente il regime idrico 8

Presenza di alterazioni che modificano significativamente il regime idrico 4

Presenza di regolazione delle portate, con il verificarsi di fenomeni di picchi improvvisi (hydropeaking) 2

Presenza di alterazioni complete del regime idrico, con determinazione di periodi di secca 1

Totale continuità longitudinale delle portate idriche

Cervinia (AO). Foto P. Cornelini

Diga a monte che determina la alterazione completa

delle portate idriche . Cervinia (AO). Foto P.

Cornelini

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QUALITA’ DELLE ACQUE ALVEO

6.LIVELLI DI INQUINAMENTO

Acque non inquinate 16

Acque leggermente inquinate 8

Acque inquinate 4

Acque fortemente inquinate 1

Acque fortemente inquinate. Foto P. Cornelini Acque non inquinate. F.Sagittario (AQ). Foto L.

Ruggieri

Dati ufficiali sullo stato di qualità delle acque superficiali sono reperibili presso i siti web delle Agenzie Regionali

di Protezione Ambientale (ARPA) o presso i siti delle singole Regioni. Per una prima valutazione della qualità

delle acque si può considerare l’eventuale presenza delle macrofite acquatiche (descritte nell’Allegato 1

dell’Indice di Funzionalità Fluviale, MANUALE IFF, 2007), quali indicatrici di carico organico.

VEGETAZIONE ( non si valuta nei tratti di alta montagna e in quelli con naturale assenza di vegetazione igrofila quali

alvei incassati o in secca ) SPONDA

7.VEGETAZIONE FASCIA RIPARIALE SX DX

a)Formazioni arboree ripariali autoctone (saliceti, ontaneti, pioppeti) 16 16

b)Formazioni arbustive ripariali autoctone (saliceti, cespuglieti igrofili), popolamenti elofitici, cariceti,

formazioni erbacee igrofile, formazioni arboree ripariali autoctone con presenze di specie sinantropiche

8 8

Incolti, prati pascoli, formazioni sinantropiche (robinieti, roveti , canneti ad Arundo donax, etc.) 4 4

Colture agrarie 2 2

Assenza di vegetazione 1 1

8.AMPIEZZA FASCIA RIPARIALE ( si valuta solo per 7a o 7b)

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona maggiore di 10 m. 16 16

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona 6 -10 m. 8 8

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona 3 -6 m. 4 4

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona ˂ 3 m 2 2

Assenza fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona 1 1

9.CONTINUITA’ FASCIA RIPARIALE ( si valuta solo per 7a o 7b)

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa > 90% della lunghezza 16 16

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa 60-90% della lunghezza 8 8

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa 30-60% della lunghezza 4 4

Fascia ripariale arborea o arbustiva autoctona estesa ˂30% della lunghezza 2 2

Assenza fascia arborea o arbustiva ripariale autoctona 1 1

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Per assenza naturale, in alta montagna, di vegetazione

funzionale igrofila, la componente vegetazione non

viene valutata. Cervinia (AO). Foto P. Cornelini

Formazioni a saliceti arbustivi nelle Dolomiti .

Passo S. Pellegrino Val di Fassa (TN). Foto P.

Cornelini

Fascia arboreo arbustiva del tratto collinare ampia e

continua. F. Biferno (CB). Foto V. Merola

Fascia arborea ripariale autoctona di pianura

ampia e continua F. Sangro (CH). Foto P.

Cornelini

Fascia arborea ripariale autoctona ridotta e

discontinua F. Aterno (AQ). Foto P. Cornelini

Assenza fascia arborea ripariale autoctona

Cervinia (AO). Foto P. Cornelini

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FAUNA ITTICA

10.HABITAT PER PESCI E CONTINUITA’ LONGITUDINALE ALVEO

Elevata presenza di aree di rifugio, di frega, e di ombreggiamento e totale continuità longitudinale

(assenza sbarramenti per la migrazione)

16

Buona presenza aree di rifugio, di frega, e di ombreggiamento e totale continuità longitudinale 8

Scarsa presenza aree di rifugio, di frega, e di ombreggiamento, ma totale continuità longitudinale 4

Assenza aree di rifugio, di frega e di ombreggiamento, presenza di sbarramenti superabili dall’ittiofauna 2

Assenza aree di rifugio, di frega e di ombreggiamento con presenza di sbarramenti che impediscono la

migrazione (assenza di continuità longitudinale)

1

Elevata presenza di ombreggiamento ed aree

rifugio con continuità longitudinale, F. Aterno

(AQ). Foto L. Ruggieri

Buona presenza di ombreggiamento ed aree rifugio

con continuità longitudinale, F. Aterno (AQ). Foto

L. Ruggieri

Scarsa presenza di ombreggiamento ed aree

rifugio con continuità longitudinale, T. Sponga

Canistro (AQ). Foto L. Ruggieri

Assenza di ombreggiamento ed aree rifugio con

presenza di briglie superabili dall’ittiofauna, T.

Sponga Canistro (AQ). Foto L. Ruggieri

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Assenza di ombreggiamento e presenza di briglia che impedisce la risalita dell’’ittiofauna. T. Mavone

(TE). Foto L. Ruggieri

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8. ELEMENTI DI PROGETTAZIONE NATURALISTICA PER IL RECUPERO

ECOMORFOLOGICO DEI CORSI D’ACQUA

Principi generali

Dopo le analisi preliminari tramite la scheda di valutazione ecomorfologica e la individuazione delle componenti

ecosistemiche dove è necessario intervenire per migliorare la qualità, vanno individuati gli interventi finalizzati

alla rinaturazione dei corsi d’acqua.

Questi vanno concepiti all’interno di una visione sistemica che comprende l’intero bacino idrografico e devono

prevedere la riqualificazione idromorfologica con il ripristino della connettività longitudinale, trasversale e

verticale ed ecologica per l’incremento di biodiversità e la connessione delle reti ecologiche.

Gli interventi sull'asta fluviale vanno, quindi, progettati secondo il principio che la diversità morfologica si traduce

in biodiversità, incrementando le aree di pertinenza del corso d'acqua e rifiutando la rettificazione e la

cementificazione dell'alveo; la vegetazione igrofila, in tale approccio, non va più considerata un ostacolo al

deflusso delle acque, ma una risorsa di interesse idraulico per la qualità delle acque e la protezione flessibile delle

sponde.

Va sottolineato come gli interventi di rinaturazione morfologica comportano comunque un aumento della stabilità

del corso d’acqua e possono , quindi, risolvere in molti casi i problemi di erosione spondale.

Il ripristino della continuità biologica longitudinale comporta la rimozione degli ostacoli alla migrazione dei pesci

ed al trasporto dei sedimenti a valle, nonché il ripristino delle fasce di vegetazione ripariale.

Per il ripristino della connettività longitudinale

vanno eliminati gli ostacoli alla risalita dei pesci ed

al trasporto dei sedimenti a valle. Foto P.

Cornelini

Rampa di risalita per pesci. Foto P. Cornelini

Il ripristino della continuità trasversale tra l’alveo principale e la pianura inondabile o i versanti comporta lo

spostamento o la eliminazione degli elementi artificiali (argini, difese spondali, strade, etc.) per ricreare le

condizioni necessarie alla mobilità laterale ed allo sviluppo della vegetazione ripariale e dei vari habitat igrofili.

Il ripristino della continuità verticale comporta l’eliminazione di ogni impermeabilizzazione del fondo per uno

scambio completo con la falda.

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Il rivestimento dell’alveo e le arginature impediscono la connettività verticale e trasversale con la pianura

inondabile. Foto P. Cornelini

Il corso d’acqua di riferimento è un corso d’acqua naturale che, nelle attuali condizioni del bacino idrografico, sia

privo di pressioni antropiche, tuttavia nella maggior parte dei casi si deve tenere conto dei vincoli spaziali,

normativi, economici e sociali.

Il fiume Tagliamento è considerato in molti tratti uno dei fiumi a miglior funzionamento ecomorfologico di

Europa. Foto L. Pellizzari

Per un buon funzionamento ecomorfologico il corso d’acqua deve mantenere, tramite le continuità logitudinale,

verticale e trasversale, una dinamica idromorfologica naturale con gli spazi di mobilità connessi ai processi di

erosione, trasporto e sedimentazione e relativa eterogeneità degli habitat igrofili (immagini seguenti):

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Depositi alluvionali mobili. Fiume Candigliano

(PU). Foto P. Cornelini

Sponde erodibili. Fiume Vomano (TE). Foto P.

Cornelini

Fascia ripariale evoluta e diversificata- Fiume

Sangro.( CH). Foto L. Ruggieri

Ecomosaici creati dal dinamismo fluviale.

Entracque (CU). Foto P. Cornelini

La diversità morfologica si traduce in diversità degli habitat, Fiume Aterno. Foto L. Ruggieri.

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Per la progettazione di alvei a seguito di interventi di rinaturazione, ad esempio, per demolizione di tratti

cementificati o canalizzati va fatto riferimento alla forma e all’andamento planimetrico dei morfotipi naturali

coerenti con il tratto di intervento. Di seguito sono riportate alcune indicazioni sullo spazio necessario per il

successo dell’intervento sia trasversale (spazio di libertà) che longitudinale (lunghezza minima ).

Spazio di libertà del corso d’acqua

E’ lo spazio necessario al corso d’acqua per svolgere la dinamica naturale e le sue funzioni. Secondo uno studio

svizzero (Heeb, 1997), ad esempio, per un alveo di 5 m di larghezza dovrebbe essere previsto uno spazio di libertà

di circa 30 m e per un alveo di 10 m uno spazio di almeno 50 m. Analogamente si riporta, a titolo di esempio, un

grafico riguardante la larghezza della fascia laterale, in funzione della larghezza dell’alveo (Linee guida per la

gestione dei corsi d’acqua svizzeri - 2003). Per determinare la larghezza complessiva della fascia, il valore del

grafico va moltiplicato per le due sponde e va aggiunta la larghezza dell’alveo.

Compatibilmente con i vincoli spaziali

ed economici

Puntare al massimo aumento

della qualità ambientale

Finalità del progetto di rinaturazione di un corso d’acqua

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Linee guida per la gestione dei corsi d’acqua svizzeri 2003

Secondo Adam, Debiais e Malavoi (Manuel de restauration hydromorfologique des cours d’eau - Agence de l’eau

Seine-Normandie, 2007) per raggiungere un obiettivo di rinaturazione significativo serve uno spazio da 2 a 10 volte

la larghezza dell’alveo di morbida attuale (bankfull), mentre per il pieno successo servirebbe uno spazio maggiore

di 10 volte.

Lunghezza minima dell’intervento

Per raggiungere gli obiettivi di rinaturazione, la lunghezza del tratto di intervento deve essere significativa. Nel

Manuel de restauration hydromorfologique citato sono proposti i seguenti valori del rapporto tra la lunghezza del

tratto di intervento e la larghezza del corso d’acqua:

tratto di lunghezza inferiore a 20 volte la larghezza dell’alveo: effetto solo locale

tratto di lunghezza tra 20 e 100 volte la larghezza dell’alveo: effetto di dimensioni che si avvicinano a

quelle pertinenti alla scala del corso d’acqua

tratto di lunghezza superiore a 100 volte la larghezza dell’alveo: effetto significativo rapportato alla scala

del corso d’acqua

Vale sempre, comunque, la regola di valutare la necessità o meno dell’ intervento in funzione del rischio e del

valore dei beni da conservare. Poiché da tutte le considerazioni precedenti emerge la fondamentale importanza

dello spazio, affinché il corso d’acqua esplichi al meglio le sue funzioni, e va valutato se il garantire uno spazio di

libertà al suo dinamismo, senza altri interventi, possa essere sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo della

rinaturazione, magari con lo spostamento di beni o infrastrutture a rischio (Adam P., Debiais N., Gerber F., Lachat

B., 2008).

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Livelli di ambizione degli interventi di recupero ecomorfologico

Per conservare o migliorare la qualità ecologica e morfologica di un corso d’acqua, partendo dai risultati della

Scheda di Valutazione speditiva per gli interventi di I.N. in ambiente idraulico (P. Cornelini, G. Sauli, L. Ruggieri,

2014) si può far propria la seguente filosofia di intervento (Adam, Debiais Malavoi, op. cit.):

Se la qualità è elevata vale l’opzione zero di non intervento; può essere sufficiente la conservazione con

eventuale acquisto di terreni per la potenziale mobilità del corso d’acqua, il coinvolgimento degli

agricoltori, etc.

Il gradiente di rinaturazione va da un numero limitato di funzionalità R1 a un massimo R3. Adam, Debiais

Malavoi, 2007

Se la qualità è buona (funzionamento morfo-ecologico buono con lievi elementi di degrado) sono

sufficienti azioni di protezione, mirate ad arrestare le alterazioni funzionali in corso, come ad esempio

sistemazione dei fenomeni erosivi incompatibili con il rischio idraulico, aumento dello spazio di mobilità

del corso d’acqua, migliore gestione della qualità delle acque, etc.

Se la qualità è degradata (da sufficiente a pessima) vanno previsti interventi relativi a tre livelli di

rinaturazione, corrispondenti a tre livelli di ambizione R1 R2 ed R3 (Adam, Debiais Malavoi, op.cit),

nella coscienza che raramente è possibile riportare il corso d’acqua alla situazione preesistente al disturbo

antropico, ma che è comunque sempre possibile intervenire almeno per il miglioramento di alcune

funzioni. Naturalmente la divisione tra i tre livelli è fittizia in quanto si tratta di un gradiente continuo da un

numero limitato di funzioni fino ad massimo possibile:

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Livello R1 In mancanza di spazio di allargamento della sezione, caso frequente in ambito urbano o periurbano, quindi

operando nella sezione attuale o leggermente aumentata (fino a circa due volte la larghezza della portata formativa

o di bankfull) l’obiettivo della rinaturazione è fortemente limitato ad una parte dell’ecosistema, essenzialmente la

fauna ittica. Si possono inserire nell’alveo attuale o leggermente ampliato strutture di diversificazione

morfologica e degli habitat: eliminazione parziale o totale delle briglie non superabili dai pesci e realizzazione di

rampe in massi, piccoli pennelli, piccole soglie, blocchi di massi o strutture in legno per zone rifugio per i pesci,

etc.

Va comunque previsto sulle sponde un miglioramento della vegetazione esistente con la piantagione di formazioni

arboree e/o arbustive e/o di vegetazione acquatica.

2000 2012

Esempi di interventi di livello di ambizione R1. Rio Fontanelle Cassino( FR): Rinaturalizzazione all’interno

dell’alveo artificiale di pianura con impossibilità di esproprio per realizzare una fascia igrofila ripariale.

Diversificazione morfologia = biodiversità. Foto P. Cornelini

Esperienze viennesi del Prof. Florineth . Tratto del

fiume Mödling (Vienna) prima dell‘intervento di

rivitalizzazione. Foto F. Florineth

Foto 1: Demolizione alveo cementificato. Foto F.

Florineth

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Tre mesi dopo la costruzione di repellenti con

tronchi e fascine orizzontali (a sinistra) e fascinata

longitudinale (a destra). Foto F. Florineth

Dopo 3 anni. Foto F. Florineth

Rampe per risalita pesci al posto di briglie demolite

Rio Vasura BZ

Rampe per risalita pesci al posto di briglie demolite

Rio Aurino BZ

Foto 2: Posa di blocchi per riqualificazione habitat per i pesci Rio Passirio BZ. Foto P. Cornelini

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Livello R2 In presenza di uno spazio di intervento da 2 a 10 volte la larghezza di bankfull, l’obiettivo di rinaturazione è più

completo e ambizioso e riguarda, oltre a quelle di R1, altre componenti dell’ecosistema, in particolare la

morfologia: eliminazione di eventuali tratti tombati, realizzazione di un leggero andamento sinuoso per un corso

d’acqua rettificato, riconnessione parziale del rapporto tra il corso d’acqua e le aree esondabili, piantagione di

formazioni ripariali arboreo-arbustive di spessori superiori a quelli di R1, etc.

Esempio di interventi R2 . La rinaturazione del F. Lavant (Austria)

Rivitalizzazione del Fiume Aurino presso Gais BZ: dall'alveo povero di strutture naturali (2000) al

paesaggio fluviale naturale (2013) a sinistra. Foto Provincia Autonoma di Bolzano – Ripartizione opere

idrauliche

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Livello R3

In presenza di uno spazio di intervento superiore a 10 volte la larghezza di bankfull, l’obiettivo di rinaturazione

ha il massimo di ambizione e riguarda, oltre agli interventi di R1e R2, la completa rinaturazione della morfologia

fluviale e delle funzioni del corso d’acqua con uno spazio di mobilità completo: soppressione o allontanamento

degli argini e riconnessione totale del rapporto tra il corso d’acqua e le aree esondabili, eliminazione delle difese

spondali e dei tratti rettificati dei meandri, piantagione di formazioni arboreo-arbustive della serie terrestre in spazi

esterni al corso d’acqua, etc.

Rinaturazione R3 de l’Aire a Ginevra (Svizzera). Foto P. Cornelini

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Rivitalizzazione del rio Mareta presso Vipiteno: immagini del 2005 e del 2013 a confronto. Sezioni degli

interventi .Fonte Provincia Autonoma di Bolzano – Ripartizione opere idrauliche. Anche se non si è

disposto di uno spazio superiore a 10 volte la larghezza di bankfull, può essere considerato uno dei più

interessanti esempi di rinaturazione in Italia.

Quindi, in sintesi, l’iter progettuale per il recupero ecomorfologico dei corsi d’acqua prevede:

analisi delle componenti ecosistemiche tramite la scheda di valutazione della qualità eco morfologica

individuazione, dall’esame dei valori quantitativi di ognuna, delle componenti ecosistemiche sulle quali

intervenire

valutazione della capacità di recupero spontaneo dei processi naturali geomorfologici

valutazione dello spazio di allargamento disponibile

valutazione del livello di ambizione nel contesto socioeconomico

identificazione degli interventi ricercando, il più possibile, il recupero della connettività longitudinale,

trasversale e verticale e l’aumento della biodiversità.

Si riportano, di seguito, alcuni interventi tipologici

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Interventi tipologici per il recupero ecomorfologico dei corsi d’acqua articolati per componente

ecosistemica

GEOMORFOLOGIA

Interventi nella parte alta del bacino, ove

necessario,, per la realizzazione di sistemazioni i

con morfotipi coerenti con le caratteristiche

idromorfologiche del corso d’acqua. Ricostruzione

morfologie a step pool. Valsugana (TN). Foto P.

Cornelini

Demolizione dei tratti cementificati per la

rivitalizzazione dell’alveo al fine della

ricostruzione della continuità trasversale e

verticale, dei corridoi ecologici e degli habitat

acquatici e terrestri

Tratto cementificato demolito del F.Tanagro

(SA), in fase di rinaturalizzazione spontanea.

Foto P. Cornelini

In presenza di spazio da riconsegnare al corso

d’acqua di larghezza inferiore a due volte circa

quella di bankfull: Realizzazione di habitat per la

fauna acquatica con massi, pennelli , etc.

Ampliamento limitato della sezione con

realizzazione di golene con tratti a minor battente

idrico per popolamenti elofitici,

Realizzazione di un tracciato sinuoso con sezioni

asimmetriche e sponde a pendenza variabile per

la massima diversificazione degli habitat

Lavori per l’aumento della biodiversità all’interno

dell’alveo del Rio Fontanelle (FR). Foto P.

Cornelini

In presenza di spazio da riconsegnare al corso

d’acqua di larghezza tra 2 e 10 volte quella

naturale del letto di bankfull:

Ricostituzione naturale dell’andamento naturale

sinuoso o meandriforme e dello spazio di mobilità

del corso d’acqua con eliminazione dei tratti

rettificati e/o canalizzati

Demolizione tratti rettificati F. Emmen (Svizzera)

per ripristinare un alveo libero alla mobilità.

Sullo sfondo un tratto da sistemare. Foto P.

Cornelini

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In presenza di spazio da riconsegnare al corso

d’acqua di larghezza superiore a 10 volte la

larghezza naturale del letto di morbida va valutata

la eliminazione degli ostacoli artificiali alla libera

divagazione anche con la demolizione di argini e

ricostituzione del totale spazio di libertà F. Ticino

(MI). Foto P. Cornelini

Realizzazione di isole per habitat vegetazionali e

faunistici (VE). Foto P. Cornelini

Al posto del tradizionale intervento di manutenzione con disalveo a 45° su entrambi i lati ed

eliminazione della vegetazione ripariale, ampliamento della sezione idraulica su di un lato per volta , a

tratti alternati, con salvaguardia della vegetazione preesistente, economia dei costi per il

consolidamento e accentuazione della meandrizzazione del tracciato, Rio Rilate (AT). Foto V. Fiore

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REGIME IDRICO

Realizzazione di savanella di magra nel caso di

portata scarsa e intermittente per concentrare le

acque per il mantenimento degli habitat igrofili

Acque concentrate in un alveo di magra. Rio Inferno

Cassino (FR). Foto P. Cornelini

In presenza di forti riduzioni della portata va

ricontrattato un maggior rilascio idrico.

F.Candigliano PS. Foto P. Cornelini

QUALITA’ DELLE ACQUE

Realizzazione di fasce tampone di almeno 5 m a

lato delle rive per intercettare i nutrienti percolati

dalle aree agricole. F. Reno (BO). Foto P.

Cornelini

Trattamento dell’inquinamento puntiforme con

impianti di fitodepurazione:.

Impianto di fitodepurazione multistadio -

Pettorano sul Gizio (AQ). Foto L. Ruggieri

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VEGETAZIONE

In presenza di vegetazione ripariale autoctona

discontinua e/o presenza di specie legnose non

autoctone: piantagione di specie autoctone arboree

e arbustive con controllo e/o eliminazione delle

specie legnose non autoctone, Fascia ripariale

discontinua F. Sangro (CH). Foto L. Ruggieri

In assenza di vegetazione ripariale autoctona

e presenza di specie non autoctone, queste

vanno eliminate e vanno realizzate fasce di

vegetazione ripariale arborea continue di

spessore almeno di 10m .Robinie , ailanti e

canneti ad Arundo donax lungo le rive del

F.Aniene , Roma. Foto P. Cornelini

Conservazione di fasce di salvaguardia della

vegetazione erbacea lungo i piccoli corsi d’acqua

svedesi. Foto P. Cornelini

Realizzazione di tipologie vegetazionali della

serie terrestre sopra i terrazzi alluvionali, F.

Ticino. Foto P. Cornelini

Interventi di manutenzione idraulica della fascia

ripariale secondo il DPR 14 aprile 1993

conservando le specie legnose sopra la q30.

F.Foglia (PU). Foto P. Cornelini

FLa manutenzione della vegetazione ripariale

deve prevedere il taglio dei fusti oltre 4-5 cm

di diametro per mantenerne l’elasticità. I

diametri superiori sono rigidi, durante le

piene si spezzano e si fermano al primo ponte,

provocando esondazioni Depositi legnosi sul

F. Aniene dopo Subiaco (RM). Foto P.

Cornelini

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FAUNA

Introduzione in alveo di grossi detriti legnosi,

(Large Woody Debris) necessari per

incrementare la diversità morfologica e garantire

alla fauna ittica zone di rifugio dai predatori e

dalle piene. Foto L. Ruggieri

Realizzazione di tane per pesci: nel laghetto di

Pettorano sul Gizio (AQ). Foto L. Ruggieri

Al posto delle briglie in cemento, in molti casi si

possono realizzare rampe in pietrame per la

risalita dei pesci. F.Tanagro (SA). Foto P.

Cornelini

Conservazione dei tratti erosi esistenti per

habitat faunistici ad eccezione delle situazioni di

rischio per le attività antropiche. Per alcune

specie ornitiche tipiche dell’ambiente fluviale,

quali il topino ed il martin pescatore, sono

necessarie pareti verticali stabili, non ricoperte

da arbusti.. F. Vomano (TE). Foto L. Ruggieri

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9. IDRAULICA APPLICATA ALLA RINATURAZIONE DEI CORSI D’ACQUA

Nella progettazione di un intervento di ingegneria naturalistica in ambito idraulico vanno valutate insieme

problematiche di tipo ingegneristico e naturalistico.

Per quelle naturalistiche valgono le considerazioni sviluppate nei capitoli precedenti, mentre per quelle di tipo

ingegneristico vengono di seguito presentate alcune situazioni tipologiche nelle quali si può imbattere il progettista,

richiamando alcuni concetti fondamentali di idraulica applicata ai corsi d’acqua naturali e rimandando ai testi

specialistici per gli approfondimenti.

In particolare vengono affrontate, le principali problematiche relative ai parametri idrici nel caso semplificato di

moto uniforme e, successivamente, nella seconda parte, viene trattata la verifica della resistenza all’erosione degli

interventi di protezione spondale.

Moto permanente e moto uniforme

Moto permanente

Il moto permanente è quello che si osserva nei corsi d’acqua naturali nei tratti con portata costante nel tempo. La

velocità, la altezza idrica e la pendenza del fondo sono costanti nel tempo in una certa sezione, ma non in tutto il

tratto ove la sezione idraulica può variare.

Le correnti permanenti possono essere uniformi e variate:

gradualmente variate quando la altezza del pelo libero e, quindi, la sezione, cambia lentamente (rigurgito di

una soglia in corrente lenta)

rapidamente variate quando la altezza del pelo libero cambia rapidamente (salto di fondo, risalto idraulico)

Copertino, Masi, Mirauda . Idraulica fluviale. Università della Basilicata

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Corrente permanente varia : RVF rapidamente varia, GVF gradualmente varia

Copertino, Masi, Mirauda . Idraulica fluviale. Università della Basilicata

Moto permanente a portata costante , ma con variazioni della sezione idraulica. Foto P. Cornelini

Il moto uniforme

In molti dei casi pratici di applicazione si può fare riferimento alla condizione di moto uniforme, cioè di un moto

permanente (caratterizzato da una portata costante) con velocità, sezione e pendenza del fondo costanti nel tratto

interessato e con il pelo libero parallelo al fondo.

Questa condizione oltre che per i canali artificiali, vale anche per i corsi d’acqua naturali in tratti quasi rettilinei,

privi di variazioni della sezione e della pendenza del fondo, senza ostacoli (soglie, pile di ponti , etc.) e senza

immissioni o sottrazioni di portata.

In questa situazione vale l’equazione di continuità

Q= v A

v velocità media (m/s)

A sezione idraulica (mq)

La v può ricavarsi dalla formula di Gauckler Strickler

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v = K R⅔ i

½

con K indice di scabrezza di Strickler (m⅓/s)

R raggio idraulico = A/C (m)

A sezione idraulica (mq)

C contorno bagnato (m)

i = pendenza longitudinale del fondo

Nel caso di alvei montani si può utilizzare per la scabrezza la formula di Strickler (1923) con d50 diametro mediano

dei granuli che formano l’alveo:

K= 26/d50 1/6

nel caso di alvei sabbiosi vale K=10

Nei testi è frequente trovare la formula della velocità con K = 1/n con n coefficiente di Manning relativo alla

scabrezza dell’alveo per cui

v = (1/n) R⅔ i ½

Le due formule sono equivalenti. Quella di Manning rende più immediata la comprensione del fenomeno fisico

della riduzione della velocità per un aumento della scabrezza, in quanto pone la scabrezza al denominatore.

Fiume Tevere a Roma con un moto idraulico assimilabile a uniforme. Foto P. Cornelini

I parametri idraulici del moto uniforme

Nella formula di Gauckler Strickler o di Manning compaiono vari parametri che concorrono al valore della portata

velocità e della portata:

geometrici dovuti alla forma ed alle dimensioni della sezione trasversale: R, A

topografici: i

indicatori della scabrezza dell’alveo : n o K = 1/n

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La scabrezza

La scabrezza è il parametro idraulico più difficile da valutare e quello che incide maggiormente sulla velocità e,

quindi, sulla portata, ad esempio :

aumentare del 30% la pendenza, con gli altri parametri invariati, comporta un aumento della velocità del

14%

aumentare del 30% il raggio idraulico, con gli altri parametri invariati, comporta un aumento della velocità

del 19%

aumentare del 30% il coefficiente di scabrezza di Strickler , con gli altri parametri invariati, comporta un

aumento della velocità del 30%

Corso d’acqua a forte scabrezza per la vegetazione in alveo. Foto P. Cornelini

La presenza di vegetazione in alveo pone alcuni classici problemi di potenziale interferenza con il deflusso delle

acque.

Da una parte la vegetazione aumenta la resistenza delle sponde nei confronti delle sollecitazioni idrauliche,

dall’altra aumenta il coefficiente di scabrezza e riduce la sezione di deflusso con possibile interferenza negativa,

specie nelle sezioni medio-piccole.

Ne deriva che, in molti casi, per intervenire efficacemente con le tecniche di sistemazione naturalistica è necessario

adottare una strategia di ampliamento delle sezioni con la riappropriazione degli spazi golenali.

In tabella 4 sono riportati i valori dei coefficienti di scabrezza per i corsi d’acqua naturali.

Il problema principale nella valutazione della scabrezza dell’alveo nelle situazioni reali è quello di dover

considerare una sezione di deflusso a geometria composta e rivestita da materiali a scabrezza differente.

I metodi proposti in letteratura per il calcolo della scabrezza della sezione si riconducono essenzialmente alla

suddivisione della sezione trasversale in subsezioni e ad un’operazione di media pesata delle scabrezze di ciascuna

subsezione. (Chow, 1959, Armanini, 1999).

Tra i metodi più diffusi il metodo di Lotter e di Einstein Horton

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Tipo di alveo Coefficiente di Strickler ks

[m1/3

s –1

] Corsi d’acqua naturali (tirante idrico < 3.5m)

Corsi d’acqua con ciottoli e ghiaia. 35 Corsi d’acqua di pianura puliti, rettilinei, in piena senza scavi

localizzati. 33 (4030)

Corsi d’acqua con alveo mobile o in roccia con sporgenze. 30 Corsi d’acqua di pianura puliti, rettilinei, con sassi e sterpaglia. 29 (3325) Corsi d’acqua montani, senza vegetazione in alveo, sponde ripide,

alberi e cespugli lungo le sponde sommergibili durante le piene con

fondo in ghiaia, ciottoli e massi sparsi.

25 (3320)

Corsi d’acqua di pianura puliti, ondulati con buche e banchi 25 (3022) Corsi d’acqua di pianura puliti, ondulati con buche, banchi, cespugli e

pietre. 21 (2917)

Corsi d’acqua montani, senza vegetazione in alveo, sponde ripide,

alberi e cespugli lungo le sponde sommergibili durante le piene con

fondo in ciottoli e massi grossi.

20 (2514)

Torrenti di montagna con letto irregolare e con grossi massi. 1712 Corsi d’acqua di pianura in tratti lenti, con sterpaglia e buche

profonde. 14 (2012)

Corsi d’acqua di pianura in tratti molto erbosi, con grossi arbusti,

cespugli e buche profonde. 10 (137)

Tab.21: Coefficiente di scabrezza ks per la formula di Gauckler-Strickler o Manning (ks = 1/n) per i corsi

d’acqua naturali - Manuale sistemazioni idrauliche Regione Lazio

Calcolo della portata di progetto e del livello idrico

Il primo problema del progettista di un intervento di sistemazione idraulica, è quello di valutare la portata della

piena di riferimento ed il relativo livello idrico.

Quando si fanno i sopralluoghi e si misura un certo livello quasi mai questo rappresenta la portata della piena di

riferimento. Ciò vale particolarmente nei corsi d’acqua mediterranei ove le oscillazioni tra il livello di magra e

quello di piena sono molto pronunciate, fino al limite delle fiumare, in secca per la maggior parte dell’anno.

La portata di piena con un determinato tempo di ritorno può essere valutata con il metodo razionale.

Le piene di riferimento per gli interventi di rinaturazione e ingegneria naturalistica sono essenzialmente due:

la portate di piena di riferimento per la sicurezza idraulica

Serve per la progettazione delle opere idrauliche con tecniche di ingegneria naturalistica in quanto

contiene l’informazione della possibile esondazione e interferenza con le infrastrutture (altezza di un

ponte), oltre a determinare la forza erosiva dell’acqua tramite la tensione di trascinamento.

I valori individuati nei vari Piani delle Autorità di Bacino fanno riferimento a tempi di ritorno di circa 100-

200 anni nelle aree a rischio di esondazione ex DL 180/98; in tal caso sicuramente l’opera progettata sarà in

grado di resistere a eventi di notevole intensità, ma se questo investimento economico ha senso, ad

esempio, per un ponte, risulta sicuramente sovradimensionato per un opera viva su un corso d’acqua

secondario e nelle aree di bonifica per la quale possiamo ipotizzare un ciclo di vita dell’ordine di decenni,

valutando un tempo di ritorno di circa 15-25 anni, in funzione delle norme vigenti.

Il livello idrico trentennale (Q30) viene riportato nel D.P.R. 14 aprile 1993 con riferimento agli interventi

di manutenzione idraulica negli alvei. Secondo tale decreto sarebbero da rimuovere dalle sponde e dagli

alvei attivi le alberature di ostacolo al regolare deflusso presenti al di sopra del livello di piena trentennale,

“tenuto conto della loro influenza sul regolare deflusso delle acque, nonché di quelle pregiudizievoli per la

difesa e conservazione delle sponde salvaguardando, ove possibile, la conservazione dei consorzi vegetali

che colonizzano in modo permanente gli habitat riparii e le zone di deposito alluvionale adiacenti,

prevedendo al tempo stesso la rinaturazione delle sponde, intesa come protezione al piede delle sponde

dissestate od in frana con strutture flessibili spontaneamente rinaturtabili; il restauro dell'ecosistema

ripariale, compresa l'eventuale piantagione di essenze autoctone"

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Torrente But (UD) in piena. Foto L. Berghen

Un limite all’uso delle piante vive, oltre a quello della resistenza all’erosione, è di natura biologica. Anche in

acque calme le piante, se vengono sommerse per un periodo superiore a 7 giorni, muoiono per asfissia,

F.Aniene (RM). Foto P. Cornelini

la portata formativa, la più importante per gli interventi di rinaturazione, in quanto quella che ha i

maggiori effetti sulla forma, dimensioni e stabilità dell’alveo: è quella di frequenti e relativamente piccole

piene con relativo trasporto solido, con un tempo di ritorno compreso tra 1 e 2 anni, piuttosto che di grandi,

ma infrequenti eventi. Negli alvei alluvionali stabili tale portata si identifica con quella ad alveo pieno

(“bankfull discharge”) ed il livello corrisponde alla quota della piana inondabile, mentre nelle situazioni,

di assenza di tale riferimento morfologico, come migliore approssimazione si può considerare la portata

con tempo di ritorno di 1,5 anni .

La portata formativa è usata comunemente come portata di progetto per la rinaturazione dei corsi d’acqua

(USDA 2007), in particolare degli alvei con rivestimento artificiale o canalizzati, laddove sia possibile

ricollegare il corso d’acqua alla piana inondabile per la connessione trasversale.

Il livello di bankfull risulta altresì utile per individuare il livello idrico inferiore di posizionamento delle

piante vive negli interventi di ingegneria naturalistica (USDA 1996).

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Sezione di bankfull Val San Nicolò Pozza di Fassa (TN). Foto P. Cornelini

Metodi speditivi per l’individuazione dei livelli di piena tramite osservazioni di campagna

Dai segni lasciati dalla piena sulle sponde (sacchetti di plastica, residui vegetali, etc.) si può individuare il livello

raggiunto dalla piena transitata. Resta il dubbio di quanto tempo sia passato dall’evento e quindi del tempo di

ritorno.

Sacchetti di platica sul Fiume Aniene a Roma indicano il livello raggiunto dalla piena. Foto P. Cornelini

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La valutazione del livello e conseguentemente della portata di piena può essere effettuato anche con metodologie

che fanno riferimento alle tecniche di ricostruzione paleoidrologica in base ai segni lasciati dalla piena stessa.

Tali metodi non possono dare risultati precisi, ma valgono certamente per una stima dell’ordine di grandezza. M.

Cesca e V. D’Agostino hanno confrontato con tali metodi i picchi di piena stimati e quelli misurati e hanno

concluso che i valori stimati sono ragionevoli e si collocano tra l’ordine di grandezza ed il dato puntuale. (M.

Cesca e V. D’Agostino Ricostruzione delle portate di piena mediante indicatori di campo: analisi comparata di

alcuni torrenti della provincia di Belluno)

Dalle dimensioni del masso rilasciato dalla piena a monte della soglia si può risalire alla velocità della

corrente. T. Chiarino (AQ). Foto P. Cornelini

Utili indicazioni per individuare il livello della portata formativa possono trarsi dalla posizione inferiore in alveo di

alberi o arbusti igrofili. Da uno studio (tesi Vito Manzari Università della Tuscia, sito web Regione Lazio) è

emerso che, effettivamente, sembra esistere un legame tra la posizione degli alberi igrofili, in particolare Salix alba,

e la portata annuale e quella di bankfull (vedi figura sotto ex tesi Vito Manzari).

Relazione tra la posizione degli alberi in alveo e le piene- ex tesi Vito Manzari Università della Tuscia

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10. LA SISTEMAZIONE DEGLI ALVEI INSTABILI

Le indicazioni fornite in questa seconda parte rappresentano un approccio di tipo prevalentemente qualitativo alle

analisi e alle sistemazioni di alvei instabili: data la variabilità e difficoltà di definizione dei parametri in gioco,

vanno considerate un primo inquadramento delle problematiche progettuali, alla cui soluzione dovranno

concorrere, con ulteriori approfondimenti, gli esperti delle varie componenti ecosistemiche.

La instabilità degli alvei

Un alveo si può definire stabile, o meglio in equilibrio dinamico con riferimento alla scala temporale degli ultimi

10 -15 anni circa se, pur eventualmente modificando il proprio tracciato in maniera graduale, mantiene mediamente

invariata la sua forma e le sue dimensioni caratteristiche (larghezza e profondità della sezione, pendenza,

dimensione dei sedimenti). Al contrario un alveo si può definire instabile quando, in riferimento alla stessa scala

temporale, varia significativamente le sue dimensioni o la sua forma. (Rinaldi e Surian, 2002).

Stream Channel Stability”: ability of a stream, over time, in the present climate, to transport the sediment and

flows produced by its watershed in such a manner that the stream maintains its dimension, pattern, and profile

without either aggrading or degrading (Rosgen, 1996).

“Regime Channels”: Some erosion and deposition but no net change in dimension, pattern, and profile (Hey,

1997).

Un corso stabile con fascia di vegetazione densa e in contatto con una ampia piana inondabile è, quindi, in grado

di smaltire la portata idrica e di trasportare i sedimenti da monte a valle del bacino con limitate erosioni o depositi

che non comportino cambiamenti netti nelle suo andamento planimetrico, dimensioni della sezione e profilo

longitudinale.

L’esistenza di tratti estesi incisi o con sponde in forte erosione può essere messa in relazione alla alterazione

dell’equilibrio dinamico geomorfologico del corso d’acqua.

Tale equilibrio può venir meno per cause naturali o antropiche alle quali reagisce con erosione, deposito e

cambiamenti nella sezione e planimetria, alla ricerca di un nuovo equilibrio, con modifiche che possono estendersi

per lunghi tratti.

Capire le cause e i meccanismi dell’instabilità, a scala di bacino o locale, è fondamentale per la individuazione

delle soluzioni progettuali.

I fattori responsabili dell’instabilità possono essere (ISPRA)

naturali (variazioni climatiche ed idrologiche, movimenti tettonici, variazioni del livello del mare, ecc.)

generalmente lentissimi, ad eccezione di quelli catastrofici (es. eruzioni vulcaniche)

antropici, generalmente rapidi, da distinguere in due gruppi:

- a) a scala di bacino (rimboschimenti, disboscamenti, sistemazioni idraulico-forestali,

urbanizzazione);

- b) diretti in alveo (tagli di meandro, canalizzazioni, dighe, escavazione di inerti).

Dissesto di strada forestale: la causa? L’acqua, ma….

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Una prima causa della presenza

dell’acqua sul rilevato sta

nell’occlusione del tombino, che non è

stato più in grado di smaltire la portata

della cunetta da monte, ma la vera causa

sta 400 m a monte

La portata idrica che ha provocato il dissesto

della strada a valle proviene da questo piccolo

corso d’acqua, 400 m. a monte, che confluiva in

un tombino e, tramite tubazione sotto la strada,

veniva smaltito nel versante.

L’occlusione del tombino ha deviato il corso dell’acqua incanalandolo verso valle e

provocando il danno al rilevato stradale 400 m sotto! Val Chiarino (AQ). Foto P. Cornelini

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici in atto, il Dipartimento per l’ambiente e agricoltura del Regno Unito

(DEFRA 2006) consiglia di adottare per bacini superiori a 5 Kmq un incremento delle portate di picco del 10% fino

al 2025 e del 20% per il periodo 2025-2115. Per bacini inferiori un incremento delle portate di picco del 5% fino al

2025 e del 10% per il periodo 2025-2055, del 20% per il periodo 2055-2085 e del 30% per il periodo 2085 -

2115(D’Agostino, 2012).

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La bilancia di Lane

Nell’alveo non transita solo acqua, ma un fluido bifasico di acqua e sedimento e l’interpretazione dei processi reali

non può quindi prescindere da questa complessità.

La bilancia di Lane è uno dei modelli più usati per valutare, anche se solo qualitativamente, l’equilibrio di un corso

d’acqua: il sistema tende a riportarsi, a seguito di una perturbazione, in una situazione di equilibrio in modo che le

variazioni della portata liquida e della pendenza siano bilanciate da variazioni della portata solida e delle

dimensioni del sedimento e viceversa:

Q S ≈ QS D50

Ove (Vide, 2003):

Q portata liquida formativa (mc/sm), per larghezza unitaria di alveo

S pendenza longitudinale del fondo (m/m)

Qs portata solida per larghezza unitaria di alveo (mc/sm), rappresenta l’alimentazione solida da monte

D50 diametro mediano dei sedimenti del fondo (m) cioè la dimensione del setaccio ove passa il 50% in numero o

peso del campione .

La bilancia di Lane vale per tratti di alvei alluvionali , costituiti da sedimenti che possono essere erosi, trasportati e

sedimentati; non vale per gli alvei in roccia.

La bilancia di Lane (disegno di O. Iacoangeli)

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Se si moltiplica il primo termine della relazione di Lane QS per γ (N/m3) peso specifico

dell‘acqua, si ha:

ω = γ Q S (W/mq) che corrisponde alla potenza specifica della corrente , cioè alla potenza per unità di larghezza

dell’alveo

Bull (1979) ha ipotizzato che i processi dominanti nelle porzioni diverse di un bacino idrografico (erosione del

fondo, erosione laterale, sedimentazione) dipendano dal rapporto tra potenza della corrente (stream power)

disponibile per trasportare sedimenti e potenza critica (critical power), la quale rappresenta la soglia di innesco

del trasporto solido. Secondo tale modello (figura sotto ), le zone di testata delle porzioni montane del bacino sono

caratterizzate da una potenza disponibile generalmente superiore alla potenza critica e il processo dominante è

rappresentato dall’erosione del fondo, mentre nelle zone di bassa pianura la potenza disponibile è inferiore a

quella critica, di conseguenza la sedimentazione diventa il processo dominante (ISPRA).

Diagramma schematico del rapporto tra potenza e potenza critica della corrente (modificato da

BULL, 1979) (ISPRA)

Un tratto di un corso d’acqua è in equilibrio e quindi stabile, quando la sua potenza è sufficiente a trasportare a

valle la quantità e dimensione dei sedimenti provenienti da monte : se la potenza della corrente è inferiore a quella

necessaria c’è deposito, se è maggiore c’è erosione.

La equazione di Lane è quindi utile per valutare le risposte di un alveo alle modifiche naturali o artificiali. Se

l’equilibrio viene alterato il sistema tende a ritrovarlo.

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Se una rettifica di un corso a meandri aumenta la pendenza (+) , ma la portata idrica e le dimensioni dei materiali

restano costanti (0) ne deriva che per l’equilibrio deve aumentare QS :

Q0 S

+ ≈ QS

+ D

050

L’aumento di portata solida deriva dall’erosione dell’alveo che nel lungo termine comporterà una riduzione della

pendenza

Analogamente se uno sbarramento riduce la pendenza, senza modificare la portata idrica e le dimensioni dei

materiali, il sistema reagisce con la riduzione del trasporto solido , con il deposito

Q0 S

- ≈ QS

- D

050

A valle dello sbarramento la portata idrica e le dimensioni dei materiali non mutano ma , essendo diminuita

l’alimentazione da monte , il sistema reagisce con la incisione dell’ alveo che porterà ad una riduzione della

pendenza verso un nuovo equilibrio

Q0 S

- ≈ QS

- D

050

I rimboschimenti e le sistemazioni idraulico-forestali sono fondamentali per ridurre la erosione e il

rischio idraulico a valle (Castelluccio di Norcia (PG) a sinistra e Alto Adige Sud Tirol a destra. Foto P.

Cornelini); tuttavia, nei torrenti di scavo, limitando la portata solida da monte rispetto all’energia

idrica, possono favorire la incisione.

La riduzione della pendenza provoca la sedimentazione. Val Canale (UD) a sinistra e Foto Cervinia

(AO) a destra. Foto P. Cornelini

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A monte degli sbarramenti, durante le piene, si

creano depositi. Secondo la bilancia di Lane a

valle diminuisce la portata solida e l’alveo si

incide. Rio Torbido (VT). Foto V. Manzari

A valle di una diga si annulla il trasporto solido e

diminuisce la portata liquida. Secondo la bilancia

di Lane nel primo caso viene favorita l’incisione

mentre, nel secondo, la sedimentazione. Di questi

due effetti contrastanti prevale l’effetto del primo

fattore con l’incisione a valle. Valgrisenche (AO).

Foto P. Cornelini

La riduzione della pendenza a monte provoca la

sedimentazione. A valle la riduzione del trasporto solido e

delle sue dimensioni provoca erosione F. Tordino (TE).

Foto C. Crocetti

Foto 3: Un aumento di portata idrica

provoca ulteriore erosione

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Un tratto con alveo di sedimenti più fini di quelli di monte,

a pari pendenza e portata, viene eroso.

Quando la potenza è superiore a quella

necessaria a trasportare i sedimenti di

monte si ha erosione Secondo il

principio di selezione di Conti, questa

inizia dai materiali più piccoli.

Anche se la portata solida da monte è inferiore alla

capacità di trasporto del tratto non è detto che si

verifichino erosioni. Se l’alveo presenta sul fondo

materiali di dimensione superiore a quelle che la

corrente è in grado di mobilitare o è protetto

artificialmente, la erosione non si esercita. Nelle

sequenze a rapide o step pools l’eccesso di energia

viene dissipato e il fondo è relativamente stabile.

Quando l’incisione ha scavato talmente il fondo

alveo da impedirne l’esondazione nella piana

superiore, il processo erosivo si esalta per l’aumento

dell’ altezza del pelo libero, Valle del Chiarino (AQ).

Foto P. Cornelini

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I depositi creano un aumento della pendenza. Rio

Torbido (VT). Foto V. Manzari

La erosione provoca una riduzione della

pendenza. F. Vomano (TE). Foto L. Ruggieri

Un allargamento dell’alveo favorisce i depositi con aumento di pendenza, un restringimento favorisce la

erosione con riduzione di pendenza. F. Fella (UD). Foto P. Cornelini

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La incisione degli alvei

Le variazioni altimetriche del fondo, dovute alla dinamica verticale, possono essere interpretate tramite la bilancia

di Lane che mostra come un aumento della potenza della corrente (portata idrica per pendenza) o una riduzione

della portata solida o delle dimensioni granulometriche dei sedimenti che proteggono il fondo, possono causare una

incisione del fondo alveo (incision o degradation). L’incisione ha per conseguenza:

l’abbassamento del fondo con la disconnessione del corso d’acqua dalla piana inondabile e la scomparsa

degli habitat igrofili, la instabilità delle sponde, lo scalzamento del piede dei versanti e delle fondazioni

delle infrastrutture

l’abbassamento della falda con alterazione delle condizioni ecologiche delle fitocenosi igrofile e

l’abbassamento del livello dei pozzi

la banalizzazione della varietà delle unità morfologiche esistenti

Frederic Church 1859. Hearth of Andes. Metropolitan Museum New York. Foto P. Cornelini

Le cause a scala di bacino dell’incisione ,oltre alle modifiche nell’uso del suolo quali impermeabilizzazioni, etc.,

possono essere ricondotte essenzialmente (Monaci M., Schipani I., Sansoni G., Boz B.- Incisione dell’alveo - CIRF

Riqualificazione fluviale n. 3.2 2010) , a interventi antropici in alveo:

interruzione della continuità longitudinale del trasporto solido causate da sbarramenti trasversali (dighe,

briglie) o opere spondali (argini, consolidamenti ) che interrompono l’afflusso dei sedimenti dai versanti

e dalle sponde

estrazione di inerti in alveo che comporta erosione a monte e a valle del tratto

rettificazioni con aumento della pendenza e della velocità

forti incrementi di portata per rilasci (hydropeaking).

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L’incisione tende a spostarsi verso monte

attraverso il meccanismo di erosione

regressiva (nickpoint migration) . Gran Canon

Arizona. Foto P. Cornelini

Nickpoint di erosione regressiva. Valle F. Torbido

(VT). Foto V. Manzari

Nickpoint di erosione regressiva. Monument Valley, Arizona USA. Foto P. Cornelini

Opere trasversali che trattengono i sedimenti provocano la ripresa dell’incisione a valle. A sinistra Val

Grisenche (AO) e Val Canale (UD) a destra. Foto P. Cornelini

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Opere di protezione spondale rigide impediscono(temporaneamente) l’erosione in curva , ma anche

l’afflusso a valle dei sedimenti dal versante, Val Canale (UD). Foto P. Cornelini

L’artificializzazione dell’alveo provoca un aumento della velocità dell’acqua e, quindi, dell’erosione.

Foto P. Cornelini

Rilasci improvvisi causano incrementi notevoli di portata. Fiume Candigliano (PU). Foto P. Cornelini

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I processi di erosione a scala locale (local scour o fill) sono limitati a brevi tratti e possono essere riferiti a:

presenza di una briglia a monte che blocca il trasporto solido e provoca escavazioni a valle

restringimenti o rettificazioni o cementificazione degli alvei con aumento della velocità

Incisione dell’alveo a scala locale originata da una traversa a monte che trattiene i sedimenti e provoca la

ripresa dell’erosione, Rio Inferno (FR). Foto P. Cornelini

Incisione a scala locale provocata da un

restringimento a monte. Saint Quirze (Catalogna

Spagna). Foto P. Cornelini

Incisione a scala locale provocata

dalla cementificazione di un area

subito a monte, con incremento delle

portate e delle velocità. Can

Llobateres (Catalogna, Spagna ). Foto

P. Cornelini

Le evidenze geomorfologiche dell’incisione dell’alveo sono:

sottoescavazione delle pile dei ponti

alberi con radici esposte

sponde instabili

abbassamento del livello di bankfull e disconnessione con la piana inondabile

alveo stretto e profondo

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Per una prima speditiva valutazione della stabilità verticale di un alveo ossia se è in fase di incisione o meno, si può

fare riferimento, se si riesce ad individuare il livello della portata formativa (di bankfull), al rapporto tra l’altezza

della sponda e la sua profondità ( BHR= Bank Height Ratio, Rosgen 1996 ) secondo la seguente tabella.

Parametri utilizzati per il rapporto tra l’ altezza della sponda e la profondità del livello della portata

formativa( bankfull ) BHR= Bank Height Ratio

Tab.22 . Valutazione stabilità verticale

L’erosione delle sponde

Come visto nei capitoli precedenti, l’erosione spondale è un fondamentale elemento della dinamica laterale del

corso d’acqua che contribuisce alla continuità longitudinale del trasporto solido e all’evoluzione morfologica

naturale e favorisce, inoltre, gli habitat degli ecosistemi acquatici e ripariali e la biodiversità. Una moderata

erosione spondale è tipica anche dei corsi d’acqua stabili.

L’erosione che induce instabilità spondale va considerata, quindi, un elemento di degrado sul quale intervenire

solo nelle zone a rischio idraulico.

Alveo con sponde stabili . F. Aniene (RM). Foto P.

Cornelini

Valutazione stabilità verticale Bank Height Ratio Stabile 1.0 –1.1 Moderatamente instabile 1.1 –1.3 Instabile 1.3 –1.5 Altamente instabile > 1.5

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I processi erosivi sulle sponde possono dipendere da condizioni di squilibrio a scala di bacino o locali. Le cause a

scala di bacino sono le stesse già descritte nel paragrafo precedente sull’incisione dell’alveo:

interruzione della continuità longitudinale del trasporto solido per sbarramenti trasversali (dighe, briglie) o

opere spondali (argini, consolidamenti ) che interrompono l’afflusso dei sedimenti dai versanti e dalle

sponde

estrazione di inerti in alveo con conseguente erosione a monte e a valle del tratto

rettificazioni con aumento della pendenza e della velocità

forti incrementi di portata per rilasci improvvisi (hydropeaking).

Rionero (PZ). Foto Giannella Palmà de Cervellò (Catalogna Spagna). Foto P.

Cornelini

Per la scelta dell’intervento è fondamentale capire se le cause dell’incisione sono a scala di bacino o locale.

Se le analisi idromorfologiche indicano che le cause della erosione spondale sono riconducibili a livello di bacino

gli interventi, come nel caso della incisione dell’alveo, vanno indirizzati alla rimozione delle cause tramite la

riduzione del deficit di trasporto solido, la riqualificazione morfologica dei tratti artificiali, etc.

Se le cause a scala di bacino non possono essere realisticamente eliminate per la impossibilità di cambiare gli usi

del territorio consolidati negli anni (ad esempio la eliminazione di una diga o di una zona urbanizzata ) si possono

mitigare gli impatti a scala locale intervenendo, quindi, sui sintomi, sistemando localmente le sponde con la

consapevolezza, però, che si tratta di interventi tampone.

Naturalmente, in questo ultimo caso di interventi puntuali, va sempre considerata la possibilità di spostamento

dell’erosione in altri tratti .

Le cause a scala locale possono essere riferite essenzialmente a:

opera trasversale a monte che blocca il trasporto solido e provoca escavazioni a valle

elementi naturali (tronchi, massi) o artificiali (repellenti, pile di ponti) che deviano la corrente verso una

sponda

restringimenti o rettificazioni con aumento della velocità

impermeabilizzazione di superfici con incrementi locali di portata

assenza di copertura vegetale

Se l’erosione delle sponde dipende dalla presenza di tratti rettificati o cementificati la loro eliminazione può essere

l’occasione di una riqualificazione morfologica con un livello di ambizione 2 o 3 a seconda dello spazio

disponibile.

In presenza di beni a rischio va valutato se il costo delle difese di sponda non sia superiore al valore dei beni da

proteggere; ad esempio nelle aree agricole, considerando il valore di una fascia erosa per la mobilità laterale in un

tempo di circa 30 anni ( Monaci M., et al. op.cit.). In tal caso può valere l’opzione zero di non realizzazione delle

difese spondali, acquisendo tale fascia per lasciarla erodere secondo il naturale dinamismo del corso d’acqua.

La protezione spondale di tratti erodibili può essere necessaria per diminuire la sorgente di sedimenti trasportati a

valle, nella consapevolezza, comunque, che la carenza di trasporto solido promuoverà la erosione a valle. In

presenza di zone a rischio da proteggere comunque, gli interventi di stabilizzazione spondale dovranno considerare

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in primis l’uso delle tecniche di ingegneria naturalistica abbinate alla realizzazione di fasce di vegetazione

ripariale.

Sponde con instabilità a scala locale. Pizzo Calabro (VV). Foto P. Cornelini

Sponde con instabilità dovuta a approfondimento dell’alveo che viene separato dalla pianura

inondabile. F. Aterno (TE) Foto P. Cornelini e Foto 4: Rio Torbido (VT) Foto V. Manzari

Le interferenze dei corsi d’acqua con gli attraversamenti costituiscono i punti di debolezza del reticolo

idrografico montano (D’Agostino 2012). I piccoli attraversamenti con tubi prefabbricati (Foto 5 a

sinistra) sono in genere sottodimensionati per le portate idriche e solide e prima dell’occlusione

scaricano un flusso idrico a forte velocità altamente erosivo . Dopo l’occlusione il rigurgito a monte

può provocare dissesti spondali a valle (Fotoa destra) o il collasso improvviso dei detriti accumulatisi

a tergo (D’Agostino 2012). Scandriglia (RI) Foto P. Cornelini

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Verifica quantitativa della stabilità del fondo e delle sponde

La verifica quantitativa della resistenza di un alveo all’erosione può essere fatta confrontando i valori delle

tensioni di trascinamento e delle velocità agenti con i relativi valori limite.

In funzione della portata di piena e relativo livello, della pendenza e dell’andamento longitudinale del corso

d’acqua, si possono ricavare le tensioni tangenziali massime, agenti sul fondo o sulla sponda (figura sotto) secondo

il metodo delle tensioni di trascinamento partendo dalla formula w = Ri ove:

w= tensioni di trascinamento Kg/mq

= peso specifico dell’acqua Kg/mc

R = raggio idraulico m

i = pendenza dell’alveo (valori percentuali)

o, per sezioni con un rapporto tra larghezza e profondità superiore a 30 w = h i

con h altezza del pelo libero,

Distribuzione delle forze di trascinamento (MACRA1, 2006)

Tenendo conto dei coefficienti correttivi per l’aumento delle tensioni tangenziali nei tratti in curva

(figura sotto)

MACRA1 2006

Tali valori vanno confrontati nei vari tratti dell’alveo con le massime tensioni tangenziali resistenti ammissibili per

i materiali costituenti l’alveo (tabella sotto) verificando sempre che sia

r w, cioè che il tratto di sezione presenti una resistenza superiore ( r) all’energia erosiva delle acque ( w).

Ad esempio una w di 3, 5 Kg/mq metterà in moto ghiaie e sabbie , ma non i ciottoli

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Materiali del fondo r= tensioni resistenti

ammissibili Kg/mq

Sabbia fine 0,24

Sabbia grossa 0,65

Ghiaietta 1,25

Ghiaia 1,40

Ghiaia grossa 3,10

Ciottoli (d= 50 mm) 5

Tab. 23: Tensioni resistenti ammissibili per i materiali del fondo (Benini , 1990)

Torrente montano in erosione spondale Val Badia (BZ). Foto P.

Cornelini

E’ possibile anche calcolare la tensione critica di resistenza dei materiali in funzione del loro diametro con la

equazione semplificata derivante dall’applicazione del criterio di Shields

r (Kg/mq) = 100 d

con d (diametro in m)

così per muovere un masso di 1 m di diametro serve una r pari a 100 Kg/mq

Per quanto riguarda la verifica della velocità compatibile si mette a confronto , nel caso di altezza idrica molto

superiore alle dimensioni del materiale di fondo, la velocità sul fondo (pari a 0,75 quella media) o, per altezze

dell’acqua pari circa a quelle del materiale del fondo, la velocità media con la velocità ammissibile per i materiali

costituenti la sponda.

La velocità può essere calcolata con la formula di Manning

V = (1/n) R⅔ i ½

Ove

n coefficiente di Manning relativo alla scabrezza dell’alveo

R raggio idraulico = A/C (m)

A sezione idraulica (mq)

C contorno bagnato (m)

i = pendenza longitudinale del fondo

Nel caso di alvei montani, per la scabrezza, si può utilizzare la formula di Strickler (1923) con d50 diametro

mediano dei granuli che formano l’alveo:

K = 1/n

K= 26/d 1/6

con K indice di scabrezza di Strickler (m⅓/s) da cui V = K R⅔ i

½

Per alvei sabbiosi K=10

Le velocità ammissibili per i vari materiali sono (Benini 1990):

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Materiali del fondo Velocità limite m/sec Sabbie fini 0,45 Ghiaietto 0,76 Ghiaia 1,22 Pietre o ciottoli 1,52

Oppure possono essere calcolate in funzione del diametro con la

V= K d ½ con K =5

Ad esempio per muovere un masso con d=0,30 m serve una v= 5 0,3½

=2,7 m/sec e per un d= 1 m una v di 5

m/sec

Erosione spondale in curva F. Aterno (AQ) Foto P.

Cornelini

L’erosione è un fattore del

naturale dinamismo

geomorfologico, quindi

bisogna intervenire solo in

caso di rischio. Sponda in

erosione con strada a

rischio, F. Tevere. Foto F.

Boccalaro

Per una valutazione delle tendenze alla instabilità di un corso d’acqua esistente si può far riferimento , con le

dovute cautele, alla teoria del regime (vedi capitolo successivo), confrontandone le dimensioni attuali con quelle

delle formule del regime. Così , ad esempio (Vide, 2003), se i valori della larghezza e altezza del pelo libero

ottenuti con le equazioni di regime per la stabilità del corso d’acqua, sono maggiori di quelli esistenti, si segnala

una tendenza a medio termine all’erosione delle sponde e del fondo.

Date le incertezze sui parametri da considerare è, comunque, buona norma effettuare le verifiche di stabilità usando

più metodi e confrontare i risultati.

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11. LE TECNICHE DI INGEGNERIA NATURALISTICA NELLE SISTEMAZIONI

SPONDALI

(testo da P. Cornelini, F. Preti, G. Sauli - Manuale di Ingegneria Naturalistica applicata al settore Idraulico

Regione Lazio)

Per l’impostazione di un progetto di sistemazione idraulica con tecniche di ingegneria naturalistica sono necessarie

analisi di campagna approfondite (vedi capitoli precedenti) per la comprensione dei processi idro-geomorfologici

in atto e del contributo della vegetazione alla stabilità delle sponde.

Gli interventi su un corso d’acqua possono essere suddivisi sinteticamente in interventi di regimazione ed interventi

di sistemazione. I primi tendono a modificare il regime delle portate del corso d’acqua e comprendono le

arginature, le dighe, le casse di espansione, i diversivi e gli scolmatori. I secondi tendono invece a modificare e/o a

consolidare l’alveo per il raggiungimento di uno stabile assetto plano-altimetrico mediante le opere di difesa delle

sponde e di stabilizzazione dell ’alveo, la risagomatura delle sezioni, la riprofilatura del tracciato planimetrico.

Le opere di difesa di sponda si suddividono in opere di difesa longitudinali (o radenti), disposte nella direzione

della corrente con trascurabile interferenza sulle condizioni del deflusso, e opere di difesa trasversali (o repellenti)

che viceversa possono modificare sostanzialmente le condizioni del deflusso (Preti, op. cit.).

La scelta e la collocazione degli interventi è in funzione di vari parametri tra cui i principali possono ricondursi alla

velocità di deflusso (correlata con la pendenza del fondo) ed al diametro del trasporto solido.

Fascinate vive a distanza di 20 giorni dai lavori. Rio Inferno Cassino

(FR). Foto P. Cornelini

Nelle zone montane in alveo, sono possibili interventi solo con opere rigide o con massi o pietrame, mentre sui

versanti instabili sono validi gli interventi con opere vive stabilizzanti (gradonate vive, fascinate vive, etc.) o

combinate (palificate, grate vive, etc), che aumentano i tempi di corrivazione e riducono il trasporto solido.

Nei tratti mediano e inferiore del corso d’acqua, con la diminuzione della velocità e del trasporto solido, aumenta

progressivamente la gamma delle tecniche naturalistiche da impiegare, comunque, secondo il principio della

tecnica a minor impegno tecnico e pari risultato.

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Nei tratti montani di elevata pendenza è

impossibile usare tecniche vive di IN in alveo,

perché verrebbero distrutte dall’energia delle

acque, F. Vomano. Foto L. Ruggieri

La pendenza del 3% circa , unitamente ad un

diametro del trasporto solido di circa 20 cm,

rappresenta il limite all’uso delle tecniche vive,

Valsugana (TN). Foto P. Cornelini

Scogliera con palificata viva. Torrente But (UD).

Novembre 2001. Foto L. Berghen

Giugno 2002. Foto L. Berghen

Nella tabella seguente si riporta una selezione delle tecniche in funzione della velocità della corrente

Velocità della

corrente

Consolidamento/rivestimento sponde

Con tecniche di I.N.

Biostuoia in fibra vegetale

Geostuoia tridimensionale sintetica

Geostuoia tridimensionale sintetica bitumata in opera a freddo

Geostuoia tridimensionale sintetica prebitumata industrialmente a caldo

Messa a dimora di talee legnose

Trapianto di cespi e rizomi

Piantagione di arbusti

Copertura diffusa

Fascinata viva

3 m/sec Viminata spondale

Graticciata di ramaglia

Ribalta viva

Rullo spondale

Grata viva

A - palificata viva spondale semplice

B - palificata viva spondale doppia

C - palificata spondale con palo verticale

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D - palificata viva spondale tipo Roma

Pennello vivo

Materasso spondale rinverdito

3÷6 m/sec Terra rinforzata rinverdita

Gabbionata spondale rinverdita

Palizzata viva in putrelle e traverse

Muro cellulare in cls rinverdito

6 m/sec Scogliera rinverdita

Blocchi incatenati

Rampa a blocchi

Tab.24: Selezione delle tecniche in funzione della velocità della corrente

Tenendo conto che esistono, comunque, dei limiti tecnici di impiego delle tecniche di ingegneria naturalistica,

nella tabella seguente vengono formulate proposte esemplificative (quindi non direttamente applicabili a

qualunque corso d’acqua) per la scelta delle tipologie di intervento con tecniche di I. N basate semplicemente

su valori indicativi della velocità della corrente e del diametro del trasporto solido.

Velocità della corrente > 6 m/s da 3 fino a 6 m/s < 3 m/s

Diametro medio trasporto

solido

Tutti i

diametri > 20 cm

da 5 fino

a 20 cm

da 1 fino

a 5 cm < 1 cm

Natura del fondo

Ghiaia,

ciottoli,

massi

Ghiaia e ciottoli Sabbia,

ghiaia

Limo,

sabbia

Tipologia

interventi

Stabilizzazione

versanti A

Rivestimento /

consolidamento

sponde

B C D E

Modifiche

morfologia

corso d'acqua

F G H

Rinaturazione

ricostruzione

biotopi umidi

Parziale Buona Ottimale

Provvedimenti

uso faunistico L M M

Tab. 25: Indicazioni di massima per le scelte tipologiche degli interventi di ingegneria naturalistica nelle

sistemazioni idrauliche Fonte: Da : Chieu - Sauli "Piano stralcio per il bacino del F. Toce 1993 (modificato)

A: cordonata, cuneo filtrante, fascinata, gabbionata, geocella a nido d'ape, gradinata, grata viva su scarpata, materasso verde,

messa a dimora di arbusti, messa a dimora di talee, muro cellulare rinverdito, palificata viva, palizzata, rivestimenti in rete

metallica e stuoia, semina, semine potenziate, stuoie su versante, viminata;

B: blocchi incatenati, muro a secco rinverdito, muro cellulare rinverdito, opere rigide in cls, gabbionata spondale rinverdita;

C: B + Rampa a blocchi;

D: gabbionata spondale, materasso rinverdito , muro cellulare rinverdito, palificate vive spondali, pennello vivo;

E: biostuoia, biofeltri, blocchi incatenati, copertura diffusa con ramaglia viva, fascinata viva, gabbionata rinverdita,

geocomposito in rete met. e geostuoia trid., geostuoia trid. sintetica bitumata, geostuoia trid. Sintetica, gradonata viva, grata

viva, graticciata di ramaglia, materasso rinverdito, messa a dimora di talee legnose, muro a secco rinverdito, muro cellulare

rinverdito, palificata viva, pennello vivo, piantagione di arbusti, rampa a blocchi, ribalta viva, rulli spondali, semina,

idrosemina, semina a spessore, terre rinforzate verdi, trapianto di cespi e rizomi, traversa viva, viminata viva;

F: ampliamento sezione, casse di espansione;

G: F + recupero vecchi meandri;

H: G + impaludamento aree foce;

L: rampa a blocchi;

M: L + scale di risalita;

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Interventi IN in ambito idraulico

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Serie di repellenti in pietrame vegetati. Cantone di Zurigo, Svizzera. Foto P.

Cornelini

Verifica della resistenza di opere di difesa spondale con tecniche di IN

Si possono ricavare le tensioni tangenziali massime agenti sulle opere secondo il metodo delle tensioni di

trascinamento partendo dalla formula w = Ri

Tali valori vanno confrontati nei vari tratti dell’alveo con le massime tensioni tangenziali resistenti ammissibili per

le strutture di progetto verificando sempre che sia r w, cioè che il tratto di sezione protetto da opere di IN

presenti una resistenza superiore ( r) all’energia erosiva delle acque ( w).

Nella progettazione con le opere vive vanno tenuti in conto due valori della resistenza i:

la resistenza dell’opera di ingegneria naturalistica a fine lavori con le piante non sviluppate e, quindi, non

in grado di fornire il contributo della parte viva alla resistenza della struttura; tale situazione, nella verifica

della portata idrica transitabile nella sezione, è quella più favorevole ai fini della scabrezza.

la resistenza dell’opera di ingegneria naturalistica dopo circa 2 anni con le piante sviluppate nelle radici e

nella parte aerea, in grado di fornire il contributo della parte viva alla resistenza della struttura; tale

situazione, nella verifica della portata transitabile nella sezione, è quella più sfavorevole per l’aumento

della scabrezza indotto dalla presenza delle piante.

Per quanto riguarda i valori della massima resistenza al trascinamento r delle opere di ingegneria naturalistica, si

riportano i valori di tabella ricavati da dati bibliografici e da sperimentazioni.

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Tipologia intervento max sopportabili dalla struttura appena

realizzata senza lo sviluppo delle piante

vive N/m2

max sopportabili dalla

struttura con le piante vive

sviluppate dopo il terzo periodo

vegetativo N/m2

Cotico erboso 20 P

25 P 40 G

30 M 60 F

Talee 10 M P

150 I 60 M P

100 G

Copertura diffusa 50 M 150 P 200-300 M F P

Viminate 10 M P 20 P 50 M , 100 F

Pali con fascine 250 F

Gradonata viva 20 P 120 F P

Fascinate vive 20 P

70 G

(morta)

80 I 100 -150G

60 P

Palificata doppia 500 P 600 P

Gabbionate vive 340 M 400 M

Materassi rinverditi 200-320 M 400 M

Scogliera rinverdita con

talee di salice 100 P 300 M P

File di ceppaie 50-80 F

Sigle:

(F) Florineth Acer 4, 1999 , Piante al posto di cemento

2007

(M) Maccaferri - Programma Macra 1996

(P) Palmeri, Calò – 1996

(G) Gertsgraser - Convegno EFIB Trieste 1999

(I) Cornelini , Crivelli, Palmeri, Sauli - Acer 2, 2001

Tab. 26: Valori di max sopportabili

Rulli di cocco con elofite, Santa Eulalia de

Roncana. Catalogna Spagna. 2011. Foto A.

Sorolla

Dopo un anno. Foto A. Sorolla

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Si riporta in proposito lo schema grafico che mostra un’applicazione di quanto esposto (Johannsen

modificato).

Diagramma mostrante la forza di trazione esercitata dall'acqua sulle diverse sponde del corso d'acqua

(Johannsen modificato)

Esempio applicativo Sia dato un tratto di corso d’acqua assimilabile a rettilineo con una pendenza dell’ 1,5 per cento, con alveo largo

15 m e un’altezza del pelo libero della piena di riferimento di 0,45 m.

Essendo il rapporto tra larghezza e la profondità del’acqua superiore a 30, vale, per il calcolo della forza erosiva

dell’acqua la formula w = h i ove

= peso specifico dell’acqua = 1100 Kg/mc

h= altezza del pelo libero = 0,45 m

i = pendenza dell’alveo = 0,015

quindi

w= tensioni di trascinamento = 1100 x 0,45x0,015 =7,42 Kg/mq pari a 74 N/ mq

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Dalla tabella delle r risulta che le tecniche con max sopportabili dalla struttura appena realizzata, senza lo

sviluppo delle piante vive, di valore superiore a 74 N/ mq sono la gabbionata viva (340 N/mq) e la palificata viva

(500 N/mq). Tra le due sceglieremo la tecnica più coerente con la situazione ambientale locale (disponibilità dei

materiali locali (pietrame o tronchi), coerenza litologica e geomorfologia, inserimento paesaggistico, etc.)

Palificata viva spondale, opera di consolidamento di ingegneria naturalistica. Barrea (AQ). Foto

P. Cornelini

Regole per buone pratiche negli interventi sui corsi d’acqua

Il corso d’acqua è un ecosistema e le analisi da estendere al bacino idrografico devono considerare tutte le

varie componenti, nella consapevolezza che gli interventi su un tratto possono determinare effetti sulle altre

componenti a monte e a valle che il progettista deve valutare.

La progettazione degli interventi di I.N. nei corsi d’acqua va affrontata da un gruppo di esperti delle varie

discipline , in una visione ecosistemica.

Per l’analisi preliminare di un corso d’acqua può essere utile la Scheda di Valutazione speditiva della

qualità ecomorfologica di un corso d’acqua che valuta separatamente la qualità ambientale del corso

d’acqua tramite le componenti ecosistemiche (Geomorfologia, Regime idraulico, Qualità delle acque

Vegetazione, Zoocenosi acquatiche)

Gli interventi finalizzati alla rinaturazione dei corsi d’acqua devono prevedere sia la riqualificazione

idromorfologica (ripristino della connettività longitudinale, trasversale e verticale) che ecologica per

l’incremento della biodiversità.

Gli interventi sull'asta fluviale vanno, quindi, progettati secondo il principio che la diversità morfologica si

traduce in biodiversità, incrementando, in primis, lo spazio di mobilità e le aree di pertinenza del corso

d'acqua.

Il riferimento ideale dello stato da raggiungere è un corso d’acqua naturale senza pressioni antropiche

(assumendo come portata di riferimento quella formativa) ma nella maggior parte dei casi si deve tenere

conto dei vincoli spaziali, normativi, economici e sociali.

Per conservare o migliorare la qualità ecologica e morfologica di un corso d’acqua, si può seguire la

filosofia di intervento di Adam, Debiais e Malavoi, 2007.

Se la qualità è elevata vale l’opzione zero di non intervento.

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Se la qualità è buona (funzionamento morfo-ecologico buono con lievi elementi di degrado) sono

sufficienti azioni di protezione, mirate ad arrestare le alterazioni funzionali in corso.

Se la qualità è degradata (da sufficiente a pessima) vanno previsti interventi relativi a tre livelli di

rinaturazione, corrispondenti a tre livelli di ambizione R1 R2 ed R3, in funzione dei vincoli di spazio e di

risorse economiche, nella consapevolezza che raramente è possibile riportare il corso d’acqua alla

situazione preesistente al disturbo antropico, ma che è comunque sempre possibile intervenire almeno per il

miglioramento di alcune funzioni.

Va valutato il potenziale di recupero idromorfologico spontaneo.

Per la correzione degli alvei torrentizi va fatto riferimento alle conoscenze secolari delle Sistemazioni

Idraulico Forestali secondo i principi di Integralità , Gradualità e Continuità, integrate dalle tecniche di

ingegneria naturalistica

La valutazione della stabilità di un alveo va effettuata a scala di bacino utilizzando vari strumenti quali

l'analisi della rete con il metodo di Horton-Strahler, la bilancia di Lane, la stream power, il BHR, il CEM,

il metodo di Rosgen, etc.

Gli interventi sui corsi d’acqua risultano oggettivamente più difficili di quelli sui versanti terrestri, a causa

delle indeterminazioni probabilistiche sul regime idrico e sul trasporto solido, cause fondamentali del

dinamismo. E’ sempre buona norma prendere a riferimento per il progetto di sistemazione un tratto stabile

di un corso d’acqua con caratteristiche idromorfologiche analoghe a quelle di intervento.

L’erosione è un fondamentale elemento del dinamismo fluviale e della biodiversità, quindi l’erosione che

induce la instabilità spondale va considerata un elemento di degrado sul quale intervenire, solo nelle zone a

rischio idraulico. Una analisi della stabilità delle sponde in tali zone può essere effettuata con BEHI.

Prima di intervenire con protezioni spondali bisogna chiedersi se è realmente necessario e se una gestione

mirata della vegetazione o la creazione di uno spazio di libertà possano risolvere i problemi (Adam et al.,

2008).

Intervenire in un corso d’acqua per la protezione delle sponde , anche con tecniche di ingegneria

naturalistica, deve essere, quindi, l’eccezione e non la norma, da attuarsi solo nelle aree a rischio idraulico,

in quanto qualunque intervento di irrigidimento delle sponde tende ad opporsi al naturale dinamismo

idraulico e limita lo spazio funzionale di mobilità del corso d’acqua.

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Schede di interventi tipo

Rinaturazione Fiume Fella – Valbruna - Giuliano Sauli

Specificità dell’intervento

Riassetto morfologico dell’alveo del F. Fella previa demolizione sponde in calcestruzzo e

smantellamento della vecchia sede ferroviaria.

Rivegetazione dei piazzali adiacenti alla stazione ferroviaria

Provincia/ Comune/ Località

UD / Malborghetto-Valbruna / Nuova Stazione FS Ugovizza-Valbruna

Altitudine slm / Pendenza alveo / Inclinazione

780 m / 1,2% /

Lineamenti vegetazionali

Geosigmeto entalpico glareicolo della vegetazione perialveale (Saliceti di greto)

Aspetti geologici, geomorfologici ed idrogeologici

Depositi sciolti di origine fluviale e fluvioglaciale principalmente calcareo dolomitici, a formare una

piana alluvionale.

Dimensioni dell’intervento

Lunghezza 800 m circa

• palificate vive spondali a parete doppia e massi legati al piede

• terre verdi rinforzate

• materassi tipo Reno rinverditi • scogliere rinverdite

• copertura diffusa

• traverse vive di ramaglia a strati

• idrosemina, messa a dimora di talee, arbusti e alberi

Specie vegetali impiegate

Pinus nigra austriaca, P. sylvestris, Picea abies, Fagus sylvatica, Fraxinus excelsior, Acer

pseudoplatanus, Tilia platyphyllos, Alnus incana, Crataegus monogyna, Pinus mugo, Ligustrum vulgare,

Salix caprea, S. purpurea, S. eleagnos, S. appendiculata.

Periodo dei lavori

Novembre 1999

Osservazioni

Verifica tenuta strutture: ottima

Verifica sviluppo vegetazione:ottima

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Sezione tipo terra verde rinforzata Sezione tipo palificata spondale viva a parete doppia

Sezione tipo copertura diffusa con salici Sezione tipo traversa viva di ramaglia a strati

Fiume Fella, ante – operam, luglio 1997 Fiume Fella, in opera, 1998

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Fiume Fella, in opera, 1998 Fiume Fella, post operam, 2001

Fiume Fella, post operam, 2000 Fiume Fella, post operam, 2000

Fiume Fella, post alluvione agosto 2003 Fiume Fella, post operam, agosto 2006

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Fiume Fella, post operam, maggio 2011

Fiume Fella, post operam, giugno 2013

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Sistemazione idraulica con tecniche di IN Rio Inferno (FR) - Paolo Cornelini

Specificità dell’intervento La sistemazione idraulica del Rio Inferno rappresenta uno dei primi casi del Lazio in cui l’ingegnere

idraulico è stato affiancato dall’esperto di ingegneria naturalistica nella sistemazione dei tratti mediano e

inferiore di un corso d’acqua mediterraneo Gli interventi di rinaturazione e di ingegneria naturalistica sono stati definiti nei vari tratti a seguito delle

indagini vegetazionali, della valutazione dello stato della qualità ambientale dell'alveo e dell'analisi delle

caratteristiche idrauliche con l'obiettivo, oltre che di sistemazione idraulica, di aumento della biodiversità

del territorio attraversato dall’alveo e di miglioramento della rete ecologica esistente. Provincia/ Comune/ Località FR / Cassino / Rio Inferno Altitudine slm / Inclinazione longitudinale alveo/ Q progetto 50 m / 1,5-1,8% / 70 mc/sec

Lineamenti vegetazionali Coltivi prevalenti con lembi residui di macchia mediterranea, di lecceta e di querceti a prevalenza di

caducifoglie. Obiettivo dell’intervento Consolidamento delle sponde a protezione della viabilità Risagomatura e ampliamento della sezione per il ripristino della funzionalità idraulica dell’alveo Rinaturalizzazione del corso d’acqua, aumento della biodiversità e miglioramento delle reti ecologiche Tipologie e dimensioni dell’intervento Nel tratto superiore: allargamento e meandrizzazione dell’alveo esistente e rivestimento con pietrame del fondo (L100 m) soglie in massi (L 50 m) massi rinverditi con talee ( 250 mc) palificata viva a parete doppia h 1 m (L 70 m) Nel tratto inferiore: massi rinverditi con talee (600 mc) palificata viva a parete doppia h 2 m (L 46 m) fascinate vive spondali (L 800 m) piantagione di filari arborei igrofili (L 500 m) manutenzione dell’alveo con l’eliminazione della vegetazione sinantropica e risagomatura realizzata

secondo il DPR 14 aprile 1993 (L 1000 m) Materiali morti impiegati Tronchi di pino calabrese D 35-40 cm; picchetti acciaio a.m. D 14 mm; massi D 0,6-0,8 m. Specie vegetali impiegate Talee di Salix alba, Salix eleagnos, Salix purpurea Periodo dei lavori Gennaio- Aprile 2000 Osservazioni Gli interventi di manutenzione idraulica con taglio della vegetazione in alveo sono stati effettuati durante

il periodo invernale 1999-2000, secondo le indicazioni del DPR 14 aprile 1993; già a primavera 2000,

per il rinverdimento erbaceo spontaneo dell’alveo e per il mantenimento delle formazioni legnose al di

sopra il livello della piena trentennale, si era verificato un buon recupero del valore naturalistico e

paesaggistico dell’alveo stesso. Tutte le opere di ingegneria naturalistica hanno superato le piene primaverili del 2000, nonostante il

limitato sviluppo vegetativo; le talee, le palificate doppie e le scogliere rinverdite hanno resistito alle

piene autunnali di natura eccezionale del 2000, in concomitanza con gli eventi alluvionali di Soverato e

del Po. Solo per le talee delle scogliere del tratto di monte, messe a dimora a fine aprile 2000, le percentuali di

attecchimento sono state molto basse. Le fascinate vive della savanella centrale, realizzate con finalità naturalistica e non idraulica, sono state

asportate dalle ripetute piene da settembre a dicembre 2000. Le opere sono attualmente in buona efficienza e perfettamente inserite nell’ambiente; le talee che hanno

avuto sviluppi fino a 12 m di altezza con diametri di 14 cm, sono state tagliate nel 2006

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Realizzazione di tratto di alveo artificiale con

palificate spondali, scogliera rinverdita, fascinate

vive e soglie in pietra (maggio 2001). Foto P.

Cornelini

Intervento a distanza di un anno (aprile 2002) . Foto

P. Cornelini

Intervento a distanza di tre anni (dicembre 2004).

Foto P. Cornelini

Monitoraggio 2007 , dopo il taglio delle talee (10-12

m altezza, 10-14 cm diametro). Foto P. Cornelini

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Evoluzione naturale 2012. Foto S. De Bartoli Sviluppo talee 2012. Foto P. Cornelini

2012. Foto P. Cornelini