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Contabilità e bilancio
Indennizzo per la riduzione del canone di locazione: criticità contabili e fiscali
di Sandro Cerato 2
Il ruolo dell’Oic rispetto ai postulati generali del bilancio
di Laura Fava 11
Le spese legali: aspetti contabili e fiscali
di Giovanni Valcarenghi 19
La riforma dell’articolo 2086, cod. civ.: assetti organizzativi, amministrativi e contabili per
la rilevazione della crisi
di Massimo Buongiorno 26
Vigilanza e revisione
Le misure della qualità del revisore: gli audit quality indicators
di Marco Bozzola 33
Le situazioni di squilibrio finanziario dell’ente locale
di Massimo Venturato 40
Società
L’assetto organizzativo della Srl a seguito dell’introduzione del Codice della crisi
d’impresa (D.Lgs. 14/2019)
di Alessandro Biasioli 46
La clausola della c.d. “roulette russa” o del “cowboy”
di Giovanni Maccagnani e Massimo Botter 55
1 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Contabilità e bilancio
2 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Indennizzo per la riduzione del canone
di locazione: criticità contabili e fiscali di Sandro Cerato – dottore commercialista e pubblicista
Con la risposta resa all’interpello n. 16/E/2019, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che
l’indennizzo pagato per la riduzione del canone annuo accordato in sede di rinnovo del
contratto di locazione (e oggetto di apposita scrittura privata qualificata dalle parti come
“scrittura indennitaria”) rappresenta per il conduttore un debito/passività di natura
determinata ed esistenza certa (trattandosi di un’obbligazione istantanea e non di durata)
deducibile, ai fini Ires e ai fini Irap, nel periodo d’imposta in cui sorge l’obbligazione al
pagamento verso la controparte (articolo 109, comma 2, lettera b), ultimo periodo, Tuir). È
stata conseguentemente disattesa l’interpretazione sostanziale individuata dalla società
istante secondo cui l’indennizzo in parola – che da un punto di vista sostanziale doveva
rappresentare una componente anticipata del canone di affitto dell’immobile – si sarebbe
dovuto dedurre, ai fini dell’Ires e dell’Irap, in quote costanti lungo tutta la durata del
contratto di locazione, con la possibilità di dedurre, in un’unica soluzione, le quote non
ancora dedotte, nell’esercizio in cui si fosse verificata l’interruzione anticipata del contratto
di locazione. L’interpretazione dell’Agenzia delle entrate non pare del tutto convincente, in
quanto la stessa attribuisce rilevanza contabile e fiscale unicamente agli aspetti formali
della “scrittura indennitaria” rispetto a quelli sostanziali collegati all’intervenuta riduzione
del canone di locazione prevista nel nuovo contratto di affitto.
Il principio della prevalenza della sostanza sulla forma
Il D.Lgs. 139/2015 (di attuazione della Direttiva 2013/34/UE) ha significativamente modificato la
normativa dedicata al bilancio d’esercizio prevedendo, tra l’altro, la sostituzione del principio della
funzione economica con il principio della prevalenza della sostanza sulla forma per il quale “la
rilevazione e la presentazioni delle voci è effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del
contratto” (articolo 2423-bis, comma 1, n. 1-bis, cod. civ.).
La declinazione pratica del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, ivi compresa la
descrizione delle possibili casistiche, è stata demandata ai Principi contabili nazionali, aggiornati
Contabilità e bilancio
3 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
dall’Oic sulla base delle disposizioni contenute nel citato D.Lgs. 139/20151. Di seguito, si propongono
alcuni esempi di declinazione pratica del principio di prevalenza della sostanza sulla forma contenuti
nei Principi contabili.
Oic 12 (composizione e schemi del bilancio d’esercizio)
Il Principio contabile Oic 12 precisa che, nella redazione delle voci “altri proventi finanziari” (C16) e “oneri
finanziari” (C17), la differenza tra le disponibilità liquide erogate e il valore attuale dei flussi finanziari
futuri deve essere rilevata tra gli oneri finanziari del Conto economico al momento della rilevazione
iniziale, salvo che “la sostanza dell’operazione o del contratto non inducano ad attribuire a tale componente
una diversa natura”. Così, ad esempio, se dalla lettura dei verbali del CdA (o da altre evidenze) si dovesse
evincere che un determinato finanziamento infragruppo è stato erogato al solo fine di rafforzare
patrimonialmente la società controllata, la differenza tra le disponibilità liquide erogate e il valore
attuale dei flussi finanziari futuri deve essere iscritta (nel bilancio della società controllata) a
incremento del patrimonio netto e non a provento finanziario.
Oic 19 (debiti)
Dando applicazione al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, il Principio contabile Oic 19
ha stabilito che il riacquisto sul mercato di proprie obbligazioni deve essere trattato contabilmente
come se la società:
“avesse proceduto a un’estinzione anticipata del prestito obbligazionario mediante rimborso con
disponibilità liquide, anche nel caso in cui le obbligazioni acquistate non sono annullate e sono
successivamente rivendute sul mercato2”.
Secondo il Principio contabile Oic 19, l’interpretazione sostanziale dell’evento di riacquisto delle
obbligazioni:
“risiede nella considerazione che se la società procedesse a iscrivere le proprie obbligazioni,
riacquistate sul mercato, tra le attività dello Stato patrimoniale, essa iscriverebbe nell’attivo titoli di
debito che rappresenterebbero crediti verso se stessa e lascerebbe iscritti nel passivo debiti per
obbligazioni parimenti verso se stessa”.
1 La decisione di demandare ai Principi contabili nazionali le declinazioni pratiche del principio della prevalenza della sostanza sulla forma è
giustificata dal fatto che le norme che disciplinano il principio in argomento “costituiscono disposizioni di carattere generale che, per loro
intrinseca natura e finalità, non recano una descrizione di dettaglio, la quale, inevitabilmente, non potrebbe essere esaustiva delle diverse fattispecie
e dei fatti gestionali a cui sono rivolte” (relazione illustrativa al D.Lgs. 139/2015). 2 Secondo i nuovi Principi contabili, l’acquisto di azioni proprie costituisce una restituzione dei conferimenti ai soci, con conseguente riduzione
del patrimonio sociale. In precedenza, era prevista, invece, l’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo patrimoniale con la costituzione in
contropartita di una riserva indisponibile.
Contabilità e bilancio
4 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Conseguentemente, non rispetta il principio della prevalenza della sostanza sulla forma,
l’amministratore che iscrive tra i titoli di debito dell’attivo dello Stato patrimoniale le obbligazioni
proprie riacquistate sul mercato (che rappresenterebbero crediti verso la società stessa) e che lascia
iscritti nel passivo debiti per obbligazioni verso la società stessa, in quanto le poste in esame non
rispondono alle definizioni di credito e debito.
Oic 16 (immobilizzazioni materiali)
Il Principio contabile Oic 16 dispone che le immobilizzazioni materiali sono rilevate inizialmente alla
data in cui avviene il trasferimento dei rischi e dei benefici connessi al bene acquisito, precisando che
detto trasferimento avviene generalmente quando si verifica il trasferimento del titolo di proprietà3.
Sempre nel contesto dell’Oic 16 viene precisato che la permuta o pagamento con un’altra
immobilizzazione e i connessi costi accessori devono essere trattati contabilmente in modo differente
a seconda che:
− si realizzi nella sostanza un’operazione di acquisto e vendita. In questo caso, la permuta deve essere
rilevata in base al presumibile valore di mercato attribuibile al cespite ricevuto alla data di acquisizione,
mentre i costi accessori relativi alla permuta possono essere capitalizzati per la quota attendibilmente
riferibile all’operazione di acquisto del bene;
− non si realizzi nella sostanza un’operazione di acquisto e vendita, ma la permuta è effettuata per
procurare la disponibilità di un cespite di analoghe caratteristiche funzionali senza l’obiettivo di
conseguire un componente positivo di reddito. In tale fattispecie, il valore d’iscrizione
dell’immobilizzazione materiale acquisita è riconosciuto pari al valore contabile netto
dell’immobilizzazione materiale ceduta, mentre i costi accessori devono essere imputati direttamente
a Conto economico.
Le indicazioni del Principio contabile Oic 11
La portata del principio della prevalenza della sostanza sulla forma è stata illustrata, invece, dal
Principio contabile Oic 11, rubricato “Finalità e postulati del bilancio d’esercizio”, anche in considerazione
degli importanti risvolti fiscali conseguenti all’applicazione del principio di derivazione rafforzata, di
cui si dirà in seguito. Al riguardo, il Principio contabile in parola ha precisato che l’elaborazione dei
Principi contabili da parte dell’Oic si è conformata al postulato generale, sancito dall’articolo 2423-bis,
3 Nel medesimo principio viene altresì sancito che, se in virtù di specifiche clausole contrattuali, non vi è coincidenza tra tali momenti, prevale
la data in cui è avvenuto il trasferimento dei rischi e dei benefici. Conseguentemente, nell’effettuare tale analisi occorre analizzare tutte le
clausole contrattuali.
Contabilità e bilancio
5 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
comma 1, n. 1-bis), cod. civ., secondo cui “la rilevazione e la presentazioni delle voci è effettuata tenendo
conto della sostanza dell’operazione o del contratto”. Nel dettaglio, le definizioni, le condizioni richieste
per l’iscrizione o la cancellazione degli elementi di bilancio e i criteri di valutazione contenuti nei
documenti Oic individuano i parametri principali attraverso i quali l’attento esame dei termini
contrattuali delle transazioni conduce alla rilevazione e presentazione delle poste in bilancio. Di
conseguenza, la prima e fondamentale attività richiesta al redattore del bilancio è quella di individuare
i diritti, gli obblighi e le condizioni ricavabili dai termini contrattuali delle transazioni e di confrontare
gli stessi con le disposizioni dei Principi contabili, per accertare la correttezza dell’iscrizione o della
cancellazione di elementi patrimoniali ed economici.
Sempre secondo il Principio contabile Oic 11, l’analisi contrattuale è rilevante anche per stabilire l’unità
elementare da contabilizzare e ciò anche ai fini della segmentazione o aggregazione degli effetti
sostanziali derivanti da un contratto o da più contratti: da un unico contratto possono, infatti, scaturire più
diritti o obbligazioni che richiedono una contabilizzazione separata, così come da più contratti possono
discendere effetti sostanziali che richiedono una contabilizzazione unitaria4. L’applicazione del principio
della prevalenza della sostanza sulla forma è particolarmente soggetta all’interpretazione del redattore
del bilancio, per cui si pone il problema di come comportarsi nei casi in cui vi siano delle operazioni da
rilevare in bilancio che non sono disciplinate da uno specifico principio contabile. A questo proposito, il
Principio contabile Oic 11 stabilisce che, ove una fattispecie non sia disciplinata dai Principi contabili di
riferimento, il redattore del bilancio deve preliminarmente ricorrere, in via analogica, alle previsioni
contenute in Principi contabili nazionali che trattano casi simili e, se ciò non fosse possibile, dovrà fare
riferimento al postulato della prevalenza della sostanza sulla forma, anche applicando soluzioni previste
dai Principi contabili internazionali. Al contrario, il redattore di bilancio non può applicare il principio della
rappresentazione sostanziale per derogare le previsioni dei Principi contabili5.
La prevalenza della sostanza sulla forma e il principio di derivazione rafforzata
Il postulato della prevalenza della sostanza sulla forma rileva anche ai fini della determinazione del
reddito di impresa dei soggetti diversi dalle micro imprese per i quali, a decorrere dall’esercizio
4 Il principio Oic 11 propone l’esempio dell’Oic 23 “lavori in corso su ordinazione” (che indica le condizioni al verificarsi delle quali un gruppo
di commesse è trattato come una singola commessa o, viceversa, una singola commessa è frazionata in differenti fasi o opere) e quello
contenuto dall’Oic 32 “Strumenti finanziari derivati” secondo cui “nei casi in cui le caratteristiche economiche e i rischi del derivato incorporato
non sono strettamente correlati a quelli del contratto primario e sono soddisfatti tutti gli elementi della definizione di strumento finanziario derivato,
la società deve distinguere il derivato dal contratto primario e contabilizzarlo separatamente”. 5 Il motivo alla base del quale si è ritenuto che il principio della prevalenza della sostanza sulla forma debba essere utilizzato solo nel caso in
cui la specifica fattispecie non è disciplinata dall’Oic è rinvenibile nella circostanza che i principi contabili sono già stati elaborati tenendo
conto del suddetto principio. Peraltro, se si lasciasse al redattore la libertà di derogare i Principi contabili, il risultato sarebbe un bilancio non
conforme al quadro normativo di riferimento.
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successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 (2016 per i soggetti “solari”), opera il principio di
derivazione rafforzata introdotto, all’interno dell’articolo 83, Tuir, dall’articolo 13-bis, D.L. 244/2016: il
principio di derivazione rafforzata – che presiede alla determinazione del reddito d’impresa – implica,
infatti, la rilevanza fiscale dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione adottati
in bilancio, con il conseguente riconoscimento fiscale della rappresentazione contabile fondata sul
principio di prevalenza della sostanza sulla forma, così come declinato dai Principi contabili (articolo 2,
comma 1, D.M. 48/2009; articolo 2, comma 1, lettera a), n. 1, D.M. 3 agosto 2017)6. Consegue che, devono
intendersi non applicabili a tali soggetti le regole di competenza fiscale di cui all’articolo 109, commi
1 e 2, Tuir, che, nell’assunzione dei costi e dei ricavi, pongono prevalentemente riferimento alle
condizioni di certezza e oggettiva determinabilità dei componenti reddituali e alle risultanze giuridico-
formali (risultanze negoziali e acquisizione/passaggio della proprietà o di altri diritti reali sui beni),
nonché ogni altra disposizione di determinazione del reddito che assuma i componenti reddituali e
patrimoniali in base a regole di rappresentazione non conformi all’anzidetto criterio.
Il principio di prevalenza della sostanza sulla forma interpretato dall’Agenzia delle
entrate
Posto che il principio di derivazione rafforzata implica il riconoscimento fiscale della rappresentazione
contabile fondata sul principio di prevalenza della sostanza sulla forma, nel recente passato l’Agenzia
delle entrate è stata interpellata al fine di risolvere alcune problematiche attinenti la corretta
declinazione del postulato in parola in presenza di determinate operazioni (non espressamente
disciplinate dai Principi contabili) e del conseguente impatto fiscale delle scelte contabili adottate in
ossequio al citato principio della derivazione rafforzata. Tra le principali operazioni esaminate
dall’Amministrazione finanziaria si segnalano le seguenti.
Trattamento contabile e fiscale del corrispettivo conseguito per la costituzione del diritto di superficie
a termine (risoluzione n. 37/E/2018)
Con la risoluzione n. 37/E/2018, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, per i soggetti che redigono il
bilancio in conformità alle disposizioni del codice civile (diversi dalle micro imprese) e che, quindi,
applicano, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, il citato principio di derivazione rafforzata,
6 Per i soggetti in relazione ai quali trova applicazione il principio di derivazione rafforzata, l'imputazione temporale dei componenti di reddito
avviene - salvo specifiche deroghe espressamente previste dal Tuir - in perfetta aderenza alle risultanze del Conto economico, con la diretta
conseguenza di ridurre le discordanze tra utile di bilancio e reddito d'impresa, evitando al contempo la gestione di un doppio binario civilistico-
fiscale e semplificando le modalità di determinazione del reddito imponibile.
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7 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
il corrispettivo conseguito per la costituzione del diritto di superficie a tempo determinato, contabilizzato
in base alla maturazione contrattuale (analogamente a quanto avviene per la locazione), concorre alla
formazione del reddito d’impresa come ricavo (e non come plusvalenza) così come imputato in bilancio.
Trattamento contabile e fiscale del contributo per la realizzazione di allestimento locali (risposta a
interpello n. 100/E/2018)
Con la successiva risposta a interpello n. 100/2018, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in
merito al corretto trattamento fiscale applicabile a una operazione complessa (basata sulla stipulazione
di 3 contratti tra loro interconnessi). Nello specifico, la fattispecie esaminata dall’Agenzia delle entrate
riguardava il caso di una società di commercio all’ingrosso che, in data 10 aprile 2017, aveva stipulato
con una società di gestione di un fondo immobiliare i seguenti contratti:
− un “contratto di locazione”, con efficacia dal 1° settembre 2017 al 31 agosto 2026, salvo rinnovo tacito
a scadenza per ulteriori 6 anni;
− un “contratto di contributo” per la realizzazione di lavori di allestimento all’interno dei locali (c.d. lavori
di fit out), il quale prevede il riconoscimento di un contributo, pari a 25 mensilità del canone di locazione,
per la realizzazione dei predetti lavori;
− un “contratto di comodato”, a titolo gratuito, efficace alla data di consegna dell’immobile e fino al 31
agosto 2017, al fine di consentire la disponibilità dei locali per il tempo necessario per l’esecuzione dei
lavori di fit out.
In assenza di indicazioni da parte dei Principi contabili nazionali, la società istante aveva optato di ripartire
il contributo ricevuto dal locatore in quote costanti lungo la durata dei 2 contratti (comodato e locazione)
e di rilevare il contributo in parola in riduzione del canone di locazione, in applicazione del principio della
rappresentazione sostanziale, così come previsto dalla prassi contabile internazionale (SIC 15 rubricato
“leasing operativo – incentivi”). Di parere conforme all’interpretazione sostanziale individuata dalla società
istante, l’Agenzia delle entrate secondo la quale, in forza del principio di derivazione rafforzata, la
qualificazione e l’imputazione temporale adottate in bilancio in relazione al componente di reddito in
esame debbano trovare riconoscimento fiscale ai fini dell’Ires e anche ai fini dell’Irap.
Trattamento contabile e fiscale dell’indennizzo per la riduzione del canone di locazione
(risposta interpello n. 16/E/2019)
Con la successiva risposta all’interpello n. 16/E/2019, è stato affrontato, invece, il caso di una società che
conduce in locazione un immobile strumentale in forza di un contratto locativo, la cui efficacia era destinata
Contabilità e bilancio
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a cessare per effetto della disdetta comunicata dal locatore, non intenzionato a rinnovare il rapporto di
locazione alle medesime condizioni contrattuali, in ragione dell’intervenuto incremento del valore
commerciale e locatizio dell’immobile. In esito alla trattativa relativa al nuovo contratto di locazione, il
locatore accettava una riduzione del canone annuo inizialmente proposto per il rinnovo, richiedendo però,
quale contropartita, il versamento di una somma a titolo di indennizzo per la riduzione del canone annuo,
accordato con apposita scrittura privata espressamente qualificata dalle parti come “scrittura indennitaria”.
A fronte di tale pattuizione contrattuale è stato chiesto all’Agenzia delle entrate quale fosse il corretto
trattamento fiscale dell’indennizzo in parola, ai fini delle imposte dirette (Ires e Irap).
Soluzione prospettata dal contribuente istante
Secondo la società istante – che predispone il proprio bilancio in conformità alla normativa del codice
civile, interpretata e integrata dai Principi contabili elaborati dall’Organismo italiano di contabilità (Oic)
– la contabilizzazione del pagamento anticipato dell’indennizzo in parola doveva rispettare quanto
disposto dall’articolo 2423-bis, comma 1, n. 1-bis, cod. civ. secondo cui “la rilevazione e la presentazione
delle voci di bilancio è effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del contratto”. Infatti detta
somma, al di là della qualificazione contrattuale come “indennizzo”, da un punto di vista sostanziale
doveva ritenersi una componente anticipata del canone di affitto dell’immobile. In particolare,
trattandosi di fattispecie non specificatamente disciplinata dai Principi contabili, la società istante
riteneva che dovesse applicarsi, per analogia, la disciplina prescritta dal Principio contabile Oic 12
(Appendice A) per la fattispecie (seppure differente) delle operazioni di locazione finanziaria, con
conseguente possibilità di:
− ripartire il pagamento anticipato dell’indennizzo in proporzione al tempo e più precisamente lungo
tutto il periodo della durata contrattuale della locazione (18 anni), tramite l’iscrizione di un risconto
attivo e;
− di dedurre, in un’unica soluzione, le quote non ancora dedotte nell’esercizio in cui si fosse verificata
l’interruzione anticipata del contratto di locazione (ossia prima del diciottesimo anno dalla data di inizio
della locazione).
Soluzione fornita dall’Agenzia delle entrate
Di diversa opinione l’Agenzia delle entrate che, negando l’esistenza di ogni collegamento contrattuale
tra la scrittura privata (che prevede il pagamento dell’indennità) e il nuovo contratto di locazione, ha
rigettato l’interpretazione sostanziale individuata dal contribuente istante. Secondo l’Agenzia delle
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entrate, il pagamento dell’indennizzo in questione – riconducibile a un’obbligazione autonoma con
funzione indennitaria7 - rappresenta, infatti, un debito/passività di natura determinata ed esistenza
certa, trattandosi di un’obbligazione a pagare un ammontare fisso a una data stabilita. Alla luce dei
predetti elementi, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che tale somma non possa essere qualificata come
canone di locazione, assumendo la stessa una “mera” funzione indennitaria. Ai fini fiscali, quindi, in virtù
dell’anzidetta qualificazione, il componente negativo rappresentato dall’indennizzo deve essere
considerato fiscalmente deducibile, ai fini Ires e ai fini Irap, nel periodo d’imposta in cui sorge
l’obbligazione della società al pagamento verso la controparte, trattandosi di un’obbligazione
“istantanea” e non “di durata”, ai sensi dell’articolo 109, comma 2, lettera b), ultimo periodo, Tuir.
L’interpretazione adottata dall’Agenzia delle entrate non è esente da critiche in quanto la stessa pare
attribuire rilevanza contabile e fiscale unicamente agli aspetti formali della “scrittura indennitaria”
rispetto a quelli sostanziali alla base della stessa, ossia l’intervenuta riduzione del canone di locazione
previsto nel nuovo contratto di affitto. Come condivisibilmente osservato da autorevole dottrina:
“pare, infatti, difficile poter sostenere che per il locatario il pagamento della somma una tantum non
dovesse essere ricondotto, nella sostanza e al di là della qualificazione contrattuale, a un onere
afferente la locazione e come tale da imputare a bilancio secondo un criterio temporale8”.
Osservazioni conclusive
A conclusione del presente intervento non si può non evidenziare come l’attento esame dei termini
contrattuali ai fini della rilevazione e presentazione delle poste in bilancio secondo il principio della
rappresentazione sostanziale, lascia al redattore del bilancio alcuni margini di discrezionalità, che
potrebbero prestare il fianco a contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria. È giusto il caso
di precisare che, qualora dovesse emergere che la rappresentazione contabile dei fatti di gestione
adottata in bilancio non sia conforme a quella prevista dai Principi contabili (tenendo conto dei dati e
delle informazioni disponibili al momento della redazione del bilancio), l’Amministrazione finanziaria
può determinare l’imponibile applicando i corretti criteri di qualificazione, imputazione temporale e
classificazione previsti dai Principi contabili. In altri termini, è riconosciuta all’Amministrazione
finanziaria la facoltà di entrare nel merito dei termini contrattuali di una determinata operazione al fine
7 In particolare, osserva l’Agenzia delle entrate, la scrittura privata in esame precisa che, con la sottoscrizione del nuovo contratto di locazione,
le parti dichiarano espressamente che, relativamente al contratto precedente, non hanno nulla a pretendere l ’una dall’altra per qualsiasi
ragione o causa comunque dipendente e/o derivante dal contratto medesimo, rilasciandosi reciproca liberatoria. Ne consegue che, tale somma
non possa essere qualificata come canone di locazione, e che assolva, piuttosto, una “mera” funzione indennitaria. 8 Indennizzo per la riduzione del canone locativo: la sostanza economica si deve arrendere alla forma giuridica di G. Gavelli e F. Giommoni in
“il fisco” n. 18 del 2019 pag. 1-1722.
Contabilità e bilancio
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di verificare se la stessa sia stata correttamente contabilizzata in bilancio in base al criterio sostanziale:
a una errata rappresentazione contabile di una determinata operazione secondo i principi Oic consegue,
infatti, una violazione della normativa fiscale (che incide sulla determinazione del reddito di impresa)
poiché le regole dettate dai principi contabili impattano direttamente sulla determinazione del reddito
di impresa, in virtù del principio di derivazione rafforzata di cui si è detto in precedenza. Sul punto,
come correttamente affermato dalla citata dottrina, la facoltà riconosciuta all’Agenzia delle entrate di
contestare gli aspetti sostanziali di un determinato contratto, come interpretati dal contribuente, avrà
quale conseguenza un incremento significativo del contenzioso difficilmente gestibile dal giudice
tributario, in quanto relativo, non all’applicazione di una norma tributaria (o di uno specifico Principio
contabile), ma all’applicazione di un postulato del bilancio d’esercizio, quale quello della prevalenza
della sostanza sulla forma, “che richiede una interpretazione “sostanziale” degli accordi contrattuali che va
oltre l’apparente forma giuridica del contratto”.
Contabilità e bilancio
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Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Il ruolo dell’Oic rispetto ai postulati
generali del bilancio di Laura Fava – dottore commercialista, Centro Studi Tributari Euroconference
Con la revisione del Principio contabile Oic 11 “Finalità e postulati del bilancio di esercizio”,
sono state chiarite, in particolare, le modalità con cui l’Oic declina i postulati del bilancio
nei singoli Principi contabili nazionali e le regole per la definizione del corretto trattamento
contabile che il redattore del bilancio deve applicare quando non sussistono Principi
contabili nazionali che disciplinano la fattispecie concreta oppure altri Oic applicabili in via
analogica.
Regole per la redazione del bilancio di esercizio
Come noto, il bilancio di esercizio si compone dello Stato patrimoniale, Conto economico, Nota
integrativa e Rendiconto finanziario, da quest’ultimo possono ritenersi esonerate le società che
redigono il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’articolo 2435-bis, cod. civ. (e le micro imprese di
conseguenza), mentre dalla redazione della Nota integrativa possono ritenersi esonerate solamente le
micro imprese, ai sensi dell’articolo 2435-ter, cod. civ..
Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto (questa
è la traduzione del concetto di “true and fair view” adottato dalla IV Direttiva CEE 78/660/CEE del 25
luglio 1978, cui il D.Lgs. 127/1991 ha dato attuazione in materia societaria) la situazione patrimoniale
e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio.
La rappresentazione veritiera e corretta del bilancio non consiste nella assoluta verità oggettiva delle
informazioni in esso rappresentate, che peraltro non potrebbe sussistere dal momento che molti valori
sono necessariamente il prodotto di stime, ma si raggiunge attraverso la corretta applicazione dei
postulati del bilancio, la cui osservanza rassicura sulla correttezza delle stime e della loro capacità di
rappresentare fedelmente il risultato effettivo.
L’articolo 2423, cod. civ. ai commi 3, 4 e 5 annuncia 3 particolari principi, la cui declinazione pratica, in
parte affrontata dall’Oic, è a dir poco utile ai redattori del bilancio in quanto si tratta di principi che
autorizzano di derogare all’applicazione delle norme del codice civile in materia di bilancio.
Articolo 2423, comma 3, cod. civ.:
Contabilità e bilancio
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“Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una
rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo
scopo”.
Articolo 2423, comma 4, cod. civ.:
“Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa
quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e
corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di regolare tenuta delle scritture contabili. Le società
illustrano nella Nota integrativa i criteri con i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione”.
Un esempio di applicazione concreta di tale principio, riguarda la valutazione dei crediti e dei debiti
secondo il principio del costo ammortizzato che può non essere adottato per quelli con scadenza
inferiore a 12 mesi, poiché gli effetti della valutazione al costo ammortizzato in tal caso si considerano
generalmente irrilevanti.
Articolo 2423, comma 5, cod. civ.:
“Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la
rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La Nota integrativa
deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione
patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono
essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato”.
Il collegio sindacale, nell’iter di approvazione del bilancio, ai sensi dell’articolo 2429, cod. civ. è tenuto
a riferire all’assemblea anche le proprie osservazioni e proposte in ordine al bilancio, soprattutto con
riferimento all’esercizio delle deroghe previste all’articolo 2423, cod. civ..
I postulati fondamentali per la redazione del bilancio
L’Oic 11 precisa che nonostante nel codice civile i principi fondamentali per la redazione del bilancio
siano elencati all’articolo 2423-bis, cod. civ. rubricato “principi di redazione del bilancio”, devono
considerarsi ugualmente fondamentali per la corretta redazione del bilancio anche gli altri principi
contenuti agli articoli 2423, “redazione del bilancio” e 2423-ter, cod. civ. “struttura dello Stato patrimoniale
e del Conto economico”.
L’Oic individua, quindi, i seguenti postulati generali per la corretta redazione del bilancio:
a) prudenza;
Contabilità e bilancio
13 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
L’articolo 2423-bis, comma 1, n.1), prevede che “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo
prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività”.
Nei termini utilizzati dall’Oic, il principio annunciato dalla norma richiede che il redattore del bilancio
valuti le voci con ragionevole cautela delle stime in condizioni di incertezza. Secondo l’Oic,
l’applicazione del principio di prudenza comporta:
− la valutazione separata degli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci, come previsto
nell’articolo 2423-bis, comma 1, n. 5), cod. civ.. Un esempio applicativo di tale principio può essere
rappresentato dalla regola stabilita al § 41 dell’Oic 13 “Rimanenze”, secondo cui “la valutazione delle
rimanenze si effettua autonomamente per ciascuna categoria di elementi che compongono la voce”;
− il dovere di indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio (articolo
2423-bis, comma 1, n. 2), cod. civ.);
− il dovere di tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, ancorché conosciuti
dopo la chiusura dello stesso (articolo 2423-bis, comma 1, n. 4), cod. civ.).
A fronte di tali postulati generali, il cod. civ. stabilisce esplicitamente gli spazi di deroga, laddove, a
titolo esemplificativo, permette la rilevazione delle variazioni, positive e negative, di fair value degli
strumenti finanziari derivati (articolo 2426, comma 1, n. 11-bis, cod. civ.), oppure la rilevazione delle
attività e passività in valuta al cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio ancorché non ancora
regolate alla medesima data (articolo 2426, comma 1, n. 8-bis, cod. civ.).
Il ruolo dell’Oic con riguardo al postulato della prudenza è riscontrabile anche nell’Oic 25 “Imposte sul
reddito”, laddove si impone che la rilevazione dell’utile derivante dall’iscrizione delle imposte anticipate
sia subordinata alla certezza del suo futuro realizzo, quindi, alla ragionevole certezza del suo recupero
(realizzazione di redditi imponibili futuri o di differenze temporanee imponibili).
b) prospettiva della continuità aziendale;
L’articolo 2423-bis, comma 1, n. 1), cod. civ. prevede che “la valutazione delle voci deve essere fatta
secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività”.
Durante la redazione del bilancio, gli amministratori devono chiedersi se la società è capace di generare
reddito come complesso economico funzionante per un prevedibile arco di tempo futuro, non inferiore
a 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio. A seconda dell’esito di tale valutazione prospettica, la
direzione aziendale dovrà agire di conseguenza:
1. se sussistono significative incertezze con riguardo alla capacità dell’azienda di continuare a
operare come “complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito”, gli
amministratori redigono il bilancio con prospettiva di continuità aziendale indicando nella Nota
Contabilità e bilancio
14 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
integrativa le informazioni relative ai fattori di rischio, alle assunzioni effettuate e alle incertezze
identificate, nonché ai piani aziendali futuri per far fronte a tali rischi e incertezze. Dovranno essere
esplicitate anche le ragioni che qualificano come significative le incertezze esposte e le ricadute che
esse possono avere sulla continuità aziendale;
La crisi aziendale, infatti, non è una situazione irrecuperabile e irreversibile e non giustifica,
quindi, l’abbandono del criterio di valutazione secondo la continuità aziendale, anche se gli
amministratori sono chiamati ad adottare le opportune e dovute cautele, informando i soggetti
interessati, attraverso la Nota integrativa, della circostanza.
2. se, pur non sussistendo valide alternative alla cessazione dell’attività, non sono ancora state
accertate (ai sensi dell’articolo 2485, cod. civ.) le cause di scioglimento di cui all’articolo 2484, cod.
civ., gli amministratori redigono il bilancio nella prospettiva della continuazione dell’attività,
tenendo però conto del limitato orizzonte temporale residuo. Ciò significa, in pratica, che oltre a
dover descrivere in Nota integrativa le circostanze che hanno indotto tali considerazioni e il loro
effetto sulla situazione patrimoniale ed economica della società, i redattori del bilancio dovranno
effettuare le opportune revisioni ed eventuali nuove stime in sede di valutazione delle poste di
bilancio1;
3. se gli amministratori accertano il verificarsi di una causa di scioglimento ai sensi dell’articolo 2484
e 2485, cod. civ., anche durante il periodo di tempo intercorrente tra la data di chiusura del bilancio
e quella di redazione dello stesso, essi dovranno redigere il bilancio senza prospettiva della
continuazione dell’attività.
Quando si verifica una causa di scioglimento, accertata dagli amministratori, il bilancio è redatto
senza la prospettiva della continuità aziendale, tuttavia si applicano ancora i criteri di valutazione
1 L’Oic 11 elenca, a titolo esemplificativo:
a) la revisione della vita utile e del valore residuo delle immobilizzazioni, ai sensi dell’Oic 16 “Immobilizzazioni materiali” e dell’Oic 24
“Immobilizzazioni immateriali”, tenuto conto del ristretto orizzonte temporale in cui ne è previsto l’uso in azienda;
b) la stima del valore recuperabile delle immobilizzazioni ai sensi dell’Oic 9 “Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni
materiali e immateriali” tenuto conto del fatto che, in talune circostanze, il valore d’uso potrebbe non essere determinabile, non sussistendo un
adeguato orizzonte temporale per la sua determinazione. In questi casi si fa riferimento al fair value per la determinazione del valore
recuperabile;
c) l’esame dei contratti esistenti per la rilevazione di eventuali contratti onerosi ai sensi dell’Oic 31 “Fondi per rischi e oneri e Trattamento di
Fine Rapporto”. La limitatezza dell’orizzonte temporale di riferimento può infatti comportare che la durata degli impegni contrattuali in essere
risulti superiore al periodo in cui questi contribuiscono alla generazione di benefici economici, facendo sì che i costi attesi risultino superiori
ai benefici economici che si suppone saranno conseguiti;
d) la revisione delle relazioni di copertura ai sensi dell’Oic 32 “Strumenti finanziari derivati” alla luce del mutato orizzonte temporale di
riferimento;
e) la valutazione della recuperabilità delle imposte anticipate ai sensi dell’Oic 25 “Imposte sul reddito”, alla luce delle mutate prospettive
aziendali.
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15 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
dell’azienda in funzionamento ma tenendo conto del più ristretto orizzonte temporale di
riferimento.
L’Oic chiarisce2 che l’adozione dei criteri di liquidazione non è consentita prima del formale avvio
della procedura liquidatoria.
c) rappresentazione sostanziale;
Ai sensi dell’articolo 2423-bis, comma 1, n. 1-bis), cod. civ. “la rilevazione e la presentazione delle voci è
effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del contratto”.
Il postulato richiede al redattore del bilancio di svolgere un’indagine dei termini contrattuali al fine di
individuare gli effettivi diritti, obblighi e condizioni derivanti dalla transazione. Sulla base della
sostanza dell’operazione o del contratto dovrà conformarsi il comportamento contabile in termini di
iscrizione, cancellazione, valutazione degli elementi patrimoniali ed economici.
In applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, a titolo esemplificativo l’Oic
disciplina la separazione degli strumenti finanziari derivati incorporati in un altro strumento finanziario
quando le caratteristiche economiche e i rischi del derivato incorporato non sono strettamente correlati
a quelli del contratto primario e sono soddisfatti tutti gli elementi della definizione di strumento
finanziario derivato.
Già il criterio dell’attualizzazione e del costo ammortizzato rappresentano una chiara applicazione del
principio della prevalenza della sostanza sulla forma, previsto dal codice civile e con riguardo al quale
i Principi contabili nazionali forniscono diversi elementi applicativi ed indicazioni su aspetti specifici di
carattere tecnico (Oic 19 “Debiti” e Oic 15 “Crediti”).
Lo scopo di rappresentare le operazioni e i contratti secondo il principio della prevalenza della sostanza
sulla forma è quello di fornire agli utilizzatori del bilancio (vari stakeholders) informazioni realmente
utili ai fini delle loro valutazioni. Un altro motivo consiste nell’evitare il verificarsi di rappresentazioni
contabili disomogenee a fronte di transazioni economicamente omogenee, infatti:
“se per ottenere una determinata posizione finanziaria o economica sono necessari una serie di
contratti, oppure uno solo, ciò non può fare la differenza in termini di rappresentazione in bilancio. In
entrambi i casi la rappresentazione del bilancio deve essere la stessa”3.
d) competenza;
L’articolo 2423, comma 1, n. 3, cod. civ. prevede che “si deve tener conto dei proventi e degli oneri di
competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento”.
2 Motivazioni alla base delle decisioni assunte, Oic 11. 3 Motivazioni alla base delle decisioni assunte, Oic 11.
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16 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Si tratta del principio della competenza che consiste nel criterio temporale con il quale i componenti,
positivi e negativi, di reddito vengono imputati al Conto economico ai fini della determinazione del
risultato d’esercizio. In applicazione di tale principio, l’Oic 15 “Crediti” stabilisce che i crediti generati
da ricavi per operazioni di vendita di beni si contabilizzano quando:
− il processo produttivo dei beni è stato completato e
− si è verificato il passaggio sostanziale (trasferimento dei rischi e dei benefici) e non formale del titolo
di proprietà.
Deriva poi dal postulato della competenza il principio della correlazione costi-ricavi, secondo cui i costi
devono essere rilevati in bilancio al verificarsi dei relativi ricavi. In applicazione di tale principio, l’Oic
18 “Ratei e risconti” stabilisce con riguardo ai risconti attivi, la rettifica del costo a cavallo d’anno
imputato a conto economico al fine di correlarli ai ricavi di competenza di esercizi futuri.
e) costanza nei criteri di valutazione;
L’articolo 2423, comma 1, n. 6, cod. civ. prevede che “i criteri di valutazione non possono essere modificati
da un esercizio all'altro”. Al comma 2, prevede che:
“Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi
eccezionali. La Nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione
della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico”.
Il principio assicura l’omogenea valutazione delle poste economiche e patrimoniali nel corso degli
esercizi e, di conseguenza, rende agevole la loro comparabilità nell’ottica dell’analisi dell’evoluzione
economica, finanziaria e patrimoniale della società.
Le vigenti norme civilistiche però non definiscono quali possono ritenersi i “casi eccezionali” in cui è
possibile derogare alla continuità di applicazione di un Principio contabile, oltre a non stabilire le regole
e le modalità da seguire per indicare in Nota integrativa gli effetti delle modifiche dei criteri di
valutazione. I criteri di valutazione sono le regole adottate ai fini della rappresentazione delle voci di
bilancio.
L’Oic 29 “Cambiamenti di Principi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzioni di errori, fatti
intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio” detta le disposizioni applicative per la corretta rilevazione dei
cambiamenti dei criteri di valutazione (§ 12 e ss.).
f) rilevanza;
L’articolo 2423, comma 4, cod. civ. prevede che:
“Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa
quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e
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17 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di regolare tenuta delle scritture contabili. Le società
illustrano nella nota integrativa i criteri con i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione”.
Un’informazione si considera “rilevante” quando la sua omissione o errata indicazione potrebbe
ragionevolmente influenzare le decisioni prese dai destinatari primari del bilancio. La valutazione sulla
rilevanza dell’informazione comprende sia elementi qualitativi sia elementi quantitativi.
Derogare alle norme in materia di bilancio previste dal codice civile, in nome di tale postulato, comporta
una decisione consapevole e ponderata della direzione aziendale ed è possibile a condizione che tale
deroga abbia effetti non rilevanti ai fini della rappresentazione veritiera e corretta della situazione
patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.
A titolo esemplificativo, l’Oic declina tale postulato con la regola secondo cui non serve l’applicazione
del criterio di valutazione del costo ammortizzato per i crediti e i debiti con scadenza inferiore ai 12
mesi oppure del criterio del valore attualizzato per i crediti o debiti il cui tasso d’interesse desumibile
dalle condizioni contrattuali non sia significativamente diverso dal tasso di interesse del mercato.
g) comparabilità.
L’articolo 2423-ter, comma 5, cod. civ. prevede che:
“Per ogni voce dello Stato patrimoniale e del Conto economico deve essere indicato l'importo della
voce corrispondente dell'esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili, quelle relative
all'esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilità e l'adattamento o l'impossibilità
di questo devono essere segnalati e commentati nella nota integrativa”.
Il ruolo dell’Oic
La declinazione dei postulati generali del bilancio spetta all’Oic nei singoli principi nazionali. Come
precisato nella relazione illustrativa al D.Lgs. 139/2015, i Principi contabili nazionali:
− costituiscono “la codificazione delle migliori prassi operative preordinate a fornire elementi interpretativi
e applicativi nella redazione dei documenti contabili”;
− disciplinano “la necessaria declinazione pratica, ivi compresa la descrizione delle possibili casistiche, di
norme di carattere generale che, per loro intrinseca natura e finalità (quali ad esempio quelle relative ai
principi della rilevanza e della sostanza economica), recano criteri generali e non una descrizione di dettaglio
che, inevitabilmente, non potrebbe essere esaustiva delle diverse fattispecie e dei fatti gestionali a cui sono
rivolte”;
− forniscono “elementi applicativi e indicazioni per aspetti specifici di carattere tecnico riguardanti, ad
esempio, le operazioni di copertura, il costo ammortizzato e l’attualizzazione”.
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18 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Il trattamento contabile delle fattispecie non previste dagli Oic
L’Oic 11, in particolare, si è occupato di chiarire la disciplina del processo di definizione del trattamento
contabile che il redattore del bilancio deve seguire laddove manchi nei Principi contabili nazionali una
regola specifica. Tra i 3 approcci possibili, qui elencati brevemente:
1. il postulato della rappresentazione sostanziale riguarda solamente l’Oic;
2. il postulato della rappresentazione sostanziale riguarda principalmente il redattore del bilancio, con
la conseguenza che costui può disconoscere una regola contabile emanata dall’Oic se questa, a suo
giudizio, non è conforme al postulato in questione;
3. il postulato della rappresentazione sostanziale riguarda, oltre che lo standard setter, anche il redattore
del bilancio, che vi fa ricorso se necessario quando deve stabilire una propria politica contabile su una
fattispecie non disciplinata dai Principi contabili,
è stato preferito quest’ultimo approccio anche perché, come precisato dall’Oic:
“è impossibile che, in via generale ed astratta, i principi contabili possano prevedere ogni possibile
casistica generata dal concreto divenire delle gestioni aziendali, quando una fattispecie non trova
specifica disciplina nei Principi contabili nazionali, il redattore del bilancio è direttamente investito
della responsabilità di un’autonoma applicazione del principio della rappresentazione sostanziale”.
Nonostante l’Oic 11 non preveda espressamente l’opportunità di attingere alla disciplina contabile
prevista dai Principi contabili internazionali, in assenza di un principio Oic di riferimento e di altri Oic
applicabili in via analogica, non è escluso che:
“laddove un Principio contabile internazionale risulti conforme ai postulati previsti nell’Oic 11, e non
vi siano altri Oic applicabili in via analogica, possa essere preso a riferimento dal redattore del bilancio
nello stabilire di caso in caso una politica contabile appropriata”.
Contabilità e bilancio
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Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Le spese legali: aspetti contabili e
fiscali di Giovanni Valcarenghi – ragioniere commercialista, revisore legale e pubblicista
Spese legali tra problemi di competenza e regole di contabilizzazione nel caso di
soccombenza; questi paiono essere gli aspetti più rilevanti nell’analizzare le problematiche
connesse alla gestione delle consulenze fornite alle aziende.
Nel presente intervento, pertanto, cerchiamo di richiamare i concetti da tenere in
considerazione per non commettere errori.
La deduzione delle spese legali e la competenza
Una prima questione che va certamente richiamata nella corretta gestione della posta in analisi è quella
della competenza fiscale del costo per servizi, da contabilizzare nella voce B7 del Conto economico.
Capita sovente, infatti, che la prestazione del legale si prolunghi per più esercizi, specialmente quando
riguarda l’assistenza in una causa. Sul versante civilistico non sorgono particolari dubbi, visto che il
principio di prudenza impone di tenere in considerazione le spese anche qualora siano esclusivamente
stimate. Per ciò che attiene, invece, l’ambito tributario, la deduzione di un costo per una prestazione di
servizi è concessa a condizione che la prestazione medesima sia conclusa.
Si pensi, allora, all’abitudine ricorrente nelle professioni legali, di richiedere degli acconti a valere sulla
più ampia prestazione, talvolta non ben dettagliati o specificati.
In tal caso:
− sul versante civilistico si dovrà stimare la “sufficienza” di tale acconto a fronte delle prestazioni
ricevute;
− sul versante fiscale, invece, si dovrà sospendere la deduzione di tale costo, in quanto la prestazione
(se intesa come unitaria) non è ancora conclusa.
Pare allora buona abitudine quella di richiedere al legale di esporre un compenso frazionato per le varie
fasi del giudizio, in modo da poter individuare:
1. le prestazioni già iniziate e concluse nel periodo di imposta, che possono essere dedotte sotto forma
di parcelle già ricevute (per l’intero importo, ovvero in parte) ovvero di costi per fatture da ricevere, nel
caso in cui gli acconti non coprano l’intero compenso di riferimento;
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20 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
2. le prestazioni già iniziate e non ancora concluse, per le quali si dovrà stimare la quota di costo
civilistico che (per prudenza) va imputato a Conto economico ma non può essere dedotto dal punto di
vista fiscale;
3. le prestazioni non ancora iniziate, in relazione alle quali non si deve transitare a Conto economico
(né tantomeno dedurre alcunché) ma ci si deve limitare a esporre nel bilancio una posizione creditoria
che dovrà essere poi “imputata” a costo nei successivi periodi.
Per fare un esempio, si potrebbe ipotizzare di scomporre il compenso per un legale nelle seguenti
porzioni:
− analisi e valutazione della pratica, colloqui informativi, sessioni con il cliente, etc. (compenso in ogni
caso dovuto);
− stesura e presentazione del ricorso;
− valutazione delle doglianze di parte avversa;
− stesura di memorie aggiuntive e ulteriori documenti;
− partecipazione alle udienze;
− stesura dell’appello;
− etc..
Va peraltro rammentato che, in linea di principio, l’obbligo di fornire un preventivo al cliente dovrebbe
rappresentare un valido supporto documentale per svolgere molte delle valutazioni di cui sopra, ferma
restando la possibilità di richiedere al legale di fiducia eventuali specifiche e dettagli di valori
comprensivi di fasi che si dovessero porre a cavallo d’anno.
Si tenga anche in considerazione che, per effetto del principio della derivazione rafforzata1, la corretta
scelta operata secondo Principi contabili dovrebbe ridurre le “distanze” tra Conto economico e
imponibile fiscale. Ma ciò vale solo quando si parla di spese certe; infatti, ove si intendesse operare solo
un accantonamento a un fondo per spese (temendo di dover sostenere costi non ancora concretizzati),
la predetta posta sfuggirebbe alla derivazione rafforzata, nonostante il medesimo transito a Conto
economico nella voce B72.
In tale ultima fattispecie, peraltro, il recupero fiscale avverrà nel momento in cui si utilizzerà il fondo,
oppure nel momento in cui lo si stornerà ritenendo la stima eccedente rispetto al bisogno.
1 Ci si riferisce alle sole società di capitali che redigono un bilancio diverso da quello delle micro imprese. 2 Con la conseguente indeducibilità della posta, in quanto non coincidente con gli accantonamenti specificamente ammessi in deduzione
dall’articolo 107, Tuir.
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21 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
La condanna al pagamento delle spese e la distrazione
Il codice di procedura civile prevede, all'articolo 91, comma 1, che:
"il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al
rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.
Eguale provvedimento emette nella sua sentenza il giudice che regola la competenza".
Il successivo articolo 93, c.p.c. inoltre, aggiunge che:
"il difensore con procura può chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese,
distragga in favore suo e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere
anticipate. Finché il difensore non abbia conseguito il rimborso che gli è stato attribuito, la parte può
chiedere al giudice, con le forme stabilite per la correzione delle sentenze, la revoca del provvedimento,
qualora dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per gli onorari e le spese".
Dalle richiamate norme ricaviamo che, nella pratica, è possibile individuare 2 differenti fattispecie:
1. il soggetto vittorioso paga il proprio legale e richiede il rimborso alla controparte soccombente;
2. il legale di parte vittoriosa richiede a parte soccombente di provvedere direttamente al pagamento
della propria parcella.
Pagamento diretto al proprio legale e richiesta di rimborso
Nel primo caso rappresentato al precedente paragrafo, è possibile schematizzare l’iter come segue,
tenendo anche conto della circolare n. 203/E/1994:
− il legale emette la propria parcella al cliente che gli ha conferito mandato, soggetto che provvede al
pagamento;
− se il soggetto vittorioso ha modo di recuperare l’Iva, in quanto soggetto passivo, provvederà ad
addebitare al soggetto soccombente il solo imponibile, come confermato dalla Cassazione con le
sentenze n. 4720/1988 e n. 3843/19953;
− ove parte vittoriosa fosse – invece – un soggetto privato, senza titolarità di partita Iva, provvederà a
riaddebitare l’intero onere (imposta compresa) alla parte soccombente. Infatti, l’Iva in tal caso
rappresenta un vero e proprio onere accessorio, come confermato anche dalla giurisprudenza di
legittimità (in tal senso, si veda, tra le altre, Cassazione, SS.UU., n. 3544/1982).
3 Certamente non mancano casi intermedi rispetto a quelli rappresentati. Si pensi, ad esempio, al caso del soggetto (parte vittoriosa) che possa
detrarre il tributo solo parzialmente, in quanto applica – ad esempio – il pro rata di detrazione. Per tali fattispecie, quindi, si ritiene che vada
applicato il criterio generale che emerge dalle sentenze citate: si riaddebita quanto rimasto effettivamente a carico di parte vittoriosa, pur
nella consapevolezza che l’effettivo carico si potrà determinare solo con la presentazione della dichiarazione e il consolidamento del pro rata.
Contabilità e bilancio
22 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Si faccia attenzione al fatto che, nel caso di cliente del legale soggetto Iva, l’atto di recupero nei
confronti di parte soccombente, come precisato dalla circolare n. 203/E/1994, non deve mai comportare
l’obbligo di emissione della fattura, per il semplice motivo che tra il vittorioso e il vinto non viene
scambiata alcuna prestazione di servizi né cessione di beni.
Smarcata la questione sul versante dell’Iva, ci si deve domandare, ulteriormente, chi sia tenuto a operare
la ritenuta d’acconto e chi possa dedurre il costo.
Il primo interrogativo è di facile soluzione, semplicemente apprezzando le indicazioni generali del
D.P.R. 600/1973; il soggetto che effettua il pagamento (parte vittoriosa) è tenuto a operare la ritenuta
d’acconto. La parte soccombente, infatti, non entra nemmeno in contatto con il professionista e, per
conseguenza, mai potrà applicare alcuna ritenuta.
In merito alla seconda questione, la deduzione dell’onere spetta unicamente al soggetto che rimane
effettivamente inciso dal costo, con la conseguenza che:
− parte vittoriosa paga materialmente il legale ma non deve sopportarne il costo, quindi si limiterà a
rilevare delle mere poste di credito nei confronti di parte soccombente;
− parte soccombente, invece, deve ristorare il vincitore dell’onere per legale e ne sopporta il costo per
effetto della richiesta ricevuta da controparte. Come visto, non si riceverà una fattura da parte vittoriosa,
ma la deduzione di tale costo è supportata dal contenuto stesso della sentenza che ha stabilito la
soccombenza.
All’atto pratico, tuttavia, si potrebbe riscontrare che, nella pratica, il fatto che pervenga una fattura in
azienda potrebbe indurre gli operatori ad annotare il relativo costo, evidenziando poi un componente
positivo all’atto del riaddebito a parte soccombente.
In realtà tale comportamento non dovrebbe essere considerato pienamente corretto, per il semplice
motivo che, sin dall’origine, la sentenza ha previsto il soggetto sul quale detto costo deve gravare.
È pur vero, tuttavia, che molto frequentemente il costo delle pratiche del legale è già stato sopportato
dal cliente (poi vittorioso) che, nel rispetto delle condizioni di cui al paragrafo precedente potrebbe
già avere fatto transitare a Conto economico il relativo costo; in tal caso, non resta che operare il
riaddebito evidenziando il componente positivo, ottenendo così un indiretto bilanciamento di Conto
economico.
Ipotizzando, per semplice esempio, che il legale non sia stato in precedenza saldato, si potrebbe
prevedere le seguenti scritture contabili:
− al ricevimento della fattura, con possibilità di detrarre l’Iva
Contabilità e bilancio
23 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Diversi a Diversi
Crediti v/so terzi per recupero oneri legali 1.000
Iva a credito 220
a Avvocato XY 1.020
Erario c/ritenute 200
− segue normale rilevazione del pagamento del netto all’avvocato e del versamento della ritenuta
d’acconto alla prescritta scadenza
− all’incasso da parte del soccombente
Banca XY a Crediti v/so terzi per recupero oneri legali 1.000
Pertanto, parte vittoriosa:
− paga al proprio avvocato il compenso netto di 1.020;
− versa la ritenuta d’acconto di 200;
− riceve da controparte il rimborso di 1.000;
− detrae 220 di Iva sugli acquisti.
Pagamento diretto del soccombente al legale di parte vittoriosa
In tale seconda evenienza, cominciamo pure col ricordare che la fattura andrà emessa (dal legale)
sempre al committente del servizio, vale a dire il cliente parte vittoriosa; è solo nei suoi confronti, infatti,
che si è instaurato il rapporto sinallagmatico che impone l’applicazione delle disposizioni del D.P.R.
633/1972.
Il professionista, poi, riceverà un pagamento da parte di un soggetto differente rispetto a quello a carico
del quale ha emesso la fattura, ma ciò è tranquillamente coordinato con il contenuto del dispositivo
della sentenza.
Il destinatario della fattura (parte vittoriosa) annoterà nella propria contabilità il documento, e tale
adempimento gli darà la possibilità di detrarre l’Iva; da tale considerazione deriva il fatto che l’onere
posto a carico della parte soccombente, in realtà, è solo la quota netta dell’Iva (sostanzialmente, il
compenso vero e proprio e gli eventuali rimborsi spese). Il tutto, ovviamente, a condizione che la parte
vittoriosa sia un operatore Iva e non subisca limitazioni di sorta alla detrazione del tributo; in tale ultimo
caso, peraltro, accade che parte soccombente dovrà rimborsare l’intero importo e non avrà alcun diritto
a detrarre il tributo, per il semplice fatto che non è destinatario di alcuna fattura da parte del legale.
Ancora, per precisare meglio, ciò che sta rimborsando (in tale fattispecie) non è un imponibile e
un’imposta, bensì unicamente il gravame che è stato indebitamente sopportato da parte vittoriosa in
Contabilità e bilancio
24 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
conseguenza della causa. Oppure, per utilizzare termini differenti per esprimere il medesimo concetto,
ciò che si sta rimborsando non è tecnicamente Iva, bensì un importo equivalente al tributo.
In mezzo al guado, tra coloro che detraggono Iva in modo integrale e coloro che non la detraggono
proprio, si collocano le situazioni di parti vittoriose che detraggono in base a pro rata; come già detto
in precedenti paragrafi, qui si tratta di:
− affermare, per un certo verso, che il rimborso dovrebbe comunque spettare per la parte di Iva che –
di fatto – non viene detratta;
− riscontrare, per altro verso, che l’importo effettivo dell’Iva non detraibile da pro rata si potrà conoscere
solo al termine del periodo di imposta, a seguito del c.d. assestamento.
Non resta che comunicare la percentuale provvisoria e agire sulla base di quella, salvo ipotizzare un
conguaglio a fine anno, con le complessità (anche operative) che sono connesse a tale ipotesi, ove non
si riuscirebbe a concludere la posizione in modo definitivo nell’immediato.
In merito alle conseguenze nel comparto imposte dirette, si tratta di comprendere – ancora una volta
– chi debba operare la ritenuta e chi possa dedurre il costo.
Alla prima domanda si può rispondere rammentando che l’articolo 25, D.P.R. 600/1973 obbliga i
sostituti ad applicare la ritenuta d’acconto sui compensi:
“…. comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro
autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell'interesse di terzi …”.
Quindi, l’obbligo della ritenuta scatta anche per prestazioni rese a terzi o nell’interesse di terzi; nello
stesso senso, si rinvengono conferme della Cassazione (n. 3777/1982 e n. 9332/1996) e
dell’Amministrazione finanziaria (risoluzione n. 8/1619/1991 e circolare 1/RT/50550/1973). In
particolare, nei citati documenti si conferma che
“… l'area di applicazione della ritenuta è stata estesa fino a ricomprendervi le remunerazioni di
compensi per prestazioni professionali rese, al di fuori del sinallagma commissione-prestazione, a
favore di un committente non esecutore del pagamento, come accade in ottemperanza a una sentenza
di condanna”.
Nonostante tali approdi, si potrebbe certamente sostenere che il pagamento effettuato dal terzo
sarebbe null’altro che l’atto che concretizza l’ottemperanza al dispositivo della sentenza, e mai
concretizza l’erogazione di un compenso; pur tuttavia, intestardirsi su tale posizione dopo le indicazioni
ormai consolidate, non porterebbe a null’altro che un concreto rischio di contestazione.
In merito al dubbio sulla deduzione del costo, il contenuto stesso della sentenza legittima a sostenere
che il componente negativo deve gravare unicamente sul soggetto soccombente; pertanto, la parte
Contabilità e bilancio
25 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
vittoriosa rimarrebbe del tutto estranea alla vicenda e non dovrebbe mai intaccare il proprio Conto
economico.
Ipotizziamo ora le scritture contabili di parte soccombente, come segue:
− non riceve alcuna fattura a lei intestata, ma la copia del documento di parte vittoriosa, che ha potuto
detrarre Iva
Spese legali a Diversi 1.000
a Avvocato XY 800
a Erario c/ritenute 200
Pertanto, parte soccombente:
− paga il compenso all’avvocato di controparte, al netto della ritenuta;
− provvede a versare la ritenuta all’Erario.
Diversamente, parte vittoriosa:
− riceve la fattura dal proprio avvocato, l’annota e detrae l’Iva;
− paga l’importo dell’Iva al proprio avvocato;
− non paga alcun compenso, a carico di parte soccombente.
All’atto della ricezione della fattura dell’avvocato, parte vittoriosa annota:
Diversi a Diversi 1.220
Crediti diversi 1.000
Iva a credito 220
a Avvocato XY 220
a Crediti diversi 1.000
Contabilità e bilancio
26 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
La riforma dell’articolo 2086, cod. civ.:
assetti organizzativi, amministrativi e
contabili per la rilevazione della crisi di Massimo Buongiorno – docente di finanza aziendale presso l’Università Luigi Bocconi di Milano e Ca’
Foscari
Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza delle imprese ha modificato alcune norme del
codice civile per renderle coerenti con l’impostazione generale della riforma orientata a una
rilevazione tempestiva della crisi in modo da rendere più efficaci gli strumenti di possibile
risoluzione.
Una delle modifiche più critiche riguarda il nuovo obbligo imposto agli amministratori delle
società di adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili idonei proprio allo scopo
di una rapida emersione della crisi. La modifica contenuta nell’articolo 2086, cod. civ. non si
è tradotta in una chiara individuazione di quali siano gli assetti adeguati e le modalità
attraverso le quali le società si debbano adeguare.
Il presente lavoro propone sulla base delle indicazioni disponibili in letteratura e in prassi
alcune possibili linee di guida per il comportamento degli amministratori di società.
Premesse generali
L’articolo 3 del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza delle imprese prevede che:
“L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e
assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
L’imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086,
cod. civ., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.
L’obbligo di adottare le misure idonee a rilevare tempestivamente la crisi è esteso a tutte le imprese
mentre per le sole imprese esercitate in forma collettiva deve essere applicato il nuovo comma 2,
articolo 2086, cod. civ. ora rubricato “Gestione delle imprese” che prevede che:
“L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche
in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità
Contabilità e bilancio
27 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
aziendale, nonchè di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti
dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
La differenza tra le 2 prescrizioni andrà ricercata nella presunzione che le imprese esercitate in forma
societaria abbiano maggiori dimensioni, siano più articolate e quindi richiedano, ai fini
dell’individuazione dello stato di crisi qualcosa in più dell’attenzione dell’imprenditore ma vere e
proprie procedure la cui formalizzazione dovrà tenere conto del grado di complessità dell’attività
d’impresa.
Gli obblighi in capo agli imprenditori/amministratori non si limitano alla sola rilevazione dello stato di
crisi ma anche all’adozione degli strumenti opportuni per superare la crisi.
Questa impostazione era già ravvisabile nella Legge Delega 155/2017 che recepiva le indicazioni
provenienti dalla Commissione Rordorf e infatti all’articolo 14, comma 1, lettera b), richiedeva al
Governo di:
“istituire gli assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della
continuità aziendale, nonchè di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti
dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Nel passaggio al testo definitivo si sono aggiunti anche gli assetti amministrativi e contabili e non si è
ritenuto opportuno includere anche la rilevazione della perdita di continuità aziendale.
Al proposito la relazione ministeriale illustrativa della versione definitiva del testo del Codice dedica
ampio spazio alle nuove misure preventive che qui viene riassunto nei passaggi fondamentali:
“Allo scopo di scongiurare la progressiva dispersione del valore aziendale e per giungere a
“massimizzarne il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale”, come
prevede l’obiettivo principale posto nella raccomandazione 2014/135/UE, (1° considerando) è stata
introdotta una fase preventiva di “allerta”, volta ad anticipare l’emersione della crisi intesa come
strumento di sostegno, diretto in prima battuta a una rapida analisi delle cause del malessere
economico e finanziario dell’impresa, e destinato a risolversi all’occorrenza in un vero e proprio servizio
di composizione assistita della crisi, funzionale ai negoziati per il raggiungimento dell’accordo con i
creditori o, eventualmente, anche solo con alcuni di essi (ad esempio quelli meno conflittuali, o più
strategici). Con le misure di allerta si mira a creare un luogo d’incontro tra le contrapposte, ma non
necessariamente divergenti, esigenze, del debitore e dei suoi creditori, secondo una logica di
mediazione e composizione, non improvvisata e solitaria, bensì assistita da organismi
professionalmente dedicati alla ricerca di una soluzione negoziata, con tutti i riflessi positivi che ne
possono indirettamente derivare, anche in termini deflattivi del contenzioso civile e commerciale”.
Contabilità e bilancio
28 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
La ratio di fondo di questa impostazione è assolutamente condivisibile: l’esperienza degli ultimi 15 anni
successivi alla riforma del 2005 hanno mostrato che una delle principali difficoltà per preservare la
continuità aziendale delle imprese in crisi è proprio quella per l’imprenditore/amministratore di
accettare l’esistenza di una situazione e trarne le dovute conseguenze.
Le motivazioni sono diverse e riguardano sia l’incapacità di individuare correttamente i sintomi e gli
indizi della crisi per carenza dei sistemi informativi interni sia perchè i dati che ne provengono sono
filtrati da un’ottica ultra ottimistica dell’imprenditore/amministratore che tende a ritenere possibile il
risanamento dell’impresa senza un coinvolgimento esterno anche quando l’evidenza mostra
chiaramente il contrario.
Proprio per scongiurare entrambi i problemi sottolineati, il Legislatore ha ritenuto che da un lato si
dovesse intervenire obbligando le imprese a dotarsi di supporti informativi adeguati per la prevenzione
della crisi e dall’altro si dovesse incentivare il decisore ad anticipare la crisi concedendo misure premiali
ai più meritevoli.
La definizione di crisi e la tempestività dell’azione del debitore
Prima di affrontare il tema dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, è
necessario confrontarsi con la definizione di crisi che il Legislatore fallimentare ha ritenuto di adottare.
L’articolo 2 del Codice al comma 1, lettera a) riporta la seguente definizione di crisi:
“lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le
imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle
obbligazioni pianificate”.
Per la definizione generale di crisi la valutazione che deve essere fatta è di “probabilità” e non di
certezza di incapacità ad adempiere alle obbligazioni che altrimenti già configurerebbe una ipotesi di
insolvenza. In tal senso, l’impossibilità temporanea a far fronte alle obbligazioni può sicuramente essere
interpretata come un indizio di crisi ma, per orientamento unanime giurisprudenziale (cfr. da ultimo
Cassazione n. 15572/2019), non è sufficiente a indicare insolvenza che si ha solamente in presenza di
una impotenza strutturale.
Tale posizione è confermata dallo stesso articolo 13 del Codice comma 1 per il quale i ritardi nei
pagamenti nei confronti dei dipendenti e dei fornitori, se reiterati e rilevanti, costituiscono un fondato
indizio di crisi; possono, infatti, essere concesse misure premiali al debitore che ha gestito la crisi entro
3 o 6 mesi a seconda dello strumento scelto a partire da quando si verifica:
Contabilità e bilancio
29 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
− l’esistenza di debiti per salari e stipendi scaduti da almeno 60 giorni per un ammontare pari a oltre la
metà del monte salari complessivo;
− l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 120 giorni per un ammontare superiore a quello
dei debiti non scaduti.
È meritevole il debitore che si è attivato entro un termine predefinito da quando il debito è scaduto
verso le suddette categorie di debitori, ne deriva che le soglie definite dal Legislatore possono essere
interpretate come indicative dell’esistenza della crisi.
Nella definizione di crisi vi è poi una ulteriore qualificazione che interpreta la crisi, come è stato notato
in dottrina, in senso finanziario cioè confrontando i flussi prospettici in entrata attesi dalla
continuazione dell’attività aziendale con i flussi in uscita derivanti dal corretto adempimento delle
obbligazioni assunte.
La definizione di crisi non introduce un periodo temporale di riferimento per l’analisi che risulta invece
contenuto nell’articolo 13 del Codice comma 1 dove il Legislatore non ha ritenuto di fissare un orizzonte
di 6 mesi per il confronto tra flussi attesi dall’attività aziendale e obbligazioni assunte. Nello stesso
articolo 13 del Codice comma 1 si afferma che:
− gli indici che misurano la crisi danno evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i 6 mesi
successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua
dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a 6 mesi, per i 6 mesi successivi;
− gli indici sono scelti dal debitore ma comunque dovranno includere il c.d. DSCR ovvero il rapporto tra
i flussi che l’impresa è in grado di generare e gli oneri del debito e il rapporto tra i mezzi propri e quelli
di terzi.
Al comma 2, articolo 13 del Codice è invece previsto che il Cndcec definisca e calcoli i valori soglia di
specifici indici che tengano conto del settore di appartenenza dell’impresa e di altre ulteriori
caratteristiche (società in liquidazione, start-up innovative).
Infine, andrà ricordato che i creditori pubblici qualificati (Agenzia delle entrate, Inps e agenti di
riscossione) devono segnalare all’organo amministrativo il superamento degli importi rilevanti fissati
in modo specifico per ciascun creditore (si veda al proposito l’articolo 15 del Codice).
Verso possibili linee guida per le imprese
Il testo del nuovo articolo 2086, cod. civ. si stacca dalle indicazioni previste dalla Legge Delega per
riprendere la formulazione dell’articolo 2403, cod. civ. che riguarda i doveri del collegio sindacale. In
particolare, è previsto (comma 1) che:
Contabilità e bilancio
30 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
“il collegio sindacale vigila sull'osservanza della Legge e dello Statuto, sul rispetto dei principi di
corretta amministrazione e in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e
contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”.
In tal senso, l’obbligo previsto per gli amministratori non è nuovo posto che, dovendo il Collegio vigilare
sull’adeguatezza degli assetti, la società doveva già dotarsi di strumenti sufficienti a superare la verifica
del Collegio.
Sul punto la norma 3.4 inclusa nelle Norma di comportamento del collegio sindacale emanate dal
Cndcec nel settembre 2015 prevede che:
“per assetto organizzativo si intende il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per
garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello
di competenza e responsabilità.
Un assetto organizzativo è adeguato se presenta una struttura compatibile alle dimensioni della
società, nonché alla natura e alle modalità di perseguimento dell’oggetto sociale.
Per le verifiche del concreto funzionamento dell'assetto organizzativo della società l'organo di
controllo può avvalersi di motivate tecniche di campionamento”.
Un primo tema riguarda quindi la comprensione dell’effettivo livello di delega da parte del vertice
aziendale poiché è chiaro che quanto più si definisce chiaramente, su differenti livelli, la relazione
obiettivi-responsabilità-risorse tanto più diviene agevole l’emersione di aree di criticità che possono
portare alla crisi aziendale. Per converso l’accentramento di ogni decisione o responsabilità in capo a
uno solo o pochissimi soggetti, espone a un maggiore rischio di opacità nel fare emergere situazioni di
difficoltà.
Tale aspetto diviene ancora più critico quando al crescere delle dimensioni aziendali non segue un
adeguamento dei processi organizzativi permanendo logiche da piccola impresa se non artigianale.
Nel prossimo futuro dovrà esserci più attenzione a questo punto che non necessariamente deve tradursi
un “modello 231” ma almeno mostrare significativi elementi di discontinuità rispetto al passato.
Le indicazioni che vengono dalla norma di comportamento sono solo parzialmente applicabili al nuovo
contesto definito dall’articolo 2086, cod. civ. poiché nell’articolo 2430, cod. civ. non si fa riferimento
alla rilevazione della crisi.
Riprendendo le differenti modalità di accertamento della crisi diviene ora necessario che le società
adottino procedure atte a tenere sotto costante monitoraggio, in primo luogo le soglie quantitative
definite dal nuovo Codice.
Tali procedure possono essere riassunte nelle seguenti:
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31 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
− adozione di software che monitorino a dati intervalli temporali (ragionevolmente il mese) l’eventuale
superamento delle soglie previste dall’articolo 24 del Codice per i debiti nei confronti dei fornitori e dei
dipendenti. Le procedure informatiche dovranno per quanto attiene ai fornitori essere in grado di
costruire la composizione per scadenza del debito in modo da poter agevolmente verificare il rapporto
tra lo scaduto da più di 120 giorni e il debito non scaduto e per quanto attiene ai dipendenti distinguere
lo scaduto da più di 60 giorni dagli altri debiti verso i dipendenti;
− adozione di software che verifichino l’eventuale superamento degli importi rilevanti con riferimento
al debito Iva scaduto e non versato, ai contributi previdenziali e ai debiti a ruolo scaduti e non versati.
Con riferimento al bilancio di esercizio, le società dovranno adottare procedure per il calcolo automatico
degli indici di bilancio previsti dal Cndcec (non ancora noti in via definitiva al momento della stesura
del presente lavoro). È ragionevole ipotizzare che gli indici siano in gran parte costruiti con voci a
numeratore e denominatore tratti dallo stesso schema di bilancio, rendendo così possibili verifiche nel
corso dell’esercizio su bilanci interinali che la società deve essere in grado di preparare.
Infine, rimane l’aspetto più critico ovvero la capacità di cogliere l’evoluzione del rapporto tra flussi
attesi e impegni e obbligazioni che la società ha assunto.
Le imprese dovranno infatti maturare la capacità di pianificare il loro futuro e di tradurli in documenti
quali piani, programmi e budget. Tale capacità è strettamente correlata all’assetto organizzativo che
non andrà inteso solamente come l’organigramma con al più l’indicazione delle mansioni attribuite ma
anche l’insieme dei processi organizzativi, codificati e non, da un sistema di regole e procedure, che
consentono all’impresa di operare. Tali assetti devono consentire di formulare previsioni affidabili circa
la dinamica finanziaria di breve periodo per verificare la sostenibilità del debito ma anche circa le
prospettive reddituali nell’arco del medio periodo per verifica la continuità aziendale con un maggior
respiro rispetto alla rigida accettazione del ridotto termine previsto dall’articolo 13 del Codice. Può
essere infatti che in situazioni di difficoltà il mantenimento della continuità aziendale debba essere
apprezzato nell’arco di almeno 2-3 esercizi se non di più.
Questo passaggio non è di poco momento, soprattutto per le piccole, medie e talvolta anche grandi
imprese che non possiedono un processo di pianificazione formalizzato e correttamente articolato. È
fatto noto in economia aziendale che un processo di pianificazione affidabile richieda tempo per essere
costituito (e sicuramente i 18 mesi per l’entrata in vigore della norma non sono sufficienti) e quindi è
auspicabile che se ne tenga conto nella valutazione concreta dei nuovi disposti normativi tuttavia è
necessario che il processo prenda avvio, essendo ormai divenuto imprescindibile.
Contabilità e bilancio
32 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Si nota infatti che la necessità per le imprese di pianificare viene anche dalla lettura dei Principi
contabili come aggiornati dopo la riforma del bilancio contenuta nel D.Lgs. 139/2015 ma anche dalle
richieste del sistema bancario che a sua volta deve rispondere alle nuove normative di vigilanza ma
anche al nuovo Ifrs 9.
Un ultimo punto riguarda l’analisi a consuntivi dei risultati ottenuti non solamente sotto il profilo
dell’analisi del bilancio ma attraverso corrette procedure di controllo di gestione che dovranno
interpretare gli scostamenti esistenti tra i risultati effettivi e quelli previsti.
Ovviamente gli strumenti dovranno essere commisurati con le dimensioni e le tipologie delle imprese
ma anche in questo caso si ritiene che gli imprenditori/amministratori, se non per ovvie ragioni
gestionali, debbano quanto meno attivarsi nel rispetto dei nuovi obblighi normativi.
Sintesi conclusiva
È ragionevole che nel prossimo futuro disporremo di principi, linee guida e norme di comportamento
che guideranno con maggiore chiarezza l’operare degli amministratori per essere “compliant” rispetto
alla nuova normativa e ai maggiori obblighi previsti dal nuovo articolo 2086, cod. civ. ma anche
dall’intero impianto del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza delle imprese.
Tuttavia, già oggi molte indicazioni sono chiare e vanno nel senso di orientare maggiormente l’attività
dell’amministratore verso un accertamento più oggettivo dell’esistenza della crisi. Non vi è dubbio che
tale processo sia irreversibile e che molteplici fattori spingano nello stesso senso.
Ovviamente non si può pretendere che importanti cambiamenti nella cultura e nel modo di fare impresa
possano avvenire con la bacchetta magica ma non pare più accettabile per il futuro la logica “dello
struzzo” che troppe volte è stata la vera causa della crisi.
Vigilanza e revisione
33 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Le misure della qualità del revisore: gli
audit quality indicators di Marco Bozzola – dottore commercialista e revisore legale
Al di là delle previsioni normative sui controlli di qualità cui saranno sottoposti i revisori, da
tempo e da più parti si chiedono maggiori controlli sulla qualità della revisione e ciò non
tanto per finalità sanzionatorie, ma con l’obiettivo di tenere alta l’efficacia della revisione
stessa, che si ritiene imprescindibile fondamento per la fiducia di investitori e operatori nelle
informazioni finanziarie. Un recente convegno organizzato da Consob il 27 settembre 2019,
avente per oggetto “La qualità dell’audit: quale ruolo per l’Audit Committee?”, ha affrontato,
tra l’altro, gli indicatori dell’audit quality, che sulla base dell’esperienza internazionale, che
possono costituire un efficace strumento di misurazione e valutazione del revisore e una
solida base di partenza del confronto tra Audit Committee (o collegi sindacali) con l’organo
incaricato del controllo legale dei conti. L’iniziativa orientata in prevalenza alle tematiche
inerenti gli organi di controllo degli enti di interesse pubblico, ma hanno fornito spunti di
riflessione assai interessanti per ogni attore del controllo societario sui temi della qualità
della revisione.
In prospettiva del controllo qualità che i revisori stanno attendendo e a cui si stanno preparando, un
recente incontro in Consob, destinato primariamente ai collegi sindacali delle società quotate, ha posto
l’attenzione sulla qualità della revisione e la vigilanza dell’Audit Committee nel controllarla e misurarla.
La previsione normativa affida infatti al collegio sindacale il compito di indicare all’assemblea degli
azionisti il nome del soggetto incaricato della revisione contabile e di fatto fin dalla sua genesi l’incarico
dovrebbe quindi basarsi sui pilastri della qualità e dell’indipendenza del revisore stesso.
Ebbene lo stesso organo, che ha valutato sin dall’inizio dell’incarico tali presupposti per l’ottenimento
dell’incarico, è chiamato dalla norma di legge a vigilare nel continuo che qualità e indipendenza
rimangano elementi costitutivi ed essenziali dell’attività di revisione, attraverso specifiche azioni di
monitoraggio, tanto più prescritte per gli enti di interesse pubblico (EIP), ma di fatto pienamente
applicabili per ogni tipo di società.
Di fatto l’obiettivo dell’incontro sopracitato era duplice, identificare se il collegio sindacale può misurare
con indicatori la qualità della revisione e se, attraverso tale mappatura, si possa contribuire al
miglioramento del processo di revisione, elevando obiettivi e stimolando azioni correttive.
Vigilanza e revisione
34 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
I riferimenti della qualità nel quadro normativo e professionale
I riferimenti normativi per la qualità della revisione sono principalmente negli articoli 10-ter e 10-quater,
D.Lgs. 39/2010 rispettivamente sull’organizzazione interna e sull’organizzazione del lavoro.
Il primo articolo evidenzia come il revisore debba avere:
− procedure amministrativo contabili adeguate, un sistema di controllo interno orientato alla qualità di
livello e procedure efficaci di valutazione del rischio;
− conoscenze adeguate ed esperienze del team di revisione;
− delle policy per prevenire, identificare e rimuovere eventuali rischi di indipendenza;
− delle procedure interne che assicurino l’organizzazione del lavoro, la formazione, il monitoraggio alla
conformità alle policy e il riesame del lavoro;
− un sistema di controllo interno adeguato all’attività svolta, comunicato ai collaboratori, valutato
annualmente con un programma di check up documentato anche con i suoi esiti.
Il secondo articolo determina alcune regole minimali dell’organizzazione dell’incarico di revisione, fino
alle modalità e tempi di archiviazione certa della documentazione della revisione stessa.
Tale normativa trova pari articolazione nelle norme professionali che deve seguire il revisore e in
particolare in 2 principi di revisione italiani, l’Isqc Italia 1, “Controllo della qualità per i soggetti abilitati
che svolgono revisioni contabili complete e limitate del bilancio, nonché altri incarichi finalizzati a fornire
un livello di attendibilità a un’informazione e servizi connessi” e l’Isa Italia 220 “Controllo della qualità
dell’incarico di revisione contabile del bilancio”.
Entrambi i principi affrontano seppur da diversi obiettivi le stesse prospettive:
− il responsabile della qualità dell’incarico di revisione;
− i principi etici applicabili;
− l’accettazione e mantenimento dei rapporti con il cliente e dell’incarico di revisione;
− la gestione delle risorse umane e l’assegnazione del team all’incarico;
− lo svolgimento dell’incarico;
− il suo monitoraggio.
Di fatto quindi il revisore ha una serie di prescrizioni normative e professionali da un lato per
organizzare la propria attività e dall’altro svolgere gli incarichi di revisione. Solo l’osservanza di tale
quadro permette di assicurare un livello qualitativo adeguato e accettabile per questa professione, per
mantenere un’affidabilità dei terzi nella propria relazione di revisione e quindi nelle informazioni
finanziarie.
Vigilanza e revisione
35 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Spesso può essere complesso per il revisore comunicare ai terzi quanto impegno sia necessario e quante
attività non visibili basilari per assicurare la qualità minimamente richiesta per tale professione, ma
come si vedrà nel proseguo, se tali riscontri possono essere forniti al collegio sindacale, potrebbero con
il medesimo livello di accuratezza rese anche alla società il cui bilancio viene revisionato.
Di certo le società di revisione hanno più naturalmente strutture interne che si preoccupano
dell’organizzazione del lavoro e dei controlli interni di qualità, ma ogni revisore in linea con le
dimensioni della propria attività e la complessità degli incarichi seguiti, può e deve organizzarsi anche
in via più semplificata per raggiungere gli stessi requisiti professionali, come richiesto dalla legge e
dalle norme professionali citate.
Gli indicatori di qualità della revisione possono rispondere pertanto all’interessante obiettivo di fare
un’auto valutazione per comprendere e valutare il proprio posizionamento rispetto la miglior prassi e il
rispetto di tale quadro normativo.
Gli indicatori di qualità della revisione (audit quality indicators)
L’impiego di indicatori di qualità della revisione dovrebbe permettere lo sviluppo di criteri di
valutazione e costituire una modalità di dialogo e confronto con i revisori, nel tempo della durata
dell’incarico, andando a creare dei parametri di misurazione qualitativi e quantitativi quanto più
oggettivi dato che discendono direttamente dal quadro di riferimento normativo e dalle norme
professionali in termini di deontologia e qualità.
Come misurazione di una prestazione professionale gli indicatori presentano dei limiti intrinsechi, in
quanto risulta necessario individuarli e selezionarli in relazione al contesto e realtà in cui sono utilizzati,
comprendere quale sia il più appropriato benchmark adeguato alla circostanza, tenendo in qualche
considerazione natura e caratteristiche del revisore specifico.
Gli indicatori possono essere quantitativi, riferibili a grandezze quali il carico di lavoro del revisore
firmatario, le esperienze precedenti e anzianità del team di revisione, il training, le ore spese per
l’incarico, le ore consuntivate da esperti del network del revisore, il livello di indipendenza dimostrato
nello svolgimento dell’incarico, ma vi sono indicatori anche qualitativi che rilevano l’impiego di nuove
tecnologie nell’analisi dei dati, il tono generale dell’incarico che parte dai più esperti rispetto l’approccio
alla revisione e il grado di scetticismo dimostrato.
Questa rendicontazione non può che essere predisposta direttamente dal revisore, ma pare immediata
la capacità informativa che tali informazioni possono costituire sia per il collegio sindacale che di fatto
deve vigilare fin dal momento dell’affidamento dell’incarico e per tutta la sua durata sull’attività del
Vigilanza e revisione
36 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
revisore a cui vengono delegati i controlli contabili sia per i terzi. Nelle società di revisione maggiori
sono informazioni già da tempo utilizzate per monitorare la propria organizzazione e la qualità dei
singoli incarichi svolti, sia nel durante sia a conclusione.
Peraltro, non sono parametri di valutazione nuovi, anzi la maggior parte sono di fatto già conosciuti dai
collegi e sfruttati magari solo nell’analisi delle proposte per giungere alla proposta motivata per la
scelta del revisore. In particolare, il numero delle ore dell’incarico e la piramide delle ore per livello
professionale, da cui desumere l’entità del coinvolgimento dei membri senior del tema di revisione
dovrebbero assicurare una maggior esperienza professionale e conoscenze tecniche al servizio
dell’analisi e risoluzione di problematiche tecniche complesse con la migliore risposta. Per incarichi
maggiormente complessi un altro elemento di riferimento da monitorare e che costituisce sicuramente
un elemento che apporta valore è il coinvolgimento di specialisti nel team di revisione, siano essi interni
o esterni, che sono largamente previsti dal piano di revisione per affrontare le stime contabili
complesse, afferenti processi valutativi del fair value, degli impairment test, dell’Ifrs 9, etc..
La novità è introdurre questo insieme di misura come strumento continuativo e oggetto di dialogo
approfondito tra sindaci e revisori con la finalità di identificare vie di miglioramento della qualità o
innalzamento dello scetticismo professionale dell’incarico, che talvolta nel tempo rischia di scendere
in una normale routine, via via diminuendo l’attenzione e l’atteggiamento dubitativo richiesto.
revisore in esame medie di
riferimento
(benchmark)
eventuali
confronti con
quanto previsto
nella proposta di
revisione
Carico di lavoro del socio
numero incarichi EIP del socio
totale incarichi seguiti dal socio
esperienza di socio e manager
numero anni esperienza del socio
numero anni esperienza del socio e manager
numero anni esperienza nello specifico settore del socio e manager
Formazione - Training
totale ore formazione annue di socio e manager
totale ore formazione annue in materie contabili di socio e manager
totale ore formazione annue su temi di etica ed indipendenza di socio e manager
totale ore formazione annue in materie contabili dei membri del team
Ore dell'incarico
Ore consuntivate dal socio nell'incarico
Ore consuntivate dal manager nell'incarico
Ore consuntivate dal totale team di revisione nell'incarico
Ore consuntivate dal reviewer indipendente nell'incarico
numero membri team
ore impiegate sulle aree chiave del bilancio
Coinvolgimento di specialisti ed esperti
totale ore di specialisti interni od esperti esterni al servizio del revisore
Indipendenza - compensi non revisione
totale compensi non revisione rispetto i compensi dell'incarico di revisione
Vigilanza e revisione
37 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Le dimensioni qualitative possono essere difficilmente misurate e quindi dovranno essere rilevate dalle
ordinarie e periodiche discussioni e confronti tra sindaci e revisori ed eventualmente chiedendo
approfondimenti nel caso anche in via scritta su:
− le nuove tecnologie in suo, quali software di analitycs per affrontare analisi di big data o comunque
strumenti per analizzare più estensivamente i sottosistemi contabili, ormai fondamentali per migliorare
la qualità ed efficacia della revisione;
− lo scetticismo professionale, mettendo in evidenza se il revisore ha utilizzato un approccio dubitativo
durante il processo di revisione, in particolare nelle fasi di pianificazione valutazione dei rischi inclusi
quelli di frode e se sono previsti contraddittori con il management con oggetto le stime contabili
complesse;
− l’indirizzo e clima generale dato al team dal revisore firmatario (tone at the top), dimostrando il grado
di consapevolezza dei revisori con maggiore anzianità rispetto alla cultura del controllo, le eventuali
iniziative previste per promuovere la cultura della revisione e il grado di percezione dei rischi di
revisione e le connesse responsabilità professionali nel team.
Una survey sul rapporto tra collegio sindacale e revisore incaricato
Al convegno sopracitato è stata presentata anche una survey focalizzata sul funzionamento proprio
dell’audit committee, che come noto per le società non EIP coincide di fatto con il collegio sindacale. Il
questionario pensato per le società quotate è stato articolato nelle diverse prospettive, dalla
composizione e competenze del collegio, l’interazione con l’organo di amministrazione, l’indipendenza
del revisore e l’esame degli incarichi non audit, il processo di selezione del revisore, del monitoraggio
dell’incarico di revisione, del processo di informativa finanziaria e del sistema di controllo interno e di
gestione del rischio. Alcune delle domande del questionario sembrano di fatto un’autovalutazione del
collegio sindacale applicabile anche per le società non quotate e di dimensioni minori per quanto
attiene le sue relazioni con il revisore. Si riportano di seguito le domande più interessanti sotto questo
punto di vista sull’operato del collegio e in particolare:
− se ha informato il CdA dell’esito più generale della revisione legale, non solo della mera trasmissione
della relazione di revisione, ma anche in merito alle questioni eventualmente emerse in seguito al
processo di revisione;
− se ha illustrato agli amministratori in che modo la revisione ha contribuito all’integrità
dell’informativa finanziaria e il ruolo del collegio stesso e che ciò possa accadere;
Vigilanza e revisione
38 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
− quali siano le azioni di monitoraggio del processo di informazione finanziaria e se, per garantirne
l’integrità, ha presentato specifiche raccomandazioni e proposte;
− come ha monitorato l’efficacia dei sistemi di controllo interno di gestione del rischio;
− se ha verificato l’ammontare dei corrispettivi versati al revisore legale per i servizi non audit,
verificandone anche i contenuti, al fine di verificare lo stato di indipendenza;
− se è previsto che eventuali servizi di non audit siano portati all’attenzione del collegio sulla base di
un adeguato flusso informativo;
− nel caso vi siano minacce all’indipendenza del revisore, discutere le misure da lui adottate per
mitigare i rischi per la sua indipendenza;
− nel caso di conferimenti di incarichi nell’ambito di gruppi, se si sono avviati opportuni dialoghi tra
collegi, fermo restando la responsabilità dei singoli collegi nella procedura in questione;
− il numero di incontri annuale tra collegio e revisore.
Dal questionario effettuato emerge la necessità per il campione dei circa 100 enti di interesse pubblico
che i dialoghi tra collegio e amministratori spesso si limita in misura sintetica agli esiti della revisione
legale, ma non sempre durante l’anno e sulle questioni fondamentali emerse. Tale carenza in effetti
non sempre è coperta dall’informativa diretta tra revisore e amministratori. Ovvio che un aumento della
qualità della revisione si auspica da più parti una informazione circolare e continua tra sindaci, revisori
e organo di amministrazione, dando maggiore visibilità a tutte le parti del contenuto dell’attività del
revisore e delle questioni più rilevanti su cui è stato impegnato.
D’altra parte, pare in contraddizione che, nella quasi totalità del campione esaminato nel questionario,
il numero degli incontri tra sindaci e revisori siano superiori a 3 l’anno, numero raggiunto molto di rado
nelle società non EIP, in alcuni casi limitato a un incontro l’anno, talvolta solo per le vie brevi.
Conclusione
Risulta del tutto evidente che molti di queste misurazioni e valutazioni possono essere gli elementi di
base per la selezione del revisore da parte del collegio sindacale, ma utilizzare tale quadro di misure
lungo la durata dell’incarico pare un utile indicazione per tenere sempre alta l’asticella della qualità
della revisione, e forse anche per effettuare una scelta ancora più motivata e consapevole nel momento
del rinnovo dell’incarico.
D’altra parte, gli stessi indicatori possono essere parimenti utilizzati dallo stesso revisore per monitorare
la qualità del proprio processo di revisione e della propria struttura dedicata alla revisione e prepararsi
con maggior maturità al controllo qualità periodico previsto dalla normativa periodicamente, con
Vigilanza e revisione
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maggiore consapevolezza dei punti di forza e di debolezza e delle azioni di miglioramento da porre in
atto.
Credo quindi che molti indicatori suggeriti sono già di fatto utilizzati oggi dai revisori per un self review
in continuo della bontà della propria organizzazione e del proprio processo di revisione di un incarico
specifico, forse non sempre in via sistematica e omogenea su tutti gli incarichi, forse non sempre in via
formalizzata e archiviata, il che potrebbe invece essere un valido suggerimento fin da subito, se non
una necessità nei casi in cui il collegio sindacale adotterà la prassi di chiederne periodicamente
resoconto formale.
Vigilanza e revisione
40 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Le situazioni di squilibrio finanziario
dell’ente locale di Massimo Venturato – revisore legale – presidente Ancrel Veneto
In caso di ente strutturalmente in deficit il revisore deve innalzare il proprio standard dei
controlli, identificando tempestivamente quando i parametri oggettivi sono rispettati
tenendo anche conto delle specificità dell’ente. La chiara finalità è di intervenire
immediatamente per non aggravare lo stato di crisi e se possibile rallentare se non fermare
il flusso delle uscite non coerente con la capacità di spesa.
Una situazione di squilibrio finanziario può portare un ente locale a condizioni critiche tanto da
pregiudicare l’andamento ordinario per il futuro finanche a determinarne il suo dissesto ovvero il suo
fallimento. Si possono distinguere 3 tipologie di situazioni “patologiche” dell’ente a seguito di situazioni
più o meno irreversibili di squilibrio finanziario:
1. ente strutturalmente deficitario;
2. ente in situazione di pre dissesto;
3. ente in dissesto.
L’ente locale, in base a quanto previsto dall’articolo 242, comma 2, D.Lgs. 267/2000, viene definito
strutturalmente deficitario quando si superano più del 50% dei parametri contenuti nella tabella
allegata al decreto emanato dal Ministero dell’interno di concerto con il Ministero dell’economia e delle
finanze. Con il decreto del 28 dicembre 2018, sono stati individuati i nuovi parametri di deficitarietà
strutturale per il triennio 2019/2021, già applicati al rendiconto dell’esercizio finanziario 2018 e che
verranno applicati al bilancio di previsione 2020/2022. Dalla lettura dei nuovi 8 parametri (prima erano
10) si dovrebbero intercettare con anticipo le situazioni di crisi finanziaria di un ente locale che richiede
interventi straordinari in modo da evitare il peggioramento della situazione tale da comportare
situazioni di pre dissesto o, peggio ancora, di dissesto.
La tabella da compilare e da allegare al rendiconto o al bilancio di previsione da parte degli enti
elaborata dal gruppo di studio dell’Osservatorio sulla finanza locale e la contabilità degli enti locali del
Ministero dell’interno e contenuta nel decreto 28 dicembre 2018 del Ministero interno di concerto con
il Mef si basa su questi parametri obiettivi:
Vigilanza e revisione
41 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Tabella A1 – Parametri obiettivi per Comuni, Province, città metropolitane e comunità montane per il triennio
2019 - 2021
Parametro Codice
indicatore
Denominazione
dell’indicatore
Condizione di
deficitarietà del
parametro
Soglie (valori percentuali)
Comuni
Province e
città
metropolitane
Comunità
montane
P1 1.1
Incidenza spese rigide
(ripiano disavanzo,
personale e debito) su
entrate correnti
deficitario se
maggiore del 48% 41% 60%
P2 2.8
Incidenza degli incassi
delle entrate proprie sulle
previsioni definitive di
parte corrente
deficitario se
minore del 22% 21% 20%
P3 3.2 Anticipazioni chiuse solo
contabilmente
deficitario se
maggiore di 0 0 0
P4 10.3 Sostenibilità debiti
finanziari
deficitario se
maggiore del 16% 15% 14%
P5 12.4
Sostenibilità disavanzo
effettivamente a carico
dell'esercizio
deficitario se
maggiore del 1,20% 1,20% 1,20%
P6 13.1 Debiti riconosciuti e
finanziati
deficitario se
maggiore del 1% 1% 1%
P7 13.2 +
13.3
Debiti in corso di
riconoscimento + debiti
riconosciuti e in corso di
finanziamento
deficitario se
maggiore dello 0,60% 0,60% 0,60%
P8
Indicatore concernente
l’effettiva capacità di
riscossione (riferito al
totale delle entrate)
deficitario se
minore del 47% 45% 54%
Vediamo ogni parametro nel dettaglio:
P1
Indicatore 1.1 (Incidenza spese rigide – ripiano disavanzo, personale e debito – su entrate correnti)
maggiore del 48% per i Comuni ovvero del 41% per le Province e città metropolitane ovvero del 60%
per le comunità montane.
Per calcolare il valore delle spese rigide è necessario sommare la quota di ripiano disavanzo a carico
dell'esercizio con gli impegni (macroaggregati 1.1 “Redditi di lavoro dipendente” + pdc 1.02.01.01.000
Vigilanza e revisione
42 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
“Irap”– FPV entrata concernente il macroaggregato 1.1 + FPV personale in uscita 1.1 + 1.7 “Interessi
passivi” + Titolo 4 Rimborso prestiti) confrontandolo con il totale degli accertamenti primi 3 titoli
dell’entrata.
Con questo indicatore si rileva se l’ente ha una soglia di rigidità superiore alle percentuali previste per
la copertura di spese come la quota di disavanzo, la spesa per il personale e il pagamento del debito
ovvero le quote di ammortamento mutui e anticipazioni, con le entrate correnti. Chi supera questa soglia
dovrà rispondere positivamente al test. Lo scopo è rilevare la situazione critica quando le spese rigide
assorbono circa più della metà delle entrate correnti, limitando al massimo la destinazione delle entrate
per gli altri servizi. Le percentuali sono la risultante da una media nazionale su tutti gli enti che vertono
in condizioni di criticità.
P2
Indicatore 2.8 (Incidenza degli incassi delle entrate proprie sulle previsioni definitive di parte corrente)
minore del 22% per i Comuni ovvero del 21% per le Province e città metropolitane ovvero del 20% per
le comunità montane. Il valore corrisponde al totale degli incassi sia in conto competenza sia in conto
residui sommando i “Tributi” (pdc E.1.01.00.00.000) al netto delle “Compartecipazioni di tributi”
(E.1.01.04.00.000) con le “Entrate extratributarie” (E.3.00.00.00.000) confrontandolo con gli
stanziamenti definitivi di cassa dei primi 3 titoli delle entrate. Con questo parametro si evidenzia la
capacità di riscossione da parte dell’ente locale rispetto alle entrate previste in via definitiva in parte
corrente. L’ente che riscuote una somma inferiore, deve rispondere positivamente al test. È chiaro che
una riscossione inferiore al 22% delle entrate correnti previste è indicatore di una situazione patologica.
A parere di chi scrive la percentuale del 22% non è corretta e dovrebbe essere fissata almeno al 50%.
P3
Indicatore 3.2 (Anticipazioni chiuse solo contabilmente) maggiore di 0.
La verifica avviene rapportando l’anticipazione di tesoreria all’inizio dell’esercizio successivo con il
massimo previsto dalla norma. Se un ente locale non ha ancora effettivamente chiuso alla fine
dell’esercizio l’anticipazione di cassa con il tesoriere significa che ha una deficienza di cassa. Nella
pratica succede che contabilmente l’anticipazione viene chiusa portando la cassa a zero (anche perché
la cassa al 31 dicembre non può essere negativa) e il debito si registra tra i residui passivi. Da ricordare
che questa quota di residuo partecipa alla determinazione del risultato di esercizio. Nel caso il rapporto
non sia pari a zero, si deve rispondere positivamente al test.
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43 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
P4
Indicatore 10.3 (Sostenibilità debiti finanziari) maggiore del 16% ovvero del 15% per le Province e città
metropolitane e del 14% per le comunità montane.
Il calcolo avviene sommando gli impegni (totale 1.7 “Interessi passivi” – “Interessi di mora”
U.1.07.06.02.000) al netto degli “Interessi per anticipazioni prestiti” (U.1.07.06.04.000) con il Titolo 4
della spesa meno le estinzioni anticipate al netto degli accertamenti dell’Agenzia delle entrate
categoria E.4.02.06.00.000 “Contributi agli investimenti direttamente destinati al rimborso di prestiti da
amministrazioni pubbliche”) con i Trasferimenti in conto capitale per assunzione di debiti
dell'amministrazione da parte di amministrazioni pubbliche (E.4.03.01.00.000) e i Trasferimenti in conto
capitale da parte di amministrazioni pubbliche per cancellazione di debiti dell'amministrazione
(E.4.03.04.00.000)] rapportandolo con gli Accertamenti di cui ai titoli 1°, 2°e 3°
Il parametro indica se con le entrate accertate nei primi 3 titoli si è in grado di far fronte alle percentuali
minime di debiti finanziari (interessi) al netto dei contributi destinati al rimborso prestiti. Se detti
impegni superano la soglia significa che l’ente, per questo parametro, è da considerarsi deficitario e
quindi si deve rispondere positivamente al test.
P5
Indicatore 12.4 (Sostenibilità disavanzo effettivamente a carico dell'esercizio) maggiore dell’1,20%.
Il parametro va calcolato confrontando il disavanzo iscritto in spesa del conto del bilancio con gli
accertamenti dei titoli 1°, 2° e 3° delle entrate.
Se la quota disavanzo da coprire nell’esercizio supera l’1,20% dei primi 3 titoli dell’entrata significa che
l’ente ha una situazione, per quanto riguarda questo parametro uguale per tutti i soggetti, in condizione
deficitarie. In questo caso si deve rispondere positivamente al test.
P6
Indicatore 13.1 (Debiti riconosciuti e finanziati) maggiore dell’1%.
Il confronto va fatto tra l’importo dei debiti fuori bilancio riconosciuti e finanziati con il totale degli
impegni di cui al titolo 1° e titolo 2° della spesa. Si ritiene che se i debiti fuori bilancio superano questa
soglia si è in presenza di un ente strutturalmente deficitario e di conseguenza va data risposta positiva
al test.
Vigilanza e revisione
44 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
P7
Indicatore 13.2 (Debiti in corso di riconoscimento) + Indicatore 13.3 (Debiti riconosciuti e in corso di
finanziamento)] maggiore dello 0,60%
Il valore deriva dalla somma dei debiti fuori bilancio in corso di riconoscimento con l’importo dei debiti
fuori bilancio riconosciuti e in corso di finanziamento confrontato con il totale dell’accertamento delle
entrate di cui ai titoli 1, 2 e 3. Valgono le stesse considerazioni dell’indicatore P6 ovvero con il
superamento della soglia va data risposta positiva al test.
P8
Indicatore concernente l’effettiva capacità di riscossione (riferito al totale delle entrate) minore del 47%
per i Comuni ovvero al 45% per le Province e città metropolitane e del 54% per le comunità montane.
La percentuale di riscossione complessiva si determina rapportando le riscossioni in conto competenza
e in conto residui con gli accertamenti sommati con i residui definitivi iniziali.
Il parametro mette in luce se l’ente ha una capacità di riscossione di tutte le entrate rispetto agli
accertamenti delle stesse. Se l’ente non rispetta le soglie minime significa che ancorché iscriva in
bilancio le entrate sulla base di titoli giuridici non è in grado di riscuotere almeno le percentuali minime
previste e quindi è ritenuto strutturalmente deficitario con conseguente risposta positiva al test.
Ecco, ad esempio, la tabella dei parametri da allegare da parte di un Comune:
Vigilanza e revisione
45 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Ma cosa succede quando nella tabella ci sono più del 50% dei “Sì”?
Significa che l’ente è strutturalmente deficitario e, in questo caso, oltre ad essere sotto osservazione da
parte del Mef e della Corte dei conti, è tenuto all’applicazione dell’articolo 243, comma 2, del Testo
Unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) che così recita:
“Gli enti locali strutturalmente deficitari sono soggetti ai controlli centrali in materia di copertura del
costo di alcuni servizi. Tali controlli verificano mediante un'apposita certificazione che:
a) il costo complessivo della gestione dei servizi a domanda individuale, riferito ai dati della
competenza, sia stato coperto con i relativi proventi tariffari e contributi finalizzati in misura non
inferiore al 36%, a tale fine i costi di gestione degli asili nido sono calcolati al 50% del loro ammontare;
b) il costo complessivo della gestione del servizio di acquedotto, riferito ai dati della competenza, sia
stato coperto con la relativa tariffa in misura non inferiore all'80%;
c) il costo complessivo della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni ed
equiparati, riferito ai dati della competenza, sia stato coperto con la relativa tariffa almeno nella misura
prevista dalla legislazione vigente”.
Società
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Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
L’assetto organizzativo della Srl a
seguito dell’introduzione del Codice
della crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019) di Alessandro Biasioli – avvocato
Con l'entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa la governance della Srl subisce alcuni
importanti cambiamenti.
Meritano particolare attenzione le conseguenze della modifica dell’articolo 2475, cod. civ.,
con riferimento alla previsione per cui la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli
amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto
sociale. L’introduzione di tale previsione solleva, però, un problema, di coordinamento e
compatibilità, con quelle norme che sono comunemente lette come delega all’autonomia
statutaria nella definizione delle competenze di soci e amministratori.
Tra le soluzioni, prospettate nello Studio n. 58-2019/I del Consiglio nazionale del
Notariato, condivisibile, è quella secondo cui le nuove disposizioni non comportano alcuna
abrogazione delle norme precedenti, in quanto destinate a spiegare i propri effetti solo sul
piano organizzativo. Gli aspetti legati alla gestione della Srl rimangono immutati, mentre
quelli legati alla sua organizzazione sono disciplinati in base agli articoli 2086 e 2475,
cod. civ..
Premessa
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 14/2019 in materia di crisi di impresa (c.d. “Codice della crisi di
impresa”), la disciplina dell’impresa e la governance della Srl subiscono alcuni cambiamenti –
contenuti negli articoli 375 – 384 di tale disposizione – alcuni dei quali verranno in questa sede
esaminati.
Come precisa lo Studio n. 58-2019/I del Consiglio nazionale del Notariato, meritano particolare
attenzione:
“… le conseguenze, sul piano delle clausole statutarie, della modifica dell’articolo 2475, cod. civ., con
riferimento in particolare alla nuova previsione per cui la gestione dell’impresa spetta
esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione
dell’oggetto sociale …”.
Società
47 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
L’articolo 2475, cod. civ., parzialmente novellato, infatti, secondo il Notariato, “… pone un problema di
coerenza sistematica nei confronti di altre norme …”, quali:
− l’articolo 2479, comma 1, cod. civ., il quale viene interpretato nel senso che è consentito affidare ai
soci competenze gestorie;
− l’articolo 2468, comma 3, cod. civ., che prevede la possibilità di riservare a singoli soci particolari
diritti riguardanti l’amministrazione della società;
− l’articolo 2476, comma 7, cod. civ., secondo cui sono solidalmente responsabili, con gli amministratori,
i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i
soci o i terzi.
Con il presente contributo, quindi, si vogliono analizzare le conseguenze non solo interpretative, ma
anche applicative – che si possono avere nei confronti degli amministratori e dei soci – a seguito
dell’importante intervento normativo avutosi con l’introduzione del suddetto D.Lgs. 14/2019.
Le modifiche all’articolo 2475, cod. civ. sull’amministrazione della società
L’analisi deve, necessariamente, iniziare dall’articolo 377 del Codice della crisi d’impresa, il quale, in
riferimento all’articolo 2475, cod. civ., ne modifica il comma 1 e ne aggiunge un ultimo comma.
Il tenore complessivo della norma è, ora, il seguente (in grassetto i 2 commi novellati):
“La gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, comma 2, e
spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione
dell'oggetto sociale. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'amministrazione della società è
affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479.
All'atto di nomina degli amministratori si applicano il quarto e quinto comma dell'articolo 2383.
Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il CdA. L’atto costitutivo può
tuttavia prevedere, salvo quanto disposto nell'ultimo comma del presente articolo, che
l'amministrazione sia a esse affidata disgiuntamente oppure congiuntamente; in tali casi si applicano,
rispettivamente, gli articoli 2257 e 2258.
Qualora sia costituito un CdA, l'atto costitutivo può prevedere che le decisioni siano adottate mediante
consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti
sottoscritti dagli amministratori devono risultare con chiarezza l'argomento oggetto della decisione e
il consenso alla stessa.
Società
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La redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione o scissione, nonché le decisioni di
aumento del capitale ai sensi dell'articolo 2481 sono in ogni caso di competenza dell'organo
amministrativo.
Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 2381”.
L’introduzione della previsione per cui la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli
amministratori solleva un problema, di coordinamento e compatibilità, con quelle norme che sono
comunemente lette come delega all’autonomia statutaria nella definizione delle competenze di soci e
amministratori.
Il riferimento, nello specifico, è a quelle norme che attribuiscono ai soci poteri amministrativi rilevanti,
sia perché previsti dalla legge, sia perché fissati nello Statuto della società.
Prosegue, a tal proposito, lo studio del Notariato:
“Di fronte a un dato normativo così eversivo l’interprete potrebbe in astratto scegliere fra 3 possibili
soluzioni:
1. il nuovo comma 1, articolo 2475, cod. civ., quale norma successiva, determina l’abrogazione implicita,
o comunque costringe a un incisivo adeguamento interpretativo, delle norme precedenti che risultino
incompatibili con il disposto del novellato articolo 2475, cod. civ.;
2. la nuova disposizione dell’articolo 2475, cod. civ. non comporta alcuna abrogazione delle norme
precedenti, in quanto destinata a spiegare i suoi effetti solo sul piano organizzativo; in questo caso ci
si deve però fare carico di spiegare, anche alla luce del contesto sistematico nel quale è calata, la
norma per la quale “la gestione …….. spetta esclusivamente agli amministratori”;
3. il nuovo articolo 2475, cod. civ. deve ritenersi viziato da illegittimità costituzionale, in quanto
palesemente inconciliabile con alcune delle norme precedenti, che in caso contrario dovrebbero
considerarsi implicitamente abrogate pur in assenza di una espressa previsione in tal senso nella Legge
Delega del 2017; vizio di incostituzionalità da identificarsi nell’eccesso di delega”.
Rilevante, inoltre, è il nuovo ultimo comma che esplicita il richiamo all’articolo 2381, cod. civ., in tema
di Spa, che estende alle Srl l’obbligo di adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e
contabile dell’impresa.
Alla luce di quest’ultima modifica normativa anche le Srl saranno chiamate , sempre in funzione
della natura dell’attività svolta e delle dimensioni, a predisporre un modello organizzativo e gestire
in modo formalizzato il rischio di insolvenza. Tale modello organizzativo non potrà prescindere dai
c.d. indicatori della crisi di cui all’articolo 13 del Codice della crisi d’impresa che verranno elaborati
dal Cndcec.
Società
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Per completezza è opportuno ricordare che l’articolo 14 del Codice della crisi d’impresa ha ampliato i
doveri degli organi di controllo, del revisore contabile e della società di revisione, che saranno incaricati
del compito di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti
idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico
finanziario, quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché, infine, di segnalare
immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi.
Ne deriva che l'imprenditore ha tutto l'interesse ad adottare tempestivamente un modello organizzativo
adeguato ai sensi dell'articolo 2086, cod. civ. – di seguito analizzato – anche al fine di evitare che
l’apertura della procedura di allerta da parte dell'organo di controllo.
Il nuovo articolo 2086, cod. civ. sulla gestione dell’impresa
L’assetto organizzativo delle Srl può essere compiutamente affrontato analizzando, di pari passo
all’articolo 2475, cod. civ., anche l’articolo 375 del Codice della crisi d’impresa, che così modifica
l’articolo 2086, cod. civ. (in grassetto il comma novellato):
“L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche
in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità
aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti
dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Tale disposizione è tratta da un principio già presente in materia di Spa, secondo cui l’organo
amministrativo, ex articolo 2381, commi 3 e 5, cod. civ., deve valutare l’adeguatezza dell’assetto
organizzativo amministrativo e contabile dell’impresa e l’organo delegato deve curare tale adeguatezza.
In sostanza con la riforma – si ricorda che l’articolo 2381, cod. civ. viene espressamente richiamato
anche dal nuovo testo dell’articolo 2475, cod. civ. – tali doveri vengono estesi a tutte le società e viene
specificato l’obbligo dell’organo amministrativo di attivarsi per la rilevazione tempestiva della crisi e
l’adozione degli strumenti previsti per il suo superamento.
Nella lettura della norma riformata, il primo elemento degno di nota riguarda la rubrica dell’articolo,
che passa da “Gestione e gerarchia dell’impresa”, a “Gestione dell’impresa”.
Il secondo elemento riguarda la circostanza che viene posto a carico dell’imprenditore il dovere di
istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione
dell’impresa – che permetta la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità
Società
50 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
aziendale – con il conseguente dovere di attivarsi tempestivamente per l’adozione degli strumenti
necessari.
Detto comma pone in capo all’imprenditore 2 doveri:
1. istituire un assetto organizzativo adeguato;
2. attivarsi senza indugio in caso di crisi. Doveri che nessuno potrebbe revocare in dubbio gli spettassero
anche prima della novella.
Per completezza si evidenzia che l’articolo 377 del Codice della crisi d’impresa, poi, estende
espressamente il modello di cui all’articolo 2086, cod. civ. (e, quindi, il dovere dell’imprenditore di
dotarsi di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile) a tutti i tipi di società.
Così facendo, modifica:
1. l’articolo 2257, cod. civ. relativo all’amministrazione delle società di persone, che nulla disponeva in
proposito;
2. gli articoli 2380-bis e 2409-novies, cod. civ. relativi all’amministrazione delle Spa che si limitavano a
prevedere l’esclusivo appannaggio della gestione agli amministratori e al consiglio di gestione; con
attività funzionalizzata a compiere le operazioni necessarie all’attuazione dell’oggetto sociale;
3. l’articolo 2475, cod. civ. relativo all’amministrazione delle Srl, che nulla disponeva in ordine alle
operazioni da compiere; aggiungendo al testo, come peraltro previsto prima della riforma del 2003
(vecchio articolo 2487, comma 2, cod. civ.) e sulla scia della giurisprudenza più recente di legittimità,
l’espressa applicabilità a tale tipo societario della disciplina contemplata dall’articolo 2381, cod. civ.
per le deleghe gestorie consiliari nelle Spa.
L’articolo 2476, cod. civ. sulla responsabilità degli amministratori e il controllo dei soci
Per completare il quadro e comprendere gli eventuali mutamenti degli aspetti legati alla gestione della
Srl – sia riguardo agli amministratori sia riguardo ai soci – si analizza l’articolo 378 del Codice della
crisi d’impresa nella parte in cui modifica l’articolo 2476, cod. civ. rubricato “Responsabilità degli
amministratori e controllo dei soci”.
Il testo novellato, così recita (in grassetto il comma novellato):
“Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti
dall'inosservanza dei doveri a essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione
della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da
colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio
dissenso.
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51 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo
svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali
e i documenti relativi all'amministrazione.
L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì
chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento
cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il
provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.
In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli
amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento
dei fatti.
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può
essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza
dei soci rappresentante almeno i 2/3 del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che
rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.
Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla
conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando
il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da
parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione
può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli
estremi.
Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al
singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli
amministratori.
Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che
hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i
terzi.
L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci
per le responsabilità incorse nella gestione sociale”.
Tale disposizione è la base normativa dei diritti di controllo dei soci nelle Srl.
La norma in questione è il principio fondante del sistema di tutela dei diritti della minoranza dei soci,
in grado di riconoscere a coloro che non sono amministratori e partecipano al capitale sociale della Srl
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52 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
un potere di controllo sull’andamento della gestione e sull’operato degli amministratori, da esercitarsi
sia verso gli amministratori sia per il risarcimento di un danno subito.
Si distinguono 2 tipologie di diritti dei soci: il diritto all’informazione, che consente loro di poter
ottenere delle informazioni sull’andamento della gestione e il diritto di consultazione, che invece
permette di ottenere la consultazione di specifici documenti relativi alla società. Attraverso l’utilizzo di
tali diritti, il socio ha il potere di rilevare alcune informazioni fondamentali per poter valutare lo stato
gestionale societario, e altresì valutare l’attivazione di quegli opportuni meccanismi sanzionatori nella
ipotesi di uno scorretto svolgimento della gestione d’impresa.
L’azione esercitabile nei confronti degli amministratori può, dunque, esplicarsi esclusivamente dopo
una preventiva attività di informazione sull’andamento della gestione e sulle operazioni compiute dagli
amministratori.
Mentre rimangono immutati tali diritti dei soci, il nuovo comma dell’articolo 2476, cod. civ. riproduce
per le Srl le disposizioni vigenti per le Spa (articolo 2394, cod. civ.) e per le Sapa (articolo 2455, cod.
civ.) prevedendo espressamente:
− la responsabilità degli amministratori con riferimento agli obblighi di conservazione del patrimonio
sociale nei confronti dei creditori;
− la legittimazione dei creditori sociali all’esperimento dell’azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori, quando il patrimonio della società risulti insufficiente a soddisfare i loro crediti;
− l’irrilevanza della rinunzia, da parte della società, all’azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori, rispetto all’azione dei creditori;
− che la transazione sull’azione sociale di responsabilità può essere impugnata dai creditori soltanto
con l’azione revocatoria, quando ne ricorrono i presupposti.
Già da molti anni si riteneva che i creditori di Srl dovessero beneficiare, al pari di quelli di Spa, di
un’autonoma azione volta a garantire loro una tutela contro la mala gestio degli amministratori della
società, dovendosi applicare, in via analogica alla Srl, l’articolo 2394, cod. civ.. Si cominciava a ritenere,
in buona sostanza, che persistesse, nell’ordinamento, un’azione di responsabilità dei creditori sociali nei
confronti degli amministratori di Srl.
Il Codice della crisi d’impresa, con questa modifica normativa, fa assoluta chiarezza, sciogliendo ogni
dubbio in merito all’esperibilità, da parte dei creditori di Srl, dell’azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori, in presenza dei presupposti e con le modalità previste dall’articolo 2394, cod.
civ..
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53 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
Conclusioni
L’introduzione della previsione secondo cui la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli
amministratori solleva, come detto, il problema del suo coordinamento e della sua compatibilità, con
quelle norme - che attribuiscono ai soci poteri amministrativi, in quanto previsti dalla legge o perché
pattiziamente decisi – lette come delega all’autonomia statutaria nella definizione delle competenze
di soci e amministratori.
Lo Studio del Notariato, a tal proposito, ritiene che gli aspetti legati alla gestione societaria siano rimasti
immutati mentre quelli legati alla organizzazione siano precisati in base alle 2 norme analizzate (articoli
2086 e 2475, cod. civ.).
Queste norme sembrano, dunque, esplicare i propri effetti solo sul piano della gestione organizzativa
della Srl.
Anche le rubriche degli articoli (articolo 375:"Assetti organizzativi dell'impresa"; articolo 377: "Assetti
organizzativi societari”), del Codice della crisi d’impresa, in analisi sembrano riferirsi a regole di carattere
organizzativo - funzionali a imporre doveri e stabilire responsabilità di natura organizzativa - e non
sembrano, viceversa, porsi sul piano gestorio e decisorio.
Così lo Studio del Notariato:
“Solo in quest’ottica si devono vagliare le modifiche apportate alla disciplina codicistica. Si tratta, in
altre parole, di novità che impingono sulla responsabilità di coloro che rivestono la qualità di
amministratori (…omississ…) ma che non comportano novità sostanziali rispetto a quanto statuito dalla
riforma del 2003 nell’ambito della autonomia privata e della possibile regolamentazione pattizia dei
rapporti tra amministratori e soci in ambito gestorio”.
La soluzione condivisibile, tra le 3 sopra individuate dal Notariato (riportate a pag. 2 e 3), sarebbe, di
conseguenza, la seconda secondo cui le nuove disposizioni – in particolare riferendosi all’articolo 2475,
cod. civ. – non comportano alcuna abrogazione delle norme precedenti, in quanto destinate a spiegare
i propri effetti solo sul piano organizzativo.
Da un lato, quindi, si ha il piano della gestione organizzativa e della responsabilità – che spetta
esclusivamente agli amministratori – e dall’altro si ha il piano della gestione operativa della società (e
qui la responsabilità dei soci della Srl continua a essere normata dall’articolo 2476, comma 7, cod. civ.,
che li sanziona solo per il caso di comportamenti dolosi).
In buona sostanza gli aspetti legati alla gestione della Srl rimangono immutati, mentre quelli legati alla
sua organizzazione sono disciplinati in base agli articoli 2086 e 2475, cod. civ. nella loro nuova
formulazione.
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La nuova previsione normativa, dal punto di vista operativo, inoltre, pare non introdurre alcun obbligo
di adeguamento immediato degli statuti esistenti, e nemmeno pare impedire di inserire, negli statuti
delle società di nuova costituzione, clausole che eventualmente ripartiscano la gestione operativa della
società in maniera difforme rispetto al modello legale.
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Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
La clausola della c.d. “roulette russa” o
del “cowboy” di Giovanni Maccagnani – avvocato
Massimo Botter – avvocato
Negli ultimi anni è cresciuto, in giurisprudenza e in dottrina, il dibattito sulla legittimità
della c.d. “russian roulette clause”, ossia quella clausola, inserita in uno statuto societario o
in un accordo parasociale, la cui finalità è quella di risolvere una situazione di stallo
decisionale in seno a una società (il capitale cui capitale sociale sia detenuto in misura
paritaria da 2 soci) consentendo, in presenza di determinate condizioni, l’uscita forzata di
uno dei 2 soci e, quindi, l’acquisizione dell’intero capitale da parte dell’altro socio.
Inquadramento generale
Negli ultimi anni è cresciuto, in giurisprudenza e in dottrina, il dibattito sulla legittimità della c.d.
“russian roulette clause”, ossia quella clausola, inserita in uno statuto societario o in un accordo
parasociale, definita anche come clausola “anti stallo”.
Assai sovente, soprattutto nelle società di piccole dimensioni o a carattere familiare, accade che il
capitale sociale sia detenuto in misura paritaria da 2 soci e che si verifichi una situazione di stallo
nell’organo amministrativo e assembleare.
In siffatti casi, la clausola della “roulette russa”, con la finalità di risolvere una tale situazione di stallo
decisionale in seno a una società, consente, in presenza di determinate condizioni, l’uscita forzata di
uno dei 2 soci e, quindi, l’acquisizione dell’intero capitale da parte dell’altro socio.
Si tratta, quindi, di una facoltà concessa a un socio paritario di assumere, in maniera irrevocabile,
l’obbligazione alternativa di acquistare la partecipazione sociale dell’altro socio, oppure di vendere a
quest’ultimo la propria allorché la società sia incorsa in quello che all’estero è conosciuto come “dead-
lock” e che nel nostro ordinamento è conosciuto, appunto, come stallo decisionale.
Al verificarsi di determinate circostanze, infatti, è consentito al socio di attivare la procedura in virtù
della quale egli, dopo aver quantificato il valore dell’intera partecipazione sociale, formula all’altro
socio una proposta di acquisto della sua quota. Quest’ultimo può, in via alternativa, accettare di vendere
la propria quota al prezzo determinato dal socio che ha preso l’iniziativa, e rapportato ovviamente a
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ciascuna quota in via proporzionale, oppure può egli stesso decidere di acquistare la quota dell’altro
socio, ma sempre (e solo) prendendo quale riferimento il prezzo già determinato.
L’etimologia della clausola della “roulette russa” deriva dal noto gioco d’azzardo e bene indica
l’incertezza circa l’esito della condotta del socio che decide di attivare tale clausola, nel senso che tale
socio potrebbe essere, all’esito della procedura prevista nello statuto, l’unico detentore del capitale
sociale oppure potrebbe vedersi escluso dalla compagine societaria. Senza che tale esito possa essere
previsto ab initio.
Molti in passato sono stati i dubbi sulla legittimità di una tale clausola. Ci si è, infatti, chiesti se la stessa
potesse superare il vaglio della meritevolezza degli interessi perseguiti ai sensi dell’articolo 1322, cod.
civ.; ancora, ci si è chiesti se la medesima potesse essere invalida in ipotesi di mancata previsione del
meccanismo di valorizzazione della quota societaria oppure a causa delle rimessione dell’oggetto della
clausola all’arbitrio di uno dei soci; da ultimo, ci si è chiesti se tale clausola potesse violare il divieto di
patto leonino oppure il divieto di cui all’articolo 2341-bis, cod. civ. in tema di durata dei patti parasociali.
La giurisprudenza
Un primo interessante arresto sul punto risale al 2008, epoca in cui il Tribunale di Milano, Sezione
Specializzata in Materia di Imprese, affronta il tema.
Nell’ordinanza del 31 marzo 2008 resa nel giudizio n. 83681/2013 R.G., infatti, il giudice meneghino
dimostra di aver fatto proprio un principio che già si era affermato in dottrina. Sul punto, si sosteneva
da più parti che una clausola che causasse per un socio un’uscita forzata da una compagine societaria
dovesse necessariamente ottemperare al principio di equa valorizzazione del capitale sociale e, quindi,
della quota forzosamente ceduta.
Tale principio viene confermato dal Tribunale di Milano, che, tuttavia, non arriva a pronunciarsi
espressamente sulla validità della clausola della “roulette russa”, ma nemmeno ne ravvisa l’invalidità,
indicando, al contrario, tale clausola come una delle possibili modalità di superamento dell’impasse
societario.
A ogni modo, ciò che caratterizza la pronuncia in esame è la statuizione, per quanto in tema di clausola
“drag alone”, dell’espressa previsione, ai fini della validità di tale clausola, del rispetto dei criteri di
valutazione della partecipazione per il recesso stabiliti dagli articoli 2437-ter e 2473, cod. civ..
In epoca recente, la legittimità della clausola della “roulette russa” è stata oggetto di vaglio da parte del
Tribunale di Roma, Sezione Specializzata in Materia di Imprese, nella sentenza n. 19708/2017.
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Il caso esaminato dal Tribunale capitolino riguardava una Srl in cui la clausola antistallo era contenuta
in un patto parasociale.
In primo luogo, la clausola in esame viene qualificata come negozio legislativamente atipico, con
conseguente necessaria verifica della sua rispondenza a interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento
ai sensi dell’articolo 1322, cod. civ..
Sul punto, l’interpretazione fornita dal Tribunale di Roma è positiva, nel senso che la meritevolezza
degli interessi viene riscontrata nella finalità di salvaguardare il progetto imprenditoriale, evitando il
fisiologico sblocco dello stallo decisionale in paralisi dell’attività sociale, e di evitare costi e lungaggini
di una liquidazione causata dallo stallo verificatosi.
La seconda analisi della clausola, invece, è formulata con riferimento all’articolo 1355, cod. civ., che
vieta le condizioni meramente potestative. Anche in questo caso, la risposta del giudice di merito è
positiva, ritenendosi che la possibilità di demandare a uno dei soci la determinazione del valore del
capitale sociale, e, quindi, di ciascuna partecipazione, sia non illegittima in virtù dell’assenza nelle
“russian roulette clauses” di qualsivoglia mero arbitrio in capo al socio agente con riferimento alla
valorizzazione del prezzo.
È stato, infatti, evidenziato come l’impossibilità per il socio che attiva la clausola de qua di conoscere,
al momento dell’attivazione della relativa procedura, le determinazioni future del socio oblato
costituisca un riequilibramento del rapporto, posto che, da una parte, sul socio che determina il valore
della quota, a prescindere dal criterio di determinazione di tale valore, incombe sempre il rischio di
perdere la propria quota, non potendo lo stesso assolutamente prevedere l’esito della scelta del socio
che non ha effettuato la determinazione del valore di acquistare l’altrui quota o vendere la propria, e,
dall’altra parte, spetta proprio a quest’ultimo la scelta definitiva tra acquistare o vendere.
Il Tribunale di Roma, poi, ha vagliato la legittimità della clausola in esame sia con riferimento al principio
di equa valorizzazione della partecipazione sancito dal diritto societario, affermando che solo l’esistenza
di un meccanismo di determinazione che consenta a priori di fissare un prezzo manifestamente iniquo
può causare l’invalidità della clausola, che con riferimento al divieto di patto leonino di cui all’articolo
2265, cod. civ., riscontrando come non sia ravvisabile alcuna possibile esclusione del socio dalla gestione
della società per effetto dell’azionamento della clausola della “roulette russa”.
La massima n. 181 del Consiglio Notarile di Milano
Sulla scia delle pronunce giurisprudenziali poc’anzi citate, anche il Consiglio Notarile di Milano, peraltro
confermando quanto già statuito nella propria massima n. 88, seppur formulata in tema di clausole
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“drag along”, ha ribadito la validità della previsione statutaria della clausola della “roulette russa”
finalizzata a risolvere lo stallo decisionale.
L’attenzione del Consiglio si incentra sulla necessità che la clausola in esame rispetti o meno il principio
di equa valorizzazione delle partecipazioni societarie in caso di fuoriuscita forzosa di un socio dalla
società.
Mentre, infatti, nella fattispecie analizzata dal Tribunale di Roma, Sezione Specializzata in Materia di
Imprese, l’inserimento della clausola in un patto parasociale non presenta limiti di legge alla libertà
delle parti di regolare la clausola stessa, rileva il Collegio come la previsione statutaria implichi
necessariamente una verifica dell’applicabilità diretta o per analogia delle norme dettate dal codice di
civile in tema di riscatto convenzionale.
Rileva il Consiglio come, nell’ipotesi in cui la clausola fosse configurata in modo che il socio che risulti
“vincitore della roulette russa” abbia il diritto di riscattare la partecipazione dell’altro socio, sarebbe
ravvisabile una diretta applicazione delle norme suddette. Una tale ipotesi, tuttavia, ravvisa il Collegio
essere poco frequente nella pratica.
Più frequente, invero, è l’ipotesi che la clausola in esame venga configurata come un rapporto
obbligatorio, in cui al diritto del socio di pretendere al termine del procedimento previsto dalla clausola
il trasferimento della partecipazione dell’altro socio corrisponde un obbligo di quest’ultimo di dar corso
a tale trasferimento. In una siffatta evenienza, viene riscontrata dal Collegio un’applicazione in via
analogica delle norme codicistiche in materia di riscatto che regolano il principio di equa valorizzazione
della quota.
La massima in commento pare discostarsi dai recenti principi espressi dalla pronuncia del Tribunale di
Roma, Sezione Specializzata in materia di Imprese, per riabbracciare quanto espresso nel 2008 dal
Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Imprese. Invoca, infatti, il Consiglio la necessità
di ancorare tutte le clausole statutarie che comportino una fuoriuscita forzosa di un socio al principio
di equa valorizzazione della partecipazione dismessa a criteri oggettivi e inderogabili, per quanto il
medesimo dia atto della circostanza che l’essenza stessa delle clausole in esame sia sostanzialmente
tesa a impedire valorizzazioni inique. Non estranei a questo tema, pertanto, divengono tutti i criteri di
valutazione previsti dall’articolo 2437-ter, comma 2, cod. civ., ossia consistenza patrimoniale della
società, sue prospettive reddituali e valore di mercato delle quote.
Determinante per il Collegio, peraltro, ai fini di validità, non è tanto la presenza nella clausola statutaria
di detti criteri, presenza, tuttavia, ritenuta opportuna, quanto piuttosto l’assenza di criteri di
determinazione che possano portare a una valorizzazione iniqua o, comunque, inferiore a quella che si
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59 Bilancio, vigilanza e controlli n. 10/2019
avrebbe applicando i criteri previsti dalla legge o eventualmente dallo statuto. Ciò in quanto, ritiene il
Collegio, anche in assenza di una espressa previsione di tali criteri, gli stessi si applicherebbero
automaticamente in quanto l’articolo 2437-ter, cod. civ. costituisce norma inderogabile.
Conclusioni
Per quanto nella pratica l’adozione della clausola della “roulette russa” sia tutt’altro che infrequente, a
oggi non si rinvengono numerosi arresti che ne abbiano confermato la legittimità.
Una tale clausola, tuttavia, viene ritenuta generalmente valida, posto che i vincoli dettati per la sua
configurazione non paiono penalizzanti per chi decide di inserirla in uno statuto societario, e anzi
consentono di redigere tale clausola con ampia libertà al fine di adattarla al caso specifico, fermo,
almeno per il Consiglio notarile di Milano, il limite del rispetto del principio di equa valorizzazione della
quota dismessa, nei termini che abbiamo visto poc’anzi.
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