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1 Prof. Ing. Renzo Rosso Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano Dott. Ing. Maria Cristina Rulli Ricercatore di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano Consulenza tecnico scientifica ai fini della valutazione del rischio idrogeologico del Rio Filippa nel sito della omonima discarica Immagine satellitare del bacino idrografico del Rio Filippa. Marzo 2007 REV.01

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Prof. Ing. Renzo Rosso Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia

nel Politecnico di Milano

Dott. Ing. Maria Cristina Rulli Ricercatore di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia

nel Politecnico di Milano

Consulenza tecnico scientifica ai fini della valutazione del rischio idrogeologico del Rio Filippa nel sito della omonima discarica

Immagine satellitare del bacino idrografico del Rio Filippa.

Marzo 2007

REV.01

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© Renzo Rosso, Maria Cristina Rulli

Milano, Marzo 2007

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Indice

SINTESI.............................................................................................................................................................................. 5

1. Introduzione ................................................................................................................................................................... 7

2. Il bacino del Rio Filippa ................................................................................................................................................ 8

3. Dati pluviometrici e caratterizzazione del regime dei nubifragi ............................................................................... 9 3.1. Introduzione ............................................................................................................................................................. 9 3.2. Dati pluviometrici disponibili ................................................................................................................................ 10 3.3. Linee segnalatrici di probabilità pluviometrica...................................................................................................... 10

4. Portata di massima piena ............................................................................................................................................ 15 4.1. Generalità ............................................................................................................................................................... 15 4.2. Modello idrologico di piena ................................................................................................................................... 15 4.3. Taratura del modello .............................................................................................................................................. 16 4.4. Pioggia massima attesa .......................................................................................................................................... 17 4.5. Evento critico e portata al colmo ........................................................................................................................... 18 4.6. Risultati delle simulazioni...................................................................................................................................... 18

5. Officiosità idraulica ..................................................................................................................................................... 27 5.1. Calcolo dei Profili Idraulici di Moto Permanente............................................................................................. 27

5.1.1. Generalità 27 5.1.2. Geometria Idraulica delle Sezioni 28 5.1.3. Perdite di Carico Distribuite e Concentrate 29 5.1.4. Valutazione della Scabrezza 29 5.1.5. Calcolo della Profondità di Stato Critico 30

5.2. Risultati ............................................................................................................................................................. 31

6. Suscettibilità agli scivolamenti superficiali ed evoluzione di eventuali movimenti di massa................................ 42 6.1 Introduzione ............................................................................................................................................................ 42 6.2 Il modello per il controllo idrologico delle frane superficiali ................................................................................ 42

6.2.1 Introduzione 42 6.2.2 Analisi della stabilità delle coltri superficiali di suolo 43 6.2.3 L’idrologia dei versanti 45 6.2.4 Soglia di precipitazione per l’instabilità del pendio 48

6.3. Applicazione del modello al bacino del Rio Filippa .............................................................................................. 49

7. Strutture di controllo dei sedimenti mobilizzati: caso del bacino del torrente filippa .......................................... 52

8. Conclusioni ................................................................................................................................................................... 57

Riferimenti bibliografici .................................................................................................................................................. 59

Appendice A. Dati pluviometrici .................................................................................................................................... 62

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SINTESI

Su incarico della Società Programma Ambiente s.r.l. è stato condotto uno studio sulla sicurezza idrologica del Rio Filippa. In particolare, lo studio, finalizzato allo sviluppo della Vostro progetto di realizzazione e all’esercizio di una discarica localizzata nel bacino del Rio Filippa in condizioni di sicurezza idrogeologica, riguarda la valutazione del rischio idrogeologico del Rio Filippa nel sito di progetto. Tale studio ha comportato

• la caratterizzazione statistica dei nubifragi temibili, • la valutazione della piena temibile,

• la valutazione dell’officiosità idraulica dei nodi critici del Rio Filippa, • la valutazione della suscettibilità rispetto agli scivolamenti superficiali e dell’evoluzione di

eventuali movimenti di massa, e ha indicato altresì i criteri per la messa in opera di eventuali misure di contrasto.

A tal fine, sono state utilizzate anche le valutazioni di dettaglio della frane pregresse e dei relativi volumi mobilizzabili, oggetto dello studio condotto dall’Università dell’Insubria (v. Michetti et al., 2006) con il quale la presente proposta si integra. Lo studio è finalizzato allo sviluppo della Vostro progetto e all’esercizio del manufatto in condizioni di sicurezza idrogeologica.

Dopo una breve descrizione del bacino in esame, sono presentati in dettaglio i dati utilizzati e le pre-elabrazioni necessarie allo svolgimento dello studio; sono quindi illustrate le metodologie utilizzate ed i risultati ottenuti. Le relazioni matematiche e le basi teoriche su cui si fondano sono invece riportate in misura strettamente necessaria alla comprensione dell'elaborato. Si rimanda poi alle appendici per gli aspetti specifici del problema in esame e le elaborazioni ancillari necessarie allo svolgimento dello studio e alla bibliografia citata per eventuali approfondimenti delle tematiche trattate. La caratterizzazione delle precipitazioni intense temibili con assegnata frequenza è stata condotta tramite analisi statistica delle serie pluviometriche di breve durata e forte intensità, e rappresentate tramite le linee segnalatrici di probabilità pluviometrica. Esse sono state stimate, tramite il modello GEV scala-invariante, a partire dalle serie storiche disponibili in una stazione di riferimento prossima al bacino in esame, ossia la stazione di Cairo Montenotte.

Per la valutazione della massima piena temibile nella sezione idrografica del bacino del Rio Filippa in fregio alla discarica è stata adottata la metodologia che prevede ll’applicazione del metodo della simulazione idrologica dell’evento critico. Tale metodo fornisce la massima portata al colmo corrispondente a una precipitazione di assegnato periodo di ritorno. I valori di massima piena, che si ottengono tramite questa metodologia, sono quindi caratterizzabili, in termini di frequenza o periodo di ritorno, dalla frequenza o dal periodo di ritorno della precipitazione generatrice. Sebbene l’ipotesi di isofrequenza degli estremi pluviometrici ed idrometrici non sia a priori verificata, a causa del comportamento non lineare del bacino idrografico, tale approccio fornisce un’approssimazione spesso accettabile della effettiva distribuzione dei colmi di piena, come testimoniato da una ampia letteratura internazionale, in caso di carenti osservazioni idrometriche.

Per l’applicazione di tale metodologia, si è analizzata la trasformazione della pioggia massima annuale in portata al colmo nella sezione di chiusura, descritta da un modello idrologico di piena di tipo concettuale. L’assenza di osservazioni contemporanee di precipitazioni e deflussi a fine risoluzione temporale non consente però la taratura del modello. La calibrazione dei parametri è

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stata quindi condotta per via indiretta, utilizzando l’approccio geomorfologico ben noto in letteratura e una formula semi-empirica opportunamente calibrata per i bacini italiani. Il modello è stato poi sollecitato dalle precipitazioni intense ad assegnata frequenza, valutate in base alla caratterizzazione statistica. Per ogni assegnato periodo di ritorno della precipitazione temibile, la portata al colmo corrispondente viene determinata quale massimo valore generabile da tale precipitazione, tramite la ricerca della durata critica, che dipende dalla combinazione delle caratteristiche di risposta del bacino idrografico (rappresentato dal modello afflussi-deflussi) con le caratteristiche statistiche scala-invarianti della linea segnalatrice stessa. L’officiosità idraulica del Rio Filippa nel tronco di pertinenza è stata verificata prendendo in esame 7 sezioni idrauliche d’alveo. Tale officiosità è stata verificata in relazione alla portata di massima piena avente tempo di ritorno pari a 200 anni che per il bacino in esame è quantificabile in 2.7 m3/s.

I risultati ottenuti indicano altresì come l’officiosità idraulica del Rio Filippa sia ampiamente sufficiente a convogliare le portate al colmo con periodo di ritorno 200-ennale, senza che si verifichino esondazioni, con un franco superiore a 1 m lungo tutto il tronco in fregio al manufatto. La suscettibilità all’innesco di movimenti superficiali di massa del sito in esame è stata investigata con l’ausilio di un modello spazialmente distribuito ottenuto dall’accoppiamento di un modello geomeccanico con uno idrologico. Tale formulazione consente di determinare il tempo di ritorno della sollecitazione meteorica in grado instabilizzante. Il modello di innesco di frana superficiale indica una pericolosità modesta, in quanto tale innesco viene a corrispondere a eventi meteorici con periodo di ritorno elevato. Considerando comunque lo scenario più cautelativo nel quale si mobilitano tutti i sedimenti dei corpi, riportato in Tab. 7.1, il percorso seguito dagli stessi risulta quello riportato in Fig.7.2. La Figura 7.2 riporta riporta inoltre le sezioni di massimo arresto del sedimento (pallini in rosso). Il modello restituisce la deposizione del 60% dei sedimenti mobilitati in corrispondenza dell’isoipsa posta a quota 455 metri s.l.m. e l’arresto completo del flusso in corrispondenza dell’isoipsa posta a quota 422 metri s.l.m. Allo scopo di contenere la quota di materiale mobilitabile in caso di innesco generalizzato dei movimenti di massa, si suggerisce di realizzare cautelativamente un bacino di accumulo controllato dei sedimenti in fregio all’alveo del Rio Filippa, a monte della discarica. Il volume da invasare viene valutato in circa 6200 mc, in quanto esso rappresenta la quota parte di sedimento (circa il 40% del totale mobilizzabile) avente energia sufficiente a raggiungere l’isoipsa posta a 422 metri s.l.m.ed ivi arrestarsi. L’arresto del restante 60% del sedimento è comunque previsto a monte della suddetta isoipsa, e cioè nei pressi dell’isoipsa posta a 455 metri s.l.m.

Si suggerisce altresì la manutenzione e la pulizia dell’alveo, nonché lo svuotamento del bacino di accumulo qualoa la sua capacità di invaso sia totalmente o parzialmente diminuita.

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1. INTRODUZIONE

Su incarico della Società Programma Ambiente s.r.l. è stato condotto uno studio sulla sicurezza idrologica del Rio Filippa. In particolare, lo studio, finalizzato allo sviluppo della Vostro progetto di realizzazione e all’esercizio di una discarica localizzata nel bacino del Rio Filippa in condizioni di sicurezza idrogeologica, riguarda la valutazione del rischio idrogeologico del Rio Filippa nel sito di progetto.

Nel seguito, per una immediata più agevole presentazione delle elaborazioni, la relazione dello studio di sicurezza idrologica è organizzato in quattro fasi:

• la caratterizzazione statistica dei nubifragi temibili, riportata nel Capitolo 3; • la valutazione della piena temibile, riportata nel Capitolo 4;

• la valutazione dell’officiosità idraulica dei nodi critici del Rio Filippa, riportata nel Capitolo 5;

• la valutazione della suscettibilità rispetto agli scivolamenti superficiali e dell’evoluzione di eventuali movimenti di massa, riportata nel Capitolo 6.

Le conclusioni dello studio, riportate nel Capitolo 7, disegnano lo stato di sicurezza idrologica del sito e indicano altresì i criteri per la messa in opera di misure di contrasto finalizzate a garantire la sicurezza idrologica. Dopo una breve descrizione del bacino in esame, riportatta nel Capitolo 2, viene trattato in dettaglio ciascuno dei punti precedenti, illustrando le metodologie utilizzate ed i risultati ottenuti. Le relazioni matematiche e le basi teoriche, su cui si fondano tali metodologie, sono invece riportate in misura strettamente necessaria alla comprensione dell'elaborato. Si rimanda invece alle appendici per alcuni aspetti specifici del problema in esame e per le elaborazioni ancillari necessarie allo svolgimento dello studio, nonché alla bibliografia citata per gli eventuali approfondimenti.

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2. IL BACINO DEL RIO FILIPPA

L’area in studio è situata all’interno dell’alto Bacino della Val Bormida in cui l’evoluzione plio-quaternaria del reticolo idrografico è strettamente legata alle ultime fasi di sollevamento delle Alpi Liguri.

L’analisi aerofotogeologica d’insieme condotta a scala areale ha evidenziato come il bacino del Rio Filippa si localizzi in corrispondenza del passaggio tra due unità morfologiche di paesaggio diverse. Il settore occidentale, esteso dalla zona Rocchetta di Cengio sino all’allineamento del crinale Bric Morocchi – Case Clini, è impostato nella successione prevalentemente arenacea. Il paesaggio nel complesso presenta i caratteri tipici delle Langhe, con morfologia dei crinali piuttosto articolata. Le quote sommitali raggiungono i 600 ÷ 700 m slm.

Subito ad est dell’allineamento citato, si sviluppa la parte medio-bassa del bacino del Rio Filippa e, più in generale la valle del Fiume Bormida di Spigno con l’abitato di Cairo Montenotte, impostate prevalentemente nelle sequenze marnose. Qui il rilievo assume un assetto diverso con un insieme di crinali minori (Suria, Vogarone, Da Deina, Vallone, Speziere, nonché, in sinistra del Rio Ferrere, Bric Vallone, Val Gelata, M. Castelo, ecc.) riferibili al rimodellamento di una antica superficie morfologica posta a quote inferiori. La sommità dei crinali raggiunge quote significativamente inferiori rispetto all’altro settore (400 ÷ 500 m slm), mentre il fondovalle dei Rii Filippa – Ferrere si dispone a 330 ÷ 340 m slm, e la piana alluvionale del Bormida si trova attorno ai 320 m slm.

I due settori drenano rispettivamente verso il Bormida di Millesimo e il Bormida di Spigno, corsi d’acqua afferenti attualmente allo stesso collettore fluviale. La configurazione complessiva del rilievo evidenzia, tuttavia, un modellamento differenziale riferibile molto probabilmente a due sottobacini con diversi livelli di base.

La zona di transizione tra i due settori è identificata da una scarpata netta, con altezze di 200 ÷ 250 m, attraverso la quale si realizza il dislivello topografico. Nell’insieme le acclività sono rilevanti, con valori medi superiori ai 30° e localmente dell’ordine di 45°. La scarpata con andamento parallelo al crinale spartiacque locale si sviluppa immediatamente a ovest di Case Clini. Nel suo ambito si collocano i ripidi tratti iniziali delle aste tributarie del Rio Luviazzi, del Rianazzo, del Rio Filippa e, più a nord, del Rio Berun. Il tratto superiore del bacino del Rio Filippa corrisponde proprio a questa fascia di raccordo del versante e il suo andamento nell’insieme rettilineo conferisce al Rio questo assetto apparentemente anomalo, poiché privo di testata.

Il corso del Rio Filippa si sviluppa nella provincia di Savona (v. Figura 2.1). Dal punto di vista idrologico, questo rio presenta un regime di deflusso fortemente effemerico direttamente legato al regime pluviale. Il bacino imbrifero sotteso dalla sezione individuata dal lembo inferiore del sito della discarica ha una superficie di 0.15 km2, con una quota media di circa 502 m s.l.m.m. ed una lunghezza dell’asta drenante principale di circa 0.632 km, quali si riscontrano dalle elaborazioni condotte su base digitale raster (DTM, Digital Terrain Model) con maglia di 5 m, congruente con la base informativa attualmente disponibile presso la Regione Liguria e meglio identificato dai rilievi di dettaglio in scala 1:1000 condotti dall’Università dell’Insubria.

Il sito della discarica in studio è ubicato poco più di un chilometro a O-NO di Cairo Montenotte, nel dominio strutturale delle Alpi Liguri. L’area in esame è costituita da un substrato locale di rocce marnose e marnoso-arenacee, che per le loro caratteristiche sedimentologiche e litostratigrafiche possono essere attribuite al Bacino Terziario Piemontese, depositatesi sul substrato metamorfico a partire dall’Oligocene. I sedimenti continentali e marini, che costituiscono il bacino e che affiorano nell’area in studio, sono rappresentati dal basso verso l’alto della successione dalle Formazioni di

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Molare, di Rocchetta e di Monesiglio. Per una descrizione dettagliata della stratigrafia del sito si rimanda alla relazione prodotta dall’Università dell’Insubria (Michetti et al., 2006).

Figura 2.1 Carta Regionale a scala 1:50.000 con ubicazione del sito della discarica per rifiuti non pericolosi in loc. Filippa, comune di Cairo Montenotte (sito indicato dalla freccia blu). Il riquadro rosso individua l’area rilevata a scala 1:5.000 (su base cartografica CTR) comprendente l’intero bacino del Rio Filippa e tributari, nonché il settore di dorsale sovrastante, parte del bacino del Rio Ferrere e settori adiacenti significativamente estesi afferenti al Rio di Rocchetta. La cornice verde indica l’area rilevata a scala 1:1.000 sul supporto cartografico derivante dal nuovo rilevamento topografico eseguito da LPL

3. DATI PLUVIOMETRICI E CARATTERIZZAZIONE DEL REGIME DEI NUBIFRAGI

3.1. INTRODUZIONE

Per quanto riguarda lo studio delle piene con elevato periodo di ritorno, risulta di interesse la caratterizzazione delle sollecitazioni meteoriche tramite le Linee Segnalatrici di Possibilità

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Pluviometrica, LSPP (p.es. Burlando and Rosso, 1996). Esse rappresentano la distribuzione di probabilità dei massimi annuali di pioggia cumulata per differente durata. Sul piano cartesiano (altezza, durata di pioggia) esse costituiscono quindi un fascio di curve caratterizzate da un prefissato valore di probabilità di superamento o periodo di ritorno. La loro valutazione richiede di valutare ed analizzare le statistiche degli eventi estremi, osservati per un congruo periodo di osservazione.

3.2. DATI PLUVIOMETRICI DISPONIBILI

Per l’analisi statistica dei nubifragi, che possono originare piene salienti nella sezione di interesse, si è fatto riferimento ai dati di precipitazione rilevati in una stazione pluviografica dell’ex S.I.M.N. ubicata in prossimità del bacino del Rio Filippa. E’ stato quindi possibile determinare le linee segnalatrici soltanto per la stazione di Cairo Montenotte (v. Fig. 2.1.1), il più vicino sito dove si può disporre di registrazioni dei massimi annuali di precipitazione cumulata per assegnata durata, necessarie per la determinazione delle LSPP.

Per costruire le LSPP per la stazione pluviometrica di Cairo Montenotte sono stati raccolti i dati di precipitazione cumulata annua massima per le durate canoniche di 1, 3, 6, 12 e 24 ore riportati negli Annali Idrologici. Per il periodo 1951-1986 sono state così ottenute serie di dati per un numero totale di 36 anni di osservazione (v. Appendice A).

3.3. LINEE SEGNALATRICI DI PROBABILITÀ PLUVIOMETRICA

Si è utilizzato a tal fine il modello probabilistico GEV scala invariante (v., p.e. Rosso et al., 1997). Tale modello è stato anche adottato nel quadro del Progetto VAPI (Valutazione delle Piene) condotto dal CNR-GNDCI (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche) per la valutazione delle piene nell’Italia Nord Occidentale (v. De Michele & Rosso, 2000).

In forma generalizzata, una LSPP scala-invariante si può scrivere come (Kottegoda & Rosso, 1997)

, (A.1)

o in modo equivalente, in termini di intensità o tasso di precipitazione, come

, (A.2)

dove • a1 = E[H(1)] rappresenta il coefficiente di scala della linea segnalatrice, pari al valore atteso

dell’altezza di pioggia massima annuale H per la durata unitaria di riferimento, per esempio, un’ora. Questo coefficiente viene anche indicato con la denominazione di pioggia indice (p.e, nella stazione di Tramonti di Sopra, si stima a1= 39.3 mm/h0.51);

• n rappresenta l’esponente di scala con cui la variabilità del fenomeno si trasmette dalla scala temporale di riferimento alle altre scale temporali (p.e., nella stazione di Tramonti si stima n = 0.51);

• wTr rappresenta il fattore di crescita in frequenza, in quanto esso dipende del tempo di ritorno T e dalla distribuzione di probabilità scelta per rappresentare la variabile normalizzata W a media unitaria (E[W] = 1) che si ottiene dal campione dei dati di pioggia massima annuale normalizzati rispetto alla relativa media per ogni durata.

Per la distribuzione GEV, wTR assume la forma

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. (A.3)

La stima della curva di crescita della LSPP in base al campione dei valori osservati rinormalizzati è stata condotta con il metodo degli L-moments. Nei casi in cui si ottiene un valore stimato positivo del parametro di forma k, si sceglie, anche per ragioni cautelative, la distribuzione degenere EV1, in quanto k positivo comporterebbe una distribuzione limitata superiormente, poco significativa e di dubbia interpretazione nel caso delle precipitazioni estreme. I valori dei parametri delle linee segnalatrici, che forniscono l’altezza di pioggia al variare della durata temporale di riferimento per la stazione di Cairo Montenotte, sono riportati in Tabella 3.3.1.

La Figura 3.3.1 riporta, sul piano della variabile ridotta di Gumbel e dell’altezza di pioggia rinormalizzata, i punti relativi al campione sperimentale e la curva stimata con la GEV e con alcune distribuzioni biparametriche di letteratura (LN2, EV2 ed EV1). La Figura 3.3.2 riporta l’andamento delle distribuzioni marginali, relative alle diverse durate canoniche di 1, 3, 6, 12, 24 ore, ottenute mediante il modello GEV scala invariante (SIGEV) e, per confronto, i dati campionari e alcune distribuzioni biparametriche di letteratura (LN2, EV2 ed EV1). Il modello adottato, assai parsimonioso in termini di parametrizzazione, sembra in grado di rappresentare in modo soddisfacente la distribuzione campionaria dei dati empirici. Si può quindi ritenere che il modello adottato sia affatto idoneo a rappresentare la sollecitazione meteorica puntuale nell’area in esame.

Figura A.1 – Stazione di Cairo Montenotte. Adattamento della variabile normalizzata alla distribuzione generalizzata

del valore estremo, GEV nel piano di Gumbel, confrontata con quello di altre distribuzioni.

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Figura A.2 – Stazione di Cairo Montenotte. Distribuzioni marginali per le durate canoniche di 1, 3, 6, 12, 24 ore,

ottenute mediante il modello scala invariante (Rosso et al., 1997) e confronto con i dati storici.

La Tabella 3.3..2 fornisce le stime dei quantili di altezza di precipitazione per le durate di 1, 3, 6, 12, 24 ore e per valori salienti del periodo di ritorno da 10 a 1000 anni.

Tabella 3.3.1. Parametri del modello GEV scala invariante per la

stazione pluviografica di Cairo Montenotte (per k = 0, la GEV collassa nella distribuzione di Gumbel, EV1).

Stazione a1 n α ε k

Cairo Montenotte 29.2 0.435 0.274 0.829 -0.043

Tabella 3.3.2 –Stime dei quantili di altezza di precipitazione puntuale per le durate da 1 a 24 ore e per i

periodi di ritorno pari a 10, 50, 100, 200, 500 e 1000 anni, secondo il modello SIGEV.

Stazione di Cairo Montenotte Valori di Progetto, in mm

Durata, ore T 1 3 6 12 24

anni 5 36.7 59.1 79.9 108.1 146.1

10 43.2 69.6 94.2 127.3 172.1

20 49.6 80.1 108.2 146.3 197.8

50 58.3 94.0 127.1 171.9 232.3

100 65.0 104.9 141.8 191.7 259.1

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200 71.9 116.0 156.8 212.0 286.7

E’ importante notare come le LSPP, che sono state determinate considerando durate comprese tra 1 ora e 24 ore, forniscono tuttavia stime sufficientemente attendibili (in senso cautelativo) anche per durate inferiori, quali quelle richieste nel presente studio. In Figura 3.3.3 si riportano le linea segnalatrici per diversi valori del periodo di ritorno, che nel seguito verranno utilizzate per la valutazione della precipitazione temibile nel centro di scroscio.

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Fig.3.3.1. Previsione statistica della pioggia nel centro di scroscio della stazione pluviometrica di Cairo Montenotte

(SV) al variare della durata per diversi tempi di ritorno.

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4. PORTATA DI MASSIMA PIENA

4.1. GENERALITÀ

Dato che non esistono osservazioni dirette di eventi di piena osservato per il sito in esame, è stato necessario procedere ad un’analisi di tipo indiretto, sviluppando il calcolo della portata di massima piena con il metodo dell’evento critico. Tale metodo fornisce la massima portata al colmo corrispondente a una precipitazione di assegnato periodo di ritorno. I valori di massima piena che si ottengono tramite questa metodologia sono quindi caratterizzati dalla frequenza o dal periodo di ritorno della precipitazione generatrice (p.e. Bocchiola et al., 2003c). Va subito rilevato come tale ipotesi sia disattesa nella realtà in quanto, in generale, il periodo di ritorno della portata al colmo di piena non corrisponde a quello della pioggia generatrice, a causa del comportamento non lineare del bacino idrografico. Tuttavia, tale assunzione viene spesso utilizzata in pratica per valutare le piene negli ambienti caratterizzati da carenza di dati idrometrici.

Per l’applicazione di tale metodologia, si analizza la trasformazione della pioggia attesa in un valore di portata al colmo nella sezione di chiusura, descritta da un modello idrologico di piena. Il modello viene quindi sollecitato dalle precipitazioni intense ad assegnata frequenza, valutate in base all’analisi delle serie pluviometriche di breve durata e forte intensità, e rappresentate tramite le LSPP della stazione di riferimento. Per ogni assegnato periodo di ritorno della precipitazione temibile, la portata al colmo corrispondente viene determinata quale massimo valore generabile da tale precipitazione, tramite la ricerca della durata critica, che dipende dalla combinazione delle caratteristiche di risposta del bacino idrografico (rappresentato dal modello afflussi-deflussi) con le caratteristiche statistiche scala-invarianti della linea segnalatrice stessa. Per via della non linearità del sistema, la durata critica non è costante, ma viene a dipendere dal periodo di ritorno della precipitazione generatrice.

4.2. MODELLO IDROLOGICO DI PIENA

Se si trascura la portata di base, il processo di formazione del deflusso di piena può essere descritto da un modello idrologico globale dalla struttura abbastanza semplice, costituito da due componenti in serie: un modello di rifiuto del terreno basato sul metodo CN-SCS (Soil Conservation Service, 1986) e un modello lineare di formazione alveata della piena basato sull’idrogramma unitario istantaneo geomorfologico (GIUH) di forma gamma (p.e. Rosso, 1984). Modello SCS_CN. Secondo questo metodo, il volume specifico di deflusso superficiale (altezza di pioggia netta) in un evento isolato di pioggia è dato da

, (4.2.1)

dove PA indica il volume specifico precipitato sul bacino di superficie A, S il volume specifico di massima ritenzione potenziale del terreno, e Ia = cS il volume specifico di assorbimento iniziale, con 0 ≤ c < 1. Per un dato stato iniziale AMC di imbibimento del bacino al verificarsi del nubifragio, la massima ritenzione potenziale S dipende da due fattori, la natura del terreno e l’uso del suolo, il cui effetto combinato è descritto globalmente dal parametro adimensionale CN, legato a S dalla relazione S = S0(100/CN – 1), dove 0 < CN < 100, e S0 è una costante di scala legata all’unità di misura adottata, che, per valori di S, PA, Ia e R misurati in mm, è pari a 254 mm. Il valore di CN

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dipende sia dalla natura idrologica e dall’uso del suolo, sia dallo stato iniziale di imbibimento, di cui si tiene conto secondo tre tipologie: AMC Tipo I, in caso di bacino asciutto; AMC Tipo III, in caso di bacino fortemente imbibito; e AMC Tipo II, in condizioni intermedie. Il Tipo AMC viene valutato in base alla precipitazione totale nei cinque giorni antecedenti all’evento di piena (cfr. Soil Conservation Service, 1986).

A ogni passo temporale discreto tm (ossia per tm =mΔt, con m = 1,2,...,N) si può valutare in modo sequenziale il valore del volume incrementale di ruscellamento Rm = R(tm) come

, (4.2.2)

dove il valore della pioggia lorda cumulata, PAm = PA(tm), è dato da

, (4.2.3)

essendo pA(t) lo ietogramma di ingresso al sistema. In base al valore di Rm, si ricava quindi ΔRm = Rm – Rm-1. Il tasso di ruscellamento r(tm) durante l’intervallo m-esimo è quindi dato da rm = ΔRm/Δt.

Modello GIUH_GAMMA. Per un bacino idrografico di superficie A, il modello idrologico GIUH-GAMMA rappresenta l’andamento dell’idrogramma di piena tramite l’integrale di convoluzione

, (4.2.4)

dove l’idrogramma unitario istantaneo u(t) è dato dalla funzione gamma incompleta con parametri β e κ, e Γ(.) indica la funzione gamma. La forma del GIUH, determinata dal valore di β, dipende prevalentemente dalla geomorfologia fluviale. L’integrale di convoluzione viene quindi risolto per sommatorie discrete con passo temporale tm ovvero infittendo opportunamente la discretizzazione adottata.

4.3. TARATURA DEL MODELLO

Nel suo complesso, il modello prevede la stima dei seguenti parametri: l’area del bacino A, la massima ritenzione potenziale S, il coefficiente di assorbimento iniziale c, lo stato di imbibimento iniziale AMC, il tempo caratteristico κ e il parametro di forma β dell’IUH. Purtroppo, data l’assenza di dati di precipitazione e portata in situ, non è possibile la taratura diretta del modello, ossia dei valori di CN, κ e β a scala di evento.

Il valore dei parametri κ e β è stato invece ottenuto tramite l’utilizzo del metodo geomorfologico, basato sulla struttura gerarchica della rete Hortoniana (Rosso, 1984) e di una formula di letteratura validata per alcuni bacini italiani per la valutazione del tempo caratteristico di risposta del bacino (Bocchiola et al., 2003b), che considera, tra l’altro, la situazione di imbibizione del bacino, tramite il valore di AMC. In particolare, per il calcolo di β si è utilizzata la formula (v. Rosso, 1984)

, (4.3.1)

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con Rb, RA, RL rapporti Hortoniani di biforcazione, area e lunghezza. Il calcolo di k, che richiede la definizione di una velocità di piena, da valutarsi tramite taratura ad evento, nel caso presente non disponibile, è stato invece condotto tramite la

, (4.3.2)

discendente dalla definizione di tempo di lag, o di ritardo. Quest’ultimo è stato stimato tramite la (Bocchiola et al., 2003b)

, (4.3.3)

con Lap lunghezza dell’asta principale (pari a 0.632 Km), SAMCi potenziale di ritenzione (funzione di CN, pari a 36.41 mm in condizioni AMC di tipo III, essendo per CNII = 75 e, quindi CNIII = 87.5) nella condizione AMC considerata ed im pendenza media del bacino (pari a 25.6°, ossia al 38%). I valori di β, k e tL per il valore di AMC= III sono indicati in Tabella 4.3.1. Il fattore AMC utilizzato è stato III, ossia si è considerata, a favore di sicurezza, una situazione di forte imbibimento iniziale.

Tabella 4.2.1. Parametri del modello.

AMC CNII c β k (ore) tL (ore) III 75 0.2 2.9 0.047 0.138

Il valore del parametro CNII è stato ottenuto per via indiretta in base all’analisi della cartografia della natura geolitologica del terreno e dell’uso del suolo fornita dallo studio condotto dall’Università dell’Insubria (Michetti et al., 2006). Si osserva come il valore ottenuto di 75 è del tutto congruente con quello stimato in analoghi bacini del comprensorio idrografico ligure del Fiume Bormida (v., p.e. De Michele et al., 2000).

4.4. PIOGGIA MASSIMA ATTESA

Le Linee Segnalatrici di Probabilità Pluviometrica scala-invarianti forniscono il tasso (intensità) di pioggia nel centro di scroscio che risulta temibile in d ore consecutive pT = a1 wT dν-1, (4.4.1)

dove, nel caso specifico, il valore del coefficiente pluviale orario è pari a a1 = 29.2 mm×h-ν, valore atteso della pioggia oraria massima annuale, e l’esponente di scala è dato da

ν - 1= 0.435 - 1 = -0.565.

Tali valori sono stati assunti pari a quelli relativi alla precipitazione nel centro di scroscio nel bacino di formazione della piena. La variabile aleatoria wT ha la distribuzione GEV con i parametri di Tab. 3.3.1. I quantili salienti sono riportati in Tab. 3.3.2.

In caso di pioggia 100-nale si ottiene, p.es., p100 = 65.0 d-0.565, in mm/h.

La sollecitazione meteorica pioggia a scala di bacino viene determinata riducendo quella locale (centro di scroscio) per tenere conto dell’effetto dell’attenuazione spaziale, tramite il fattore di riduzione areale ARF, variabile con la durata dello scroscio secondo il metodo empirico del National Weather Service (1958) secondo la parametrizzazione di Eagleson (1978), ossia

ARF =1-exp(-1.1d0.25)+exp(-1.1d0.25-0.00386A). (4.4.2) dove A indica l’area del bacino, in Km2, e d la durata del nubifragio, in ore. Per A = 0.15 Km2, si ha quindi

18

, (4.4.3)

in mm/ora, con d in ore, per ogni durata d presa in esame. Si nota perltro che, per la superfice drenante assai ridotta, l’effetto di attenuazione è affatto trascurabile, risultando, per qualsiasi periodo di ritorno considerato ARF ≅ 1.

4.5. EVENTO CRITICO E PORTATA AL COLMO

A partire da ietogrammi uniformi di durata d e tasso di pioggia ψaTdν-1 uniforme sul bacino viene quindi simulato l’idrogramma di piena alla sezione di chiusura del bacino tramite il modello idrologico sopra identificato. Iniziando, per esempio, da un valore di d = 1 ora, si calcolano il tasso e il volume specifico della pioggia che sollecita il bacino, rispettivamente pA,T = ψa1,Tdν-1 e PA = ψa1,Tdν , e il volume di ruscellamento, R = (PA - Ia)2/(PA - Ia + S).

Poiché la durata dell’imbibimento iniziale, durante la quale non si manifesta ruscellamento, risulta tIA = Ia / pA, la durata effettiva della sollecitazione idrologica che perviene alla rete idrografica risulta minore di d, ossia tR = d - tIA, con un tasso di ruscellamento pari a r = R / tR.

L’idrogramma di piena è quindi dato da

(4.5.1)

con t* = t - tIA.

Determinato il valore al picco, qp(d), si itera il procedimento ricercando quindi la durata d che massimizza il valore della portata al colmo

. (4.5.2)

Tale massimo corrisponde a un valore di durata d(CR) noto come “durata critica”.

4.6. RISULTATI DELLE SIMULAZIONI

Le simulazioni vengono condotte in maniera iterativa. Per valori del periodo di ritorno di 10, 50, 100, e 200 anni, si valuta la pioggia di durata critica, ossia quella che fornisce la massima portata al colmo. Si considera, come detto in precedenza, la condizione AMC=III.

Sviluppando i calcoli con il procedimento sopra illustrato, sono stati esplorati i valori salienti di periodo di ritorno della precipitazione generatrice da 10 a 200 anni. Sono stati quindi valutati i valori di portata al colmo, associati a predefiniti valori del periodo di ritorno della precipitazione generatrice, riportati in Tab. 4.6.1. Il diagramma di Fig. 4.6.1 indica anche un’ottima concordanza dei risultati con la distribuzione probabilistica GEV adottata a scala regionale nell’ambito del Progetto VAPI del CNR-GNDCI (De Michele & Rosso, 2000). Con la procedura di simulazione idrologica qui proposta, si ottiene, per esempio, un valore di portata al colmo di piena pari a circa 2.7 m3/s in corrispondenza della pioggia duecentennale critica. Va inoltre rilevato come la portata al

19

colmo ottenuta tramite simulazione idrologica trascuri l’eventuale presenza di deflusso di base, che potrebbe influenzare le portate di massima piena. Nel caso in esame, data la natura effemerica del rio, tale contributo risulta peraltro affatto trascurabile durante le massime piene.

Tabella. 4.6.1. Valori di portata al colmo corrispondenti a valori salienti del periodo di ritorno

della precipitazione generatrice critica, ottenuti tramite simulazione idrologica afflussi-deflussi a scala di bacino per il Rio Filippa nel sito dell’omonima discarica.

Periodo di ritorno della precipitazione critica, in anni

Portata al colmo, in mc/s

10 1.079

20 1.394

50 1.857

100 2.244

200 2.662

500 3.266

I calcoli salienti sono sintetizzati nelle tabelle riportate nelle Tavole 4.6.1°a-f.

20

Fig.4.6.1. Portate al colmo di piena temibili del Rio Filippa nel sito dell’omonima discarica.

21

Tavola 4.6.2a. Idrogramma di piena relativo alla pioggia critica 10-ennale del Rio Filippa, in condizioni di imbibimento iniziale AMC=III.

22

Tavola 4.6.2b. Idrogramma di piena relativo alla pioggia critica 20-ennale del Rio Filippa, in condizioni di imbibimento iniziale AMC=III.

23

Tavola 4.6.2c. Idrogramma di piena relativo alla pioggia critica 50-ennale del Rio Filippa, in condizioni di imbibimento iniziale AMC=III.

24

Tavola 4.6.2d. Idrogramma di piena relativo alla pioggia critica 100-ennale del Rio Filippa, in condizioni di imbibimento iniziale AMC=III.

25

Tavola 4.6.2e. Idrogramma di piena relativo alla pioggia critica 200-ennale del Rio Filippa, in condizioni di imbibimento iniziale AMC=III.

26

Tavola 4.6.2f. Idrogramma di piena relativo alla pioggia critica 500-ennale del Rio Filippa, in condizioni di imbibimento iniziale AMC=III.

27

5. OFFICIOSITÀ IDRAULICA

Per valutare l’officiosità idraulica del Rio Filippa nel tronco di pertinenza sono state prese in esame 7 sezioni idrauliche d’alveo, la cui localizzazione è mostrata in Fig. 5.1. Tale officiosità è stata verificata in relazione alla portata di massima piena avente tempo di ritorno pari a 200 anni che per il bacino in esame è quantificabile, come visto nel precedente capitolo, in 2.7 m3/s. A tal fine si è utilizzato un rilievo topografico di dettaglio delle sezioni trasversali e del profilo d’alveo, per il tratto di interesse, che comprende i due principali impluvi di monte e il tronco a valle della confluenza degli stessi, in fregio all’area della discarica. Il nuovo rilievo è, infatti, servito non solo ad acquisire dati geometrici di precisione sufficiente alla progettazione definitiva-esecutiva e di dettaglio, ma anche ad ottenere un’informazione aggiornata sull’assetto idrografico in ragione delle modificazioni d’alveo prodotte dalla dinamica fluviale. Il deflusso in alveo corrispondente alla portata di progetto è stato modellato nell’ipotesi di flusso unidimensionale e di regime di moto permanente.

Fig.5.1. Modello digitale delle quote a risoluzione di 5 metri del bacino del rio Filippa ove è riportata l’ubicazione delle

sezioni d’alveo ove è stato condotto lo studio idraulico.

5.1. CALCOLO DEI PROFILI IDRAULICI DI MOTO PERMANENTE

5.1.1. Generalità

Per lo scenario duecentennale preso in esame, il calcolo del profilo di moto permanente, cioè dei tiranti idrici in ciascuna delle sezioni del corso d’acqua prese in esame, è stato condotto tramite il codice di calcolo HEC_RAS (US Army Corps of Engineers, Release 3b, 2006) in grado di gestire in modo automatico sia le sezioni aperte che quelle soggette a bruschi restringimenti e le confluenze.

Il codice integra per differenze finite l’equazione

28

(5.1)

tra due sezioni successive nel primo caso e, nel secondo caso, risolve l’equazione integrale dell’equilibrio dinamico tra le sezioni fittizie a monte ed a valle del ponte. Nel seguito, si riportano le equazioni e le espressioni utilizzate per calcolarne i singoli termini.

L’equazione utilizzata per determinare il profilo di moto permanente deriva dalla scrittura alle differenze finite dell’equazione del bilancio energetico (Eq. 1) tra due sezioni successive a distanza Δs, rispettivamente indicate con 1, la sezione di monte, e 2, la sezione di valle. Essa assume la forma:

(5.2)

dove z è la quota del fondo alveo (m); h il tirante idrico (m); V la velocità media nella sezione (m/s); α il coefficiente di Coriolis; Jt (m), la variazione di carico effettivo dovuto alle perdite distribuite tra le due sezioni; Er le perdite concentrate (m); g l’accelerazione di gravità (m/s2). L’applicazione dell’equazione (1) al corso d’acqua in esame determina in modo univoco il tirante idrico in ogni sezione una volta nota la portata di progetto ed una condizione al contorno, a monte od a valle, a seconda che ci si trovi rispettivamente in presenza di corrente veloce o lenta.

5.1.2. Geometria Idraulica delle Sezioni

Quando ci si trova in presenza di sezioni di alvei naturali, caratterizzate cioè da forma irregolare e che generalmente presentano forte discontinuità nella geometria causate dalla presenza dell’alveo di magra e di quello di piena, il calcolo dei parametri idraulici richiede l’applicazione di tecniche di parzializzazione della sezione per il calcolo dell’area della sezione bagnata ed il perimetro bagnato per ogni tirante idrico ammissibile nella sezione. Da queste grandezze vengono ulteriormente derivate il raggio idraulico, ed il baricentro della sezione e la spinta totale, di cui si riportano le espressioni utilizzate per il calcolo di tali grandezze:

; (5.3)

; (5.4)

; (5.5)

, se non adiacente al muro del canale; (5.6)

se adiacente al muro del canale; (5.7)

i= 1, 2, 3,.....,m; (5.8)

, i= 1, 2, 3, ....,m; (5.9)

; (5.10)

29

; i= 1, 2, .......,m; (5.11)

dove indicano rispettivamente l’area, il perimetro bagnato, il raggio idraulico e il baricentro delle sottosezioni; rispettivamente l’area, il perimetro bagnato, il raggio idraulico, e la profondità del baricentro della sezione; m il numero di sottosezioni.

5.1.3. Perdite di Carico Distribuite e Concentrate

La variazione di carico, , dovuta alle perdite di carico distribuite, vengono calcolate per ogni tratto compreso fra due sezioni rilevate (breve rispetto alla lunghezza del corso d’acqua esaminato) come valore medio delle cadenti del carico effettivo (z+P/γ+V2/2g)

calcolato in ciascuna delle due sezioni che lo delimitano. Nota la geometria della sezione bagnata, per ogni valore del tirante idrico, la variazione del carico, , risulta:

. (5.12)

In quest’ultima equazione Δs indica la distanza tra le sezioni in esame, mentre i1 e i2 sono rispettivamente le pendenze motrici delle due sezioni, come sopra indicate, che soddisfano l’equazione di moto uniforme, il cui coefficiente di resistenza venga esplicitato dalla formula di Strickler,

, (5.13)

per assegnata portata, tirante idrico e scabrezza, Ks.

Le perdite di carico concentrate dovute essenzialmente a variazioni dell’altezza cinetica tra due sezioni sono calcolate tramite l’espressione

, (5.14)

dove V1 e V2 sono le velocità nelle due sezioni, mentre Ce indica un coefficiente di perdita pari a 0.2.

5.1.4. Valutazione della Scabrezza

Il coefficiente dimensionale di Strickler, indicato con Ks ed espresso in m1/3s-1, rappresenta un parametro di conduttanza, che, a parità di geometria della sezione idrica, è direttamente proporzionale alla portata idrica smaltibile, come si deduce immediatamente dall’Eq. (13). I valori di tale coefficiente sono tabulati in letteratura1 per diverse condizioni di rugosità dell’alveo. Sono inoltre, disponibili formule che consentono di evidenziare il ruolo svolto sul Ks dai differenti elementi quale le caratteristiche del materiale che costituisce il letto e le sponde, la tortuosita dell’alveo, l’influenza della vegetazione. Queste formule2, che sono frequentemente espresse in termini di coefficiente di Manning, quale viene normalmente impiegato nella letteratura

1 Cfr., ad es., MARCHI, E. & A. RUBATTA, Meccanica dei fluidi, UTET, Torino, 1981. 2 Cfr. CHOW, V.T., Open channel hydraulics, McGraw-Hill, NewYork, 1953 e 1979.

30

anglosassone, pari a n = 1/Ks, esprimono gli effetti dovuti ai differenti fattori considerati ricorrendo al principio della sovrapposizione degli effetti, ossia

, (3.15)

dove Ks è il valore globale, Ksm il valore relativo al materiale di cui è composto l’alveo, Ksv quello dovuto alla vegetazione, e m0 un coefficiente direttamente proporzionale al grado di tortuosità.

Sebbene tabulati in funzione di descrizioni dello stato dell’alveo l’attribuzione dei singoli coefficienti è caratterizzata da una certa soggettività. Al fine di ottenere un dato il più possibile oggettivo e congruente per le tipologie d’alveo in esame è stata costruita la seguente tabella, che evidenzia i valori di Ksm come descritti da Marchi & Rubatta3 e da Chow4, ed inoltre i valori relativi alla scabrezza indotta dalla vegetazione e quelli relativi alla eventuale curvatura dell’alveo. La determinazione della scabrezza complessiva è stata ottenuta utilizzando l’Eq. (15) in cui il valore di Ksm è la media di quelli forniti dagli autori citati (cfr. Tabella 5.1).

Tabella 5.1 - Valori caratteristici del coefficiente di scabrezza di Manning secondo quanto suggerito da Chow e da Marchi & Rubatta per diverse tipologie d’alveo. Valori di Ks e Kv in m1/3/s.

Tipologia Osservata 1/Ks Chow

1/Ks Marchi & Rubatta

1/Kv Chow

muratura in pietra 0.016 0.0145 cemento 0.0130 0.0140

letto in terra e sabbia 0.0200 0.0200 letto in ghiaia ciottoli e sabbia 0.0230

vegetazione bassa 0.0157 vegetazione media 0.0175 vegetazione alta 0.0370

Tenuto conto della notevole iregolarità del letto dell’alveo montano in esame, si sono assunti, in via affatto cautelativa, i seguento valori del coefficiente di scabrezza:

0.05 s/m1/3, 0.1 s/m1/3.

5.1.5. Calcolo della Profondità di Stato Critico

Al tirante idrico in condizioni di stato critico corrisponde la massima portata teoricamente smaltibile dalla sezione, indipendentemente dalla natura del fondo e delle pareti, nonchè dall’inserimento della sezione stessa in un tronco fluviale. Esso è stato valutato imponendo che il numero di Froude, indicato con Fr, assuma valore unitario. In termini di portata e per le sezioni in esame, si scrive

, (5.16)

3 Cfr. ad es., MARCHI, E. E A. RUBATTA, Meccanica dei fluidi, UTET, Torino, 1981. 4 Cfr. CHOW, V.T., Open channel hydraulics, McGraw-Hill, NewYork, 1953 e 1979.

31

dove g è l’accelerazione di gravità, hm il tirante idrico, A l’area bagnata della sezione, e V la velocità media della sezione. L’equazione (16) permette la determinazione l’altezza di stato critico tramite il valore hm che soddisfa la relazione in esame tra l’altezza di piene rive ed il fondo.

5.2. RISULTATI

In Tabella 5.2 sono riportate le grandezze idrualiche di interesse, mentre nelle Fig.5.2 sono riportati, per ogni sezione di studio, le sezioni idrauliche. In Fig. 5.3 sono riportati i profili di moto permanente nei 3 rami del rio Filippa presi in esame. I risultati ottenuti mostrano come l’officiosità idraulica delle sezioni sia ampiamente verificata nelle condizioni di piena duecentennale.

Tabella 5.2 – Grandezze idrauliche relative allo scenario duecentennale del Rio Filippa.

Reach

River station

Q Total

Min Ch El

W.S. Elev

Crit W.S.

E.G. Elev

E.G. Slope

Vel Chnl

Flow Area

Top Width

Froude # Chl

(m3/s) (m) (m) (m) (m) (m/m) (m/s) (m2) (m)

Ramo A 100 2.7 388.17 388.98 388.98 389.28 0.051 2.44 1.11 1.85 1.01 Ramo A 90 2.7 376.02 376.67 376.84 377.21 0.146 3.26 0.83 2.64 1.86 Ramo B 80 2.7 388.27 388.93 388.93 389.15 0.040 2.07 1.3 3.04 1.01 Ramo B 70 2.7 380.19 380.9 380.98 381.25 0.065 2.62 1.03 2.22 1.23 Ramo C 60 2.7 373.55 374.12 374.19 374.42 0.062 2.44 1.11 2.9 1.26 Ramo C 50 2.7 370.03 370.71 370.75 370.99 0.051 2.35 1.15 2.5 1.11 Ramo C 40 2.7 367.58 368.76 368.37 368.84 0.010 1.18 2.29 3.91 0.49

32

Fig.5.2(1). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

33

Fig.5.2(2). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

34

Fig.5.2(3). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

35

Fig.5.2(4). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

36

Fig.5.2(5). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

37

Fig.5.2(6). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

38

Fig.5.2(7). Sezione idraulica 200-ennale del rio Filippa.

39

Fig.5.3(a). Profilo di moto permanente nei 3 rami del rio Filippa.

40

Fig.5.3(b). Profilo di moto permanente nei 3 rami del rio Filippa.

41

Fig.5.3(c). Profilo di moto permanente nei 3 rami del rio Filippa.

42

6. SUSCETTIBILITÀ AGLI SCIVOLAMENTI SUPERFICIALI ED EVOLUZIONE DI EVENTUALI MOVIMENTI DI MASSA

6.1 INTRODUZIONE

I versanti caratterizzati da sottili spessori di suolo sono spesso interessati da movimenti gravitativi quali le frane superficiali. Tali frane vengono di sovente innescate da eventi meteorici, dando luogo a scorrimenti lungo superfici di rottura, solitamente localizzate all’interfaccia tra il suolo e la roccia sottostante.

La comprensione e la modellazione del dissesto di tipo franoso, necessaria per la stima del rischio idrogeologico, deve dunque comportare due distinte fasi riguardanti, rispettivamente, lo studio dei processi idrologici e l’analisi geomeccanica del terreno. In particolare, i principali fattori che influenzano la suscettività al dissesto di tipo frana superficiale sono quelli che entrano in forma diretta od indiretta nella determinazione del coefficiente di sicurezza e cioè la pendenza del terreno, la coesione del materiale, l’angolo di attrito interno, il peso del terreno (con la componente variabile del contenuto d’acqua) e l’afflusso meteorico con le connesse complesse dinamiche dei flussi idrologici nel suolo.

La letteratura scientifica fornisce numerosi modelli che legano i processi meteo-idrologici con quelli geomeccanici al fine della previsione del rischio di frana. Tali modelli possono essere ricondotti a due tipologie principali quali quella dei modelli statistici e quella dei modelli fisicamente basati. I modelli fisicamente basati possono essere sia concentrati, nel senso che le variabili in gioco sono riferite all’intera area di studio, che distribuiti. Quest’ultimi sono "terrain based": si basano cioè sull'utilizzo di modelli digitali del terreno tramite i quali è possibile suddividere l’area di studio in aree elementari. I modelli di tipo distribuito possono ricevere in ingresso parametri diversi a seconda dell’area elementare considerata e sono in grado di restituire il risultato dell’analisi effettuata distribuito sull’area di studio. A seconda che sia trattata in maniera distribuita la solo la componente geomorfologia o anche quella idrologica, tali modelli, a loro volta, si possono distinguere in:

1. Modelli “geomorfologici” indicatori del pericolo di innesco di frana e di colata.

2 Modelli completamente distribuiti.

6.2 IL MODELLO PER IL CONTROLLO IDROLOGICO DELLE FRANE SUPERFICIALI

6.2.1 Introduzione

Rosso et al. (2006) hanno elaborato un nuovo modello per il controllo delle frane superficiali sulla base della considerazione della fondamentale importanza sia dell’intensità delle piogge che della durata delle stesse per la determinazione delle condizioni idrologiche d’innesco delle frane superficiali. Tale modello si basa sulla variabilità dei tassi di precipitazione e sulla durata degli eventi precipitativi ottenuto accoppiando una componente di tipo geomeccanico e una di tipo idrologico.

La componente geomeccanica del modello, preposta all’analisi di stabilità dei versanti, considera caratteristiche del suolo quali l’angolo di resistenza al taglio, l’indice dei vuoti e la gravità specifica

43

dei solidi. Tale analisi viene eseguita in termini di fattore di sicurezza considerando valide le assunzioni di un pendio infinitamente esteso. La componente idrologica è modellata associando il principio di conservazione della massa con la legge di Darcy. L’accoppiamento delle due componenti produce un semplice modello analitico capace di descrivere gli effetti combinati della durata e dell’intensità di un episodio di precipitazione nell’attivare una frana superficiale.

6.2.2 Analisi della stabilità delle coltri superficiali di suolo

Sovente, in aree montuose e collinari, al disotto del piano di campagna del pendio esiste un piano di scorrimento posizionato ad una profondità z molto piccola se confrontata con la lunghezza del pendio che si sta considerando. Sotto queste ipotesi è possibile determinare il fattore di sicurezza del pendio FS tramite la teoria del pendio indefinito. La resistenza al taglio lungo la superficie di scorrimento è pari a :

(6.1)

dove:

= coesione del suolo

= sforzo normale totale

= pressione dell’acqua

= angolo di resistenza al taglio

Indicando con lo sforzo di taglio il fattore di sicurezza e descritto dalla seguente equazione:

(6.2)

Indicando con il peso specifico del materiale terrigeno al di sopra della falda e con il peso specifico del materiale allo stato di saturazione, le espressioni di sono:

(6.3)

(6.4)

(6.5)

Sostituendo otteniamo:

(6.6)

(6.7)

Per terreni normalconsolidati c’=0, quindi:

(6.8)

Indicando con la gravità specifica dei solidi, con il grado medio di saturazione e con l’indice dei vuoti si ha:

44

(6.9)

(6.10)

(6.11)

Sostituendo in (6.7) si ha:

(6.12)

Se , cioè se il piano di scorrimento coincide con la profondità della falda:

(6.13)

Se h\ , cioè se la falda si trova a livello del piano di campagna del versante si ha:

(6.14)

Se , cioè se la falda si trova tra il piano campagna e la superficie di scorrimento, la condizione di equilibrio limite (FS=1) si verifica quando assume un valore critico detto . Ciò significa che se il versante è stabile per

(6.15)

Dalle equazioni (11), (12) e (13) si ricava che:

i. Se il versante è stabile (6.16)

ii. Se il versante è instabile (6.17)

iii. Se e il versante è stabile (6.18)

iv. Se e il versante è instabile (6.19)

Questo approccio supera quello introdotto da Montgomery e Dietrich (1994) solitamente considerato di riferimento nella letteratura scientifica, che negava l’effetto dell’indice dei vuoti e del grado di saturazione al di sopra del livello di falda.

45

6.2.3 L’idrologia dei versanti

Elemento innovativo del modello ivi proposto è il calcolo della precipitazione – intesa sia in termini di durata che di intensità – necessaria per innescare il dissesto.

Per spiegare il fenomeno gli autori suddividono il versante in una serie di elementi delimitati da vertici giacenti nei punti di intersezione fra curve di livello adiacenti con le linee di massima pendenza. L’insieme di elementi consecutivi posti fra 2 linee di massima pendenza adiacenti formano i tubi di flusso (vedi Figura 6.1)

Fig.6 1 Area di drenaggio elementare: (a) visione planare e b) flussi idrologici

Indicando con p la pioggia netta (precipitazione decurtata dalle perdite per evapotraspirazione e per infiltrazione) e con a l’area contribuente (area di drenaggio cumulativa di tutti gli elementi che drenano nell’elemento considerato), sotto l’ipotesi di sforzi di volume nulli (e=cost) e grado di saturazione al di sopra della falda costante ( =cost), per il principio di conservazione della massa si ha:

per (6.20)

e per (6.21)

dove: t’ = tempo dall’inizio della precipitazione

S = acqua immagazzinata nell’elemento

r = ruscellamento che si verifica quando il suolo è saturo ( )

46

q = flusso uscente dalla porzione satura del terreno descritto dalla legge di Darcy:

(6.22)

In cui: K = conduttività del suolo saturo

= gradiente (assunto parallelo al pendio)

Sostituendo la (6.22) nella (6.20) e integrando l’equazione differenziale considerando che all’istante iniziale la falda sia posizionata ad una quota , si ottiene:

(6.23)

per

per un episodio meteorico di durata t, con (trasmissività idraulica).

Considerando il caso semplice di condizioni iniziali di piezometrica alla profondità

(6.24)

e introducendo il tasso di saturazione, dipendente solamente dalla geometria e dalle proprietà idrologiche del versante:

(6.25)

per (6.26)

con:

fattore adimensionale del suolo (6.27)

Per si ha: (6.28)

(6.29)

e

(6.30)

Si può notare come il tempo caratteristico venga a dipendere da tre fattori:

Fattore adimensionale del suolo

che tiene conto della geomorfologia e delle caratteristiche del suolo superficiale

47

che descrive il tasso di precipitazione rispetto al valore critico

Le figure seguenti mostrano la variabilità di e per una precipitazione di una determinata durata per differenti valori di .

Fig. 6.2 Altezza di acqua nel suolo verso durata della precipitazione per differenti valori del rapporto a/b.

Fig. 6.3 Ruscellamento verso durata della precipitazione per per differenti valori del rapporto a/b.

Si osserva che, per un dato versante, con spessore del suolo, indice dei vuoti, grado di saturazione al di sopra della falda, trasmissività, area di drenaggio e tasso di precipitazione netta stabiliti, l’aumento del rapporto topografico causa un aumento della stabilità.

Ma il tasso di crescita di nel tempo è molto più alto per valori bassi di . Da ciò ne deriva che elevati valori di fanno sì che le precipitazioni facciano raggiungere rapidamente le condizioni di stabilità, mentre molto più tempo è necessario per aree elementari con bassi valori di .

48

Introducendo l’indice dei vuoti (relativo alla falda)

si ha:

(6.31)

e, per ,

(6.32)

con

Si può notare come l’effetto combinato del tasso di precipitazione e della durata sia importante ai fini della stabilità del versante.

Il modello sviluppato da Rosso et al. (2006) è inoltre in grado di descrivere l’effetto soglia che si ha quando il suolo raggiunge la piena saturazione ed ha inizio il ruscellamento superficiale.

6.2.4 Soglia di precipitazione per l’instabilità del pendio

L’acoppiamento dell’idrologia dei versanti alla geomeccanica consente di determinare la soglia di precipitazione tale da innescare la frana superficiale .

Ciò si ottiene sostituendo il termine a sinistra dell’equazione (6.15) con il termine a destra dell’equazione (6.23), espresso in termini di indice . Si ottiene:

(6.33)

Risolvendo l’equazione (6.33) per p si ottiene la soglia di precipitazione al di sopra della quale si determina l’instabilità del versante:

(6.34)

dove con cr si intendono le condizioni critiche.

49

Dall’equazione (6.34) si nota come il valore di dipenda strettamente dalla durata t della precipitazione.

L’approccio di Montgomery e Dietrich (1994), usato generalmente come metodo di riferimento, può quindi sovrastimare le condizioni di innesco dell’evento franoso, specialmente per eventi precipitativi di breve durata. Esse inoltre dipendono dalle condizioni di umidità iniziali e dall’indice topografico .

6.3. APPLICAZIONE DEL MODELLO AL BACINO DEL RIO FILIPPA

L’applicazione del modello al bacino del Rio Filippa ha rchiesto la discretizzazione dell’area di studio secondo la metodologia dei tubi di flusso. L’area è risultata suddivisa in 1164 celle costituenti i tubi di flusso. La figura 6.2.5.1 mostra il valore del gradiente topografico, uno dei parametri chiave del modello, calcolato sulle celle delineate secondo i criteri esposti nei paragrafi precedenti. Sono inoltre riportate, a titolo di completezza, le freccie indicanti l’andamento dei flussi idrologici dall’esame delle quali è anche facilmente possibile delineare il bacino del Rio Filippa. La figura 6.2.5.2 mostra un altro dei parametri chiave e cioè l’area drenata da ogni cella della discretizzazione.

Figura 6.2.5.1. Discretizzazione secondo la metodologia a tubi di flusso dell’area del bacino del Rio Filippa. Sono

riportate le direzioni del flusso (freccie) e l’andamento del gradiente topografico (gradazioni di verde).

50

Figura 6.2.5.2. Discretizzazione secondo la metodologia a tubi di flusso dell’area del bacino del Rio Filippa. Sono

riportate le direzioni del flusso (freccie) e l’area contribuente calcolata per ogni elemento della discretizzazione (gradazioni di bleu).

La figura 6.2.5.3 riporta i risultati dell’applicazione del modello all’area circostante il bacino del Rio Filippa. Sono riportati, nei diversi colori, i tempi di ritorno delle piogge in grado di innescare il dissesto. Sia dall’osservazione della mappa, sia dall’esame del numero delle celle dissestabili dalle piogge di assegnato tempo di ritorno (Tab. 6.1) si evince come il sito presenti una pericolosità moderata essendo i dissesti associati ad eventi meteorici aventi tempo di ritorno elevato.

51

Figura 6.2.5.3. Discretizzazione secondo la metodologia a tubi di flusso dell’area del bacino del Rio Filippa. Sono

riportati, secondo legenda, i tempi di ritorno delle piogge che innescano il movimento di massa.

Tabella 6.2 – Numero di celle instabilizzabili da eventi con assegnato Tempo di ritorno.

Tempo di Ritorno Pioggia

Num. Celle

Inc. Stabili 358 >200 289

100-200 297 50-100 105

< 50 49 Inc. Instabili 66

52

7. CRITERI DI CONTROLLO DEI SEDIMENTI MOBILIZZATI IN SEGUITO A MOVIMENTI DI MASSA

L’accumulo di sedimenti presso infrastrutture di tipo civile od industriale può provocare problemi sia ambientali che di incolumità per la vita delle persone che vivono nei pressi delle infrastrutture stesse. La presenza di una strozzatura o la diminuzione di pendenza in torrente con forte trasporto solido possono dare luogo al deposito di grandi volumi di materiali. Un centro abitato o un insediamento che sia disposto in prossimità del torrente può essere così esposto ad esondazioni costituite da una miscela di acqua e materiale solido. La scelta dell’opera di ingegneria, sia di tipo strutturale, sia di tipo non-strutturale, preposta al contenimento dei sedimenti a monte dell’infrastruttura da salvaguardare, presuppone un accurato studio topografico, geologico, sedimentologico ed idrologico del sito in esame.

La disponibilità di aree idonee, dette anche bacini di raccolta dei sedimenti, distribuite in zone limitrofe l’alveo nel suo tratto a monte della zona da salvaguardare, consente il deposito controllato del materiale solido trasportato. Va comunque sottolineato che un bacino di raccolta dei sedimenti viene realizzato per trattenere i materiali trasportati dal corso d’acqua per eventi eccezionali, la cui deposizione a valle possa rappresentare una fonte di pericolo. L’efficacia di tali bacini di raccolta può risultare un valido strumento di difesa, a patto che si provveda, dopo che un evento ne abbia esaurito in parte o tutta la capacità di invaso, alla rimozione del materiale depositato (Datei, 2000). Essi esercitano, infatti, la loro funzione nell’invasare una parte significativa del materiale solido della colata di fango arrestandola e separandola dalla matrice liquida di cui essa è costituita. La caratteristica peculiare è costituita dal fatto che gli eventuali volumi mobilitati sono parzialmente o totalmente trattenuti all’interno di una area opportunamente delimitata a cavallo o di lato all’incisione interessata, mentre i deflussi idrici in condizioni ordinarie possono attraversare la vasca. Da un punto di vista strettamente idraulico, il funzionamento di questo tipo di opere è analogo a quello o delle casse di espansione in linea, e cioè esse accumulano parte del volume del fangogramma in ingresso lasciando scorrere a valle solo i deflussi idrici o della tipologia in derivazione. In quest’ultimo caso il bacino di raccolta dei sedimenti, in condizioni di acqua chiara non intercetta alcun deflusso delle portate di piena, mentre è destinata ad accumulare i volumi mobilitati in concomitanza di un evento di colata. In tal caso il funzionamento idraulico dell’opera deve essere garantito da un opportuno manufatto di partizione delle portate realizzato in corrispondenza dell’imbocco della vasca stessa. Va comunque sottolineato come i manufatti più importanti dei bacini di raccolta dei sedimenti siano l’opera di imbocco a monte e quella d’uscita a valle. L’opera di imbocco deve essere progettata in modo tale da non essere ostruita dai depositi. Una buona soluzione consiste nel prevedere una briglia in modo da creare un salto di fondo; o meglio ancora, realizzando dalla gàveta della briglia un breve canale a forte pendenza (Datei, 2000). La letteratura nazionale ed internazionale riporta numerosi esempi di progetto ed esecuzione di questo tipo di opere ingegneristiche volte al contenimento dei sedimenti. In molti dei casi tali opere sono state costruite a posteriori di un evento calamitoso. Altre volte, come nel caso di numerosi debris basin della California meridionale (vedi p.e. in Fig. 7.1), essi sono stati costruiti a scopo cautelativo salvaguardando, a tutt’oggi, le aree di competenza dal dissesto.

53

Figura 7.1Vasca di contenimento dei sedimenti costruita San Jacinto, California.

Tra i parametri progettuali da prendere in considerazione un ruolo fondamentale è svolto dai volumi di terreno mobilitabili, la cui determinazione risulta essere molto complessa a causa dei tanti processi fisici che innescano il movimento. Una corretta valutazione dei volumi mobilitabili presuppone infatti un’accurata indagine geopedologica e geotecnica, un approfondito studio idrologico ed una modellazione alla scala di bacino dell’innesco e della propagazione del dissesto. In tal modo è altresì possibile poter analizzare diversi scenari, sulla base dei quali poter definire il volume del bacino di raccolta.

Nel caso del bacino del torrente Filippa, tramite lo studio coordinato dall’Università dell’Insubria e lo studio ivi riportato, sono state poste le basi per una corretta individuazione del volume del bacino di raccolta. Tali dimensioni risultano da a) la descrizione topografica di alto dettaglio (scala 1:1000) del bacino oggetto di studio usata in seno alla modellazione idrologica e geomorfologia di tipo spazialmente distribuito; b) il rilievo idrografico, geomorfologico, geotecnico ed idrogeologico effettuato sull’intero bacino. Tale rilievo ha permesso sia la parametrizzazione del modello che la costruzione di scenari di simulazione nei quali si considerava il massimo volume mobilitabile;

c) l’analisi idrologica volta alla determinazione della massima portata di piena per assegnato tempo di ritorno per il sito in esame; d) l’analisi idraulica volta alla verifica dell’officiosità idraulica del Rio Filippa in corrispondenza della piena 200-ennale; e) la modellazione dell’innesco di movimenti gravitativi e determinazione del tempo di ritorno delle sollecitazioni d’innesco; f) la modellazione del percorso della massa solida distaccata.

In questa ultima fase sono stati analizzati volumi mobilitati, i percorsi degli stessi e le loro distanze di arresto in relazione a degli ipotetici e cautelativi scenari di distacco nei quali si considerava il massimo volume mobilitabile. Considerando quindi lo scenario più cautelativo nel quale si mobilitano tutti i sedimenti dei corpi, riportato in Tab. 7.1, il percorso seguito dagli stessi risulta quello riportato in Fig.7.2. La Figura 7.2 riporta riporta inoltre le sezioni di massimo arresto del

54

sedimento (pallini in rosso). Il modello restituisce la deposizione del 60% dei sedimenti mobilitati in corrispondenza dell’isoipsa posta a quota 455 metri s.l.m. e l’arresto completo del flusso in corrispondenza dell’isoipsa posta a quota 422 metri s.l.m.

55

Tab. 7.1 Parametri dimensionali relativi alle frane ed ai tratti di pendio potenzialmente dissestabili individuati nel tratto

di testata del bacino del Rio Filippa. Gli elementi areali sono stati ricavati sulla base dei rilievi topografici e geomorfologici di dettaglio, mentre i valori di spessore sono stati ottenuti con l’esame delle sezioni in affioramento dei

tagli stradali e delle indagini geognostiche condotte nel corso del 2006.

Settore Lunghezza secondo

la direzione di movimento

principale (m)

Larghezza (m)

Spessore accumulo

(m)

Area corpo di frana (m2 )

Volume stimato

(m3)

A - Frana al margine del tornante. Scorrimento traslativo in terreni incoerenti.

25 20 3 ÷ 5 500

Accumulo:

2000

B – Frane minori per scorrimento in terreni incoerenti.

5 ÷ 9 8 ÷ 11 2 ÷ 3 150

Insieme degli accumuli:

450

C - Frana di crollo al margine della scarpata in roccia delimitante a monte la paleosuperficie

50 80

per lo più

3 ÷ 7

(max 10)

1000

Accumulo:

5500

D - Loc. Nadina. Ciglio del ripiano morfologico potenzialmente dissestabile. I valori indicati fanno riferimento alle dimensioni complessive del settore potenzialmente sede di dissesti locali.

15 ÷ 30

Sviluppo complessivo del settore

90

Spessore terreni

mobilizzabili

3 ÷ 5

Areale potenzialmente

sede di attivazione di

movimenti

2500

Volume complessivo

potenzialmente mobilizzabile da

più dissesti:

7500

56

Fig. 7.2 Runout degli spessori di suolo mobilizzabili nella zona di testata del Rio filippa. I cerchi rossi rappresentano le zone di massimo accumulo dei sedimenti mobilitati.

8. CONCLUSIONI

Lo studio condotto ha comportato

• la caratterizzazione statistica dei nubifragi temibili, • la valutazione della piena temibile,

• la valutazione dell’officiosità idraulica dei nodi critici del Rio Filippa, • la valutazione della suscettibilità rispetto agli scivolamenti superficiali e dell’evoluzione

di potenziali movimenti di massa, • l’indicazione dei criteri per la messa in opera di misure di contrasto all’eventuale

svilupparsi di tali movimenti A tal fine, sono state utilizzate anche le valutazioni di dettaglio delle frane pregresse e dei relativi volumi mobilizzabili, oggetto dello studio condotto dall’Università dell’Insubria, con il quale il presente studio si integra.

I risultati ottenuti indicano come l’officiosità idraulica del Rio Filippa sia comunque ampiamente sufficiente a convogliare le portate al colmo con periodo di ritorno 200-ennale, senza che si verifichino esondazioni, con un franco superiore a 1 m lungo tutto il tronco in fregio al manufatto.

Il modello di innesco di frana superficiale indica una pericolosità modesta, in quanto tale innesco viene a corrispondere a eventi meteorici con periodo di ritorno elevato, come riportato nella mappa digitale di Figura 6.2.5.3. Considerando lo scenario più cautelativo nel quale si mobilitano tutti i sedimenti dei corpi, riportato in Tab. 7.1, il percorso seguito dagli stessi risulta quello riportato in Fig.7.2. La Figura 7.2 riporta riporta inoltre le sezioni di massimo arresto del sedimento (pallini in rosso). Il modello restituisce la deposizione del 60% dei sedimenti mobilitati in corrispondenza dell’isoipsa posta a quota 455 metri s.l.m. e l’arresto completo del flusso in corrispondenza dell’isoipsa posta a quota 422 metri s.l.m. e quindi a una distanza di oltre 300 m. in linea d’aria dall’impianto.

Allo scopo di migliorare ulteriormente l’assetto idrogeologico del settore e di contenere la quota di materiale che proseguirebbe a valle della isoipsa 455 m s.l.m., arrestandosi comunque a monte del sito della discarica, in caso di innesco generalizzato dei movimenti di massa, si suggerisce di realizzare cautelativamente un bacino di accumulo controllato dei sedimenti in fregio all’alveo del Rio Filippa, a monte della discarica. Il volume da invasare viene valutato in circa 6200 mc, in quanto esso rappresenta la quota parte di sedimento (circa il 40% del totale mobilizzabile).

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Si suggerisce altresì la manutenzione e la pulizia dell’alveo, nonché lo svuotamento del bacino di accumulo qualoa la sua capacità di invaso sia totalmente o parzialmente diminuita.

Prof. Ing. Renzo Rosso Dr. Ing. Maria Cristina Rulli

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APPENDICE A. DATI PLUVIOMETRICI

Sono stati raccolti i dati di precipitazione cumulata annua massima per le durate canoniche di 1, 3, 6, 12 e 24 ore riportati negli Annali Idrologici per la stazione pluviometrica di Cairo Montenotte, ottenndo, per il periodo 1951-1986 le serie di dati riportati in tabella.

Valori di atezza di pioggia massima annaule in mm

Anno di Durata

osservazione 1 ora 3 ore 6 ore 12 ore 24 ore

1951 44.0 130.0 142.0 167.0 178.0

1952 29.0 36.0 50.0 59.0 59.0

1953 38.0 39.0 59.0 80.0 126.0

1954 27.0 54.0 69.0 91.0 109.0

1955 30.0 33.0 72.0 96.0 133.0

1956 28.0 70.0 90.0 133.0 171.0

1957 21.0 37.0 52.0 82.0 113.0

1958 26.0 38.0 47.0 59.0 84.0

1959 30.0 44.0 60.0 102.0 144.0

1960 34.0 49.0 54.0 73.0 104.0

1961 40.0 76.0 88.0 88.0 106.0

1962 14.0 28.0 47.0 70.0 86.0

1963 46.0 68.0 88.0 124.0 136.0

1964 27.0 37.0 37.0 52.0 60.0

1965 19.0 32.0 37.0 70.0 103.0

1966 53.0 59.0 62.0 75.0 78.0

1967 17.0 27.0 34.0 50.0 53.0

1968 26.0 47.0 77.0 125.0 210.0

1969 20.0 36.0 49.0 49.0 80.0

1970 13.0 24.0 36.0 68.0 74.0

1971 23.0 46.6 60.0 106.0 139.2

1972 15.0 30.0 41.0 77.0 130.0

1973 30.0 51.4 58.0 78.0 158.4

1974 23.2 40.2 47.2 71.8 82.6

1975 17.8 39.0 58.2 72.8 82.6

1976 22.0 38.6 56.4 103.0 125.0

1977 40.8 66.0 83.4 130.8 159.0

1978 12.8 24.0 39.2 52.0 98.2

1979 51.0 103.0 137.4 152.0 172.0

1980 34.6 44.6 59.0 73.2 89.4

1981 31.0 67.4 79.8 103.0 113.8

1982 38.6 78.0 86.0 88.0 121.4

1983 24.8 31.2 39.0 59.0 109.4

1984 28.8 37.6 56.0 84.2 131.6

1985 35.0 66.8 83.8 83.8 119.4

1986 15.0 34.8 56.8 65.6 87.4