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CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE FENOMENO DELL’URBANESIMO E DEL VILLAGGIO INDUSTRIALE: l’esempio italiano di CRESPI d’ADDA (Bg) Con la seconda rivoluzione industriale nel secolo XIX si assiste al fenomeno di un nuovo URBANESIMO. Un gran numero di persone che vivevano e lavoravano nelle campagne arrivano in città - dove si collocano le nuove industrie- in cerca di lavoro; Parigi e Londra nel 1870 superano il milione di abitanti!! Le città sono inadeguate a sopportare tale fenomeno; l’abitazione diventa un problema; le condizioni igienico-sanitarie delle città peggiorano, intieri quartieri si degradano. N.B. E’ IN QUESTI ANNI CHE VENGONO PROMULGATE LE PRIME LEGGI URBANISTICHE e nasce L’URBANISTICA come metodo di organizzazione della città e del territorio. Nelle vecchie città la grande richiesta di abitazioni viene soddisfatta trasformando il vecchio centro storico, suddividendo e frazionando le strutture abitative esistenti, generando la proliferazione di “case-tana” piccole e malsane. CASE-CANTINA ottenute occupando anche le zone al di sotto del livello stradale, interrate, umide, sporche CASE-RICOVERO ottenute frazionando appartamenti in singole camere. Mancano i servizi fondamentali, sono sovraffollate. CASE-ALLOGGIO ottenute frazionando appartamenti; soluzione accettabile perché riuniva i singoli nuclei familiari anche se con scarsi servizi abitativi. casa operaia Glasgow, 1848 Nelle periferie prolifera la tipologia delle CASE BACK TO BACK:doppie schiere di case unifamiliari che si affacciano su corti strette e poco aereate, servizi igienici esterni ed in comune, costruite con materiali scadenti, prive delle innovazioni tecnologiche della classe borghese, ad alta densita’ edilizia. Nei centri minori sollecitati da nuove o rinnovate attività industriali, si giungerà alla creazione di centri produttivo - residenziali quali i villaggi operai.

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Page 1: CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE … · Con la seconda rivoluzione industriale nel secolo XIX si assiste al fenomeno di un nuovo ... La casa operaia La tipologia delle case

CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

FENOMENO DELL’URBANESIMO E DEL V ILLAGGIO INDUSTRIALE:

l ’esempio ita l iano di CRESPI d’ADDA (Bg)

Con la seconda rivoluzione industriale nel secolo XIX si assiste al fenomeno di un nuovo URBANESIMO.

Un gran numero di persone che vivevano e lavoravano nelle campagne arrivano in città - dove si collocano le nuove industrie- in cerca di lavoro;

Parigi e Londra nel 1870 superano il milione di abitanti!!

Le città sono inadeguate a sopportare tale fenomeno; l’abitazione diventa un problema;

le condizioni igienico-sanitarie delle città peggiorano, intieri quartieri si degradano.

N.B. E’ IN QUESTI ANNI CHE VENGONO PROMULGATE LE PRIME LEGGI URBANISTICHE e nasce L’URBANISTICA come metodo di organizzazione della città e del territorio.

Nelle vecchie città la grande richiesta di abitazioni viene soddisfatta trasformando il vecchio

centro storico, suddividendo e frazionando le strutture abitative esistenti, generando la proliferazione di “case-tana” piccole e malsane.

CASE-CANTINA ottenute occupando anche le zone al di sotto del livello stradale, interrate, umide, sporche

CASE-RICOVERO ottenute frazionando appartamenti in singole camere. Mancano i servizi fondamentali, sono sovraffollate.

CASE-ALLOGGIO ottenute frazionando appartamenti; soluzione accettabile perché riuniva i singoli nuclei familiari anche se con scarsi servizi abitativi.

casa operaia Glasgow, 1848

Nelle periferie prolifera la tipologia delle CASE BACK TO BACK:doppie schiere di case unifamiliari che si affacciano su corti strette e poco aereate, servizi igienici esterni ed in comune, costruite con materiali scadenti, prive delle innovazioni tecnologiche della classe borghese, ad alta densita’ edilizia.

Nei centri minori sollecitati da nuove o rinnovate attività industriali, si giungerà alla creazione di centri produttivo - residenziali quali i villaggi operai.

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In Italia furono soprattutto imprenditori tessili che introdussero dalla prima metà dell‘800 il modello urbanistico e sociale del villaggio operaio, già sperimentato in Francia ed Inghilterra: Crespi d’Adda in Lombardia, Leumann vicino a Collegno, in Piemonte e Schio in Veneto sono gli esempi più noti e studiati.

IL “MODELLO” DI VILLAGGIO OPERAIO

Il villaggio operaio diventa il modello di insediamento ideale del periodo, trovando ispirazione nelle idee sociali-politiche del SOCIALISMO UTOPISTA e nella cultura scientifica positivistica ottocentesca (NB nello stesso periodo vengono elaborate pedagogia, sociologia e fisica moderne, ecc….)

Sulla casa operaia si sviluppano studi teorici, nascono nuove professioni ……

Ecco l’esempio di una progettazione ingegneristica che riguarda le strutture igienico-sanitarie delle case operaie datata 1874……

Vasi a sifone, sistemi di fosse mobili per la raccolta di liquami e filtrazione dell'aria presentati nel manuale di A. Sacchi, 1874.

Nella progettazione del villaggio industriale l’ organizzazione delle abitazione è organizzata intorno ad idee standard:

1) ampiezza ed autonomia della cucina, 2) isolamento e indipendenza delle camere, 3) il prolungamento all’esterno dell’appartamento con un ballatoio o un appezzamento di giardino.

A livello di planimetria si parte da uno schema rigido, seguendo modelli utopici (Owen) ma nella realtà costruita subisce continui e progressivi aggiustamenti. “Così nella crescita del villaggio alle residenze si aggiunge la chiesa, il parco, l’asilo, la scuola elementare.”

Un villaggio artificiale che sembri naturale

Il villaggio operaio ideale è un organismo tutto integrato e autosufficiente: fabbrica - casa, lavoro - vita famigliare e sociale, secondo il pensiero culturale e storico del momento: il pensiero di ideologi utopisti, di filantropi, di uomini politici illuminati, di “ingegneri igienisti”. Un microcosmo in cui tutti i bisogni sono soddisfatti, allo scopo di ottenere una società stabile e di allontanare, anzi prevenire, il pericolo di proteste.

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Punto centrale del villaggio: la fabbrica

L’esistenza e la sopravvivenza del villaggio operaio sono strettamente legate alla fabbrica a cui è legato. Innanzitutto il villaggio si situa vicino a corsi d’acqua atti a essere sfruttati come forza motrice; oppure si colloca o nelle vicinanze delle grandi città storiche o non lontano dalle grandi zone minerarie, più spesso in zone agricole lontano dalla città, creando dal nulla ogni struttura, per impedire che la manodopera, d’origine in gran parte contadina, si sradichi dalla propria terra e dalle proprie consuetudini, ed ottenere così due attività, quella industriale nuova e quella tradizionale agricola che fornisce occupazioni per il tempo libero arrotondando il bilancio famigliare.

“Morfologicamente i villaggi operai si configurano secondo un modello semplificato di città ideale: fabbrica e istituzioni assumono il ruolo di nodo e fulcro della organizzazione urbana”

Planimetria generale di Crespi d' Adda aggiornata nel 1971.

Ed esempio l’organizzazione planimetrica di Crespi D’Adda, che ruota intorno all’incrocio di due assi ortogonali, uno dei quali impostato all’ingresso della fabbrica :

“l’asse più lungo divide gli spazi del lavoro […] dagli spazi del riposo e del tempo libero […] e conduce dall’ingresso del villaggio fino al cimitero. L’asse più corto unisce la piazza alberata – luogo privilegiato d’incontro e di vita sociale – con l’entrata della fabbrica. La residenza dell’imprenditore-fondatore è significativamente eccentrica, sia nella forma che nella collocazione, rispetto alla distribuzione regolare lungo vie parallele e perpendicolari delle case operaie […].Visivamente propone una precisa gerarchia rispetto alle case operaie tutte uguali […] che si ripete nel cimitero, con il faraonico mausoleo della famiglia Crespi, […] sovrastante le schiere di tombe tutte uguali dei dipendenti

Il piano urbanistico del villaggio operaio è unitario e generalmente si sviluppa da una figura geometrica

“ La pianificazione dei quartieri operai secondo il volere dell’industriale paternalista si struttura sempre in uno schema rigido ed ortogonale, vie diritte, incroci ad angolo retto, case poste a distanze predeterminate e costanti, netta divisione tra zone dedicate alla vita

pubblica e zone residenziali: la geometria presa a modulo espressivo di una più generale concezione sociale di ordine, di disciplina, di gerarchia. Il mito dell’ordine, l’obiettivo dell’igiene fisica mentale da raggiungere diventa pratica quotidiana ed immutabile, fisicità su cui bloccare ogni tendenza all’affermazione di necessità alterative.

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La rappresentazione esteriore come rifinitura e strumento al tempo stesso della più importante organicità formalizzata della struttura sociale totale. La pianta ortogonale diventa simbolo di appiattimento, negazione, rinuncia ai valori culturali più vitali e stimolanti in nome di una semplicità e pulizia artificiose e oppressive. La struttura della città riflette così

fedelmente l’ideologia di dominanza - sottomissione tipica dei rapporti sociali, nell’ambito dello scambio lavoro - salario .

La casa operaia

La tipologia delle case operaie, sia costruite che proposte nei diversi manuali del periodo, si muove tra due poli: il “casermone” a più piani per più nuclei famigliari in stretta relazione abitativa e la villetta unifamiliare, spesso con un minimo orto;

La villetta unifamiliare e la casa plurifamigliare

La casetta tendenzialmente unifamiliare, ma anche doppia o in serie, con giardino – orto produttivo, è la forma abitativa preferita dall’azione filantropica dei grandi industriali; vi era anche l’interesse a “fissare”, e nello stesso tempo disseminare lontano dalla pericolosa concentrazione cittadina, una popolazione operaia sana e ben alloggiata, quindi più produttiva; infine la casetta unifamigliare o plurifamigliare costituiva anche una risposta al problema igienico-sanitario posto dal dilagare delle epidemie nel corso dell’ottocento, e la presenza di un orto, permetteva di nutrire una famiglia, integrando i bassi salari.

Piante di case operaie bifamigliari a Crespi d’Adda

riportate da E. Magrini nel manuale Le abitazioni popolari. Case operaie, 1905.

Il “casermone”

E’ un edificio di tipo intensivo, a molti piani, serviti da varie scale, in cui ciascuna disimpegna

parecchi alloggi per ogni piano. Il “casermone” è economico poiché permette un risparmio sulle

spese di costruzione, grazie all’unificazione dei servizi, alla ripartizione del costo del tetto e delle

fondazioni sui tanti piani ecc .

I“palasoc”all’ingresso di Crespi d’Adda.

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L’orto

L’orto che gli industriali costruttori di villaggi operai si premurano di attribuire ad ogni casa è uno dei modi per ovviare al pericolo dell’osteria e guidata nell’ambito delle attività ricreative promosse direttamente dalla ditta.

“Applicandosi all’orto l’operaio resta in casa, si evitano pericolose forme di vita associata che, se condotte al di fuori dell’iniziativa della ditta, possono anche sfociare in intese di carattere rivendicativo; un basso livello salariale trova la sua integrazione a mezzo dei frutti della terra; […] [inoltre l’orto può concorrere alla] qualificazione competitiva”.

Quest’ultimo aspetto è ben visibile nel caso di Crespi d’Adda, dove il padrone passa costantemente in rassegna gli orti. Per lo stesso Crespi, “l’orto costituisce l’antidoto al logorio di fabbrica e un modo per curare le malattie professionali”.

I servizi sociali

La chiesa, l’asilo, la scuola, il convitto, lo spaccio ecc. offrono i servizi sociali che garantiscono alla comunità del villaggio una sostanziale autosufficienza.

La scuola riveste un ruolo particolare. E’ un mezzo economico per procurarsi una

manodopera preparata, fidata, di sicuro rendimento, e l’asilo e la scuola elementare per i primi anni di vita dei bambini favoriscono il meno costoso lavoro femminile.

A Crespi d'Adda c'erano l'asilo e le cinque classi elementari, e le maestre venivano scelte dai Crespi: di qui uscivano i ragazzi destinati a divenire operai, capi, assistenti ed impiegati. Il controllo sulla loro condotta scolastica era pari a quello esercitato sui padri all'interno dei reparti, e la loro disciplina doveva essere pari a quella degli adulti nelle strade del villaggio. […] Piani piano veniva instillato loro il senso della propria fortunata condizione, del ricevere un'educazione migliore nella scuola del villaggio rispetto ai paesi circostanti. […] La scuola doveva fornire operai disciplinati e fedeli, su tale criterio formativo andavano plasmati orari e programmi scolastici. Perciò, niente divagazioni, niente attività creative, ma esecuzione di compiti, stimolazione competitiva, premi e castighi, orario di studio pari quasi all'orario di lavoro. D'altronde, se un alunno è recalcitrante alla disciplina, viene spedito agli umili lavori dello stabilimento anche a dieci anni di età

Il cimitero

La gestione della vita dei residenti dalla nascita alla morte spinge gli industriali alla costruzione, o all’ampliamento, insieme ad asili infantili ed orfanotrofi, di cimiteri che rispecchiano, anche dopo la morte, la stratificazione sociale esistente nel villaggio.

Il cimitero di Crespi d’Adda.

Un esempio classico è il cimitero di Crespi d’Adda “con il mausoleo della famiglia che strutturato grosso modo in forma di piramide a gradoni, sembra espandere la propria base verso le sepolture a terra estremamente semplici e tutte uguali dei dipendenti, posto non a caso a concludere la strada principale che attraversa il villaggio.

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La fabbrica e il tempo

La fabbrica è vista come il baricentro del villaggio, ma tutto dipende e resta condizionato dalla sua presenza : le case,le strade, i luoghi per tempo libero e le strutture terziarie, gli aspetti paesistici ecc.

La presenza dell’edificio della fabbrica nei villaggi operai non è solo evidenzia il tentativo di razionalizzazione dello spazio, ma anche di razionalizzazione del tempo, "dove il tempo industriale prende il posto di quello solare: non è più il ritmo naturale del giorno e della notte a regolare il lavoro, ma il tempo segnato dall'orologio (grande, sotto la ciminiera), che scandisce il succedersi dei turni di fabbrica e quindi tutta la vita degli abitanti".

Nel villaggio operaio "lo stabilimento sorge a pochi passi dalle case dei lavoratori, il suono della sirena raggiunge ad intervalli regolari ogni abitante del paese: il tempo della fabbrica fa tutt'uno con quello della vita quotidiana".

L’ingresso della fabbrica a Crespi d’Adda.

L’abitazione padronale

L’abitazione del padrone rispecchia la scala gerarchica imposta nel villaggio. Essa, quando è presente, non è mai, nella maggioranza dei casi, in mezzo a quella dei dipendenti, ma in disparte, ed è caratterizzata dall’essere spesso chiaramente imponente e dominante.

L’esempio italiano più conosciuto è l’abitazione della famiglia Crespi a Crespi d’Adda, costruito in disparte, a lato della fabbrica, sul lato opposto al villaggio sul modello di un castello medievale quadrilatero con due torrioni di cui uno più alto a caratterizzarsi come un vero e proprio mastio.

Il “castello” dei Crespi a Crespi d’Adda.

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CRESPI D’ADDA

Il villaggio di Crespi d’Adda è stato descritto fin dal suo nascere come modello di realizzazione avanzata ed è sempre stato considerato campione per questo genere di insediamenti in Italia. Questo principalmente perché si è mantenuto intatto.

Il villaggio sorge vicino al fiume Adda, a est di Capriate San Gervasio, a sud di Bergamo.

Nel 1875 Cristoforo Benigno Crespi- originario del varesotto, acquista il terreno e inizia a costruire con l’intervento degli architetti G. Moretti e E. Pirovano, il cotonificio e le abitazioni per gli operai reclutati nelle vicine campagne.

Nel 1878 risultano già costruiti:

-i cosiddetti “palasoc”, tre edifici a “caserma” a tre piani, “capaci di contenere fino a 20 famiglie dove ogni piano aveva in comune i servizi e la cucina”, vicini alla fabbrica e paralleli alla strada, sono “a piante rettangolare forniti di un piano terra seminterrato più un alzato di tre piani a

- l’albergo, per il quale si adottò lo stesso impianto edilizio dei “palasoc”;

- la scuderia e la mensa.

Nel 1889 il figlio Silvio Benigno dopo un soggiorno in Inghilterra, diviene il direttore generale dello stabilimento e, prendendo ad esempio i villaggi operai inglesi, modifica del tipo di casa adottato per le abitazioni, 53 villette mono e bifamigliari per operai, volutamente isolate fra loro da giardini ed orti recintati, poste a intervalli regolari nello spazio prospiciente alla fabbrica, e da essa separate per mezzo di un viale alberato.

L’impostazione urbanistica è a vie ortogonali a reticolo, con posizione centrale delle case rispetto alle altre costruzioni e studio scenografico nella collocazione delle costruzioni più importanti: castello, fabbrica, chiesa e cimitero.

Il disegno generale del villaggio viene attribuito all’architetto Ernesto Pirovano, lo stesso che disegna il castello, costruito in ceppo di brembate (un pietra locale), cotto e cemento.

Del complesso fa subito parte la chiesa disegnata da Luigi Cavenaghi, eretta su modello bramantesco di Santa Maria in Piazza di Busto Arsizio (1891-1893). Tre anni dopo viene realizzato il cimitero da Gaetano Moretti: in cemento e modellato in stile Liberty, è strutturato a forma di piramide, e si identifica con il mausoleo della famiglia Crespi, circondato dalle tombe dei dipendenti. All’inizio del 1900 il villaggio conta complessivamente un migliaio di abitanti. Vicino alla chiesa sorge l’edificio delle scuole comprendente le abitazioni degli insegnanti, la sala da studio del corpo di musica dello stabilimento e una cucina per le refezioni, “le altre comodità di uso pubblico sono: un lavatoio coperto, l’albergo, una sufficiente illuminazione serale, l’assistenza medica continua (il dottore risiede in paese) la ambulanza e i magazzini di consumo”.

Dal 1925 vengono costruite, alle spalle e sul fianco delle villette operaie, le ville “eleganti” per gli impiegati. Progettate da Ernesto Pirovano, hanno varie piante e varietà di soluzioni negli alzati, con impiego di ceppo locale, del legno, e del cemento.

Le abitazioni di Crespi d’Adda possono essere raggruppate in tre diversi tipi:

1) le case operaie propriamente dette, a pianta quadrata e alzato di due piani

2) le case per la classe impiegatizia media, che variano da quelle con piante simmetriche, a quelle più articolate e asimmetriche a due piani, bifamigliari o unifamigliari

L’asimmetria è spesso esteriorizzata da elementi decorativi e da contrasti cromatici nell’impiego di materiali diversi, dall’aggetto di balconate dissimili e varie, da mansarde, comignoli e pinnacoli. Lo spazio verde intorno alla casa acquista sempre più il carattere di giardino in senso borghese con l’uso di piante decorative, rampicanti e macchie di arbusti;

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Villa per impiegati a Crespi d’Adda.

3) le case a pianta asimmetrica e molto articolata per la classe impiegatizia dirigenziale: unifamigliari con alzati di due, ma anche di tre piani”. All’interno la presenza di salotti, sale e studi ha una funzione di rappresentanza. Alla semplicità formale, funzionale delle casette operaie si contrappone la pretenziosità borghese di questi villini.

Il villaggio di Crespi d’Adda è un bene culturale iscritto dal 1995 nella lista dei beni dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.