comunicare con la fiaba, tra narrazione e drammatizzazione

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Comunicare con la fiaba Tra narrazione e drammatizzazione Probabilmente le fiabe non sono mai passate di moda, ma è certo che negli ultimi anni esse sono un argomento particolarmente al centro dell’attenzione. Dalla riflessione sui testi di chi ha dedicato studi attenti alla fiaba è emerso che essa ha molte virtù. La maggiore è quella di potersi trasformare e rinnovare nello spazio, nel tempo, nei contesti, in una continua metamorfosi che la rende immortale. Nella sua essenza la fiaba è un materiale basico, ricchissimo e malleabile. Quella tradizionale, antica, orale, esprimeva in maniera particolarmente evidente le proprie strutture. Era scarna, immediata e diretta. Tuttavia, ritengo che la fiaba viva altrettanto nelle sue forme moderne, nei suoi adattamenti televisivi e cinematografici, nelle fiabe nuove e nei lunghi romanzi. In alcune forme, certo, diventa più confusa e dunque meno efficace. Potrebbe addirittura diventare negativa. Dipende da chi vi sta dietro, chi la libera nel mondo. Dipende da cosa si vuol comunicare con essa, qual è la sovrastruttura che le si impone. Essa porterà sempre e comunque il paradigma narrativo (o gli archetipi) e questa forza potrà essere variamente sfruttata. 1

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Si tratta del sunto della tesi di Olivia Guardi (a Media e Giornalismo, Scienze Politiche)

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Page 1: Comunicare con la fiaba, tra narrazione e drammatizzazione

Comunicare con la fiabaTra narrazione e drammatizzazione

Probabilmente le fiabe non sono mai passate di moda, ma è certo che negli ultimi

anni esse sono un argomento particolarmente al centro dell’attenzione.

Dalla riflessione sui testi di chi ha dedicato studi attenti alla fiaba è emerso che essa

ha molte virtù. La maggiore è quella di potersi trasformare e rinnovare nello spazio,

nel tempo, nei contesti, in una continua metamorfosi che la rende immortale. Nella

sua essenza la fiaba è un materiale basico, ricchissimo e malleabile.

Quella tradizionale, antica, orale, esprimeva in maniera particolarmente evidente le

proprie strutture. Era scarna, immediata e diretta. Tuttavia, ritengo che la fiaba viva

altrettanto nelle sue forme moderne, nei suoi adattamenti televisivi e cinematografici,

nelle fiabe nuove e nei lunghi romanzi. In alcune forme, certo, diventa più confusa e

dunque meno efficace. Potrebbe addirittura diventare negativa. Dipende da chi vi sta

dietro, chi la libera nel mondo. Dipende da cosa si vuol comunicare con essa, qual è

la sovrastruttura che le si impone. Essa porterà sempre e comunque il paradigma

narrativo (o gli archetipi) e questa forza potrà essere variamente sfruttata.

Chiunque, oggigiorno, può arrivare a riconoscere alla fiaba che essa diverte, piace ai

bambini, ne stuzzica l’immaginazione. Molti, tuttavia, non colgono l’importanza di

questo, perché siamo abituati a pensare che la realtà sia l’unica cosa che conta e le

storie per bambini restino storie per bambini. Eppure Vygotskij dimostra, con grande

semplicità, come senza immaginazione non ci sarebbe cultura. Ogni evoluzione

rispetto allo stato delle cose sarebbe impossibile.

Meno intuitivamente, la fiaba indica la strada per la vita, aiuta nella costruzione del

sé, dà un senso agli eventi, ci offre punti di vista alternativi, rende accettabile

l’imprevisto e il cambiamento, può avvicinare le persone ed anche le culture, appaga

il bisogno di comunicazione, di riconoscimento, di manifestazione delle tensioni

represse.

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Oggi il suo valore è più legato a processi interiori che sociali e, in generale, la sua

funzione sociale si è decisamente ridotta a causa dei nuovi modi di fruizione. Sono

spariti quegli affascinanti momenti di comunione della comunità che si avevano in

occasione della performance di un narratore (o di una narratrice). Alcuni anziani

ancora le ricordano con contagiosa nostalgia. Adesso le comunità sono esplose verso

l’esterno per poi trovare nuove forme frammentate di aggregazione. La cultura orale è

quasi sparita. Persino i bambini sono cambiati. Hanno perso la capacità di ascoltare,

di entusiasmarsi per cose semplici. Le condizioni non sono mutate solo in male, però

sembra che si sia perso qualcosa di importante. Sembra che sia diventato difficile

dedicarsi alla conoscenza di sé e degli altri, liberare l’immaginazione, stringere dei

veri rapporti.

La comunicazione è una delle doti che maggiormente caratterizza l’essere umano,

che vi vive immerso pur non accorgendosene. Come ricorda Bruner e sottolinea Milly

Buonanno, “viviamo immersi in una densa trama di storie”1. La narrativa è una

“forma quintessenziale”2 della comunicazione. Le fiabe sono il fondamento di tutta la

narrativa. Privare l’uomo delle fiabe significherebbe sottrargli una pietra fondante del

suo essere uomo. Con tutta probabilità avremo sempre bisogno delle pratiche di

rielaborazione della realtà offerteci dalla fiaba. Oggi molti si sono accorti di ciò e si

ripromettono di utilizzare le antiche narrazioni per recuperare l’immaginario

collettivo e/o per crearne uno fatto di modelli più attuali.

Appurato l’indissolubile legame di fiaba e comunicazione, ci si può ricordare di come

quest’ultima non sia soltanto verbale. Le antiche performance di narrazione

comprendevano gesti, espressioni e intonazioni. La comunicazione non-verbale,

trascurata dalla vita moderna, è, insieme alla fiaba, un retaggio che andrebbe

recuperato.

I laboratori teatrali dell’associazione Vieniteloracconto si collocano qui, tra

narrazione e drammatizzazione, tra comunicazione verbale e non-verbale.

1 Buonanno M. (a cura di), Realtà multiple. Concetti e audience della fiction TV, Liguori Editore, Napoli 2004, p. 10.2 Ibidem, p. 8.

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La fiaba viene usata per comunicare valori positivi, creare esperienze divertenti ed al

contempo formative, creare rapporto e favorire la presa di coscienza individuale.

Ormai anche il teatro per e di bambini ha una certa storia. È una storia importante che

talvolta si allontana dalla fiaba, rifiutando copioni e trame precise (ma non è fiaba, in

un certo modo, anche quella inventata dai bambini nel momento del gioco?), talvolta

invece se ne avvale massicciamente, facendone uno dei propri punti di forza (come fa

l’associazione Vieniteloracconto).

Il successo del lavoro al Teatro Moderno è dimostrato dalla continuità negli anni

(venticinque), dal riconoscimento del Comune e dei Servizi Sociali e, soprattutto,

dall’entusiasmo dei bambini che vengono e tornano e tornano ancora e da grandi

continuano a conservarne un ricordo positivo.

Quando si parla di fiaba si pensa ad un pubblico infantile. Questo non è un male, dato

che è da bambini che si forma la maggior parte dell’immaginario e nutrire di fiabe un

bambino significa fornirgli degli strumenti che gli rimarranno come patrimonio

imperituro.

Il bisogno di fiabe continua, tuttavia, ad essere presente nell’adulto. Lo vediamo

nell’interesse dedicato ai convegni sul tema e nella diffusa passione per i prodotti di

fiction (racconti di invenzione/immaginazione in generale ed in particolare, per

l’accezione italiana del termine, televisivi)3. Perciò è importante per tutti tornare a

leggere, raccontare, recitare, giocare, ascoltare le fiabe.

Come scrive Pietro Clemente, “non è tanto questione di continuità, di eredità pure, di

revival o di tradizioni inventate: è che il presente ha bisogno di questa risorsa del

mondo precedente, che non costa, non inquina ed è strategica per la ricchezza dei

rapporti umani, sociali e generazionali”4.

3 Per un approfondimento sul tema cfr. Buonanno M. (a cura di), Realtà Multiple, op cit.4 Clemente P., L’undicesima glossa, in Ongini V. (a cura di ), Chi vuole fiabe, chi vuole?, Idest, Campi Bisenzio 2002, p. 163.

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