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COMMERCIO INTERNAZIONALE, PROTEZIONISMO E POLITICHE AGRARIE: UN’ANALISI GRAFICA Dispense didattiche a cura di Fabrizio De Filippis Roma, aprile 1996

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COMMERCIO INTERNAZIONALE,

PROTEZIONISMO E POLITICHE AGRARIE:

UN’ANALISI GRAFICA

Dispense didattiche a cura di Fabrizio De Filippis

Roma, aprile 1996

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INDICE

1 - Parte Prima: IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

1.1 - Richiami teorici

1.2 - Vantaggi del commercio in equilibrio generale

1.2.1 - Un solo paese

1.2.2 - Vantaggi generalizzati del commercio (2 paesi)

1.3 - I vantaggi del commercio in equilibrio parziale

1.3.1 - Il commercio in un mondo a due paesi

1.3.2 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo

1.3.3 - Elasticità della domanda di importazioni e dell’offerta di esportazioni

2 - Parte seconda: IL PROTEZIONISMO

2.1 - Le cause del protezionismo

2.2 - Il protezionismo “tariffario”

2.2.1 - Analisi degli effetti del dazio in equilibrio economico generale

2.2.2 - Analisi dei dazi in equilibrio parziale

2.2.3 - Sussidi alle importazioni

2.2.4 - Sussidi alle esportazioni

2.2.5 - Tassa sull’esportazione

2.3 - Il protezionismo non tariffario

2.3.1 - Quote di importazione

2.3.2 - Controlli (quote) sull’esportazione

2.3.3 - Sussidi alla produzione

2.3.4 - Sussidi al consumo

2.3.5 - Tasse sulla produzione e sul consumo

2.4 - Tassi di cambio e protezione

3 - Parte terza: LA MISURA DEL PROTEZIONISMO

3.1. La misura del protezionismo in agricoltura

3.2 - Il tasso nominale di protezione

3.3 - Il concetto di protezione effettiva

3.3.1. Mercato del prodotto e mercato dei fattori

3.3.2 Il tasso effettivo di protezione

3.4 - Un indicatore “aggregato”: Il Producer subsidy equivalent (Pse)

3.4.1 - Definizione

3.4.2 - La componente "protezione nominale" del Pse

3.4.3 - La componente "sussidio" del Pse

3.4.4 - Pse e misure di controllo della produzione

3.4.5 - Pse e dintorni

3

4 - Parte quarta: COMMERCIO INTERNAZIONALE, PROTEZIONISMO, AMBIENTE

4.1 - Ambiente, regolamentazione ambientale e vantaggi comparati

4.2 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali

4.3 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali e “tasse ottime”

5 - Parte quinta: LE POLITICHE AGRARIE DI SOSTEGNO AI MERCATI ED IL LORO

CONTENUTO PROTEZIONISTICO

5.1 - Introduzione: il sostegno dei prezzi nella politica agraria

5.2 - Il sostegno dei prezzi da parte di un paese “piccolo”

5.2.1 - Il caso di un paese importatore

- Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione

- Integrazione di prezzo

- Una valutazione in chiave “gruppi di interesse”

- Quota di importazione e dazio

- Il sostegno del prezzo in un paese esportatore “piccolo"

5.3 - Politiche di prezzo nel caso di un paese “grande”

5.3.1 - Il caso di un paese importatore

- Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione

- Integrazione di prezzo

- Dazio

5.3.2 - Il caso di un paese esportatore.

4

Premessa

Con queste dispense si intende fornire uno strumento didattico di supporto allo studio di alcuni

aspetti della teoria standard del commercio internazionale e del protezionismo, con particolare

riferimento alla analisi degli effetti, oltre che delle misure di natura commerciale, anche degli

interventi di politica agraria di sostegno interno in situazioni di mercato aperto.

Più specificamente, l’obiettivo di questo lavoro è quello di aiutare il lettore ad acquisire piena

familiarità con gli strumenti di analisi grafica degli effetti del commercio internazionale e delle

distorsioni ad esso apportate dagli interventi di natura protezionistica, nell’ambito delle ipotesi

consolidate della teoria tradizionale. La cosa ci è sembrata opportuna per almeno due motivi. Il

primo è che, nonostante la inadeguatezza dell’analisi tradizionale a spiegare ciò che accade nel

mondo reale e lo scarso realismo delle sue ipotesi di base, essa è ancora il punto di partenza

irrinunciabile nello studio del commercio internazionale, e comunque rappresenta un “linguaggio”

e un modo di ragionare che, vista la sua grande diffusione, è impossibile ignorare nell’affrontare

tali questioni.

Un buon esempio è fornito, al riguardo, dal copioso dibattito fiorito in margine al negoziato

agricolo dell’Uruguay round del GATT, protrattosi dal 1986 alla fine del 1993: per tutti gli anni

del negoziato, infatti, al di là di quello che poi è stato il risultato finale, studiosi e policy makers si

sono confrontati su temi quali misure aggregate di sostegno e protezione, tariffe e “tarifficazione”,

barriere non tariffarie, sussidi all’esportazione, etc., utilizzando pienamente l’approccio ed il

modo di ragionare della teoria standard. Anche la stragrande maggioranza delle valutazioni circa

le varie ipotesi di liberalizzazione che di volta in volta si profilavano durante il negoziato, sono

state sempre impostate avendo in mente i modelli domanda-offerta che qui si presentano. Non

conoscere questo tipo di modelli, dunque, significherebbe rinunciare a capire la quasi totalità della

letteratura esistente in materia di commercio internazionale e politiche agrarie.

Il secondo motivo è che, nei tantissimi manuali esistenti in materia di economia internazionale

e di teoria pura del commercio lo spazio dedicato ai vari argomenti che qui si presentano -

soprattutto a quelli applicativi ed alla relativa analisi grafica - è spesso alquanto limitato e

comunque molto diverso a seconda dei casi, per cui chi ricerca una trattazione sufficientemente

completa e relativamente semplice e compatta, rischia di non trovarla in un unico libro.

Queste dispense nascono come un assemblaggio ragionato di tanti appunti presi qua e là, in

passato usati in tutto o in parte in corsi o pezzi di corsi di differente livello. Come tali, soprattutto

sul piano della discussione e dell’approfondimento teorico, esse non intendono comunque

sostituire lo studio di testi più completi e approfonditi, dei quali devono considerarsi solo un

materiale di supporto.

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PARTE PRIMA

Il commercio internazionale

1. 1 - Richiami teorici

La teoria del commercio internazionale, intendendo con essa una teoria tendente a spiegare sia

le cause che gli effetti del commercio tra paesi, incomincia con Adamo Smith e trova la sua prima

formulazione compiuta in Torrens e Ricardo. Prima ancora, nelle dottrine economiche dei

mercantilisti il commercio internazionale aveva occupato un posto centrale, senza tuttavia che si

fosse sviluppata alcuna teoria circa le sue cause ed i suoi effetti: in un epoca dominata dal

protezionismo, infatti, il commercio internazionale veniva analizzato solo come strumento i

arricchimento di un paese a spese del resto del mondo o come veicolo di sfruttamento coloniale.

Il primo ad analizzare il commercio internazionale in un’ottica libero-scambista di vantaggi

reciproci fu, appunto, Smith, nel quadro della sua più generale teoria della divisione del lavoro:

analogamente a quanto avviene tra i produttori all’interno di un paese, per i quali la possibilità di

scambiare i frutti della propria attività di produzione comporta l’incentivo a sfruttare i vantaggi

della divisione del lavoro e della specializzazione che ad essa consegue, i diversi paesi tenderanno

a specializzarsi nei beni il cui costo di produzione interno è minore che altrove, per poi scambiarli

sul mercato internazionale. Questa di Smith, che è solo un primo abbozzo di teoria, è dunque

basata sul concetto di costo o vantaggio assoluto: nell’ambito di un modello che, per semplicità,

prevede solo due paesi e due beni, se nel paese A il costo del bene x è pari a 10 e quello del bene y

è pari a 50, mentre nel paese B tali costi sono, rispettivamente, 30 e 40, A produrrà ed esporterà il

bene x e B produrrà ed esporterà il bene y. In altri termini, la teoria smithiana consente di spiegare

il commercio tra due paesi A e B solo se le condizioni di offerta sono tali che il costo di

produzione di un bene sia minore nel paese A e quello dell’altro sia minore nel paese B in termini

assoluti. Nel caso, non certo infrequente, in cui uno dei due paesi sia più efficiente dell’altro nella

produzione di entrambi i beni, la teoria smithiana non consente di spiegare la presenza di

commercio.

Tale spiegazione è possibile mediante il concetto di costo (o vantaggio) comparato, elaborato

da Ricardo e Torrens, di cui il concetto smithiano di costo o vantaggio assoluto non è che un caso

particolare. Rimanendo in un modello a due beni, due paesi ed un solo fattore produttivo (il

lavoro), la teoria ricardiana dice che la condizione necessaria per l’esistenza di commercio è un

differente livello dei costi comparati nei due paesi: se ciò accade, infatti, ognuno di essi avrà

convenienza a specializzarsi nella produzione e nella esportazione del bene per il quale ha il costo

comparato minore (o, che è lo stesso, il vantaggio comparato maggiore), cioè rispetto al quale sarà

relativamente più efficiente (o meno inefficiente) nei confronti dell’altro paese. La condizione

sufficiente è che la ragione di scambio internazionale, cioè il prezzo relativo di un bene rispetto

all’altro sul mercato internazionale, sia compresa tra i valori delle ragioni di scambio interne ai

6

due paesi in economia chiusa. In queste condizioni il commercio avvantaggia entrambi i paesi,

traducendosi per entrambi in un aumento delle possibilità di consumo di tutti e due i beni.

A titolo di esempio, i costi assoluti nei due paesi A e B, in termini di giornate di lavoro

necessarie per produrre ciascuno dei due beni (x e y), siano i seguenti:

Bene x bene y

Paese A 3 12

Paese B 2 4

Come è facile notare, il paese B risulta più efficiente in entrambe le produzioni: infatti i suoi

costi assoluti, in termini di giornate di lavoro necessarie per unità di prodotto sono minori di

quelli del paese A per entrambi i beni. Ma vediamo come si calcolano i costi comparati.

Ragionando “per colonna”, si vede che la produttività del paese B è pari ai 3/2 di quella del paese

A nella produzione di x (3/2 è, infatti il rapporto tra le ore di lavoro necessarie per produrre il

bene x nei due paesi), mentre essa é ben il triplo nella produzione del bene y (4 giornate di lavoro

contro 12): ciò significa che il paese B, pur avendo costi assoluti minori per entrambi i beni, ha un

vantaggio comparato relativamente maggiore nella produzione di y; e che parallelamente il paese

A, pur avendo costi assoluti maggiori per entrambi i bei, ha un costo comparato (cioè uno

svantaggio relativamente minore) nella produzione del bene x. Converrà, allora, che il paese B si

specializzi nella produzione e nella esportazione del bene y ed il paese A in quella di x.

Questo risultato, sempre in riferimento all’esempio da cui siamo partiti, si può ottenere anche

ragionando “per riga”: confrontando, cioè, i costi relativi dei due beni all’interno di ciascun paese,

vale a dire quelle che sarebbero le ragioni di scambio interne tra i due beni nei due paesi in

assenza di commercio:

paese A 3x = 12y; y = 4x; x = (1/4)y

paese B 2x = 4y; y = 2x; x = (1/2)y

Nel paese A una unità del bene y, in economia chiusa, si scambierebbe con 4 unità del bene x,

dal momento che il costo di produzione di x è quattro volte inferiore a quello di y. La ragione di

scambio interna è dunque pari a 4. Analogamente, nel paese B, una unità di y si scambierebbe con

2 unità di x: la ragione di scambio interna è pari a 2. Se la ragione di scambio internazionale è

compresa tra le due ragioni di scambio interne (se, per esempio, è pari a 3), entrambi i paesi

avranno convenienza alla specializzazione ed allo scambio, con un risultato del tutto analogo a

quello già ottenuto in precedenza: il paese A si specializzerà nel bene x, che esporterà in cambio

del bene y, nella cui produzione si specializzerà il paese B, che lo esporterà in cambio del bene x.

7

Per capire tale affermazione, conviene ragionare in termini di “costo-opportunità”, cioè in

termini della quantità di un bene a cui si deve rinunciare per ottenere una unità dell’altro. In

economia chiusa, nel paese A per produrre una unità di si y devono impiegare 12 giornate di

lavoro e, dunque, si deve rinunciare alle 4 unità di x che con esse si potrebbero produrre.

Importando una unità di y alla ragione di scambio internazionale, il suo “costo” espresso in

termini di quantità di x cui si deve rinunciare sarà pari solo a tre unità di tale bene, ovvero solo a 9

giornate di lavoro, con un risparmio di tre giornate di lavoro. Analogamente, nel paese B, il costo

di x è pari a due giornate di lavoro; ovvero, in assenza di commercio, esso è pari, in termini di

costo-opportunità, a mezza unità di y; se, invece, il paese B importa x alla ragione di scambio

internazionale, il suo costo unitario sarà minore, in quanto pari solo ad 1/3 di y.

Riassumendo, per ogni unità del bene y (importato dal paese A ed esportato da B) che viene

scambiata sul mercato internazionale al prezzo relativo di tre unità del bene x (importato dal paese

B ed esportato da A), i guadagni dei due paesi in termini di giornate di lavoro risparmiate sono i

seguenti:

bene x bene y risparmio di lavoro

paese A

esporta 3 unità

(pari a 9 gg di lavoro)

importa 1 unità

(pari a 12 gg di lavoro)

3 gg di lavoro

(12 - 9)

paese B

importa 3 unità

(pari a 6 gg di lavoro)

esporta 1 unità

(pari a 4 gg di lavoro)

2 gg di lavoro

(4 - 2)

Si può notare che i guadagni complessivi derivanti dal commercio saranno tanto maggiori

quanto più differiscono i costi comparati dei paesi che vi partecipano, ovvero quanto più

differiscono le ragioni di scambio interne in economia chiusa. La distribuzione del guadagno

complessivo tra i due paesi dipenderà, invece, dal valore in cui si colloca la ragione di scambio

internazionale: in particolare, la fetta del guadagno complessivo catturata da un paese sarà tanto

maggiore quanto più la ragione di scambio internazionale differisce dalla sua ragione di scambio

interna di economia chiusa. Se, nel nostro esempio, la ragione di scambio internazionale fosse di 4

unità di x per una unità di y, cioè uguale a quella interna del paese A, quest’ultimo non avrebbe

nulla da guadagnare dal commercio, mentre il paese B vedrebbe massimizzato il proprio

guadagno, fino ad un ammontare pari a 4 giornate di lavoro per ogni unità esportata del bene y

contro l’importazione di quattro unità di x.

Come è ovvio, quello appena descritto è un modello molto semplificato, che si basa su una

serie di ipotesi estremamente restrittive (esistenza di un solo fattore produttivo; assenza della

moneta e, dunque, di prezzi, salari, tassi di cambio; proporzionalità tra contenuto di lavoro e

prezzi di offerta, assenza di economie di scala). Inoltre, manca completamente la presa in

considerazioni di variabili relative alla domanda, per cui la ragione di scambio internazionale

risulta indeterminata nel modello appena descritto. Ancora, la teoria spiega, con la esistenza di

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costi comparati diversi tra i diversi paesi, perché esiste il commercio e perché esso genera

vantaggi, ma non spiega quale sia la causa della diversità nei costi comparati.

Gli sviluppi successivi si sono preoccupati, appunto, di rendere più generale la teoria

ricardiana, inglobando la nozione di costi (o vantaggi) comparati nell’ambito del modello

neoclassico di concorrenza perfetta, per cercare di spiegare, insieme ai vantaggi, anche le cause

del commercio.

L’approdo di tali sviluppi, che rappresenta uno dei capisaldi dell’intero edificio teorico

neoclassico, è costituito dal cosiddetto modello di Heckscher-Ohlin-Samuelson, che individua le

cause della diversità dei costi comparati tra i diversi paesi e, dunque, le cause del (e gli incentivi

al) commercio internazionale nella loro diversa dotazione fattoriale. Le ipotesi del modello sono

numerose ed anche molto forti. Più in particolare, in un modello semplificato 2x2x2 (due beni,

due paesi, due fattori) esse si possono dividere in tre gruppi:

A)Ipotesi generali:

- assenza di costi di trasporto;

- concorrenza perfetta nel mercato dei prodotti e dei fattori;

- completa immobilità dei fattori e completa mobilità dei prodotti a livello internazionale;

- piena occupazione dei fattori;

- dotazione data, misurabilità fisica ed uguale qualità dei fattori.

B)Ipotesi sulle condizioni della produzione:

- uguali funzioni di produzione nei due paesi per ciascuno dei due prodotti;

- non reversibilità fattoriale: uno dei due beni è sempre più intensivo di un dato fattore rispetto

all’altro, per qualsiasi livello dei prezzi relativi dei fattori1

- rendimenti costanti di scala.

C)Ipotesi sulle variabili di domanda

- esistenza di gusti uguali nei diversi paesi2;

- elasticità della domanda rispetto al reddito pari ad 1 per entrambi i paesi3.

Sotto queste ipotesi, si può dimostrare che:

1)ciascun paese tenderà a specializzarsi nella produzione del (ed esporterà il) bene che risulta

maggiormente intensivo del fattore detenuto dal paese stesso in quantità relativamente più

abbondante;

2)il prezzo dei fattori nei due paesi, in conseguenza del commercio, tenderà a pareggiarsi;

3)al mutare della propria dotazione di fattori, in un paese aumenterà la produzione (e, dunque

aumenteranno le esportazioni o diminuiranno le importazioni) del bene che risulta intensivo

del fattore la cui quantità è aumentata in termini relativi e diminuirà la produzione dell’altro

bene.

1Con funzioni di produzione omogenee ciò accade se gli isoquanti unitari relativi ai due beni si incrociano una sola

volta 2Ciò implica che, a parità di reddito e di prezzo relativo tra i due beni, il valore dei consumi di ogni bene sarà lo

stesso nei due paesi. 3Ciò implica che, a parità di prezzo relativo tra i due beni, il rapporto tra i loro consumi é lo stesso per diversi livelli

di reddito procapite

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Non è questa la sede per illustrare in dettaglio i passaggi e le implicazioni della teoria

neoclassica del commercio internazionale, né tantomeno per discutere gli sviluppi delle cosiddette

“nuove teorie”, che ad essa sono seguite, come suoi affinamenti o come conseguenza della

rimozione di una (o più) su cui si regge il modello base4. Più ancora delle cause del commercio,

ciò che qui ci interessa in modo particolare è, infatti, l’analisi dei suoi potenziali vantaggi, sotto la

tradizionale ipotesi di mercati concorrenziali. Ciò, infatti, costituisce il riferimento essenziale per

ciò che rappresenta l’obiettivo principale - certamente meno ambizioso - di questo lavoro: vale a

dire il tentativo di aiutare il lettore a familiarizzarsi pienamente con l’analisi - in particolare, con

l’analisi grafica - degli effetti del protezionismo; cioè di tutte le misure di politica economica

nazionali - particolarmente numerose e pervasive per quanto riguarda l’agricoltura - che hanno

come conseguenza diretta o indiretta quella di ostacolare il libero commercio e, dunque, di alterare

l’ammontare e la distribuzione del benessere ad esso associato.

Nel seguito completeremo questa prima parte dedicata al richiamo di alcuni elementi di teoria

del commercio internazionale, proponendo vari tipi di rappresentazione grafica dei suoi vantaggi.

Inizieremo, nel paragrafo immediatamente successivo, con la rappresentazione degli effetti del

commercio in un contesto di equilibrio economico generale; per poi passare all’approccio di

equilibrio parziale, più semplice e, soprattutto, più maneggevole per i ragionamenti di statica

comparata che proporremo. Quest’ultimo approccio, che è il più comunemente adottato nello

studio degli effetti del protezionismo agricolo e delle politiche agrarie, è appunto quello al quale

faremo ampio ricorso nella trattazione delle parti successive.

4I testi che contengono una trattazione completa di quella che si definisce la teoria pura del commercio

internazionale e delle sue estensioni sono numerosissimi. Si vedano, tra gli altri, quelli di Salvatore (1992), Gandolfo (1986), Sodersten (1980), Onida (1984), Shone (1972); per le applicazioni al commercio agricolo, Houck (1986).

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1.2 - Vantaggi del commercio in equilibrio generale

1.2.1 - Un solo paese

Con riferimento alla figura 1, sia TT la curva delle possibilità produttive per un dato paese dei

due beni X e Y: ogni punto che giace su di essa, come è noto, esprime la quantità massima

producibile di uno dei due beni in corrispondenza di ciascun livello di produzione dell’altro, data

la dotazione di fattori produttivi disponibili5. Inoltre, sia I1, ..., In la mappa delle curve di

indifferenza sociale, che esprime le condizioni di domanda esistenti per X e Y nel paese in

questione6.

In una situazione di economia chiusa il paese si dovrebbe collocare nel punto C, cioè in

corrispondenza del punto in cui vi è tangenza tra la curva delle possibilità produttive TT e la

curva di indifferenza sociale il più possibile lontana dall’origine: in tale punto il saggio marginale

di trasformazione (pendenza TT) eguaglia il saggio marginale di sostituzione (pendenza I); a ciò si

adeguerà anche il rapporto tra i prezzi di X e di Y, cioè la ragione di scambio interna (retta R1)

che, dunque, sarà tangente sia alla TT che alla I nel punto C.

In una situazione di economia aperta, il rapporto tra i prezzi di X e di Y che vi è sul mercato

mondiale determina la ragione di scambio internazionale: se questa ha pendenza diversa dalla

ragione di scambio interna, il paese in questione può aumentare il suo benessere, giacche con lo

scambio di prodotti può consumare una combinazione di X e di Y esterna alla sua frontiera delle

possibilità produttive, irraggiungibile in una situazione di economia chiusa.

Ipotizziamo che la ragione di scambio internazionale sia rappresentata dalla pendenza della R2.

Questa è maggiore della R1, e ciò implica che sul mercato internazionale il bene X è

relativamente più caro del bene Y rispetto a quanto avviene sul mercato interno in regime di

autarchia. Ciò renderà conveniente, per il paese che stiamo analizzando, vendere il bene X sul

mercato internazionale ed importare il bene Y, ottenendo, di quest’ultimo, una quantità maggiore

di quella ottenibile in base alla ragione di scambio interna.

Nel breve periodo, essendo il mix produttivo già collocato sulla quantità OA del bene X e sulla

quantità OB del bene Y, le preferenze dei consumatori (espresse dalle I) renderanno conveniente

importare ED di Y in cambio di DC di X. In altri termini, fermo restando la quantità prodotta

internamente dei due beni, il paese, attraverso l’import-export, potrà modificarne le quantità

consumate: in particolare, grazie al commercio il paese potrà consumare OD’ (< OA) di X e OL

(>OB) di Y, collocandosi - è questo il punto importante - sulla curva di indifferenza I2, superiore

alla I1 e, dunque, corrispondente ad un maggior livello di benessere rispetto alla situazione di

autarchia.

5La TT rappresenta, dunque, le condizioni di ottimo dal lato della produzione: qualunque punto esterno alla frontiera

é irraggiungibile con la dotazione di fattori produttivi disponibile e qualunque punto ad essa interno corrisponde ad una allocazione non ottimale dei fattori stessi. La forma concava della TT dipende dalla ipotesi di produttività marginale decrescente dei fattori.

6Il dibattito teorico sulle possibilità di ottenere una funzione del benessere, da cui erivare una mappa di indifferenza sociale, é amplissimo, e non é certo questa la sede per addentrarvisi, visto che ne faremo uso solo a puro scopo didattico.

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Nel lungo periodo, la produzione si aggiusterà al nuovo rapporto tra i prezzi determinato dalla

ragione di scambio internazionale, attestandosi in F. Il paese produrrà OA’ (>OA) di X e OB’

(<OB) di Y; si “specializzerà”, dunque, nella produzione del bene esportato X e ciò, tramite lo

scambio, gli consentirà di consumare OG’ (>OD’) di X e OM (>OL) di Y.

G

I3

I2

I1

E

CD

FH

R1

R2

R3

Bene Y

M

L

T

B

B '

O D ' G ' A A ' T Bene X

Fig.1 - Vantaggi del commercio (1 paese)

Si può notare che, in termini di benessere, il punto G (che giace sulla curva di indifferenza I3) è

superiore al punto E, che a sua volta era superiore a C. EDC e GHF sono i cosiddetti “triangoli

dello scambio”, la cui area è una misura dei guadagni di benessere ottenibili con il commercio:

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tanto più grande è il triangolo dello scambio, tanto maggiore è la specializzazione ed il volume di

commercio e, con essi, il guadagno di benessere conseguibili da un paese.

1.2.2 - Vantaggi generalizzati del commercio (2 paesi)

Con un ragionamento analogo a quello condotto nel grafico precedente ed utilizzando gli stessi

ingredienti (curva delle possibilità produttive e curve di indifferenza), è possibile dimostrare che il

commercio genera guadagni per tutti i paesi che vi partecipano. In altri termini, come si è già

ricordato, il commercio internazionale è un “gioco a somma positiva”, che conduce ad un

miglioramento di benessere in senso paretiano: nell’ipotesi di mercati concorrenziali, infatti, i

vantaggi del singolo paese non sono carpiti a scapito di altri, ma sono una fetta del maggior

benessere per tutti che viene creato dal commercio internazionale e dalla più efficiente

allocazione tra paesi dei fattori (nella sfera della produzione) e dei prodotti (nella sfera del

consumo) che ne consegue. Per dimostrare tale affermazione, consideriamo un modello a 2

prodotti e due paesi, rispetto al quale sono possibili tre casi:

1)Nei due paesi vi sono uguali condizioni di offerta dei due beni (la curva delle possibilità

produttive è la stessa) ma diverse condizioni di domanda (le curve di indifferenza sono

diverse) (figura 2).

2)Nei due paesi vi sono diverse condizioni di offerta ma uguali condizioni di domanda: questo

caso (figura 3) è particolarmente rilevante perché corrisponde alle ipotesi del modello di

Heckscher-Ohlin-Samuelson. In esso, pur essendo ipotizzate identiche le funzioni di

produzione di ogni prodotto nei due paesi, le curve delle possibilità produttive sono diverse in

ragione della diversa dotazione fattoriale dei paesi, che genera un diverso vantaggio comparato

nella produzione dei due beni.

3)Nei due paesi vi sono diverse condizioni sia di domanda che di offerta dei due beni (figura 4).

Nella figura 2 è rappresentato il primo caso: il paese 1 ed il paese 2 hanno identiche condizioni

di offerta, rappresentata dalla stessa curva delle possibilità produttive (TT), ma differenti

condizioni di domanda, rappresentate da mappe di indifferenza (I1 e I2) diverse. In una situazione

di autarchia, dunque, in assenza di commercio il paese 1 si collocherebbe in B (producendo e

consumando CX1, di X e CY1 di Y), con una ragione di scambio interna che sarebbe data dalla

R1; il paese 2 si collocherebbe in A (producendo e consumando CX2 di X e CY2 di Y), con una

ragione di scambio interna che sarebbe data dalla R2. In altri termini, in assenza di commercio, il

prezzo del bene X sarebbe relativamente maggiore nel paese 2 che nel paese 1 e viceversa per il

prezzo di Y.

Ipotizziamo ora una apertura delle frontiere, con una ragione di scambio internazionale (RI)

intermedia tra R1 ed R2. Intuitivamente, la modifica dei prezzi relativi dovrebbe rendere

conveniente, per ogni paese, importare il bene il cui prezzo internazionale è minore di quello

interno ed esportare l’altro, il cui prezzo internazionale è invece maggiore. Conseguentemente il

paese 1 (dove Y era relativamente più caro in base alla R1) dovrebbe avere convenienza ad

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importare Y ed esportare X. In effetti, alle nuove condizioni di equilibrio (consideriamo qui

direttamente l’equilibrio di lungo periodo), ciò è proprio quello che succede.

Bene Y

CY '1

CY1

QY

CY2

CY '2

T

O CX1CX '1 QX CX2 CX '2T BeneX

I "1

B '

I '1

B

R1

EQ

AA '

F

RI

R2

I '2

I "2

Fig.2 - Caso 1: Specializzazione internazionale con identità delle condizioni di offerta e diversità

nelle condizioni di domanda dei due paesi

Data la nuova ragione di scambio RI, entrambi i paesi si collocheranno nel punto Q (tangenza

tra RI e TT), producendo entrambi Qy di Y e Qx di X. Quindi, scambiando lungo la RI, il paese 1

si collocherà in B’ ed il paese 2 in A’; entrambi, cioè, raggiungeranno curve di indifferenza più

elevate, corrispondenti ad un maggior benessere, cui corrispondono panieri di consumo esterni

alla curva delle possibilità produttive e, dunque, irraggiungibili in economia chiusa. In particolare,

il paese 1 esporterà EQ di X (produzione OQx - consumo CX’1) ed importerà EB’ di Y (consumo

CY’1 - produzione OQy); mentre il paese 2 esporterà QF di Y (produzione QY - consumo CY’2)

ed importerà FA’ di X (consumo CX’2 - produzione Qx)

Venendo al secondo caso, esso è rappresentato nella figura 3, dove TT1 è la curva delle

possibilità produttive del paese 1, TT2 quella del paese e I1, ..., In è la mappa di indifferenza,

uguale nei due paesi. In economia chiusa il paese 1 sarà in equilibrio nel punto B (in cui produce e

consuma CY1 di Y e CX1 di X) ed il paese 2 in A (in cui produce e consuma CY2 di Y e CX2 di

X). Le ragioni di scambio interne saranno rispettivamente R1 ed R2: infatti, a parità di condizioni

di domanda, nel paese 1, la cui vocazione produttiva è più orientata verso il bene Y che verso X,

Y sarà relativamente più a buon mercato di X, e viceversa nel paese 2.

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All’apertura delle frontiere, ipotizzando una ragione di scambio internazionale intermedia tra

R1 e R2 e pari alla pendenza della RI, i nuovi equilibri sul fronte della produzione si

collocheranno, rispettivamente, in B’ per il paese 1 e in A’ per il paese 2; a partire da qui,

mediante lo scambio, entrambi i paesi potranno pervenire, sul fronte del consumo, al punto C,

appartenente ad una curva di indifferenza superiore a quella raggiungibile in economia chiusa.

R1

RI

Bene Y

QY1

CY1

CY

TT2

CY2

QY2

O QX1 CX1 CX CX2

TT1

QX2

RIR2

I

In

I 'A

A'E'

C

D

B

B'

Bene X

Fig.3 - Caso 2: specializzazione internazionale con identità delle condizioni di domanda e diversità nelle

condizioni di offerta dei due paesi (caso Eckscher-Ohlin)

Rispetto alla ragione di scambio interna, la ragione di scambio internazionale valorizza, per

entrambi i paesi, il bene relativamente più a buon mercato, quello verso il quale è maggiormente

orientata la vocazione produttiva interna; e fornisce, quindi, un incentivo alla ulteriore

specializzazione verso quel bene (Y per il paese 1 ed X per il paese). In sintesi, il paese 1

esporterà B’D di Y (produzione QY1 - consumo CY) ed importerà DC di X (consumo CX -

produzione QX1); mentre il paese 2 esporterà A’E di X (produzione QX2 - consumo CX) ed

importerà EC di Y (consumo CY - produzione QY2)

Il terzo caso è rappresentato nella figura 4, dove il ragionamento è del tutto analogo a quello

dei grafici precedenti; l’unica differenza è che qui abbiamo due diverse curve delle possibilità

produttive (TT1 e TT2) e due diverse mappe di indifferenza (I1 e I2). In economia chiusa

l’equilibrio è in B per il paese 1 (che produce e consuma Y1 del bene Y ed X1 del bene X) ed in A

per il paese 2 (che produce e consuma Y2 del bene Y ed X2 del bene X). Le ragioni di scambio

15

interne sono, rispettivamente, R1 ed R2, con il bene Y relativamente più caro nel paese 2 ed il

bene X relativamente più caro nel paese 1.

Se, al solito, ipotizziamo una ragione di scambio internazionale pari alla pendenza della retta

RI, cioè intermedia tra R1 ed R2, il commercio consentirà ad entrambi i paesi di migliorare il

proprio livello di benessere, raggiungendo un punto di consumo esterno alla frontiera delle

possibilità produttive e giacente su una curva di indifferenza più elevata.

Bene Y

QY1

Y1CY1

CY2

Y2

QY2

O QX1 X1 CX1 CX2 X2 QX2 Bene X

TT1

TT2

D

A

A'

A"

I '2

I2

R2

RI

RIR1

B

B'

B"

I '1

I1

C

Fig.4 - Caso 3: specializzazione internazionale con diverse condizioni sia di offerta che di domanda

L’equilibrio finale di economia aperta sarà il seguente:

a)sul fronte della produzione, il paese 1 si collocherà nel punto B’ (tangenza di RI con TT1),

mentre il paese 2 si collocherà in A’ per (tangenza tra RI e TT2);

b) sul fronte del consumo, il paese 1 si collocherà in B” (tangenza RI e I’1) ed il paese 2 in A”

(tangenza tra RI e I’2).

In sintesi, il paese 1 esporterà BC’ di Y (produzione QY1 - consumo CY1) ed importerà CB” di

X (consumo CX1 - Produzione QX1); mentre il paese 2 esporterà DA’ di X (produzione QX2 -

consumo CX2) ed importerà DA” di Y (consumo CY2- produzione QY2).

16

1.3 - I vantaggi del commercio in equilibrio parziale

L’analisi fin qui condotta ha illustrato i vantaggi del commercio internazionale in un contesto

di equilibrio economico generale. Nelle pagine che seguono, invece, si utilizzerà la statica

comparata secondo un approccio di equilibrio parziale: in altre parole, si prenderà di volta in volta

in considerazione il mercato di un solo prodotto e si confronteranno le situazioni di equilibrio di

partenza e di “arrivo”, ipotizzando irrilevanti gli effetti sul resto del sistema economico delle

modifiche che si producono nel singolo mercato che si analizza. Ciò autorizza a condurre l’analisi

rispettando l’ipotesi del ceteris paribus, ignorando qualunque “effetto di ritorno”.

Più in particolare si ragionerà in termini di curve di domanda e di offerta o di eccesso di

domanda ed eccesso di offerta e gli effetti di benessere saranno ricavati in riferimento ai concetti

di surplus del consumatore (l’area al di sopra della linea del prezzo, compresa tra la curva di

domanda e l’asse delle ordinate) e di surplus del produttore (l’area al di sotto della linea del

prezzo, compresa tra la curva di offerta e l’asse delle ordinate). Le variazioni di tali surplus,

insieme agli effetti di bilancio di eventuali politiche, saranno sommate algebricamente per

ottenere gli effetti complessivi di benessere dei nostri esercizi di statica comparata. La possibilità

di operare una tale “contabilità” riposa su ipotesi molto forti; tuttavia, come si è già avuto modo

di sottolineare, è proprio questo l’approccio maggiormente utilizzato nelle analisi del commercio

internazionale e nello studio degli effetti delle misure protezionistiche.

1.3.1- Il commercio in un mondo a due paesi

Con riferimento alla figura 5, partiamo da una situazione di economia chiusa: l’equilibrio tra

domanda e offerta si ha al prezzo P1 nel paese 1 ed al prezzo P2 nel paese 2. Con l’apertura delle

frontiere, si determinerà un prezzo internazionale (Pw) minore di P1 e maggiore di P2. Nell’ipotesi

semplificatrice di un mondo a 2 soli paesi, Pw si attesterà ad un livello tale che l’eccesso di

domanda, cioè l’importazione del paese 1 (BC), eguaglia l’eccesso di offerta, cioè l’esportazione

del paese 2 (FG).

In entrambi i paesi il commercio determina un guadagno di benessere. Nel paese 1, infatti,

dove il prezzo e la produzione interna diminuiscono ed il consumo aumenta, i consumatori

guadagnano (P1ABPw) ed i produttori perdono (AP1PwC); ma il guadagno dei primi eccede la

perdita dei secondi per un ammontare pari a ABC. Nel paese 2, viceversa, il prezzo e la

produzione interna aumentano, mentre diminuisce il consumo: di conseguenza, i produttori

guadagnano (PwGHP2) e i consumatori perdono (PwFHP2), con un incremento netto di

benessere pari a FGH. Le cause dell’incremento netto di benessere che si ha in conseguenza del

commercio sono le seguenti tre:

1)parte della vecchia produzione nazionale del paese importatore è stata sostituita con

produzione a minor costo del paese esportatore, più efficiente.

2)Parte del vecchio consumo del paese esportatore è stato sostituito da consumo del paese

importatore, cioè da parte di consumatori che partivano da una situazione di minore

17

soddisfazione relativa, dovendo originariamente pagare un prezzo più alto per una minore

quantità consumata.

3)Rispetto alla situazione di autarchia, nell’insieme dei due paesi si produce (e si consuma)

di più: OL + OE (produzione totale in regime di libero scambio) = OI + OD (consumo

totale in regime di libero scambio) è, infatti, maggiore di AP1 + P2H (produzione e

consumo in regime di autarchia).

PAESE 1

(IMPORTATORE)

PAESE 2

(ESPORTATORE)

D1S1

A

B C

P1

Pw FG

HP2

S2D2

IMPORT EXPORTD E I L

O

Fig.5 - Guadagni del commercio: un prodotto e due paesi

La stessa situazione la si può rappresentare, con maggior dettaglio, mediante le curve di

eccesso di domanda (domanda di importazioni) e di eccesso di offerta (offerta di esportazioni)

che i due paesi riversano sul mercato mondiale. Nella parte centrale (B) della figura 6 è

rappresentato tale mercato, sempre nell’ipotesi di un mondo a due soli paesi. In esso SE2 è

l’offerta di esportazioni del paese 2 (eccesso di offerta), mentre DI1 è la domanda di importazioni

del paese 1 (eccesso di domanda).

Le curve DI e SE si derivano dalle curve di offerta e domanda interne dei rispettivi paesi per

somma orizzontale: per ogni livello di prezzo DI1 = D1 - S1 e SE2 = S2 - D2. Ad esempio, il punto

F del grafico (A), relativo al prezzo P1, corrisponde al punto F’ del grafico (B): infatti, in F, D1 =

S1, quindi, in F’, DI1 = 0; analogamente, il punto G (S2 = D2) del grafico (C) corrisponde al punto

G’ (SE2 = 0) del grafico (B). Ancora, in corrispondenza del prezzo Pw, i segmenti (uguali) BC

18

(D1 - S1) e DE (S2 - D2) che leggiamo nei grafici (A) e (C), corrispondono al punto A su SE2 e

DI1 nel grafico B.

P1

Pw B C

S1 D1

FF'

SE2

G'

DI1

APw Pw

G

D E

P2

S2

D2

(A)

PAESE 1

(importatore)

(B)

MERCATO MONDIALE

(C)

PAESE 2

(esportatore)

Fig.6 - Derivazione del prezzo internazionale e dei flussi di commercio con curve di eccesso di domanda (DI) ed eccesso

di offerta (SE)

Ovviamente si avrà equilibrio quando la DI1 (che diminuisce al crescere del prezzo) eguaglia la

SE2 (che aumenta all’aumentare del prezzo). Ciò avviene nel punto A, in corrispondenza del

quale PwA = BC (importazioni del paese 1) = DE (esportazioni del paese 2). In termini di

benessere il paese 1 guadagna l’area BCF (differenza tra guadagno dei consumatori e perdita dei

produttori); il paese 2 guadagna l’area DEG (differenza tra guadagno dei produttori e perdita dei

consumatori). Tali guadagni di benessere si possono leggere anche sul grafico relativo al mercato

mondiale, dove essi sono dati, rispettivamente, dai triangoli PwAF’ (= BFC) e PwAG’ (= DEG).

1.3.2 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo

Rimuoviamo ora l’ipotesi di un mondo a due soli paesi e valutiamo l’equilibrio di un paese

(A), rispetto al resto del mondo. Rappresentiamo quest’ultimo nella parte destra delle Figg.7 ed 8,

dove il prezzo mondiale (Pw) si forma dall’incontro di una domanda mondiale di importazioni

(DI) e di un’offerta mondiale di esportazioni (SE).

Incominciamo dal caso di un paese (A) importatore (figura 7). Finché il paese A rimane in una

situazione di chiusura al commercio, il suo prezzo interno sarà P1, come incontro tra DA e SA,

cioè tra domanda e offerta interne; sul mercato mondiale il prezzo sarà invece Pw1, come incontro

tra la domanda di importazioni DIw e l’offerta di esportazioni SEw presenti sul mercato mondiale,

di cui non fa parte il nostro paese.

Quando si aprono le frontiere, il paese A sarà importatore, poiché P1 è maggiore di Pw1. In

realtà, per prezzi mondiali superiori a P1, il paese A diventerebbe esportatore. Tutto ciò implica

19

che le curve complessive di domanda mondiale di importazione (DIw) e di offerta mondiale di

esportazione (SEw) devono tener conto dell’arrivo sul mercato internazionale del paese A: ciò

significa che, per prezzi inferiori a P1, sul mercato mondiale alla DIw si aggiunge la domanda di

importazioni di A, e quindi la DIw, dal punto F in poi, slitta verso destra, diventando la DI’w

(DI’w = DIw + DI paese A).

PAESE A MERCATO MONDIALE

P

E

P1

D

DA SA P

P1

Pw2

Pw1

F G

DI 'w

DIw

A

BC

SEw

Fig.7 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo (caso di paese importatore)

SEw'

Analogamente, per prezzi mondiali superiori P1, poiché il paese A diventerebbe esportatore, la

SEw slitterebbe verso la SE’w dal punto G in poi, data l’offerta aggiuntiva di esportazioni

proveniente dal paese A. In realtà si tratta solo di una possibilità teorica poiché, nel caso descritto

dal grafico, lo slittamento rilevante per il nuovo equilibrio è soltanto quello della DIw.

Il nuovo equilibrio si avrà in corrispondenza dell’incontro tra la nuova curva di domanda di

importazioni (DI’w) e della vecchia curva di offerta di esportazioni che, ovviamente, rimane

inalterata: ciò avviene nel punto in cui il prezzo mondiale diventa Pw2 (maggiore di Pw1), in

corrispondenza del quale il paese A importerà la quantità DE (= CB). Si può notare che la

variazione del prezzo mondiale che si determina come conseguenza dell’entrata nel commercio

internazionale del paese A sarà, per così dire, direttamente proporzionale alle sue “dimensioni”

rispetto al mercato internazionale; più in particolare, nel caso che stiamo esaminando, la

variazione del prezzo mondiale sarà direttamente proporzionale alla grandezza relativa

dell’eccesso di domanda del paese in questione rispetto alla domanda di importazioni (DIw) totale.

Passando al caso di un paese (B) esportatore, come si vede dalla figura 8, il ragionamento è del

tutto analogo a quello appena svolto per il paese importatore. In economia chiusa P1 è il prezzo

nel paese B, ed esso è minore del prezzo mondiale (Pw1). Di conseguenza, all’apertura delle

frontiere, per prezzi mondiali superiori a P1, il paese B risulterà esportatore e la sua offerta di

esportazione “si aggiungerà” a quella mondiale facendola slittare da SEw a SEw’. Il nuovo prezzo

20

mondiale sarà Pw2 (minore di Pw1), con una esportazione del paese B verso il resto del mondo che

sarà pari a DE (= CB).

PAESE B MERCATO MONDIALE

E

P1

D

DB SB

Pw2

Pw1

F G

DI 'wDIw

A

BC

SEw

SE 'w

Fig.8 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo (caso del paese esportatore)

Si può notare che, rispetto al grafico precedente, la variazione (in questo caso la diminuzione)

del prezzo mondiale è minore. Ciò dipende dal fatto che il paese B è relativamente “più piccolo”

del paese A del grafico precedente: in corrispondenza del prezzo di equilibrio Pw2 la sua offerta di

export (segmento DE) è, infatti, minore della domanda di importazione del paese A (il segmento

DE del grafico precedente).

1.3.3 - Elasticità della domanda di importazioni e dell’offerta di esportazioni

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le funzioni di domanda di importazioni e di

offerta di esportazioni di un paese non sono altro che le sue funzioni di eccesso di domanda e di

eccesso di offerta, in corrispondenza di ogni livello del prezzo. In questo paragrafo vogliamo

mostrare le relazioni che intercorrono tra la elasticità-prezzo della domanda (D) e dell’offerta (S)

interne e la elasticità-prezzo della domanda di importazioni (DI) e dell’offerta di esportazioni

(SE). In particolare, mostreremo che l’elasticità della domanda di importazioni è comunque

maggiore (o uguale), in valore assoluto, della elasticità della domanda interna e che,

analogamente, l’elasticità dell’offerta di esportazioni è comunque maggiore o uguale della

elasticità dell’offerta interna.

Elasticità della domanda di importazioni di un paese

Siano DI la domanda di importazioni e D e S la domanda e l’offerta interne. Come si è appena

detto, DI non è altro che l’eccesso di domanda:

21

DI = D - S

La elasticità-prezzo della domanda di importazioni (IµI), applicando la formula della elasticità,

è data da:

µI = dDIdP *

PDI

sostituendo DI = D - S:

µI = {dDdP –

dSdP } *

PDI

moltiplicando e dividendo per D e per S:

µI = dDdP *

PD *

DDI –

dSdP *

PS *

SDI

µI = µD * DDI – µS *

SDI

Dove µD ed µS sono l’elasticità-prezzo della domanda e dell’offerta interne. Poiché µD è

negativa mentre µS è positiva, in valori assoluti si ha:

µI = µD * DDI – µS *

SDI

Quindi, non solo l’elasticità della domanda di importazioni è sicuramente maggiore, in valore

assoluto, della elasticità della domanda interna, ma è tanto maggiore di quest’ultima:

a)quanto maggiore è l’elasticità dell’offerta interna (µS )

b)quanto maggiore è l’offerta interna (S) rispetto alle importazioni (DI)

c)quanto più piccola è la quota delle importazioni (DI) nel soddisfacimento della

domanda interna (D); cioè quanto più alto è il rapporto D/DI

Ovviamente, se per un prodotto non c’è offerta interna (D = DI e µS = 0), la domanda di

importazioni (e quindi anche la relativa elasticità) coincide con la domanda interna.

Elasticità dell’offerta di esportazioni di un paese

Sia SE l’offerta di esportazioni, espressa come eccesso dell’offerta interna sulla domanda

interna:

SE = S - D

µE = dSEdP *

PSE

sostituendo SE = S - D

22

µE = {dSdP –

dDdP } *

PSE

moltiplicando e dividendo per S e per D:

µE = dSdP *

PS *

SSE –

dDdP *

PD *

DSE

da cui:

µE = µS * S

SE – µD * DSE

essendo µD negativa, si ha:

µE = µS * S

SE – µD * DSE

Quindi, analogamente a quanto visto per la elasticità della domanda di importazioni, la

elasticità-prezzo dell’offerta di esportazioni (µE) è sicuramente maggiore di quella dell’offerta

interna (µS). In particolare, è tanto maggiore:

a)Quanto maggiore è, in valore assoluto, l’elasticità della domanda interna (µD)

b)Quanto maggiore è la domanda interna rispetto alle esportazioni (D/SE)

c)Quanto minore è la quota esportata (SE) dell’offerta interna (S), cioè quanto più

grande è il rapporto S/SE.

Anche qui, µE = µS solo nel caso, non certo molto frequente, di un bene che non ha domanda

interna e che, quindi, viene prodotto solo per l’esportazione.

23

PARTE SECONDA

Il protezionismo

2.1 - Le cause del protezionismo

Come si é visto nelle pagine precedenti, sotto le ipotesi tradizionali di concorrenza perfetta il

(libero) commercio genera vantaggi per tutti i paesi che vi partecipano, siano essi esportatori o

importatori. Come vedremo meglio nelle pagine seguenti, si può anche dimostrare che qualunque

obiettivo di politica economica interna é perseguibile, dal punto di vista del benessere collettivo,

in modo più efficiente con misure che non influenzano - o influenzano il meno possibile -

l’equilibrio di libero scambio. Eppure, se guardiamo alla realtà ed alla storia del commercio

internazionale é estremamente difficile trovare casi o periodi in cui esso sia o sia stato veramente

libero dall’influenza diretta o indiretta di un ampio spettro di politiche poste in essere, con

maggiore o minore intensità, da tutti i paesi.

Sorge dunque il problema, per l’economista, di spiegare perché esiste il protezionismo; perché,

in altri termini, il mondo reale si discosta, il più delle volte consapevolmente e deliberatamente,

da una situazione che dovrebbe comportare la massimizzazione del benessere collettivo, sia a

livello internazionale che all’interno dei singoli paesi. Al riguardo, per molti anni, questo quesito

non ha trovato alcuna risposta, anche perché è stato sostanzialmente ignorato - meglio si direbbe

“rimosso” - dagli economisti di scuola tradizionale; per lungo tempo, infatti, in tema di

commercio internazionale ci si é accontentati di una teoria estremamente potente sul piano

normativo - capace, cioè, di generare le ricette “giuste” per i policy makers - ma del tutto

inadeguata su quello dell’economia positiva, in quanto incapace di spiegare perché esse fossero

sistematicamente disattese, in un mondo dove il protezionismo ha sempre costituito la regola ed il

libero commercio la rara eccezione.

Riprendiamo brevemente le principali ipotesi su cui si fonda l’approccio tradizionale in tema di

commercio internazionale e protezionismo:

1)Funzione del benessere individualistica, conseguente ad una struttura delle preferenze

dominata dall’egoismo razionale .

2)Forme di mercato concorrenziali e paesi “piccoli”.

3)Funzioni di produzione caratterizzate da rendimenti costanti di scala.

4)Assenza di “fallimenti del mercato” e/o possibilità di porvi rimedio con l’intervento pubblico.

5)Comportamento neutrale dei policy makers rispetto alla scelta degli obiettivi e degli strumenti

della politica economica, comunque guidato da un criterio di efficienza paretiana ed orientato

alla massimizzazione del benessere collettivo.

Sotto queste ipotesi si dimostra facilmente che, in termini di teoria del benessere, il libero

commercio è un ottimo paretiano, sia dal punto di vista del singolo paese che del mondo in

complesso. Infatti:

24

a)sul piano interno, qualunque punto della frontiera del benessere ottenuto con misure

protezionistiche é ottenibile in modo più efficiente con il libero commercio, integrato da

compensazioni (possibilmente lump sum);

b)sul piano internazionale, il commercio é un gioco a somma positiva, in cui per ogni paese la

scelta del libero scambio rappresenta quella che si definisce una strategia dominante, nel senso

che essa é la migliore possibile indipendentemente dal comportamento degli altri.

Di conseguenza, nell’ottica dell'approccio tradizionale la risposta al quesito sul perché il mondo

si discosti dall’equilibrio di libero commercio e sul perché esistano tante misure a contenuto

protezionistico non può che essere estremamente semplicistica: il protezionismo é “bad”

economics in “good” politics; frutto, cioè, di errori o ignoranza (“cattiva economia”) da parte di

una classe politica disinteressata e, dunque, di per sé “buona”. In questo quadro, il ruolo degli

economisti non può che essere quello di insegnare l’economia, e di insegnarla soprattutto ai policy

makers, per indicare gli strumenti più efficienti e meno distorsivi con cui ottenere gli obiettivi

perseguiti con il protezionismo (o, meglio ancora, per convincerli non perseguirli affatto). E’

esattamente questo che gli economisti hanno fatto per lungo tempo - e che nella maggioranza dei

casi continuano ancora a fare - nonostante l’evidente insuccesso del loro impegno e nonostante il

senso di frustrazione che hanno sempre lamentato al riguardo, in quanto consiglieri inascoltati.

Va detto che, anche all’interno del paradigma neoclassico più tradizionale, sono previste

alcune eccezioni alla regola che individua nel liberoscambio un ottimo paretiano. Come si vedrà,

infatti, se si rimuove l’ipotesi forte di paesi “piccoli”, non é detto che il free trade sia la migliore

strategia possibile per un paese. Si può infatti dimostrare che esiste la possibilità che un paese

“grande” possa migliorare il suo livello di benessere ai danni del resto del mondo con misure

protezionistiche (dazio ottimo). Al riguardo, va comunque sottolineato che:

1)In ogni caso il danno subito dai paesi danneggiati é maggiore del beneficio catturato dal

paese che pratica il protezionismo: ciò implica che un “pagamento diretto” a suo favore da parte

dei paesi danneggiati in cambio della sua liberalizzazione sarebbe comunque una soluzione più

efficiente

2)La possibilità di catturare benessere con misure di protezione da parte di un paese “grande”

soggiace all’ipotesi di assenza di misure di ritorsione commerciale da parte di altri paesi,

anch’essi “grandi”.

Di fronte all’evidente fallimento della teoria standard a dar conto del perché la realtà sia tanto

lontana dagli ideali equilibri di libero scambio, negli ultimi dieci o vent’anni hanno preso corpo

una serie di spiegazioni un po’ più convincenti delle cause del protezionismo, che in parte si

muovono al di fuori del paradigma tradizionale, mettendone in discussione alcune ipotesi di

fondo. Tali spiegazioni si possono raggruppare in due grandi filoni: da un lato la cosiddetta New

international economics, dall’altro l’approccio Political economy.

La New international economics si fonda sulla rimozione delle ipotesi relative alla esistenza di

rendimenti di scala costanti, mercati perfettamente concorrenziali e prevalenza di paesi “piccoli:

in un mondo caratterizzato da rendimenti di scala crescenti, strutture di mercato oligopolistiche,

25

imprese multinazionali e paesi “grandi” é molto alta la possibilità di comportamenti strategici da

parte degli attori in gioco. Tali comportamenti rappresentano un fattore importante almeno quanto

i (e forse più dei) vantaggi comparati derivanti dalla diversa dotazione fattoriale dei paesi nello

spiegare il commercio internazionale così come esso si manifesta nel mondo reale. In questo

quadro, inoltre, il commercio non é un gioco a somma positiva, ed in molti casi la situazione che

si crea é quella tipica del dilemma del prigioniero: un “gioco” in cui la strategia dominante da

parte di giocatori perfettamente razionali non é la cooperazione (che, nel caso del commercio,

corrisponde alla liberalizzazione), bensì la defezione (cioè il protezionismo)7.

Venendo al cosiddetto approccio political economy, in esso entrano in gioco i problemi

associati alla cosiddetta public choice theory e, più in generale, alle strategie ed agli effetti

dell’azione collettiva. Di conseguenza diventa rilevante lo studio di aspetti completamente

ignorati dall’analisi tradizionale, quali gli obiettivi e i comportamenti dei policy makers, non più

considerati soggetti neutrali e “disinteressati”; la capacità e le modalità di pressione dei gruppi

favoriti o danneggiati dalle diverse politiche; il livello e le modalità con cui i danni ed i vantaggi

vengono percepiti e valutati; la struttura istituzionale, le regole, e le eventuali imperfezioni

esistenti nel “mercato politico” della protezione. Nell’ambito dell’approccio political economy

possiamo distinguere due filoni principali: da un lato, quello che guarda soprattutto alle

determinanti interne del protezionismo, analizzando il suo emergere nel “mercato politico”

nazionale dei singoli paesi; dall’altro, la cosiddetta International political economy che, invece,

analizza le determinanti del protezionismo riferendosi soprattutto al contesto internazionale, dove

gli attori rilevanti sono i singoli paesi.

7Nel caso di paesi "piccoli", per ogni paese la strategia dominante è la cooperazione (free trade), indipendentemente da

quella degli altri. Infatti, in tal caso la matrice dei pagamenti nel gioco “commercio” é la seguente

Strategia Paese 1

Free trade Protezione Paese 1: 400 Paese 1: 200 Free Trade Paese 2: 400 Paese 2: 300

Strategia Paese 2

Paese 1: 300 Paese 1: 100 Protezione Paese 2: 200 Paese 2: 100

In questo caso, la strategia dominante per ognuno dei due paesi, cioé la migliore possibile indipendentemente dalla strategia scelta dall’altro, é il libero commercio, in corrispondenza del quale il guadagno é massimo. Nel caso di paesi “grandi” la matrice dei pagamenti è, invece, la seguente: Strategia Paese 1

Free trade Protezione Paese 1: 400 Paese 1: 500 Free Trade Paese 2: 400 Paese 2: 50

Strategia Paese 2

Paese 1: 50 Paese 1: 100 Protezione Paese 2: 500 Paese 2: 100

Nel caso di paesi “grandi”, siamo dunque in una situazione che nella teoria dei giochi si definisce del tipo dilemma

del prigioniero: in essa, la mancanza di incentivi alla cooperazione tra i partecipanti al gioco è dovuta all’incertezza che ciascun giocatore ha circa il comportamento degli altri e, dunque, circa la possibilità di appropriarsi dei benefici (massimi) che dalla cooperazione deriverebbero. Ciò fa sì che la strategia dominante sia la defezione (protezionismo), con un risultato sub-ottimale per tutti.

26

Lo studio delle determinanti interne del protezionismo si articola nella costruzione di modelli

in cui emergono in primo piano tre ingredienti principali, del tutto nuovi rispetto a quelli che si

ritrovano nelle analisi basate sulla teoria standard del commercio internazionale:

1)analisi delle condizioni che favoriscono la attività di lobbying;

2)endogenizzazione degli obiettivi e delle strategie dei policy makers;

3)analisi delle relazioni esistenti tra la struttura settoriale ed istituzionale e la scelta degli

strumenti di protezione domandati ed offerti sul “mercato politico”.

In questo quadro il protezionismo non é più semplicisticamente considerato come ”bad”

economics in good politics, ma - semmai - esso diventa good economics in "bad" politics. In ogni

caso, il protezionismo non é più visto come un evento accidentale e paradossale, ma come il

risultato coerente dell’operare di variabili che il paradigma tradizionale non prende in

considerazione. Non c’è dubbio che, sul terreno dell’economia positiva, questo approccio è in

grado di analizzare le cause del protezionismo in modo soddisfacente, fornendo spiegazioni molto

più convincenti di quelle ricavabili dal paradigma tradizionale. La sua debolezza, tuttavia, si

avverte sul terreno dell’analisi normativa, dove esso raramente é in grado di indicare la strada da

seguire.

Maggiormente orientato alla analisi normativa é, invece, l’approccio riconducibile alla

international political economy, cioè il filone che guarda al protezionismo come fenomeno da

studiare soprattutto nel contesto internazionale; esso, enfatizzando i potenziali vantaggi del libero

commercio, lo analizza come bene pubblico, la cui offerta é sottodimensionata per l’esistenza di

comportamenti di free riding e per l’emergere di situazioni tipo dilemma del prigioniero. In

questo quadro, Il problema diventa la ricerca delle condizioni perché si renda possibile la

“produzione” e la “manutenzione” nel tempo di tale bene pubblico, da parte degli attori (i paesi)

che ne godono i mutui vantaggi. Si possono ricordare, a riguardo, due principali teorie:

- la teoria che indica nell’esistenza di un paese egemone e di regimi internazionali - cioè di una

“autorità forte” in grado di dettare e far rispettare le regole a livello internazionale - la condizione

perché il liberoscambio possa affermarsi (infatti, il paese egemone o i regimi assumono, a livello

internazionale, la funzione che lo Stato svolge a livello nazionale nella produzione dei beni

pubblici, assumendosene il costo iniziale di produzione e sanzionando i comportamenti di free

riding);

- la teoria della reciprocità pura, ovvero lo studio delle condizioni in cui é possibile, anche in

assenza di una “autorità” sovranazionale con un forte potere di minaccia, il diffondersi tra i paesi

di comportamenti di tipo cooperativo, basati su meccanismi che assicurano di ricevere dagli altri,

sul terreno commerciale, quanto agli altri si concede. Al riguardo, il GATT può considerarsi un

tentativo in questa direzione e, più in generale, molta parte della teoria degli accordi e delle

negoziazioni internazionali si ispira a questo approccio.

27

2.2 - Il protezionismo “tariffario”

Nelle pagine che seguono si analizzano, mantenendo ferme le consuete ipotesi di piena

concorrenzialità di tutti i mercati, le varie forme di distorsioni rispetto all’equilibrio di libero

scambio conseguenti alle principali misure di intervento sulle importazioni (dazi) e sulle

esportazioni (sussidi o tasse)

Limitatamente al caso dei dazi 8, per i quali si premette, in estrema sintesi, la rappresentazione

dei loro effetti con un approccio di equilibrio economico generale, la trattazione successiva è

compiuta nell’ottica di equilibrio parziale, con esercizi di statica comparata, mediante l’uso di

curve di domanda e offerta interne e di domanda di importazioni ed offerta di esportazioni,

relative ad un singolo mercato.

2.2.1 - Analisi degli effetti del dazio in equilibrio economico generale

Incominciamo dal caso di un paese “piccolo”, cioè di un paese che non è in grado di

modificare, con la sua politica commerciale, il prezzo mondiale del prodotto interessato e per il

quale, dunque, bisogna mantenere fermo il rapporto tra i prezzi internazionali (ragione di

scambio) dei prodotti; ciò è conseguenza, appunto, delle ridotte dimensioni relative del paese che

si esamina, per cui le variazioni che la sua politica commerciale è in grado di produrre sulla sua

domanda di importazioni si possono considerare comunque irrilevanti rispetto al complesso dei

flussi di scambio che transitano sul mercato mondiale e, dunque, ininfluenti rispetto al livello del

prezzo che in esso si determina.

Questa situazione è rappresentata nella figura 9. In essa, come al solito, indichiamo con TT la

curva delle possibilità produttive di due beni (grano e tessuto) da parte del paese esaminato e con

RR la ragione di scambio internazionale, cioè il rapporto tra i loro prezzi mondiali. In tali

condizioni, l’equilibrio di libero commercio si avrà in A (produzione) e C (consumo), con una

esportazione di AF di tessuto contro una importazione pari a FC di grano.

Se il paese in questione decide di imporre un dazio sulle proprie importazioni di grano, ciò fa

aumentare - in misura pari al dazio - il prezzo del grano sul mercato interno, senza però

modificare in alcun modo la ragione di scambio internazionale, che rimane la RR: essendo, infatti,

un paese “piccolo”, esso è un price taker, per cui sul mercato mondiale la sua domanda di

importazione di grano fronteggia una offerta di esportazione infinitamente elastica.

Conseguentemente, il prezzo mondiale non è influenzato dalla variazione della quantità importata

dal paese in questione. Conseguentemente, il prezzo mondiale del grano e del tessuto non

cambiano rispetto al loro livello di free trade, mentre quella che si modifica è solo la ragione di

scambio interna al paese che impone i dazio, che diventa II.

8. Il dazio è una imposta indiretta, prelevata alla frontiera, che grava sulle importazioni. Il dazio è riferito ad un

singolo prodotto, mentre la tariffa doganale è l'elenco delle merci che un paese scambia con l'estero, con l'indicazione per ognuna dell'eventuale dazio doganale applicabile. Spesso, seguendo la terminologia anglosassone, “dazio” e “tariffa” sono usati come sinonimi.

28

R

C

GRANO

I

T

D

TI

E B

AF

R TESSUTO

R

R

Fig.9 - Dazio sull'importazione di grano (paese "piccolo")

In risposta alla modifica della ragione di scambio interna, la produzione passa dal punto A al

punto B, con un aumento della produzione interna di grano, trainato dall’aumento del suo prezzo

conseguente al dazio, ed una diminuzione della produzione di tessuto. In questa nuova situazione,

c’è ancora spazio per il commercio ed il nostro paese, scambiando alla ragione di scambio

internazionale (rimasta inalterata) - e, dunque, muovendosi da B lungo una retta parallela alla RR

- potrà portarsi in D; in questo punto è rispettato il vincolo di tangenza tra curva di indifferenza e

ragione di scambio interna (SMS = SMT), che differisce da quella internazionale in virtù del

dazio. Si deve notare che, poiché D giace su una curva di indifferenza inferiore a quella del punto

C (consumo di libero scambio), l’imposizione di un dazio da parte di un paese “piccolo”

comporta per esso una perdita di benessere, mentre il resto del mondo rimane indifferente.

Veniamo ora al caso della imposizione di un dazio sulle importazioni da parte di un paese

“grande”, rappresentato nella figura 10. Anche qui il punto di partenza è costituito dall’equilibrio

di libero scambio - quindi precedente alla applicazione del dazio - che è collocato in A

(produzione) e C (consumo), con esportazioni di tessuto da parte del paese che esaminiamo pari

ad AF ed importazioni di grano pari a CF.

29

L’imposizione di un dazio sul grano, facendo aumentare il prezzo relativo del grano rispetto al

tessuto - determina una ragione di scambio interna, diversa da RR, e data ora dalla retta II; il

nuovo equilibrio si colloca in B, con maggiore produzione interna (e quindi minor domanda di

importazioni) di grano e minore produzione (e quindi minore offerta di esportazione) di tessuto da

parte del paese in questione. Da ciò, poiché stiamo ipotizzando che tale paese sia “grande”, nel

senso che la sua domanda di importazione è una parte consistente del mercato mondiale, consegue

un aumento del prezzo internazionale del tessuto e una diminuzione di quello del grano sul

mercato mondiale, con conseguente modifica della ragione di scambio internazionale da RR a

R’R’ e spostamento del punto di equilibrio da C (libero scambio) a C’ (situazione conseguente

alla imposizione del dazio).

R

C

GRANO

I

T

T

I

B

AF

R

TESSUTO

I

I

R'

F '

C'

R'

Fig.10 - Dazio sul grano (paese "grande")

In questo caso C’ giace addirittura su una curva di indifferenza superiore a quella di C, per cui

il paese in questione ha un guadagno netto di benessere in conseguenza dell’imposizione di un

dazio sulle proprie importazioni. Questo risultato deriva dall’aver ipotizzato un paese talmente

“grande” da essere in grado di distorcere a proprio favore la RR internazionale in modo molto

sensibile ma, in generale, non è detto che ciò succeda. E’ comunque vero che un paese “grande”,

30

quand’anche non abbia un guadagno netto, comunque perde meno benessere di un paese

“piccolo” come conseguenza della imposizione di un dazio, poiché comunque distorce in una

qualche misura la ragione di scambio internazionale a proprio favore.

Ovviamente, rispetto a quanto accade nel caso di paese “piccolo”, alla minore perdita o al

guadagno del paese “grande” corrisponde una perdita del resto del mondo, che nel nostro esempio

possiamo considerare come un unico paese esportatore di grano ed importatore di tessuto. Tale

perdita del resto del mondo, come si è visto, non si ha quando ad imporre un dazio è un paese

“piccolo”, poiché in questo caso la ragione di scambio internazionale rimane inalterata e la

riduzione delle esportazioni da parte del resto del mondo è comunque irrilevante.

TESSUTO

C

A

Far

TESSUTO

C

R

R

A

B

F

F'

TESSUTO

GRANO

R'

R'

Fig. 11 - Perdita di benessere per il paese esportatore di grano in conseguenza di un dazio da parte di

un paese importatore "grande"

C'

A questo proposito, nella figura 11 analizziamo la situazione di un paese esportatore di grano,

che possiamo assimilare al “resto del mondo” della precedente figura 10. Tale paese, in regime di

libero commercio produce in A e consuma in C, esportando AF di grano contro FC di tessuto. In

conseguenza del dazio imposto dal paese (“grande”) importatore di grano, la domanda di

quest’ultimo sul mercato mondiale si riduce e la ragione di scambio internazionale passa da RR a

R’R’, peggiorando a danno del grano. In conseguenza di ciò, l’equilibrio nel paese che stiamo

analizzando passa da A a B sul fronte della produzione, e da C a C’ sul fronte del consumo, con

una riduzione delle esportazioni ed una perdita di benessere (C’ giace su una curva di indifferenza

inferiore a quella su cui giace C).

31

2.2.2 - Analisi dei dazi in equilibrio parziale

Nelle pagine che seguono analizzeremo gli effetti del dazio con un approccio di equilibrio

parziale - che, come si è detto, è anche quello più frequentemente utilizzato - mediante esercizi di

statica comparata, in riferimento al mercato del solo prodotto su cui il dazio è imposto.

Utilizzeremo grafici domanda - offerta (o anche eccesso di domanda - eccesso di offerta) relativi

al prodotto in questione. In grafici di questo tipo l’imposizione di un dazio da parte di un paese

importatore può rappresentarsi in due modi, a seconda se si ipotizza che il soggetto “attivo” nella

transazione commerciale interessata dal dazio - quello, cioè, che paga il dazio - sia,

rispettivamente, l’esportatore o l’importatore:

a)con uno slittamento verso l’alto della funzione di offerta di esportazioni del

resto del mondo (SEw): in questo caso il ragionamento è fatto dal punto di vista

degli esportatori esteri, il cui prezzo di offerta aumenta in misura pari al dazio

che essi devono pagare per entrare nel mercato del paese importatore.

b)con uno slittamento verso il basso della domanda di importazioni (DI) del paese

che impone il dazio: in questo caso si ragiona dal punto di vista degli importatori

nazionali, il cui prezzo di domanda sui mercati internazionali, per ogni quantità

importata, diminuisce in misura pari al dazio che essi devono pagare.

I risultati, ovviamente, sono del tutto analoghi. Nelle figure 12 e 13 gli effetti di un dazio sono

rappresentati nei due differenti modi appena descritti; in esse si ha:

DI = funzione di domanda di importazioni (eccesso di domanda)

del paese che impone il dazio sulle proprie importazioni;

SEw = funzione di offerta di esportazioni del resto del mondo;

Pw = prezzo mondiale (uguale a prezzo interno) nella situazione di

libero scambio, precedente alla imposizione del dazio;

P = prezzo interno conseguente al dazio;

P’w = prezzo internazionale conseguente al dazio;

P - P’w = ammontare assoluto del dazio.

Ovviamente, come si vede dalle figure, lo slittamento della SEw o della DI sarà parallelo nel

caso di una tariffa fissa (per esempio, 10 dollari per unità di prodotto) che si aggiungerà, in

misura assoluta sempre uguale, al prezzo di ciascuna unità importata; mentre lo slittamento sarà

non parallelo nel caso di una tariffa ad valorem (per esempio, 30% del valore unitario, cioè del

prezzo mondiale, del prodotto importato): è chiaro, infatti, che l’ammontare assoluto del dazio

che si deve aggiungere al prezzo mondiale sarà, in questo caso, tanto maggiore quanto maggiore è

il livello del prezzo mondiale stesso.

32

P

Pw

P'w

A

B

C

SEw

DI

DI '

P

Pw

P'w

DI

A

B

C

SEwSE 'w

Fig.12 - Tariffa fissa

P

Pw

P'w

P

Pw

P'w

SE 'w

DI

SEw

B

A

C

SEw

B

A

C

DI

DI '

Fig.13 - Tariffa ad valorem (30%)

33

Per rappresentare gli effetti di un dazio sull’importazione in modo completo e, soprattutto, per

meglio evidenziarne gli effetti di benessere sul paese che lo impone, si possono utilizzare figure in

cui compaiono sia il mercato interno del paese che impone il dazio che il mercato internazionale:

tali figure, inoltre, rendono più chiaro il meccanismo di trasmissione degli effetti di prezzo

dall’uno all’altro mercato.

Le figure 14 e 15 sono costruite in questo modo, e rappresentano, rispettivamente, il caso di un

paese “piccolo” e quello di un paese “grande”.

D S

SEw

DI

DI '

P

PwA B

C D

E

E'

F

t

G H

Fig. 14a - Effetti di un dazio (paese "piccolo")

P

Pw

Mercato interno Mercato internazionale

Nella figura 14a, la parte sinistra rappresenta il mercato interno del paese che impone il dazio,

mentre la parte destra rappresenta il mercato internazionale. In esso la funzione di domanda di

importazioni del paese che impone il dazio è la DI, derivata come eccesso di domanda dal

mercato interno; la curva di offerta di esportazioni del “resto del mondo” è la SEw, ed essa risulta

infinitamente elastica, in ragione del fatto che il paese importatore è qui ipotizzato “piccolo”. Ciò,

infatti, implica che il prezzo di offerta di esportazione è costante “dal punto di vista” di tale

paese, poiché la quantità che esso importerà - per quanto grande rispetto al proprio mercato

interno - sarà comunque irrilevante rispetto all’equilibrio del mercato mondiale.

Nella situazione descritta dalla figura, l’applicazione del dazio comporta uno slittamento verso

il basso della DI e, conseguentemente, l’equilibrio passa da E ad E’, con una riduzione della

quantità importata da AB a CD. Il prezzo mondiale rimane inalterato, mentre il prezzo interno

aumenta in misura esattamente uguale all’ammontare del dazio. Il benessere de consumatori

interni si riduce in misura pari a PDBPw, mentre i produttori guadagnano PCAPw. C’è, infine,

34

una entrata di bilancio pari a CDHG (quantità importata per ammontare unitario del dazio) e,

dunque, una perdita di benessere complessivo per il paese che impone il dazio pari alla somma

dei due triangoli AGC e DBH.

Nel caso di un paese “piccolo”, spesso si ritrova una rappresentazione semplificata degli effetti

del dazio, limitata al mercato interno, come quella della figura 14b.

DS

P2

P1

C D SE 'w = ST '

SEw = STA F E B

S1 S2 D1D2O

Fig.14b - Effetti del dazio sul mercato del paese importatore ("piccolo")

In questo caso l’offerta di esportazioni (SEw) viene “portata” sul mercato interno ed essa viene

fatta slittare verso l’alto in misura pari al dazio (SE’w). L’offerta totale sul mercato interno è pari,

in conseguenza del dazio, alla spezzata ACSE’w (infatti, fino al livello del prezzo P, sarà

competitiva l’offerta interna S), per cui l’importazione si riduce da AB a CD. Gli effetti di

benessere sono del tutto analoghi a quelli visti con il grafico precedente: i consumatori perdono

l’area di surplus pari a P1P2DB; i produttori guadagnano P1ACP2; vi è un guadagno per l’erario

pari a CDEF e, dunque, una perdita complessiva misurata dai triangoli ACF e DBE.

Nella figura 15 è rappresentato il caso del paese grande, in modo simile a quanto fatto nella

figura 14a, con l’unica differenza che in questo caso, sul mercato internazionale, la curva di

offerta di esportazioni del resto del mondo (SEw) ha una inclinazione positiva: poiché, infatti,

stiamo analizzando un paese importatore “grande”, la quantità che esso importa è rilevante

35

rispetto alle dimensioni del mercato mondiale, per cui all’aumentare delle sue importazioni il

prezzo mondiale aumenterà e viceversa.

D S

SEw

DI

DI'

P

Pw

P'w

Fig. 15 - Effetti del dazio (paese "grande")

A B

C D

G F

I H

E

E '

M

L

Mercato interno Mercato internazionale

Pw

P'w

L’equilibrio di partenza, corrispondente ad una situazione di free trade, si colloca in E (come

incontro tra la DI e la SEw), con un prezzo mondiale pari a Pw ed una importazione pari ad AB.

L’imposizione del dazio fa slittare verso il basso la funzione di domanda di importazioni, da DI a

DI’, in misura pari all’ammontare del dazio stesso ed il nuovo equilibrio sul mercato

internazionale si ha in E’; il prezzo mondiale si riduce a P’w e con esso si riducono le

importazioni (da AB a P’wE’=CD), mentre sul mercato interno il prezzo sarà P, pari al nuovo

prezzo mondiale - P’w - più il dazio.

Al contrario, dunque, di quanto accadeva nel caso del paese “piccolo”, dove il prezzo interno

aumentava in misura esattamente uguale al dazio ed il prezzo mondiale rimaneva inalterato, qui il

prezzo interno aumenta in misura minore, giacche una parte del dazio si “scarica” in una

riduzione del prezzo mondiale (da Pw a P’w). In questo caso, infatti, la riduzione delle

importazioni del paese che impone il dazio - essendo esso un paese “grande” - è rilevante sul

mercato mondiale e, come tale, determina una riduzione di prezzo che si traduce in un

miglioramento della ragione di scambio del paese in questione: questo, in altri termini, rispetto

alla situazione di free trade, importa di meno e ad un prezzo più basso.

Venendo alla consueta contabilità del benessere conseguente alla imposizione del dazio rispetto

ad una situazione di free trade, i consumatori interni perderanno in misura pari a PDBPw; i

produttori guadagneranno PCAPw ed il guadagno per l’erario sarà CDHI (quantità importata per

dazio unitario). Nel caso di paese “grande”, quindi, l’effetto netto di benessere per il paese che

impone il dazio è indeterminato a priori: vi sarà un guadagno (o una perdita) se il rettangolo

GFHI è maggiore (o minore) della somma dei due triangoli DBF e ACG. Va comunque notato

36

che, a fronte dell’eventuale guadagno del paese importatore, vi sarà comunque una perdita

(maggiore di esso) inflitta al resto del mondo, pari al trapezio PwEE’P’w, nel grafico relativo al

mercato internazionale. Poiché, inoltre, il rettangolo PwLE’P’w è uguale per costruzione al

rettangolo GFHI, e poiché il triangolo MLE è pari alla somma dei triangoli ACG e FDB9, il

triangolo MEE’ che si forma nel grafico relativo al mercato internazionale rappresenta la perdita

netta di benessere del mondo nel suo insieme, derivante dalla applicazione del dazio.

Nella figura 16 sono sintetizzati gli effetti di un dazio limitandosi a rappresentare solo il

mercato internazionale. In ognuno dei quattro grafici in essa rappresentati si ha:

- PBCP’w = guadagni per l’erario del paese che impone il dazio (dati dalla

quantità importata in presenza del dazio moltiplicata per l’ammontare

del dazio stesso)

PBAPw = perdita netta del complesso dei consumatori e dei produttori interni (si

ricorda che le DI sono curve di eccesso di domanda: quindi, l’area

compresa tra esse e le linee del prezzo prima e dopo il dazio

rappresenta un saldo netto di benessere; tale saldo è dato dalla

differenza tra la perdita dei consumatori ed il guadagno dei produttori

interni derivante dall’aumento del prezzo conseguente al dazio)

- PwACP’w = perdita netta del complesso dei produttori e dei consumatori dei

paesi esteri: anche qui, trattandosi di un’area sottostante una curva di

eccesso di offerta (SEw) del resto del mondo, essa è un saldo netto di

benessere; tale saldo è pari in tal caso alla differenza tra la perdita dei

produttori ed il guadagno dei consumatori esteri associato alla

riduzione del prezzo mondiale conseguente al dazio.

- BAC = perdita netta di benessere del mondo preso nel suo insieme

Come si vede, per il paese che impone il dazio vi sarà un guadagno se l’area PwACP’w (effetto

del “miglioramento della ragione di scambio”) è maggiore del triangolo BAD (perdita dei

consumatori non compensata dal guadagno dei produttori e dell’erario). Ciò sarà tanto più

probabile quanto più è rigida l’offerta di esportazioni del resto del mondo (SEw) e quanto più è

elastica la domanda di importazioni del paese che impone il dazio (DI). Cioè, in altri termini,

quanto quest’ultimo è “grande” rispetto al resto del mondo.

In ogni caso, come si era già visto sia nell’analisi di equilibrio economico generale che nella

della fig. 15, la perdita del resto del mondo è sempre maggiore dell’eventuale guadagno del paese

che impone il dazio. Di conseguenza, per il mondo preso nel suo insieme, vi sarà in ogni caso una

perdita netta di benessere, pari BAC.

9Il triangolo MLE, infatti, ha la stessa altezza dei due triangoli ACG e FDB e la base pari, per costruzione, alla

somma delle loro basi.

37

P

PwP'w

P

Pw

P'w

A

B

C

SEw

DI

SEw

B

A

C

DI

SE 'w

Q

SE 'w

D

QII '

(a) SEw elastica; DI rigida

(c) SEw e DI rigide

P

Pw

P'w

PPw

P'w

DI

A

B

C

SEw

SE 'w

SE 'w

DI

SEw

B

A

C

D

II ' Q

I ' I Q

D

(b) SEw e DI elastiche

(d) SEw rigida; DI elastica

D

I ' I

Fig.16 - Effetti di un dazio: sintesi

38

2.2.3 - Sussidi alle importazioni

I sussidi alle importazioni possono essere considerati a tutti gli effetti come dazi negativi.

Conseguentemente, i loro effetti saranno esattamente simmetrici a quelli del dazio in quanto a

gruppi di beneficiari e perdenti e, come vedremo, trattandosi comunque di una distorsione

apportata alla situazione di ottimo paretiano costituita dal regime di libero scambio, il saldo netto

di benessere per il mondo preso nel suo insieme sarà comunque negativo. Si tratta, in ogni caso, di

una politica assai poco diffusa, che qui trattiamo per completezza di esposizione: come vedremo,

infatti, nel caso di un paese “grande”, la concessione di un sussidio all’importazione si traduce in

un trasferimento di benessere dal paese che lo concede a vantaggio del resto del mondo.

Nella figura 17 è rappresentato il caso di un paese importatore “piccolo”, che concede un

sussidio fisso - di ammontare pari ad “s”, indipendente dalla quantità importata e dal prezzo

mondiale - sulle sue importazioni. Ciò comporta una traslazione parallela verso l’alto della

funzione di domanda di importazione del paese in questione, da DI a DI’, dal momento che gli

importatori, sapendo di poter contare sul sussidio, saranno ora disposti a pagare per la stessa

quantità un prezzo pari a quello di free trade aumentato del sussidio stesso. Ciò comporterà lo

spostamento dell’equilibrio da F ad E ed un aumento di importazioni da PwL = AB a PF = CD.

Mercato interno Mercato internazionale

D S

DI

DI '

SEw

Fig. 17 - Sussidio all'importazione (paese "piccolo")

A B

C D

E

F

G H

s

Pw

P

Pw

P

L

Sul mercato interno, il prezzo scenderà dal livello di libero scambio Pw a P; in misura, cioè,

esattamente pari all’ammontare del sussidio all’importazione. In conseguenza di tale diminuzione

del prezzo interno, i consumatori guadagneranno tutta l’area PwBDP, i produttori perderanno

PwACP, mentre lo Stato dovrà sostenere una spesa pari al rettangolo GHDC, dato dalla quantità

importata per l’ammontare unitario del sussidio. Il saldo netto di benessere sarà, dunque, negativo,

con una perdita del paese che concede il sussidio misurata dalla somma dei due triangoli GAC e

BHD. Il benessere del resto del mondo non risulta toccato da tale politica, dato che, essendo il

39

paese importatore che impone il sussidio “piccolo”, l’aumento delle sue importazioni è comunque

irrilevante ed il prezzo mondiale rimane inalterato al suo livello Pw di free trade.

Nella successiva figura 18 è rappresentato il sussidio alle importazioni concesso da un paese

“grande”. Come di consueto, la differenza rispetto al caso del paese “piccolo” è data dalla

funzione di offerta di esportazioni del resto del mondo (SEw): questa, infatti, risulta ora inclinata

positivamente, per gli stessi motivi già esposti in occasione dell’analisi dei dazi.

Mercato interno Mercato internazionale

D S

DI

DI '

SEw

Fig. 18 - Sussidio all'importazione (paese "grande")

A B

C D

E

F

G H

sPw

P

P'w

Pw

P'w LM N

Come prima, il sussidio fa traslare verso l’alto la funzione di domanda di importazioni del

paese che lo concede da DI a DI’, con conseguente spostamento dell’equilibrio da E ad L. Ma in

questo caso l’inclinazione positiva della SEw comporta un aumento del prezzo mondiale, dal suo

livello di free trade Pw, al livello P’w. Le importazioni del paese che concede il sussidio

aumentano da PwE = AB a P’wL = CD, mentre il prezzo sul mercato interno è ora P, cioè pari al

nuovo prezzo mondiale P’w meno l’ammontare del sussidio: come si noterà, il fatto che stiamo

trattando il caso di un paese “grande” fa diminuire il prezzo interno in misura inferiore

all’ammontare del sussidio, a differenza di quanto avveniva nel caso del paese “piccolo”: in modo

esattamente speculare a quanto abbiamo visto parlando dei dazi, ciò avviene perché solo una parte

del sussidio si traduce in una diminuzione del prezzo interno, mentre il resto si “scarica” in un

aumento del prezzo mondiale.

Venendo agli effetti di benessere, il paese che concede il sussidio registra un guadagno dei

propri consumatori pari all’area PwBDP, abbondantemente compensato dall’insieme costituito

dalla perdita dei produttori (area PwACP) e, soprattutto, dalla spesa di bilancio, pari al rettangolo

GHDC, dato dalla quantità importata CD per il sussidio unitario (s = P’w - P). La perdita netta

derivante dalla concessione di un sussidio all’importazione da parte di un paese “grande” è,

dunque, assai maggiore che nel caso del paese “piccolo”, essendo data dai triangoli GMC e NHD

40

più tutto il trapezio MNBA. Tuttavia, a fronte di tale maggiore perdita del paese concedente, c’è

un guadagno per il resto del mondo, che nel nostro caso è dato dall’area PwELP’w. In ogni caso

tale guadagno è inferiore alla perdita che il paese che concede il sussidio si autoinfligge, in misura

pari al triangolo LEF: questo, dunque, rappresenta il costo per il mondo nel suo insieme

conseguente all’allontanamento dall’equilibrio di libero mercato.

2.2.4 - Sussidi alle esportazioni

Venendo ora a discutere le misure “tariffarie” di un paese esportatore, introduciamo il discorso

sui sussidi all’esportazione. Come vedremo anche questo intervento, oltre a registrare le consuete

perdite di benessere associate all’allontanamento dall’equilibrio di libero mercato, può comportare

un trasferimento da parte del paese che lo applica a favore del resto del mondo. Nonostante,

tuttavia, questo suo carattere apparentemente “autolesionista”, si tratta di una misura molto

diffusa. La circostanza, che a prima vista può sembrare paradossale, si può spiegare con almeno

tre ordini di motivazioni:

a)internamente al paese che applica il sussidio alle esportazioni, i beneficiari sono i produttori:

cioè una categoria bene organizzata, in grado di esercitare pressione sui policy makers in modo

sicuramente più efficiente di quanto non riescano normalmente a fare i consumatori (che sono -

almeno nel paese che la applica - i perdenti di una politica di sussidio all’esportazione).

b)il sussidio alle esportazioni, soprattutto da parte di paesi “grandi” viene spesso utilizzato

come esplicito strumento di penetrazione commerciale, che come tale sconta la perdita di breve

periodo con i guadagni strategici di lungo periodo che possono derivare dalla conquista di nuovi

mercati per la produzione nazionale.

c)I sussidi alle esportazione sono stati talvolta giustificati come strumento di compensazione

dei dazi che i paesi importatori impongono, o come misure di ritorsione e di pressione nell’ambito

di situazioni di “guerra commerciale”10

La figura 19 rappresenta il caso del sussidio alle esportazioni concesso da un paese “piccolo”.

Si parte da un equilibrio iniziale di libero scambio in E, dove la funzione di offerta di esportazioni

del paese in questione (SE) si incontra con la funzione di domanda di importazioni del resto del

mondo (DIw), disegnata qui infinitamente elastica, in ossequio alla ipotesi di paese “piccolo”. Il

sussidio alle esportazioni fa slittare verso il basso la SE, che diventa SE’, dato che gli esportatori

nazionali saranno disposti a diminuire il loro prezzo di offerta in misura pari al sussidio11; le

esportazioni aumentano da PwE = AB a PwE’ = CD, il prezzo mondiale rimane immutato, mentre

il prezzo interno aumenta fino al livello P, pari al prezzo mondiale più l’ammontare del sussidio.

I produttori interni guadagnano una fetta di surplus misurata dall’area PDBPw; i consumatori

ne perdono un ammontare pari a PCAPw e la spesa di bilancio è misurata dal rettangolo CDHG,

dato dalla quantità esportata per il sussidio unitario. Ferma restando, dunque, la situazione del

10E’ questo ad esempio, il caso dell’Export Enhancemente Program, che gli Stati Uniti hanno attivato a partire dalla

seconda metà degli anni ottanta, come ritorsione ai sussidi all’esportazioni della Unione Europea. 11Si noti che lo slittamento non é parallelo: ciò implica che stiamo ipotizzando un sussidio ad valorem, definito

come una data percentuale del prezzo mondiale.

41

resto del mondo, il cui benessere non viene toccato, il paese che concede il sussidio patisce una

perdita netta pari alla somma dei due triangoli AGC e BDH. Come si vede, gli effetti di benessere

e la loro distribuzione all’interno del paese che applica il sussidio alle esportazioni sono del tutto

analoghi a quelli che si hanno con la imposizione di un dazio sulle importazioni.

A B

C D

E

F

H

P

PwPw

s

DS

SE '

SE

DIw

Mercato interno Mercato mondiale

Fig. 19 - Sussidio all'esportazione (paese "piccolo")

E 'G

Veniamo ora al caso del paese “grande”, rappresentato nella figura 20, dove l’offerta di

esportazioni SE si incontra, stavolta, con una domanda di importazioni (DIw) che ha una

inclinazione negativa: essendo, infatti, il paese esportatore “grande”, la sua quota del mercato

mondiale è rilevante; per conseguenza, un aumento (o una diminuzione) della sua capacità di

esportare può essere assorbito solo a prezzi decrescenti (crescenti) dal mercato internazionale.

L’equilibrio iniziale di libero scambio si ha nel punto E, incontro tra la SE e la DIw, con un

prezzo mondiale Pw ed una esportazione del paese in questione pari a PwE = AB. La concessione

del sussidio fa slittare la funzione di offerta di esportazioni verso il basso, da SE a SE’ ed il nuovo

equilibrio si ha in K, cui corrisponde un prezzo mondiale più basso (P’w), un prezzo interno pari a

P, dato dal nuovo prezzo mondiale più il sussidio, ed una maggiore esportazione, pari a P’wK =

CD.

Poiché stiamo ora trattando il caso un paese esportatore “grande”, l’effetto del sussidio non si

scarica tutto sul mercato del paese che lo concede, come avveniva nel caso del paese esportatore

“piccolo”, ma si divide tra un aumento del prezzo interno ed una diminuzione del prezzo

mondiale. E ciò in modo del tutto analogo a quanto avevamo visto nel caso di dazi (o sussidi)

sulle importazioni.

42

A B

C D

E

F

HG

P

Pw Pw

s

DS

SE '

SE

DIw

Mercato interno Mercato mondiale

Fig. 20 - Sussidio all'esportazione (paese "grande")

P'wP'w

K

L M

Nel paese che concede il sussidio alle esportazioni i consumatori perdono, rispetto alla

situazione di libero scambio, una fetta di surlpus misurata dall’area PCAPw, mentre i produttori

ne guadagnano in misura pari a PDBPw. Inoltre si registra una ingente spesa di bilancio, pari a

tutta la quantità esportata in conseguenza del sussidio moltiplicata per l’ammontare unitario del

sussidio stesso, misurata dal rettangolo CDHG.

Il saldo netto, dunque, pesantemente negativo, è dato dal rettangolo LMHG più i due triangoli

BDM e LCA. A fronte di ciò, il complesso dei produttori e dei consumatori del resto del mondo

registrano un guadagno netto, dato dal trapezio PwEKP’w; ma tale guadagno non può che

risultare minore della perdita patita dal paese che concede il sussidio: anche in questo caso,

dunque, la distorsione apportata al libero mercato si traduce in una riduzione del benessere del

mondo preso nel suo insieme, riduzione che nella parte destra della nostra figura è misurata dal

triangolo EFK.

2.2.5- Tassa sull’esportazione

Anche la tassa sull’esportazione, come il sussidio, è assimilabile alla categoria di interventi

“tariffari”. L’unica differenza è che, dal punto di vista dei produttori interni, mentre sia il dazio

all’importazione che il sussidio alla esportazione sono forme di protezione positiva del mercato

interno, la tassa sulle esportazioni - come il sussidio alle importazioni - è una protezione negativa,

nel senso che essa fa diminuire il prezzo interno.

Iniziamo dal caso del paese “piccolo”, rappresentato nella figura 21. In essa S e D sono offerta

e domanda interne, per cui SE sarà l’offerta di esportazioni del paese in questione. Se DIw è la

domanda di importazioni del resto del mondo (infinitamente elastica, data l’ipotesi di paese

“piccolo”), il paese esporterà AB (= PwE) al prezzo mondiale Pw, che sarà pari anche al prezzo

interno.

43

DS

SE

SE '

DIw

Mercato interno Mercato internazionale

Fig. 21 - Tassa sulle esportazioni (paese "piccolo")

PwPw

P

A B

C D

EF

G

H L

L’imposizione di una tassa sull’esportazione fa slittare la SE, che diventa SE’, giacche al

prezzo di offerta descritto dalla SE va aggiunta la tassa (qui supposta fissa) che devono pagare gli

esportatori. Il nuovo equilibrio si avrà in corrispondenza di una minore esportazione (CD), con

prezzo mondiale inalterato (Pw) e prezzo interno più basso (P). In termini di benessere, i

produttori perdono PwBDP, i consumatori guadagnano PwACP, lo stato incassa HLDC come

gettito della tassa. Conseguentemente, c’è una perdita pari ai soliti due triangoli AHC e LBD.

Venendo al caso del paese “grande”, rappresentato nella figura 22, la differenza rispetto al

grafico precedente è data dalla forma della funzione di domanda di importazioni del resto del

mondo (DIw), non più perfettamente elastica come nel caso di paese piccolo, ma inclinata

negativamente; in tal caso lo slittamento della SE a SE’, conseguente all’applicazione di una tassa

all’esportazione, modifica sia il prezzo mondiale (che sale da Pw a P’w) sia quello interno (che

scende da Pw a P), di modo che la differenza P’w - P sia pari all’ammontare unitario della tassa.

Le esportazioni diminuiscono un po’ meno rispetto al caso del paese piccolo ma, soprattutto,

variano gli effetti del benessere: questi sono più favorevoli (o meno sfavorevoli) in quanto la

distorsione apportata dalla tassa imposta dal paese “grande” fa migliorare la sua ragione di

scambio.

44

DS

SE

SE '

DIw

Mercato interno Mercato internazionale

Fig. 22 - Tassa sulle esportazioni (paese "grande")

Pw

P'wP'w

P

PwA B

C D

E

F

G

H L

In particolare, i consumatori guadagnano PPwAC, i produttori perdono PwBDP, mentre lo

Stato guadagna HLDC come gettito della tassa. Di conseguenza, non solo c’è una minore perdita

di benessere rispetto al caso del paese “piccolo”, ma vi può addirittura essere un guadagno netto,

se l’area del rettangolo HLDC è superiore a quella del trapezio ABDC. Ovviamente, tale

eventuale guadagno avviene a danno del resto del mondo, che paga un prezzo più alto per una

minore quantità importata, con una perdita misurata dall’area PwEFP’w. Come si può facilmente

verificare dalla figura, tale perdita del resto del mondo è certamente maggiore dell’eventuale

guadagno del paese che impone la tassa sulle proprie esportazioni; la differenza é data dal

triangolo FEG, che rappresenta la perdita netta del mondo nel suo insieme.

45

2.3 - Il protezionismo non tariffario

Il protezionismo non tariffario comprende tutte le misure - sia commerciali che interne, che

hanno effetti sui flussi di commercio e che non sono assimilabili a tariffe o sussidi

all’importazione ed a tasse o sussidi all’esportazione. Rientrano in questa definizione,

innanzitutto, tutte le misure doganali che si traducono in restrizioni quantitative all’import-export,

quali le quote, siano esse imposte all’importazione o all’esportazione. Inoltre, vi rientrano anche

le misure di mantenimento di prezzi minimi garantiti alla produzione, quali prelievi (o

restituzioni) variabili all’importazione (all’esportazione) e sistemi di integrazione di prezzo, ma di

questi tratteremo più avanti, in relazione alle misure di politica agraria di sostegno ai mercati. Vi

rientrano, infine, sia pure indirettamente, le politiche di sussidio o di tassazione della produzione e

del consumo, in quanto misure che, anche quando nascono da esigenze interne, hanno effetti

distorsivi sul commercio internazionale.

2.3.1 - Quote di importazione

Partiamo dal caso di un paese “piccolo”, rappresentato nella figura 23. In essa, come al solito,

D ed S sono le sue curve di domanda e di offerta interne e DI è la sua funzione di domanda di

importazioni. In regime free trade, al prezzo mondiale Pw, dato esogenamente da una offerta di

esportazioni del resto del mondo completamente elastica (SEw), il paese importerà AB = PwL.

SD

SEw

DIDI '

Fig. 23 - Quota di importazione (paese "piccolo")

A B

C D

L

F

P

Pw

G

H

Pw

Mercato interno Mercato mondiale

E

P

Poniamo che il paese imponga una quota di importazione pari a CD = GP: ciò modificherà la

sua DI, rendendola perfettamente rigida (DI’) in corrispondenza del punto G: essendovi una quota,

cioè una restrizione quantitativa, qualunque sia il prezzo internazionale il paese non potrà

comunque importare più della quantità PG. La conseguenza è un aumento del prezzo interno a P e

46

l’insorgere di una “rendita” pari a CDFE per i possessori delle quote (licenze di importazione).

Nel caso in cui lo stato venda le quote o tassi i possessori, tale rendita va all’erario, e l’effetto è

del tutto simile all’imposizione di un dazio pari a P - Pw. La perdita di benessere, tutta concentrata

nel paese che impone la quota, è pari alla somma dei due triangoli AEC e DFB, che rappresentano

la perdita dei consumatori non compensata da guadagni dei produttori e dell’erario.

SD

SEw

DIDI '

Fig. 24 - Quota di importazione (paese "grande")

A B

C D

E

F

P

Pw

K

H

Pw

Mercato interno Mercato internazionale

GP 'w

P 'w

LM N

J

P

Venendo al caso del paese “grande” (figura 24), come al solito ciò che cambia è l’offerta di

esportazioni proveniente dal resto del mondo (SEw), che non è più perfettamente elastica, bensì

inclinata positivamente. In tal caso, la imposizione della quota CD = PK, oltre a far aumentare il

prezzo interno a P, fa anche diminuire il prezzo mondiale da Pw a P’w, per cui la rendita della

quota diventa CDFG = PKHP’w. Come nel caso del dazio, anche con una quota sulle

importazioni un paese “grande” può accrescere il proprio benessere a danno dei produttori esteri:

In particolare, nel nostro grafico, se l’area MNFG è superiore alla somma dei due triangoli ACG e

BFD il paese guadagna in termini di benessere, mentre i produttori esteri subiscono una perdita

pari all’area PwP’wHE. Il mondo nel suo insieme subirà comunque una perdita netta, pari al

triangolo KEH.

2.3.2 - Controlli (quote) sull’esportazione

Il problema è analogo a quello delle quote sull’importazione: esattamente come queste ultime

equivalgono ad una tariffa sull’importazione, la quota di esportazione ha effetti simili a quelli di

una tassa (protezione negativa).

In riferimento alla figura 25 (paese “piccolo”), si parte da un equilibrio di free trade in E, con

prezzo mondiale pari a Pw ed esportazioni del paese che si esamina, rappresentato nella parte

sinistra della figura pari ad AB = PwE. Se il paese in questione impone una quota di ammontare

47

pari a CD = PF, la sua offerta di esportazione (SE) diviene completamente rigida (SE’) in

corrispondenza della quota; poiché il paese è “piccolo”, la domanda di importazioni del resto del

mondo (DIw) è completamente elastica, per cui il prezzo mondiale rimane inalterato al suo livello

di free trade (Pw) e la maggiore offerta disponibile per il mercato interno fa scendere il prezzo

interno a P.

In conseguenza di questa politica, insorge una “rendita” pari a LHDC = PwGFP a vantaggio

dei possessori delle licenze di esportazione; tale rendita, nel caso che le licenze siano vendute o

tassate, può essere catturata dall’erario. Considerando il guadagno dei consumatori (PwACP) e la

perdita dei produttori (PwBDP) conseguente alla diminuzione del prezzo interno, il paese che

impone la quota subisce una perdita di benessere misurata dai triangoli ALC e HBD.

D SSE

SE '

DIw

Mercato interno Mercato mondiale

Fig 25 - Quota sull'esportazione (paese "piccolo")

Pw

P

Pw

P

A L H B

C D

G E

F

Per analizzare il caso del paese “grande” facciamo riferimento alla figura 26. In essa avremo

una domanda di importazioni del resto del mondo (DIw) che, a differenza di quanto avveniva nel

caso del paese “piccolo”, non è più infinitamente elastica, bensì inclinata negativamente; in

conseguenza di ciò, l’imposizione di una quota di esportazione pari a CD = PF comporterà, oltre

ad una riduzione delle esportazioni e del prezzo interno (da Pw a P), anche un aumento del prezzo

mondiale da Pw a P’w.

La “rendita” della quota è pari in questo caso a LMDC = P’wGFP, ed al solito essa può

considerarsi comunque un guadagno del paese che l’impone, sia che rimanga nelle mani degli

esportatori, sia che vada all’erario, qualora le licenze di esportazione fossero vendute al miglior

offerente.

48

D SSE

SE '

Mercato interno Mercato mondiale

Fig 26 - Quota sull'esportazione (paese "grande")

Pw

P

Pw

P

A

L

H B

C D

G

E

F

M

I

DIw

P'w P'w

In termini di benessere, i produttori interni subiscono una perdita misurata dall’area PwPDB,

mentre i consumatori guadagnano un’area di surplus pari al trapezio PwACP. Di conseguenza, il

paese che impone la quota potrebbe anche registrare un guadagno netto, se l’area LMIH fosse

maggiore della somma dei due triangoli AHC e IBD. Tale eventuale guadagno avverrebbe

comunque a spese del resto del mondo, la cui perdita di benessere è pari al trapezio P’wGEPw.

Come al solito, quindi, vi è una perdita netta di benessere per il mondo preso nel suo insieme,

misurata dal triangolo GEF.

2.3.3 - I sussidi alla produzione

Analizziamo il caso di sussidi alla produzione concessi in misura fissa per ogni livello di

quantità prodotta ed indipendenti al prezzo. Tale tipo di sussidio non è legato ad un livello di

ricavo prefissato, come avviene nel caso di schemi di prezzo minimo garantito basati su

integrazioni di prezzo (deficiency payments), di cui tratteremo nel seguito. Distingueremo, come

di consueto, tra paese importatore ed esportatore e tra paese “grande” e “piccolo”.

Incominciamo dal caso di paesi “piccoli”, analizzando la figura 27, che rappresenta il mercato

interno sia di un paese importatore (parte sinistra) che esportatore (parte destra). In entrambi i

casi, il prezzo interno è allineato, nella situazione iniziale, cioè in assenza di qualunque misura, al

livello del prezzo mondiale di free trade Pw.

Il sussidio alla produzione si può rappresentare, in entrambi i casi, come uno slittamento verso

il basso della funzione di offerta (da S a S’), in misura uguale al sussidio stesso (che, nella figura,

è appunto pari alla distanza verticale tra S ed S’). Infatti, la presenza di un sussidio si può

assimilare ad una riduzione dei costi di produzione, ovvero - a parità di costi - ad un aumento del

prezzo ricevuto dai produttori (da Pw a Pp) per ogni livello di produzione. La conseguenza è un

49

aumento della produzione interna da PwA a PwC cui corrisponde, nel paese importatore, una

diminuzione delle importazioni da AB a CB e, nel paese esportatore, un aumento delle

esportazioni da AB ad AC; fermi restando, in entrambi i casi, il prezzo mondiale ed il prezzo di

mercato interno al loro livello iniziale Pw.

D S

S '

D S

S '

Fig. 27 - Sussidio fisso alla produzione (paesi "piccoli")

Paese importatore paese esportatore

PwPw

Pp Pp

A C

D

B A B C

D

Gli effetti in termini di benessere, nel paese importatore, sono un guadagno dei produttori

misurato dall’area PwPpDA, a fronte di una spesa di bilancio pari a PpDCPw (produzione interna

per sussidio unitario), con una perdita pari al triangolo ADC. Analogamente, nel paese

esportatore, un guadagno dei produttori pari a PpDBPw si associa ad una spesa di bilancio pari a

PpDCPw, con una perdita misurata dal triangolo DBC. Ovviamente, trattandosi di paesi “piccoli”,

il benessere del resto del mondo non viene influenzato in misura significativa.

Venendo ora alla applicazione di un sussidio fisso alla produzione da parte di un paese

“grande”, incominciamo dal caso di un paese importatore, rappresentato nella figura 28. Anche

qui il sussidio alla produzione fa slittare verso il basso l’offerta interna da S a S’ e, con essa, la

domanda di importazioni del paese in questione che, sul mercato mondiale, passa da DI a DI’. La

conseguenza è una riduzione delle importazioni da AB=PwE a CD=P’wF, una riduzione del

prezzo mondiale sa Pw a P’w, con una produzione interna che si colloca a livello PwL = P’wC =

PpH.

I produttori interni del paese che applica il sussidio alla produzione guadagneranno in misura

pari a PwAHPp, a fronte di una spesa di bilancio pari a PpHCP’w (produzione interna per

sussidio unitario). Poiché, tuttavia, il paese è “grande”, stavolta vi è anche da considerare l’effetto

sul prezzo di mercato (mondiale ed interno), che si riduce da Pw a P’w, con conseguente

guadagno dei consumatori interni, misurato dall’area PwBDP’w. L’effetto netto sul benessere

complessivo del paese che applica il sussidio è, dunque, indeterminato, ed è positivo se il

triangolo ALH risulta minore del trapezio LCDB.

50

S

S '

D

DI

DI '

SEw

Mercato interno Mercato mondiale

Fig. 28 - Sussidio fisso alla produzione (paese importatore "grande")

Pp

Pw

P'w

Pw

P'w

H

A L B

DC

E

F

Tale eventuale guadagno è comunque fatto a spese del resto del mondo che, in considerazione

della riduzione del prezzo mondiale da Pw a P’w e della quantità esportata, patisce una perdita

pari a PwEFP’w. Si deve notare, inoltre, che tale perdita è comunque maggiore dell’eventuale

guadagno del paese che impone il sussidio e che, dunque, vi è una perdita netta di benessere del

mondo nel suo insieme. Poiché il trapezio PwEFP’W (perdita del resto del mondo) è equivalente

al trapezio ABDC12, tale perdita netta si può quantificare nel triangolo ACH nel grafico di destra

della figura 28.

Il caso dell’applicazione di un sussidio fisso alla produzione da parte di un paese esportatore

“grande” è rappresentato nella figura 29. Anche in questo caso, il sussidio fa slittare l’offerta

interna da S ad S’ e, con essa, l’offerta di esportazioni del paese in questione da SE ad SE’. La

conseguenza è un aumento delle sue esportazioni da AB = PwE a CD = P’wF ed una riduzione del

prezzo mondiale dal suo livello iniziale di free trade, Pw, a P’w.

La produzione interna sale a P’wD = PpG, con un guadagno dei produttori pari a PwPpGB ed

una spesa di bilancio PpGDP’w.

Essendo il guadagno dei consumatori interni pari all’area PwACP’w, il paese che impone il

sussidio patirà sicuramente una perdita, misurata da tutta l’area ABGDC. Il resto del mondo, che

in tal caso è importatore netto, al contrario, registra guadagna, in conseguenza della riduzione del

prezzo mondiale conseguente alla politica che stiamo esaminando, tutta l’area PwEFP’w. Essendo

12I due trapezi in questione, infatti, avendo per costruzione uguali basi ed uguale altezza, hanno anche la stessa area.

51

tale trapezio equivalente al trapezio ABDC su grafico di sinistra (uguali altezze ed uguale base),

la perdita netta del mondo nel suo insieme è misurata dal triangolo BDG.

DS

S '

DIw

SE

SE '

Mercato interno Mercato mondiale

Fig. 29 - Sussidio fisso alla produzione (paese esportatore "grande")

Pp

Pw

P'w

Pw

P'w

E

F

A B

C L D

G

Prima di concludere questo paragrafo si può mostrare come, nell’ipotesi di mercati

concorrenziali un sussidio alla produzione generi, a parità di sostegno assicurato agli agricoltori,

una perdita di benessere inferiore a quella conseguente alla imposizione di un dazio o di un

prelievo variabile. Ciò dipende dal fatto che con un sussidio alla produzione, al contrario di

quanto accade nel caso del dazio, ci si limita a distorcere il funzionamento del mercato solo dal

lato dell’offerta, mentre il prezzo al consumo e, quindi, la domanda, sono influenzati solo in via

indiretta.

Limitandosi al caso del paese “piccolo” la cosa si può verificare osservando le Figg.30 e 31

che, rispettivamente, trattano l’argomento con un approccio di equilibrio economico parziale e

generale. Iniziando dalla figura 30, la perdita di benessere conseguente ad un dazio pari a P - Pw

è, come si è visto, data dalla somma dei due triangoli ACE e DBF (perdita consumatori PDBPw,

meno guadagno produttori PCAPw, meno entrate per l’erario pari a CDFE).

Se lo stesso ammontare di sostegno, al livello del prezzo alla produzione P, è assicurato ai

produttori lasciando il prezzo del mercato interno al livello Pw di free trade e concedendo un

sussidio alla produzione pari a CE, tale da fare slittare l’offerta interna da S a S’, la perdita si

riduce al solo triangolo AEC. Tale perdita è dovuta alla spesa necessaria per il sussidio (PCEPw)

meno l’incremento di rendita dei produttori (PCAPw); il prezzo per i consumatori rimane Pw, la

quantità domandata OI e le importazioni si riducono solo dell’ammontare LG, dovuto

all’incremento di offerta interna conseguente alla concessione del sussidio alla produzione.

52

S D

P

Pw

O L G H I

C D

A E FB

Fig.30 - Confronto tra dazio e integrazione di prezzo (equilibrio parziale)

S'

Più in generale, sempre nell’ambito delle ipotesi neoclassiche di mercati perfettamente

concorrenziali, anche in un contesto di equilibrio economico generale si dimostra che la perdita di

benessere associata a un sussidio alla produzione - a parità di sostegno assicurato ai produttori - è

sempre inferiore a quella associata all’imposizione di un dazio.

Nella figura 31 utilizziamo la curva delle possibilità produttive e le curve di indifferenza

sociali (ragioniamo, quindi, di nuovo in termini di due prodotti) e consideriamo il caso di un

paese “piccolo”; non in grado, cioè, di influenzare la ragione di scambio internazionale. Come si

ricorderà, l’equilibrio di free trade, data la ragione di scambio internazionale RR, è in A sul fronte

della produzione e in C sul fronte del consumo, con esportazione di FA di tessuto ed importazione

di FC di grano. Poniamo che, per sostenere il reddito dei propri produttori, il paese voglia

aumentare da OL a OM la produzione interna di grano.

Una possibilità è fornita dall’imposizione di un dazio sull’importazione di grano, che distorce

la ragione di scambio interna (II), generando un nuovo equilibrio in B. Da questo punto il paese

potrà ancora scambiare tessuto contro grano, ovviamente alla ragione di scambio internazionale

(RR), muovendosi lungo le proprie curve di indifferenza, ma dovrà rispettare il vincolo

dell’uguaglianza tra saggio marginale di sostituzione tra grano e tessuto e rapporto tra i prezzi

interni dei due beni: la pendenza della curva di indifferenza dovrà dunque eguagliare la pendenza

della II, per cui il massimo raggiungibile è il punto E, giacente sulla I1.

53

C

Una alternativa al dazio è costituita dalla concessione di un sussidio alla produzione di grano:

ciò consente di raggiungere il punto B lasciando inalterato il rapporto tra i prezzi interni di grano e

tessuto al suo valore internazionale di free trade (pari alla pendenza della RR) ed evitando,

dunque, di apportare distorsioni anche nella sfera del consumo. Ciò significa che, una volta che la

produzione abbia raggiunto il punto B, il paese in questione potrà scambiare sul mercato

internazionale tessuto contro grano lungo la RR, fino alla sua tangenza con una curva di

indifferenza (I2) più lontana dall’origine, collocandosi nel punto D.

Questo risultato, essendo comunque il frutto di una distorsione, rimane comunque inferiore al

punto C, corrispondente all’equilibrio di free trade, ma ciò che qui interessa sottolineare è che

esso è nettamente superiore al punto E, che rappresentava il massimo ottenibile nella situazione

conseguente alla applicazione dazio.

2.3.4 - Sussidi al consumo

Gli effetti dei sussidi al consumo sono esattamente speculari a quelli derivanti dai sussidi alla

produzione.

54

Nella figura 32 è rappresentato il caso di paesi “piccoli”, sia importatori (grafico di sinistra)

che esportatori (grafico di destra). La concessione di un sussidio al consumo si può rappresentare

con un aumento della quantità domandata in corrispondenza di ogni livello del prezzo di mercato

e, dunque, in uno slittamento verso l’alto della funzione di domanda interna, da a D a D’; tale

slittamento, nel nostro caso, sarà parallelo, poiché stiamo qui ipotizzando che il sussidio sia di

ammontare unitario fisso, cioè indipendente dalla quantità complessivamente consumata e dal

prezzo di mercato. Ciò corrisponde ad una diminuzione del prezzo al consumo da Pw a Pc e ad un

aumento del consumo interno da PwB a PwC = PcE, che si traduce a sua volta in un aumento

delle importazioni da AB ad AC. Ovviamente, essendo il paese “piccolo”, tale aumento di

importazioni può essere soddisfatto a prezzo mondiale costante.

Paese importatore Paese esportatore

Fig. 32 - Sussidi al consumo (paesi "piccoli")

D D' S

D D' S

Pw Pw

PcPc

A BC

E E

A C B

In conseguenza di questi spostamenti, i consumatori interni guadagnano un’area di benessere

pari a PwBEPc, a fronte di una spesa del bilancio pubblico di PwCEPc (quantità consumata per

sussidio unitario) e, dunque, con una perdita netta del paese che impone il sussidio pari al

triangolo BCE. Analogamente, nel caso del paese esportatore, all’aumento del consumo interno

corrisponderà una riduzione delle esportazioni (da AB a CB), nonché un guadagno dei

consumatori interni (PwAEPc) più che compensato dalla spesa di bilancio (PwCEPc), con una

perdita netta pari al triangolo ACE. In entrambi i casi, non mutando il prezzo mondiale, il

benessere del resto del mondo rimarrà inalterato.

Passando alla rappresentazione degli effetti di un sussidio al consumo da parte di paesi

“grandi”, incominciamo dal caso del paese importatore (figura 33).

Qui l’aumento della domanda interna dovuto al sussidio ed il conseguente slittamento della

domanda di importazioni (da DI a DI’), in presenza di una offerta di esportazioni del resto del

mondo non più perfettamente elastica, comporta un aumento del prezzo mondiale, da Pw a P’w.

55

Sul mercato interno il prezzo al consumo (Pc) sarà ora pari al nuovo prezzo mondiale, P’w, meno

il sussidio, con un aumento del consumo da PwB a PcG ed un guadagno di benessere dei

consumatori interni misurato dall’area PwBGPc. La spesa conseguente al sussidio è pari a

P’wDGPc, mentre vi è un guadagno dei produttori interni (conseguente all’aumento del prezzo di

mercato da Pw a P’w) equivalente al trapezio P’wCAPw.

Il paese che applica il sussidio, dunque, patisce un perdita netta di benessere pari all’area

CDGBA, mentre il resto del mondo registra un guadagno (comunque minore), pari a P’wFEPw.

Ricordando che i trapezi P’wFEPw e CABD sono equivalenti, la perdita netta di benessere del

mondo nel suo insieme è misurata, nel grafico di sinistra, dal triangolo BDG.

S

DI

DI '

SEw

Mercato interno Mercato mondiale

Fig. 33 - Sussidio fisso al consumo (paese importatore "grande")

Pc

Pw

P'w

Pw

P'w

A B

DC

E

F

D'D

G

Nel caso del paese “grande” esportatore - rappresentato nella figura 34 - il ragionamento è del

tutto analogo. Il sussidio al consumo fa slittare verso l’alto la domanda interna del paese in

questione e, con essa, la sua offerta di esportazioni (da SE a SE’); essendo la domanda di

importazioni del resto del mondo non perfettamente elastica, ciò produrrà un aumento del prezzo

mondiale da Pw a P’w ed una diminuzione delle esportazioni del paese che impone il sussidio, da

AB = PwE a CD = P’wF.

I consumatori interni guadagnano PwAGPc, a fronte di una spesa di bilancio pari a P’wCGPc.

Il guadagno dei produttori interni (misurato dall’area P’wDBPw) è maggiore rispetto a quello che

si aveva nel caso precedente, per cui il saldo netto di benessere è indeterminato: esso, infatti,

potrebbe anche essere positivo, se il trapezio CDBH fosse maggiore del triangolo AHG.

56

A B

C D

E

F

H

Pc

PwPw

D S

SE '

SE

DIw

Mercato interno Mercato mondiale

G

Fig. 34 - Sussidio al consumo (paese esportatore "grande")

P'w P'w

D'

A fronte di tale potenziale guadagno del paese che impone il sussidio vi è comunque una

(maggiore) perdita del resto del mondo, misurata dal trapezio P’wFEPw. Poiché, inoltre,

quest’ultimo trapezio è equivalente al trapezio ACDB (avendo essi uguali basi ed uguale altezza),

la perdita netta di benessere per il mondo nel suo insieme è misurata dal triangolo ACG.

2.3.5 - Tasse alla produzione e al consumo

Gli effetti di una tassa sulla produzione (sul consumo) sono esattamente equivalenti a quelli di

un sussidio al consumo (alla produzione), per cui omettiamo la loro rappresentazione grafica.

Nel caso di tasse alla produzione, c’è uno slittamento verso l’alto dell’offerta interna (gravata

dalla tassa). Se il paese è importatore, vi sarà un aumento della domanda di importazioni; se il

paese è esportatore vi sarà una diminuzione della sua offerta di esportazioni. In entrambi i casi, se

il paese è “grande”, il prezzo mondiale aumenterà: nel caso del paese importatore vi sarà un

trasferimento di benessere dal paese che impone la tassa a favore del resto del mondo, mentre nel

caso di paese esportatore l’imposizione di una tassa può far aumentare il suo benessere a danno

del resto del mondo. In ogni caso, il mondo nel suo insieme subirà una perdita netta di benessere.

L’imposizione di una tassa sul consumo comporta una riduzione della domanda interna, con

effetti esattamente opposti: se il paese è importatore vi sarà una riduzione della sua domanda di

importazioni, mentre se il paese è esportatore vi sarà un aumento della sua offerta di esportazioni.

In entrambi i casi, se il paese che impone la tassa al consumo è “grande”, il prezzo mondiale

diminuirà: nel caso del paese importatore, la tassa sul consumo può tradursi in un aumento del suo

benessere a danno del resto del mondo; nel caso di paese esportatore, invece, la tassa sul consumo

si traduce in un trasferimento di benessere dal paese che impone la tassa a favore del resto del

mondo. In ogni caso, il mondo nel suo insieme subirà una perdita netta di benessere.

57

2.4. - Tassi di cambio e protezione

Nella determinazione dell’equilibrio commerciale di un paese una variabile cruciale è costituita

dal tasso di cambio. Essendo, infatti, il tasso di cambio il prezzo della valuta estera espresso in

moneta nazionale, è evidente come esso influisca in modo diretto sul livello del prezzo

internazionale rilevante per il commercio: sul prezzo delle importazioni, espresso nella valuta del

paese che importa e sul prezzo delle esportazioni, espresso nella valuta del paese che esporta.

Il tasso di cambio è una variabile macroeconomica che risente, come tale, del comportamento

di altre macro-variabili quali l’inflazione, il tasso di interesse, le aspettative sull’andamento

dell’economia, etc. Tuttavia, esso è in qualche misura manovrabile dalle autorità di politica

economica di un paese, che possono praticare politiche di sopra o sotto-valutazione del tasso di

cambio e/o possono favorire od ostacolare fenomeni di svalutazione o rivalutazione, per

influenzare gli andamenti reali dell’economia.

Più in particolare, ciò che qui ci interessa è l’effetto che la variazione del tasso di cambio

produce sui flussi commerciali, in termini di incentivo, o disincentivo, alle importazioni o alle

esportazioni del paese interessato. Per analizzare il problema ci serviremo di una rappresentazione

grafica in grado di far variare, al variare del tasso di cambio, le funzioni di domanda di

importazioni o di offerta di esportazioni rilevanti per la determinazione degli equilibri

commerciali.

Nella figura 35 incominciamo con il caso di un paese esportatore “piccolo”. Relativamente ad

un dato prodotto, nel grafico che compare in alto a sinistra della figura rappresentiamo la funzione

di offerta di esportazioni (SEn) in valuta nazionale, vale a dire l’eccesso di offerta sulla domanda

che vi è, sul mercato interno, in corrispondenza ad ogni livello di prezzo. Nel grafico in alto a

destra rappresentiamo, con una serie di semirette uscenti dall’origine, il tasso di cambio tra la

valuta nazionale (N) ed il dollaro ($), che ipotizziamo sia la valuta in cui si effettuano gli scambi

internazionali del prodotto in questione; poiché su tale grafico vi sono unità di N sull’asse y ed

unità di dollari sull’asse x, il tasso di cambio N/$ è dato dall’angolo formato dalle semirette con

l’asse delle ascisse: maggiore tale angolo, maggiore l’ammontare di N che si scambia con un

dollaro e, dunque, maggiore la svalutazione della valuta nazionale rispetto al dollaro.

Il grafico in basso a destra è un grafico di passaggio, con una bisettrice a 45°, il cui unico

scopo è riportare i dollari misurati sull’asse x del grafico in alto a destra, sull’asse y del grafico in

basso a sinistra. In quest’ultimo grafico, che rappresenta il mercato internazionale, possiamo

costruire per punti la funzione di offerta di esportazioni del nostro paese - la SEn del primo

grafico - esprimendola in funzione non più del prezzo interno, ma del prezzo internazionale,

denominato, appunto, in dollari. Per fare questo, “passiamo” attraverso i quattro grafici della

figura 35 procedendo in senso orario: ad ogni punto della SEn corrisponde una quantità di eccesso

di offerta ed un prezzo P, espresso in valuta nazionale; attraverso il tasso di cambio, otteniamo il

contro-valore in dollari del prezzo P che, operando attraverso il grafico di collegamento in basso a

destra, proiettiamo sull’asse delle ordinate del grafico in basso a sinistra, relativo al mercato

internazionale; a tale livello di prezzo espresso in dollari possiamo associare l’eccesso di offerta

58

corrispondente al punto della SEn da cui siamo partiti, ottenendo in tal modo un punto della

SEwo. Immaginando di ripetere l’operazione per un numero sufficiente di volte, siamo in grado di

disegnare la funzione di offerta di esportazioni del nostro paese, così come essa si presenta sul

mercato internazionale.

45°

SEwo

SEw2

SEw1

Q

Q

Pw

$

$

$

NP

mercato interno Cambio N/$

0

2 (rival.)

1 (sval.)

SEn

P1

P0

P2

Pw

mercato mondiale

Fig. 35 - Tasso di cambio e commercio (paese esportatore "piccolo")

Q2 Q0 Q1

Q2 Q0 Q1

E FG

E'

G'

F'

Nella situazione di partenza, con un tasso di cambio N/$ rappresentato dalla semiretta “0”,

abbiamo che la SEn del grafico in alto a destra corrisponde alla SEwo nel grafico che rappresenta

il mercato internazionale. Essendo il paese “piccolo”, il prezzo mondiale (Pw) è dato; l’equilibrio

si avrà nel punto E e l’esportazione sarà pari alla quantità Qo. Tale equilibrio, sul mercato interno

del nostro paese, si collocherà in E’, con una identica quantità esportata ed un prezzo in valuta

nazionale pari a Po. Naturalmente, la nostra costruzione grafica ci assicura che Po = rPw, dove “r”

59

è il tasso di cambio, espresso come ammontare di unità di moneta nazionale (N) necessarie ad

acquistare un dollaro.

Introduciamo ora una svalutazione del tasso di cambio rispetto al dollaro, che rappresentiamo

con uno slittamento verso l’alto, da “0” ad “1”, della semiretta nel grafico in alto a destra. In

corrispondenza del nuovo tasso di cambio, ferma restando la SEn, cioè la funzione di offerta di

esportazioni del nostro paese rispetto al prezzo in valuta nazionale, cambia la SEw - cioè il modo

in cui tale funzione si presenta sul mercato internazionale, quando espressa rispetto al prezzo in

dollari - slittando a SEw1. Infatti, a seguito della svalutazione, il prezzo mondiale espresso in

valuta nazionale corrisponde ad un prezzo interno più alto (P1) e, dunque, ad una maggiore

quantità esportata (Q1), in corrispondenza del punto F.

In modo del tutto analogo, la figura 35 consente di verificare gli effetti di una rivalutazione del

tasso di cambio: questa fa slittare verso il basso la semiretta che rappresenta il cambio N/$ (per

esempio, da “0” a “2”) e, di conseguenza, fa slittare verso l’alto la SEw. Ciò, fermo restando il

prezzo mondiale (ricordiamo che stiamo analizzando il caso del paese “piccolo”), determina una

riduzione del prezzo interno in valuta nazionale (P2) e della quantità esportata (Q2), in

corrispondenza del punto G.

Concettualmente identico e solo leggermente più complicato è il ragionamento da fare

nell’ipotesi di paese “grande”.

In tal caso, così come rappresentato nella figura 36, sul mercato mondiale il prezzo non sarà

indipendente dalla quantità esportata dal nostro paese e, dunque, la domanda di importazioni del

resto del mondo (DIw) non sarà più una retta orizzontale, come avveniva nel caso di paese

“piccolo”, ma avrà una inclinazione negativa. Nella situazione di partenza, il prezzo mondiale

(Pwo) sarà dato dall’incontro tra la DIw e la SEwo, derivando quest’ultima dalla SEn, sulla base

del tasso di cambio “0”, con il procedimento prima descritto. In corrispondenza del punto E, la

quantità esportata sarà pari a Qo al prezzo mondiale Pwo equivalente, sul mercato interno, al

prezzo P0 espresso in valuta nazionale.

Per il resto, si ragiona in modo del tutto analogo a quanto abbiamo fatto nel caso del paese

“piccolo”: una svalutazione farà slittare verso il basso la funzione di offerta di esportazioni SEw,

determinando un aumento della quantità esportata, mentre una rivalutazione farà slittare la SEw

verso l’alto, con una diminuzione della quantità esportata.

La differenza rispetto al ragionamento fatto in precedenza è che, poiché il paese è “grande”,

insieme al prezzo interno espresso in valuta nazionale varia anche il prezzo mondiale espresso in

dollari: quest’ultimo, infatti, come si vede dalla figura 36, diminuisce nel caso della svalutazione

ed aumenta nel caso della rivalutazione in conseguenza, rispettivamente, dell’aumento o della

diminuzione della quantità esportata indotta dalla variazione del tasso di cambio. Da ciò deriva

anche che le variazioni del prezzo interno conseguenti ad una svalutazione o ad una rivalutazione

del tasso di cambio saranno minori, nel caso di paesi “grandi”, di quelle che si verificano nel caso

di paesi “piccoli”: esse, infatti, sconteranno una variazione di segno opposto del prezzo mondiale,

60

la cui misura sarà inversamente proporzionale al valore assoluto della elasticità della domanda di

importazioni del resto del mondo.

45°

SEwo

SEw2

SEw1

Q

Q

Pw

$

$

$

NP

mercato interno Cambio N/$

0

2 (rival.)

1 (sval.)

SEn

P1

P0

P2

mercato mondiale

Fig. 36 - Tasso di cambio e commercio (paese esportatore "grande")

DI

Pw0

Pw2

Pw1

Q0 Q1Q2

E'

F'

G'

E

F

G

Q0 Q1Q2

Nella figura 36 abbiamo “portato” sul mercato mondiale la funzione di offerta di esportazioni

del paese che stiamo esaminando, esprimendola rispetto al prezzo in dollari ed ottenendo

l’equilibrio attraverso il suo incontro con la domanda di importazioni proveniente dal resto del

mondo, anch’essa espressa in dollari. Ad un risultato del tutto analogo si perviene “portando” sul

mercato interno - e, dunque, esprimendola rispetto al prezzo in valuta nazionale - la domanda di

importazioni del resto del mondo.

Tale modo di procedere è rappresentato nella figura 37. In essa si parte dal mercato mondiale e,

“passando” in senso antiorario per i due grafici a destra della figura, si esprime la domanda di

61

importazioni DIw rispetto al prezzo in valuta nazionale, trasformandola nelle DI disegnate nel

grafico in alto a sinistra.

45°

SEwo

Q

Q

Pw

$

$

$

NP

mercato interno Cambio N/$

0

2 (rival.)

1 (sval)

SEn

P1

P0

P2

DI0

Qo

DIw

DI2

DI1

Mercato mondiale

Fig. 37 - Tasso di cambio e commercio (paese esportatore "grande" II)

Pw2

Pw1

Q2 Q1

Pw0

Q0 Q1Q2

E

F

G

E'

F'

G'

Una svalutazione, rendendo le merci prodotte nel paese in questione più competitive, farà

slittare verso l’alto (DI1) la domanda di importazioni proveniente dal resto del mondo e, con essa,

farà aumentare (a Q1) le esportazioni ed il prezzo interno (P1), mentre il contrario accadrà nel

caso di una rivalutazione. E’ facile verificare che gli effetti sono del tutto identici a quelli

analizzati nella figura 36.

Venendo al caso del paese importatore ci si limita, per brevità, alla ipotesi di paese “grande” ed

a un solo tipo di rappresentazione. Nel grafico in alto a destra della figura 38 vi è il mercato

interno del paese in questione, dove si determina la sua domanda di importazioni (DI), cioè

l’eccesso della domanda sull’offerta in corrispondenza a ciascun livello del prezzo interno. Al

62

tasso di cambio “0”, esprimendola rispetto al prezzo in dollari, la DI diventa la DIwo; essa, sul

mercato mondiale (grafico in basso a sinistra) incontra la funzione di offerta di esportazioni del

resto del mondo (SEw) nel punto E. Il paese, dunque, importerà la quantità Q0 al prezzo in dollari

pari a Pwo, corrispondente al prezzo Po in valuta nazionale.

45°

SEw

Q

Q

Pw

$

$

$

NP

mercato interno Cambio N/$

0

2 (rival.)

1 (sval.)

P1

P0

P2

mercato mondiale

Fig. 38 - Tasso di cambio e commercio (paese importatore "grande")

Q2Q0Q1

DI

Pw0

Pw1

DIw2

DIw1

DIw0

Q2Q0Q1

E

F

G

E'

F'

G'

Una svalutazione, rendendo più care le merci provenienti dall’estero, comporterà uno

slittamento verso il basso della domanda di importazioni del nostro paese rispetto al prezzo in

dollari (DIw1), una riduzione della quantità importata (Q1) e, con essa, del prezzo mondiale

(Pw1). Ovviamente, il prezzo interno, espresso in valuta nazionale, invece, aumenterà, portandosi

a P1. Al contrario, una rivalutazione, facendo slittare verso l’alto (DIw2) la domanda di

63

importazioni, farà aumentare sia le importazioni (Q2) che il prezzo mondiale (Pw2), mentre il

prezzo interno in valuta nazionale diminuirà.

Sintetizzando quanto abbiamo visto nei grafici più sopra commentati, gli effetti commerciali

delle variazioni dei tassi di cambio si possono individuare nei seguenti punti.

1) Una rivalutazione (ovvero una sopravvalutazione) del tasso di cambio, nel caso di un paese

esportatore, corrisponde alla imposizione di una tassa sulle esportazioni. Essa, infatti, si può

rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso l’alto della funzione di offerta di

esportazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del paese che

rivaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno slittamento verso

il basso della domanda di importazioni proveniente dal resto del mondo (misurata rispetto al

prezzo interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:

- se il paese è “piccolo” vi sarà una riduzione del prezzo interno e delle quantità esportate;

- se il paese è “grande” alla riduzione (minore) del prezzo interno e delle quantità

esportate si aggiungerà un aumento del prezzo mondiale espresso in valuta estera.

2) Una rivalutazione (ovvero una sopravvalutazione) del tasso di cambio, nel caso di un paese

importatore, corrisponde alla concessione di un sussidio alle importazioni. Essa, infatti, si può

rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso l’alto della funzione di domanda

di importazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del paese che

rivaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno slittamento verso

il basso della offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (misurata rispetto al prezzo

interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:

- se il paese è “piccolo” vi sarà una riduzione del prezzo interno ed un aumento delle

quantità importate;

- se il paese è “grande” alla riduzione (minore) del prezzo interno ed all’aumento delle

quantità importate si aggiungerà un aumento del prezzo mondiale espresso in valuta

estera.

3) Una svalutazione (ovvero una sottovalutazione del tasso di cambio), nel caso di un paese

esportatore, corrisponde alla concessione di un sussidio alle esportazioni. Essa, infatti, si può

rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso il basso della funzione di offerta

di esportazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del paese che

svaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno slittamento verso

l’alto della domanda di importazioni proveniente dal resto del mondo (misurata rispetto al prezzo

interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:

- se il paese è “piccolo” vi sarà un aumento del prezzo interno e delle quantità esportate;

- se il paese è “grande” all’aumento (minore) del prezzo interno e delle quantità esportate

si aggiungerà una riduzione del prezzo mondiale espresso in valuta estera.

4) Una svalutazione (ovvero una sottovalutazione del tasso di cambio), nel caso di un paese

importatore, corrisponde alla imposizione di una tassa sulle importazioni. Essa, infatti, si può

64

rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso il basso della funzione di

domanda di importazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del

paese che svaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno

slittamento verso l’alto della offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (misurata

rispetto al prezzo interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:

- se il paese è “piccolo” vi sarà un aumento del prezzo interno ed una riduzione delle

quantità importate;

- se il paese è “grande” all’aumento (minore) del prezzo interno ed alla riduzione delle

quantità omportate si aggiungerà una riduzione del prezzo mondiale espresso in valuta

estera.

65

PARTE TERZA

La misura del protezionismo

3.1. La misura del protezionismo in agricoltura: una riscoperta recente

La rilevanza assunta negli anni ottanta dai problemi connessi al cattivo funzionamento dei

mercati internazionali dei prodotti agricoli ha conferito grande importanza al tema della

misurazione del protezionismo in agricoltura. Questo rinnovato interesse è condiviso da almeno

due punti di vista rispetto ai quali una tale misurazione risulta indispensabile.

In primo luogo, nell’ambito scientifico, alla fine degli anni ottanta vi è stato un ritorno al tema

classico della valutazione degli effetti economici del protezionismo e/o della liberalizzazione: chi

ci guadagna, chi ci perde, quale è il grado di distorsione rispetto ad una ipotetica situazione di free

trade. In secondo luogo, con riferimento più esplicito ai negoziati Gatt dell’Uruguay round che,

come è noto, hanno posto la trattativa agricola in una posizione di primissimo piano, vi è stata la

necessità di misurare l’intensità del protezionismo in agricoltura: in particolare, si è avvertita

l’esigenza di poter disporre di indicatori utilizzabili sia come base di partenza di un accordo di

riduzione “per formule” del protezionismo, sia come strumenti di “monitoraggio” del rispetto

dell’accordo stesso, per confronti tra prodotti, tra paesi, nel tempo. Sotto quest’ultimo profilo, un

indicatore da utilizzare per la misura del protezionismo in agricoltura dovrebbe possedere

contemporaneamente tre fondamentali requisiti:

a)Relativa semplicità, sia in riferimento all’ammontare di dati ed ai problemi di stima

legati al calcolo dell’indicatore che, sul piano concettuale, in riferimento alle ipotesi

necessarie ad interpretarne il significato in modo non ambiguo.

b)Sufficiente globalità, cioè capacità di catturare gli effetti protezionistici di tutte le

misure che si ritengono distorsive del commercio, o di cui comunque si vogliono

misurare gli effetti, comprendendo anche quelle che non si traducono in espliciti

interventi di carattere tariffario o doganale.

c)flessibilità dell’indicatore utilizzato, in relazione al ventaglio di misure da prendere in

considerazione (il cosiddetto policy coverage): in altri termini dovrebbe essere possibile

includere o meno nel calcolo alcuni tipi di interventi, a seconda della maggiore o minore

ampiezza che si intende dare alla definizione di “protezione commerciale” a cui ci si

riferisce.

c)Il quarto requisito è la sensibilità dell’indicatore prescelto, cioè la capacità di riflettere

effettivamente le variazioni delle politiche di distorsione del commercio da parte di un

paese per il quale è misurato, al netto delle altre variabili che possono influenzarne il

valore.

66

Gli indicatori tradizionali con cui si misura il protezionismo, vale a dire il tasso nominale di

protezione (Tnp) ed il tasso effettivo di protezione (Tep), come vedremo nelle pagine che

seguono, posseggono solo in parte i requisiti appena descritti.

3.2 Il tasso nominale di protezione

Il tasso nominale di protezione (Tnp) si definisce, per ogni prodotto, nel modo seguente: Pn - Pw Tnp = --------------------- (I) Pw

dove Pn è il prezzo interno e Pw è il prezzo mondiale.

Il Tnp certamente possiede il requisito di semplicità, non presentando grossi problemi né sul

fronte concettuale, né su quello del calcolo, se si eccettuano quelli relativi alla individuazione di

un prezzo mondiale di riferimento. Esiste, al riguardo, una duplice difficoltà: la prima, che è

soprattutto di ordine pratico, è la materiale difficoltà di identificare correttamente il prezzo

mondiale da utilizzare, spesso associata alla non facile specificazione del “prodotto” che si

esamina o del punto della catena produttivo-distributiva a cui si opera. Tale problema in campo

agricolo esiste di frequente per prodotti differenziati - sotto il profilo qualitativo e/o in relazione al

diverso ammontare di servizi commerciali in essi inglobati13 - o per prodotti che, per

caratteristiche intrinseche (deperibilità, stagionalità, etc.), hanno un mercato internazionale molto

ristretto o fortemente segmentato. In casi del genere la scelta del prezzo mondiale da inserire nella

(I) risulta caratterizzata da un notevole grado di arbitrarietà.

La seconda difficoltà riguarda la circostanza che il prezzo mondiale corrente, cioè quello

osservato sui mercati internazionali, è esso stesso un prezzo distorto dalle misure protezionistiche

dei vari paesi, compreso il paese - se esso è sufficientemente “grande” in termini di quota di

commercio - di cui si sta misurando il Tnp. Entrambe queste difficoltà non sono certo irrilevanti,

ma va sottolineato che esse si ritrovano, oltre che nel Tnp, in qualunque indicatore di protezione

basato sul differenziale tra prezzo interno e prezzo mondiale.

Tornando alla definizione del Tnp si può aggiungere la possibilità di distinguere tra un Tnp

alla produzione (Tnpp) ed un Tnp al consumo (Tnpc), definendoli nel modo seguente:

Pnp - Pw Pnc - Pw Tnpp = ----------------------- e Tnpc = --------------------- Pw Pw

dove Pnp è il prezzo interno alla produzione, Pnc quello al consumo e Pw il prezzo mondiale,

tutti considerati al netto dei margini distributivi. Il Tnpp è una misura della distorsione indotta dal

lato della produzione e il Tnpc di quella indotta dal lato del consumo: ovviamente, l’effetto sul

13Nel caso dei prodotti agricoli un esempio tipico è fornito dal vino che, oltre ad essere differenziato dal punto di

vista qualitativo, è anche commercializzato in forme e canali molto diversi: si va, infatti, dalla sua esportazione "anonima" in navi-cisterna a quella in bottiglie direttamente destinate alla tavola dei consumatori, a loro volta fortemente differenziate in quanto a confezione, marchio, pubblicità.

67

commercio di tali distorsioni, in termini di scostamento della domanda di importazioni o

dell’offerta di esportazioni del paese e del prodotto esaminato dai loro valori di free trade, sarà

direttamente correlato, rispettivamente, alla elasticità-prezzo dell’offerta e della domanda interne.

I Tnpp e Tnpc coincideranno o differiranno a seconda del mix di interventi adottato, che

influenza diversamente i prezzi alla produzione e al consumo: tasse o sussidi al consumo

influenzano soprattutto il Tnpc, programmi tipo deficiency payments influenzano soprattutto il

Tnpp, mentre le misure alla frontiera, quali tariffe o quote, influenzano entrambi in misura

identica14.

Nel caso più semplice, di un paese “piccolo”, in cui l’unico intervento sia una tariffa ad

valorem, Tnpp e Tnpc sono uguali, e coincidono con l’aliquota (t) della tariffa. In tal caso, infatti,

non vi sarà differenza, al netto dei margini distributivi, tra prezzo alla produzione e prezzo al

consumo, ed il prezzo interno sarà pari al prezzo mondiale aumentato proporzionalmente

all’aliquota del dazio: Pn = Pw + t x Pw

da cui:

Pn - Pw t = ---------------------- = Tnp Pw

Anche in questo semplice caso, le cose si complicano un po’ quando si rimuove l’ipotesi di

paese “piccolo” e quando si considera la possibilità che il protezionismo di un paese “grande”

(tale, cioè, da detenere quote significative delle importazioni o delle esportazioni mondiali)

influenzi non solo il prezzo interno, facendolo aumentare, ma anche il prezzo internazionale,

facendolo diminuire. In tal caso il Tnp continua a misurare correttamente la protezione in termini

di differenziale tra Pn e Pw, ma non coglie le implicazioni, diverse, in termini di misura della

distorsione interna ed internazionale che tale protezione comporta.

La figura 39 illustra questo punto. In esso la parte sinistra rappresenta il mercato interno, con

curve di domanda (D) ed offerta (S) interne, mentre nella parte destra viene rappresentata la

formazione del prezzo sul mercato mondiale, come incontro tra domanda di importazioni del

paese che impone la tariffa (DI) ed offerta di esportazioni del resto del mondo (SE). Quest’ultima

sarà infinitamente elastica (SE1) se il paese in questione è “piccolo” e quindi tale da essere price

taker, mentre avrà una inclinazione positiva (SE2) se esso è “grande”: in quest’ultimo caso,

infatti, un aumento delle sue importazioni, rappresentando queste una quota significativa del

mercato mondiale, sarà soddisfatto solo a prezzi crescenti da parte degli esportatori15.

14 Nel caso di paese "grande" un sussidio o una tassa al consumo (alla produzione) influenzerà - sia pure in misura

minore - anche il Tnpp (Tnpc): infatti la variazione di consumo (di produzione) interno che ne deriva comporta una variazione della domanda di importazioni del paese, con conseguente variazione del prezzo mondiale che entra nel calcolo del Tnpp (Tnpc).

15 Abbiamo qui ipotizzato un paese importatore, ma nulla cambia, concettualmente, nel caso di un paese esportatore (il cui protezionismo potrebbe essere un sussidio all'esportazione): in tal caso si avrebbe una SE del paese in questione

68

In una situazione di free trade il prezzo mondiale è Pw1 e tale è, ovviamente, anche il prezzo

interno, per una quantità importata pari ad AB. L’imposizione di una tariffa fa slittare verso il

basso la DI, per un ammontare pari alla tariffa. Nel caso del paese “piccolo”, ciò fa salire il prezzo

interno a Pn1, in misura pari all’intero ammontare della tariffa, e fa diminuire le importazioni a

CD; nel caso del paese “grande” il prezzo interno sale solo a Pn2 perché una parte del dazio si

scarica sul prezzo internazionale, che scende a Pw2, mentre le importazioni saranno EF.

SE1

SE2

DIDI 'DS

Pn1

Pn2

Pw1

Pw2

Pw1

Pw2

A B

C D

E F

G H

I L

P Q

V

R

Z

SPn1

Pn2

Mercato interno Mercato mondiale

Fig. 39 - Tasso nominale di protezione in presenza di una tariffa

Come è facile verificare, il Tnp è lo stesso in entrambi i casi, infatti:

Pn1 - Pw1 Pn2 - Pw2 Tnp1 = ------------------------- = Tnp2 = ------------------------- Pw1 Pw2

Molto diverse sono, tuttavia, le implicazioni sotto il profilo delle variazioni di benessere: nel

caso del paese “piccolo” vi è un trasferimento dai consumatori ai produttori interni e al bilancio,

con una perdita netta pari ai due triangoli ACG e BHD; mentre, nel caso di paese “grande”, il

trasferimento è in parte anche a carico dei produttori esteri, con un saldo netto di benessere che,

per il paese che applica la tariffa, può anche essere positivo (ciò accade se l’area del rettangolo

IPQL è maggiore di quella dei due triangoli APE + BQF).

Una conseguenza importante delle considerazioni appena fatte è che l’interpretazione del Tnp

risulta univoca solo se con esso ci si accontenta di misurare il protezionismo come differenziale

tra prezzo interno e prezzo mondiale corrente. Risulta, invece, ambigua e distorta, se si è

interessati a misurare, più correttamente, il differenziale tra il prezzo interno ed il prezzo mondiale

e una DI del resto del mondo, più o meno elastica a seconda che, rispetto ad esso, il paese esaminato sia più o meno "grande".

69

che si avrebbe in assenza delle misure di protezione16: in quest’ultimo caso, il Tnp di un paese

“grande”, se utilizza il Pw corrente (il Pw2 del nostro esempio grafico), sovrastima i costi per i

produttori ed i benefici per i consumatori che si avrebbero in conseguenza di uno smantellamento

unilaterale della protezione. Questo ragionamento vale anche per paesi “piccoli”, in una ipotesi di

liberalizzazione multilaterale: anche in un mondo concorrenziale, fatto di tutti paesi “piccoli”, se

tutti riducono contemporaneamente i loro Tnp in misura pari ad “x”, i loro prezzi interni

diminuiranno solo in misura pari ad “x - y”, dove “y” rappresenta l’aumento del prezzo

internazionale che deriva da questa riduzione multilaterale della protezione.

Con questa avvertenza, in un mondo in cui il protezionismo fosse tutto tariffario, o comunque

riconducibile ad un “equivalente tariffario” in termini di differenziali tra prezzo interno e prezzo

mondiale, il Tnp funzionerebbe abbastanza bene: certamente avrebbe il requisito della semplicità,

essendo un indicatore in certo senso “naturale”, trasparente e negoziabile (Josling-Tangermann,

1987) cui potersi riferire nelle trattative commerciali, almeno come base di partenza17.

3.3 Il concetto di “protezione effettiva”

Come si è visto nelle pagine precedenti, il tasso nominale di protezione è una misura molto

utile nella sua semplicità ed immediatezza e molto usata negli studi di commercio internazionale.

Tuttavia, se con il concetto di protezione si vuole intendere qualcosa in più del differenziale tra

prezzo interno ed internazionale, e ci si riferisce invece al vantaggio (o svantaggio) che la intera

struttura protezionistica di un paese accorda ad un determinato prodotto, allora è necessario

ragionare in termini di protezione effettiva.

E’ questo un concetto più ampio di quello della protezione nominale, poiché tiene conto degli

effetti che sul mercato di un certo bene provengono dalla protezione accordata, oltre che al bene

stesso, ai fattori produttivi necessari alla sua produzione.

E’ possibile, ad esempio, che ad una alta protezione nominale di un certo bene (per esempio,

carne), faccia riscontro una protezione effettiva molto minore, se non addirittura negativa, se i

fattori produttivi necessari a produrre il bene in questione (ad esempio, i prodotti usati come

mangimi per gli allevamenti zootecnici) godono anch’essi di una protezione consistente. La

protezione sul prodotto finito ne fa salire il prezzo, ma questo effetto può essere in tutto o in parte

neutralizzato dalla protezione commerciale sui fattori produttivi e dal conseguente aumento del

loro prezzo sul mercato interno, che innalza i costi di produzione del prodotto finito: il risultato

netto dell’intervento sul mercato del prodotto e dei fattori è, appunto la protezione effettiva, che

dipenderà dai coefficienti tecnici che esprimono la quantità di fattori necessaria per unità di

prodotto, e dai tassi nominali di protezione esistenti per il prodotto finito e per i fattori. In altri

16 Il Tnp calcolato riferendosi al prezzo mondiale di free trade anziché al prezzo corrente (che implica la possibilità

di stimare la DI e la SE del grafico 1) può definirsi come Tnp netto (Cuffaro, 1989). 17 Una misura aggregata del protezionismo di ogni paese potrebbe, in tal caso, calcolarsi come media dei Tnp dei

diversi prodotti ponderata con il loro peso sulla Plv (o sul volume di commercio) del paese stesso. Va qui sottolineato che il Tnp cattura anche l'effetto delle barriere non tariffarie, nella misura in cui questo si manifesta come differenziale tra prezzo interno e prezzo mondiale.

70

termini, si può anche affermare che il concetto di protezione effettiva sposta l’attenzione, come si

vedrà, dalla protezione esistente sulla produzione lorda di un certo prodotto finito, a quella

esistente sul valore aggiunto in esso contenuto, cogliendo, probabilmente, assai meglio la natura

dei suoi effetti

3.3.1. Mercato del prodotto e mercato dei fattori

Prima di discutere i vari effetti associati all’utilizzo del concetto di protezione effettiva, è

opportuno richiamare una rappresentazione grafica delle relazioni esistenti tra offerta di prodotto

finito, offerta di input e offerta di valore aggiunto, nonché tra mercato del prodotto finito e

mercato dei fattori produttivi.

Nella figura 40 sia SI l’offerta di input, crescente al crescere del prezzo (PI) dell’input stesso.

Ipotizzando, per semplicità, che il coefficiente tecnico sia pari a 1, cioè che per ogni unità fisica di

prodotto finito sia necessaria una unità fisica di input, e misurandole entrambe sull’asse x, il

prodotto finito lo si può rappresentare come la somma dell’input e del valore aggiunto nella

attività produttiva; per cui la sua offerta (SF) si può pensare come somma verticale di SI + SVAF,

dove SVAF è la “offerta di valore aggiunto”. Per ogni quantità prodotta (ad esempio OD) vi sarà

allora un “prezzo nominale” del prodotto finito (PF) ed un “prezzo effettivo” (PE), che remunera il

valore aggiunto e che è pari alla differenza tra prezzo nominale e prezzo dell’input (PI).

71

Prezzi

Offerta di carne e mangime

PF

PF '

PE

PI

PwI

O D

A

B '

B

C

C '

SF

S'F

SVAF

SI

S'I

Fig.40 - Relazione tra offerta di prodotto finito, input e "offerta di valore aggiunto"

E’ ovvio che il produttore del prodotto finito è interessato al valore aggiunto e, dunque, al PE

più che al PF. Ed è altrettanto ovvio che un qualunque slittamento dell’offerta di input farà slittare

in modo analogo l’offerta di prodotto finito: nel grafico, se la SI diviene S’I, perché ad esempio si

rende disponibile sul mercato internazionale una offerta dell’input infinitamente elastica al prezzo

PwI, la SF - fermo restando la SVAF - diventa S’F. Il prezzo di offerta del prodotto finito scende a

P’F in corrispondenza della quantità OD, ma non varia il prezzo effettivo PE: ciò che ha fatto

diminuire PF a P’F è solo la riduzione di prezzo dell’input.

Per analizzare più compiutamente il meccanismo di formazione del prezzo, passiamo alla

figura 41. In essa siano SC e DC l’offerta e la domanda interne del prodotto finito “carne”, e sia

SM l’offerta interna dell’input “mangimi”, ipotizzando anche qui un coefficiente tecnico pari a 1.

Ovviamente, come nel grafico precedente, SC è la somma verticale di SM e SVAC.

72

Prezzi

Carne e

mangimi

SC

S 'C

SEC

DC

SEM

SM

SC

SM

PC

P 'C

PwCPM

PE '"

PE

PE '

P 'M

PE "

PwM

A

B

N D C

HF

R

A "

LN "

E M

SVAC

O E ' N ' D ' A ' B ' C '

Fig. 41 - Mercato del prodotto finito e mercato dell'input

In economia chiusa SC e DC si incontrano in A, per cui OA’ sarà la quantità prodotta e

consumata di carne al prezzo Pc. Per tale produzione di carne si impiega la quantità PMH (= OA’)

di mangimi per cui, data la loro curva di offerta SM, il loro prezzo sarà PM; Il “prezzo effettivo”

sarà pari a PE = PC - PM, e ad esso corrisponderà una offerta di valore aggiunto di carne (SVAC)

pari anch’essa a OA’ (= PE A").

In economia aperta, ipotizzando che il paese sia “piccolo”, esso fronteggerà una offerta

internazionale di carne (SEC) ed una offerta internazionale di mangimi (SEM) entrambe

infinitamente elastiche.

La nuova curva di offerta totale di mangimi sarà ora la spezzata SM - E - SEM e quindi, così

come si è visto nel grafico precedente, ferma restando la offerta di valore aggiunto (SVAC), la

riduzione di costo dovuta alla riduzione del prezzo di offerta di mangimi fa slittare la offerta

interna, che diventa SC - F - S’C.

L’offerta totale è ora la spezzata SC-F-D-SEC per cui, in regime di free trade, l’equilibrio del

mercato della carne si avrà in corrispondenza del prezzo PwC, con un consumo pari a OC’, una

produzione interna pari a OD’ ed una importazione pari a D’C’. Riguardo ai mangimi, la quantità

utilizzata dai produttori interni di carne sarà OD’, di cui OE’ prodotta internamente e E’D’

importata al prezzo PwM. Il prezzo effettivo ricevuto dai produttori di carne si riduce da PE a P’E

73

Rispetto alla situazione di economia chiusa c’è un guadagno di benessere per i consumatori

pari al trapezio PCACPwC, che eccede largamente la perdita del complesso dei produttori interni

(di carne e di mangimi) pari al trapezio PwCNAPC. si noti che questa perdita complessiva (che

leggiamo sulla Sc) è pari alla perdita dei produttori di carne pari a PEA"LP’E (che leggiamo sulla

SVAC) più quella dei produttori interni di mangimi, paria a PMHEPwM.

Ovviamente col grafico che stiamo esaminando è possibile rappresentare le due situazioni

intermedie:

a) Esiste un mercato internazionale della carne ma non dei mangimi. In questo caso la SM

(offerta mangimi) rimane inalterata, mentre la offerta totale di carne diventa la spezzata SC-N-

SEC. Si avrà, allora:

-Nel mercato della carne: prezzo PwC, consumo OC’, produzione interna ON’,

importazioni N’C’.

-Nel mercato dei mangimi, prezzo P’M, utilizzazione (e produzione) interna ON’

(P’MV)

-Riduzione da PE a PE" del prezzo effettivo ricevuto dai produttori di carne

-In termini di benessere, rispetto alla situazione di economia chiusa, i consumatori

guadagnano PCACPwC, i produttori perdono PCANPwC, di cui PMHVP’M è la perdita

dei produttori interni di mangime e PEA"N"P"E è quella dei produttori di carne.

b) Esiste un mercato internazionale dei mangimi ma non della carne. In questo caso l’offerta

interna di mangimi diventa la spezzata SM - E - SEM, e quella di carne diventa SC-F-S’C. Si

avrà, allora

-Nel mercato della carne: prezzo P’C, consumo e produzione interna OB’, importazioni

nulle

-Nel mercato dei mangimi, prezzo PwM, utilizzazione interna OB’, produzione interna

OE’, importazioni pari a E’B’.

-Aumento del prezzo effettivo ricevuto dai produttori di carne da PE a P"E

-In termini di benessere, rispetto alla situazione di economia chiusa, i consumatori

guadagnano PCABP’C, i produttori di carne guadagnano PEA"RP"‘E, i produttori

interni di mangime perdono PMHEPwM.

Nella figura 42, si parte da una situazione di free trade, con equilibrio nel punto C: il paese

consumerà OC’ di carne, di cui OD’ prodotto internamente e D’C’ importata. utilizzerà OD’ di

mangime, di cui OL prodotto internamente e LD’ importato al prezzo PwM.

74

Prezzi

Dc Sc

S "c

S 'c

SE 'c

SEc

Dc

SE'M

SEM

Pc

Pwc

P'E

P"E

PE

PM

PwM

SM

SVAC

O L M D ' G ' B ' A ' C '

T1

T1T2

T2

G B A

D" D C

F '

N ' N H

J

K

Y

E ' R

E Q V

Fig.42 - La protezione effettiva

Introduciamo ora una tariffa pari a T1 sull’importazione di carne: la SEC diventerà SE’C, il

prezzo interno salirà a PC (=PwC + T1), il consumo si ridurrà a OA’ (=PCA), la produzione

aumenterà a OB’ (=PCB) e le importazioni di carne si ridurranno a B’A’. Aumenterà anche la

utilizzazione interna di mangime, da OD’ a OB’ e con essa la relativa importazione, da LD’ a

LB’. Il prezzo effettivo ricevuto dai produttori sale anch’esso in misura pari all’ammontare della

tariffa: prima era PE = PwC - PwM, ora diventa PE’ = Pc (= Pwc + T1) - PwM.

In questo caso, i produttori di carne guadagnano PCBDPwC (= P’EJYPE), i consumatori

perdono PCACPwC, lo stato incassa BAHN. La perdita netta, al solito, è data dai triangoli ACH e

DBN.

Se ora ipotizziamo anche l’esistenza di una tariffa pari a T2 sull’importazione di mangime che

ne aumenta il prezzo interno a PM, le cose cambiano: l’offerta interna di carne slitta da SCFS’C a

SCF’S"C, per cui la produzione interna di carne diminuirà a OG’ (=PCG) e le relative importazioni

75

aumenteranno a G’A’. L’utilizzazione interna di mangime pure si ridurrà a OG’, ma la produzione

interna aumenterà a OM (=PME’) e le importazioni si ridurranno a MG’.

In termini di benessere, rispetto alla situazione precedente, in cui vi era solo la tariffa T1 sulla

carne, i consumatori non subiscono variazioni. I produttori di carne, che vedono ridurre il loro

prezzo effettivo da P’E a P”E perdono PE’JKP”E; i produttori interni di mangime guadagnano

PwMEE’PM; l’erario aumenta le proprie entrate in misura pari a GBNN’ (aumento entrate

tariffarie della carne, la cui importazione è aumentata) + E’RVQ (entrate tariffarie

sull’importazione di mangime, prima assenti).

3.3.2 Il tasso effettivo di protezione

Come si è visto, il tasso nominale di protezione per un dato prodotto J è espresso in termini di

scostamento percentuale del prezzo interno, in presenza di protezione, dal prezzo mondiale, cioè

in termini di tariffa ad valorem:

TNj = P – Pw

Pw

Il tasso effettivo di protezione (Tep) è un TN definito in termini di prezzo effettivo o, che è lo

stesso, in termini di valore aggiunto relativo al prodotto in questione:

Tepj = PE’j PEj =

V’j – VjVj (1)

dove PEj = V’j è il prezzo effettivo (ovvero il valore aggiunto) del prodotto finito J in assenza

di dazi e PE’j = V’J è la stessa cosa in presenza di dazi (qui si parla di “dazi”, ma ci si riferisce a

qualunque misura protettiva di cui sia ricavabile un equivalente in tariffa).

Siano:

qij = coefficiente tecnico, ovvero quantità dell’input i necessaria per la produzione di

una unità del prodotto finito j

Pj = prezzo del prodotto finito j

Pi = prezzo dell’input i

aij = quota del valore dell’input i nel valore del prodotto finito j in assenza di dazi;

ovviamente aij = qij . Pi/Pj

ti = aliquota del dazio sull’input i (tasso nominale di protezione sull’input i)

t’j = aliquota del dazio sul prodotto finito j (tasso nominale di protezione sul prodotto j)

In regime di free trade, si ha:

VJ = Pj - q ij Pi

76

cioè, poiché qij = Pj . aij/Pi

VJ = Pj - aij Pj = Pj (1 - aij ) (2)

invece, in presenza di dazi, si ha:

V’J = (1 + tj ) Pj - (1 + ti) qijPi = (1 + tj )Pj - (1 + ti) aij.Pj

da cui:

V’J = Pj {(1 + tj) - (1 + ti) aij } (3)

Sostituendo la (2) e la (3) nella (1),

Tepj = Pj {(1 + tj) – (1 + ti) aij} – Pj (1 – aij)

Pj (1 – aij)

da cui, sviluppando:

Tepj = tj – aijti1 – aij (4)

da questa formula si vede che:

a) Se tj = ti , allora Tepj = tj = ti. Cioè il tasso effettivo di protezione coincide con i tassi

nominali di protezione del prodotto e dell’input, quando questi sono uguali.

b) Se tj > ti, allora Tepj > tj> ti

c) Se tj < ti, allora Tepj < tj < ti

d) Se tj < aij ti , allora Tepj < 0

Ritornando alla rappresentazione dei nostri grafici precedenti, in essa era bij = 1, per cui:

aij = Pj/Pi (= PwM / Pwc)

inoltre, le tariffe T1 (sulla carne) e T2 (sui mangimi) erano espresse come cifre assolute, e non

percentuali. Quindi:

tj = T1/Pwc e ti = T2/PwM

applicando la (4) :

Tepc =

T1Pwc –

PwM

Pwc * T2

PwM

1 – PwM

Pwc

dopo alcuni passaggi,

77

Tepc = T1 – T2

Pwc – PwM =

T1 – T2PE

ma in termini di prezzo effettivo

Tepc = PE" – PE

PE = T1 – T2

PE da cui

PE" – PE = T1 – T2

che è, appunto, il semplice risultato cui eravamo pervenuti con i nostri grafici.

Tornando alla formula del tasso effettivo di protezione

Tepj = tj – aijti1 – aij

essa può essere generalizzata al caso di n input:

Tepj = tj – ∑iaijti1 – ∑iaij

indicando con

ti = ∑iaijti∑iaij

la media ponderata delle tariffe esistenti sugli input, dove i pesi sono gli aij, cioè le quote di

ciascun input sul prodotto finito, si può scrivere:

Tepj = tj – ti∑iaij1 – ∑iaij (5)

La (5) ha esattamente lo stesso significato della (4), in termini di relazione esistente tra tasso

effettivo (Tepj) e tasso nominale (tj) di protezione per il prodotto finito J : Tepj sarà maggiore,

uguale o minore di tj , a seconda che questo sia maggiore, uguale o minore della media ponderata

dei tassi nominali di protezione (ti) esistenti sugli n input.

In conclusione, si può senz’altro affermare che, rispetto al Tasso nominale di protezione, il Tep

è una misura molto più completa; ma se esso ha meriti maggiori sul fronte della globalità degli

effetti catturati, non si può certo dire che risponda altrettanto bene al requisito della semplicità.

Non solo, infatti, il Tep è più complesso sul piano concettuale ma, soprattutto, è enorme

l’ammontare di dati necessari al suo calcolo: anche ipotizzando assenza di sostituibilità tra gli

input, è infatti necessario conoscere i Tnp esistenti su ciascuno di essi, nonché i coefficienti

tecnici che li legano al prodotto finito. Forse anche per questa ragione il Tep, a differenza del Tnp,

è stato scarsamente utilizzato come misura empirica del protezionismo in agricoltura. Tra i pochi

78

lavori esistenti sull’argomento va segnalato il contributo di Strak (Strak, 1982), contenente anche

un’ampia discussione teorica18.

Riguardo al requisito della sensibilità si può dire che il Tep ne ha fin troppa e che uno dei suoi

difetti è proprio quello di essere un indicatore eccessivamente instabile: ciò accade soprattutto per

prodotti o settori ad alta protezione nominale, per i quali può succedere che, valutando il prodotto

finito a prezzo mondiale, il loro valore di mercato risulterebbe quasi uguale, o addirittura

inferiore, ai costi per l’acquisto degli input. In un caso del genere, non certo infrequente in campo

agricolo, il denominatore della (II), cioè il valore aggiunto calcolato a prezzi mondiali, può

risultare molto vicino a zero o addirittura negativo, facendo perdere significato al calcolo del Tep.

C’è, infine, un altro ordine di considerazioni da fare riguardo al possibile uso del Tep come

indicatore di riferimento e monitoraggio di trattative commerciali multilaterali, legato al requisito

della globalità: anche in questo caso, come in quello della sensibilità, si può affermare che il Tep

risponde a tale requisito in misura nel contempo eccessiva e carente. Da un lato, infatti, esso tiene

conto, nel calcolo della protezione del settore agricolo, di tutta o quasi tutta la struttura tariffaria

di un paese, giacche sono innumerevoli i prodotti o i servizi che entrano in gioco, direttamente o

indirettamente, in quanto fattori produttivi. E’ ovvio che se ciò è un vantaggio, giacche consente

di cogliere in pieno i legami ed i trade off intersettoriali che sono comunque sempre presenti in

una trattativa, rende anche quest’ultima estremamente complicata, se non altro perché costringe a

negoziare troppe cose insieme. D’altro canto, se si trattassero i soli prodotti agricoli usando un

indicatore di protezione effettiva, si potrebbero verificare situazioni paradossali: si pensi al caso di

due paesi A e B, con protezione nominale uguale sui prodotti agricoli e diversa sui fattori

produttivi nel senso che, su di essi, il paese A pratica Tnp maggiori di B. In questa situazione, il

Tep agricolo di A risulta inferiore a quello di B, per cui un eventuale accordo in termini di sua

riduzione su base multilaterale comporterebbe uno “sforzo” minore proprio per il paese che, nel

complesso, è più protezionista: al limite, un obiettivo di riduzione del Tep sui prodotti agricoli

potrebbe raggiungersi aumentando, anziché diminuendo, il grado di protezione (sui fattori).

3. 4 - Un indicatore “aggregato”: Il Producer subsidy equivalent (Pse)

3.4.1 - Definizione

Nel corso delle trattative commerciali dell’Uruguay round del GATT la inadeguatezza degli

indicatori tradizionali tipo tasso nominale e tasso effettivo di protezione a misurare il

protezionismo agricolo è risultata subito evidente. Nel caso dell’agricoltura, infatti, il

protezionismo è solo in parte esercitato con misure di tipo commerciale - quali tariffe o interventi

alla dogana - mentre il problema risiede soprattutto nel contenuto protezionistico delle misure di

politica agrarie di sostegno interno. Non è un caso, infatti, che la peculiarità della trattativa GATT

sull’agricoltura, e la sua particolare difficoltà, risiedeva proprio nella circostanza che la

18A dimostrazione della profonda differenza tra Tep e Tnp si può ricordare come, riguardo al settore zootecnico

inglese, nello studio citato Strak calcoli una protezione effettiva negativa (e vicina o superiore al 100% in valore assoluto) per tutti i prodotti considerati, a fronte di Tnp tutti positivi (e superiori al 30%) per gli stessi prodotti.

79

liberalizzazione commerciale in campo agricolo non poteva prescindere da una revisione profonda

degli strumenti di politica agraria interna adottati dai principali paesi. Ed è ovvio come negoziare

la revisione delle politiche di sostegno interno sia cosa assai più difficile che negoziare una

riduzione delle tariffe doganali, considerando la ben diversa importanza ed articolazione degli

interessi coinvolti.

Fin dall’inizio dell’Uruguay round, dunque, si è posta l’esigenza di disporre di una misura

aggregata del sostegno e della protezione, che fosse in grado di cogliere gli effetti di tutti gli

interventi, commerciali e non, che influenzano la competitività di un paese e che in qualche modo

distorcono la allocazione delle risorse rispetto a quella di libero mercato. Tale esigenza ha

riportato alla ribalta il cosiddetto Pse (Producer subsidy equivalent), un indicatore proposto a suo

tempo da Josling in uno studio della FAO (FAO, 1973 e 1975), ripreso dall’Ocse (Oecd, 1987) e

poi ampiamente discusso, in numerose varianti, sia in sedi scientifiche che politiche19

Molto semplicemente, il Pse cerca di catturare, in un’unica misura sintetica, l’effetto di tutti gli

interventi di sostegno accordati agli agricoltori, esprimendoli in termini di “equivalente in

sussidio”, in genere espresso come percentuale della Plv o del valore aggiunto. Più precisamente,

il Pse si chiede a quanto ammonta la quota di prodotto lordo agricolo attribuibile all’intervento

pubblico di sostegno e protezione o, che è quasi lo stesso, di quanto bisognerebbe ricompensare i

beneficiari dell’intervento pubblico in agricoltura20 perché essi fossero disposti ad accettare un

ipotetico smantellamento di tutte le misure di sostegno e protezione considerate.

Si tratta, dunque, di un indicatore di sostegno interno più che di protezione commerciale e ciò,

come vedremo, costituisce nel contempo un limite ed un vantaggio del Pse: il limite è la sua

ambiguità e la sua scarsa attitudine a catturare in modo univoco gli effetti del protezionismo; il

vantaggio è che, nel voler misurare il protezionismo “attraverso” il più generale intervento di

sostegno, il Pse coglie un tratto peculiare della attuale realtà agricola, in cui i problemi

commerciali sono in gran parte conseguenza delle politiche agrarie interne.

Sia sul piano concettuale che su quello pratico del suo calcolo, nel Pse si possono distinguere

due componenti:

a)La prima componente, di gran lunga la più rilevante, è quella dovuta al differenziale tra

prezzi interni e prezzi mondiali dei prodotti per i quali è calcolato, frutto di tutti gli interventi

(tariffari e non tariffari) che hanno per effetto il mantenimento di un tale differenziale. Possiamo

chiamare questa la componente-prezzo del protezionismo che, come vedremo di qui a poco, è

concettualmente non dissimile dal tasso nominale di protezione, di cui condivide limiti e

problemi.

19 La letteratura sul PSE é ormai assai abbondante. Si vedano, tra gli altri, i contributi di Mac Clatchy 1987, Josling

e Tangermann 1987, Ballenger 1988, Josling 1988, Peters 1988, Legg 1988, Schwartz e Parker 1988, Usda 1987 e 1988, De Filippis 1990.

20 Si è qui usato il termine “beneficiari dell'intervento pubblico”, volendo comprendervi oltre agli agricoltori, anche altri soggetti ad essi legati. In particolare, i proprietari dei fattori produttivi, la cui domanda aumenta in conseguenza del sostegno accordato agli agricoltori, nell'ipotesi che la risposta di questi ultimi al sostegno stesso sia un aumento della produzione. La precisazione non è inutile poiché serve a sottolineare il fatto che il Pse è una misura del sostegno al prodotto lordo agricolo e non al reddito netto degli agricoltori.

80

b)La seconda è quella che si può definire la componente-sussidio del protezionismo, vale a

dire l’insieme dei pagamenti effettuati in favore degli agricoltori e non completamente

“disaccoppiati”, cioè in qualche modo capaci di influenzare, aumentandola, la quantità da essi

prodotta e quindi tali da distorcere, pur senza manipolare direttamente i prezzi, il sistema di

convenienze di libero mercato. Rientrano in questa categoria misure quali le indennità

compensative, gli aiuti al reddito non legati alla quantità prodotta, gli sgravi fiscali, il set-aside, i

sussidi ai fattori e via discorrendo. Questa componente-sussidio del Pse viene calcolata

semplicemente sommando la spesa pubblica per tali misure; è ovvio, quindi, che, per evitare

duplicazioni, nel suo calcolo non si dovranno includere le spese per quegli interventi (per

esempio, restituzioni all’esportazione, deficiency payments, ammasso, etc) che hanno come

obiettivo il sostegno del prezzo interno ricevuto dagli agricoltori, giacche il loro effetto è già

inglobato nella prima componente del Pse.

Per comprendere meglio il significato delle due componenti del Pse, è utile ricostruirle

partendo dalla formula con cui esso è stato riproposto dall’Ocse e con cui è stato utilizzato (Legg,

1988; Oecd, 1987). Per ogni prodotto il Pse è definito come: Pse totale (Pset) = (Pn - Pw) Q + D - L + B (1)

dove Q è la quantità prodotta, D sono i pagamenti diretti (per esempio deficiency payments o

aiuti legati alla quantità prodotta), L sono tasse imposte ai produttori (per esempio prelievi di

corresponsabilità), mentre B ingloba tutto il resto della spesa pubblica indirizzata al settore o al

prodotto esaminato, in via indiretta o implicita (per esempio, sussidi ai fattori produttivi, servizi

reali). E’ ovvio che la parte maggiore di B è fatta di spese che sono genericamente finalizzate al

sostegno dell’intero settore agricolo piuttosto che a quello di singoli prodotti specifici

(irrigazione, infrastrutture, credito agrario, ricerca, assistenza tecnica, ecc..), per cui la sua

attribuzione per prodotto può creare problemi seri. Tali problemi, ovviamente, svaniscono in

buona parte quando si calcola il Pse complessivo dell’intero settore agricolo di un paese.

Il Pse totale è, come si vede dalla (1), una cifra assoluta, in miliardi di lire o in milioni di

dollari. Per confronti tra paesi o prodotti è dunque più utile calcolare un Pse unitario di qualche

tipo o, meglio ancora, un indicatore esprimibile in forma percentuale. Il Pse unitario (Pseu) in

genere (Oecd, 1987; Peters, 1988; Legg, 1988) viene definito rispetto alla quantità prodotta (Q): Pset Pseu = -------------- (2) Q

ma nulla vieta di pensare, in relazione agli scopi per cui è calcolato, ad un Pseu definito in

termini di Pse per ettaro di Sau o per unità di lavoro.

Il Pse percentuale, che d’ora in avanti indicheremo semplicemente come “Pse”, si definisce

come: Pset Q (Pn - Pw) +D - L + B

81

Pse = -------------------------- = ---------------------------------------------------- (3) QPn + D - L QPn +D - L

Sviluppando la (3), si ha: QPn - QPw +D - L B Pse = --------------------------------------------- + --------------------------- (4) QPn + D - L QPn +D - L

3.4.2. La componente “protezione nominale” del Pse

Si vuole ora dimostrare che, dei due termini della (4), il primo somiglia molto ad un tasso

nominale di protezione alla produzione (Tnpp), cioè ad un Tnp “arricchito” dei pagamenti

integrativi (D) e dei prelievi (-L) direttamente legati alla quantità prodotta i quali, di fatto, fanno

variare (in genere in aumento nel caso dei paesi sviluppati, spesso in diminuzione nei Pvs) il

prezzo ricevuto dai produttori. Usando la simbologia del Pse, il Tnpp si può definire nel modo

seguente: (Pn +D/Q - L/Q) - Pw Tnpp = --------------------------------------------------- Pw

dove D/Q e L/Q sono, rispettivamente, integrazioni o prelievi che incidono sul prezzo ricevuto

dagli agricoltori per unità prodotta.

Moltiplicando tutto per Q si ottiene: QPn - QPw +D - L Tnpp = -------------------------------------------- (5) QPw

La differenza di tale versione del Tnpp con quella che compare quale primo termine nella

formula del Pse (4) sta, dunque, solo nel denominatore: il Tnpp rapporta il differenziale tra prezzo

interno ricevuto dagli agricoltori e prezzo mondiale, al prezzo mondiale stesso; il Pse, invece, lo

rapporta al prezzo interno ricevuto dagli agricoltori.

Prescindendo da questa differenza puramente convenzionale, risulta dunque confermato che un

“pezzo” del Pse coincide, in pratica, con il tasso nominale di protezione (più precisamente con il

Tnpp, cioè con il Tnp alla produzione) di cui, ovviamente, condivide i pregi e i difetti. Come si è

accennato nelle pagine precedenti, in tal caso il principale limite è costituito dal fatto che il Pw di

riferimento è esso stesso un prezzo distorto dalle misure protezionistiche i cui effetti si vogliono

misurare: sia che si abbia a che fare con paesi “grandi”, sia che si ragioni in termini di

comportamenti multilaterali di tanti paesi “piccoli”. A questo si può aggiungere qui un’altra

considerazione importante, in particolare se si pensa al ruolo di monitoraggio che il Pse è

chiamato a svolgere.

82

Abbiamo prima discusso il Tnp nel caso semplice in cui la protezione consista in una tariffa ad

valorem, ma le cose si complicano in presenza di altre misure meno “pure”, se così si può dire,

sotto il profilo tariffario, anche se facilmente esprimibili in termini di equivalente in tariffa. Si

tratta di misure molto diffuse, quali ad esempio le restrizioni quantitative alle importazioni o i

sistemi di protezione del mercato interno basati su prezzi soglia che, per differenza con il prezzo

mondiale, fanno scattare prelievi variabili all’importazione e/o sussidi (restituzioni)

all’esportazione. In casi come questi, ciò che viene fissato dal paese che applica la misura non è il

livello di protezione, ma il livello del prezzo interno : il differenziale tra quest’ultimo e il prezzo

mondiale, cioè quello che viene misurato dalla componente del Pse assimilabile al Tnp, è,

dunque, fuori del controllo - in certo senso anche dell’interesse - del paese che pratica tali tipi di

interventi. La conseguenza è che un paese che, ad esempio, si impegni per una riduzione del 30%

del suo Pse non può sapere, se non a posteriori, di quanto deve ridurre il livello dei propri prezzi

soglia per rispettare l’impegno: con essi, infatti, possono variare prezzi mondiali e/o tassi di

cambio - variabili in larga parte fuori del controllo del singolo paese - annullando o ampliando la

riduzione del differenziale tra prezzi interni e prezzi mondiali, che rimane la variabile cruciale21.

3.4.3. La componente “sussidio” del Pse

Venendo alla seconda componente del Pse - il “B” delle formule precedenti - come si è detto

essa è calcolata facendo riferimento alla spesa pubblica indirizzata al settore agricolo per quelle

misure di sostegno i cui effetti non siano già inglobati nella componente-prezzo del Pse. E’ questa

una zona “grigia”, che può significare tutto e niente, certamente destinata a creare grossi problemi

al ricercatore che voglia calcolare il Pse di un certo prodotto o di un certo paese, circa le scelte in

merito alle voci di spesa da inserire o meno nel calcolo. Bisogna tuttavia riconoscere che proprio

tale caratteristica è uno dei punti di forza del Pse, che forse spiega il grande successo che la sua

riscoperta ha riscosso nell’ambiente politico negoziale, dove questo indubbio “vizio” di ambiguità

dell’indicatore finisce col confondersi con la ricercatissima “virtù” della flessibilità e della

globalità.

Il problema di cosa mettere e cosa non mettere nella componente “B” è, del resto, cruciale

sotto diversi aspetti:

a)sotto il profilo scientifico, perché da esso dipende il reale significato dell’indicatore ed in

particolare la sua differenza dal Tnp e dal Tep discussi nel paragrafo precedente;

b)sotto il profilo tecnico, perché si determina l’ammontare di dati e di stime necessari al suo

calcolo;

c)sotto il profilo politico, in termini di quali sono gli interventi nazionali giudicati

“negoziabili” in sede di trattative commerciali.

Ma i problemi della componente “B” del Pse vanno ben oltre quelli connessi alla sua

definizione. Si è già accennato alla questione della difficoltà di attribuire per prodotto molte spese

21 E' facile notare che ciò non accade nel caso della tariffa, che incide direttamente sulla differenza tra prezzi interni

e prezzi mondiali, cioè sulla componente di protezione nominale catturata dal Pse.

83

che sono genericamente indirizzate al settore, ma non è questo il punto più grave. Un’ipotesi

“forte” che va fatta rispetto alla componente “B” è connessa alla circostanza che essa è tutta ed in

egual modo misurata dalla spesa erogata per le misure che comprende: ciò implica dover

ipotizzare che l’efficacia di ogni dollaro speso in termini di sostegno e di protezione agli

agricoltori sia analoga per qualunque forma di intervento essa assume. Inoltre, il fatto che la

componente prezzo (protezione nominale) e la componente sussidio siano sommate con uguali

pesi nel calcolo del Pse equivale ad ipotizzare che per gli agricoltori sia indifferente ricevere il

sostegno in una qualunque delle due forme. Come vedremo, invece, da un lato, per gli agricoltori

e per le loro organizzazioni professionali è molto più appetibile un sostegno ricevuto attraverso i

prezzi (in parte invisibile in quanto a carico soprattutto dei consumatori) piuttosto che attraverso i

sussidi diretti (visibili poiché del tutto a carico della spesa pubblica); dall’altro, gli effetti

produttivi e la distribuzione dei benefici del sostegno dei prezzi possono differire notevolmente da

quelli dei sussidi, per loro natura più selettivi.

Un altro punto è strettamente connesso alla natura delle misure comprese nella componente

“B”, per grandissima parte assimilabili ad interventi sul mercato dei fattori: misure strutturali,

credito agrario, capitale umano, miglioramenti fondiari, sussidi o prezzi politici all’acquisto di

determinati mezzi tecnici e via discorrendo. Il fatto di prendere in considerazione anche gli

interventi sui fattori produttivi indubbiamente arricchisce il Pse e, secondo alcuni (Josling e

Tangermann, 1987; Schwartz e Parker, 1988), ciò ne assimilerebbe i connotati a quelli di un

indicatore di protezione effettiva. Tuttavia, almeno nelle versioni del Pse che sono state utilizzate,

questo è vero in misura del tutto parziale e per molti versi distorcente. Il Pse, infatti, ingloba solo i

sussidi che pervengono agli agricoltori attraverso il mercato dei fattori, ma non considera le

misure di protezione e le tasse esistenti sui fattori stessi22 che, invece, gravano sugli agricoltori in

quanto acquirenti di tali beni. In questo senso, più che misurare, sia pur parzialmente, una vera

protezione effettiva, il Pse semplicemente aggiunge alla protezione nominale sui prodotti il

sostegno indiretto accordato per il tramite dei fattori produttivi.

3.4.4 - Pse e misure di controllo della produzione

Uno dei problemi maggiori posti dall’utilizzo del Pse è costituito dall’esistenza di misure di

controllo della produzione e/o di incentivi rivolti ad un meno intenso uso in agricoltura di fattori

produttivi quali terra, lavoro, mezzi tecnici (set-aside, prepensionamento, estensificazione

produttiva). Il problema sorge dal fatto che si tratta di misure che, pur riducendo il potenziale

effetto di distorsione commerciale della politica agraria di un paese, lasciano inalterato (o

addirittura fanno aumentare) il valore del Pse.

La fig. 43 illustra il caso della quota di produzione. In essa Pw è il prezzo mondiale e P il

prezzo di sostegno interno. In assenza di quote il paese produrrà OQ1, consumerà OQ2 e, dunque,

scaricherà sul mercato mondiale una esportazione pari ad AB (si tratterà, ovviamente, di una

22 In questa linea bisognerebbe anche distinguere tra fattori traded e non-traded, sostituibili e non sostituibili, in

relazione ai coefficienti tecnici con cui essi entrano nelle varie produzioni.

84

esportazione sussidiata, attraverso un sussidio unitario pari a P-Pw). In assenza di altre misure il

Pse del paese in questione sarà dato da:

OQ1 (P - Pw) P - Pw Pse= --------------------------------- = ------------------------ OQ1 x P P

Se il paese impone una quota di produzione pari a OQ3 lasciando inalterato il livello (P) del

prezzo di sostegno interno, l’eccedenza che esso scarica sul mercato mondiale in conseguenza

della sua politica interna si riduce ad AE e, dunque, si riduce la distorsione commerciale indotta

dalla politica in questione.

DS

P

P1

P2

Pw

A B

C

E

A ' E '

Q2 Q1Q3

Fig. 43 - Pse in presenza di misure di controllo della produzione

D

Il problema sta, appunto, nel fatto che il Pse non riflette questo cambiamento, giacche rimane

inalterato23. Esso, infatti, in presenza della quota di produzione, sarà pari a:

23 La figura illustra il caso di un paese piccolo, in cui Pw è un prezzo non distorto, ma le cose non cambiano anche

se il paese è grande: in tal caso il Pw corrente è distorto dalla protezione del paese stesso e, come tale, aumenta per effetto della quota da esso imposta, giacché con essa si riduce l'offerta di esportazioni che il paese scarica sul mercato

85

OQ3 (P - Pw) P - Pw Pse= --------------------------------- = ---------------------- OQ3 x P P

In questa situazione, a parte l’incentivo interno, dato dal risparmio di spesa per sussidi

all’esportazione associato all’introduzione della quota, il paese in questione non vede

“riconosciuto”, dentro il Pse, il suo “sforzo” verso la riduzione del sostegno e delle distorsioni

commerciali. Un modo di superare il problema potrebbe essere quello di trovare un prezzo-ombra,

ovviamente minore di P, che sostituirebbe quest’ultimo nel calcolo del Pse, riducendone il valore

in misura adeguata. Il livello di tale prezzo-ombra dipenderà, ovviamente, da quali sono gli effetti

della quota che si vogliono inglobare nel premio: se si ha in mente la riduzione delle esportazioni

sussidiate che essa comporta, il prezzo-ombra sarà, con riferimento alla fig. 43, P1; cioè quel

prezzo di sostegno che, in assenza di quota, comporterebbe una esportazione (A’E’) pari a quella

(AE) che si ha in conseguenza della quota. Se invece si volesse “premiare” l’intero effetto sulla

produzione interna, allora il prezzo ombra - da ricercare lungo la funzione di offerta in

corrispondenza della quota (punto D) - sarebbe P2.

Date le difficoltà connesse alla stima di quella che sarebbe la funzione di offerta in assenza di

quota - cosa indispensabile per la ricerca di un prezzo-ombra comunque definito - un modo più

snello di affrontare il problema potrebbe essere quello di ragionare direttamente in termini di Pse

totale (Pset), cioè di un indicatore che cattura sia gli effetti di manovre di prezzo che di controllo

della produzione; è ovvio tuttavia che, essendo il Pset una cifra assoluta, il suo uso non rende

possibile i confronti spaziali, tra paesi e tra prodotti, che una misura aggregata di protezione

dovrebbe poter assicurare.

Le cose sono ancora più complicate nel caso di programmi tipo set-aside, prepensionamento,

estensificazione: il loro costo di bilancio, infatti, aumenta il numeratore del Pse (nella sua

componente “B”), mentre il loro effetto dovrebbe ridurre la produzione (Q) e, dunque, il

denominatore del rapporto, con la conseguenza che il Pse addirittura aumenta. Inoltre in questi

casi è meno agevole, anche sul piano strettamente teorico, il calcolo di “premi” adeguati per tener

conto degli effetti di tali politiche.

3.4.5. Pse e dintorni

Alcuni dei problemi di cui prima si è discusso intaccano il valore del Pse quale misura corretta

dei livelli di protezione e/o della distorsione commerciale in assoluto, ma non sono questi

necessariamente i più gravi, considerando che ad esso si chiede una funzione di monitoraggio

negoziale e, dunque, una capacità di misurazione relativa del sostegno accordato all’agricoltura:

ciò che più dovrebbe contare, nell’uso pratico del Pse, sono i confronti tra prodotti e tra paesi e le

sue variazioni nel tempo (per esempio, la sua progressiva riduzione verso un certo valore

eventualmente concordato in sede Gatt).

mondiale. Tuttavia, se il Pse è correttamente misurato, il suo valore non cambia: in tal caso, infatti, esso non utilizza il Pw corrente, bensì quello non distorto, che si avrebbe in assenza di protezione e che, ovviamente, rimane inalterato.

86

Limitandosi, dunque, alle questioni più direttamente legate a tale ipotetica funzione di

monitoraggio, sulla base di quanto detto vanno sottolineati i seguenti punti: sul fronte dei “meriti”

che il Pse si è guadagnato, più che sul piano teorico metodologico, su quello politico-negoziale,

essi possono così sintetizzarsi:

a)Sinteticità e globalità della misura, ma nel contempo possibilità di distinguere tra le due

componenti prezzo e sussidio.

b)Semplicità relativa rispetto ad altre misure, per esempio rispetto al Tep, sia nel calcolo e

nell’ammontare e precisione dei dati necessari, sia nel significato, facilmente comprensibile anche

per i non addetti ai lavori.

c)Approccio multilaterale: un “Pse bilaterale” non ha senso per definizione, giacche il valore

del Pse di un paese è comunque calcolato rispetto al resto del mondo nel suo insieme.

d)Grande flessibilità nella scelta (e quindi nelle possibilità di accordo a riguardo) delle misure

da non inserire (considerandole “disaccoppiate”) nel suo calcolo.

e)Possibilità che la sua riduzione eventualmente concordata sia perseguita dai vari Paesi con

strategie e mix di interventi diversi, in relazione alle diverse esigenze nazionali, con riduzioni

differenziate delle componenti prezzo o sussidio e delle diverse voci che le compongono.

Accanto a questi meriti, la trattazione delle pagine precedenti dovrebbe aver chiarito che il Pse

presenta anche svantaggi notevoli sintetizzabili nei seguenti tre:

1)Pur dando per risolti i problemi connessi alla scelta di un prezzo mondiale di riferimento, la

protezione misurata dalla componente prezzo del Pse è solo in parte sotto il controllo del paese

che la attua, poiché essa dipende anche da variabili esogene alle politiche agrarie nazionali, quali

l’andamento dei prezzi mondiali e dei tassi di cambio.

2)Il Pse non è pienamente comparabile tra diversi paesi e diversi prodotti, giacche la

protezione da esso misurata è poco più che semplicemente nominale: pur tenendo conto della

componente sussidio, infatti, non è una protezione effettiva (non cattura infatti la protezione

esistente sui fattori produttivi, né distingue tra beni traded e non traded). Di conseguenza,

differenze in queste variabili possono attribuire significati diversi a Pse uguali, tra prodotti o tra

paesi24.

3)Anche a parità di protezione effettiva, due paesi con uguale Pse possono stare distorcendo il

commercio mondiale in misura molto diversa; o, anche, uno stesso paese può ridurre il proprio

Pse senza necessariamente ridurre il grado di distorsione commerciale che ne deriva. In altri

termini, il Pse è una misura approssimata del sostegno assicurato al prodotto lordo agricolo e non

è una misura della distorsione commerciale che ne consegue; questa, a parità di sostegno dipende,

oltre che dalla elasticità della domanda e dell’offerta, dalle singole voci del Pse (e delle sue due

24 Ciò può comportare in molti casi una sovrastima della protezione ed un ingiustificato aumento del Pse, che può

inficiarne l'uso per confronti tra paesi. Ad esempio, ipotizziamo che in un paese A vi sia un sussidio per gli agricoltori all'acquisto di carburanti pari a 100 lire al litro, in presenza di un regime fiscale che tassa i carburanti stessi in misura pari a 200 lire. Gli agricoltori di A sono avvantaggiati rispetto agli altri operatori nazionali, ma rispetto agli agricoltori di un paese B, dove ipotizziamo non esista né sussidio né tassa, essi pagano ogni litro di carburante 100 lire in più. Nonostante ciò il Pse agricolo di A ingloberà la spesa per il sussidio in oggetto e risulterà, ceteris paribus, maggiore di quello del paese B.

87

componenti, prezzo e sussidio) di cui, per così dire, esso è una media ponderata più che una

somma: l’effetto distorsivo di uno stesso Pse dipenderà da variabili quali i diversi effetti sul

consumo delle varie misure, l’esistenza o meno di misure di controllo della produzione o dei

fattori produttivi, la diversa percezione e la diversa risposta degli agricoltori alla componente

sussidio delle varie politiche.

A ben guardare, i problemi del Pse, prescindendo dalle sue specificità, riflettono la generale

difficoltà di costruire un indicatore sintetico del protezionismo agricolo, così strettamente

intrecciato alle politiche agrarie nazionali. Leggendo la copiosa letteratura fiorita recentemente in

materia, è possibile rintracciare numerosi indicatori simili al Pse, talvolta ad esso contrapposti,

talaltra esplicitamente proposti quali sue varianti, per migliorarne la significatività teorico-

metodologica o la utilizzabilità pratica. Ma tutti gli indicatori aggregati di protezionismo, se

analizzati in dettaglio, o presentano problemi e limiti assai simili al Pse in termini di ambiguità,

oppure risultano, a seconda dei casi e dei punti di vista, troppo semplicistici, troppo complicati,

troppo parziali.

A conclusione di questa breve rassegna ci si limita a dare qualche cenno sul Cse (Consumer

subsidy equivalent), un indicatore parente stretto del Pse, di cui rappresenta l’applicazione alla

sfera del consumo anziché a quella della produzione. Il Cse si può infatti definire come

l’equivalente in tassa o sussidio per i consumatori di un dato insieme di misure di politica agraria,

e può esprimersi nel modo seguente: Cse (totale) = - C (Pn - Pw) + G

C è la quantità consumata, preceduta dal segno meno per indicare che il differenziale tra

prezzo interno e mondiale rappresenta un costo e, dunque, una tassa implicita sul consumo

imposta dalle politiche agrarie. Nel Cse non compaiono D, B ed L, che sono voci riguardanti i soli

produttori, mentre compare G, cioè la spesa per (eventuali) sussidi al consumo.

Anche il Cse si può esprimere come Cse unitario (rapportandolo alla quantità consumata, o

anche al numero dei consumatori) o come Cse percentuale, rapportandolo alla spesa per consumo:

Cse tot Cse % = ---------------------- C Pc

dove Pc è il prezzo al consumo, comprendente i margini distributivi.

Il Cse, che ovviamente risulta negativo per i paesi che proteggono la propria agricoltura tramite

il sostegno dei prezzi, in questi stessi casi è in genere minore, in valore assoluto, del Pse. In

pratica esso corrisponde concettualmente a quello che si è prima definito come tasso nominale di

protezione al consumo (Tnpc); in questo senso, quindi, il Cse può considerarsi un indicatore

complementare più che alternativo al Pse.

Tra gli indicatori che costituiscono un adattamento del Pse allo scopo di renderlo meglio

utilizzabile a fini negoziali, vale la pena di ricordare l’Smu (Support measurement unit), che è

88

importante in quanto è l’indicatore a suo tempo proposto dalla Cee nell’ambito delle trattative

Gatt dell’Uruguay round. Le differenze con il Pse sono sostanzialmente due: a) l’utilizzo, al posto

del prezzo mondiale corrente, di un prezzo di riferimento fisso; b) la non considerazione degli

interventi di sostegno di natura strutturale (in pratica, la scomparsa della componente “B” del

Pse). Si tratta di modifiche importanti che, in pratica, riducono anche questo indicatore ad un

tasso nominale di protezione alla produzione, con in più il fatto che esso è calcolato rispetto ad un

prezzo di riferimento fisso anziché rispetto al prezzo mondiale corrente.

Lo scopo dell’Smu è quello di concentrare l’attenzione sulle misure che maggiormente

distorcono il commercio: vale a dire sulla sola componente prezzo del Pse e, di questa, sulla sola

componente, per così dire, “strutturale”, eliminandone la parte dovuta a fluttuazioni congiunturali

dei prezzi mondiali e dei tassi di cambio. Un problema serio dell’Smu è che esso si adatta bene

solo a situazioni - tipo, appunto, quella della Cee che lo aveva proposto - in cui la protezione si

traduceva nell’isolamento del mercato nazionale e nel mantenimento di un prezzo interno ad un

livello prefissato, totalmente scollegato da quello del prezzo mondiale corrente. Al contrario, nelle

situazioni in cui il protezionismo sia assicurato da misure tariffarie, che come tali innalzano il

prezzo interno (in misura pari alla tariffa) ma non ne isolano l’andamento da quello del prezzo

mondiale corrente, l’uso di un prezzo di riferimento fisso può portare a distorsioni notevoli25.

A conclusione di questo paragrafo è opportuno ricordare quale sia stato l’indicatore aggregato

concretamente scelto in sede Gatt con l’accordo siglato nell’aprile 1994 al termine dell’Uruguay

round, quale strumento di monitoraggio degli impegni di riduzione del sostegno interno26.

Sintetizzando e semplificando al massimo, l’accordo agricolo Gatt prevede un impegno di

riduzione del sostegno interno nella misura del 20% in sei anni, rispetto al suo livello esistente nel

periodo 1986-88. La riduzione é calcolata mediante la cosiddetta “Misura Aggregata del Sostegno

Complessivo” (Masc)27, che é definita come la somma di tre componenti:

a)la somma dei sostegni direttamente attribuibili ad ogni singolo prodotto, misurati tramite

Masc specifiche per prodotto;

b)il sostegno derivante da politiche i cui benefici non sono attribuibili prodotto per prodotto,

misurate con una Masc non specifica per prodotto;

c)per i casi in cui il calcolo di una Masc non sia praticamente possibile, il sostegno misurato

attraverso non meglio specificate “misure equivalenti del sostegno”.

25 Si pensi ad una situazione in cui i prezzi mondiali nei tre anni precedenti siano stati pari, rispettivamente, a 90,

100 e 110 e che il prezzo di riferimento (Pr) nell'Smu sia posto, ad esempio, pari alla loro media, cioè a 100. Immaginiamo ora di dover misurare la protezione derivante da una tariffa fissa pari a 30; in tal caso, il prezzo interno corrente (Pn) sarà pari al prezzo mondiale corrente (Pw) più la tariffa, e quindi dipenderà criticamente dalla congiuntura internazionale più che dalla politica effettuata: se Pw salisse a 120, si avrebbe un Pn pari a 150 e, quindi, un Smu (Smu = Pn - Pr) pari a 50; se Pw scendesse a 70, si avrebbe un Pn pari a 100 e un Smu pari a zero, senza che nulla sia cambiato nella politica tariffaria del paese in questione.

26Per una analisi molto più approfondita dell’accordo Gatt relativo all’agricoltura, si veda Anania e De Filippis (1996) ed Anania (1995).

27L’acronimo inglese è AMS, che sta per Agrregate Measure of Support.

89

La Masc usata in sede Gatt è concettualmente simile al Pse, nel senso che contiene sia una

componente-prezzo che una componente-sussidio, anche se ne costituisce un adattamento che

sacrifica molto del suo rigore scientifico alle esigenze pratiche e, per così dire, politiche derivanti

dall’applicazione dell’accordo Gatt. In particolare, la sua definizione risulta estremamente

generica e confusa e lascia, di fatto, margini di flessibilità assai ampi ai paesi che devono

applicarla, rendendo gli impegni presi in materia di riduzione del sostegno interno assai poco

vincolanti.

Per quanto riguarda la componente prezzo, la Masc è data dalla differenza tra il prezzo interno

ed un prezzo esterno di riferimento, moltiplicata per la quantità prodotta che beneficia del

sostegno via prezzo. In questo, essa recepisce l’idea dell’Smu, giacché prevede di utilizzare, quale

prezzo di riferimento esterno, un prezzo fisso, calcolato come media del periodo 1986-88 dei

prezzi mondiali rilevanti (f.o.b. per i paesi esportatori, c.i.f. per i paesi importatori). Per le

politiche di sostegno diretto - cioè per la componente sussidio della Masc - viene considerata la

spesa di bilancio ad esse relativa o il mancato introito da parte dello Stato (nel caso, ad esempio,

di sgravi fiscali); se si tratta di sussidi in natura, si considera il valore dei beni distribuiti; nel caso

di sussidi ai fattori produttivi, se la relativa spesa di bilancio non fosse in grado di cogliere

l’effetto in termini di sostegno, questo si può ottenere come differenza tra un prezzo medio ed il

prezzo sussidiato del fattore produttivo, moltiplicata per la quantità sussidiata.

Un punto rilevante dell’accordo Gatt in materia di sostegno agricolo riguarda i limiti imposti al

policy coverage della Masc, vale a dire l’indicazione di una serie di misure, inserite nella

cosiddetta “scatola verde”, che non vanno considerate nel suo calcolo. Tali misure sono le

seguenti:

a)servizi generali per l’agricoltura, quali ricerca, divulgazione, formazione professionale,

promozione commerciale, servizi di sviluppo, sempre che tali politiche non prevedano

pagamenti diretti agli agricoltori;

b)politiche di ammasso pubblico costituiti per garantire la sicurezza alimentare del paese;

c)aiuto alimentare a favore dei consumatori poveri;

d)pagamenti a sostegno del reddito degli agricoltori, purché “disaccoppiati”, cioè

sganciati dal livello della quantità prodotta, o che abbiano come obiettivo la garanzia di

redditi minimi, il sostegno in occasione di calamità naturali, l’aggiustamento strutturale

orientato alla riduzione dei fattori il cui impiego risulta sovrabbondante in agricoltura

(prepensionamento), la salvaguardia dell’ambiente, il sostegno in favore di aree

svantaggiate.

e)pagamenti diretti alle aziende, purché concessi nell’ambito di politiche che hanno

l’obiettivo di ridurre la produzione e purché legati a superfici e rese fisse o relativi a non

più dell’85% della produzione.

La giustificazione dell’esclusione delle misure in questione dal calcolo della Masc starebbe

nello loro scarso effetto distorsivo. Tuttavia nella “scatola verde” del Gatt, oltre a misure che

effettivamente hanno queste caratteristiche - quasi tutte quelle comprese nell’elenco da a) a d) -

90

sono state inserite alcuni interventi - in particolare quelli previsti nel punto e) - che, di fatto,

coincidono con i principali strumenti di sostegno interno utilizzati dalle politiche agrarie

dell’Unione Europea e degli Stati Uniti: il che, dunque, alleggerisce ulteriormente l’impegno

sottoscritto in sede Gatt dalle due superpotenze (Anania 1995; Anania, De Filippis, 1996).

91

PARTE QUARTA

Commercio internazionale, protezionismo e ambiente

4.1 - Ambiente, regolamentazione ambientale e vantaggi comparati

Come si è accennato, in base alla teoria standard del commercio internazionale, i “vantaggi

comparati” di un paese vengono definiti in ragione della quantità e della qualità dei fattori

produttivi in esso disponibili: terra, capitale, lavoro, conoscenze tecniche. Sarebbe, infatti, proprio

la relativa abbondanza o scarsità di tali fattori, necessari in modo più o meno intensivo nella

produzione dei diversi beni, che determinerebbe la matrice dei costi comparati di un paese e, con

essa, la sua specializzazione produttiva e commerciale.

Tradizionalmente l’ambiente e la sua capacità di assimilazione non facevano parte dei “fattori”

che venivano tirati in ballo per spiegare la specializzazione di un paese; semplicemente perché

essi non erano percepiti come risorse “scarse” e perché il costo del loro sfruttamento non trova

posto, come quelli del capitale, della terra, del lavoro, nel sistema dei prezzi di una economia di

mercato. Come è noto, negli ultimi anni è rapidamente cresciuta la percezione dell’ambiente

come risorsa scarsa e dell’inquinamento come “esternalità” da prendere in considerazione nella

valutazione dell’attività economica. Per conseguenza, di fronte alla incapacità del mercato di

tenere conto della gran parte degli effetti sull’ambiente nel proprio meccanismo regolatore

costituito dal sistema dei prezzi, è cresciuto l’intervento pubblico volto ad “internalizzare” il

costo esterno associato allo sfruttamento dell’ambiente stesso. In questo contesto, è interessante

inglobare nella nostra analisi, con la consueta rappresentazione grafica, l’influenza sui vantaggi

comparati e, dunque, sulla specializzazione commerciale di un paese, dei seguenti due aspetti:

a) la diversa capacità di assimilazione dell’ambiente e, dunque, il diverso livello di

inquinamento generato nei diversi paesi da una stessa produzione;

b) la presenza (o l’assenza) di una politica di regolamentazione volta ad internalizzare

il costo esterno dell’inquinamento.

Il primo aspetto è analizzato nella fig. 44, dove - in un mondo a due soli paesi - è rappresentata

la situazione del loro mercato interno relativamente ad un dato bene la cui produzione comporta

un effetto negativo sull’ambiente. Quando tale effetto non viene considerato, e si ragiona in

termini di curve di domanda e offerta “private”, entrambi i paesi si trovano in una posizione di

equilibrio di autarchia, cioè senza commercio internazionale. In altre parole, il grafico è disegnato

in modo che il prezzo di autarchia (incontro tra domanda ed offerta interne) sia lo stesso sia nel

paese 1 che nel paese 2: non vi è quindi alcun incentivo all’intraprendere il commercio.

Introduciamo ora il costo esterno ambientale ed ipotizziamo che esso sia nullo per il paese 1

(in conseguenza, ad esempio, di una maggiore capacità di assimilazione) e molto alto nel paese 2.

Questo significa che, mentre la funzione di offerta privata del paese 1 riflette tutti i costi sociali,

quella del paese 2 li sottostima, poiché non ingloba l’(alto) costo associato al danno ambientale:

una curva di offerta che riflettesse tale costo dovrebbe essere disegnata come la S*, la cui distanza

verticale dalla S2 corrisponde, appunto, al costo esterno ambientale associato ad ogni livello di

92

produzione interna. Questo significa anche che, se il costo ambientale fosse “internalizzato”, il

prezzo di autarchia nel paese 2 dovrebbe essere P*; molto più alto, dunque, di P. E’ chiaro, allora,

che in una tale situazione vi sarebbe spazio per il commercio, ed in particolare per un flusso di

esportazioni (AB) del paese 1 e di corrispondenti importazioni (A’B’ = AB) del paese 2.

D1D2

S2

S*

S1

Pw

P

E

E2

A B

A' B'

P

Pw

Paese 1 (produzione senza danni ambientali) Paese 2 (produzione con danni ambientali)

Fig. 44 - Ambiente e vantaggi comparati

P* E*

La presa in considerazione dei danni ambientali, differenziati tra paesi, ha dunque fatto

emergere un vantaggio comparato nella produzione del bene in questione a favore del paese 1 ed

un flusso di commercio che avvantaggia entrambi i paesi, giacche la produzione si sposta dove

essa genera un costo (comprensivo del danno ambientale) minore.

Per analizzare il secondo aspetto, relativo alla influenza sul commercio della regolamentazione

ambientale eventualmente presente nei diversi paesi, facciamo riferimento alla figura 45. In essa è

rappresentato il mercato interno di due paesi relativamente allo stesso prodotto e, come nel grafico

precedente, le curve di domanda ed offerta sono disegnate in modo che il prezzo di autarchia in

assenza di regolamentazione ambientale (P2) sia lo stesso in entrambi i paesi e, dunque, non vi sia

spazio per alcun flusso di commercio. Inoltre, si ipotizza che in entrambi i paesi la produzione in

questione generi un notevole costo ambientale esterno, per cui le curve di offerta “sociali”, che

inglobano tale costo, sono molto più alte di quelle private e pari, rispettivamente ad S1* ed S2*.

Se, dunque, in entrambi i paesi vi fosse una regolamentazione ambientale “ottima” (tale, cioè, da

“internalizzare” perfettamente il costo sociale dell’inquinamento), S1* ed S2* sarebbero le curve

rilevanti: l’equilibrio passerebbe in entrambi i paesi da E ad E*, con una diminuzione sia della

produzione che del consumo ed un aumento del prezzo di autarchia da P2 P1, ma senza alcuna

modifica dei vantaggi comparati e, dunque, senza alcun incentivo al commercio.

93

Le cose cambiano se si ipotizza una diversa intensità della regolazione ambientale nei due

paesi. Limitandosi ai due casi estremi, possiamo verificare cosa accade:

a) quando il paese 1 applica una regolamentazione “ottima” ed il paese 2 non interviene;

b) quando il paese 2 applica una regolamentazione “ottima” ed il paese 1 non interviene;

S1

S1*

P1

P3

P2 P2

P3

P1

D1 D2

S2

S2*

A B C A'B'C'

E

E*

E

E*

Paese 1 Paese 2

Fig. 45 - Effetti sul commercio della regolamentazione ambientale

Nel caso a), le curve di offerta rilevanti sono la S1* per il paese 1 (dal momento che esso

interviene per internalizzare il costo ambientale) e la S2 per il paese 2 (che, non intervenendo,

lascia operare la sola componente “privata” dei costi di produzione, inglobata nella S2). La

conseguenza è l’emergere di un vantaggio comparato “a favore” del paese 2, il cui prezzo di

autarchia (P2) risulterà molto più baso di quello del paese 1 (P1): di qui il formarsi di un prezzo

“mondiale” a livello P3, con un flusso di esportazioni dal paese 2 al paese 1 pari ad AB = A’B’.

Nel caso b), avviene il contrario: il paese 2 applica la regolamentazione ottima e, dunque, la

sua curva di offerta trasla sulla S2*, mentre il paese 1 non interviene, lasciando la propria curva di

offerta ad S1. La conseguenza è un vantaggio comparato “a favore” del paese 1, con un flusso di

esportazioni pari a BC = B’C’.

Rinviando ai paragrafi successivi l’analisi degli effetti sul benessere associati al commercio in

presenza di esternalità ambientale, va comunque notato che, nei due casi esaminati, il maggior

guadagno di benessere è sicuramente in favore del paese che diventa importatore in conseguenza

del suo intervento di regolamentazione: infatti, al consueto guadagno di benessere associato al

commercio, si aggiunge la riduzione del danno ambientale, che viene scaricato sul paese che non

interviene e che, dunque, diventando esportatore, produce (ed inquina) di più.

94

4.2 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali

Per analizzare l’effetto del commercio internazionale sull’ambiente, facciamo riferimento alla

figura 46. In essa è riportata la situazione del mercato interno di un paese “piccolo”, relativamente

ad un bene che presenta una esternalità negativa ambientale dal lato della produzione28. Se S è la

curva di offerta “privata”, S* sarà quella “sociale”, che ingloba anche i costi esterni conseguenti

all’inquinamento.

AD

S

S*

B

C

D

E

F

G

H

P

Pw

Qm Q Cm

Fig. 46 - Effetti del commercio sull'ambiente: paese importatore "piccolo"

Nell’ipotesi in cui non vi sia alcuna regolamentazione ambientale da parte del paese in

questione, l’equilibrio di autarchia si otterrebbe come incontro tra la domanda e l’offerta

“private”, e si collocherebbe nel punto E, con produzione pari a Q e prezzo P. In tale situazione, il

benessere sociale complessivo sarebbe dato dalla differenza tra il benessere privato (WP) ed il

costo sociale (CW) e sarebbe, quindi, misurato dalle aree ABE - AED. Infatti:

WP = ABE (surplus dei consumatori PBE + surplus dei produttori PEA, in

corrispondenza del prezzo P);

CW = AED (area compresa tra S* ed S, in corrispondenza della produzione Q)

Introduciamo ora il commercio internazionale, ipotizzando che il prezzo mondiale si collochi

ad un livello pari a Pw: ciò comporta, ovviamente, la convenienza per il paese che stiamo

28Si ipotizza, invece, la inesistenza di esternalità ambientali dal lato del consumo, anche se queste possono essere

presenti nella realtà.

95

esaminando a diminuire la produzione interna da E a G e ad aumentare il proprio consumo da E

ad F, per importare dal resto del mondo una quantità pari a GF al prezzo Pw. Questo spostamento

dall’autarchia ad una situazione di totale apertura al commercio internazionale provoca una

variazione nel livello di benessere: il surplus dei consumatori aumenta di PEFPw e quello dei

produttori diminuisce di PEGPw, per cui la componente privata del benessere, WP, aumenta di un

ammontare misurato dall’area GEF. Inoltre, in conseguenza della diminuzione della produzione

interna, il costo esterno ambientale si riduce in misura pari a GHDE, per cui il guadagno di

benessere complessivo associato al commercio è pari a GEF + GHDE.

Una prima conclusione a cui ci ha condotto la nostra analisi è, dunque, la seguente: per prodotti

che comportano un costo esterno ambientale, in assenza di regolamentazione, un paese

importatore avrà un guadagno di benessere derivante dal commercio maggiore di quello che si

avrebbe in assenza di esternalità negative di produzione; tale guadagno sarà tanto maggiore

quanto maggiore è il livello del costo esterno ambientale. Infatti, al normale guadagno associato

al commercio (area GEF) si aggiunge la riduzione del costo esterno ambientale conseguente alla

diminuzione della produzione interna resa possibile dalle importazioni.

Ovviamente, la conclusione che qui abbiamo ricavato confrontando una situazione di autarchia

con una situazione di libero commercio, vale anche nel caso di una liberalizzazione: se, cioè, si

pone a confronto una situazione di commercio meno libero, ostacolato da misure protezionistiche,

con una di commercio più libero.

Ma veniamo ora al caso di un paese esportatore, con l’aiuto della figura 47. In essa è

rappresenta una situazione di partenza del tutto analoga a quella descritta nel grafico precedente:

anche qui vi è un equilibrio iniziale di autarchia in E, a cui è associato un benessere complessivo

che ammonta ad ABC meno CDE, come differenza tra la componente privata AEB (somma del

surplus dei produttori e dei consumatori) meno ADE (costo esterno ambientale). L’unica

differenza è che ora le possibilità di commercio sono offerte ad un prezzo mondiale (Pw) che è

più alto di quello di autarchia (P) del paese che stiamo esaminando. La ovvia conseguenza è che il

paese in questione diventerà esportatore sul mercato mondiale, per un ammontare pari ad FG:

infatti, in corrispondenza del prezzo Pw, la domanda interna si ridurrà da E ad F e la produzione

aumenterà da E a G.

Le implicazioni di benessere sono, in questo caso, tutte da verificare. Infatti, dal consueto

guadagno “privato” associato al commercio, misurato nella figura 47 dal triangolo GEF (PwGEP,

guadagno produttori, meno PwFEP, perdita consumatori), va in questo caso sottratto l’incremento

del costo esterno ambientale, conseguente all’aumento della produzione interna rispetto alla

situazione di autarchia: tale costo è dato dall’area EDHG, per cui la variazione del benessere

complessivo conseguente al commercio potrebbe addirittura risultare negativa, se il triangolo JHG

fosse maggiore del triangolo FJC.

96

Pw

P

A

B

C

E

FG

H

J

D

Cx Q Qx

Fig. 47 - Effetti del commercio sull'ambiente: paese esportatore "piccolo"

S

S*

D

Siamo dunque pervenuti ad una seconda conclusione importante: per prodotti che comportano

un costo esterno ambientale, in assenza di regolamentazione, un paese esportatore riceve dal

commercio un effetto sul benessere complessivo il cui segno non è determinabile a priori ma che

è in ogni caso minore di quello che si avrebbe in assenza di esternalità negative di produzione: in

particolare, il guadagno di benessere derivante dal commercio è, per il paese esportatore, tanto

inferiore quanto maggiore è il costo esterno ambientale della produzione interessata; e ciò -

come nel caso precedente - vale sia che si tratti del passaggio da una situazione di autarchia ad

una situazione di libero commercio, come nel nostro grafico, sia che si tratti di una

liberalizzazione commerciale. Più in particolare, se l’esternalità negativa ambientale è molto alta,

il commercio internazionale può addirittura tradursi in una perdita di benessere per i paesi

esportatori, nella misura in cui il danno ambientale della maggior produzione interna supera i

maggiori profitti lordi privati ad essa associati.

4.3 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali e tasse “ottime”

Vediamo ora cosa accade se, in presenza di una esternalità ambientale di produzione, vi è

anche una politica rivolta ad internalizzarla; ipotizziamo che tale politica sia una “tassa ottima”

sulla produzione, pari esattamente al costo esterno ambientale per unità prodotta e, quindi, tale da

97

portare la curva di offerta “privata” a coincidere con la curva di offerta “sociale”. Incominciando

dal paese importatore, guardiamo alla figura 48, del tutto analoga alla precedente figura 46.

A D

S

S*

B

C

M

E

F

G

N

P

Pw

Qm Q Qc

Fig. 48 - Effetti del commercio sull'ambiente in presenza di tassa ottima (paese importatore "piccolo")

Q*Q*m

P*

J

K

D

In autarchia la tassa ottima è pari a CD, per cui il prezzo interno sale, rispetto alla situazione

non regolamentata, a da P a P* e la produzione diminuisce da Q a Q*. In questo caso, non

essendovi più divergenza tra costi privati e costi sociali, il benessere privato e quello sociale

coincidono e sono misurati dal triangolo ABC (surplus dei consumatori BCP*, più surplus dei

produttori P*CA). Introducendo la possibilità di commercio ad un prezzo Pw, inferiore a P*, la

produzione interna diminuisce lungo la S* fino a Q*m e, con essa, diminuisce anche l’ammontare

della tassa ottima, che si attesta al livello JK. Il consumo aumenta fino a Qc ed il paese importa la

quantità Qc-Q*m. In questa situazione, il guadagno di benessere è pari al triangolo JCF (guadagno

dei consumatori P*CFPw, meno perdita dei produttori P*CJPw).

Si può notare che tale guadagno di benessere è diverso da quello che si aveva nella situazione

prima analizzata, quando ipotizzavamo assenza di regolamentazione ambientale: rispetto a quella

situazione, infatti, viene a mancare il guadagno pari al triangolo CME, in quanto il costo esterno

da esso rappresentato era già stato internalizzato dalla tassa ottima; si aggiunge, invece, il trapezio

JNGK, connesso alla riduzione del costo ambientale associata alla ulteriore riduzione della

produzione conseguente alla presenza della tassa. E’ assai probabile che l’area di tale trapezio sia

minore di quella del suddetto triangolo e che, dunque, il guadagno di benessere derivante dal

commercio per un paese importatore sia maggiore in assenza di regolamentazione ambientale:

98

tuttavia ciò dipenderà dalla elasticità della domanda e dell’offerta e dal tipo di divergenza tra

offerta privata ed offerta sociale29.

Il caso del paese esportatore è descritto nella figura 49, del tutto analoga alla precedente figura

47 salvo che adesso la curva di offerta rilevante diventa quella che incorpora anche i costi esterni

ambientali - la S* - in quanto ipotizziamo l’imposizione di una tassa ottima.

Pw

P

A

B

C

E

FN

M

H

K

Cx Q Qx

S

S*

D

P*

D

Q* Q*x

G

Fig. 49 - Effetti del commercio sull'ambiente in presenza di tassa "ottima" (paese esportatore "piccolo")

In autarchia la tassa ottima ammonta a CD, per cui il prezzo di mercato diventa P* e la

produzione scende da Q (livello che si aveva in assenza della tassa) a Q*. Benessere privato e

sociale coincidono e sono misurati dall’area del triangolo ABC. In presenza di un prezzo

internazionale Pw, più alto di quello di autarchia, la produzione aumenta lungo la S* fino a livello

Q*x (dunque, meno di quanto accadeva in assenza della tassa ambientale) e le esportazioni si

attestano sul livello Cx-Q*x. Il guadagno di benessere è stavolta sicuramente positivo anche per il

paese esportatore ed è pari a FCH; tale aumento di benessere si ha nonostante l’inquinamento

aumenti - proporzionalmente all’aumento della produzione interna, incentivato dalla possibilità di

esportazione - rispetto al livello che esso aveva in autarchia. In questo caso, tuttavia, il guadagno

29Nella figura abbiamo ipotizzato un costo marginale esterno crescente al crescere della produzione; ed é questa

l’ipotesi più plausibile. Tuttavia, non si può escludere che per produzioni particolari esso potrebbe essere costante (in tal caso S ed S* sarebbero parallele) o addirittura decrescente.

99

derivante dal commercio eccede il maggior costo sociale dell’accresciuto inquinamento, poiché la

presenza della tassa ottima comunque limita l’aumento della produzione interna, evitando il

prodursi dell’extra-costo HMN che si aveva nella situazione senza tassa.

In sintesi, dunque, la contabilità di benessere relativa al commercio internazionale, in presenza

di tassa ottima, torna ad essere quella classica, con tutti i paesi che guadagnano, siano essi

importatori o esportatori. E, del resto, la cosa non può sorprendere, se si pensa che il ruolo di una

tassa ottima è proprio quella di “internalizzare” l’esternalità ambientale, restituendo al mercato la

capacità allocativa che gli è propria.

10

0

PARTE QUINTA

Le politiche agrarie di sostegno ai mercati

ed il loro contenuto protezionistico

5.1 - Introduzione: il sostegno dei prezzi nella politica agraria

Il modello di politica agraria che è stato dominante nel mondo industrializzato dal secondo

dopoguerra alla fine di questo secolo, ha avuto come principale caratteristica la netta prevalenza

degli interventi a sostegno del mercato (ed in particolare dei prezzi) dei prodotti rispetto a quelli

rivolti alla trasformazione delle strutture aziendali. Questa prevalenza è stata particolarmente

accentuata nell’ambito della politica agricola comune (Pac) dell’Unione Europea, alla quale

faremo più volte riferimento nella esposizione che segue, come “caso di studio” esemplificativo.

Se la Pac è un esempio particolarmente illuminante di politica agraria in cui l’intervento a

sostegno del prezzo ricevuto dagli agricoltori ha finito con il dominare la scena, almeno fino

all’inizio degli anni novanta, essa lo è anche - e soprattutto - per la consistenza e la rilevanza

assunta del suo intervento sui prezzi agricoli e per l’evoluzione che lo ha caratterizzato. Ci si

riferisce in special modo agli effetti a dir poco grandiosi che tale politica ha generato in termini di

aumento della produzione e del grado di autoapprovvigionamento, al conseguente progressivo

accumulo di eccedenze, alla crescita incontrollata della spesa di bilancio necessaria per smaltire le

eccedenze stesse con esportazioni sussidiate, alle tensioni commerciali che queste ultime

innescano sui mercati internazionali.

Nella gestione delle politiche di mercato problemi molto simili sono sorti anche in altri paesi

industrializzati - Stati Uniti e Giappone in particolare - a dimostrazione che gli obiettivi, gli

strumenti, la evoluzione e le difficoltà della Pac sono ampiamente esemplificative di un intero

modello di politica agraria che ha prevalso negli ultimi 50 anni. Tale modello affonda le sue

radici nella crisi agraria della fine del secolo scorso, ma trova piena realizzazione negli anni

trenta, quando l’intervento pubblico assume negli Stati Uniti una funzione determinante nella

gestione dell’assetto e del ruolo dell’agricoltura in una economia avanzata ed in costante crescita.

Vi sono almeno due caratteristiche di tale modello che meritano di essere sottolineate: da un lato

l’idea di giustificare l’intervento pubblico in agricoltura con la necessità di sostegno dei redditi

agricoli; più in particolare, con l’obiettivo di avvicinarli o addirittura renderli pari a quelli

esistenti negli altri settori; dall’altro la scelta di perseguire tale obiettivo soprattutto attraverso lo

strumento dei prezzi. L’ipotesi tradizionale su cui politica agraria fonda la giustificazione di un

tale obiettivo e la scelta di un tale strumento è che, in sistemi economici avanzati, si determini

uno squilibrio strutturale ai danni dell’agricoltura, attribuibile a due ordini di motivazioni: in

primo luogo, l’operare ferreo della cosiddetta legge di Engel, in base alla quale, oltre certi livelli

di reddito pro capite, la domanda di prodotti agricoli tende ad aumentare a ritmi progressivamente

più lenti di quelli con cui tende ad aumentare il reddito stesso ed il prodotto nazionale lordo, e

comunque minori di quelli con cui aumenta l’offerta potenziale di prodotti agricoli. Ciò implica

che, nel quadro dinamico di un processo di crescita economica, l’agricoltura si trovi condannata,

10

1 da un lato, ad essere un “settore in declino” relativamente alle altre attività economiche;

dall’altro, ad operare in una situazione di perenne “eccesso di capacità produttiva”, intesa come

cronica sovrabbondanza di risorse (soprattutto lavoro) che sono in essa impiegate rispetto a

quell’ammontare “di equilibrio” che ne consentirebbe una valorizzazione e, dunque, una

remunerazione paragonabile a quella ricevuta negli altri settori.

In secondo luogo, si sottolinea la circostanza che l’agricoltura si trova ad essere una delle

poche attività economiche caratterizzate da un regime di mercato di tipo concorrenziale, in un

mondo sempre più dominato da oligopoli o comunque da forme di concorrenza imperfetta: ciò

implica una sorta di “strozzamento” dell’agricoltura, la cui capacità di produrre reddito

risulterebbe irrimediabilmente compressa dal maggior potere contrattuale dei settori a monte e a

valle, caratterizzati da meccanismi di determinazione dei prezzi di tipo oligopolistico, a tutto

danno dell’agricoltura stessa sia in quanto acquirente di inputs che venditrice di prodotti. Di qui,

dunque, l’esigenza di sostenere i redditi del settore e l’opportunità di farlo soprattutto fornendo un

supporto al suo (altrimenti scarso) potere di mercato, vale a dire attraverso la stabilizzazione ed il

sostegno dei prezzi ricevuti dagli agricoltori per la vendita dei propri prodotti.

In questo quadro dominato dagli interventi sui prezzi, gli agricoltori ricevono un sostegno che

oggi potremmo definire fortemente accoppiato, cioè direttamente proporzionale alla loro

capacità di produrre beni agricolo-alimentari; il che risulta coerente con un altro obiettivo

tradizionale dell’intervento pubblico in agricoltura negli ultimi decenni che, insieme a quello

della parità intersettoriale dei redditi, ha giustificato il sostegno “accoppiato”: vale a dire

l’obiettivo della sicurezza alimentare, intesa soprattutto in termini quantitativi di autosufficienza o

di miglioramento del grado di autoapprovvigionamento. Questa impostazione delle politiche

agrarie ha trovato ampia diffusione nei sistemi economici più avanzati e non è mai stata messa

seriamente in discussione, almeno a livello politico, fino agli anni ‘80. A parte le già richiamate

giustificazioni di ordine generale, le ragioni più specifiche che in concreto hanno portato a

privilegiare, tra tutti i possibili strumenti, l’intervento sui prezzi e a mantenerlo per un così lungo

periodo di tempo, possono essere così schematizzate.

Innanzitutto, l’intervento sui prezzi consente di favorire la sopravvivenza delle piccole aziende

familiari, fornendo nel contempo un sostegno nettamente superiore a soggetti numericamente

inferiori ma politicamente più forti, quali le aziende più grandi ed efficienti ed i percettori di

rendita fondiaria. In altri termini, con esso si riesce ad accontentare - sia pure in modo

differenziato in relazione alla diversa capacità di pressione - un ampio ventaglio di interessi

presenti nel mondo agricolo.

In secondo luogo, in sistemi economici che si ispirano ai principi del mercato, il fatto che il

sostegno passi attraverso i prezzi30 rende in gran parte invisibile il trasferimento di reddito che

esso comporta, con un duplice effetto rilevante: dal punto di vista dei beneficiari, cioè gli

agricoltori, essi lo percepiscono come un giusto (anzi, ai loro occhi, spesso insufficiente)

30. Ci si riferisce qui, in particolare, a sistemi di prezzo minimo garantito, o comunque a sistemi che mantengono il

prezzo del mercato interno ben al di sopra del prezzo mondiale e, comunque, ad un livello più elevato di quanto sarebbe in assenza di intervento.

10

2 compenso per il loro duro impegno aziendale e non come una forma di assistenza pubblica; per

quanto riguarda chi ne paga il costo - i consumatori - l’esistenza e l’ammontare del sostegno è

difficile da percepire, in quanto reso invisibile dal fatto di essere incorporato nel prezzo del

prodotto finale.

Infine, l’intervento sui mercati garantisce un notevole livello di stabilità interna dei prezzi e dei

ricavi. Ciò rappresenta un notevole stimolo agli investimenti e questi, unitamente ad un flusso

costante di innovazioni tecnologiche orientate alla intensificazione, a loro volta incentivate da un

sistema di convenienze certo e garantito, porta a grandi risultati in termini di produttività; d’altro

canto, l’aumento degli investimenti e le innovazioni tecnologiche aumentano la domanda di beni

intermedi nel processo produttivo agricolo, creando una significativa convergenza di interessi tra

agricoltura ed industria fornitrice di mezzi tecnici, le quali entrambe traggono notevoli vantaggi

dall’intensificazione dei processi produttivi a livello aziendale.

Sebbene un simile elenco dei punti di forza del modello “accoppiato” di politica agraria non sia

certamente esauriente, esso evidenzia con chiarezza due principali forze trainanti per la scelta

delle politiche di prezzo come strumento privilegiato. Da una parte vi è una valutazione di tipo

economico, in base alla quale occorre riconoscere che questo tipo di intervento, se effettuato in un

contesto sviluppato ed in grado di fornire input tecnici adeguati, dimostra una efficacia

straordinaria, sia in termini produttivi, sia nel gestire ed ammortizzare i processi di aggiustamento

del settore e nel settore. Dall’altra - come si vedrà meglio nel seguito - va sottolineata la sua

notevole appetibilità per il policy maker, in termini di massimizzazione del consenso e

minimizzazione del dissenso, in considerazione della grande capacità dell’intervento sui prezzi di

soddisfare le condizioni per una risposta efficiente ed efficace all’azione dei gruppi di interesse

sul “mercato politico” della protezione e del sostegno.

A fronte di questi elementi che spiegano il favore di cui hanno goduto le attuali politiche sono

emersi, soprattutto negli anni più recenti, una serie di inconvenienti e di effetti indesiderati che le

hanno messe in crisi da diversi punti di vista: le ragioni di una tale crisi possono essere riassunte

nei seguenti punti.

1)L’obiettivo della parità intersettoriale dei redditi non è stato raggiunto ma il problema della

povertà delle zone rurali, almeno in termini assoluti, si è notevolmente ridotto. Ciò è stato il

risultato del miglioramento delle strutture agricole che comunque è andato avanti, della maggiore

integrazione intersettoriale sul territorio, con i connessi fenomeni di pluriattività, nonché della

notevole diffusione delle politiche di welfare che si è avuta a partire dal dopoguerra. Il

miglioramento delle condizioni di vita nelle zone rurali ha conseguenze importanti anche nella

percezione dell’opinione pubblica e si traduce in un ribaltamento della tradizionale retorica città-

campagna: in contesti sviluppati non è più scontato considerare gli abitanti delle città come

soggetti privilegiati rispetto agli agricoltori in termini di reddito e qualità della vita, ed anzi

sempre più spesso si incomincia a pensare - e probabilmente non a torto - che sia vero il contrario.

2)In quasi tutti i paesi industrializzati il ruolo dell’agricoltura nell’economia risulta

profondamente modificato, in quanto il settore primario non rappresenta più unicamente un

10

3 fornitore di beni alimentari e di manodopera per i settori extragricoli. Il grande esodo di forza

lavoro dall’agricoltura è già avvenuto e va sottolineato che le attuali forme di fuoriuscita dal

settore spesso non coincidono, come in passato, con l’abbandono dell’ambito rurale.

Conseguentemente le nuove modalità dello sviluppo, non più necessariamente trainato dalla

grande industria metropolitana e spesso legato ad attività economiche diffuse sul territorio, hanno

profonde conseguenze sulle forme di conduzione aziendale e sui rapporti dell’agricoltura con il

contesto economico circostante, imponendo una revisione dei tradizionali modelli basati sulla

classica “azienda familiare a tempo pieno” come soggetto principale dell’analisi economico-

agraria ed oggetto privilegiato dell’intervento pubblico nel settore.

3)Le politiche di prezzo hanno finito con l’essere, in un certo senso, vittime del loro stesso

successo, in quanto lo spettacolare aumento delle produzioni da esse indotto ha generato un

eccesso di offerta crescente, con la conseguente formazione di eccedenze strutturali. La spesa per

lo smaltimento di tali eccedenze, per lo più esportate all’estero mediante robusti sussidi pubblici,

ha fatto esplodere i costi di bilancio di tali politiche ed ha contribuito a rendere i mercati

internazionali - riferimento di cui una politica di prezzo ha per definizione bisogno - sempre più

instabili e disarticolati.

4)Il raggiungimento degli obiettivi quantitativi in termini di produzione e l’impatto negativo

sull’ambiente di pratiche produttive sempre più intensive - come si è detto in gran parte esse

stesse incentivate da un sostegno “accoppiato” alla quantità prodotta quale quello assicurato

dall’intervento sui prezzi - hanno contribuito a far emergere o ad amplificare nuovi obiettivi e

nuovi vincoli in termini di qualità dei prodotti e dell’ambiente stesso e, più in generale, in termini

di uso “sostenibile” delle risorse agricole.

5)Le innovazioni biotecnologiche - speranza e minaccia di un futuro più o meno prossimo -

prefigurano la possibilità di indirizzare i prodotti agricoli ad una vastissima serie di nuove

utilizzazioni. Di conseguenza una componente sempre più ampia dell’industria a valle del

l’agricoltura guarda con favore ad una liberalizzazione del settore tale da consentire un

riorientamento delle scelte produttive sulla base delle forze del mercato.

6)Il prevalere negli anni ottanta dell’ideologia liberista ha fatto passare in secondo piano o ha

addirittura avversato obiettivi redistributivi, come quello della parità intersettoriale dei redditi,

mentre ha enfatizzato i meriti dei meccanismi autoregolativi, tipici del mercato, rispetto alle

distorsioni indotte dall’intervento pubblico.

Ma vediamo ora quali sono gli strumenti a cui ancor oggi in gran parte si affidano, nonostante i

problemi sopra richiamati, le politiche di sostegno dei prezzi agricoli. Analizzeremo innanzitutto

gli strumenti classici delle politiche di prezzo per un dato prodotto, in riferimento al caso di paese

importatore (prezzo minimo con prelievi variabili sulle importazioni; integrazione di prezzo;

dazio o quota sulle importazioni) e di paese esportatore (prezzo minimo garantito con restituzioni

variabili all’esportazione), nella ipotesi di paesi “piccoli”, tali cioè da non influenzare con il loro

flusso di import-export l’equilibrio del mercato mondiale. Successivamente complicheremo

l’analisi rimuovendo l’ipotesi di paese “piccolo”, sia per valutare gli effetti delle misure

10

4 analizzate sul resto del mondo, sia per cogliere alcune significative differenze che i diversi

strumenti hanno in relazione al tipo ed alla intensità di tali effetti.

5.2 - Il sostegno dei prezzi da parte di un paese “piccolo”

5.2.1 - Il caso di un paese importatore

In riferimento alla Figura 50, siano D ed S le schede di domanda e offerta interne del prodotto

che consideriamo e sia Pw il suo prezzo mondiale. Come si è già detto nelle pagine precedenti, il

fatto che il paese di cui parliamo è “piccolo” rispetto al mercato mondiale, sta a significare che

esso è a tutti gli effetti un price taker, che “subisce” il prezzo senza poterlo influenzare. Ciò

implica che nei suoi confronti la curva di offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo

risulta infinitamente elastica in corrispondenza di Pw e, quindi, qualunque quantità di

importazioni richiesta dal paese in questione (o qualunque variazione di tale quantità) è

comunque irrilevante rispetto ai flussi di scambio complessivi, che determinano il prezzo sul

mercato internazionale.

D S D S

P

Pw

C D

P'G H

A B

RT

A E B

C

1

3

P

Pw

I M N L

Prezzo minimo con prelievi variabili; dazio;

Quota di importazione

Figura 50 - Strumenti di sostegno e protezione (paese importatore "piccolo")

E F

2

Integrazione di prezzo

P'w

In assenza di politiche di sostegno interno e di restrizioni commerciali, il prezzo Pw si

trasmetterà31 al mercato interno, per cui vi sarà una importazione pari ad AB. Caliamo su questa

ipotetica situazione di free trade una politica che voglia sostenere il reddito dei produttori

nazionali mediante un innalzamento del prezzo (da Pw a P) da essi ricevuto. Ciò può ottenersi

mediante quattro tipi di misure:

31.Ovviamente, tale trasmissione va intesa al netto dei costi di trasporto che per semplicità - in questo come in tutti i

casi che seguono - ipotizziamo nulli o comunque irrilevanti. Un'altra ipotesi semplificatrice, che sempre si fa in questo tipo di analisi, è la perfetta omogeneità qualitativa e, dunque, la totale sostituibilità tra prodotto estero e prodotto interno.

10

5 1)Mediante un sistema basato sul mantenimento di un prezzo di mercato interno ad un livello

minimo garantito e sostenuto sia da interventi di acquisto delle eventuali eccedenze da parte di

agenzie pubbliche, sia da un sistema di prelievi variabili sulle importazioni legati ad un prezzo

minimo di entrata (prezzo soglia).

2)Mediante una quota sulle importazioni, che limita l’offerta complessiva presente sul mercato

interno fino a quell’ammontare necessario perché, data la domanda interna, l’equilibrio si

raggiunga ad un livello di prezzo P.

3)Mediante un dazio che, aggiungendosi al prezzo (Pw) di importazione, innalza il prezzo di

offerta sul mercato interno.

4)Mediante un sistema di integrazione di prezzo (deficiency payments), con cui si lascia libero

il commercio con l’estero ed il prezzo del mercato interno, ma lo si integra con pagamenti diretti

agli agricoltori per ogni unità prodotta, fino a raggiungimento di un prefissato livello di prezzo-

obiettivo (P).

5.2.1.1 - Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione

Sempre in riferimento alla Figura 50, in una ipotetica situazione di partenza caratterizzata da

totale assenza di politiche e, dunque, in regime di libero scambio al prezzo Pw, le importazioni

sarebbero pari alla quantità AB. Con il sistema basato su di un prezzo minimo garantito con

prelievi variabili all’importazione si fissa un livello di prezzo di intervento (P) superiore a Pw, al

quale l’autorità pubblica si impegna comunque ad acquistare il prodotto dagli agricoltori, qualora

questi non riuscissero a venderlo sul mercato ad un prezzo superiore.

Per evitare operazioni commerciali di arbitraggio speculativo (flussi di prodotto importato al

prezzo Pw e poi venduto alle agenzie di intervento al prezzo P) è necessario istituire un

meccanismo di protezione alla frontiera. Questo consiste nella fissazione di un prezzo soglia o di

entrata (di norma leggermente superiore al prezzo di intervento ma che qui, per semplicità,

supponiamo anch’esso uguale a P) che regola l’ammontare unitario del prelievo variabile, cioè di

una tassa che viene imposta sulle importazioni e che è pari, appunto, alla differenza tra prezzo

soglia (P) e prezzo di importazione (Pw). Il prelievo è variabile, giacche dipende dalla variabilità

del prezzo mondiale: se Pw aumenta, essendo fisso P, il prelievo diminuisce e viceversa. Ciò che

conta per il funzionamento del sistema descritto non è l’ammontare del prelievo, ovvero la

differenza tra prezzo interno e prezzo mondiale, bensì unicamente il fatto che il prodotto

importato entri nel mercato interno ad un prezzo non inferiore a P.

In questa situazione il prezzo del mercato interno si assesta su un livello pari (almeno) a P, la

produzione interna aumenta fino a PC, la domanda diminuisce a PD e, conseguentemente,

l’importazione si riduce da AB a CD. In termini di surplus, i consumatori, che in conseguenza di

tale sistema pagano un prezzo maggiore (P anziché Pw) e consumano una quantità minore (PD

anziché PwB), perdono l’area PDBPw. Una parte di questa perdita è compensata dal guadagno

dei produttori interni (che producono di più e ricevono un prezzo maggiore di prima), che è pari

al trapezio PCAPw; un’altra parte si traduce in un guadagno del bilancio pubblico, sotto forma di

10

6 entrate doganali, misurate dal rettangolo CDFE (pari alle importazioni, CD, per il prelievo

variabile unitario, P-Pw).

Sommando algebricamente queste variazioni di benessere, rimane una perdita secca per il

paese che pratica la politica descritta, rappresentata nella figura dai due triangoli ACE e FDB.

Tale perdita è dovuta alla distorsione che viene imposta rispetto all’equilibrio di libero scambio:

più in particolare, alla riduzione delle possibilità di consumo (FDB) ed alla sostituzione di

importazioni competitive acquistabili a basso prezzo sul mercato mondiale, con merce prodotta

internamente, a costi più alti, da produttori non competitivi (ACE).

5.2.1.2 - Integrazione di prezzo

Gli stessi obiettivi di sostegno del reddito dei produttori possono essere raggiunti in modo

meno inefficiente (in termini di perdita di benessere) mediante un sistema di integrazione del

prezzo ricevuto dagli agricoltori con pagamenti diretti erogati dal bilancio pubblico.

In riferimento alla parte destra della Figura 50 (identica alla parte sinistra in termini sia di

livello del prezzo mondiale - Pw - che di forma delle schede di domanda e offerta) sia ancora P il

prezzo che si vuole garantire agli agricoltori. In tal caso, lasciando libero il commercio ed

inalterato l’equilibrio del mercato al prezzo Pw, lo Stato si impegna con gli agricoltori ad

integrare tale prezzo, fino al livello P, con pagamenti diretti per ogni unità da essi prodotta. I

consumatori non sono toccati, e continuano a consumare in B al prezzo Pw, mentre i produttori

“rispondono” alla politica muovendosi lungo la curva di offerta fino al punto C, cioè facendo i

propri conti sulla base del “prezzo” P (pari a Pw, ottenuto dalla vendita sul mercato, più P-Pw,

ottenuto come erogazione dal bilancio pubblico). La produzione aumenta da PwA a PC, ma il

consumo rimane inalterato, per cui le importazioni si riducono meno che nel caso precedente,

passando da AB ad EB.

In termini di benessere, la politica si risolve in un trasferimento diretto dal bilancio pubblico

agli agricoltori, misurato dalle aree 1+2, pari alla quantità prodotta (PC) per l’integrazione

unitaria di prezzo (P-Pw). Ciò comporta una perdita di benessere pari al triangolo 2, uguale

all’area ACE che avevamo individuato nel caso del prelievo variabile all’importazione, giacche

l’aumento di surplus degli agricoltori è limitato all’area 1. Tale perdita deriva dal fatto che la

quantità misurata dal segmento AE, in precedenza importata al prezzo Pw, con un costo per la

collettività nazionale pari all’area 3 (prezzo mondiale per quantità importata), viene ora prodotta

internamente a costi più elevati, misurati dal segmento AC della curva di offerta. Infatti, per

aumentare la quantità prodotta i produttori interni si muovono lungo la curva di offerta da A a C

e, dunque, sostengono un aumento di costi, misurato appunto dall’area (2+3) sotto la curva di

offerta. A riguardo c’è tuttavia da osservare - e ciò, come vedremo meglio in seguito vale in

generale, per tutte le misure che influenzano il prezzo ricevuto dagli agricoltori e la quantità da

essi prodotta - che tale aumento di costi, essendo conseguenza dell’aumento della capacità

produttiva dell’agricoltura nazionale, va in gran parte a remunerare il reddito di soggetti

(lavoratori agricoli, industrie a monte dell’agricoltura, altre aziende agricole produttrici di inputs)

10

7 il cui sostegno, in modo più o meno esplicito, fa parte degli obiettivi o delle giustificazioni di tali

tipi di misure. Da questo punto di vista tale aumento di costi potrebbe essere considerato

irrilevante o addirittura desiderabile dai policy makers, ma con tali considerazioni si apre un

fronte di ragionamento - che svilupperemo nel paragrafo successivo - diverso da quello della

efficienza e della massimizzazione del benessere collettivo32.

Anche nel caso dell’integrazione di prezzo, dunque, sul terreno della pura efficienza

l’intervento pubblico allontana il sistema dall’equilibrio concorrenziale e comporta una

“distruzione” di ricchezza sociale, sia pure minore di quella imposta dal sistema di prezzo

minimo garantito. Prima di continuare con la valutazione in termini di efficienza e di benessere

delle altre possibili misure di sostegno del prezzo, soffermiamoci a riflettere su questo punto.

5.2.1.3 - Una valutazione in chiave “gruppi di interesse”

Siamo finora pervenuti a due conclusioni importanti:

a)le politiche di prezzo minimo garantito, sia quella basata sul sistema del prezzo soglia e dei

prelievi variabili all’importazione che quelli che si affidano alla integrazione diretta del prezzo,

comportano una perdita secca in termini di efficienza e, dunque, riducono il benessere collettivo;

b)la politica di prezzo minimo garantito basata sui prelievi variabili alle importazioni comporta

una perdita di efficienza e di benessere relativamente maggiore.

Sulla base di tali conclusioni, sorgono spontanei due quesiti:

1)Perché entrambe le politiche sono così diffuse, nonostante la perdita di benessere che esse

comportano?

2)Perché le politiche di prezzo minimo garantito - che come si è visto comportano un maggior

grado di inefficienza in termini di variazioni del benessere - è stata per lungo tempo relativamente

più diffusa rispetto a quelle basate sull’integrazione di prezzo?

Le risposte possibili a questi quesiti sono sostanzialmente tre:

1)I policy makers non conoscono l’economia o si affidano a consulenti economici stupidi o

ignoranti: in altri termini, come si diceva all’inizio della seconda parte, il protezionismo è bad

economics.

2)La variazione di benessere collettivo indotta da una politica non è correttamente misurata

dalla variazione delle aree di surplus dei produttori e dei consumatori né, tanto meno, dalla loro

somma algebrica.

3)Il benessere collettivo è effettivamente dato dalla somma del surplus dei produttori e di

quello dei consumatori, meno (più) le eventuali spese (entrate) di bilancio, ma la

massimizzazione del benessere collettivo non è il vero obiettivo perseguito dai policy makers:.

Essi, in modo più o meno avveduto o efficiente, perseguono altri obiettivi quali, ad esempio, la

32 Se si rimane sul fronte dell'efficienza e del benessere collettivo, va ricordato che, data l'ipotesi dell'esistenza di

un equilibrio piena occupazione che questo tipo di valutazione impone, le maggiori risorse impiegate in agricoltura in conseguenza dell'intervento di sostegno sono per definizione distolte da impieghi potenzialmente più produttivi; conseguentemente, da questo punto di vista l'area 2 sotto la curva di offerta rappresenta comunque un costo netto per la società, indipendentemente dai soggetti che va a remunerare, poiché certamente riduce la capacità di produrre ricchezza dell'economia nel suo insieme.

10

8 massimizzazione del consenso e del sostegno politico-elettorale dei vari gruppi di pressione;

oppure si comportano da puri mediatori delle istanze che arrivano sul “mercato politico”,

predisponendo una “offerta” di sostegno pubblico adeguata alla relativa “domanda” che in tale

mercato si materializza con modalità ed intensità che dipendono dal tipo e dalla forza

organizzativa dei diversi gruppi di interesse in esso operanti.

La risposta 1, probabilmente valida in casi particolari, è tuttavia troppo semplicistica e,

dunque, da scartare come motivazione generale. La risposta 2, pur richiamando critiche fondate,

non coglie il nocciolo della questione giacche sottolinea la relativa inaffidabilità delle misurazioni

di benessere sotto il profilo teorico, ma non necessariamente ne ribalta il risultato.

La risposta più convincente è, dunque, la terza: i policy makers non massimizzano il benessere

collettivo, ma privilegiano gli interessi dei gruppi (nel nostro caso la lobby agricola)

maggiormente in grado di esercitare una pressione organizzata, a danno di quello dei soggetti (nel

nostro caso i consumatori) meno “attenti” agli effetti della politica in questione o che, sia pure (o

forse proprio perché) più numerosi sono meno organizzati nella difesa dei propri interessi o non

lo sono affatto. Un tale comportamento è perfettamente razionale, se l’obiettivo del policy maker

- così come è forse più ragionevole supporre - piuttosto che un astratto concetto di benessere

collettivo riguarda la massimizzazione o la gestione del consenso che egli riscuote tra i potenziali

elettori; o, alternativamente, è perfettamente efficiente se il suo ruolo è quello di mediazione tra

interessi divergenti sul mercato politico. Va qui ricordato che in una realtà sviluppata - quale ad

esempio quella della Unione Europea - gli agricoltori sono pochi ed i consumatori sono molti e

relativamente ricchi, per cui il peso della spesa per alimenti sulla loro spesa totale è modesto e

decrescente (legge di Engel). Ciò implica che il guadagno complessivo degli agricoltori, pur

essendo minore della perdita imposta al complesso dei consumatori, è molto più concentrato ed

“evidente”: il guadagno del singolo agricoltore è molto più elevato della perdita del singolo

consumatore. Questi, dunque, ha minori incentivi, ed anche meno occasioni o sedi istituzionali, a

“darsi da fare” per ostacolare le politiche descritte, di quanti ne ha l’agricoltore per promuoverle e

difenderle.

Volendo inglobare queste considerazioni nel tipo di analisi condotta precedentemente, lo si

potrebbe fare in molti modi, a seconda del modello con cui si rappresenta la realtà del “mercato

politico”; intuitivamente, e in generale, si può qui affermare che, comunque, andrebbe

drasticamente modificato il sistema di ponderazione delle varie voci di costo e beneficio che

entrano nel calcolo della variazione di benessere indotta da una politica. Nei nostri precedenti

conti, fatti in riferimento ad un approccio tradizionale che implicitamente assume un obiettivo di

massimizzazione del benessere collettivo da parte di policy makers neutrali e disinteressati, per

definizione la lira guadagnata o persa dai consumatori valeva esattamente quanto quella

guadagnata o persa dagli agricoltori; o, ancora, quanto quella aggiunta o tolta al bilancio

pubblico. Si è già accennato a come ciò rappresenti una ipotesi forte anche dal punto di vista

dell’analisi economica tradizionale, ma il punto che si vuole qui sottolineare è un altro. Si tratta

del fatto che, sul “mercato politico” della protezione e del sostegno pubblici, le cose stanno in

10

9 modo radicalmente diverso. I “pesi” da attribuire (o che i policy makers di fatto attribuiscono) ai

costi e ai benefici indotti da una politica non possono per definizione essere assunti tutti uguali a

1, giacche sul “mercato” in questione il valore dei guadagni e delle perdite dipende sia dalla

capacità di pressione politica dei beneficiari e dei danneggiati che dalla loro effettiva percezione

del danno o del vantaggio. Sotto questo profilo è chiaro che la variazione di benessere dei

produttori, nel caso della politica agraria di un paese sviluppato, conta molto di più di quella dei

consumatori; ed è altrettanto chiaro che, forse più di ogni altra cosa, conta la variazione nel

bilancio pubblico: un aumento delle entrate pubbliche è una specie di manna per il policy maker,

giacche con esse egli potrà attivare ulteriori politiche, mentre un aumento della spesa va

finanziato con un aumento della imposizione fiscale, che finisce con l’essere molto più “costosa”

in termini di consenso, giacche in genere gli individui sono molto più attenti e sensibili, al costo

sopportato in veste di contribuenti di quanto non lo siano in veste di consumatori di prodotti

agricoli. Il discorso che qui si è fatto sui rapporti di forza e sui “pesi” che il mercato politico

attribuisce a costi e benefici di una politica di prezzo è quasi esattamente ribaltabile nel caso di un

paese arretrato, dove gli agricoltori sono molti, dispersi e poco organizzati e, all’opposto, i

consumatori dell’area urbana sono relativamente pochi, molto più organizzati e attenti

all’andamento dei prezzi agricoli, in quanto beni salario. E non sorprende, dunque, che nei paesi

in via di sviluppo, a differenza di quanto accade in quelli sviluppati, le politiche di prezzo

tendono a tassare l’agricoltura, a vantaggio degli altri settori dell’economia di cui si vuole

promuovere o proteggere la crescita e che, inoltre, spesso sono molto più forti ed organizzati

nell’esercitare la propria “domanda” di sostegno.

Tornando, allora, ai nostri grafici e ad i nostri quesiti, la diffusione delle politiche di sostegno

dei prezzi agricoli è molto meno paradossale di quanto appare sulla base di una analisi di

economia del benessere tradizionale. Non è possibile attribuire un valore numerico valido una

volta per tutte ai pesi che i policy makers implicitamente associano alle varie voci di benessere,

giacche tali pesi variano in contesti geografici o temporali diversi, in connessione alla struttura

del “mercato politico” ed al ruolo che in esso giocano i vari gruppi di pressione. Tuttavia, in

riferimento al contesto dei paesi sviluppati, la diffusione di una politica di prezzo minimo

garantito è perfettamente spiegabile: infatti il suo costo per i consumatori (l’area PDBPw nella

Figura 50) conta poco perché colpisce soggetti che, nelle realtà sviluppate, sono relativamente

ricchi e, dunque, disattenti al livello del prezzo dei prodotti agricoli e fortemente avversi ai rischi

associati alla totale dipendenza dai mercati internazionali, in termini di variabilità dei prezzi

stessi e sicurezza degli approvvigionamenti33. Al contrario il beneficio di una politica di prezzo

minimo garantito - sia pure inferiore nel complesso al suo costo sociale - premia il gruppo (molto

più piccolo e organizzato) degli agricoltori (area PCAPw) ed addirittura aumenta le entrate di

bilancio (area CDFE). Al contrario, l’intervento di integrazione del prezzo è molto meno

efficiente sul “mercato politico” giacche, pur beneficiando gli agricoltori (area 1 nella parte destra

33. C'è da osservare, al riguardo, che il costo dell'intervento di sostegno basato sul prezzo minimo, calcolato come

perdita del surplus dei consumatori, non tiene conto della parziale “compensazione” che essi ricevono in termini di riduzione della dipendenza dal mercato mondiale e stabilizzazione del mercato interno indotte da tale intervento.

11

0 della Figura 50) scarica l’intero costo della politica, compresa la perdita netta che essa comporta,

sul bilancio pubblico (area 1+2); inoltre, pur salvaguardando il benessere dei consumatori dal

punto di vista del livello (basso) dei prezzi agricoli, non li mette al riparo dal rischio della loro

variabilità che, come si è detto, potrebbe risultare molto accentuata, qualora i prezzi interni

fossero completamente allineati a quelli mondiali.

5.2.1.4 - Quota di importazione e dazio

Tornando alle altre due misure di sostegno del prezzo richiamate all’inizio, la Figura 50 ci

consente anche di richiamare gli effetti della imposizione di un dazio o di una quota sulle

importazioni, già analizzati in dettaglio nelle pagine precedenti. Guardando la parte sinistra della

figura, gli effetti indicati per una politica di prezzo minimo garantito a livello P sono del tutto

identici alla imposizione di una quota di importazione pari alla quantità CD. In tal caso, infatti,

l’equilibrio si stabilirà in corrispondenza di quel prezzo che genera un eccesso di domanda

esattamente pari all’ammontare della quota: tale prezzo è, appunto, P, giacche in corrispondenza

di P la produzione interna sale a PC, il consumo si riduce a PD, con un eccesso di domanda pari

proprio a CD. Guadagni e perdite di produttori e consumatori sono identici a quelli del prezzo

minimo, mentre l’unica differenza è il rettangolo CDFE: anziché una entrata doganale per il

bilancio pubblico, esso rappresenta il guadagno dei possessori delle licenze di importazione, che

comprano a Pw sul mercato mondiale e rivendono a P sul mercato interno. Se, tuttavia, lo Stato

vendesse le licenze di importazione al migliore offerente, tale area tornerebbe ad essere - come

nel caso precedente - una entrata di bilancio.

Analoghi sono anche gli effetti di un dazio sulle importazioni, che per semplicità ipotizziamo

sia costituito da un valore fisso pari, nella Figura 50, alla distanza tra P e Pw: il prezzo di

importazione, gravato del dazio, sale a P, dato che a Pw - prezzo al quale gli esportatori esteri

sono in grado di “arrivare” alla frontiera del paese che pratica la politica in questione - va

aggiunto l’ammontare del dazio che le merci devono pagare per accedere al mercato interno.

Conseguentemente il prezzo interno del paese che impone il dazio, protetto dalla concorrenza

internazionale, si attesta anch’esso al livello P, con conseguenze del tutto analoghe a quelle viste

in precedenza: in risposta ad un prezzo maggiore, la produzione interna sale da PwA a PC; il

consumo si riduce da PwB a PD; le importazioni scendono da AB a CD. L’area CDFE sarà

un’entrata doganale (pari alla quantità importata, CD, per l’ammontare unitario del dazio, P-Pw);

PCAPw è il guadagno di surplus dei produttori e PDBPw la perdita dei consumatori. Esattamente

come nel caso del prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione, anche nel caso

del dazio vi sarà una perdita netta di benessere pari alla somma dei due triangoli ACE e BDF.

L’analogia però cessa - è questo un punto importante - nel caso di una modifica dello scenario

in cui si calano le politiche analizzate, in termini di una variazione del prezzo mondiale Pw. Se

questo, ad esempio, per motivi esogeni dovuti a modifiche degli equilibri del mercato mondiale,

scende da Pw a P’w, nel caso del dazio anche il prezzo interno scende, in misura analoga al

prezzo internazionale, da P a P’ (ovviamente, nel caso di un dazio di ammontare fisso, P’-P’w =

11

1 P-Pw = ammontare del dazio); conseguentemente, il quadro degli effetti indotti dalla politica

cambia del tutto rispetto al caso prima descritto: le importazioni passano a GH; il surplus dei

produttori derivante dal mantenimento del dazio, diventa l’area P’GRP’w; la perdita dei

consumatori diventa l’area P’HTP’w; l’introito doganale passa da CDFE a GHLI.

Gli effetti di una variazione del prezzo mondiale sono completamente diversi se il prezzo

interno è sostenuto da un sistema di prelievi variabili o da una restrizione quantitativa (quota)

all’importazione, da misure - cioè - “non tariffarie”. In tal caso, infatti, una riduzione del prezzo

mondiale da Pw a P’w non si trasmette al mercato interno, in cui il prezzo rimane attestato a

livello P. L’unica cosa che cambia è l’ammontare del prelievo variabile, che aumenta da P-Pw a

P-P’w e, con esso, l’ammontare delle entrate doganali che passano da CDFE a CDNM34.

Ciò significa che, rispetto al dazio, il sistema basato su misure quali i prelievi variabili o la

quota di importazione assicura un sostegno molto più sicuro e robusto: esso, infatti, oltre a

sostenere il prezzo interno ad un livello superiore a quello mondiale (cosa che fa anche il dazio),

lo mantiene stabile, isolandolo completamente dagli andamenti del mercato mondiale (cosa che,

invece, non fa il dazio). Nel breve periodo è questo, ovviamente, un pregio della politica di

prezzo minimo garantito, giacche essa mette al riparo il mercato interno dall’incertezza di

fluttuazioni congiunturali - che talvolta possono essere anche molto rilevanti - dovute ad eventi

del tutto esogeni. In un orizzonte temporale più ampio, al contrario, questo è un grave difetto

della politica in questione; essa, infatti, isolando il mercato interno, da un lato non consente ai

“segnali” di prezzo provenienti dai mercati internazionali di raggiungerlo, per orientare

l’aggiustamento di lungo periodo; dall’altro blocca e distorce completamente quei processi di

specializzazione ed integrazione commerciale che il dazio si limita, per così dire, ad attenuare. La

conseguenza, a lungo andare, può essere - come è accaduto nella Unione Europea per alcuni

prodotti - il mantenimento di un mercato interno del tutto artificiale, sempre più sganciato dalle

leggi della domanda e dell’offerta.

Come si è accennato nell’introduzione e come vedremo nel seguito, le conseguenze di una tale

situazione diventano particolarmente gravi quando - anche in conseguenza di una tale politica di

prezzi interni alti e sganciati dagli andamenti dei mercati internazionali - si passa da una

situazione di importazione netta ad una situazione di eccesso di offerta, il cui smaltimento diviene

difficile e costoso, sia in termini finanziari che in termini di “costo” politico.

5.2.2 - Il sostegno del prezzo in un paese esportatore “piccolo”

In riferimento alla Figura 51, siano D e S le curve di domanda e offerta interne del prodotto

che consideriamo e sia Pw il suo prezzo mondiale. Iniziando dalla parte sinistra della figura, in

essa è rappresentato, per semplicità, un caso in cui Pw coincide con l’equilibrio tra domanda e

offerta sul mercato interno (punto A) ed in cui, quindi, in assenza di politiche da parte del paese

che stiamo esaminando, non vi sarebbe alcun flusso di commercio con l’estero. Nulla

34. Analogamente, nel caso della quota, l'unica cosa che cambia è il guadagno dei possessori delle licenze di

importazioni, che ora lucrano un differenziale di prezzo pari a P-P'w.

11

2 cambierebbe, nel ragionamento che segue, se il paese di cui si parla fosse esportatore puro del

prodotto esaminato, se cioè lo fosse anche in assenza di politiche di sostegno. Il caso qui

discusso, non certo infrequente nella realtà comunitaria, è quello di un prodotto la cui

competitività è, per così dire, artificiale; il cui eccesso di offerta sulla domanda interna, cioè, non

deriva da un vantaggio comparato ma è piuttosto conseguenza dell’operare di meccanismi di

sostegno interno.

1

2

3

4

P

D S

B C

A

B C

D S

E F

A

L G H M

P

P'

P'w

2

1

9 87

6 5

4

3

Fig. 51 - Strumenti di sostegno e protezione (paese esportatore "piccolo")

TRPw

Prezzo minimo con sussidi (variabili) all'esportazione Sussidio (fisso) alle esportazioni

Pw

Sia P il livello del prezzo minimo garantito, sostenuto al solito da un meccanismo di prelievi

variabili sulle importazioni pari (almeno) a P-Pw. Al prezzo P la produzione aumenta, lungo la

curva di offerta, fino a PC, mentre la domanda diminuisce a PB. Conseguentemente si genera un

eccesso di offerta pari a BC che non trova acquirenti sul mercato privato e che, dunque, sarà

acquistato (al prezzo P) dalle agenzie pubbliche di intervento. Ipotizzando che tali agenzie

smaltiscano le eccedenze, acquistate al prezzo P, esportandole al prezzo Pw, la spesa minima di

bilancio necessaria per il mantenimento di questa politica è pari alla eccedenza BC per il

differenziale di prezzo (P-Pw), ammontare che nella parte sinistra della Figura 51 è rappresentato

dal rettangolo 2+3+4, più il costo amministrativo delle operazioni di controllo, immagazzinaggio,

trasporto. Ovviamente è per semplicità che qui consideriamo l’esportazione come l’unica

destinazione delle eccedenze accumulate presso le agenzie di intervento. Nella realtà si cercano

molti altri modi di smaltirle (vendita sotto costo a comunità, aiuti alimentari, trasformazione del

prodotto per usi industriali o non convenzionali, etc.), ma tali alternative comportano in genere un

costo maggiore. Nella figura che stiamo esaminando il costo amministrativo della politica non

compare, ma esso può essere tutt’altro che trascurabile, come accade per molti dei prodotti di cui

la Unione Europea è strutturalmente eccedentaria, caratterizzati da tempi medi di giacenza molto

lunghi. Per evitare parte dei costi amministrativi, accanto al sistema di intervento pubblico di

11

3 acquisto è attivato un sistema di restituzioni (sussidi) variabili all’esportazione, rivolti a coprire

la differenza (P-Pw) tra il prezzo interno ed il prezzo mondiale: ciò rende possibili vendite dirette

all’estero da parte dei privati e riduce il flusso di eccedenze che passa per le agenzie di

intervento35. In ogni caso, dunque, il costo di bilancio della politica descritta è almeno pari al

rettangolo 2+3+4.

Il guadagno dei produttori è pari al surplus misurato dalle aree 1+2+3, la perdita dei

consumatori è 1+2, per cui c’è una complessiva perdita di benessere derivante da tale politica,

misurata dall’area dei triangoli 2 e 4. Sotto il profilo concettuale tale perdita - e, dunque, il grado

di inefficienza della misura descritta - è del tutto analoga a quella che abbiamo trovato nel caso di

paese importatore. Tuttavia, mentre in quel caso una contabilità in chiave gruppi di interesse

ribaltava, in positivo, la valutazione della politica, giacche tutto il costo gravava sui consumatori,

qui le cose stanno diversamente, giacche una parte consistente del beneficio che arriva ai

produttori è finanziato da una spesa che grava sul bilancio pubblico. E questa, come si è detto,

conta molto - in negativo - nella valutazione in chiave di “mercato politico”.

Su questo punto, del resto, la vicenda della Pac è esemplare: i meccanismi di prezzo minimo

garantito, nati nella prima metà degli anni sessanta, nonostante la loro inefficienza sotto il profilo

del benessere hanno operato sostanzialmente indisturbati per quasi un ventennio; finche, cioè, la

Unione Europea è stata importatrice netta, a meno di eccedenze congiunturali, di tutti i prodotti

cui essi erano applicati. A partire, invece, dall’inizio degli anni ottanta, quando - anche in virtù

del sostegno generosamente erogato - la Unione Europea è diventata esportatrice netta in molti

comparti, nel “mercato politico” è maturata la percezione dell’inefficienza di questi meccanismi,

parallelamente alla crescita del loro costo di bilancio.

Sempre in riferimento alla Figura 51, effetti del tutto analoghi al sistema di prezzo minimo

garantito fondato su prelievi all’importazione e restituzioni variabili all’esportazione si hanno con

l’imposizione di un sistema di dazi all’importazione e di sussidi all’esportazione di ammontare

fisso, pari a P-Pw36: in tal caso, infatti, il prezzo interno sale a P e le esportazioni a BC, con

guadagni e perdite di produttori e consumatori identici al caso precedente e con una analoga spesa

di bilancio (area 2+3+4), data dalla quantità esportata (BC) per il sussidio unitario (P-Pw).

Anche in questo caso, le analogie tra il sistema prelievi/restituzioni ed il sistema dazio/sussidi

cessano in caso di variazione del prezzo mondiale. Come si osserva nella parte destra della Figura

51, infatti, se questo scende da Pw a P’w, nel caso del sussidio all’esportazione - analogamente a

quanto accadeva con il dazio sull’importazione - il prezzo interno “segue” questa discesa,

attestandosi al livello P’ e generando un minor flusso di eccedenza da esportare (EF) ed una

minore spesa di bilancio, pari ora al rettangolo EFHG anziché al rettangolo BCRT. Rispetto alla

situazione precedente la spesa di bilancio si riduce, giacche, nella parte destra della Figura 51,

l’area 6+7+8 (che rappresenta la maggiore spesa del sussidio rispetto alla situazione di partenza)

35. Nella realtà, se P è il prezzo minimo garantito all'intervento, la restituzione unitaria sarà pari a qualcosa in più

della differenza P-Pw, per rendere ai privati l'esportazione più appetibile della vendita alle agenzie pubbliche. 36. Dal punto di vista della nostra analisi il sussidio all'esportazione è perfettamente assimilabile al dazio

all'importazione: più precisamente, ad esso si può pensare come ad un dazio negativo.

11

4 è per costruzione minore dell’area 1+2+3+4 (appartenente al rettangolo BCRT, e rappresentante

la minore spesa del sussidio rispetto alla situazione di partenza). Al contrario, nel caso del

mantenimento di un sistema di prezzo minimo garantito, questo rimane insensibile alle variazioni

del prezzo mondiale, giacche il mercato interno è isolato da quello internazionale dal meccanismo

di prelievi e restituzioni variabili sull’import e sull’export. Se Pw diminuisce a P’w non variano,

in tal caso, né il prezzo interno, né l’ammontare di eccedenza da esportare, bensì cambia solo il

valore unitario delle restituzioni all’esportazione (che diviene P-P’w); con esso, senza che sul

mercato interno accada nulla, aumenta notevolmente il costo di bilancio della politica. Questo,

misurato nella parte destra della Figura 51 dal rettangolo BCML, cresce in misura pari a tutta

l’area 5+6+7+8+9 rispetto alla situazione in cui il prezzo mondiale era attestato al livello Pw.

Ovviamente ad un risultato opposto si perverrebbe nel caso di aumento, anziché di

diminuzione del prezzo mondiale: con il sussidio all’esportazione, infatti, tale aumento si

trasmetterebbe al prezzo interno, mentre con il sistema prezzo minimo/restituzioni semplicemente

diminuirebbe l’ammontare unitario di queste ultime e, con esso, la relativa spesa di bilancio. Si

può affermare, in altri termini, che con il sistema prezzo minimo/prelievi/restituzioni gli effetti

della variabilità dei prezzi mondiali, traducendosi solo in una variazione delle entrate doganali o

delle spese per restituzioni, sono tutti a carico (o a vantaggio) del bilancio pubblico; al contrario

con il sistema dazio/sussidio tale variabilità dei prezzi mondiali si scarica anche sul livello del

prezzo interno e, dunque, interessa direttamente produttori e consumatori.

5.3 - Politiche di prezzo nel caso di un paese “grande”

5.3.1 - Il caso di un paese importatore

5.3.1.1 - Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione

Nella Figura 52 è rappresentata la situazione di un paese importatore “grande”; tale, cioè, da

generare un flusso di importazioni non irrilevante rispetto all’equilibrio del mercato mondiale e

da essere dunque, in certa misura, un price maker. Nel grafico di sinistra sono disegnate le curve

di domanda (D) e offerta (S) interne del paese in questione, mentre nella parte destra vi è la

situazione del mercato mondiale, con la funzione di domanda di importazioni (DI) del paese che

stiamo esaminando e la funzione di offerta di esportazioni nette (SEw) proveniente dal resto del

mondo.

In assenza di politiche il prezzo mondiale, come equilibrio tra SEw e DI, si attesta a livello Pw

e si trasmette inalterato al mercato interno: il paese, quindi, a tale prezzo importerà la quantità

AB=PwC. Se caliamo su questa situazione un sistema di prelievi variabili con prezzo minimo

garantito fissato a livello P, le importazioni si ridurranno da AB ad EF e, ricordando come il

sistema di prelievi variabili isoli il mercato interno, la domanda di importazioni diventerà

completamente rigida in corrispondenza della quantità PG=EF, diventando la spezzata RG-DI’.

Come si è già avuto modo di osservare, infatti, con una politica di prezzo minimo, qualunque sia

il livello del prezzo mondiale e per qualunque sua variazione, il prezzo interno con cui si

confrontano produttori e consumatori rimarrà comunque attestato al livello P e, dunque, inalterate

11

5 rimarranno le quantità prodotte, consumate ed importate, mentre l’unica cosa che varierà sarà

l’ammontare unitario dei prelievi variabili sulle importazioni

D S

DI

SEwE F

A B

P G

C

L

DI '

P'w

P w1

13 4

5 6 7

P

Mercato interno

Fig. 52 - Paese importatore "grande" - prezzo minimo con prelievi variabili

Mercato mondiale

_

R

2

5

Pw Pw

P'w

SE1w

Tornando alla figura, il nuovo punto di equilibrio del mercato mondiale, in corrispondenza alla

riduzione della domanda di importazione del paese che pratica la politica in questione, si avrà ad

un livello più basso del prezzo mondiale: esattamente al livello P’w, ottenuto come incontro tra

SEw e DI’.

Ciò che cambia rispetto al caso del paese “piccolo” è, dunque, l’influenza che la politica

interna del paese stesso ha sul mercato mondiale e ciò, ovviamente, ne modifica gli effetti. I

consumatori perdono un ammontare di surplus pari alle aree 1+2+3+4; i produttori guadagnano

un ammontare pari a 1, mentre riguardo al flusso di prelievi variabili, esso aumenta rispetto al

caso di paese “piccolo”: all’area 3, infatti, va ora aggiunta anche l’area 5, dovuta al

miglioramento della ragione di scambio (riduzione del prezzo di importazione da Pw a P’w)

ottenuto ai danni del resto del mondo. Essendo analoga la variazione di surplus per i consumatori

e i produttori, l’effetto netto di benessere per il paese in questione migliora rispetto al caso del

paese piccolo: alla perdita misurata dai triangoli 2 e 4, va ora aggiunto il guadagno misurato

dall’area 5: tale guadagno, nel caso di paesi molto “grandi”, capaci di indurre un forte effetto sul

prezzo mondiale può anche essere tale da eccedere la perdita di efficienza misurata dai triangolini

e da capovolgere gli effetti in termini di benessere complessivo per il paese che attua la politica.

E’ chiaro che, in termini di gruppi di interesse, tale circostanza rafforza la appetibilità della

politica descritta: il maggior guadagno doganale, misurato dall’area 5, è infatti sottratto, in

termini di minor prezzo pagato per le loro esportazioni, ai produttori esteri, cioè a soggetti che

contano molto poco sul “mercato politico” del paese che impone il sostegno. A questo proposito

si può notare per inciso che la perdita imposta ai paesi esteri è misurata, nel grafico a destra della

11

6 Figura 52, dall’area 6+7, ed è data - nell’ipotesi che il resto del mondo non adotti alcuna politica

di distorsione del commercio - dalla perdita di surplus che la riduzione del prezzo mondiale

impone ai loro produttori, meno il guadagno (minore) che deriva ai loro consumatori. Va

sottolineato che tale perdita è comunque maggiore dell’eventuale guadagno del paese

importatore, in virtù della perdita di efficienza (area 7) che tale trasferimento comporta nella

specializzazione internazionale.

5.3.1.2 - Integrazione di prezzo

Nella Figura 53 sono rappresentati gli effetti di una politica di integrazione di prezzo nel caso

di un paese importatore “grande”. La situazione di partenza, in assenza di politiche, è identica a

quella che abbiamo visto in precedenza, nella Figura 52: il prezzo mondiale è pari a Pw, ottenuto

come incontro tra l’offerta netta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (SEw) e la

domanda di importazioni (DI) derivata dalle D ed S interne del paese in questione; il è prezzo

interno anch’esso pari a Pw; le importazioni, in regime di free trade, ammontano ad AB.

D S

SEw

DI

DI '

P

P' w

C

BA

E

S '

1

2

3 4 5 6 7

8

G

H

P

P 'w

Mercato interno Mercato mondiale

R

L

F

M PwPw

Fig. 53 - Paese importatore "grande": integrazione di prezzo

Sia P il livello di ricavo unitario che si vuole assicurare agli agricoltori mediante un sistema di

pagamenti diretti, erogati ad integrazione del prezzo di mercato. In questa situazione la

produzione interna, qualunque sia il prezzo di mercato al di sotto di P, si attesterà comunque sul

livello PC, corrispondente al livello di “prezzo” ricevuto dagli agricoltori grazie alla integrazione.

In altri termini, la curva di offerta interna diventa la spezzata SCS’, completamente rigida per

prezzi di mercato inferiori a P; e ciò perché il livello PC di produzione interna sarà comunque

assicurato dal fatto che - qualunque sia il prezzo di mercato - gli agricoltori si comporteranno

come se esso fosse P, che è quanto essi comunque ricevono per ogni unità prodotta grazie

all’integrazione. Ciò modifica anche la curva di domanda di importazioni del paese - data ora

11

7 dalla differenza orizzontale tra la D e la SCS’ - la quale subisce una rotazione in L, in

corrispondenza del prezzo P, diventando la spezzata R-L-DI’. Conseguentemente a questa

riduzione della domanda di importazione, essendo il paese “grande”, il prezzo mondiale si riduce

da Pw a P’w e tale riduzione di prezzo si trasmette anche al mercato interno, dato che la politica

in questione non prevede meccanismi di protezione commerciale. Il risultato è un aumento della

domanda interna da PwB ad P’wF ed una importazione pari ad EF (un po’ maggiore, quindi, di

quella che si aveva nel caso di paese piccolo in cui, data l’invarianza del prezzo mondiale Pw,

l’importazione si sarebbe attestata in MB). I produttori guadagnano, come nel caso di paese

piccolo, l’area 1; ma la spesa per integrazioni erogata dallo Stato - essendo diminuito il prezzo di

mercato da Pw a P’w - cresce, ed è ora misurata dal rettangolo 1+2+3+4. I consumatori interni

sono ora toccati dalla politica, nel senso che essi guadagnano l’area 3+4+5, mentre la variazione

del prezzo mondiale fa emergere anche una perdita netta imposta ai paesi esteri (perdita

produttori meno guadagno consumatori), che risulta pari all’area 6+7. In termini di benessere

collettivo del paese che pratica la politica, vi è una perdita (o un guadagno) se il triangolo 2 è

maggiore (o minore) dell’area 5. In termini variazioni di benessere su scala planetaria vi è

sicuramente una perdita; essa è pari 7+8, essendo l’area 6 uguale all’area 5 per costruzione, ed

essendo uguali i triangoli 2 ed 8 (hanno la stessa base e la stessa altezza).

Dal punto di vista dei “gruppi di interesse” la politica di integrazione del prezzo di un paese

grande può risultare, a seconda delle circostanze, più o meno appetibile rispetto al caso di paese

piccolo. Lo svantaggio è costituito dall’aumento delle spese di bilancio; il vantaggio è dato dal

fatto che vi è un guadagno dei consumatori nazionali a spese dei produttori esteri.. Questo può

essere un punto importante giacche per alcuni prodotti agricoli oggetto di trasformazione

industriale - si pensi al caso dei semi oleosi nella Unione Europea - i “consumatori” che

direttamente comprano il prodotto (sia sul mercato interno che su quello mondiale) ad un prezzo

più basso sono gruppi industriali talvolta molto potenti, e comunque in grado di esercitare una

pressione notevole sul mercato politico.

5.3.1.3 - Dazio

In riferimento alla Figura 54 partiamo, come al solito, da una ipotetica situazione di assenza di

politiche di distorsione del commercio.

Date la domanda (D) e l’offerta (S) interne, queste generano una domanda di importazioni

(DI), come prima ricavata quale differenza orizzontale tra D ed S. Essa incontra, sul mercato

mondiale, l’offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (SEw) nel punto A, in

corrispondenza del prezzo mondiale Pw. A tale prezzo le importazioni del nostro paese saranno

pari a BC (=PwA). Come abbiamo già visto nella seconda parte, l’imposizione del dazio farà

ruotare verso il basso la DI che diventerà DIt e modificherà l’equilibrio sul mercato mondiale, che

si avrà in corrispondenza di un prezzo (Pdw) più basso di quello iniziale.

Il prezzo interno si stabilirà a livello P, dato dal nuovo prezzo mondiale più il dazio (P =

Pdw+FG) e le importazioni scenderanno da BC (= PwA) ad HI (= PG). In termini statici, gli

11

8 effetti sul benessere sono del tutto analoghi alla imposizione di un sistema di prelievi variabili

con prezzo minimo garantito a livello P: i consumatori interni perdono le aree di surplus

1+2+3+4; i produttori guadagnano l’area 1; lo Stato incassa entrate doganali in misura pari

all’area 3+5. Anche in questo caso, se l’area 5 è superiore alla somma dei due triangolini 2 e 4, vi

è addirittura un guadagno di benessere per il paese nel suo complesso37.

P

Pdw

P dw1

P dw2

P

Pw

Pdw

P dw1

D S

DI '

DI t

DI

SEw

SE1 w

H I

B C

G

A

E

F

L

1 32 4

56 7

8

Mercato interno Mercato mondiale

Figura 54 - Paese importatore "grande" - Tariffa (Dazio ad valorem)

Pw=P1

Anche in questo caso le differenze tra un sistema di prelievi variabili all’importazione con

prezzo minimo garantito e l’imposizione di un dazio si manifestano in corrispondenza di

modifiche esogene negli equilibri del mercato mondiale ed hanno a che fare col diverso grado di

protezione assicurato dai due sistemi: come si ricorderà, infatti, i prelievi variabili

all’importazione, assicurando che il prezzo con cui la merce di provenienza estera può entrare nel

paese non cada comunque al di sotto del livello minimo garantito, isolano completamente il

mercato (ed il prezzo) interno da quello mondiale; mentre il dazio si limita a mantenere fisso il

differenziale relativo tra prezzo interno ed internazionale, ma comunque consente che le

variazioni assolute di prezzo vengano trasmesse dall’uno all’altro mercato. Per verificare questo

punto, ipotizziamo che, per motivi esogeni, vi sia un aumento dell’offerta di esportazioni su scala

mondiale, rappresentata da uno slittamento della SEw a SE1w. Nel caso del dazio, il nuovo

prezzo di equilibrio sul mercato mondiale sarà Pd1w, in corrispondenza del punto E, come

incontro tra la SE1w con la curva di domanda di importazioni distorta dal dazio (DIt). Il prezzo

37. Va ricordato che anche qui vi è una perdita netta di benessere imposta ai paesi esteri - i quali nel complesso

esportano meno ad un prezzo più basso - pari al trapezio PwAFPdw e comunque, al solito, superiore all'eventuale guadagno del paese che impone il dazio.

11

9 interno, che sarà pari al nuovo prezzo mondiale più il dazio e che, dunque, leggiamo sulla DI, si

attesterà a livello P1 (dove P1 = Pw = Pd1w + AE).

Rispetto alla situazione precedente allo slittamento della SEw il prezzo interno si riduce, e con

esso si riduce la produzione interna (da PH a P1B) ed aumenta il consumo (da PI a P1C). Le

importazioni aumentano, e variano le entrate doganali, che sono pari ora al rettangolo dato dalla

somma delle aeree 5+6+7+8.

Nel caso, invece, in cui il prezzo P fosse assicurato da un sistema di prelievi variabili

all’importazione, pur essendo, rispetto al dazio, identica la situazione di partenza (prezzo

mondiale Pw, importazioni pari ad HI, effetti statici di benessere identici), uno slittamento della

offerta di esportazioni da SEw a SE1w ha conseguenze molto diverse. In tal caso, infatti, abbiamo

visto che il mercato interno è isolato, nel senso che la curva di domanda di importazioni è resa

completamente rigida in corrispondenza del prezzo di sostegno interno: essa è, dunque, pari a

GDI’ nella parte destra della Figura 54, per cui l’incontro con la SE1w avviene ad un livello di

prezzo mondiale (Pd2w) molto più basso. Il risultato è che il prezzo interno rimane inalterato al

suo livello P e tutto l’effetto dell’aumento di offerta di esportazioni si scarica in termini di

diminuzione del prezzo mondiale: l’aggiustamento alla nuova situazione, in altre parole, rimane

tutto confinato al mercato estero, e “non valica le frontiere” del paese importatore che pratica la

politica L’equilibrio interno di quest’ultimo resta del tutto inalterato e l’unica cosa che si

modifica sono le entrate doganali dei prelievi variabili; esse aumentano fino a raggiungere tutta

l’area PGLPd2w, in virtù dell’aumento dell’ammontare unitario del prelievo variabile che ora è

pari a (P-Pd2w) anziché (P-Pdw).

Un effetto del tutto analogo a quello ora analizzato per il sistema di prezzo minimo garantito

con prelievi variabili si ha quando il sostegno è assicurato mediante restrizioni quantitative

(quote) all’importazione (nel caso della Figura 54 la quota in oggetto sarebbe pari a PG = HI). La

forte carica distorsiva sui mercati internazionali di tali misure di protezione non daziaria spiega le

lamentele che, nei confronti della Unione Europea, sono state tradizionalmente rivolte dai paesi

esportatori di prodotti agricoli: questi ultimi infatti, in virtù dei sistemi di prezzo minimo

garantito attivati dalla Pac, non solo hanno visto ridotto l’accesso alle proprie esportazioni sul

mercato Unione Europea, ma pure ne hanno patito le conseguenze in termini di riduzione del

prezzo internazionale e, dunque, dei loro ricavi di esportazione (in riferimento alla Figura 54, la

maggiore perdita imposta a tali paesi dalla protezione non tariffaria rispetto al dazio è

rappresentata, nel caso di uno slittamento della loro curva di offerta di esportazioni da SEw a

SE1w, dal trapezio P1dwELP2dw. Inoltre, sulla base dell’analisi che abbiamo svolto si

comprende perché, in sede Gatt, il dazio è il sistema di protezione commerciale considerato meno

dannoso rispetto agli altri. Con esso, infatti, a prescindere dal suo ammontare assoluto, la

protezione è ben visibile e quantificata (e dunque più facilmente “negoziabile”) ma, soprattutto,

essa è tale da consentire una certa trasmissione tra prezzi internazionali e prezzi interni che - sia

pure a livelli diversi - almeno variano nello stesso senso, dando segnali coerenti ai produttori.

Come si è visto, invece, tale trasmissione è completamente interrotta nel caso di sistemi di

12

0 protezione basati sul prezzo minimo garantito o sulle restrizioni quantitative all’esportazione e,

più in generale, sulle cosiddette misure non tariffarie.

5.3.2 - Il caso di un paese esportatore.

Nella Figura 55 siano, al solito, D ed S domanda ed offerta interne e sia SE, nella parte destra

del grafico, la curva di offerta di esportazioni da esse derivata. In assenza di politiche, la SE del

paese in questione fronteggia sul mercato mondiale una domanda netta di importazioni

proveniente dal resto del mondo e rappresentata con la DIw. L’equilibrio si ha nel punto G, per

cui Pw sarà il prezzo mondiale, PwF e PwE le quantità rispettivamente prodotta e consumata

internamente, per cui EF sarà la quantità esportata dal nostro paese in una situazione di libero

scambio.

D S

SE

DIw

SE' SE'1

A B

S1

B'

E

P P C

Pw

P 'w

Pw

Pw1

P 'w

P 'w1

G

G '

M

Mercato interno Mercato mondiale

Figura 55 - Paese esportatore "grande" - Prezzo minimo con restituzioni variabili all'esportazione

13

5

2

6

F

4

I

7

G

C'

SE1

L

H

Se viene imposta una politica di prezzo minimo garantito fissato a livello P, sostenuta

dall’intervento pubblico di acquisto e da un sistema di prelievi variabili all’importazione e

restituzioni all’esportazione, il prezzo interno sarà, appunto, P a prescindere dal livello del prezzo

mondiale. E’ ovvio che in un caso come quello che stiamo esaminando, in cui vi è un eccesso di

offerta sulla domanda interna, entrano in gioco le restituzioni all’esportazione, mentre i prelievi

variabili non entreranno in funzione; e ciò perché, in teoria, nell’ipotesi di perfetta omogeneità e

sostituibilità tra prodotto interno e prodotto estero, non vi è alcuna ragione perché si attivi un

flusso di importazione. La loro presenza nel sistema è tuttavia indispensabile, per evitare che si

generi una corrente di importazioni speculative, volta ad acquistare merce al prezzo mondiale per

poi rivenderla sul mercato interno al (più alto) prezzo di sostegno P. Conseguentemente la

12

1 produzione aumenta da PwF a PB, il consumo scende da PwE a PA e sul mercato interno si

forma un eccesso di offerta pari ad AB. Ipotizzando che tale eccedenza sia smaltita con

esportazione (o con esportazione sussidiata dei privati o con vendite all’estero degli stock

accumulati dalle agenzie pubbliche), la SE del nostro paese sul mercato mondiale diverrà

completamente rigida per prezzi inferiori a P, diventando la spezzata SE-C-SE’: in altri termini,

qualunque sia il prezzo internazionale, l’eccedenza esportata su tale mercato sarà pari ad AB (=

PC). Il prezzo mondiale, in conseguenza di ciò, crollerà a P’w, giacche si determinerà ora come

incontro tra DIw ed SE’.

Rispetto alla situazione di libero scambio, i produttori interni guadagnano un surplus misurato

dalle aree di 1+2+3, mentre i consumatori ne perdono in misura pari alle aree 1+2. A ciò va

aggiunto il costo di bilancio, che in tal caso è particolarmente alto: esso, infatti, è misurato da

tutto il rettangolo ABHG, pari all’ammontare dell’eccedenza AB, moltiplicata per il costo

unitario della restituzione (P-P’w) necessaria a smaltirla attraverso esportazioni all’estero. In

termini di benessere la perdita complessiva del paese che applica la politica in questione è,

dunque, estremamente elevata, essendo pari a tutta l’area punteggiata (2+4+5+6+7) nella parte

sinistra della Figura 5538; del resto, tale politica risulta particolarmente inefficiente, anche dal

punto di vista dei gruppi di interesse, proprio in considerazione del suo eccessivo costo di

bilancio e, soprattutto, in relazione alla tendenza di tale costo a crescere in modo incontrollato.

Per verificare quest’ultimo aspetto - ed avendo in mente quanto è accaduto nella Unione

Europea per molti prodotti a partire dall’inizio degli anni ottanta - ragioniamo come segue. Nella

situazione prima descritta, la presenza di un sostegno erogato mediante un sistema di prezzo

minimo garantito e sbocchi illimitati offre ampi incentivi - in assenza di misure di controllo della

produzione - ad inglobare progresso tecnico tendente ad aumentare le rese e ad intensificare

l’attività produttiva. Conseguentemente, la curva di offerta interna tende a slittare verso destra,

per esempio da S a S1, mentre la domanda tende a rimanere sostanzialmente statica, data la sua

bassa elasticità rispetto al reddito39. L’aumento della capacità produttiva, dunque, in presenza di

sbocchi inalterati sul mercato interno, si traduce nello slittamento da SE a SE1 della curva di

offerta di esportazioni. In una situazione di libero scambio ciò comporterebbe, ceteris paribus,

una riduzione (modesta) del prezzo internazionale (ed interno) da Pw a Pw1 - quale modifica del

punto di equilibrio, da G a G’, tra domanda di importazioni ed offerta di esportazioni sul mercato

38 Va notato che nel caso che abbiamo descritto vi é un guadagno netto per il resto del mondo, pari all'area

PwGMP'w nella parte destra della figura 6. Tale guadagno netto - comunque inferiore al costo interno della politica - é dovuto alla riduzione del prezzo mondiale ed al conseguente guadagno dei paesi terzi importatori, che eccede le perdite di quelli esportatori. Un esempio in tal senso é dato dalla situazione di alcuni paesi in via di sviluppo importatori netti di alimenti, che traggono benefici dal regime di bassi prezzi sul mercato mondiale dovuto agli effetti di politiche di sostegno interno da parte di paesi esportatori quali Unione Europea e USA. C'é tuttavia da dire, nel caso specifico, che si tratta di benefici di breve periodo che possono rivelarsi nel lungo termine come danni irrimediabili nel quadro delle strategie di aggiustamento strutturale: la stessa specializzazione dei paesi in questione risulta, infatti, distorta dalla convenienza, per così dire, artificiale, ad importare alimenti a buon mercato, e può risolversi in una ulteriore penalizzazione delle possibilità di crescita e modernizzazione delle agricolture nazionali, già ampiamente penalizzate, in tali paesi, da politiche economiche tutte rivolte allo sviluppo dei settori industriali.

39. Ricordiamo che stiamo parlando di domanda di prodotti agricoli in contesti sviluppati; per essi, quindi, è ragionevole ipotizzare una piena applicazione della legge di Engel.

12

2 mondiale - ed un aumento (anch’esso relativamente modesto) delle esportazioni del nostro paese,

da PwG a Pw1G’. Al contrario, in una situazione dominata da un sistema di prezzo minimo

garantito, lo slittamento dell’offerta interna da S a S1 si traduce tutto in aumento dell’eccedenza

(da AB ad AB’=PC’) ed il ramo rigido della curva di offerta di esportazioni slitta in eguale

misura, da SE’ ad SE’1. Conseguentemente, con un prezzo interno che rimane ancorato a P, il

prezzo mondiale scende a P’w1. I produttori vedono aumentare il loro surplus in misura pari

all’area misurata dal parallelogramma BB’IF; ma ciò che soprattutto aumenta è la spesa di

bilancio necessaria per finanziare la politica in questione40: questa passa, infatti, dall’area ABHG

(che è uguale a PCMP’w) all’area PC’LP’w1, che leggiamo nel grafico a destra della Figura 55.

40. Essa, infatti, aumenta sia perché aumenta l'eccedenza da smaltire all'estero (da AB ad AB'), sia perché aumenta il

suo costo unitario di smaltimento (da P-Pw a P-P'w1).

12

3

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