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Colleluori Livio Prof. La Bella, Prof. Capece Economia e Organizzazione Aziendale 1 + 2 Capitolo 1 - L’impresa Impresa - Ogni impresa è caratterizzata da due elementi: lo sforzo e il rischio. Il fine ultimo di un’impresa non è sempre quello di ottenere un profitto monetario, ma quello di creare valore economico; ovvero, se genera un surplus di utilità per i suoi stakeholders. In ogni caso, un’adeguata copertura dei costi con i ricavi garantisce che l’impresa possa sopravvivere nel tempo e conseguentemente possa massimizzare il valore economico dei suoi stakeholder nel lungo periodo. È caratterizzata dall’oggetto sociale, ovvero gli obiettivi dell’impresa, e la strategia, ovvero il piano d’azione nel quale sono specificate le risorse necessarie e le attività da intraprendere affinché l’impresa raggiunga il proprio fine ultime. Stakeholders - i soggetti il cui supporto risulta determinante per la sopravvivenza dell’impresa. Economicità - Caratteristica chiave dell’impresa; secondo il codice civile l’impresa infatti viene definita come “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Misuratori di Performance: Efficacia - Efficienza - rapporto tra la quantità di output ottenuto e la quantità totale dei diversi input utilizzati per la produzione dell’output. Esempi: - ROI (Return on Investments); - ROA (Return on Assets); - Produttività: Quantità di output ottenuta per unità di singolo input utilizzato; Organizzazione - Elemento essenziale dell’impresa che rappresenta la modalità con cui interagiscono le diverse risorse che l’impresa ha a disposizione per raggiungere gli obiettivi fissati. Risorse - Possono essere fisiche (es materiali, attrezzature, impianti), finanziarie (capitali, titoli finanziari), immateriali (marchi, brevetti, know-how), e le risorse umane. Azienda - insieme di risorse organizzate, che l’impresa ha a disposizione per raggiungere il suo fine ultimo. L’impresa rappresenta dunque l’attività economica messa in atto dall’imprenditore, la quale necessita di una certa complessità di risorse (azienda), che devono interagire secondo delle modalità definite (organizzazione). Problemi con le Risorse Umane - 1. Non esiste un accordo sulla bontà delle diverse metodologie che possono agevolarne l’organizzazione; 2. L’impresa non esercita su di esse diritti di proprietà come invece fa sulle risorse fisiche e finanziarie; Colleluori EOA Riassunto 1/77

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Colleluori Livio 

Prof. La Bella, Prof. Capece 

Economia e Organizzazione Aziendale 1 + 2 

 

Capitolo 1 - L’impresa  Impresa - Ogni impresa è caratterizzata da due elementi: lo sforzo e il rischio. Il fine ultimo di un’impresa non è sempre quello di ottenere un profitto monetario, ma quello di creare valore economico; ovvero, se genera un surplus di utilità per i suoi stakeholders. In ogni caso, un’adeguata copertura dei costi con i ricavi garantisce che l’impresa possa sopravvivere nel tempo e conseguentemente possa massimizzare il valore economico dei suoi stakeholder nel lungo periodo. È caratterizzata dall’oggetto sociale, ovvero gli obiettivi dell’impresa, e la strategia, ovvero il piano d’azione nel quale sono specificate le risorse necessarie e le attività da intraprendere affinché l’impresa raggiunga il proprio fine ultime.  Stakeholders - i soggetti il cui supporto risulta determinante per la sopravvivenza dell’impresa.  Economicità - Caratteristica chiave dell’impresa; secondo il codice civile l’impresa infatti viene definita come “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.  Misuratori di Performance: 

Efficacia -  Efficienza - rapporto tra la quantità di output ottenuto e la quantità totale dei diversi input utilizzati per la produzione dell’output. Esempi: 

- ROI (Return on Investments); - ROA (Return on Assets); - Produttività: Quantità di output ottenuta per unità di singolo input utilizzato; 

 Organizzazione - Elemento essenziale dell’impresa che rappresenta la modalità con cui interagiscono le diverse risorse che l’impresa ha a disposizione per raggiungere gli obiettivi fissati.  Risorse - Possono essere fisiche (es materiali, attrezzature, impianti), finanziarie (capitali, titoli finanziari), immateriali (marchi, brevetti, know-how), e le risorse umane.  Azienda - insieme di risorse organizzate, che l’impresa ha a disposizione per raggiungere il suo fine ultimo.  

L’impresa rappresenta dunque l’attività economica messa in atto dall’imprenditore, la quale necessita di una certa complessità di risorse (azienda), che devono interagire secondo delle modalità definite (organizzazione). 

 Problemi con le Risorse Umane -  

1. Non esiste un accordo sulla bontà delle diverse metodologie che possono agevolarne l’organizzazione; 

2. L’impresa non esercita su di esse diritti di proprietà come invece fa sulle risorse fisiche e finanziarie; 

   

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 Capitolo 2 - L’Impresa nell’Analisi Neoclassica   Teoria dell’Impresa - Entità economica che cerca dati un set di input produce un output, cercando di massimizzare il proprio valore, definito come il valore attuale dei flussi di cassa attesi in futuro (profitto, per semplificare il modello) e rispettare i vincoli presenti di risorse e contrattualità.  Concezione Neoclassica dell’Impresa - Un’impresa deve essere in grado di produrre, o vendere, in modo più efficiente di quanto non farebbero le sue singoli componenti agendo separatamente. Non fornisce alcuno strumento per comprendere le strutture organizzative dell’impresa. 

“Scuola di Chicago” - filo di pensiero che sostiene che sia sufficiente la presenza di due sole aziende in competizione per generare un sistema di prezzi ed un equilibrio vicino a quello della concorrenza pura. 

 Economia Neoclassica - Modello economico che si basa sull’assunzione che un sistema di prezzi di mercato (cioè raggiunti con le meccaniche del mercato) sia tutto ciò che serve per raggiungere un equilibrio; i prezzi forniscono tutta l’informazione necessaria per le scelte sul mercato. L’economia neoclassica si associa storicamente al testo “The Wealth of Nation” (la ricchezza delle nazioni) di Adam Smith, che introduce il concetto di mano invisibile del mercato, che garantisce sempre un equilibrio ottimo (anche socialmente).  Equilibrio - Concetto di tipica derivazione Neoclassica, è uno stato rispetto al quale nessuno degli agenti ha interesse a deviare. E’ un concetto difficilmente applicabile alla realtà. Nella pratica, l’analisi dell’equilibrio viene usata per studiare i cambiamenti e i meccanismi presenti in un’economia. Si può applicare in Macroeconomia, Microeconomia, e Teoria dei Giochi.  Equilibrio in Macroeconomia - si riferisce a situazioni in cui i livelli di prezzi e attività sono tali che diversi gruppi (come risparmiatori e investitori) sono coerenti così che tutti i piani possano essere realizzati.  Equilibrio in Microeconomia - Si considera un solo mercato per facilitare l’analisi; nell’analisi dell’equilibrio parziale si studia una sola impresa o individuo. Alternativamente, si considerano più mercati insieme; se questi sono tutti in equilibrio, si ha un equilibrio competitivo.  Equilibrio in Teoria dei Giochi (di Nash) - Un equilibrio nelle strategie (comportamenti degli agenti) esiste se, date le strategie degli altri, nessun agente vuole modificare la propria. (EQ.NASH).  Dominanza: Si consideri un’economia composta da n agenti, ciascuno dei quali con Ai (i = 1, …, n) di azioni ammissibili tra cui scegliere (insieme finito); Sia ai ∈ Ai la scelta effettuata dall’agente i-esimo e a=(a1,..., an) il vettore delle scelte degli agenti; 

Può accadere che le scelte ammissibili per un agente siano limitate dalle scelte degli altri. Sia N (con cardinalità n) l’insieme di tutti gli agenti, an-i il vettore delle scelte di tutti gli agenti escluso l’agente i-esimo e Ⲫ i(an-i) ⊆ Ai l’insieme delle azioni ammissibili per l'agente i-esimo date le scelte degli altri.Allora è evidente che un vettore a è ammissibile quando tutte le azioni ammissibili, ovvero quando ai ∈ Ⲫ i(an-i), ∀ i. 

Si supponga che gli individui abbiano un sistema di preferenze, che misurino il loro benessere con una funzione di utilità e che il loro obiettivo (economico) sia massimizzare questa funzione (e quindi il loro benessere). Ogni agente avrà dunque una funzione di utilità Ui(a) (che avrà dunque come argomenti sia la propria utilità sia quella degli altri). Una coalizione è un sottoinsieme M di N (M ⊆ N) di agenti, di cardinalità h ≤ n. ALLORA Dati due vettori ammissibili a e a’ che differiscono solo per le scelte degli appartenenti alla coalizione (ossia aj =aj’ per j ∈ N\M) si dirà che per la coalizione M il il vettore a è dominato dal vettore a’ se e solo se; 

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- Ui(a’) ≥ Ui(a) per tutti gli i ∈ M (ovvero tutti gli agenti trovano indifferente a’); - Ui(a’) > Ui(a) per almeno un i ∈ M (c’è almeno un agente che preferisce a’); 

Dunque un insieme di azioni ne domina un altro se migliora le condizioni di almeno un agente senza peggiorare quelle di tutti gli altri.  I 5 Diversi Tipi di Equilibrio: 

1. Un vettore ammissibile di azioni a è detto Efficiente Secondo Pareto se non esiste una scelta alternativa a’ tale che ogni individuo lo consideri almeno indifferente ad a ed almeno uno la preferisca strettamente (ovvero migliorare l’utilità di qualcuno è possibile solo diminuendo l’utilità di qualcun altro). In questo caso h = n. L’equilibrio paretiano caratterizza benissimo l’efficienza e la stabilità di uno stato economico;  E’ l’equilibrio più razionale per la collettività, ma non lo è affatto dal punto di vista individuale. 

2. Un vettore ammissibile di azioni a è detto Equilibrio di Nash se per ogni coalizione formata da un singolo agente (h = 1) non esiste alcun vettore a’ che lo domina. Dunque a è formato per ogni individuo dalla sua migliore scelta individuale date le scelte degli altri. Il concetto di Equilibrio di Nash è molto utilizzato nell’economia industriale e caratterizza le situazioni non-cooperative, in cui ogni individuo decide da solo la sua strategia (se ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé si ottiene un equilibrio di Nash, ma non necessariamente di pareto). 

3. Un vettore ammissibile di azioni a è detto Equilibrio Forte se non esiste per alcuna coalizione (h qualunque) un vettore a’ che lo domina. Dunque è contemporaneamente sia Pareto-Efficiente sia un Eq. di Nash.  Matematicamente si definisce come segue: 

Dati due vettori ammissibili a e a’ si dirà che per la coalizione M il vettore a è fortemente dominato da a’ se e solo se qualunque siano le scelte degli agenti non appartenenti alla coalizione si verifica che: Ui(a’) ≥ Ui(a) per tutti gli i ∈ M; Ui(a’) > Ui(a) per almeno un i ∈ M; 

4. Un vettore ammissibile di azioni a è detto Individualmente Razionale se per ogni coalizione formata da un solo individuo non esiste un vettore diverso da a che lo domina fortemente. 

5. Un vettore ammissibile di azioni a è detto Appartenente al Core se non esiste per alcuna coalizione un vettore che lo domina fortemente. E’ dunque sia Pareto-Efficiente che individualmente razionale (h=1=n); 

 Se un individuo fa solo ciò che è meglio per sé si ha sicuramente un equilibrio di Nash, si potrebbe avere un risultato pareto efficiente oppure no, e quindi può capitare che ci sia dispersione di risorse.  Il Dilemma del Prigioniero: Si analizzano le scelte per due prigionieri in celle diverse non comunicanti: parlare (accusare l’altro) o non pagare. Se entrambi non parlano avranno una pena leggera (1 anno); Se entrambi parlano, avranno una pena un po più pesante (3 anni); se fanno scelte diverse, quello che parla sarà libero e quello che non parla avrà una pena molto pesante (5 anni).  Il gioco corrisponde ad un gioco tra 2 agenti (giocatori), ognuno dei quali cerca di ottimizzare il proprio profitto. Se facciamo la matrice dei pay-off, riportando tutte le combinazioni di possibili comportamenti, noteremo che sono possibili diversi equilibri e diversi casi. C = Cooperano NC = Non Cooperano Notiamo che: 

- Il caso (NC,NC) è dominato dal caso (C,C), ed è anche l’unico equilibrio di Nash ma non è pareto-efficiente; 

- Il Core è vuoto in quanto sottoinsieme di equilibri forti;  

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Curva di Domanda - mostra la quantità di un bene che gli acquirenti complessivamente desiderano acquistare ai vari prezzi; è una retta (o curva, in generale) decrescente.  Curva di Offerta - indica la quantità di un bene che i fornitori offrono ai diversi prezzi; è una retta crescente.  Scarsità - la quantità di bene offerta non riesce a raggiungere la quantità di bene domandata; c’è la tendenza del prezzo a crescere.  Eccedenza - le imprese producono più di quanto riescano a vendere a questo prezzo; c’è la tendenza del prezzo a decrescere.  Equilibrio - condizione particolare in cui non si verifica né una situazione di scarsità, né una di eccedenza: la quantità domandata è esattamente uguale a quella offerta. Si ha dunque un Prezzo di Equilibrio ed una Quantità di Equilibrio.  Elasticità (della domanda al prezzo) - rapporto tra la variazione della quantità domandata del bene e la variazione percentuale del prezzo.  Analisi statica comparativa - lo studio del movimento da un equilibrio all’altro, che possono ad esempio esser dovuti da progressi tecnologici o cambi di prezzi delle materie prime.  Equilibrio Generale - tutti gli operatori (consumatori e produttori) raggiungono il miglior risultato possibile.  Equilibrio Competitivo - situazione di equilibrio in cui per tutti i beni la quantità domandata coincide con la quantità offerta; il prezzo è determinato dall’interazione della domanda e dell’offerta del bene.  Definizione formale di equilibrio competitivo:  

➔ Un consumatore può possedere dei beni di consumo sia proprietà; sia R=(R1, R2, …, RG) il vettore dei beni posseduti dal consumatore, ossia la dotazione iniziale di risorse a sua disposizione. G è il numero di componenti del vettore, dunque il numero totale di beni/servizi. I vettori R sono lineari e possono essere quindi sommati tra loro.  

➔ In generale i consumatori possono vendere alcuni beni e conservarne altri per il proprio consumo; Sia V il vettore delle quantità Vendute di ciascun bene (ovviamente con Vi Ri per≤  ogni i = 1, … ,G). V avrà dunque una componente per ogni bene, anche quelli non venduti (in tal caso sarà 0). 

➔ Esiste anche un vettore A dei beni Acquistati, anch’esso con G componenti. ➔ Sia P il vettore dei Prezzi, con G componenti.  ➔ Sia U la funzione di Utilità del consumatore. 

 

Indichiamo con PA = la Spesa Totale sostenuta dal consumatore per acquistare la quantità deiiAi∑G

i=1P  

bene indicata nel vettore A, e con PV = il Reddito Totale che il consumatore ricava dallaiAi∑G

i=1P  

vendita di una quantità di beni. Dovrà ovviamente sempre risultare PA < PV.  Per un consumatore, un Piano di Consumo individuale è una coppia di vettori (A, V) che indicano i beni (e le relative quantità) che l’agente sceglie di comprare e vendere.   Per un’impresa, un Piano di Produzione consiste in una coppia di vettori (I, O), rappresentanti gli Input e gli Output, utilizzata per effettuare le scelte produttive. Il piano deve essere tecnicamente possibile (ovvero deve essere tecnicamente possibile produrre gli output a partire dagli input dati). 

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 Informazione Perfetta - ipotesi di base per il modello della concorrenza perfetta, è l’assunzione che ogni acquirente ed ogni venditore in un’economia sono a conoscenza, a costo nullo, di tutta l’informazione rilevante nel mercato (il prezzo). Nella realtà, la maggior parte degli scambi avviene in condizioni di informazione imperfetta, in gran parte dovuto alla Razionalità Limitata degli agenti economici. Se vi sono queste asimmetrie informative, non sono più rispettate le ipotesi del modello economico neoclassico. L’informazione imperfetta può dare luogo a Costi di Transazione che possono ostacolare gli scambi.  Razionalità Limitata - concetto secondo cui gli agenti economici, a causa dei costi da sostenere per raccogliere e valutare tutta l’informazione, avranno sempre un certo grado di incertezza (eliminarlo costerebbe troppo). Dal momento che gli individui sono razionalmente limitati, gli agenti economici si trovano davanti ad un trade-off.  Transazione - trasferimento di beni o servizi da un individuo all’altro; è l’unità fondamentale di analisi per la teoria dell’organizzazione, l’elemento più piccolo di un’attività economica che non può essere suddiviso e compiuto da diversi individui. Tutte le transazioni hanno i propri costi, più o meno visibili: i Costi di Transazione.  Costi di Transazione - costi generati dall’interazione economica, che vanno oltre e si aggiungono ai prezzi fissati. (Per approfondimenti: Ronald Coase e Oliver Williamson) I costi di transazione si possono eliminare ricorrendo alle imprese, ovvero quando un’autorità centrale di coordinamento è più efficiente dello scambio di mercato. Così facendo, una parte delle transazioni avviene sul mercato (quando questa è la modalità più conveniente), mentre la parte restante avviene all’interno delle organizzazioni (non market transactions). Le transazioni sono dunque condotte all’interno delle organizzazioni quando i costi di struttura (interni all’organizzazione) sono minori dei costi di transazioni.  Teorie del Livello Soddisfacente - sostengono che le imprese non hanno l’informazione necessaria per massimizzare il profitto, vanno a tentativi; le decisioni sono prese dai dirigenti, che sono interessati alla massimizzazione del proprio benessere fintanto che gli azionisti glielo permettono.  Teoria Principale-Agente (o Teoria Manageriale dell’Impresa) - afferma che le deviazioni di un’impresa dal comportamento di massimizzazione dei profitti vanno spiegate in termini della motivazione dei manager. Ciò è permesso dal fatto che i manager possiedono più informazioni degli azionisti (che non sono in grado di controllarli ed hanno informazioni incomplete). 

Gli interessi del top management sono soddisfatti meglio dalla crescita dell’impresa, dal compenso e dai fringe benefit; Gli interessi degli azionisti contano solo come vincolo a tutto questo (es: aumento valore patrimoniale, espansione delle quote di mercato). 

 La massimizzazione del profitto è l’obiettivo delle organizzazioni secondo il Pensiero Neoclassico; in assenza di effetti di ricchezza (cap. 4) l’obiettivo delle organizzazioni è la massimizzazione del valore totale degli stakeholder (portatori di interesse).        

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Principio di Efficienza - Le organizzazioni e le istituzioni che sopravvivono nel tempo tendono ad essere efficienti. Nel tempo, le strutture inefficienti scompaiono e quelle efficienti rimangono e si rafforzano. Questo principio è importante per 2 motivi: 

1. Fornisce un insieme minimo di regole che governano gli agenti economici: possiamo sempre assumere che agenti razionali cercheranno sempre l’efficienza (secondo le proprie possibilità); 

2. Fornisce un criterio di decisione per escludere alcuni tra i possibili risultati delle decisioni degli agenti economici, ossia gli esiti non efficienti; 

Il Problema della Scarsità delle Risorse implica che si debbano considerare sempre dei trade-off.  Scelta Efficiente - una scelta per la quale non sono disponibili alternative universalmente preferite in termini degli obiettivi e delle preferenze degli individui coinvolti. Una scelta è efficiente (o Pareto-Efficiente) se non esiste una scelta alternativa tale che ogni persona nel gruppo la consideri almeno indifferente a quella precedente e almeno una persona la preferisca strettamente.  Scelta Inefficiente (o Pareto-Dominata) - se esiste un’alternativa disponibile che sarebbe preferita da almeno un individuo senza danneggiare gli altri. Una scelta inefficiente implica uno spreco di risorse.  Allocazione (di Risorse) - una completa specificazione dell’uso di risorse; 

- Allocazione Efficiente: se è impossibile, date le risorse disponibili, trovarne un’altra in cui nessuna parte peggiorerebbe la propria situazione e almeno una parte la migliorerebbe (non esiste un’altra allocazione unanimemente preferita); 

- Allocazione Inefficiente: se ci fosse un’altra allocazione che risulta efficiente;  Efficienza Tecnica - Significa fornire un bene o un servizio al minor costo possibile (Efficienza nella Produzione). E’ condizione necessaria ma non sufficiente per l’efficienza complessiva dell’economia.  Efficienza Economica - Valuta l’allocazione di risorse in termini del beneficio individuale di ciascun agente.  Efficienza ed Equità:  

- Efficienza: indica se viene prodotta la giusta quantità di un bene (si ottimizzano le risorse o si sprecano?); 

- Equità: valuta se i trasferimenti di beni e denaro portano ad una giusta distribuzione del surplus creato. L’Equità è un Principio Normativo per giudicare le decisioni e le scelte effettuate (“come dovrebbe essere?”), e per questo non spetta agli studiosi valutarla.  

 Analisi Economica Positiva & Normativa - L’Analisi Economica Positiva analizza il funzionamento di un sistema economico, mentre l’Analisi Economica Normativa detta principi su come dovrebbe funzionare. I due approcci andrebbero tenuti separati. 

- L’Efficienza è un concetto positivo se utilizzata per predire l’esito dei comportamenti degli agenti considerati (date le scelte possibili); 

- L’Efficienza è un concetto normativo quando utilizzata per giudicare le decisioni di un gruppo di agenti; 

 Equità Orizzontale - è il pari trattamento di persone che si trovano nelle stesse condizioni; dovrebbe eliminare discriminazioni tra persone le cui caratteristiche economiche sono identiche. Equità Verticale - consiste nel trattamento diverso di persone diverse al fine di ridurre le conseguenze di differenze innate. Si ispira al Principio di Robin Hood: togliere ai ricchi per dare ai poveri.  Allocazione First-Bet - allocazione pienamente efficiente: tutte le condizioni necessarie e sufficienti per l’efficienza sono soddisfatte simultaneamente (es: l’equilibrio concorrenziale è pareto-efficiente, ed è first-bet). 

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 Teoria del Second-Best - afferma che, se esiste una distorsione in un mercato, è sbagliato concentrare la distorsione solo in quel mercato: è più efficiente estenderne l'effetto su più mercati. Un governo potrebbe bilanciare l’inefficienza delle distorsioni presenti introducendo nuove distorsioni.  Efficacia ed Efficienza: 

- Efficacia Organizzativa: è la misura in cui l’organizzazione realizza i propri obiettivi, ossia la precisione con cui viene centrato l’obiettivo; efficacia significa realizzare gli obiettivi prefissati. 

- Efficienza Operativa: misura quanto si è realizzato rispettivamente alle risorse impiegate; efficienza significa ottenere il massimo dalle risorse. Ci si riferisce all’efficienza anche con il termine di Pareto-Ottimalità. 

- Efficienza Tecnica: rapporto tra output e input.   Peter Ducker: “I manager tipicamente o “fanno le cose bene” (efficienza) o “fanno le cose giuste” (efficacia)”.   Concorrenza Perfetta: un mercato si dice in concorrenza perfetta se sono verificate 5 condizioni: 

1. I prodotti sono omogenei; 2. Vi sono numerosi venditori, ciascuno con una piccola market share (non può influenzare il 

prezzo); 3. Vi sono numerosi acquirenti, ciascuno dei quali compra una piccola quantità del bene (non 

può influenzare il prezzo); 4. Acquirenti e venditori possono entrare ed uscire liberamente dal mercato; 5. Tutti gli acquirenti e i venditori hanno la stessa informazione; 

Nel modello di concorrenza perfetta lo scambio di mercato è semplice ed efficiente. Queste condizioni sono quasi impossibili da realizzare. Alcuni mercati tuttavia, pur non rispecchiando tutte le condizioni della concorrenza perfetta, possono essere assimilati ad essi: sono i mercati contendibili.  Mercati Contendibili - quei mercati in cui l’ingresso e l’uscita non comportano costi non recuperabili e la sola minaccia di entrata ha effetto sul comportamento di mercato delle imprese. Le imprese dunque, proprio come nella concorrenza perfetta, non conseguono profitti.  Economia del Benessere - è la branca dell’economia che si occupa di problemi normativi;   Scienza Economica - studia il modo in cui la società umana decide cosa, come e per chi produrre beni e servizi. Ogni collettività di persone deve risolvere tre problemi fondamentali della vita quotidiana: quali beni e servizi produrre, come produrli e per chi produrli.  Problema Economico - come risolvere il conflitto tra bisogni illimitati di beni e servizi degli individui che compongono l’economia e le risorse scarse disponibili per la loro produzione.  Economia Pianificata - economia in cui le decisioni riguardo a cosa, come e per chi produrre sono imposte da un'autorità pubblica di pianificazione centralizzata, con dettagliati criteri di comportamento per famiglie, imprese e lavoratori. In questa organizzazione lo Stato possiede gli strumenti di produzione e le risorse naturali e assume tutte le decisioni.  Economia di Libero Mercato - non vi è alcun intervento pubblico: le risorse sono allocate interamente attraverso mercati nei quali gli individui perseguono il proprio interesse privato, senza direttive o interferenze.   Economia “mista” - il governo ed il settore privato interagiscono nella soluzione dei problemi economici fondamentali. Il mercato non è quindi l’unico metodo di coordinamento.  

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Il Primo Teorema (o Teorema Fondamentale) dell’Economia del Benessere: E’ un risultato essenziale dell’economia neoclassica. Afferma che, sotto determinate condizioni abbastanza generali, la concorrenza perfetta porta ad un’allocazione Pareto-Efficiente delle risorse. Si dimostra (per assurdo) che, in equilibrio competitivo, i prezzi rappresentano tutta l’informazione di cui gli individui hanno bisogno per utilizzare in maniera efficiente le risorse disponibili. Un Equilibrio Concorrenziale è dunque Pareto-Efficiente.  Un’allocazione è un insieme di piani di consumo e di produzione tra loro compatibili. Un’allocazione è efficiente (o Pareto-Efficiente) se non esiste un’altra allocazione che la domina. Quindi i piani di produzione e di consumo devono essere contemporaneamente realizzabili e quindi devono soddisfare 3 condizioni: 

1. ∀ nV n ≤ Rn → ogni consumatore dispone dei beni che offre; 2. I , O ) ∀ j( j j

∈ T j → il piano di produzione di ogni impresa è tecnicamente possibile; 

3. ∑N

n=1An + ∑

N

n=1I j ≤ ∑

N

n=1V n + ∑

N

n=1Oj → tutto ciò che è acquistato deve essere offerto; 

 In equilibrio competivito i vettori (P, A, V, I, O) devono soddisfare 3 condizioni: 

1. Il piano di consimo (An, Vn) di ogni individuo n deve massimizzare la sua utilità fra tutti i piani che egli può permettersi dati i prezzi P dei beni. Ovvero: nessun altro piano realizzabile è da lui preferito; 

2. Il piano di produzione (Ij, Oj) di ogni impresa j deve massimizzare il profitto: nessun altro piano tecnicamente possibile può consentire profitti superiori; 

3. La quantità domandata di ogni bene è parti all’offerta: 

∑N

n=1An + ∑

N

n=1I j = ∑

N

n=1V n + ∑

N

n=1Oj  

 Ipotesi di base: 

● L’utilità che ogni consumatore ottiene dal consumo dipende solamente dal suo livello di consumo e non dal livello di consumo degli altri consumatori, né dal metodo di produzione utilizzato; 

● Il costo totale di produzione di ogni impresa dipende esclusivamente da cioè che l’impresa produce. 

  

Tesi: l’allocazione delle risorse è efficiente.  

Dimostrazione: dimostrazione per assurdo; vedi pag 67-70 del manuale.  

 Il Secondo Teorema dell’Economia del Benessere: Afferma che, in concorrenza perfetta e sotto l’ipotesi di non convessità (assenza di rendimenti crescenti di scala), per ogni data allocazione Pareto-efficiente esiste un vettore di prezzi tale che l’allocazione risultante massimizza l’utilità dei consumatori ed i profitti delle imprese. Stabilisce quindi che è possibile realizzare, attraverso la decentralizzazione, qualsiasi allocazione ottima si desideri come un equilibrio competitivo.  Fallimenti del Mercato - termine usato per indicare tutte le situazioni in cui l’equilibrio di mercato non corrisponde ad un’efficiente allocazione delle risorse: i mercati non raggiungono l’efficienza economica ed il Teorema Fondamentale dell’economia del Benessere cessa di valere. Le distorsioni impediscono alla mano invisibile di allocare efficientemente le risorse.  

Distorsione Allocativa - quando il costo marginale della produzione di un bene non equivale al beneficio marginale derivante dal suo consumo, a differenza di quanto accade in equilibrio competitivo. 

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 Tra le possibili cause delle Distorsioni che portano ad un fallimento del mercato troviamo:  

- Concorrenza insufficiente: la possibilità di allocare le risorse in maniera efficiente è spesso compromessa dalla natura oligopolistica dei mercati, dalla disomogeneità dei prodotti o dalla presenza di forti barriere all’entrata. I rendimenti di scala sono un caso particolare di barriere all’ingresso. 

 - Rendimenti di scala: dato un intervallo di produzione si dice che in esso sono presenti 

rendimenti crescenti di scala quando il costo medio diminuisce al crescere della quantità prodotta (normalmente, i costi prima diminuiscono e poi crescono di nuovo a causa dei vincoli di capacità produttiva). In alcuni casi particolari (se si hanno rendimenti crescenti di scala per ogni livello produttivo), può risultare più efficiente avere un monopolio naturale piuttosto che un mercato concorrenziale. 

 - Esternalità: sono effetti indiretti, positivi o negativi, che l’attività di un soggetto genera sul 

benessere di altri, senza che tali effetti siano regolati dal meccanismo dei prezzi.   

- Beni pubblici: (importante) Un bene è considerato pubblico se il consumo individuale non lo riduce. Per questo tipo di beni nessuno è disponibile a pagare volontariamente, perché tutti sono convinti che beneficeranno alla spesa altrui (free-riding). I beni pubblici possono essere: 

- Beni Pubblici Puri, che hanno 2 caratteristiche: 1. Non è possibile razionare il consumo, ovvero non è possibile escludere un 

particolare individuo dalla fruizione di questo bene (non viral goods); 2. Non è desiderabile razionarne il consumo (non sarebbe efficiente) - non 

exclusionary goods; - Beni Pubblici Misti: beni pubblici che hanno in misura variabile più una o più l’altra 

proprietà dei beni pubblici Puri. Sono il tipo più frequente di bene pubblico.  

- Beni meritori: particolari categorie di beni che hanno un grande significato sociale (es: scuola, salute), e per i quali si teme che il mercato potrebbe non produrre le quantità ritenute ottimali. Lo Stato in questi casi interviene per costringere le persone a far uso di questi beni, correggendo i meccanismi di mercato a prescindere dalla loro efficienza economica. 

 - Carenza di informazioni: talvolta il mercato non produce sufficiente informazione su alcuni 

prodotti per permettere gli scambi sul mercato. In questi casi si interviene con normative, come ad esempio quelle sul “diritto all’informazione” (ritenuta bene pubblico). 

 - Frizioni tra domanda ed offerta: A differenza del modello neoclassico, nella realtà 

l’aggiustamento del mercato richiede un processo di acquisizione di informazioni a volte lento e costoso, per cui non sempre i soggetti coinvolti riterranno conveniente persistere sino in fondo nella ricerca delle condizioni migliori. 

 - Mercati incompleti: quando, pur essendo il costo di produzione di un bene o servizio inferiore 

alla disponibilità a pagare dei consumatori, il mercato non riesce a fornire il bene stesso in misura adeguata (dovuto, ad esempio, a costi di transazione). 

       

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Capitolo 3 - Informazione, Organizzazione e Mercato    Asimmetria Informativa - Nella stipula di un contratto, le informazioni possono essere asimmetricamente distribuite tra le parti ed una di esse può godere di un vantaggio conoscitivo. La situazione descritta crea una relazione potenzialmente conflittuale tra gli individui coinvolti, che si trasforma in comportamento opportunistico qualora gli interessi delle parti siano divergenti. Quando “alcuni soggetti dispongono di informazioni che altri soggetti non hanno” (Philips, 1988).  L’asimmetria informativa produce due conseguenze sul mercato:  

- La sua inefficienza, con conseguente spreco di risorse; - Il manifestarsi di meccanismi per cui è il mercato stesso a fornire le informazioni rilevanti. 

 Conseguenze dell’Asimmetria Informativa: 

- Selezione Avversa: conseguenza dell’esistenza di un’asimmetria informativa pre-contrattuale. Tale meccanismo fa scendere il prezzo di mercato e può spingere i venditori di prodotti di alta qualità a non vendere, generando una situazione in cui solo una selezione avversa di venditori (quelli di bassa qualità) resterebbero sul mercato. Crea dunque un fallimento del mercato riducendone le dimensioni o eliminandolo completamente. (Il problema venne osservato principalmente nei mercati assicurativi: Rothschild-Stiglitz 1976). 

 - Moral Hazard: conseguenza dell’asimmetria informativa post-contrattuale. Corrisponde alla 

situazione nella quale un lato del mercato non può osservare le azioni intraprese dall’altro; si definisce dunque come un problema con azione nascosta. Nell’analisi del Moral Hazard si trascura la collocazione temporale degli eventi e si prende invece in considerazione la relazione temporale tra azione ed evento: 

- Moral Hazard Ex-Ante: indica la situazione in cui una delle parti ha la capacità di alterare le conseguenze della relazione contrattuale attraverso azioni non osservabili, successive alla stipula del contratto ma precedenti l’evento che da luogo all’esecuzione dello stesso. Sono compiute dopo che il contratto è stato stipulato ma prima che venga eseguito. (Es: assicurare l’auto contro il furto e poi parcheggiarla in mezzo alla strada e non nel box). 

- Moral Hazard Ex-Post: indica la situazione in cui una delle parti ha la capacità di alterare le conseguenze della relazione contrattuale attraverso azioni non osservabili, successive alla stipula del contratto ed in corrispondenza del momento in cui avviene l’evento o immediatamente dopo che questo si è verificato. (Es: alterazione degli effetti di un incidente stradale al fine di ottenere un maggior risarcimento). 

 Meccanismi per prevenire Comportamenti Opportunistici:  

- Screening - Segnali 

  Contratto - un accordo volontario tra due o più persone, solitamente definite Principale (colui che propone il contratto) e Agente (colui che può accettare o rifiutare).Stabilisce le modalità secondo cui deve realizzarsi una certa transazione economica: gli adempimenti delle parti, le possibili azioni ed i pagamenti. 

Contratto Completo - Contratto che precisa in dettaglio il comportamento che ciascuna parte deve tenere al verificarsi di ogni possibile circostanza. Un contratto completo: 

● Prevede e descrive tutte le contingenze che potrebbero emergere nello svolgimento del contratto; 

● Definisce le azioni efficienti ed i compensi per ciascuna contingenza; ● Assicura che i termini del contratto vengano eseguiti; 

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Queste ipotesi trovano ovviamente difficile riscontro nella realtà, a causa della razionalità limitata degli individui e della presenza di informazione asimmetrica tra le parti. Per questo i contratti sono spesso incompleti. Quando una delle parti contrattuali possiede maggiori o migliori informazioni circa la disponibilità a pagare dell'altra parte, questa asimmetria si riflette sulla capacità di influenzare a proprio favore il prezzo. Il potere informativo è quindi sinonimo di potere contrattuale ed economico.  Mercato Trasparente - mercato in cui tutti gli operatori sono perfettamente informati sulla qualità dei beni scambiati e sul loro prezzo. Dunque in queste condizioni gli acquirenti sarebbero in grado di valutare senza costi la qualità di ogni singolo prodotto. I principali effetti delle imperfezioni informative sul mercato sono: 

1. L’equilibrio di mercato può non esistere e la sua esistenza dipende dalla tipologia degli operatori presenti nel mercato stesso; 

2. Se l’equilibrio esiste esso risulta comunque inefficiente rispetto a quello teoricamente possibile sotto l’ipotesi di piena informazione; 

3. L’inefficienza degli equilibri implica l’esistenza di costi che devono essere sopportati anche nel caso in cui il mercato riesca a trasmettere l’informazione rilevante. 

4. Esistenza di equilibri con razionamento, che sono caratterizzati dalla sottoutilizzazione delle risorse disponibili; 

  Modello di Rothschild e Stiglitz: In questo modello esistono solo 2 classi di rischio: Alto e Basso. Si dimostra che non esiste nessun equilibrio quando il premio pagato dalle due classi è lo stesso: gli agenti a basso rischio, non volendo pagare un premio troppo alto, si ritirano dal mercato, lasciando solo gli agenti ad Alto Rischio che però non converrebbero alla compagnia assicurativa. Non esiste quindi un Pooling Equilibrium (Equilibrio di Aggregazione). Le compagnie assicurative possono provare ad ovviare a questo problema tramite meccanismi di autoselezione (es: premi più bassi a chi accetta franchigie più alte). L’eventuale equilibrio che si trova con queste condizioni si chiama Separating Equilibrio (Equilibrio di Separazione); tuttavia, non può esistere alcun equilibrio di separazione se la proporzione degli individui ad alto rischio è particolarmente elevata.   Modello di Akerlof ed il Mercato dei “lemon”: Akerlof è stato il primo a suggerire che il meccanismo della selezione avversa non riguardasse esclusivamente il mercato assicurativo, ma può verificarsi in tutti quei mercati ove i beni ed i servizi non sono omogenei e la qualità di ciò che viene scambiato è nota solo ad uno dei due lati del mercato. Il modello di Akerlof studia le asimmetrie informative nel mercato delle automobili.  Gli acquirenti sono la parte non informata e sul mercato sono presenti solo 4 tipologie di prodotto: le macchine possono essere Nuove o Usate e possono essere di Buona o Cattiva (“lemon”) qualità. In generale, per gli acquirenti è molto difficile conoscere ex-ante le condizioni effettive di un’automobile di seconda mano. Gli acquirenti comprano un’auto senza sapere se essa sia di buona qualità oppure un bidone. Sanno però che q è la probabilità che si tratti di una buona macchina e (1-q) la probabilità che sia un bidone. I proprietari dei “lemon” fissano un prezzo di vendita minimo di €1000, mentre quelli di auto di qualità €2000. Gli acquirenti sono disposti a pagare fino a 1500€ per i lemon e fino a 2300€ per le macchine buone.  Nel caso in cui l’acquirente fosse in grado di valutare la qualità del prodotto, il prezzo per i limoni sarebbe compreso tra 1000€ e 1500€ mentre quello per le macchine buone tra i 2000€ ed i 2300€.  In condizioni di asimmetria informativa si suppone q = 50%, e dunque il valore medio del prezzo sara P* = 1900€. 

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Per questo prezzo sono tuttavia messi in vendita solo bidoni. L’acquirente è quindi certo di trovare sul mercato solo bidoni e non sarà disposto a pagare 1900€. Il prezzo di equilibrio sarà dunque compreso tra 1000€ e 1500€. = > La domanda e l’offerta di auto di Buona Qualità non riescono ad incontrarsi -- il mercato Fallisce. La causa del fallimento è l’esternalità (negativa) esercitata dai venditori di bidoni sugli altri agenti economici. In alcuni casi è possibile anche che la presenza di “lemons” faccia fallire l’intero mercato.   Soluzioni al problema della Selezione Avversa: La presenza della selezione avversa è un tipico caso in cui si ha un fallimento del mercato che giustifica l’intervento regolatorio dello Stato. Esempi di interventi: 

1. Leggi che impongono la responsabilità del produttore/venditore e che riducono la possibilità di un decadimento qualitativo del mercato; 

2. Imposizione di standard qualitativi e licenze; 3. Politiche di diffusione delle informazioni al fine di ridurre l’asimmetria informativa causa della 

selezione avversa; 4. Creazione e sviluppo di mercati “incompleti” per compensare le mancanze dovute alla 

selezione avversa;  Altri tipi di meccanismi per la diffusione dell’informazione sono la Segnalazione (es: certificazione di qualità, garanzia) e lo Screening;   Modello di Spence (1973): Modello di segnalazione che suppone che la produttività dell’individuo dipenda dalle sue capacità intrinseche ed in particolare dal suo livello di istruzione. Nonostante le asimmetrie informative le imprese riescono comunque a distinguere le caratteristiche dei lavoratori. Spence divide le caratteristiche dei lavoratori in due categorie: 

- I Segnali, ovvero quelle caratteristiche che possono essere modificate dagli individui (istruzione); 

- Gli Indici, ovvero quelle caratteristiche che risultano immodificabili (sesso, etnia, etc).  Dunque gli individui che vogliono risultare “di qualità migliore” dovranno modificare i loro segnali, aumentando ad esempio il loro livello di istruzione.  Premessa: affinchè i segnali siano credibili, devono prevedere un costo, che deve essere anche inversamente proporzionale alla produttività.  In questo modello esistono 2 classi di produttività secondo cui possono essere divisi i lavoratori: Alta o Bassa.  Supponiamo che, nota la produttività di ogni lavoratore, i lavoratori dalla produttività Alta possano ottenere 80€/h, mentre quelli dalla produttività Bassa possano ottenere solo 30€/h.  CASO 1: Nel primo caso del modello, l’impresa non è in grado di distinguere il livello di produttività di ogni lavoratore. Poiché non c’è modo di distinguere la produttività dei lavoratori, questi riceveranno come salario pari alla produttività marginale attesa. Nel caso dei lavoratori di produttività Alta, questa sarà Wa = 45€/h, ovvero una perdita di 35€/h. Ovviamente i lavoratori più produttivi vorranno essere riconosciuti come tali.  Questa situazione conviene invece ai lavoratori dalla bassa produttività, che riceverebbero un compenso maggiorato (surplus) di 15€/h.  Dunque è anche nell’interesse dell’impresa distinguere chiaramente i due tipi di lavoratori, nonostante per essa l’esborso economico risulta comunque lo stesso. 

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Secondo il modello di Spence i lavoratori più abili decideranno di acquisire un livello di Istruzione più elevato di quello ottenuto dai lavoratori meno abili. Si ipotizza poi che i risultati ottenuti siano osservabili e facilmente verificabili. ⇒ in questo modo, il livello di istruzione costituisce un segnale ed i datori di lavoro possono determinare la giusta produttività e quindi il giusto salario. Quindi rimane da analizzare la sostenibilità del meccanismo di segnalazione presentato, tramite le due condizioni che formano i vincoli di auto-selezione: 

1) I lavoratori a bassa produttività devono non trovare utile acquisire un livello più elevato di istruzione, anche se questo portasse ad un miglior salario. 

2) La mancata acquisizione di un livello di istruzione elevato deve essere un segnale credibile per indicare un lavoratore a bassa produttività. 

Il rispetto di questi vincoli garantisce che i segnali provenienti dai lavoratori siano credibili e che i datori di lavoro possano basarsi su questi ultimi per discriminare le due tipologie di lavoratori. Siano Ca e Cb i costi per l’acquisizione di un’ità di istruzione per i lavoratori e si indichino con Ea ed Eb i livelli di istruzione scelti dalle due tipologie di lavoratori; i sistema di vincoli di auto selezione sarà dunque: 

0 C E 0 E 8 − B A < 3 − CB B  0 C E 0 E8 − A A < 3 − CA B  

 ⇒ Affinchè l’istruzione costituisca un segnale credibile deve essere verificata la condizione ,CA < CB  ovvero che esiste un livello di istruzione che consente ai lavoratori più produttivi di segnalare la loro informazione privata.  CASO 2: Nel secondo caso si ipotizza informazione perfetta. In queste condizioni, le imprese pagherebbero ai lavoratori un salario pari alla produttività marginale. Dunque:  

Wa = 80€/h Wb = 30€/h 

  Premio Attuarialmente Equo (Actuarially Fair Rate) - quando in un mercato assicurativo c’è concorrenza perfetta ed il premio per assicurarsi è pari al costo medio sostenuto dall’assicurazione.  Certificazione di Qualità - Il modo più semplice per risolvere l’incertezza sull’effettiva qualità di un experience good (ovvero un bene la cui qualità non è osservabile prima dell’acquisto) limitando, così, l’asimmetria informativa.  Garanzia del Prodotto - Metodo con il quale un venditore può informare l’acquirente sulla qualità del prodotto offerto. La garanzia è la promessa con cui il venditore si impegna a sostituire o a riparare gratuitamente il proprio prodotto nel caso in cui questo si rivelasse non conforme alle caratteristiche dichiarate all’atto dell’acquisto. La Lunghezza della garanzia può essere interpretata come un tipico segnale di qualità.  Per un'impresa, offrire una garanzia è costoso ed è tanto più costoso quanto peggiore è la qualità del prodotto offerto. La garanzia presenta alcune caratteristiche che la differenziano dal segnale in senso stretto: Può essere intesa come un contratto di assicurazione nel quale il venditore ricopre il ruolo dell’assicuratore. Inoltre, la garanzia è soggetta al problema del Moral Hazard poiché l’assicurato è in grado di influire sulla probabilità dell’evento rispetto al quale l’assicurazione viene stipulata. Inoltre il ricorso alla garanzia come segnale di qualità può portare a fenomeni di selezione avversa: i prodotti maggiormente garantiti attraggono consumatori ad alto rischio.     

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Soluzioni al problema del Moral Hazard:  

- Contratti di assicurazione con franchigie: contratti che prevedono la compartecipazione dell’assicurato alla spesa e sono molto usati nel campo delle assicurazioni sanitari: l’individuo paga in parte il costo delle sue azioni. Attraverso la partecipazione al rischio si riduce l’incentivo dell’agente (assicurato) ad adottare comportamenti opportunistici.  

- Controllo diretto e sanzioni: I controlli e le verifiche dei comportamenti opportunistici è il modo più immediato per eliminare o ridurre il rischio di moral hazard. Un controllo più accurato può, inoltre, rappresentare la base per la costituzione di un adeguato sistema di premi e sanzioni che scoraggi i futuri comportamenti opportunistici.  

- Punizioni: Consiste nell’inserire nel contratto un sistema di punizioni che si attivi in caso di mancato raggiungimento di alcuni obiettivi. Esiste una stretta relazione tra la frequenza dei controlli e la severità delle punizioni. (Es: multe parcheggi).  

- Reputazione: il dipendente può essere promosso sulla base dello sforzo e della sincerità dimostrati nel passato.   

- Cauzioni: è un pegno che viene perso se un comportamento non conforme all’accordo viene scoperto.   

- Contratti di incentivazione: i contratti di incentivazione hanno l’obiettivo di rendere gli agenti responsabili delle loro azioni, facendo loro sostenere più rischi di quanto sarebbe desiderabile.  

- Compartecipazione agli utili: questo strumento di prevenzione del moral hazard prevede l’incentivazione dei dipendenti associando la loro remunerazione al risultato dell’impresa e non ha bisogno di un sistema di controllo da parte del datore di lavoro. Può portare al problema del free-riding, che però può essere limitato tramite la “pressione dei colleghi” (peer-pressure).  

- Tornei: Un torneo è un gioco in cui molti agenti competono per raggiungere un risultato finale fissato dal principale. 

       

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Capitolo 4 - Teoria dei Costi di Transazione   Transazione - è l’elemento più piccolo di un’attività economica che non può essere suddiviso e compiuto da diversi individui, ossia il trasferimento di beni o servizi da un individuo ad un altro.  Scelta Make-or-Buy - la decisione di svolgere in proprio un’attività o di affidarla al mercato.  Costi di Transazione - sono i costi relativi all’effettuazione di una transazione ed i costi opportunità relativi ad una mancata transazione. Consistono fondamentalmente nei costi di funzionamento del sistema: i costi di coordinamento ed i costi di incentivazione.  Costi di Coordinamento - derivano dalle attività dei consumatori e dei produttori.  Per i consumatori si identificano nei costi legati al tempo speso dai consumatori stessi per la determinazione dei prezzi per la ricerca di un prodotto e dei suoi fornitori e per l’acquisizione dell’informazione. Per i produttori comprendono le ricerche di mercato sostenute per determinare i desideri e i gusti dei consumatori, le spese pubblicitarie e di marketing ed eventuali altri costi per l’allocazione dei lavoratori a compiti specifici.  Costi di Incentivazione - costi meno diretti dei costi di coordinamento, ma più importanti per i manager delle imprese; comprendono le conseguenze negative del comportamento opportunistico ed i costi necessari per prevenirlo.  Imperfect commitment - costo di transazione legato agli incentivi che nasce dalla imperfetta capacità di tenere fede agli impegni, ossia dall’impossibilità delle parti di vincolarsi a mantenere le promesse o le minacce fatte prima del raggiungimento di un accordo.  Le 5 Dimensioni delle Transazioni:  

1) Specificità: la specificità degli investimenti richiesti per condurre la transazione; 2) Complessità: la complessità della transazione e l’incertezza sulla prestazione che sarà richiesta; 3) Frequenza: la frequenza con cui si verificano transazioni simili, ed il periodo di tempo in cui si 

ripetono; 4) Difficoltà di misurazione dei benefici della prestazione nella transazione; 5) Relazione: la relazione della transazione con altre che riguardano le stesse persone; 

 Specificità delle risorse investite - la transazione potrebbe richiedere investimenti specifici, ossia l’investimento di risorse che al di fuori dello specifico utilizzo perdono gran parte del loro valore. La specificità degli investimenti si riferisce al grado in cui una risorsa può essere riutilizzata in modi alternativi e da altri fruitori senza sacrificarne il valore produttivo. In una transazione, più una delle parti si impegna in una transazione, più ha da perdere a causa di eventi imprevisti o per la possibilità che l'altra parte possa avere interesse a negoziare termini più favorevoli del contratto. La parte in questione si è impegnata con investimenti in risorse non più liberabili senza costi se l’impresa cessa la produzione (Sunk Cost) ⇒ Problema di ricatto (Hold-Up). La tentazione dell’hold-up è più alto più i contratti sono incompleti. Il rischio di hold-up fa salire il costo della transazione di mercato, rendendo le trattative per la stipula dei contratti più difficili e le negoziazioni più frequenti.  Le altre dimensioni delle transazioni sono invece più legate all’importanza della disponibilità informativa.  Dimensione della Specificità degli Investimenti (Williamson, 1985): 

● Specificità del Luogo: si riferisce ad una risorsa che viene ubicata in una particolare area e lì impegnata in un particolare utilizzo (es: oleodotto Alaska). 

● Specificità delle Risorse Fisiche: rappresenta un investimento in macchinari o attrezzature che hanno uno scopo strettamente definito (es: macchinario specializzato). 

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● Specificità delle Risorse Umane: sorge quando le persone sviluppano capacità specifiche nel proprio lavoro, richieste da una transazione, ma con scarse applicazioni alternative. 

● Specificità delle Risorse Dedicate: implica investimenti in impianti che vengono costruiti per ordine di un particolare cliente (es: produttore di microcircuiti integrati). 

● Specificità del Capitale data dal Nome del Marchio: si riferisce al diventare affiliati ad una marca ben nota e dunque meno liberi di ricercare altre opportunità. 

  Incertezza e Complessità - in ogni transazione c’è un grado di complessità e di incertezza che ha costi per le parti. Quando l’incertezza e la complessità rendono difficile la previsione di prestazioni future i contratti divengono più complessi e specificano diritti, obblighi e procedure.  Frequenza e durata - Alcune transazioni si ripetono frequentemente, mentre altre avvengono per lo più una sola volta e sono destinate a perdurare nel tempo. Ci si aspetta che i costi di transazione siano più bassi per le transazioni ripetute frequentemente e che le persone individuano meccanismi ad hoc o routine per ridurre i costi delle transazioni stesse. La capacità degli agenti di cooperare e di apprendere nel tempo può ridurre i costi di transazione e accrescere l’efficienza sia perché le parti arriveranno a capire che cosa ci si aspetta da loro, sia perché la necessità di una formalizzazione che assicuri il mantenimento degli accordi può essere ampiamente ridotta. Un potenziale vantaggio delle imprese è che, in alcuni casi, esse possono ridurre i costi di transazione mediante una reputazione consolidata.   Difficoltà di misurazione dei benefici della transazione - E’ probabile che, ogni qualvolta i risultati lascino spazio all’ambiguità in merito alle azioni intraprese, una parte (tra quelle coinvolte nella transazione) si impegnerà in modo considerevole per determinare se la prestazione dell’altra è conforme a quanto promesso nel contratto.  Nel valutare i benefici di una transazione un’organizzazione economica si trova di fronte a 3 difficoltà: 

1) La partecipazione ad un accordo comporta qualche forma di costo opportunità; 2) Capacità dell’organizzazione di identificare con precisione l’impatto di quella transazione sulla 

sua performance; 3) Incapacità di monitorare perfettamente le azioni delle altre parti che partecipano 

all’accordo;  Relazione con le altre Transazioni - Con l’aumentare del collegamento e della concatenazione delle transazioni il costo per valutarle e farle rispettare aumenta notevolmente; questi effetti si amplificano al crescere del numero delle persone coinvolte.  Limiti della Teoria dei Costi di Transazione: Secondo la Teoria dei Costi di Transazione l’attività economica e le organizzazioni sono strutturate in modo da minimizzare i costi di transazione. In realtà, questi costi esistono, ma non sempre sono separabili dagli altri costi. Non è generalmente vero che i costi totali di un’attività economica possano essere espressi come somma dei costi di produzione e dei costi di transazione. E’ dunque più corretto dire che occorre minimizzare i costi totali: costi di produzione e costi di transazione.  Inoltre, anche l’allocazione delle risorse da una parte delle imprese comporta alcuni costi di transazione, e quindi non si può semplicemente creare un’unica, grande organizzazione con lo scopo di eliminare tali costi.       

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Problema del Make-or-Buy - Il problema riguarda la decisione di svolgere in proprio un’attività o di affidarla all’esterno (al mercato). I costi di transazione, che sono tra i principali costi associato al ricorso al mercato, influiscono in modo determinante sulle scelte delle imprese. I costi ed i benefici nel ricorso al mercato si possono classificare come relativi all’Efficienza Tecnica (se l’azienda usa il processo produttivo meno costoso) o all’Efficienza di Agenzia (se l’azienda minimizza i costi di coordinamento e di agenzia dovuti agli scambi di beni e servizi nella catena verticale). L’interazione tra Efficienza Tecnica ed Efficienza di Agenzia determina la scelta tra Integrazione Verticale e contrattazioni formali di mercato. Il mercato offre vantaggi per minimizzare i costi di produzione, mentre l’integrazione verticale è preferibile per minimizzare i costi di transazione. In ogni caso, l’impresa dovrà minimizzare la somma dei costi di produzione e di transazione; deve quindi trovare il miglior bilanciamento (trade-off) fra i guadagni potenziali derivanti dal ricorso al mercato e quelli derivanti dalla produzione in proprio.  I fattori che influenzano la decisione: 

1) I costi di produzione esterni sono sempre minori; infatti le aziende indipendenti e specializzate, accorpando la domanda, possono realizzare economie di scala, di scopo e di apprendimento. 

2) L’impresa potrebbe sviluppare anch’essa economie di scala, se accrescesse abbastanza la produzione interna. 

3) Un elevato grado di specificità dell’attività riduce le economie realizzabili da imprese di mercato e comporta un aumento dei costi di transazione. 

 Si consideri la decisione di un’impresa di produrre (make) o acquistare (buy) un bene o servizio. Nella figura si vede il trade-off tra efficienza tecnica ed efficienza di agenzia per un dato livello di produzione. L’asse X indica il livello di specificità dell’attività (k).  ΔP indica la differenza nei costi di produzione (costo minimo di produzione meno costo di acquisto del bene sul mercato); rappresenta dunque le variazioni nell’efficienza tecnica.   ΔA indica la differenza nei costi di transazione (costi di struttura, ovvero per il coordinamento dell’impresa integrata, meno costi di transazione relativi agli scambi sul mercato). B(k) sono i costi burocratici di struttura interna; M(k) sono i costi di mercato; Si ha ΔA = B(k) - M(k); rappresenta dunque le variazioni nell’efficienza di agenzia.  ΔC è la somma di ΔP ed ΔA: rappresenta la differenza complessiva di costo tra integrazione verticale e scambio di mercato. Finché questa curva è positiva lo scambio di mercato è preferibile alla produzione interna del bene. Quando la curva è negativa (es livelli alti di specificità) è preferibile l’integrazione verticale.  La transazione avviene dunque sul mercato finchè k < k ̃ , mentre per k > k ̃ è preferibile l’integrazione verticale.  In generale, se k* è il livello di specificità dell’attività si può dire che: 

1) Il mercato è sicuramente conveniente per quanto riguarda sia le economie di scala e di scopo, sia i costi di struttura, quando k* è molto basso (k* << k ̃ ); 

2) L’organizzazione interna è sicuramente conveniente quando il livello di specificità k* è molto elevato (k* >> k ̃ ); 

3) Vi sono piccole differenze di costo per livelli intermedi di specificità. Se k* è nell’intorno di k ̃ si potranno osservare scelte differenti. 

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4) Dal momento che l’impresa è sempre svantaggiata rispetto al mercato per i costi di produzione (ΔP > 0 per ogni k), l’impresa non sceglierà mai di integrarsi esclusivamente per questi costi. Solo quando intervengono difficoltà di contrattazione il confronto è a favore dell’integrazione verticale (e quindi solo per valori di k che eccedono k ̃). 

5) Le imprese di maggiori dimensioni si integrano più facilmente di quelle di minori dimensioni. 6) Un’impresa con costi organizzativi minori sarà più integrata, a parità di condizioni, di una 

equivalente con costi organizzativi maggiori.  Effetti di ricchezza - gli effetti della ricchezza del decisore sulle sue scelte. In molte decisioni economiche le differenze nelle scelte individuali dipendono dalla diversa ricchezza degli agenti.  Per semplificare l’analisi delle organizzazioni e tradurre le idee economiche in modelli matematici si ipotizza la assenza di effetti di ricchezza.  Assenza di effetti di ricchezza - l’assenza di effetti di ricchezza implica che siano soddisfatte 3 condizioni: 

1) Data qualsiasi coppia di alternative y1 e y2, esiste una compensazione monetaria che le rende equivalenti; ossia esiste un importo di denario C(y1, y2) sufficiente a compensare un agente per la scelta di y1 anzichè y2. 

2) L’importo della compensazione C(y1, y2) non dipende dalla ricchezza dell’agente. 3) L’agente ha sufficienti risorse per sostenere l’importo della compensazione C(y1, y2) , ossia 

possiede denaro in quantità tale da compensare qualunque riduzione di ricchezza necessaria per potersi spostare dall’opzione a minor gradimento a quella preferita. 

  Utilità - l’utilità di un agente è una rappresentazione numerica delle preferenze di un individuo rispetto a diverse possibili scelte o situazioni alternative. In generale, si può rappresentare come una funzione di due variabili, U(x, y), dove la variabile x è un numero equivalente alla ricchezza monetaria relativa ad una scelta, mentre la variabile y è una variabile corrispondente a tutte le caratteristiche non monetarie della decisione.  Principio di non sazietà - principio secondo cui le persone desiderano massimizzare la propria utilità.  Funzione di Utilità in assenza di effetti di ricchezza: Se non vi sono effetti di ricchezza esiste sempre un equivalente monetario v(y) che corrisponde ad y.  Dunque la funzione di utilità si può scrivere come U(x, y) = x + v(y) e rappresenta le preferenze dell’agente. U(x, y) è indice del benessere individuale che si definisce Indice del Valore Equivalente. Sommando il valore di tale indice su tutte le parti coinvolte nella decisione si ottiene il Valore Totale delle Parti, ovvero una misura del livello di benessere del gruppo di riferimento.  Se l’insieme delle parti coincide con l’insieme dei consumatori, allora il valore totale delle parti è il Surplus Totale dei Consumatori (consumer surplus). Se invece l’insieme delle parti coincide con l’insieme dei produttori, il valore totale delle parti è il Surplus Totale dei Produttori (producer surplus). Se, infine, le parti sono sia i consumatori sia i produttori, il valore totale delle parti è il Benessere Sociale (social walfare).  ** ATTENZIONE: La funzione di Utilità si può porre nella forma U(x, y) = x + v(y) soltanto in assenza di effetti di ricchezza. (Dimostrazione a pag 136 del manuale).      

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Principio della Massimizzazione del Valore: (valido solo in assenza di effetti di ricchezza) Implica che se un’allocazione non è efficiente è sempre possibile trovarne un’altra cui corrisponde un surplus totale delle parti maggiore, che può essere redistribuito in modo da aumentare l’utilità di ciascuno.  Ipotesi: Le preferenze degli agenti non presentano effetti di ricchezza; Tesi: Un’allocazione è efficiente se e solo se massimizza il valore totale delle parti coinvolte.  Investimento Produttivo -  In questo caso xi è la quota del profitto generato dall’investimento assegnata all’agente i-esimo, mentre vi(y) è il valore monetario equivalente alla sua contribuzione e corrispondente al costo opportunità delle risorse richieste all’agente. Si supponga che l’investimento generi un reddito monetario positivo P(y).  Nel caso di due soli agenti, per ogni particolare allocazione (x1, x2, y) l’utilità totale, o valore totale delle parti è uguale a: [x1 + v1(v)] + [x2 + v2(y)] = P(y) + v1(y) + v2(y). Il valore dipende dunque solo da y, e non dalla ripartizione del reddito totale.  Investimento in un Bene Pubblico -  In questo caso xi è il numerario che corrisponde alla quota del costo totale sostenuta dell'agente i-esimo ed è, quindi, un valore negativo. L’utilità acquisita dall’agente per la realizzazione del bene pubblico è vi(y), positiva. 

Anche in questo caso, l’utilità totale è party a P(y) + e non dipende dalla ripartizione del costo(y)∑

ivi  

tra gli agenti.  Effetti della distribuzione sull’efficienza: Il principio di massimizzazione del valore è verificato esclusivamente in assenza di effetti di ricchezza: se tali effetti esistono, la distribuzione può influenzare l’efficienza. In presenza di effetti di ricchezza un’allocazione che massimizza la somma delle utilità è ancora efficiente, ma vi potrebbero essere altre allocazioni efficienti che tuttavia non massimizzano il valore totale delle parti.   Un caso in cui la distribuzione del reddito può intervenire su alcuni aspetti delle transazioni riguarda i paesi in via di sviluppo, dove i lavoratori che ricevono salari più elevati hanno la possibilità di nutrirsi meglio e, conseguentemente, essere più produttivi. Al contrario, se i salari sono così bassi da rendere difficile un sostentamento adeguato i datori di lavoro potrebbero ritenere più conveniente assumere persone provenienti dalle famiglie più abbienti, anche se meno adatte per i compiti da svolgere. Questa soluzione accresce il problema della disuguaglianza distributiva e contribuisce a rafforzare la cosiddetta “trappola della povertà”.  Il Teorema di Coase: In assenza di effetti di ricchezza, se le parti contrattano efficientemente, l’attività creatrice di surplus sulla quale si accordano non dipende né dal potere contrattuale delle parti, né dalla distribuzione delle dotazioni iniziali: è la sola efficienza che determina la scelta di tale attività. Ogni altro fattore influenza soltanto la suddivisione di costi e benefici tra le parti. Basically, il teorema stabilisce che, se non vi sono barriere alla contrattazione e se i diritti di proprietà sono definiti chiaramente, le persone possono sempre riuscire a negoziare un risultato efficiente. Infatti, un’allocazione efficiente massimizza il valore totale da distribuire tra le parti: realizzando un maggiore valore totale è sempre possibile una sua distribuzione che migliori la condizione di ciascuno.  Le applicazioni pratiche del teorema incontrano 2 ostacoli principali: 

1) In molti casi la contrattazione può essere costosa per la presenza dei costi di transazione; 2) L’assegnazione dei diritti di proprietà causa effetti redistributivi, ossia una parte del gruppo di 

partecipanti finirà col sussidiarne un’altra. 

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Il Teorema di Coase vale anche per le organizzazioni: se le ipotesi di partenza sono valide, un’organizzazione efficiente si comporta come se fosse un individuo con l’obiettivo ben definito dalla massimizzazione del valore.  Principio dell’Efficienza Vincolata: Se gli individui sono capaci di contrattare per raggiungere un’allocazione vincolante il risultato dei loro sforzi tenderà ad essere efficiente, condizionatamente alla loro informazione, alle loro risorse e alla razionalità limitata.  La relazione tra efficienza, massimizzazione del valore e costi di transazione non è sempre chiara e ben definita.      

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Capitolo 5 - Specializzazione, coordinamento e controllo   La divisione del lavoro aumenta la produttività poiché rende possibile produrre su larga scala e le persone acquisiscono esperienza e abilità specifiche. I lavoratori devo però essere coordinati e motivati a fare la loro parte: la specializzazione implica quindi la pianificazione ed il coordinamento delle diverse attività ed uno scambio di informazioni. La necessità di coordinamento sorge anche all’interno delle organizzazioni, in quanto spesso beni e servizi necessari ad una divisione sono forniti da un’altra divisione della stessa impresa. Se ci si trova in una situazione diversa dalla concorrenza perfetta, il prezzo pagato dalla divisione acquirente alla divisione produttrice, ossia il prezzo di trasferimento, può influenzare i profitti dell’impresa.  Coordinamento - spesso può ottenersi attraverso l’efficace meccanismo dei prezzi e l’uso del mercato; il mercato indirizza i comportamenti individuali verso gli obiettivi desiderati, trasformando le motivazioni egoistiche in un risultato efficiente per la collettività. Non è necessario un intervento governativo. Nel modello neoclassico i prezzi sono il principale meccanismo di coordinamento e incentivazione.  La necessità di coordinamento è una conseguenza della specializzazione del lavoro e nasce dalla constatazione che affidando ad una stessa persona più compiti si ha una dispersione degli sforzi. Il compito principale dell’organizzazione economica è dunque quello di coordinare le azioni dei vari attori individuali e di incentivarli ad agire allineando gli interessi personali a quelli dell’organizzazione. Si dice che una decisione è decentralizzata se le persone devono prenderla da sole; è invece centralizzata se viene presa ad un livello gerarchico superiore e successivamente comunicata o imposta. I manager formulano e rendono operative strategie, specificano obiettivi, compiti e procedure. Il linguaggio non è solo quello dei prezzi.  Pianificazione - il complesso di decisioni correlate che riguardano l’allocazione delle risorse disponibili. Ogni attività economica, in questo senso, comporta una pianificazione. Scegliere tra i vari modi di trasmissione delle informazioni è un problema cruciale per progettare un efficiente sistema economico.  Prezzo di Trasferimento - nelle grandi imprese manifatturiere la forma organizzativa più diffusa è quella della multidivisione. I prodotti ed i servizi necessari ad una divisione sono forniti da un’altra divisione: è quindi necessario fissare un prezzo di trasferimento, pagato dalla divisione acquirente alla divisione produttrice. La scelta del prezzo ha effetti sia sulla ripartizione dei profitti delle due divisioni sia, più rilevante, sui profitti totali dell’impresa. Se infatti i prezzi sono squilibrati possono risultare decisioni inefficienti per l’impresa. Se per il bene intermedio esiste un mercato esterno concorrenziale il bene può anche essere scambiato sul mercato. In questo caso, se le quantità scambiate massimizzano i profitti delle divisioni ai prezzi di mercato, i profitti dell’impresa non cambiano e sono efficienti. Non c’è necessità di centralizzare il processo decisionale.  Dunque: se esiste un mercato esterno concorrenziale, il prezzo di trasferimento interno è posto pari al prezzo di mercato. (Dim. a pagina 151 del manuale).  Non sempre esiste un mercato concorrenziale per tutti i beni ed i servizi che sono scambiati tra le divisioni. In ipotesi di asimmetrie informative, non si possono più applicare i principi dell’economia neoclassica. Entra in gioco il moral hazard nella scelta del prezzo di trasferimento, che avrà effetti (negativi) sul profitto totale dell’impresa.    

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Modello a 2 Divisioni e Doppia Marginalizzazione: Si supponga che un’azienda sia strutturata in due divisioni e che ogni unità prodotta dalla divisione A sia un bene intermedio necessario alla divisione B per produrre un’unità del bene finale.  La divisione A, a monte, produce il bene intermedio per la divisione B, a valle, che produce il bene finale da vendere sul mercato concorrenziale al prezzo p*. La quantità totale prodotta è Q.  Le funzioni di costo totale delle due visioni sono date a: CTA = aQ + bQ2 CTB = cQ + dQ2 + pTQ  Con Q la quantità prodotta e pT il prezzo di trasferimento. Il mercato del bene finale è perfettamente concorrenziale.  Vogliamo: 

1) Determinare il valore del prezzo di trasferimento che massimizza i profitti dell’impresa e la corrispondente quantità prodotta:  Si supponga che l’impresa sia integrata e che le decisioni siano centralizzate.  Il profitto totale dell’impresa è: 𝚷 (Q) = Qp* - CTA - CTB. In questo caso il prezzo del bene intermedio è irrilevante poiché deciso centralmente, ed in quanto tale determinerebbe solo l’importo del trasferimento monetario tra le due divisioni senza modificare l’ottimalità del risultato per l’impresa. Risulta dunque: 𝚷 (Q) = Qp* - (a+c)Q - (b+d)Q2. Per trovare la quantità che massimizza il profitto facciamo la derivata rispetto a Q della funzione di profitto. Si ottiene:  

.Q * = 2(b+d)p − (a+c)*  

  

2) Verificare se il prezzo di trasferimento e la qnt. Prodotta differiscono dai valori ottimi quando il prezzo di trasferimento viene stabilito da una delle due divisioni:  Si supponga ora che ogni organizzazione operi con l’obiettivo di massimizzare il proprio profitto (e non quello dell’impresa) e che non vi sia un mercato per il bene intermedio. Si supponga che la divisione A abbia maggiore potere contrattuale di B e sia quindi price-maker, fissa quindi il prezzo di trasferimento pT. A deciderà quindi la quantità da produrre per massimizzare il proprio profitto, senza lasciare alcun surplus a B.  Il manager di B invece sceglie razionalmente la quantità da produrre e quindi la quantità di bene intermedio da acquistare da A, in base al criterio di eguaglianza tra il prezzo di vendita al mercato p* ed il suo costo marginale MCB, che dipende dal prezzo di trasferimento.  Sarà quindi: p* = MCB = c + 2dQ + pT da cui si ricava la funzione di domanda del bene intermedio (ossia funzione di domanda di A): pT = p* - c -2dQ  Il profitto della divisione A sarà dunque: 𝚷 A = pTQ - CTA = (p* - c - 2dQ)Q - aQ - bQ2 .  E dunque la quantità che massimizza il profitto di A è: QA = < Q* .2(b + 2d)

p − (a +c)*  Dunque, dato che la divisione a monte ha fissato un prezzo più alto, la divisione a valle ha acquistato un quantitativo minore di prodotto. In questo modo non è quindi stato massimizzato il profitto dell’impresa.  Analogamente, supponendo che sia la divisione B a fissare il prezzo di trasferimento avremmo:  

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pT = MCA = a + 2bQ 𝚷 B = p*Q - CTB = p*Q - cQ - dQ2 - (a + 2bQ)Q 

 E dunque la quantità ottimale per B: QA = < Q*2(2b + d)

p − (a +c)*   (NB: QA diversa da QB). Anche in questo caso non viene massimizzato il profitto totale dell’impresa. 

 La procedura di ottimizzazione seguita nel caso di decisione non centralizzata è anche detta doppia marginalizzazione, perché la divisione a monte massimizza il proprio profitto eguagliando il proprio ricavo marginale al costo marginale; tuttavia tale divisione considera la funzione del ricavo marginale dell’impresa come propria funzione (inversa) di domanda e da quest’ultima ottiene la propria curva di ricavo marginale. Per avere il valore ottimo della produzione il costo marginale di A deve essere uguale al beneficio marginale di B, senza un prezzo di trasferimento (MCA = MCB); deve dunque risultare a + 2bQ = p* - c - 2dQ, da cui si ricava il valore ottimo Q*. Quindi il prezzo di trasferimento deve essere posto uguale al costo marginale di A e la quantità prodotta pari a Q*:  pT = a + 2bQ* = a+2b .2(b+d)

p − (a+c)*   Un problema che si presenta fissando il prezzo di trasferimento pari al costo marginale di A è che la produzione non necessariamente recupera i costi fissi.   Un altro problema sorge quando il costo marginale non è costante al variare del volume prodotto. Se il costo marginale supera il costo unitario e tutte le unità di prodotto sono vendute al costo marginale (più elevato), il totale pagato è maggiore del costo sostenuto.  Problema di allocazione delle risorse - consiste nel ripartire un insieme finito di risorse disponibili tra i vari usi possibili e tra i diversi agenti. E’ un problema di coordinamento che può essere risolto in maniera centralizzata, o quando possibile, decentralizzata. Si tratta di un problema in cui vi è una grande quantità di informazioni a priori da elaborare sul tipo ottimale di soluzione; inoltre, i fallimenti del coordinamento sono molto costosi. Due tipologie ricorrenti di problemi di formulazione sono i problemi di sincronizzazione ed i problemi di assegnazione: 

- Problemi di sincronizzazione: la sincronia è l’elemento cruciale che rende efficace lo sforzo dei singoli individui. Solitamente le decisioni sono prese in modo centralizzato, trascurando eventuali altre informazioni presenti nel sistema, che potrebbero portare ad un coordinamento attraverso i prezzi. 

- Problemi di assegnazione: il coordinamento richiesto è relativo al fatto che vi sono compiti da svolgere, ciascuno dei quali va affidato ad un individuo o ad una divisione di impresa. Anche in questo caso il sistema dei prezzi potrebbe funzionare, ma la decentralizzazione comporterebbe ritardi ed il rischio di inefficienze varie. 

 Nei problemi di formulazione è dunque preferibile adottare un controllo centralizzato piuttosto che un controllo decentralizzato coordinato dai prezzi.    Rendimenti di Scala Decrescenti - implica che all’aumentare della produzione i costi aumentano più che proporzionalmente. In caso di output elevato è dunque ottimale suddividere la produzione fra più unità produttive, in modo da mantenere i costi di produzione ad un livello relativamente basso.  Rendimenti di Scala Crescenti - i costi unitari diminuiscono all’aumentare dell’output. Non è dunque efficiente suddividere la produzione fra molte unità, in quanto un minor numero di imprese può produrre lo stesso output ad un costo totale inferiore.  

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Rendimenti Costanti di Scala - in questo caso la derivata della curva dei costi marginali è nulla, ossia la curva è parallela all’asse x. Il prezzo che porta il mercato in equilibrio non fornisce ad un produttore alcuna informazione per determinare l’output. In questo caso, il grado di friabilità è molto elevato: piccoli errori di stima del costo marginale comportano decisioni di produzione altamente inefficienti.  Un modo per realizzare il coordinamento quando vi sono più produttori che hanno rendimenti costanti di scala è l’asta competitiva: ogni offerta riflette i costi di un produttore ed i compratori acquistano la quantità desiderata al prezzo minore.  Valutazione dell’efficacia del coordinamento: Per valutare l’efficacia di diversi sistemi di coordinamento si utilizzano 3 criteri: 

1) Se il coordinatore possiede tutte le informazioni necessarie e le può analizzare senza errori né costi si raggiunge una soluzione efficiente? 

2) Qual è la quantità di informazioni e comunicazioni necessaria per una decisione ottimale? Esiste diverso sistema di coordinamento che utilizza un minor flusso di informazioni? 

3) Qual è il grado di friabilità del sistema? Ossia: in quale misura la performance è inferiore a quella consentita con informazione perfetta? 

 Il Criterio di Hurwicz: Il problema della pianificazione centralizzata è quello di convogliare tutte le informazioni nelle mani di un unico agente. Hurwicz ha suggerito un criterio per valutare l’efficienza in senso informativo di un sistema di pianificazione attraverso la misura dell’ammontare della quantità minima di informazioni necessaria per implementare ed attuare un piano efficiente. L’informazione trasmessa dal pianificatore è un piano ampliato, ossia il piano vero e proprio più eventuali informazioni addizionali per la verifica dell’efficienza del piano. Ricevuto il piano la singola unità decisionale, attraverso le proprie informazioni locali, lo valuta e decide se approvarlo o respingerlo. Quando la valutazione di ogni unità decisionale è positiva il piano è efficiente. Hurwicz afferma che un sistema di pianificazione è efficient in senso informativo se non ne esiste un altro che utilizzi una minore quantità di informazioni aggiuntive per valutare l’efficienza di un determinato piano.  Teorema dell’Efficienza Informativa: Si supponga che non vi sia alcuna informazione a priori sull’allocazione ottima delle risorse e che nessun agente possieda tutta l’informazione necessaria per determinare un’allocazione efficiente. Il teorema afferma che, in queste circostanze, qualsiasi sistema in grado di allocare le risorse in maniera efficiente tramite piani ampliati deve comunicare, oltre al piano vero e proprio, almeno una variabile addizionale per ogni bene meno uno (poiché uno è scelto come numerario).  Il sistema dei prezzi è efficiente in senso informativo per il criterio di Hurwicz.  Le ipotesi del Teorema di Hurwicz escludono i problemi di formulazione poiché presentano informazioni a priori sulla natura di qualsiasi scelta efficiente e , quindi, consentono di verificare l’ottimalità di un piano con una quantità di informazioni minore di quella richiesta da un sistema di prezzi.     

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Capitolo 6 - L’organizzazione dell’Impresa  L’organizzazione è sostanzialmente la disciplina delle interazioni. Più della tecnologia, più del know-how, più delle risorse materiali e finanziarie, l’organizzazione è un fattore critico per le imprese.  Unità Organizzative - raggruppano al proprio interno, secondo specifici criteri, individui e risorse, e devono essere collegate al sistema nel suo complesso secondo rapporti di dipendenza formale che specifichino il numero dei livelli gerarchici e l’estensione dell’autorità e del controllo.  Meccanismi di Comunicazione e Controllo - riguardano le modalità con cui sono generati e trasmessi i flussi informativi e comprendono tutti gli strumenti necessari per allineare gli obiettivi dei singoli e dei gruppi a quelli dell’organizzazione.  Organigramma - è la struttura rappresentativa maggiormente usata per rappresentare l’organizzazione. Mostra le varie unità organizzative, il modo in cui sono collegate e il modo in cui ogni posizione ed unità si colloca nell’insieme.  Funzioni - sono aree aziendali che raggruppano individui che svolgono attività simili o che possiedono competenze e conoscenze simili.  Organizzazioni funzionali - organizzazioni in cui si raggruppano attività simili tra loro; solitamente queste organizzazioni sono le più efficienti, poiché danno la possibilità di creare economie di scala e forte specializzazione. Con il tempo sono state abbandonate per le difficoltà di comunicazione e di coordinamento orizzontale che comportano.  Modello di Corporate Governance - modello che rappresenta il complesso di strutture, processi e meccanismi che regolano il governo dell’impresa, in termini anzitutto di direzione e controllo, al fine di massimizzare il valore nel lungo periodo.  Direzione Aziendale - rappresenta la funzione di guida dell’organizzazione, dal momento che si occupa della definizione degli obiettivi aziendali e dello sviluppo delle strategie necessarie per il loro perseguimento.  La Direzione Aziendale è composta da: 

● Azionisti: rappresentano i proprietari dell’azienda e sono i beneficiari ultimi degli utili prodotti. Il loro ruolo si limita, in generale, alla nomina degli altri organi di governo dell’impresa. 

● Top Management: insieme di figure che hanno i ruoli più attivi nella definizione di dettaglio delle strategie e nella loro implementazione; è costituito da tutti i principali dirigenti delle diverse funzioni e divisioni che compongono l’organizzazione. 

○ Amministratori Delegati (AD): può essere una o più persone, a capo del top management, che rappresentano il collegamento tra tale organismo ed il Consiglio di Amministrazione (CdA). 

● Consiglio di Amministrazione (CdA): rappresenta il principale organo di governo aziendale, poiché assicura la guida strategica della società, che viene messa in atto dal top management, attua un monitoraggio continui della gestione dell’impresa e risponde del suo operato direttamente ai soci (azionisti), attraverso l’Assemblea degli Azionisti, dalla quale viene nominato. In in Italia, rispetto soprattutto ai paesi anglosassoni, il CdA ha poteri relativamente limitati.  Alcuni studiosi individuano due tipologie di funzioni interne attribuite al CdA:  

1) La funzione di monitoraggio; 2) La funzione strategica. 

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 In generale, i CdA possono essere suddivisi secondo 4 tipologie, che si differenziano sia per la funzione attribuita a tale organo sia per il grado di potere che il CdA ha nei confronti del top management: 

● Timbro: CdA con scarso potere nei confronti del top management, che ha principalmente un ruolo di monitoraggio. Questo tipo di CdA si limiterà quindi ad approvare ed autorizzare formalmente le scelte operate dal top management. 

● Cane da Guardia: CdA caratterizzato da un’attenzione più critica della gestione dell’impresa attuata dal top management, sulla quale esegue un monitoraggio stringente e continuo. Ha forte potere nei confronti del top management. 

● Consigliere: CdA che partecipa attivamente alla formulazione della strategia aziendale ma con scarso potere sul top management, e quindi con un ruolo puramente consultivo. 

● Pilota: CdA che partecipa attivamente alla formulazione della strategia aziendale e con forte potere nei confronti del top management, è dunque in grado di decidere in piena autonomia. 

 Il ruolo del CdA all’interno dell’organizzazione dipende dal modello di corporate governance adottato, che definisce gli scambi ed i rapporti di forza tra il Consiglio e gli altri organi aziendali e gli stakeholders.   Il funzionamento e l’efficacia del CdA dipendono inoltre da molti altri fattori, come: 

- Frequenza delle riunioni del consiglio; - Durata delle riunioni; - Le regole di decisione applicate; - La modalità di gestione della tempistica dei lavori; - I sistemi di incentivazione adottati; - I sistemi di valutazione dell’operato del Consiglio; - Il grado di apertura del dibattito all’interno del Consiglio; - La dimensione del Consiglio; - La composizione del Consiglio; - La stabilità del Consiglio nel corso degli anni; - I valori dei singoli consiglieri; - La motivazione dei singoli consiglieri; 

 Tutte queste variabili contribuiscono infatti a sviluppare il patrimonio cognitivo del CdA, ovvero l’insieme degli asset intangibili (procedure, cultura, conoscenze, valori), che impattano le performance del consiglio.  Il consiglio è infatti responsabile della formulazione e della revisione periodica della vision, della mission e degli obiettivi di medio-lungo periodo dell’impresa. In generale, il patrimonio cognitivo rappresenta un fattore critico per lo sviluppo della funzione strategica, così come per quella di monitoraggio; attraverso tale patrimonio, il CdA può affermare la propria leadership all’interno dell’organizzazione.  Attraverso la massimizzazione del proprio patrimonio relazionale e cognitivo, il Consiglio può svolgere in maniera più efficace il proprio ruolo, effettuando un monitoraggio più critico della gestione aziendale, definendo strategie più coerenti e innovative e sviluppando relazioni più stabili con soggetti esterni, detentori di risorse critiche. 

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Funzione Ricerca & Sviluppo (R&S o R&D):  L’innovazione continua è uno dei fattori critici per la crescita ed il successo di lungo periodo delle imprese ed è fondamentale per le dinamiche evolutive della società e dell’intera economia. L’attività di ricerca e sviluppo (R&S) non interessa solo il mondo imprenditoriale, ma anche quello accademico-universitario, il governo e le istituzioni private no-profit. Anzi, esiste una forte spinta alla collaborazione tra questi ambienti, che permette alle imprese di ridimensionare l’investimento in R&S. Il patrimonio relazionale dell’organizzazione è fondamentale per istituire alleanze, partnership e rapporti di collaborazione.  All’interno delle imprese, le attività dedicate al processo innovativo sono svolte dalla Funzione Ricerca e Sviluppo (R&S), la quale si occupa principalmente di elaborare nuove idee e concetti che possono permettere di conseguire un vantaggio competitivo sostenibile. In sintesi la Funzione R&S: 

- Costituisce supporto alle attività preesistenti; - Crea nuovi sbocchi per l’impresa; - Facilita la diversificazione delle attività; - Può vendere i propri servizi ad altre imprese; - Fornice le competenze per il reverse engineering; - Contribuisce alla predizione dei trend tecnologici; - Aiuta ad offrire un’immagine positiva dell'azienda; - Crea opportunità future mediante conoscenze e tecnologie nuove; 

 La funzione R&S è spesso integrata con la direzione aziendale. In generale le piccole imprese si strutturano in modo da avere un unico centro in cui si effettuano le attività di R&S, mentre nelle grandi imprese la direzione aziendale si trova spesso a dover valutare l’opportunità di decentralizzare tali attività.  

● Quando la ricerca è prevalentemente di base è più vantaggioso che la funzione R&S sia centralizzata e che si instaurino stretti legami con la direzione 

● Quando la ricerca è applicata potrebbe essere vantaggioso decentralizzare le attività, fortificando i legami con le aree produttive ed i clienti esterni. 

Inoltre se la scala del progetto è molto importante e sono necessarie diverse competenze per portarlo a termine o servono attrezzature molto costose, si possono ottenere benefici accentrando le attività.  Esclusi i (rari) casi in cui la funzione R&S vende i propri servizi, essa non costituisce un centro di profitto per l’impresa ed è quindi meno immediato valutarne i risultati. Solitamente si mettono in relazione gli input, ovvero gli investimenti in R&S, e l’output, ovvero i brevetti. Tuttavia, per quanto molto diffuso, questo indicatore non coglie tutti gli aspetti dell’output: 

- Non tutte le invenzioni sono brevettate o brevettabili; - Non tutti i brevetti si trasformano in innovazione; - Vi sono notevoli differenze nella legislatura brevettuale nei vari paesi; - Non esistono metodi qualitativi o quantitativi per valutare l’impatto innovativo di un brevetto; - Impatto degli spillover tecnologici generati dagli investimenti in R&S esterni all’impresa (che ha 

spesso le caratteristiche di un bene pubblico ed assume un ruolo di sostegno endogeno all’investimento in R&S). 

 Dunque, in letteratura, si è più spesso indagato sulla R&S in base all’investimento effettuato su di essa, in quanto si è notato un forte legame tra investimenti in R&S e incrementi di produttività e vantaggio competitivo.      

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Funzione Marketing & Vendite:  L’introduzione di innovazioni, soprattutto quelle tecnologiche, provoca cambiamenti molto importanti negli ambienti in cui operano le organizzazioni. Spesso distruggono interi settori economici o ne creano di nuovi, dando enormi possibilità alle imprese. La velocità di introduzione e di diffusione degli spillover tecnologici ha reso i mercati più turbolenti e dinamici, e le discontinuità molto più evidenti ed invasive. Se la funzione R&S ha come principale obiettivo l’elaborazione di nuove idee e concetti che permettano di conseguire un vantaggio competitivo sostenibile, la Funzione Marketing & Vendite è più focalizzata sul soddisfacimento dei bisogni espressi o emergenti nei mercati obiettivo. Il presupposto fondamentale per la sostenibilità del vantaggio competitivo e per la creazione di valore economico è che l’impresa soddisfi i desideri ei bisogni dei propri clienti in modo più efficace ed efficiente delle imprese concorrenti. Quando la domanda è stabile e permettono di conseguire utili, le relazioni tra le diverse funzioni aziendali sono paritarie: si instaura un equilibrio ed un reciproco controllo. Quando la domanda subisce una flessione, invece, il marketing assume un ruolo prioritario, arrivando a porsi (in alcuni casi) al centro del sistema impresa, e la struttura organizzativa appare piuttosto squilibrata a favore di questa funzione.  La funzione marketing si occupa in primis di sviluppare il “concetto” del prodotto (product concept) e, in secondo luogo, del pricing, della promozione e della distribuzione, attraverso un processo di marketing management. Il risultato di tale processo deve essere la redazione e l’efficace implementazione del piano di marketing, nel quale devono essere identificati gli obiettivi di vendita e le risorse necessarie a raggiungerli. Le fasi fondamentali del processo di marketing management sono: 

● Analisi delle opportunità di mercato e raccolta di informazioni, finalizzato al miglioramento complessivo dei risultati aziendali; 

● Ricerca e Selezione dei mercati obiettivo; ● Sviluppo delle strategie di marketing; ● Definizione delle azioni di marketing e determinazione del livello di spesa necessario al 

raggiungimento degli obiettivi ed allocazione del budget sui vari strumenti del marketing-mix; ● Realizzazione e controllo delle attività, per stimare la redditività e l’efficienza del marketing. 

    

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Direzione Risorse Umane:  La direzione risorse umane può essere propriamente considerata come trasversale e funzionale a tutte le altre. Tutti i rapporti di lavoro sono normalmente gestiti direttamente dalle risorse umane, tranne quelli degli Amministratori e del Top management. Quindi l’organizzazione della direzione risorse umane dipende direttamente dagli orientamenti strategici del top management e risente della vision aziendale. Di fatti, per mutare un’impresa è necessario cambiarne le persone e la loro organizzazione.  Tipicamente il cambio di top management di un’impresa comporta il cambiamento di alcune posizioni chiave ed una riorganizzazione della sua struttura, proprio a marcare l’identità tra aziende e persone. Inoltre, se la strategia aziendale si riflette direttamente sulla gestione delle risorse umane, anche le altre direzioni si connettono strettamente a questa per la gestione delle loro politiche.  La funzione risorse umane, grazie alla sua diretta e naturale correlazione con l’organizzazione d’impresa, è forse quella che ha subìto le maggiori variazioni nel corso del tempo.  

 Essa nasce come “amministrazione del personale”, definita da una concezione meramente amministrativa. Tipicamente non viene neanche rappresentata direttamente nel CdA, in quanto viene considerata una funzione di supporto, e le decisioni riguardo alle politiche del personale vengono prese in altre divisioni.   Questo modello di gestione del personale, che attualmente può apparire particolarmente inefficiente, riflette però un periodo in cui l’organizzazione era del tutto connaturata all’azienda a cui era applicata. Del resto per oltre sessant’anni il principale modello disponibile ed utilizzato per l’organizzazione è stato quello Taylorista, in cui la standardizzazione del lavoro permetteva una forte interscambiabilità del personale.  Successivamente, l’amministrazione del personale si è evoluta in gestione del personale. In essa le funzioni decisionali e strategiche, prima implicitamente sviluppate all’interno dell’organizzazione, vengono esplicitamente non solo eseguite, ma anche realizzate.  

  ⇒ Dunque ora la direzione si occupa principalmente di gestire e non più solo di “normare” il personale.  Questo mutamento viene alimentato dall’aumentare delle dimensioni e delle complessità, che portano una maggiore esplicitazione delle strategie organizzative ed a un sistema di deleghe crescenti. In realtà, soprattutto in italia, se formalmente molte aziende si sono evolute verso modelli più moderni, de facto le deleghe e l’organizzazione “implicita” rendono questo passaggio molto più formale e teorico che concreto. 

L’ultima evoluzione è quella di direzione e sviluppo delle risorse umane. In quest’ultima fase la direzione assume un aspetto più moderno e, soprattutto, il focus delle aziende si sposta in maniera definitiva dagli strumenti di produzione all’organizzazione.  Molti aspetti hanno contribuito a questa trasformazione:  

- L’aumentare della complessità organizzativa aziendale e la rapidità dei mutamenti del sistema a cui essa appartiene; 

- Il ridursi dei costi della tecnologia, che assume sempre più le caratteristiche della commodity;  

- Un aumento considerevole della specializzazione e degli skill necessari a svolgere le proprie mansioni. 

 Le principali funzioni della funzione risorse umane nell’organizzazione moderna: 

● Recruiting - le risorse umane si occupano delle attività di advertising e selezione psico-attitudinale; 

● Formazione: data l’importanza e l’assoluta centralità del know-how all’interno dell’azienda, ha un’importanza sempre maggiore per le imprese; 

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● Incentivi e motivazione; ● Rapporti sindacali; ● Paghe e contributi; ● Gestione delle presenze. 

 In particolare le attività di formazione hanno assunto un'importanza da costituire, spesso, una parte rilevante del lavoro della direzione risorse umane. Nelle aziende a più alta tecnologia e organizzazione, oltre ai metodi standard di formazione (corsi, seminari, e-learning) è recentemente stata affiancata una vera e propria gestione della conoscenza (knowledge management).  

⇒ rivoluzione copernicana: si è passati dalla standardizzazione del lavoro, tipica del taylorismo, ad un nuovo modello che pone al centro l’individuo e le sue competenze, rendendo così la direzione risorse umane non più un ente normativo ma il fulcro che determina le fortune di un’azienda. 

  Fase di Produzione:  La fase di produzione in un’azienda può essere definita in sintesi come quella fase che trasforma un input I in un output O = P(I), dove P può essere indicato come operatore di produzione.   Parliamo di fase di produzione e non di funzione, in modo tale da rendere il contenuto indipendente dall’assetto organizzativo della fase produttiva, sia esso per funzione o per processo.  I termini indicati con I, P, O possono essere intesi come vettori n-dimensionali; per comodità associamo l’input ad un insieme di oggetti che verranno trasformati in un insieme di nuovi oggetti (output O) mediante la fase produttiva.   La fase di produzione P che lega l’output all’input dipende dalle trasformazioni che questo deve subire; tali trasformazioni in generale necessitano di risorse. In generale il valore dell’output si accresce rispetto a quello dell’input avendo incorporato il valore dovuto al processo produttivo.  Si può supporre che le attività di produzione siano guidate dalla domanda dell’output; tale domanda si manifesta con un ordine di produzione di una qualità determinata di output che arriva alla fase di produzione e che procede verso i fornitori che devono garantire la corretta quantità di input necessaria al processo produttivo per realizzare la determinata quantità di output.  Si configurano così 2 flussi contrapposti: 

● Flusso fisico: composto dagli oggetti di input che entrano nel sistema produttivo dai fornitori F, attraversano il sistema subendo le lavorazioni determinate ed escono dal sistema stesso sotto forma di output verso i clienti C (questo flusso viene detto “da monte a valle”). 

● Flusso informativo: composto dalla documentazione a supporto degli ordini che arrivano dai clienti C e “risalgono” il sistema (“da valle a monte”) verso i fornitori F; in particolare gli ordini di produzione che il cliente emette verso la fase di produzione e gli ordini di approvvigionamento che la fase di produzione emette verso i fornitori. 

 In base ai dati storici il responsabile della fase di produzione (solitamente denominato direttore di produzione) predispone una pianificazione delle attività future su un arco temporale che dipende dalla tipologia di produzione e dalla dinamica del mercato (settimana, mese ecc). Su un orizzonte temporale più corto (un giorno, una settimana, ecc) viene effettuata una pianificazione in dettaglio indicando anche le risorse necessarie alla produzione.   Produzione su domanda reale -  

Le attività di trasformazione che subiscono gli input per diventare output dipendono e sono coordinate dal modello produttivo seguito; in particolare, la fase di produzione può essere 

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attivata sulla base di una domanda reale che perviene alla produzione da un’altra struttura aziendale (struttura di vendita, generalmente), ovvero può attivarsi indipendentemente da tale domanda reale. Per questo motivo la produzione deve essere organizzata in modo da predisporre una corretta politica di gestione del flusso dell’input che attraversi le fasi di lavorazione (trasformazione) per diventare output.  In questo caso, per rispondere prontamente alla domanda di output si può prevedere mediante tecniche di stima, a partire dai dati del periodo temporale precedente, la quantità di input Ida trasformare in un semilavorato ISEMILAVORATO attraverso una prima fase P1 della produzione P; il semilavorato viene immagazzinato per poterlo poi trasformare nell’output definitivo O, mediante una seconda fase P2, quando si conosce la domanda reale. Dunque: 

 ISEMILAVORATO = P1(I)  O = P2(ISEMILAVORATO) = P2(P1(I)) = P(I) 

 Per non produrre semilavorato inutilizzabile è necessario che la stima della domanda reale sia la più accurata possibile e che il semilavorato sia il più generico possibile, in modo da poter essere trasformato al momento opportuno nell’output effettivamente richiesto dalla domanda reale.  

  Modelli Teorici di Produzione: 

● Modello Teorico di tipo PULL: produzione è attivata dalla domanda reale e non si dispongono semilavorati; 

● Modello Teorico di tipo PUSH-PULL: produzione attivata dalla domanda reale e si dispone di semilavorati; 

● Modello Teorico di tipo PUSH: produzione attivata indipendentemente dalla domanda reale; in questo caso la produzione è attivata da una stima della domanda reale e diventa quindi ancora più importante poter stimare adeguatamente la domanda reale, per poter trasformare la giusta quantità di input in output. 

 L’input, i semilavorati e l’output sono mantenuti in aree generalmente dette magazzini, i cui livelli di scorta (ossia le quantità immagazzinate) sono decisi secondo la politica di produzione utilizzata.   Fase di Approvvigionamento:  La fase di approvvigionamento ha l’obiettivo di mantenere il corretto livello di scorte nei magazzini, “corretto” in base alla politica di produzione adottata. In generale, se la politica produttiva prevede di iniziare la produzione con effetto immediato dal momento di ricezione dell’ordine è chiaro che il livello delle scorte nel magazzino dell’input e/o del semilavorato deve essere sufficientemente alto.  In generale, mantenere delle scorte ha un costo legato a diversi fattori tra cui: il costo della struttura per immagazzinare le scorte, movimentarli e manutenerli; il costo per assicurare le scorte contro furti, guasti ecc; il costo opportunità legato ad aver accantonato oggetti senza poter utilizzare in altro modo il capitale che è stato necessario per acquistarli; e molti altri. Per questo motivo la scelta più logica sembrerebbe semplicemente di mantenere il livello delle scorte basso; ma questo non sempre è produttivo, perché scorte più alte significa una più alta responsività alle fluttuazioni di domanda.  E’ dunque necessario trovare il giusto compromesso al fine di decidere il miglior valore per il livello di scorte; questo compromesso parte dal valore del livello di servizio che si vuole offrire al cliente rifornito dal magazzino. E’ possibile misurare tale livello come la percentuale di ordini che il cliente vede 

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soddisfatti nei tempi pattuiti. Il calcolo viene fatto tenendo conto della previsione della domanda del cliente, solitamente in base a dati storici.  Un magazzino si configura dunque come un filtro tra cliente e fornitore; maggiore è il numero di oggetti che contiene, maggiori sono i costi che sopporta, ma permette di rispondere rapidamente alla domanda.   La Logistica: L’input, i semilavorati e l’output devono essere movimentati da e per i magazzini e da/per le linee di produzione.  

● La Logistica Interna di un’azienda si occupa di movimentare gli oggetto in modo tale che siano presenti nella giusta quantità, al tempo giusto, al posto giusto. In generale, nelle fasi di logistica interna possono rientrare anche le fasi di gestione dei magazzini e quindi di approvvigionamento delle scorte. La maggior parte dei problemi di logistica interna ed esterna riguarda la movimentazione degli oggetti. Questi problemi si possono dividere in 2 tipologie: 

1) Problemi legati alla forma ed alla struttura fisica degli oggetti da muovere; corrispondono a problemi di layout aziendale, della progettazione dei sistemi di movimentazione, della progettazione dei magazzini, della progettazione dei cassoni dei veicoli per il trasporto logistico esterno. 

2) Problemi legati alle decisioni di quando e come muovere gli oggetti; ovvero i problemi della definizione delle rotte da seguire e della rete di trasporto.  

 ● La Logistica Esterna si occupa delle fasi che movimentano gli oggetti al di fuori dei confini 

aziendali, ovvero le fasi di trasporto tra i vari siti produttivi/magazzini localizzati in punti geograficamente distinti, o la fase di trasporto verso i punti vendita/consumatori finali. 

 La logistica si può vedere quindi come un processo integrato di pianificazione, implementazione e controllo del flusso e dello stoccaggio di materie prime, semilavorati e prodotti finiti e delle relative informazioni dal punto di origine al punto di consumo con lo scopo di soddisfare le esigenze dei clienti.  Il concetto di supply chain, per quanto relativamente nuovo, non è altro che un’estensione del concetto di logistica nella direzione dell’integrazione. Infatti, la gestione logistica tradizionale si occupa principalmente dell’ottimizzazione dei flussi all’interno dell’impresa, mentre il supply chain management riconosce che l’integrazione interna all’azienda non è di per sé sufficiente se non è tesa a stabilire un contesto di pianificazione esteso ai fornitori ed ai clienti.  Il supply chain management è sostanzialmente un concetto di pianificazione che cerca di costruire un processo attraverso il quale le esigenze del mercato possano essere tradotte al minimo costo totale in una strategia ed in un piano di produzione che a loro volta si trasformino in una strategia ed un piano di approvvigionamento e distribuzione. Contabilità Aziendale ed il Controllo di Gestione: Le attività di contabilità aziendale e controllo di gestione sono rivolte al tracciamento contabile delle operazioni svolte dall’impresa ed alla predisposizione delle procedure, delle norme e degli strumenti di supporto alla direzione aziendale ed al coordinamento delle risorse, al fine di conseguire i risultati aziendali nel modo più efficiente ed efficace possibile. Il processo di controllo di gestione è fortemente collegato al processo di pianificazione strategica.  

Fase di Pianificazione: La fase di pianificazione costituisce il presupposto per la realizzazione di un sistema di controllo e consiste nella definizione di un obiettivo strategico di medio/lungo periodo e di un piano per raggiungerlo.  Fase di Budget:  

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La fase di budget è successiva alla pianificazione strategica e con questa attività gli organi aziendali redigono il documento in cui sono evidenziati gli obiettivi economico-finanziari che l’impresa intende raggiungere nell’esercizio successivo.  Fase di Consuntivazione: La consuntivazione rappresenta il momento in cui vengono rilevati sotto l’aspetto economico-patrimoniale i fatti di gestione accaduti durante l’esercizio. E’ importante realizzare un sistema di reporting in cui le informazioni vengono organizzate, esposte e confrontate a seconda della loro tipologia e del livello aziendale cui si riferiscono.  Analisi degli Scostamenti: L’analisi degli scostamenti comporta un confronto tra i risultati di gestione conseguiti e quanto pianificato a priori. Sulla base dell’analisi delle differenze eventualmente riscontrate si definiscono le azioni correttive e partono i feed-back sulle fasi di pianificazione e budget. 

  Per strutturare il processo di controllo è necessario individuare tutte le grandezze che ne sono alla base: ricavi, costi, margini, profitto, produttività, ecc. Un altro elemento essenziale è la conoscenza accurata della struttura organizzativa, fondamentale per identificare i centri di spesa (es staff a supporto della direzione), i centri di costo (es il reparto produzione), i centri di investimento (es la funzione produzione), i centri di ricavo (es la funzione marketing e vendite), ed i centri di profitto (es la divisione prodotto). Alcuni strumenti fondamentali sono dunque la contabilità generale e la contabilità analitica: 

● La contabilità generale si occupa sostanzialmente degli aspetti economico-patrimoniali (ricavi-costi, attivo-passivo) e degli aspetti finanziari (entrate-uscite); 

● La contabilità analitica fornisce informazioni più dettagliate sui costi di produzione e consente l’attribuzione dei costi e dei ricavi ai centri di costo/responsabilità e ai singoli prodotti;  Cost Driver - “determinanti” in grado di rappresentare il rapporto tra l’assorbimento delle risorse da parte dei centri di costo.   Cost Accounting - metodologia sviluppata a partire dagli anni ottanta, finalizzata alla determinazione del costo pieno di prodotto (comprendente quindi tutti i costi, diretti ed indiretti), che si basa su un preventivo studio dei processi aziendali: l’Activity Based Costing (ABC).   

  Sistemi Informativi:  I sistemi informativi sono fondamentali per supportare le diverse funzioni presenti in ogni organizzazione ma, soprattutto, per aumentare l’efficienza e l’efficacia dei processi di business all’interno delle organizzazioni stesse.  Si riconoscono 3 ruoli principali rivestiti dai sistemi informativi all’interno delle imprese: 

● Supporto al business process; ● Supporto alle decisioni; ● Supporto alle strategie dell’impresa per ottenere un vantaggio competitivo; 

 Può essere definito come una composizione organizzata di persone, hardware, software, reti di comunicazione e dati che raccoglie, trasforma e diffonde l’informazione all’interno di un'organizzazione.  A partire dagli anni novanta si iniziò a parlare di sistemi informativi strategici. Attualmente le imprese utilizzano sistemi per l’enterprise resource planning (ERP) (a supporto della produzione e della logistica), 

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per il customer relationship management (CRM) (a supporto del marketing e delle vendite) e per il supply chain management (SCM). con la maggiore interoperabilità di tali sistemi è possibile (e desiderabile) utilizzabile software per l’enterprise application integration (EAI) che, operante come “collante”, permette di trattare l’intero processo di business come un flusso omogeneo di informazioni.   

● Enterprise Application Integration (EAI): Come si è visto, un’impresa si può considerare come l’insieme di diverse aree funzionali che necessitano di un costante e puntuale scambio di informazioni.  Sebbene i principali sistemi informativi utilizzati oggi sono il CRM e l’ERP, è evidente che occorre un bus informativo che permetta un’elevata interoperabilità tra essi. Questo bus viene realizzato tramite “componenti software” appositamente modellati su determinati standard, generalmente indicati con il termine middleware. Inoltre, generalmente, ai clienti il CRM viene indicato come front-office dell’impresa e, analogamente, l’ERP viene indicato come back-office.   

⇒ Il sistema di Enterprise Application Integration costituisce di fatto il middleware che permette il dialogo tra il back-office ed il front-office dell’impresa.  

 Nel far ciò, si occupa di convertire opportunamente i dati, di coordinarle lo scambio, di fornire servizi di messaggistica di varie applicazioni, il tutto secondo le business rules definite dall’utente.   

 ● Enterprise Resource Planning (ERP): 

L’ERP è definito come un sistema cross-functional poiché offre il supporto informativo a più aree funzionali; esso è volto a integrare ed automatizzare la maggior parte dei processi di business relativi ad aree funzionali quali produzione, logistica, contabilità e controllo di gestione, finanza, risorse umane e controllo qualità. Solitamente un sistema ERP è composto da diversi moduli, ciascuno dei quali si occupa di un’area specifica.  Sono due i principali vantaggi riconosciuti a questi business: 

● La maggiore efficienza del back-office si ripercuote anche verso l’esterno: insieme alla produzione ed alla distribuzione, infatti, migliora anche il servizio ai clienti; 

● Un ERP fornisce in modo rapido e puntuale i dati delle varie aree ai manager, i quali hanno modo di prendere decisioni avendo una visione “più ampia” dell’impresa. 

 E’ quindi evidente che un sistema ERP permette anzitutto una maggiore efficienza interna dell’impresa dal momento che ogni area funzionale riesce a svolgere le proprie funzioni in una modalità controllata, prevedibile e misurabile grazie alle componenti dell’ERP che utilizza. Inoltre, grazie al continuo e puntuale interscambio di informazioni tra le varie aree funzionali, si ottiene un maggiore coordinamento ed il management può ottenere rapporti ed analisi precise sulle varie dimensioni di proprio interesse. 

 Ci sono però alcune difficoltà connesse all’adozione di un sistema ERP: 

● Necessità di dover re-ingegnerizzare i propri processi di business e di conseguenza di dover formare il personale (con i relativi costi); 

● Elevati costi di adozione; ● Elevati costi di customizzazione; ● Rigidità dei sistemi ERP verso i workflow esistenti, che porta l’impresa (a volte) a dover 

adattare i propri processi al sistema e non il contrario.    

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● Customer Relationship Management (CRM):  U sistema CRP è un insieme di moduli che integrano i servizi rivolti al cliente delle diverse aree di un’impresa quali vendita, marketing e servizi al cliente (ovviamente). Lo scopo è quello di fornire strumenti che consentano una gestione rapida, efficiente ed affidabile dei propri clienti.  E’ stimato che: 

- Il 70% dei clienti insoddisfatti continuerà ad avere rapporti con l’impresa se i suoi problemi sono risolti prontamente; 

- È più costoso vendere servizi/prodotti ad un nuovo cliente piuttosto che ad un cliente già fidelizzato; 

- Un cliente insoddisfatto “pubblicizzaerà” la propria insoddisfazione a 6-8 persone.  

Per questo le aziende stanno diventando sempre più customer-oriented e questi servizi sono fondamentali.  Inoltre, un sistema CRM permette un’analisi dei dati raccolti per definire specifiche campagne di marketing, di raccogliere feedback per poter migliorare un prodotto o realizzarne uno nuovo e supportare le decisioni del management relativamente alla previsione finanziaria.  Ci sono molti vantaggi dovuti all’adozione di un sistema CRM all’interno di un’impresa: 

● È possibile identificare quali sono i clienti maggiormente profittevoli e quali acquistano con maggiore regolarità; 

● È possibile offrire servizi e/o prodotti customizzati sulla base del profilo del cliente; ● È possibile tenere traccia di tutti i contatti avuti tra il cliente e l’impresa, 

indipendentemente da dove sono avvenuti tali contatti.    

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Capitolo 7 - I modelli organizzativi  Organizzazione - termine usato per indicare un gruppo di persone unite da vincoli formali per raggiungere uno o più obiettivi (impliciti o espliciti) condivisi.  Principio del One Best Way - Principio metodologico secondo cui esiste sempre un procedimento unico per risolvere problemi o per trovare la soluzione alle questioni legate alla produzione e all’organizzazione.  Evoluzione del pensiero organizzativo: La rivoluzione industriale della metà del diciottesimo secolo costituisce un momento fondamentale per la codifica formale dei principi dell’organizzazione del lavoro. Durante la rivoluzione industriale inizia a formarsi la prima “teoria classica” dell’economia, in cui viene introdotta l’importanza del fattore dell’organizzazione razionale del lavoro.  In particolare è stato importante il contributo di Charles Babbage (1792 - 1871), che nel 1835 pubblicò “On the economics of machinery and manufacturing”. In questo testo Babbage spiega come, osservando il lavoro svolto nelle officine meccaniche, si rese conto di come ogni attività potesse essere migliorata tramite una sua scomposizione in azioni elementari standardizzate. Questa intuizione venne però ignorata dai suoi contemporanei e venne ripresa, indirettamente, solo 50 anni dopo negli studi di Taylor. Infatti i “salti produttivi” dovuti ai miglioramenti tecnologici di quel periodo erano così importanti da non richiedere l’elaborazione di modelli ottimizzati di organizzazione.  Aumentando le dimensioni degli stabilimenti produttivi e dell’industrializzazione si percepì tuttavia come il semplice incremento della capacità produttiva non sarebbe stato sufficiente a mantenere gli aumenti di produttività registrati fino ad allora. In questo contesto si colloca l’opera di Henry H. Towne (1844 - 1924, Ing. meccanico e industriale americano).  Nell’estate del 1868 Towne incontrò Linus Yale Jr., detentore del brevetto della serratura a cilindro, con il quale fondò la Yale Lock Manufacturing Co. Towne fornì il capitale ed il management per l’impresa, mentre Yale fornì il brevetto. Divenuto unico proprietario poco dopo, con la morte di Yale, Towne potè constatare l’importanza dell’organizzazione nelle proprie fabbriche ed in un convegno dell’associazione americana di ingegneria meccanica (ASME), nel 1886, Towne presentò una relazione intitolata “The Engineer as an Economist”, nella quale sosteneva l’importanza dello studio scientifico dell'organizzazione e si chiedeva agli ingegneri di prendersene carico direttamente.  Nel 1888 fu eletto Presidente dell’ASME e nel 1906 contribuì in maniera determinante all’elezione di Frederick W. Taylor come presidente dell’ASME.  L'ingegner Frederick W. Taylor (1856 - 1915) è noto per il suo contributo alla rivoluzione organizzativa grazie al suo “The Principles of Scientific Management”, pubblicato nel 1911. Il suo lavoro porta a compimento le intuizioni del XVIII secolo e traghetta definitivamente l’organizzazione industriale da arte empirica a scienza organizzata.  La sua analisi, incentrata sull’ottimizzazione della produzione, si focalizza principalmente su 2 Obiettivi: 

1. Accentramento e razionalizzazione di autorità e responsabilità; 2. Massimizzazione della produttività delle risorse umane e dei mezzi di produzione; 

 Questi obiettivi vengono raggiunti mediante 4 Strumenti: 

● Sostituzione dei metodi empirici con metodologie basate su uno studio scientifico dei compiti; ● Selezione, formazione e sviluppo di ogni lavoratore utilizzando approcci scientifici; ● Istruzioni dettagliate e supervisione di ogni lavoratore nello svolgimento del suo compito; ● Suddivisione del lavoro con la stessa metodologia tra manager e lavoratori. 

 Taylor mirava, con il suo lavoro, alla riduzione di operazioni complesse e specialistiche in azioni atomiche, semplici e altamente ripetitive, che permettessero all’impresa di svincolarsi dalla forza lavoro 

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(poco istruita e specializzata), consentendone la sostituzione in qualsiasi momento senza significative perdite di capacità produttiva.  Nello stesso periodo Max Weber (1864 - 1920) completa idealmente le teorie di Taylor con le sue osservazioni sugli impiegati. Secondo Weber i rapporti interni di un’organizzazione vengono gestiti dalla burocrazia, definita attraverso 3 Principi Fondamentali: 

● Divisione del lavoro determinata da norme, leggi e regolamenti; ● Rigida gerarchia delle unità organizzative che determinano le deleghe e le comunicazioni; ● Regole generali che governano qualunque azione e decisione; 

 Weber codifica così nel suo lavoro le relazioni aziendali, con particolare riferimento a quelle gerarchiche. Secondo lui la burocrazia, grazie alla rigida definizione delle deleghe e della gerarchia, consente una maggiore rapidità di risposta rispetto ad altri modelli organizzativi meno strutturati. Il ricorso a regole scritte e formali garantisce precisione, uniformità e prevedibilità.  La Valorizzazione del Fattore Umano: Già all’inizio del XX secolo l’organizzazione scientifica del lavoro era aspramente criticata come processo di svilimento della figura umana. All’approccio scientifico cominciarono a contrapporsi modelli e teorie (Mayo, 1945) orientati all’analisi del fattore umano.  Le persone sono i veri attori all’interno di un’impresa: tutti i beni e le strutture sono il risultato dell’intervento umano e dipendono dalle persone in conseguenza della loro continuata esperienza. Il fattore umano può essere suddiviso in 3 Fattori Creatori di Valore:  

● Competenze: ovvero i talenti (o doti tecniche) e la conoscenza accumulata dai dipendenti di un’impresa; 

● Atteggiamento mentale: costituito dall’approccio con cui il dipendente di un’impresa si pone nei confronti dei percorsi formativi, ossia dalla motivazione psicologica positiva necessaria al raggiungimento degli obiettivi di lungo termine.  

● Vivacità intellettuale: consiste nella duttilità dell’individuo ad affrontare le innovazioni e ad adattarsi al cambiamento dei contesti di riferimento. 

 Teorie motivazionali: Secondo queste teorie il comportamento delle persone nelle organizzazioni dipende principalmente da 3 Categorie di Fattori:  

● Fattori Motivazionali: la motivazione è un elemento critico per l’efficienza e l’efficacia organizzativa. 

● Personalità: la personalità è l’insieme degli aspetti intellettuali, affettivi e volitivi che caratterizzano ogni individuo. 

● Le competenze: le competenze si riferiscono non solo più alle conoscenze e alle esperienze (sapere) ma anche alle capacità e alle attitudini (saper fare). 

 Expectancy Theory (Lewin, 1936; Vroom, 1964): Secondo questa teoria le persone sono portate ad impegnarsi e a “rendere” quando ritengono che i loro sforzi conducano a performance di rilievo. La motivazione è quindi definita come una forza che energizza, dirige e sostiene il comportamento.   Teoria dell’Aspettativa-Valenza:  Si basa sul presupposto che gli individui siano esseri razionali e che, quindi, il comportamento umano sia il prodotto di scelte consapevoli tra diverse alternative che portano alla ricerca di risultati desiderabili. Secondo Vroom (1964) non è sufficiente analizzare solo i bisogni ma è necessario considerare anche la valenza che viene attribuita all’obiettivo da raggiungere.   

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Teoria delle Contingenze: Questa teoria pone come presupposto teorico fondamentale e imprescindibile la considerazione dell’impresa come un’organizzazione in continua interazione con altre organizzazioni esterne. Sulla base di queste relazioni è possibile identificare il task environment, ovvero l’ambiente di riferimento, formato da tutte le organizzazioni con cui si entra in contatto. La struttura organizzativa proposta nella teoria delle contingenze è flessibile e non rigidamente definita al fine di adattarsi alle situazioni manifestate dall’ambiente e di mantenere un equilibrio dinamico. Non esistono strutture organizzative valide in generale: it all depends è la riposta contingente a the best way di Taylor.  L’aspetto negativo della visione contingentista è che l’ambiente analizzato è definito come insieme delle relazioni inter-organizzative ma poi, al centro dell’analisi, è posto un ambiente con proprie caratteristiche, le quali non dipendono dalle organizzazioni che compongono lo stesso.  In secondo luogo, questa teoria appare limitata, in quanto la struttura organizzativa è solo una delle variabili dipendenti dall’ambiente. Tenendo conto dell'insufficienza della visione contingentista, la Teoria della Dipendenza dalle Risorse focalizza l'attenzione su altri aspetti della relazione impresa-ambiente esterno.  L’Istituzionalismo: Nel 1957 Selznick pubblica “Leadership in administration: a sociological interpretation”, un’opera che studia la leadership nelle organizzazioni: in particolare, analizza le iniziative che i manager intraprendono per dare un obiettivo alla loro organizzazione e per motivare i loro membri a perseguirlo.  Selznick analizza le interazioni tra l’ambiente esterno e le entità organizzative, che suddivide in organizzazioni e istituzioni. Le prime sono quelle meno sensibili alle pressioni esterne (es servizi tecnici o produzione); le secondo sono, invece, più influenzate dall’ambiente circostante con compiti principalmente di progettualità e pianificazione. Questa suddivisione dà il nome alla corrente di pensiero. I tratti distintivi del suo pensiero sono: 

● L’importanza delle influenze esterne su un’organizzazione: gli individui sono influenzati da pressioni sociali che li spingono a raggiungere obiettivi non necessariamente coincidenti con quelli dell’organizzazione; 

● Il funzionalismo: per sopravvivere le organizzazioni, come qualsiasi organismo vivente, devono soddisfare bisogni indotti dall’esterno; 

● La devianza: le persone all’interno delle organizzazioni tendono a non rimanere nei ruoli a loro assegnati; la deviazione viene, quindi, istituzionalizzata strutturalmente all’interno dell’organizzazione. 

 Per Selznick le componenti interne di un’organizzazione devono soddisfare bisogni quali la coerenza degli obiettivi, la sicurezza rispetto all’ambiente esterno, il controllo interno stabile e le comunicazioni, le dinamiche di relazione interna, l’immagine aziendale.   Alla fine degli anni ‘70 l’istituzionalismo conosce nuova vita grazie alle intuizioni di John Meyer e Brian Rowan e le idee di Selznick vengono sviluppate nel neoistituzionalismo.    Neo-istituzionalismo: La caratteristica principale di questa evoluzione si può identificare nella scomparsa del concetto di organizzazione come necessariamente vocata a soddisfare bisogni fondamentali. L’inizio del neo-istituzionalismo viene fatto coincidere con un articolo del 1977 di Meyer e Rowan intitolato “Institutional Organizations: formal structure as myths and ceremony”.  La dicotomia tra criteri di valutazione interni all’organizzazione non accettati all’esterno e viceversa è al centro degli studi del neoistituzionalismo. I due autori suggeriscono di superarla sviluppando una struttura formale, ma vuota, per la soddisfazione dei bisogni esterni accanto ad una informale e non visibile per perseguire i propri obiettivi interni. 

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 Le reti organizzative: Possiamo considerare le reti come una forma ibrida di organizzazione delle attività economiche che si colloca all’interno del continuum mercato-gerarchia e le possiamo definire come un insieme di organizzazioni autonome legate da peculiari relazioni di interdipendenza e da particolari modalità di coordinamento. Questa soluzione organizzativa solitamente non viene progettata ex-ante: piuttosto emerge dalle contingenze inerenti le caratteristiche delle imprese, dai singoli obiettivi strategici e dai loro rapporti di interdipendenza.  Oliver (1900) ha identificato sei principali motivazioni che portano alla nascita ed al mantenimento di una rete organizzativa: 

● Need: i partecipanti sono obbligati per soddisfare richieste legali e politiche; ● Power: i partecipanti sono motivati dalla voglia di controllare altre organizzazioni e dal 

preservare la loro autonomia; ● Stability: i partecipanti sperano di ridurre l’incertezza nel rapporto con gli altri; ● Cost: i partecipanti cercano di economizzare sui costi di transazione con le altre organizzazioni; ● Legitimacy: i partecipanti cercano di giustificare le loro attività ed i loro output agli ambienti 

istituzionali e cercano di essere visti come socialmente responsabili; ● Goal: I partecipanti cercano di identificare benefici reciproci o obiettivi comuni nel 

collaborare con gli altri;  La rete è dunque una forma organizzativa autonoma, priva di formalismi gerarchici e caratterizzata da processi di cooperazione tra le diverse unità organizzative che la costituiscono. Si configura come un sistema in cui vengono recepiti gli elementi più significativi e tuttora da considerare validi di ogni teoria organizzativa elaborata precedentemente.   Ford, GM e Toyota: tre organizzazioni a confronto  Modello FORD - Henry Ford (1863 - 1947) iniziò ad utilizzare le teorie di Taylor intorno al 1913 a Detroit, negli US. Ford utilizzò i principi del “management scientifico” introdotti da Taylor applicandoli alla meccanizzazione della produzione, ottenuta con l’introduzione della catena di montaggio e della standardizzazione dei prodotti. Inoltre Ford introdusse forti innovazioni anche nella gestione dei conflitti aziendali e degli obiettivi dell’organizzazione. Egli considerava i suoi operai non sooo come forza lavoro ma anche come consumatori (del modello “T”, appunto). Anche per questo motivo Ford corrispondeva ai propri operai stipendi maggiori di quelli pagati dai concorrenti.  Ford superò il paradigma taylorista di produzione di massa per arrivare a quello di consumo di massa, fulcro ancora oggi delle economie sviluppate. ⇒ CONSUMISMO!  Dunque FORD utilizzava il modello di Taylor, basato su impianti di grandi dimensioni e sempre alla ricerca della massima produttività di beni standardizzati (e possibili economie di scala). Ovviamente il lavoro alienante ha portato presto e spesso a resistenza di impiegati ed operai, e dunque a rallentamenti della produzione. L’elevato costo degli enormi impianti rendeva questi rallentamenti particolarmente anti-economici, e infatti uno dei limiti del taylorismo risiede proprio nell’efficienza: per essere efficiente richiede una produzione costante al massimo della capacità produttiva.  Modello GM - un altro modello produttivo fu ispirato da Alfred Sloan (1875 -1966), direttore della General Motors nel periodo 1923 - 1927. GM, diretta concorrente di FORD, nel 1921 aveva solo l’11% del mercato, contro il 55% di FORD.  Mentre FORD basava la sua strategia sulla produzione di massa e sulle economie di scala, GM aveva diversi marchi in concorrenza tra loro e quindi non poteva applicare quella stessa strategia (Buick, Cadillac, Chevrolet, Oakland, Oldsmobile).  

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Dunque Sloan introdusse 2 Importanti Innovazioni: 1. Strutturò i marchi a sua disposizione come divisioni focalizzate su specifici segmenti di mercato, 

eliminando quindi il fattore di competizione interna; 2. Introdusse il concetto di “gamma di prodotto”, ossia creò una “personalizzazione di massa”, 

introducendo nell’offerta GM una serie limitata e precisa di componenti standardizzate aggiuntive.  

⇒ Due intuizioni fondamentali per il marketing: la segmentazione e la customizzazione del prodotto.  Per fare questo Sloan separò nettamente i vari marchi, lasciando però al centro le funzioni che lui considerava strategiche: la finanza, gli acquisti, la ricerca e sviluppo. Il modello fu un successo, anche per la propria elasticità e velocità, e riuscì ad invertire il trend negativo, conquistando una posizione preminente all’interno del mercato automobilistico.    **I modelli analizzati fino ad ora si basano sull’idea di mercato illimitato e di una domanda ad espansione infinita, in cui la riduzione dei costi si realizza principalmente tramite l’incremento della produzione e la conseguente ripartizione delle spese fisse su un numero di prodotti sempre crescente. Questa visione poteva essere considerata vera fino alla seconda guerra mondiale.   Modello - TOYOTA - alla fine della seconda guerra mondiale TOYOTA Motor Company, come molte industrie manifatturiere giapponesi, aveva numerosi problemi di sopravvivenza: quote di mercato marginali, capitali scarsi, linee di produzione obsolete. L’ingegner Taiichi Ohno (1912-1990) constatata l’impossibilità di realizzare la produzione di massa di stile fordista dei suoi competitor, a causa della scarsezza delle risorse, decide di modificare il paradigma organizzativo della Toyota realizzando piccole produzioni di serie differenziate e portando così a un nuovo limite l’intuizione di Sloan. Decise dunque di puntare sulla flessibilità della produzione, realizzando piccoli lotti che seguissero più strettamente l’andamento del mercato e ottimizzando al contempo i costi di tale modello per portarli a livelli comparabili con quelli dei competitori.  In generale venne applicata una nuova filosofia, i cui scopi principali erano: 

1. L’eliminazione dei muri (dal giapponese: i sovraccarichi); 2. La realizzazione del mura (dal giapponese: la produzione senza intoppi); 3. Il raggiungimento del muda (dal giapponese: l’eliminazione degli sprechi); 

 In particolare si individuarono 7 Tipi di Muda (Sprechi) da Eliminare: 

1. La sovra-produzione; 2. Il movimento (di uomini o macchine); 3. L’attesa (di uomini o macchine); 4. I trasporti; 5. Il sovraprocesso (ossia l’inserimento di particolari inutili o l’utilizzo di risorse qualificate per 

processi semplici); 6. Gli inventari; 7. Le correzioni (rilavorazioni e scarti); 

 Per realizzare questa filosofia la produzione, la logistica e, in generale, tutta l’organizzazione aziendale furono trasformate per poter funzionare JUST IN TIME (JIT). Ogni anello della catena di produzione produceva in funzione della domanda del processo successivo. Ogni processo venne sincronizzato in maniera che il semilavorato fosse disponibile giusto in tempo per la lavorazione successiva. In questo modo non si ridussero solo i tempi di produzione, ma anche le scorte (e con esse i costi associati).   

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Il Ciclo Vita dell’Organizzazione: un’organizzazione , analogamente agli esseri viventi, passa attraverso varie fasi di sviluppo, che si distinguono per le condizioni che la caratterizzano (es: la dimensione). Lo sviluppo ottimale consiste, dopo il periodo di avviamento, nel modificare costantemente l’organizzazione per consentirle di svilupparsi costantemente senza entrare mai in decadenza. La crescita di un’organizzazione può essere progressiva (dettata cioè da un aumento lento e costante dei prodotti, delle vendite e delle risorse umane e finanziarie) oppure può procedere a salti (piccoli, medi o grandi). La crescita progressiva di solito riguarda settori e prodotti maturi, e si ottiene grazie ai miglioramenti produttivi e di competenze del personale. Al contrario, la crescita per salti si verifica in mercati e settori turbolenti, oppure quando le capacità produttive sono al limite e solo un salto può consentire un ulteriore sviluppo.  

Stadio Imprenditoriale: Una start-up (ossia creazione dal nulla) è diversa da uno spin-off (ossia lo scorporo di un ramo d’azienda che diviene indipendente).  In genere, quando un’impresa nasce, l’attenzione viene focalizzata tutta sull’idea/intuizione che ha portato alla sua fondazione (il prodotto/servizio) e sulla sua sopravvivenza. In questa fase l’organizzazione si sviluppa principalmente nelle operations, nel marketing e nelle vendite. L’organizzazione è molto informale, burocratica e “piatta”, nel senso che il coordinamento ed il controllo vengono gestiti direttamente dai proprietari/fondatori. In generale possiamo affermare che alla nascita di una nuova impresa, questa è caratterizzata da: 

● Focalizzazione sul prodotto/servizio; ● Struttura di controllo corta (pochi livelli gerarchici); ● Proprietà coinvolta direttamente nell’indirizzamento strategico e nella gestione 

operativa; ● Dinamiche informali, ridotta distanza gerarchica tra i vari livelli aziendali; ● Funzioni ausiliarie quasi assenti e accorpate in macro-aree; ● Forte impiego di tutti i membri dell’organizzazione; 

 Si noti che lo spin-off normalmente parte con dinamiche differenti e fasi di vita diverse dallo stadio imprenditoriale (di start-up). Se l’organizzazione sopravvive a questi primi difficili momenti ed inizia a svilupparsi, i fondatori/imprenditori si trovano a dover gestire problematiche sempre più complesse. L’80% delle aziende che sopravvivono al loro primo anno di vita falliscono entro 5 anni per l’incapacità di passare al successivo stadio di vita dell’organizzazione; questo fallimento è quasi sempre dovuto alla difficoltà di ridistribuire le deleghe, in quanto nessuno vuole cedere parte dei suoi poteri.  Stadio della Collettività: La crisi di coordinamento viene generalmente superata con una leadership forte ed omogenea che controlla efficacemente l’impresa e la conduce secondo una visione strategica condivisa. In questa fase si dettagliano maggiormente le varie funzioni e aumentano i livelli gerarchici. I rapporti continuano ad essere piuttosto informali, soprattutto tra le persone già presenti allo start-up. Grazie alla leadership forte ed alle dinamiche di crescita le persone si sentono parte di una squadra, portano idee ed innovazione.  Questo stadio è caratterizzato da: 

● Unità organizzative maggiormente strutturate; ● Stratificazione dei livelli gerarchici; ● Riduzione del coordinamento operativo ed aumento di quello strategico della 

direzione; ● Funzioni ausiliarie maggiormente specializzate e definite; ● Dinamiche basate su rapporti interpersonali poco formali. 

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 Le dinamiche interne cominciano a strutturarsi e molti aspetti della produzione vengono schematizzati in procedure.  Questa continua crescita porta l’organizzazione a dover ristrutturare le linee di comando per aumentare l’autonomia delle varie funzioni; si verifica una seconda crisi di crescita: le dimensioni raggiunte, infatti, richiedono un decentramento delle responsabilità per mantenere l’efficienza.  Stadio della Formalizzazione: La creazione di un sistema di deleghe decentralizzato consente all’organizzazione di espandersi mantenendo la sua efficienza. La trasformazione comporta anche una codifica formale dell’organizzazione. In questa fase l’organizzazione completa la sua struttura: il vertice aziendale si concentra sulla strategia e sulla pianificazione mentre la produzione viene gestita più direttamente dal sistema di deleghe decentrato. Inoltre aumenta la specializzazione dei ruoli anche tramite il completamento delle funzioni ausiliarie.  Questo stadio è caratterizzato da;: 

● Struttura definitiva delle unità organizzative; ● Codifica delle strutture informative e di controllo; ● Attività operative della proprietà minime; ● Dinamiche interne complesse e ben strutturate; ● Divisione formalizzata tra funzioni e livelli gerarchici. 

 Questo processo di arricchimento e formalizzazione della struttura organizzativa, se all’inizio aumenta l’efficienza, con il passare del tempo l’appesantisce.   Stadio dell’Elaborazione: La crisi che determina la fine dello stadio della formalizzazione viene superata tramite un nuovo sistema di potere: questo consente ai vari responsabili di ridurre le esigenze di controllo che, al crescere dell’organizzazione, richiedono necessariamente livelli di burocrazia sempre più elevati per essere gestite centralmente.  Questo stadio è caratterizzato da: 

● Riduzione della burocrazia; ● Focus sul lavoro di gruppo; ● Massima specializzazione; ● Innovazione demandata a unità organizzativa formale; ● Semplificazione delle dinamiche interne; ● Aumento della decentralizzazione; 

 L’innovazione e la ricerca non possono più essere lasciate agli sforzi individuali o collettivi degli appartenenti all’organizzazione, ma vengono affidate a specifiche strutture dedicate. Spesso quest’opera di riorganizzazione costante viene gestita con un’unità specializzata che risponde direttamente ai vertici aziendali e il cui unico obiettivo è armonizzare l’impresa ai suoi obiettivi.   

La Progettazione della Struttura Organizzativa: La corretta progettazione della struttura organizzativa è fondamentale per la sopravvivenza di un’impresa. In particolare Specializzazione, coordinamento e controllo con le loro interazioni e interdipendenze caratterizzano in maniera precisa ogni organizzazione e ne forniscono, al contempo una rappresentazione.  Specializzazione: La specializzazione all’interno dell’organizzazione consiste nella suddivisione delle operazioni necessarie a raggiungere un obiettivo in compiti specifici e nell’attribuzione di questi ultimi. 

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La specializzazione dei ruoli consente una maggiore efficienza grazie all’ottimizzazione delle abilità di ciascun partecipante all’organizzazione stessa. In un’azienda i ruoli sono tanto più specializzati quanto più questa è complessa e di grandi dimensioni. La scarsità di specializzazione riduce l’efficienza dell’organizzazione, mentre l’eccesso contrario può portare ad una polverizzazione delle azioni i una miriade di micro-interventi, con conseguente complessità di gestione.  I compiti specializzati attribuiti ai singoli soggetti vengono riuniti in funzioni e queste possono essere aggregate in unità organizzative, costituite da un sistema di coordinamento e controllo e da persone che svolgono compiti ben precisi per i quali godono di un grado di autonomia determinato dal tipo di struttura di comando adottata. Le unità possono essere classificate in funzione della tipologia di obiettivo che si prefiggono. Si distingue, quindi, fra unità: 

● Operative: partecipano direttamente ai processi fondamentali dell’organizzazione (produzione e vendita); 

● Funzionali: esprimono pareri, valutazioni, analisi ecc nell’area di loro competenza (marketing, strategia); 

● Ausiliarie: forniscono servizi per altre unità (direzione del personale, acquisti, ICT).  E’ da notare che le unità operative sono sempre presenti in ogni azienda, le funzionali lo sono solo in quelle con una struttura organizzativa ben sviluppata, mentre le ausiliarie sono spesso cedute al di fuori dell’azienda attraverso processi di outsourcing.  Coordinamento: Il coordinamento ha lo scopo di organizzare e gestire le varie attività. Per coordinare un gruppo di persone è necessario effettuare un controllo sulle loro attività. Quest’ultimo, però, è spesso demandato a figure che non si occupano, parallelamente, anche delle attività di coordinamento specifiche per quella funzione. La necessità di coordinamento e controllo portano naturalmente al concetto di gerarchia: per emanare direttive, infatti, il coordinatore si deve necessariamente porre ad un livello superiore a quello degli esecutori.  Di pari passo con il concetto di gerarchia nasce il concetto di responsabilità: l’organismo o la persona che effettua il coordinamento delle attività ha la diretta responsabilità dell’effettivo successo delle operazioni che gestisce.  Per essere efficace, il coordinamento deve essere effettuato quanto più possibile vicino allo svolgimento delle attività, dove la prossimità, in questo caso, viene misurata come distanza in linea gerarchica.   Controllo: Parallelamente al coordinamento è necessario mettere in atto azioni di controllo per assicurarsi della sua efficacia e dell’effettiva realizzazione di quanto concordato da parte di tutti gli attori coinvolti. L’azione di controllo accentua la caratterizzazione gerarchica dell’organizzazione, in quanto richiede la creazione di strutture o la presenza di persone in grado di emanare ordini e di controllare l’esecuzione in maniera puntuale.  Il concetto di controllo porta con sé quello di autorità: analogamente alla responsabilità per il coordinamento, è necessario avere l’autorità per effettuare questo tipo di operazione, ovvero una specifica delega di potere da un livello gerarchico più alto.  Come per il coordinamento, per una maggiore efficacia il controllo dovrebbe essere attuato molto vicino al suo oggetto.  Una forte centralizzazione del controllo ha il vantaggio di dare ordini chiari e armonici ma questi, in quanto emanati da un’autorità troppo lontana al livello di responsabilità, risultano spesso inadeguati e poco tempestivi. Un controllo eccessivamente frammentato e affidato a più soggetti richiede un maggiore lavoro di coordinamento ed una costante attenzione per evitare di emettere direttive contrastanti. 

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Organizzazione Implicita ed Esplicita: Un’organizzazione si muove su quattro dimensioni: 

● Verticale: è la dimensione della scala gerarchica tra le diverse posizioni ed unità organizzative. ● Orizzontale: definisce i compiti e la specializzazione per unità organizzative omogenee; ● Geografica: le attività variano profondamente in funzione della collocazione geografica, del 

contesto produttivo, del mercato e delle disposizioni legislative; ● Spazio-Temporale: la struttura organizzativa è un corpo vivo che evolve nel tempo; 

 Definiamo Organizzazione Esplicita come la struttura ufficialmente formalizzata, con le sue unità organizzative, le linee di controllo e coordinamento, la gerarchia. L’organizzazione esplicita è nota, codificata e spesso descritta in appositi documenti. Tutte e 4 le dimensioni sono codificate in questo tipo di organizzazione.   Nell’Organizzazione Implicita le dinamiche e le regole non sono codificate formalmente, ma questo non vuol dire che siano meno reali: ogni organizzazione ha una sua parte implicita, tanto più forte e complessa quanto più quella esplicita risulta essere codificata. L’organizzazione implicita individua soluzioni operative che spesso contrastano con quelle ufficiali ma che consentono di mantenere l’efficienza necessaria per perseguire gli obiettivi.  I Modelli Tradizionali delle Strutture Organizzative:  L’unità organizzativa è definita come l’unità base che svolge con una certa autonomia una o più funzioni codificate. Le diverse unità organizzative possono essere legate da vari tipi di rapporti. I modelli tradizionali delle strutture organizzative sono: 

● Struttura gerarchica; ● Struttura funzionale; ● Struttura gerarchico-funzionale; ● Struttura per progetti; ● Struttura divisionale; 

 Struttura Gerarchica: Il modello gerarchico si fonda su dipendenze dirette: ogni persona risponde alla persona superiore in grado. Le unità organizzative non hanno mai contatti diretti tra loro, ma solo con i loro responsabili.  Il modello gerarchico si basa su modalità di interazione e di coordinamento molto semplici: in generale, per completare qualsiasi attività è necessaria l’interazione di più unità organizzative che intervengono per loro competenza specialistica.  Le caratteristiche principali dell’organizzazione gerarchica sono le strutture di controllo accentrate in poche figure chiave in un modello strettamente piramidale e verticale. Inoltre in questo modello vi è una codifica molto precisa delle funzioni e delle responsabilità. Questo tipo di controllo ha dunque 2 Proprietà Fondamentali: 

1. Forte accentramento del controllo; 2. Elevata quantità di interazioni verticali. 

 Il controllo è quasi assoluto, in quanto qualsiasi azione o interazione orizzontale tra due unità organizzative ne genera almeno una verticale (e, quindi, di controllo).  Questo tipo di struttura è tuttavia poco flessibile e si trova ormai principalmente in organizzazioni medio-piccole, spesso caratterizzate da una proprietà molto forte direttamente coinvolta nella gestione operativa. I vantaggi di questo modello risiedono principalmente nella assoluta precisione del controllo e del coordinamento. Risulta quindi molto efficiente in situazioni di crisi o in strutture piccole e focalizzate (start-up), contesti nei quali un errore o un errato coordinamento possono comportare danni gravi e spesso letali. 

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Riepilogando brevemente: ● Linee di comando accentrate e verticali; ● Indipendenza di unità organizzative allo stesso livello gerarchico; ● Ogni unità organizzativa/persona risponde alla posizione gerarchica strettamente superiore; ● Funzioni e responsabilità codificate al massimo dettaglio; 

 

PRO  CONTRO 

Elevato controllo della struttura.  Con l’aumentare della profondità verticale le competenze necessarie aumentano esponenzialmente, riducendo i benefici della specializzazione. 

Responsabilità e autorità chiare e assolutamente non ambigue. 

I tempi di trasmissione di informazioni e comandi si allungano all’aumentare della profondità verticale. 

Chiarezza di obiettivi, strumenti e procedure a tutti i livelli dell’azienda. 

Aumenta la distanza tra il coordinamento e gli esecutori. 

 Struttura Funzionale: Il modello funzionale cerca di superare i limiti di quello gerarchico. In questo tipo di struttura ogni unità organizzativa svolge la sua specifica funzione ed emana, al contempo, le direttive di coordinamento necessarie per tutti gli altri reparti che vengono in qualche modo influenzati dalle sue attività.  Viene superato quindi l’accentramento assoluto di potere a favore di una più snella gestione delle deleghe. Ogni unità organizzativa ha una sua dipendenza gerarchica verticale, a cui però vengono aggiunte linee d’indirizzo da parte delle varie unità funzionali.  Grazie al coordinamento autonomo tra le varie funzioni la direzione può dedicarsi maggiormente a realizzare analisi strategiche piuttosto che a emanare comandi operativi.  Tra i rischi ricade il fatto che l’emanazione di direttive da varie funzioni aziendali provochi un andamento meno armonico delle attività, dato che il coordinamento complessivo delle varie operazioni appare spezzettato nelle singole funzioni. Per evitare questo rischio la strategia dell’organizzazione deve essere continuamente aggiornata dai direttori delle varie funzioni e dall’alta direzione.  Il vantaggio di questa struttura è che consente di mantenere un controllo molto saldo pur essendo molto più dinamica di quella gerarchica.  Il modello funzionale risulta indicato in situazioni poco turbolente. Riepilogando brevemente: 

● Linee di comando strettamente verticali; ● Linee di coordinamento trasversali; ● Le funzioni emanano direttive di indirizzo; ● La direzione emana principalmente strategie, anziché preoccuparsi della gestione; ● Maggiore coordinamento rispetto all’organizzazione gerarchica; 

 

PRO  CONTRO 

Massimizzazione dei benefici della specializzazione.  Conflitti di attribuzione, rischi di vuoti di potere o di sovrapposizioni. 

Gestione specialistica delle funzioni.  Riduzione della responsabilità nei soggetti ad un basso livello gerarchico e ritardi della funzione di controllo a causa della linea di comando spezzettata. 

Maggiore efficienza rispetto al modello gerarchico.  Complessità di coordinamento. 

Riduzione della gestione operativa da parte dell’alta direzione rispetto al modello gerarchico. 

Perdita di visione strategica complessiva dovuta all’eccessiva specializzazione delle attività e necessità di un costante aggiornamento strategico.  

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  Rigidità operativa dovuta alla specializzazione ed alle complessità di coordinamento. 

 Struttura Gerarchico-Funzionale: Il modello gerarchico-funzionale integra i vantaggi dei modelli sopra descritti, riducendone al contempo gli aspetti negativi: combina infatti la struttura di comando assai efficiente del modello gerarchico con i benefici del coordinamento di quello funzionale.  In questo modello si preserva la specializzazione funzionale: le varie direzioni si scambiano direttamente le indicazioni di indirizzo senza che avvenga alcun contatto diretto tra unità organizzative.  Inoltre questo modello, pur mantenendo la dipendenza verticale diretta, riduce il coordinamento attraverso l’inserimento di linee orizzontali al livello delle direzioni e non più delle loro unità funzionali; in questo modo, il modello riduce i problemi di coordinamento ed effettua al contempo una validazione delle direttive di indirizzo.  La perdita di efficienza del coordinamento rispetto all’organizzazione gerarchica è compensata da una linea di comando più chiara di quello funzionale. Il ruolo della direzione centrale diviene dunque quello di mediare gli eventuali conflitti espliciti tra funzioni e di indirizzare strategicamente l’organizzazione.  Il vantaggio principale di questo modello è la sua aumentata flessibilità e velocità rispetto a quello gerarchico, ma con una catena di comando sempre chiara e non ambigua. Riepilogando brevemente: 

● Linee di comando strettamente accentrate e verticali; 

● Le funzioni emanano direttive di indirizzo; ● Coordinamento orizzontale tra funzioni; ● La direzione gestisce strategia e problemi di 

coordinamento tra funzioni;   

PRO  CONTRO 

Integra catena di comando non ambigua e specializzazione. 

Può essere caratterizzata da difficili rapporti tra le varie funzioni. 

Consente un ottimo utilizzo della specializzazione.  La catena di comando, per quanto del tutto non ambigua, può essere inefficiente per la mancanza di autorità dei singoli responsabili di funzione nel rendere operativi i loro indirizzi. 

Consente la gestione di obiettivi non omogenei.  I rapporti interni alle funzioni sono inefficienti a causa della centralizzazione delle decisioni e informazioni. 

  Vi è un collo di bottiglia informativo e operativo in quanto tutte le direttive e le informazioni passano attraverso i vari responsabili di funzione. 

       

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 Struttura Divisionale: Il modello divisionale prevede un forte decentramento ed un alto grado di indipendenza tra le varie divisioni che vengono considerate unità (business unit) dotate di forte autonomia anche dal punto di visto dei piani strategici. Questo tipo di struttura nasce per rispondere alle necessità di organizzazioni che operano in mercati e con prodotti/clienti non omogenei. La direzione generale fornisce un indirizzo strategico globale entro cui realizzare gli obiettivi divisionali ed individua le funzioni che, per vari motivi, sono più efficienti se centralizzate (es ricerca e sviluppo). Ogni business unit può, al suo interno, essere strutturata diversamente secondo le sue necessità specifiche. Questo modello è molto comune soprattutto per le organizzazioni complesse e multi-territoriali come le multinazionali. La caratteristica principale di questo modello è l’autonomia delle singole funzioni che consente di decentrare le linee di comando: ogni divisione gestisce autonomamente i propri piani strategici interni ed il livello operativo, nonché la linea di comando.  Spesso vi sono funzioni di supporto che forniscono i loro servizi a tutta l’organizzazione e sono utilizzate dalle varie divisioni tramite richieste dirette di allocazione risorse. La struttura divisionale, introdotta per la prima volta da Sloan alla GM ha il pregio di consentire una modularità produttiva difficile da ottenere per modelli più centralizzati. Riepilogando brevemente: 

● Linea di comando decentrata: ○ Direzione: indirizzo strategico globale; ○ Divisione: indirizzo strategico di divisione ed operativo; 

● Autonomia di divisione; ● Limitato controllo tra funzioni di supporto; ● Direzione generale priva di competenze operative; 

 

  

PRO  CONTRO 

Elevata flessibilità al cambiamento.  Scarso coordinamento. 

Vicinanza della struttura al mercato/cliente di riferimento. 

Duplicazione di risorse. 

Rapidità di azione e decisione.  Difficoltà di vision strategica condivisa. 

  Difficoltà di governance. 

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Struttura per Progetti: L’organizzazione a progetti, che sta diventando sempre più popolare, nasconde al suo interno vari modelli operativi, basati principalmente sulle modalità di allocazione delle risorse.  Per progetto intendiamo un’attività limitata nel tempo, vincolata a risorse finite e non ripetuta. Il progetto è quindi per sua natura un’insieme di attività che vengono svolte per raggiungere uno scopo ben determinato in un tempo prefissato con risorse limitate. Analogamente alla struttura divisionale, nella struttura per progetti esistono unità centrali che supportano i gruppi che gestiscono i vari progetti: in questo caso però le funzioni sono principalmente individuabili nei settori amministrazione, vendite e servizi generali.  Caratteristiche importanti di questo modello sono l’assoluta autonomia dei vari progetti e la caratterizzazione verticale di tipo gerarchico della loro struttura interna, elementi che consentono il decentramento delle attività ed una buona efficienza operativa. I vari team sono caratterizzati anche da un’elevata specializzazione tecnica. La direzione gestisce operativamente solo l’allocazione delle risorse per le varie unità organizzative ed il loro coordinamento. La sua attività principale è la gestione strategica.  I vari modelli organizzativi a progetti si differenziano principalmente in funzione delle dinamiche di allocazione delle risorse umane. Nell’organizzazione “classica” le risorse vengono allocate dalla direzione e rispondono direttamente al capo progetto per tutta la durata dello stesso. Riepilogando brevemente: 

● Linea di comando della produzione accentrata e verticale; ● Autonomia assoluta tra progetti; ● Coordinamento orizzontale tra risorse di supporto a livello di direzione generale; ● Elevata specializzazione tecnologica; ● La direzione gestisce strategia e problemi di coordinamento/allocazione risorse tra funzioni. 

 

  

PRO  CONTRO 

Struttura molto snella, versatile ed efficiente.  Problemi di ricollocazione delle risorse a fine progetto. 

Consente una gestione dei costi assai efficace grazie alla vicinanza dei centri di costo con quelli di coordinamento. 

Rischi di eccessiva specializzazione delle risorse tecniche. 

Ottimizza le prestazioni di ogni singolo progetto.  Spezzettamento della catena di comando e delle risorse disponibili nei vari progetti. 

Massimizza la specializzazione tecnica.  Perdita della dimensione globale dell’organizzazione e dei suoi obiettivi. 

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Struttura a Matrice: L’organizzazione a matrice viene strutturata rigidamente per funzioni verticali, basate su una specializzazione molto accentuata, dalle quali vengono distaccate le risorse umane per i vari progetti, collocati trasversalmente (orizzontalmente) a queste. Questo modello allocativo viene utilizzato in ambienti a forte turbolenza e da organizzazioni soggette a numerosi e frequenti mutamenti.  Il modello a matrice consente di realizzare una struttura molto flessibile, in quanto le risorse possono essere allocate dinamicamente nei vari ruoli di progetto, mantenendo al contempo la loro caratterizzazione specialistico-funzionale. Riepilogando brevemente: 

● Linea di comando duplice: funzione di appartenenza, funzione di progetto; 

● Coordinamento orizzontale tra risorse di supporto a livello di direzione generale; 

    Struttura a Rete: Nel modello reticolare, o a rete, le unità organizzative godono di un'autonomia molto marcata, mentre la gerarchia è poco significativa. La struttura organizzativa è simile a quella di un grafo: alcune unità formano i nodi principali, ai quali sono connessi nodi secondari rappresentati da competenze multidisciplinari; vi è, poi, un nodo centrale che si occupa del coordinamento. E’ possibile estendere così all’infinito la “gerarchia” dei nodi, considerando la struttura sopracitata come sottografo di un grafo più complesso. Il modello di interazione e coordinamento è di tipo atomico, molto più dinamico, duttile e versatile di tutti i modelli fino ad ora esaminati.  In questo modello ogni nodo ha un forte grado di autonomia: le risorse sono del tutto decentralizzate ed il nodo centrale si occupa di coordinamento e strategie in maniera molto blanda.  Un’altra caratteristica degna di nota è la possibile assenza del nodo di coordinamento centrale (soprattutto in caso di reti di aziende e distretti produttivi).  Infine, questa struttura può assumere conformazioni molto diverse tra loro, proprio grazie a questo modello quasi privo di vincoli.  Riepilogando brevemente: 

● Nessuna linea di comando centralizzata; ● Elevato grado di autonomia; ● Limitate interdipendenza tra nodi; ● Direzione generale senza competenze operative; 

PRO  CONTRO 

Elevatissima flessibilità al cambiamento.  Problemi di coordinamento. 

Vicinanza della struttura al mercato/cliente di riferimento. 

Duplicazione di risorse. 

Rapidità di azione e di decisione.  Comunicazioni complesse. 

Rapidità di riconfigurazione organizzativa.  Governance di mediazione. 

   

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Capitolo 8 - Organizzazione ed Incentivi  Modello Principale-Agente: Questo modello è utilizzato per analizzare le relazioni caratterizzate da asimmetrie informative, considerando sia quelle in cui il principale non ha informazioni sulle azioni intraprese dall’agente (azioni nascoste), sia quelle in cui non conosce le caratteristiche dell’agente o dell’oggetto di scambio (informazioni nascoste). Nel modello sono presenti 2 Soggetti: il Principale (P) che incarica l’Agente (A) dello svolgimento di una certa attività o mansione. Entrambi possono rappresentare persone, imprese o organizzazioni.  Lo Sforzo (e - effort) profuso dall’agente per lo svolgimento dell’attività costituisce un costo per quest’ultimo, ma accresce i Benefici Economici (y) derivanti dalla transazione che spettano al principale. Quindi, mentre da una parte A vuole minimizzare e, dall’altra P vuole massimizzare il risultato y. Questa divergenza di obiettivi fa nascere il problema del moral hazard, dovuto dal fatto che l’azione compiuta dall’agente non è osservabile dal principale, né verificabile da un’autorità esterna. Al fine di massimizzare i benefici economici della relazione A deve essere indotto da P ad agire nell’interesse di quest’ultimo, attraverso un sistema di incentivazione contrattuale. Sebbene la variabile direttamente controllata da A (lo sforzo e) non possa essere osservata da P, l’azione di A influenza i risultati della transazione, che sono osservabili dalle parti e verificabili da una terza parte esterna. Ne deriva che è possibile stipulare un contratto incentivante definendo uno schema di compensi per A basato sul valore osservato di y.  ⇒ l’applicazione più diffusa del modello di agenzia riguarda il rapporto tra impresa (principale) e lavoratore (agente). In questo caso lo sforzo e prestato dal lavoratore non deve essere inteso solo in senso fisico.  L’atteggiamento di un agente economico nei confronti del rischio ha influenza sulla sua funzione di utilità (U) ed è desumibile dalla sua preferenza fra un reddito certo di importo R ed uno stocastico di uguale valore atteso.  Si distinguono in questo senso 3 Possibili Casi: 

● U[E(R)] > E[U(R)] → l’agente avverso al rischio preferisce ottenere con certezza il valore atteso di una quantità aleatoria piuttosto che la quantità aleatoria stessa; 

● U[E(R)] = E[U(R)] → l’agente neutrale al rischio è indifferente tra il valore atteso di una quantità aleatoria e la quantità aleatoria stessa; 

● U[E(R)] < E[U(R)] → l’agente propenso al rischio preferisce una quantità aleatoria al suo valore atteso certo. 

 La funzione di utilità negli agenti avversi, neutrali o propensi al rischio risulta rispettivamente concava, lineare o convessa. Questo è dovuto alla cosiddetta disuguaglianza di Jensen.   L’ammontare monetario che una persona è disposta a pagare per ottenere il reddito certo al posto di quello stocastico di pari valore atteso costituisce il Premio per il Rischio (𝝌) associato al reddito incerto. La grandezza del premio dipende sia dalla rischiosità del reddito, sia dal grado di avversione al rischio dell’individuo. Una volta pagato il premio per il rischio, l’ammontare residuo del reddito è chiamato Equivalente Certo (EC) del reddito stocastico. Quest’ultimo è quindi il valore monetario certo che l’individuo considera equivalente al reddito incerto.  In termini algebrici sarebbe: 

U(EC) = U[ E(R) - 𝝌 ] = E[U(R)]  

Infatti, il premio per il rischio deve soddisfare l’uguaglianza tra il valore atteso dell’utilità del reddito aleatorio R e l’utilità del valore atteso dello stesso reddito al quale è stato sottratto il premio per il rischio.   

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L’equivalente certo del reddito stocastico R è quindi stimato attraverso la formula: EC(R) = Ȓ - 𝝌 = Ȓ - (½)r( Ȓ)V(R) dove: 

● Ȓ = E(R) è la media stocastica o valore atteso di R; ● V(R) è la varianza della variabile stocastica R; ● r( Ȓ) è un parametro delle preferenze individuali dell’agente chiamato coefficiente di 

avversione assoluta al rischio per situazioni di incertezza con valore medio Ȓ.  

Dunque il premio per il rischio 𝝌 è proporzionale al coefficiente di avversione al rischio: per evitare un determinato rischio gli individui che gli sono più avversi sono disposti a pagare premi proporzionalmente più grandi. Inoltre osservando la formula si può notare che: 

● Se r( Ȓ) = 0 l’individuo è neutrale verso il rischio, e quindi non disposto a pagare alcun premio per evitare di assumersi rischi; 

● Se r( Ȓ) > 0 l’individuo è avverso al rischio ed è disponibile a pagare un premio 𝝌 > 0 ; ● Se r( Ȓ) < 0 l’individuo è propenso al rischio e deve essere compensato (𝝌 < 0 ) per 

accettare l’equivalente certo al posto del reddito aleatorio;  Dunque, gli obiettivi del contratto di agenzia sono due: 

● L’efficienza produttiva, conseguibile incentivando l’agente a selezionare l’azione ottimale e rendendolo responsabile in qualche misura dei risultati della relazione; 

● L’efficienza nell’allocazione del rischio, raggiungibile evitando di attribuire rischi all’agente (avverso) e trasferendoli tutti sul principale (neutrale) 

  Il contratto di First Best: Il contratto che massimizza l’efficienza da un punto di vista sociale considera congiuntamente il benessere del principale e dell’agente in condizioni di informazione perfetta. Il contratto di first-best è il punto di riferimento che permette di valutare l’efficienza dei contratti stipulati in presenza di asimmetria informativa.  In questo tipo di contratti l’agente determina il risultato y grazie al suo sforzo e secondo la funzione di produzione y(e), che si suppone crescente e concava.  Il prodotto marginale y’(e) è pertanto decrescente rispetto ad e. Lo sforzo e comporta una disutilità c(e), che si suppone sia una funzione crescente e convessa.  Il costo marginale dello sforzo c’(e) è pertanto una funzione crescente.  Il Surplus totale generato dalla relazione è dato da: S = y(e) -w + w - c(e), dove w rappresenta il salario dell’agente.  Imponendo le condizioni: 

● dS/de = y’(e) - c’(e) = 0 ● d2S/de2 = y’’(e) - c’’(e) < 0 

Si determina che la decisione di sforzo ottimale e* che massimizza il surplus S scaturisce dalla condizione di uguaglianza tra il prodotto marginale ed il costo marginale: y’(e*) = c’(e*).  Quando l’informazione sulla variabile controllata dall’agente è perfetta e pienamente verificabile è possibile, quindi, stipulare un contratto che permette di selezionare e* e raggiungere il livello massimo di efficienza. Quindi nel contratto di first best (“il migliore in assoluto”) il principale compensa l’agente con un opportuno pagamento w (costante) se l’azione e* viene effettivamente eseguita, mentre non paga nulla in caso contrario.  L’unica condizione da rispettare è il vincolo di partecipazione: ovvero il salario deve essere sufficiente a compensare l’agente per il suo costo opportunità. La soluzione di first best può essere raggiunta anche in presenza di asimmetria informativa nei casi in cui non esista incertezza oppure l’agente sia neutrale al rischio.  

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Con questa tipologia di contratto non è necessario che lo sforzo sia osservabile dal principale: se esiste incertezza, infatti, l’agente ne sopporta interamente il rischio.  Il Contratto di First-Best con Sforzo Verificabile: Si supponga che lo sforzo e sia verificabile.  Il livello di impegno preferito dal principale in questo caso può essere ottenuto con un contratto che prevede un salario positivo se l’azione è effettivamente eseguita ed un salario nullo in caso contrario. Affinché A presti lo sforzo più alto (eH = 4) è necessario che la sua utilità sia almeno pari a ciò che egli potrebbe ottenere in occupazioni alternative (ur = 3). In altre parole, bisogna garantire che il pagamento salariale rispetti il vincolo di partecipazione: 

√w − eH ≥ ur  L’impresa (il principale) proporrà all’agente il salario minimo fra quelli che rispettano il vincolo di partecipazione ed il lavoratore accetterà di prestare lo sforzo eH dato che la sua utilità attesa è inferiore. All’ottimo, infatti, l’impresa massimizza i profitti pagando il salario più basso compatibile con il vincolo e vale l’ipotesi per cui l’agente, in condizioni di indifferenza, sceglie l’azione preferita dal principale. Dal momento che il salario non dipende dal valore del risultato y l’agente non supporta alcun rischio, che grava interamente sul principale.  Per verificare se la scelta di eH massimizza i profitti dell’impresa occorre valutare il profitto relativamente ad ogni livello di sforzo possibile.  Il valore dello sforzo che massimizza il surplus complessivo delle parti e non impone il sostenimento di alcun rischio da parte dell’agente definisce la soluzione di first best.  Il Contratto Ottimale con Sforzo NON Osservabile: Nelle situazioni in cui lo sforzo non è osservabile dal principale per incentivare l’agente occorre che il suo salario dipenda dai risultati economici dell’impresa, in modo tale che quando si realizzino buone performance l’agente ottenga compensi più elevati. Questo legame comporta tuttavia una perdita di efficienza poiché pone rischi indesiderati a carico dell’agente. Il contratto di incentivazione deve stabilire due livelli salariali, alto (wH) e basso (wL), in corrispondenza rispettivamente del verificarsi di yS e yF .  La definizione del contratto deve anzitutto rispettare il vincolo di partecipazione dell’agente, ossia la sua utilità attesa in relazione allo sforzo eH deve essere pari a ur. Lo sforzo prestato da A non è osservabile da P, quindi occorre definire i pagamenti salariali in modo tale che l’agente trovi più conveniente il livello di sforzo eH rispetto a eL. Questo si ottiene imponendo il vincolo di compatibilità agli incentivi. Ovvero l’utilità attesa di A quando sceglie eH deve essere almeno pari all’utilità attesa derivante dallo sforzo basso eL.  Il principale deve determinare i due livelli salariali in modo da massimizzare i propri profitti, rispettando contemporaneamente il vincolo di compatibilità agli incentivi ed il vincolo di partecipazione.  Paragonando i risultati ottenuti in condizioni di asimmetria informativa con questo contratto incentivante a quelli ottenuti con il contratto di first best, si evidenzia facilmente una riduzione del benessere complessivo causata dall’inefficiente ripartizione del rischio.  L’impresa ha interesse a ricorrere a questa formula retributiva quando: 

● Esiste una relazione significativa tra l’intensità dell’impegno individuale e ed il risultato y. ● Il risultato y è facilmente misurabile; ● La qualità e la precisione dell’esecuzione sono meno importanti della quantità di lavoro 

eseguito; ● È ipotizzabile un vantaggio economico, in termini di maggiore produzione, idoneo a 

compensare i costi di introduzione e gestione della formula retributiva. Gli Schemi di Remunerazione Lineare: Negli schemi di remunerazione lineari il compenso dell’agente consiste in un salario base fisso s al quale si aggiunge una quota direttamente legata al valore della produzione realizzata y, secondo un parametro b in [0,1]. Il salario è quindi pari a w(y) = s + by  Il parametro b rappresenta quindi una misura dell’intensità degli incentivi.  

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Appartengono alla categoria degli schemi lineari i contratti “a cottimo” (o piece-rate), i contratti che prevedono il pagamento di una provvigione o di una percentuale del valore prodotto ed i contratti di mezzadria.  Inoltre un altro vantaggio degli schemi lineari è dato dal fatto che essi generano incentivi “uniformi”: anche un piccolo incremento nella produzione permette di realizzare un aumento del salario.  A seconda del valore assunto da b possono essere rappresentate 3 situazioni: 

1. Il tradizionale salario fisso (b=0): in questo caso non viene conferito alcun incentivo al lavoratore. La ripartizione del rischio è ottimale. 

2. Una remunerazione completamente dipendente dal risultato (b=1): l’agente riceve tutto l’output prodotto al netto di una quota fissa trasferita al principale s<0. In questo caso gli incentivi per l’agente sono ottimali ma è anche massimo il rischio che egli deve sostenere. 

3. Uno schema di partecipazione ai profitti (profit sharing) o all’output (output sharing) nei casi intermedi in cui 0 < b < 1: la divisione dell’output tra le parti fornisce incentivi parziali all’agente tanto più forti quanto più grande è b, ma gli trasferisce solo una parte del rischio.  

 Contratti Soglia: Un contratto soglia prevede il pagamento di un salario elevato wH se y >= ySOGLIA e di un salario basso wL se  y < ySOGLIA.  Questo tipo di contratto può rendere nulli gli incentivi all’impegno una volta che l’output abbia raggiunto un livello superiore alla soglia prevista, oppure se l’output è molto al di sotto di essa.  Contratti a Cottimo: Con questo contratto l’impresa paga al lavoratore un determinato ammontare per ogni unità prodotta. Al cottimo si attribuiscono i seguenti vantaggi nella gestione del lavoro: 

● Lega direttamente il compenso alla prestazione; ● Richiede un minor livello di supervisione per mantenere un flusso di produzione soddisfacente; ● Incentiva i lavoratori a ridurre i tempi morti ed a usare con maggiore efficienza macchine e 

strumenti; ● Il compenso è determinato da misure relativamente oggettive ed è soggetto a minori 

manipolazioni.  Un sistema di cottimo può tuttavia presentare diversi problemi:  

● Può portare ad un deterioramento della qualità indotto dall’incentivazione al risparmio di tempo; 

● Il cottimo introduce varie fonti di casualità nel reddito del lavoratore;  Effetto Ratchet: Un contratto di incentivazione come il contratto a cottimo ha poca o nessuna efficacia se il principale ha la possibilità di cambiare nel tempo gli standard o il metro di valutazione delle prestazioni.  Generalmente la produttività di una mansione ed il suo grado di difficoltà sono noti al lavoratore, ma non sono conosciuti a priori dall’impresa. Se l’impresa osservasse che un lavoratore è in grado di produrre grandi quantità o riesce velocemente a completare il suo lavoro ne trarrebbe la conclusione che lo standard del cottimo è stato fissato ad un livello troppo basso e cercherebbe di aumentarlo nei periodi successivi. Questo fenomeno è noto come effetto “ruota dentata” o ratchet effect.  Lo slittamento degli standard verso l’alto in seguito ad una prestazione soddisfacente richiama il termine inglese ratchet, che indica una ruota dentata di arresto (che può ruotare in una sola direzione). Ne deriva che spesso i sistemi di remunerazione legati alla performance non possono essere convenientemente adottati per l’incapacità dell’impresa a vincolarsi al mantenimento degli standard 

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nei contratti futuri. Dunque la reputazione del principale riveste un’importanza fondamentale nella credibilità della promessa di non modificare gli standard. Inoltre, per attenuare le conseguenze negative dell’effetto ratchet, si può ricorrere alla job rotation: se gli agenti cambiano spesso attività o vengono trasferiti in nuove sezioni non avranno incentivi a nascondere informazioni nell’attuale mansione e posto di lavoro, perché non dovranno preoccuparsi del fatto che la loro attuale performance influenzi il successivo sistema incentivante.  I Salari di Efficienza: I salari di efficienza rappresentano un meccanismo incentivante per i lavoratori adottato dalle imprese nei casi in cui non esistano misure oggettive della performance o quando sorgono problemi di multitasking. In attività in cui l’impegno si misura in termini di impegno, concentrazione, etc, il lavoratore può decidere di impegnarsi oppure di fare shrinking (ossia di fare lo “scansafatiche”) e, dato l’elevato costo di controllo del suo comportamento, la probabilità che l’impresa possa individuare comportamenti scorretti è molto bassa. I contratti di lavoro con salari di efficienza mirano a prevenire l’opportunismo dell’agente stabilendo il pagamento di un salario fisso, indipendentemente dalla performance, più elevato di quello corrispondente all’equilibrio di mercato. Il problema fondamentale per l’impresa è la determinazione del salario di efficienza. Nei salari di efficienza, il lavoratore adempie al contratto per via della minaccia di disoccupazione ed il principale non ha tentazioni opportunistiche poiché il salario è fisso.  Il salario di efficienza è pertanto un contratto self-enforcing, la cui applicazione non richiede l’intervento di un giudice esterno: l’enforcement è realizzato mediante una decisione dell’impresa (il licenziamento) e non richiede il coinvolgimento di altri soggetti.  Per determinare il salario di efficienza si ipotizza una situazione semplificata nella quale la relazione tra lavoratore ed impresa duri un solo periodo, con la possibilità di imporre una sanzione immediata al lavoratore opportunista.  Si suppone che il lavoratore possa prestare uno sforzo positivo (e>0 )oppure nullo (e=0). La funzione di utilità dell’agente è data dal salario ricevuto meno lo sforzo prestato: uA = w - e. L’osservabilità è imperfetta e, quindi, la probabilità che il lavoratore venga scoperto a fare shrinking è p<1.  Se il lavoratore decide di impegnarsi (e>0) la sua utilità è pari a : uH = w* - e L’utilità del lavoratore opportunista è invece: uL = (1-p)w* + pw’. Infatti in questo caso il lavoratore non sostiene il costo dello sforzo, ma con probabilità p è sorpreso a non impegnarsi e viene licenziato, ottenendo solo w. Il salario di efficienza è determinato in modo tale da scoraggiare l’opportunismo sulla base della disuguaglianza: uH >= uL Ossia: w* = w’ + e/p In equilibrio la condizione vale con il segno di uguaglianza, perché l’impresa che massimizza i profitti paga il salario più basso compatibile con il vincolo, grazie all’usuale ipotesi che l’agente in condizioni di indifferenza scelga l’azione preferita dal principale. E’ possibile notare che se l’impresa può investire in attività di controllo e monitoraggio, essa può determinare un aumento della probabilità p e ridurre il salario di efficienza.  I Tornei: Molte attività economiche sono caratterizzate dal fatto che diversi agenti si trovano impegnati in attività simili e pertanto confrontabili. Quando più agenti si trovano in relazione con uno stesso principale le performance realizzate da ciascuno di essi possono costituire informazioni utili per valutare con maggiore precisione le performance realizzate dagli altri. Il meccanismo di incentivazione basato sulla valutazione relativa delle performance degli agenti prende il nome di tornei. Nei tornei la remunerazione attribuita a ciascun agente non dipende dal 

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valore assoluto della sua prestazione ma dal suo valore relativo, cioè da come la sua performance si colloca rispetto a quella degli altri.  Le performance degli agenti vengono classificate in ordine decrescente ed i premi assegnati in base alla posizione occupata nella graduatoria, senza considerare il livello assoluto di prestazione effettivamente conseguito da ciascuno. Il premio può consistere nel pagamento di un bonus monetario, anche se spesso le imprese di medie e grandi dimensioni ricompensano i lavoratori con la promozione ad un più alto livello gerarchico, al quale è associata una remunerazione più elevata. Il principale vantaggio dei tornei è che le valutazioni relative sono in grado di “filtrare” l’effetto dei rischi comuni sulle remunerazioni. Il trade-off tra ripartizione del rischio e incentivazione risulta attenuato. Ne consegue che gli incentivi possono essere tanto più forti quanto maggiore è il fattore comune nella componente casuale che influenza il risultato. Inoltre i tornei hanno il vantaggio di presentare costi di transazione e costi di misurazione relativamente contenuti.  I Tornei Sequenziali: Una forma particolare di tornei è quella sequenziale o a eliminazione. Gli agenti competono per una posizione con un più alto salario e, se vincenti al primo turno, sono posti nuovamente in competizione con altri concorrenti per una successione di turni.  In questo torneo l’incentivo a impegnarsi non è dato solo dal premio salariale che si riceve attraverso la promozione immediata, ma anche dalla possibilità di carriera, cioè dal valore atteso dei futuri aumenti salariali derivanti dall’opportunità di partecipare ai turni successivi del torneo.  Gli Incentivi di Gruppo: Il principale può osservare e far verificare solo il prodotto congiunto di tutti i lavoratori, della “squadra” o del “team”, piuttosto che l’output e lo sforzo dei singoli agenti.  Le formule più comuni di incentivi di gruppo sono i piani di partecipazione ai guadagni (gain-sharing) e gli schemi di partecipazione ai profitti (profit-sharing). Il gain-sharing prevede che i membri di un team ricevano un premio solo se il team stesso raggiunge obiettivi predeterminati. Con la partecipazione ai profitti invece ad ogni lavoratore viene attribuita una frazione dei profitti complessivi dell’impresa. Un problema deriva dalla non osservabilità dell’impegno del singolo lavoratore. Questa dà luogo ad un problema di moral hazard poiché il lavoratore non può essere compensato sulla base dell’impegno effettivamente prestato. In particolare, il meccanismo degli incentivi di gruppo presenta un problema di free-riding: ogni componente ottiene solo una frazione pari ad 1/n del prodotto realizzato, con n numero di membri del team. Poiché l’impegno per produrre un euro aggiuntivo di valore comporta un compenso di solo 1/n euro ciascun agente cercherà di trarre vantaggio dal contributo fornito dagli altri membri risparmiando sul proprio impegno. Il free-riding all’interno del team può essere evitato, almeno in parte, grazie alla cosiddetta “pressione dei colleghi” (peer-pressure). Se gli agenti sono in grado di controllarsi a vicenda, ognuno di essi può sanzionare coloro che si impegnano poco, assumendo comportamenti ostili nei loro confronti o cercando di instillare in loro sensi di colpa.   Il Multitasking: Il modello del multitasking presentato da Holmstrom e Milgrom (1991) rappresenta efficacemente una varietà di situazioni in cui un agente è incaricato di svolgere un insieme complesso di attività (task), solo alcune delle quali sono agevolmente misurabili e verificabili. In questi casi è possibile dimostrare è opportuno non impiegare schemi di incentivazione per evitare comportamenti controproducenti da parte dell’agente.  Quest’ultimo, infatti, potrebbe dare eccessivo peso alle variabili verificabili nell’allocazione del proprio impegno a discapito delle funzioni per le quali non è possibile implementare un meccanismo di incentivazione esplicita.  

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Meccanismi di Enforcement: Le tipologie di contratti esaminati finora condividono una caratteristica fondamentale: sono tutti contratti espliciti che, in ultima istanza, possono essere fatti rispettare mediante il ricorso ad un’autorità esterna in grado di verificarne le variabili fondamentali e imporre alle parti l’esecuzione degli obblighi contrattuali (enforcement esterno). Tuttavia in molte relazioni mancano misure oggettive della performance. In questi casi è possibile garantire la realizzazione di transazioni efficienti tramite l’implementazione di un “contratto implicito”. Quest’ultimo consiste in un accordo informale la cui applicazione è basata, in assenza di verificabilità, sulle azioni adottate dalle parti stesse e sulla loro reputazione. Per questo mtivo il contratto implicito è definito self-enforcing (autovincolante). Al fine di assicurare il rispetto dei contratti self-enforcing è necessario che la relazione generi surplus, permettendo ad almeno una delle parti l’acquisizione di quasi-rendite positive.  I meccanismi di enforcement endogeno appartengono a due tipologie: 

● Enforcement “bilaterale”: si realizza quando le strategie di sanzionamento di comportamenti opportunistici sono messe in atto direttamente dalle parti coinvolte. L’efficacia dell’enforcement cresce all’aumentare dei costi di ricerca di nuove opportunità per la parte inadempiente (costi di switching). 

● Enforcement “multilaterale”: si realizza quando le parti esterne alla relazione, anche se interessate solo indirettamente, hanno un forte incentivo a sanzionare gli agenti opportunisti, escludendoli definitivamente da possibili scambi futuri. 

 Rendita: La rendita è la parte dei profitti che eccede l’ammontare minimo necessario per indurre un lavoratore ad accettare un nuovo impiego o un’impresa ad entrare in un nuovo mercato.  Al contrario, la Quasi-Rendita è la frazione dei proventi che eccede l’ammontare minimo necessario per evitare che un dipendente lasci il suo lavoro o un’impresa esca dal mercato in cui opera. Le rendite sono dunque definite in termini di decisioni di entrata, mentre le quasi-rendite sono definite in termini di decisioni di uscita. Le quasi-rendite sono maggiori o uguali alle rendite; esse si manifestano ogni volta che vengono effettuati investimenti specializzati, che generano costi affondati (sunk cost) e, per questo, non recuperabili.     

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Capitolo 9 - I diritti di proprietà, l’incentivazione ed il controllo  I diritti di proprietà: Il concetto di proprietà in un’accezione economica richiama l’insieme di beni a disposizione di diritto e di fatto di un soggetto che assume lo status quo di imprenditore. Il proprietario di un’azienda è colui che ha la disponibilità su alcuni beni e assume un ruolo decisionale, ponendo in essere tutte le azioni indirizzate all’accrescimento della propria ricchezza. I diritti di proprietà possono essere esaminati da differenti prospettive secondo l’ambito di studio e dei soggetti interessati. Sul piano strettamente giuridico, per diritti di proprietà si intendono tutte le azioni legali poste in essere dai proprietari a tutela dei loro diritti sui beni tangibili e intangibili nei confronti di coloro che non sono i proprietari. La letteratura sui diritti di proprietà segue due strade : 

1. L’impresa esaminata al suo interno come “un nesso di contratti espliciti e completi”. I diritti di proprietà spettano agli shareholder e la creazione di valore per gli azionisti assume un ruolo dominante. La problematica affrontata in questo primo filone è il conflitto interno all’impresa ascrivibile alla separazione tra proprietà e controllo. La discussione dunque verte sul vuoto di potere che caratterizza la relazione tra il principale e l’agente, da cui discende il problema dei costi di agenzia. 

2. L’impresa esaminata nei suoi confini esterni come un “nesso di contratti espliciti, impliciti e incompleti”, un nesso di specifici investimenti, una combinazione di asset e persone. Trova il suo fondamento nel contributo di Coase del 1937, il quale individua nel principio di autorità la distinzione tra impresa e mercato. 

Entrambi i filoni presentano come comun denominatore l’importanza dei contratti nella teoria dell’impresa. L’incompletezza contrattuale genera comportamenti opportunistici da parte degli agenti (hold up) che potrebbero impedire la realizzazione di scambi efficienti.  Il modello di Hart e Moore (HM): Il modello HM esamina la possibilità per un imprenditore di realizzare un progetto di investimento redditizio senza disporre delle risorse finanziarie necessarie per attuarlo. Immaginiamo un imprenditore con dotazione iniziale di ricchezza pari a che abbia la possibilità diw0  realizzare un progetto di investimento con un costo iniziale K > .w0  L’imprenditore sarà costretto ad indebitarsi per una somma pari a K - .w0  Supponiamo che il progetto di investimento abbia un orizzonte temporale definito e continuo [0, T]. Il progetto genera in ciascun istante temporale un flusso certo e non negativo di rendimenti pari a r(t) con t [0, T].∈  In alternativa alla produzione il capitale fisico può anche essere liquidato in maniera irreversibile al tempo t generando per i periodi successivi un flusso di rendimenti certi non negativi l(t) con .t ≤ t ≤ T  La liquidazione preclude il rendimento generato dal progetto, non solo come asset fisico ma anche come capitale umano. Per liquidazione si intende la possibilità di rimpiazzare l’imprenditore senza costi e ciò non è possibile poiché le competenze specialistiche possedute lo rendono il meno sostituibile nel processo produttivo. Siano l(t) e r(t) continui nell’intervallo di tempo [0, T] e sia il tasso di interesse normalizzato a 0. Si supponga ---- (continua fino a 331)  Relazione tra l’ammontare di ricchezza iniziale e la scala del progetto: Consideriamo il caso di un imprenditore che abbia la capacità di realizzare un progetto di investimento redditizio ex-ante, nel senso che I flussi di cassa generati in futuro sono certi e costanti. L’obiettivo sarà quello di definire la scala più ampia possibile tenendo conto che 

· La dotazione di ricchezza iniziale dell’imprenditore è limitata; · L’ammontare di debito che può richiedere ad una banca è limitato alla capacità di 

rimborso delle rate. 

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In alternativa il progetto può essere liquidato in qualsiasi momento garantendo un flusso certo non negative di rendimenti. Si suppone l’esistenza di un mercato dei capitali che garantisca un’entrata immediate tramite la vendita dei beni fisici. Con la liquidazione si rinuncia al capitale umano da cui derivano parte dei rendimenti certi conseguibili attraverso la combinazione di asset e capitale umano nell’ipotesi di proseguimento del progetto.  Il modello di Grossman, Hart e Moore (GHM): La nuova teoria dei diritti di proprietà di GHM è formulata sull’idea dell’importanza del capitale umano e sul rapporto di complementarietà tra i capitali, tra gli individui e tra questi ultimi e gli asset fisici. Gli autori fondano il loro ragionamento sul concetto di coalizione che si profila quando n individui ed m capitali interagiscono tra loro nell’attività di produzione o transazione e il valore generato assieme è maggiore rispetto a quello ottenuto da sottoinsiemi di quegli individui e capitali separatamente. Un esempio di coalizione è un’industria verticalmente integrata dall'estrazione della materia prima fino alla distribuzione e consumo del prodotto finale. Il modello GHM si basa su tre principi : 

1. L’incompletezza contrattuale : non consente la stesura di contratti dettagliati. È particolarmente accentuato quando oggetto della transazione è una prestazione di lavoro o un servizio. 

2. L’eterogeneità degli individui e dei capitali e soprattutto degli individui nell’ambito del processo produttivo implica che questi ultimi non siano facilmente sostituibili avendo competenze specifiche. Non potendo controllare il capitale umano degli individui e in assenza di spersonalizzazione delle competenze è necessario che essi interagiscano affinché ciascuno concorra ad accrescere il rendimento delle capacità dell’altro. 

3. La centralità degli investimenti in capitale umano, l’elemento qualificante del modello GHM : formazione, apprendimento e sviluppo di competenze specifiche. 

 Nel modello GHM proprietà e controllo assumono lo stesso significato e indicano il diritto del proprietario di un bene a farne l’uso che vuole. GHM dimostrano come non esiste un modello di controllo efficiente predefinito; l’allocazione del controllo sul capitale fisico dell’impresa è efficiente se esso stesso è detenuto da chi all’interno di una coalizione è meno sostituibile di altri nel processo produttivo e apporta il massimo contributo al surplus attraverso i propri investimenti ex-ante.  Il livello degli investimenti specifici nel caso della contrattazione completa In presenza di contrattazione completa, I due contraenti potrebbero individuare con esattezza gli usi corretti dei due asset al tempo t0, la tipologia di bene intermedio x e determinare il Prezzo di scambio e la quota attesa di surplus. Il livello efficiente di investimenti si raggiunge a prescindere da come viene allocato Il controllo sugli asset. La certezza ex-ante del Prezzo di scambio e della quota attesa di surplus induce gli agenti della coalizione a posizionare gli investimenti ad un livello efficiente.   Il livello degli investimenti specifici nel caso della contrattazione incomplete Nell’ipotesi di contrattazione incompleta, gli agenti non sono in grado di stipulare un contratto che descriva dettagliatamente la tipologia di bene da scambiare e quindi il prezzo non può essere determinate ex-ante : I due agenti temono che gli sforzi di capitale umano possano disperdersi nella contrattazione successive dove si procederà ad un’equa suddivisione del surplus.   Il teorema di Coase e la tragedia delle risorse comuni Il teorema di Coase afferma che se le parti giungono ad un accord efficiente e se le loro preferenze non presentano effetti di ricchezza, allora le attività sulle quali si accordano non dipendono. Dal potere contrattuale delle parti o dai beni che ognuno possedeva quando ebbe inizio la contrattazione. L’efficienza da sola determina la scelta dell’attività. 

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Tuttavia l’ipotesi che gli individui possano raggiungere un accordo e applicarlo, non è sempre valida. Occorre che I diritti di proprietà siano certi, effettivi e trasferibili, perché solo in questo modo si raggiunge l’efficienza economica. La trasferibilità incrementa la probabilità che I beni finiscano nelle mani di persone in grado di utilizzarli al meglio e accrescerne il valore. Dunque a prescindere da come i diritti di proprietà vengano inizialmente ripartiti, è sufficiente che essi vengano assegnati poichè la loro attribuzione favorisce la nascita di un mercato. È molto probabile che nella contrattazione il diritto di proprietà venga attribuito al soggetto più capace nell’accrescere il valore economico. Non sempre è possibile attribuire I diritti di proprietà, ciò si verifica soprattutto per quei beni che gli individui condividono e sfruttano insieme ad altri soggetti, che vengono denominati risorse comuni o commons. Ciascun attore avrà tutto l’interesse a consumare il bene ad un livello superiore rispetto a quello socialmente efficiente, danneggiando così la risorsa comune.  La tragedia delle risorse comuni rappresenta un caso emblematico di come vengano gestite le risorse il cui diritto di proprietà non sia assegnabile. Si tende a sovra-sfruttare I beni generando benefici privati e costi pubblici. Il diritto da parte di molti individui a usare una risorsa incentive a sovra-utilizzarla. Quando il rendimento residuale di un’attività viene suddiviso tra molti individui nessuno ha un interesse specifico a sopportare il costo di mantenimento del bene e a incrementarne il valore. Tutto questo implica un consumo socialmente inefficiente della risorsa comune e il raggiungimento di un equilibrio sub-ottimale.   Proprietà e controllo dell’impresa  Con il termine proprietà o strutture proprietarie intendiamo la composizione del capitale di rischio conferito dal singolo individuo o da più soggetti per dar vita all’organizzazione (il termine struttura proprietaria non va confuso con “struttura di capitale”, che include anche la quota di debito presente nell’impresa. Esistono due tipologie di strutture proprietarie : 

● Il modello societario aperto, a proprietà diffusa (public company), ove si configura una netta separazione tra azionisti e management 

● Il modello proprietario chiuso, qualificante il sistema impresa come un’organizzazione in cui i proprietari e governanti coincidono e l’organo di governo è stabile e coeso. 

In entrambe le tipologie proprietarie si rilevano problemi legati al conflitto di interessi che sorge tra soggetti con una differente funzione di utilità attesa. Nelle public company, in cui si rileva una separazione tra proprietà e controllo, il conflitto nasce tra proprietari e manager, nel modello chiuso invece nasce tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza. Per controllo di un’impresa si intende l’esercizio di un’influenza determinante sui suoi indirizzi strategici e sulle scelte necessarie per attuarli. Tale influenza consente al soggetto controllante di disporre liberamente e in ogni circostanza dei capitali materiali e immateriali dell’impresa. Il proprietario controllante sarà affiancato da proprietari non controllanti ai quali la proprietà offre solamente un diritto patrimoniale e non più un diritto di controllo. Tale separazione tra proprietà e controllo genera un conflitto di interessi tra proprietario controllante e non controllante. Il controllante, che detiene solo una quota dell’impresa e che può trarre dal suo controllo benefici personali, non è necessariamente incentivato ad assicurare l’utilizzo efficiente del bene nell’interesse di tutti i proprietari. Le diverse modalità con cui il trade-off viene risolto possono dar luogo a diversi modelli di controllo, tra i quali distinguiamo i seguenti : (vedi sul libro, pag 346). Se l’impresa è gestita in maniera inefficiente, può crearsi una forbice tra il valore corrente e quello potenziale. In questo caso l’impresa diventa bersaglio di una futura acquisizione tramite scalata. Non esiste un criterio specifico per attribuire l’appellativo di public company ad un’impresa, si ritiene che la concentrazione del pacchetto azionario in mano ad un singolo soggetto non debba superare il 5%, e più raramente il 10%. 

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L’esercizio del controllo permette ai detentori di usufruire in larga misura dei benefici privati : ciò implica l’attuazione di operazioni non guidate da una logica di creazione del valore per l’intera impresa, bensì per i soli promotori. In numerosi casi la sottrazione di ricchezza a danno degli azionisti di minoranza si concretizza attraverso operazioni infragruppo e mediante fusioni e acquisizioni (tale fenomeno si amplifica in presenza dei gruppi piramidali e della possibilità di emettere azioni di risparmio che non attribuiscono il diritto di voto. La struttura piramidale, creata per mezzo del gruppo, è uno dei modelli di controllo più diffusi anche tra le piccole e medie imprese industriali italiane. Il gruppo aziendale è un’aggregazione di più aziende volta al perseguimento di un beneficio economico. Con il termine gruppo si intende un insieme di imprese giuridicamente indipendenti collegate da legami azionari reciproci che consentono ad un unico azionista esterno o ad una coalizione di azionisti il controllo di tutte le attività del gruppo, o favoriscono e garantiscono il coordinamento tra le imprese stesse. Tranne il caso della holding, solitamente ciascuna società appartenente al gruppo è contemporaneamente partecipante e partecipata. La struttura del gruppo assolve funzioni molto importanti, tra le quali : 

● È un modo per attuare la leva societaria. Il soggetto al vertice esercita il controllo su un numero di attività più grande di quello che potrebbe controllare se le medesime attività appartenessero ad una singola impresa giuridica. Benchè sia sottoposta, direttamente o indirettamente al controllo, ciascuna impresa è autonoma sul piano giuridico e risponde ad un’unica direzione. In siffatti modelli di controllo si crea inevitabilmente un conflitto di interessi fra il vertice e la “base”; gli interessi dell’azionista di controllo della capogruppo potrebbero differire da quelli dei singoli partecipanti non controllanti, in quanto il primo è interessato al rendimento del gruppo nel suo complesso, gli altri sono legati ai risultati economici delle singole imprese; 

● Mediante la costituzione del gruppo si limita la responsabilità del vertice, lasciando piena autonomia giuridica alle imprese controllate e riducendo, così, la responsabilità del vertice stesso. Se l’impresa è controllata il suo fallimento comporta la perdita di capitale limitatamente alla partecipazione detenuta; in caso di struttura divisionale, invece, l’azionista di controllo è responsabile dell’intera perdita dell’unità; 

● Il gruppo è uno strumento che consente il rafforzamento patrimoniale, economico e finanziario sul mercato. 

Nell’ambito dei gruppi aziendali è utile effettuare, infine, una distinzione fra gruppi gerarchici e gruppi associativi a seconda della presenza o meno di una holding al comando. In presenza del gruppo gerarchico, la struttura piramidale viene controllata dalla società holding, la quale controlla tutte le attività del gruppo. I gruppi associativi sono formati da un insieme di imprese legate da una serie di possessi azionari reciproci. Accanto alla proprietà diretta, che si riferisce alla quota direttamente posseduta da un azionista in una determinata società del gruppo, esiste la proprietà indiretta, ossia la quota azionaria detenuta indirettamente attraverso le partecipazioni azionarie che legano le società del gruppo. Per misurare l’effettiva partecipazione dell’azionista al capitale di un’impresa appartenente a un gruppo occorre sommare le due partecipazioni diretta ed indiretta. Questo calcolo è tuttavia praticabile solo in presenza di una struttura piramidale di tipo “lineare”.  Warrant I warrant si riferiscono alla facoltà per gli obbligazionisti (i possessori di titoli di debito di una società) di sottoscrivere, alle condizioni previste nel regolamento di emissione un quantitativo di nuove obbligazioni o azioni emesse dalla stessa società o da un’altra società del gruppo. Le obbligazioni convertibili consentono di ottenere la loro conversione in azioni. Le differenze tra le due tipologie di strumenti (obbligazioni convertibili e warrant) consistono : 

- Nella possibilità di negoziare separatamente il warrant dal titolo di compendio, azione o obbligazione, cosa che non avviene nelle obbligazioni convertibili; 

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- Nella durata, in quanto il warrant, a differenza del diritto di conversione, non può essere esercitato anticipatamente rispetto alla scadenza del titolo. 

 La separazione tra proprietà e controllo (Ho saltato le pagine 349 e 350) Il controllo “di fatto” si configura quando un soggetto, che non detiene il controllo di diritto, è in grado di esercitare un’influenza dominante in sede di assemblea ordinaria. Il “Patto di sindacato” si registra quando la quota aggregata dei diritti di voto degli aderenti al Patto è superiore al 50% dei diritti di voto esercitabili in sede assembleare o consente di esercitare un controllo di fatto. Per partecipazione rilevante si intende qualsiasi partecipazione azionaria superiore al 2% del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto. Con il termine “mercato”, invece, si intende la quota di flottante presente sul mercato azionario. Il termine “flottante” indica la sommatoria delle quote di partecipazione non attribuibili ad alcun soggetto in quanto inferiori al 2%, limite al di sopra del quale scatta l’obbligo di comunicazione alla Consob. Impropriamente si definisce flottante tutto ciò che non è riconducibile a una paternità azionaria.  Gli effetti generati dalla separazione tra proprietà e controllo La separazione tra la proprietà e il controllo esercitata mediante la presenza dei gruppi piramidali, genera una contrapposizione di interessi tra gli azionisti di maggioranza e quelli di minoranza. Questa contrapposizione tra le funzioni obiettivo dei due soggetti, principale e agente, è all’origine dei costi di agenzia. I costi di agenzia scaturiscono dalla relazione che intercorre tra il principale e l’agente nella misura in cui il primo, mediante un contratto, incarica il secondo, attraverso una delega dei poteri decisionali, a prestare servizio nel suo interesse. Poichè gli obiettivi dei due soggetti possono non coincidere, può crearsi un conflitto che porta l’agente a disattendere gli interessi del principale. Il principale è costretto a sostenere costi per controllare l’operato dell’agente : tali costi sono riconducibili al monitoraggio e alla perdita residuale. La teoria dei costi di agenzia individua tutti i possibili comportamenti opportunistici comuni a ciascun individuo razionale che ha come obiettivo la massimizzazione della propria utilità attesa. La presenza di tali costi originati dalla separazione tra proprietà e controllo implica l’individuazione dei meccanismi più adatti per contenerli. Essi rendono inefficiente l’impresa sul mercato attraverso una limitazione della competitività. Di seguito alcune soluzioni per il contenimento dei costi di agenzia legati alla separazione fra proprietà e controllo :  Il mercato dei prodotti e dei servizi Dato che i costi di agenzia si ripercuotono sull’impresa è nell’interesse della società ridurli : in caso contrario l’impresa rischia di essere poco competitiva e nel lungo periodo di essere estromessa dal mercato. L’efficacia del mercato dei prodotti e dei servizi è però inversamente proporzionale al grado di concorrenza del settore in cui opera l’impresa, fino praticamente ad annullarsi in regime di monopolio. Nel monopolio è l’impresa e non il mercato a decidere il prezzo.  Il mercato per il controllo delle imprese Il mercato per il controllo societario (market for corporate control) viene considerato come la componente più importante del mercato per il lavoro manageriale. Esiste un mercato in cui i manager si contendono il diritto a gestire le risorse delle imprese. La maggior parte dei takeover (scalate ostili) registratisi sono stati provocati dalla scarsa attenzione dimostrata dai manager verso misure dirette alla creazione e alla massimizzazione del valore per gli azionisti. Una scalata è tanto più probabile quanto più i mercati risultano informativamente efficienti, ossia in grado di recepire tempestivamente tutte le news. 

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La bad news sull’andamento aziendale genera una distruzione di valore dei prezzi dei titoli azionari e di conseguenza la destituzione dei manager. L’efficienza manageriale aumenta al crescere della partecipazione azionaria dei manager nella società da loro gestita diminuendo la possibilità della loro destituzione, in quanto diventa difficile per altri manager scalare la società    Capitolo 12 - Organizzazione e Vantaggio Competitivo:  New Economy: Con questo termine si indica l’incredibile sviluppo che le imprese high-tech e quelle quotate nel cosiddetto “nuovo mercato” hanno avuto alla fine dello scorso decennio: da questo punto di vista è possibile affermare che l’era della new economy è già terminata. La new economy è, in realtà, un cambiamento paradigmatico dell’economia: secondo quest’ottica non soltanto l’era della new economy non è ancora terminata ma è addirittura in fase iniziale. Inoltre oggi, rispetto al passato, ci sono diversi fattori che rendono l’ambiente competitivo diverso rispetto al passato: 

● I mercati stanno cambiando cambiando ed evolvendo con velocità che fino a pochi anni fa era difficile anche solo immaginare; 

● Mentre una volta esistevano confini precisi fra differenti aree d’affari e le aziende dovevano difendersi dalle concorrenti solamente all’interno di tali confini, oggi nuovi concorrenti possono arrivare da qualsiasi mercato. 

Il ritmo serrato del cambiamento richiede alle imprese di trasformarsi in adaptive organization, in grado di reagire ai continui mutamenti dell’ambiente esterno. La strategia diventa quindi una ricerca cosciente e deliberata di un piano di azione volto al raggiungimento di un vantaggio competitivo ed al suo rafforzamento del tempo. Nel piano devono essere esplicitate alcune scelte fondamentali riguardanti: 

● La vision; ● Il processo di diffusione della cultura organizzativa e dei modelli di comportamento; ● Il rapporto con gli stakeholders; ● Le attività da svolgere; ● La forma organizzativa; ● La scelta dei confini dell’impresa; 

 Un’impresa cambia i propri confini quando: 

● Entra in nuovi business; ● Stabilisce di operare in diversi mercati geografici (internazionalizzazione); ● Estende le proprie attività a differenti fasi del processo di creazione di valore (integrazione 

verticale);  

Una volta stabiliti i confini dell’impresa è necessario definire la modalità di coordinamento di tutte le attività, in particolare dell’architettura organizzativa. Un’impresa di grandi dimensioni, in genere, è organizzata su 3 Macro-Livelli Gerarchici: il corporate (più alto), le singole Business Unit (BU) al livello successivo, che sono unità autonome con propri segmenti di mercato, ed infine al terzo livello ci sono le funzioni che operano all’interno delle BU.  La pianificazione strategica segue una stratificazione analoga, con un flusso top-down, in cui le decisioni prese a livello superiore influenzano e determinano quelle prese ai livelli successivi. Il corporate definisce le strategie di gruppo; i responsabili delle singole BU stabiliscono le strategie delle proprie unità ed i capo-funzione quelle per le attività di competenza. Infine tutte le informazioni tornano al livello corporate dove vengono verificate e approvate definitivamente.   

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       La Gestione Strategica: La definizione degli obiettivi di lungo termine dell’impresa e delle azioni da intraprendere per raggiungerli non è sufficiente per garantire all’azienda la sua sopravvivenza sul mercato ed il mantenimento nel tempo di un vantaggio competitivo sulle concorrenti: occorre realizzare la strategia individuata e gestire le fasi che portano ai risultati. Il processo che si occupa delle definizione dell’implementazione della strategia è definito gestione strategica dell’impresa, ed attraverso essa l’impresa: 

● Fissa gli obiettivi di lungo termine; ● Individua le proprie forze e debolezze; ● Individua opportunità e minacce derivanti dall’ambiente esterno; ● Decide le azioni per raggiungere gli obiettivi ed i relativi tempi; ● Sceglie fra le varie opzioni che si presentano; ● Modifica i piani per quanto è necessario al fine di adattarsi al cambiamento; ● Valuta i risultati ottenuti; 

 La gestione strategica dell’impresa può idealmente essere suddivisa in 3 Macrofasi: 

● L’Analisi Strategica: in questa fase l’impresa prende in considerazione la condizione attuale della competizione nel suo mercato di riferimento (as-is) e cerca di comprenderne le possibili evoluzioni future e l’impatto che queste avranno sulla sua attività (to-be). Dunque determina gli obiettivi in termini di posizione strategica rispetto ai concorrenti. 

● La Scelta della Strategia: in questa fase l’impresa è in grado di individuare diverse soluzioni che le consentono di transitare dalla situazione as-is a quella to-be. 

● L’Implementazione della Strategia: a questa fase è demandato il compito di tradurre la strategia scelta in piani di azione dettagliati, con relativa indicazione dei tempi di esecuzione e delle risorse destinate. Inoltre, l’implementazione della strategia deve essere supportata dalla struttura organizzativa dell’impresa e dunque è compito di questa fase anche controllare che l’impresa sia sufficiente a supportare la strategia che si vuole intraprendere. 

  L’Analisi Strategica: Questa fase è mirata a definire quali siano le condizioni del business in cui l’impresa opera. In generale l’analisi dell’ambiente esterno può mettere in evidenza la presenza di forze e variabili che influiscono sull’operato di tutte le imprese del settore di riferimento, come l’andamento dell’economia, la legislazione vigente, l’ambiente socio-culturale etc.  Quando si analizzano queste forze si parla delle forze che caratterizzano il Macroambiente; tali forze non sono direttamente controllabili dall’impresa ma vanno tenute comunque in considerazione per determinare la possibile evoluzione futura del settore e decidere quali linee di comportamento adottare a livello aziendale.  

L’Analisi PEST: L’analisi PEST è una delle tecniche più note per effettuare il monitoraggio dell’ambiente esterno all’impresa nel tentativo di capire e predire le sue linee evolutive. Il nome deriva dalle analisi macroambientali che vengono monitorate: 

● Politiche; ● Economiche; ● Sociali; 

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● Tecnologiche; Il primo gruppo di variabili è costituito dalle Variabili Politiche: gli orientamenti politici possono infatti avere un notevole impatto sulle possibilità e sulle direzioni di sviluppo di un particolare settore di business.  Il secondo gruppo di variabili da tenere sotto controllo è costituito dalle Variabili Economiche: tra queste rientrano, ad esempio, variabili quali l’andamento del PIL, il reddito disponibile delle famiglie, l’andamento dei tassi di cambio e di inflazione, il costo dei fattori produttivi. Ancora, il terzo gruppo di variabili del macroambiente è costituito dalle Variabili Sociali: anche questa classe di variabili ha infatti il potere di creare notevoli minacce e/o opportunità per le imprese in relazione al settore di appartenenza. I gusti dei consumatori e, di conseguenza, la domanda di questi utili per il prodotto/servizio offerto dalle imprese, infatti, dipendono fortemente da molte variabili socio-culturali. Infine, l’ultimo gruppo è costituito dalle Variabili Tecnologiche: data una specifica tecnologia le imprese sono in grado di produrre il bene da offrire sul mercato combinando i fattori produttivi in proporzioni differenti. 

“Per tecnologia si intende il complesso delle condizioni tecniche e organizzative che presiedono ai processi di trasformazione materiale, spaziale e temporale degli input produttivi” (Costa, Gubitta, 2004). 

  Analisi degli Scenari: Altra tecnica di analisi del macroambiente.  Attraverso questa tecnica il management aziendale cerca di costruire un quadro unico e organico dell’evoluzione che potrebbe avere il settore di business nel quale l’impresa opera nel futuro. La differenza con l’analisi PEST risiede nel fatto che nell’analisi degli scenari le variabili macroeconomiche non vengono considerate separatamente le une dalle altre, ma si cerca di costruire un quadro unico ed organico dei possibili scenari futuri dell’ambiente nel quale opera l’impresa.  L’analisi di scenario è basata su dati e informazioni che l’impresa può derivare da diverse fonti, più o meno strutturate (come clienti e fornitori). A partire dai dati e dalle informazioni così raccolte la generazione dei diversi scenari possibili nel futuro viene effettuata attraverso il ricorso a diverse tecniche. Il primo passo dell’analisi si occupa di individuare le variabili, fra quelle che caratterizzano il sistema, che potrebbero avere un maggiore impatto sull’evoluzione del sistema stesso. Una volta individuate le leve di cambiamento del settore si procede a identificare i possibili cambiamenti che queste potrebbero subire e si identificano, di conseguenza, i possibili stati finali che ciascuna di esse potrebbe assumere.  L’ultima fase dello studio è costituita dalla generazione vera e propria degli scenari.  Al di là della concreta realizzazione di uno degli scenari individuati, l’importanza che l’analisi assume risiede non solamente nel fatto che la generazione di scenari consente di non farsi cogliere impreparati ad una possibile linea evolutiva del settore, ma anche nel fatto che le prime due fasi fanno sì che il management assuma consapevolezza degli elementi che vanno tenuti sotto controllo all’interno del settore considerato.  

 Insieme al Macroambiente l’analisi strategica deve analizzare i fattori che costituiscono il Microambiente: in questo caso l’attenzione ricadrà sullo studio delle forze e delle variabili caratteristiche del settore nel quale l’impresa opera e che possono direttamente essere influenzate dal comportamento dell’impresa stessa. Logicamente, le variabili del microambiente saranno a loro volta influenzate da quelle del macroambiente.  

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Il microambiente è costituito dalle variabili caratteristiche dello specifico settore nel quale l’impresa opera e che direttamente influenzano e possono essere influenzate dal comportamento dell’impresa stessa. Questa analisi è importante poichè consente di identificare le opportunità e le minacce derivanti da variabili caratteristiche dello specifico settore di riferimento; attraverso essa inoltre l’impresa può cercare di stabilire quali siano le variabili chiave sulle quali agire allo scopo di modificare a proprio vantaggio l’assetto del settore di riferimento. L’analisi del microambiente sviluppata in questa fase dell’analisi strategica muove dalla considerazione che sia la struttura del particolare settore nel quale l’impresa opera a determinare le sue possibilità di raggiungere risultati più o meno soddisfacenti: in tal senso, si entra all’interno del cosiddetto Paradigma Struttura-Condotta-Performance o Paradigma SCP.  

Modello delle 5 Forze Competitive di Porter (1980): Questo modello, fra i più affermati all’interno del paradigma SCP per condurre l’analisi di settore, ha il merito di riuscire a razionalizzare e formalizzare in termini manageriali gli elementi già ampiamente presenti all’interno dell’industrial organization.  Il modello sviluppato da porter individua cinque gruppi di attori e forze fondamentali in grado di definire la configurazione del settore industriale nel quale opera l’impresa. Il modello è composto da 4 gruppi di elementi, esogeni rispetto al settore di affari dell’impresa, che interagiscono con esso esercitando “pressioni” sul sistema al quale l’impresa appartiene. Tutte le imprese appartenenti allo stesso settore sono sottoposte alle stesse forze.  Dunque le 5 forze competitive sono:  

● Potenziali Entranti: La minaccia di potenziali entranti è legata al fatto che l’intensificazione della competizione erode la possibilità che ciascuna impresa del settore ha di lucrare profitti. La minaccia di potenziali entranti è legata alle cosiddette barriere all’entrata del settore, ossia a tutti quegli elementi che possono costituire costi ed impedimenti all’ingresso di nuove imprese sul mercato. L’altezza delle barriere all’entrata di un settore è legata principalmente ai seguenti elementi: 

■ Economie di Scala: Se le imprese che operano nel settore in esame godono di economie di scala, le nuove imprese sono scoraggiate dall’ingresso sul mercato. Le economie di scala, infatti, permettono di abbassare il costo medio di produzione all’aumentare del volume produttivo realizzato: ciò significa che un nuovo entrante si troverà ad operare a costi medi maggiori di quelli relativi alla produzione delle imprese già presenti.  

■ Vantaggi di costo non legati al volume produttivo: Si tratta di vantaggi nella struttura dei costi dei quali godono imprese che hanno accesso riservato a particolari materie prime, localizzazioni geografiche, tecnologie produttive ecc.  

■ Differenziazione di Prodotto ed Identità di Marca: Si tratta di fattori che fanno percepire il prodotto offerto dalle imprese presenti sul mercato come particolare e dotato di caratteristiche non facilmente replicabili.  

■ Accesso ai canali di distribuzione: L’accesso ai migliori canali di distribuzione è solitamente appannaggio delle imprese già presenti sul mercato, le quali hanno già sviluppato relazioni con la filiera logistica spuntando le condizioni migliori.  

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■ Vincoli Governativi e Legali: Alcuni settori industriali presentano restrizioni sulla possibilità delle imprese di operare in essi. 

    

● Fornitori e Clienti: Le relazioni con parti terze rispetto all’impresa porta sempre con sé la definizione di un potere negoziale delle parti coinvolte. In particolare, una asimmetria nella distribuzione del potere negoziale caratterizzante la relazione con i fornitori può portare l’impresa ad ottenere condizioni di fornitura più o meno vantaggiose. Analogamente, la distribuzione del potere negoziale rispetto ai clienti determina la definizione delle condizioni di vendita del prodotto/servizio fornito dall’impresa, sia in termini di prezzo unitario dello stesso che in termini di servizi accessori garantiti dall’impresa stessa.  Una situazione nella quale i fornitori e/o i clienti abbiano un forte potere contrattuale nei confronti dell’impresa diminuisce l’attrattività del settore. 

 ● Prodotti Sostituti: 

Il prezzo che i consumatori sono disposti a corrispondere per un dato prodotto/servizio non dipende solamente dalle caratteristiche di quello specifico prodotto/servizio, ma anche dall’esistenza di prodotti che possano sostituire quello analizzato nella soddisfazione dei bisogni degli individui.  

● Rivalità tra Concorrenti: Una competizione intensa porta ad una corsa al ribasso dei prezzi fino ad un livello oltre il quale le imprese sarebbero costrette, nel lungo periodo, ad abbandonare la produzione.  L’intensità della competizione all’interno del settore è legata a diversi elementi. Ad esempio, una differenziazione nel prodotto offerto potrebbe essere utilizzata per spuntare prezzi unitari di vendita maggiori, grazie alla maggiore capacità del prodotto stesso di assolvere più compiti e/o di soddisfare un maggior numero di bisogni dei consumatori. Altro fattore molto importante è il numero di imprese che offrono prodotti considerabili come omogenei: se le imprese sono molte ciascuna di esse potrà immettere sul mercato solamente una quota irrilevante del totale del prodotto offerto. Ancora, un altro fattore importante è il tasso di crescita del settore: un elevato tasso di crescita consente di aumentare lo spazio a disposizione delle imprese in esso operanti e di ampliare nel tempo la produzione. Un ruolo fondamentale giocano anche le barriere all’uscita del settore, ossia la maggiore o minore facilità con la quale le imprese presenti nel settore che non riescano ad operare efficientemente possano abbandonare il settore stesso a fronte di costi minimi.  

 Modello del Ciclo Vita del Settore: Le caratteristiche di un settore ed il modo in cui queste inducono opportunità o minacce all’attività di impresa non rimangono immutate nel tempo. È possibile individuare un vero e proprio ciclo di vita anche per un settore di affari. Le fasi che possono essere individuate per il ciclo di vita di un settore sono: 

● Embrionale:  In questa fase una o poche imprese iniziano a sviluppare un nuovo prodotto. La domanda dei consumatori deve essere sviluppata insieme al prodotto. Non si hanno 

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profitti elevati perché i consumatori sono ancora pochi, le imprese non hanno ancora perfezionato il loro processo produttivo e non sono ancora stati raggiunti volumi produttivi tali da consentire di ottenere economie di scala nella produzione.  

● Sviluppo:  Dopo la prima fase il nuovo prodotto lanciato sul mercato inizia a diffondersi fra i consumatori ed i volumi di vendita delle prime imprese che sono entrate sul mercato iniziano ad aumentare: è ora possibile accedere a economie di scala nella produzione. Nuove imprese, però, sono in grado di entrare in possesso della tecnologia necessaria più facilmente di prima: pertanto, le barriere all’entrata del settore si abbassano e la prospettiva di elevati profitti attrae nuovi entranti.  

● Shakeout:  Lo sviluppo della domanda non può rimanere alto nel tempo. Si arriva perciò al livello di saturazione del mercato ed il suo ritmo di crescita inizia a rallentare. Basse barriere all’entrata del settore, domanda satura e nuovi entranti portano il settore a condizioni concorrenziali. L’unico modo per le imprese di difendere la propria quota di mercato è abbassare i prezzi di vendita del prodotto: la guerra di prezzo si spinge fino al limite per il quale le imprese meno efficienti non riescono più a coprire i propri costi variabili di produzione e sono quindi indotte ad uscire dal mercato.  

● Maturità:  A questo punto le imprese rimaste nel settore si confrontano in un settore il cui tasso di crescita è ormai quasi nullo. Il prodotto stesso è diventato indifferenziato e diventa quindi difficile mantenere la fedeltà della marca. Lo sforzo in questa fase, quindi, deve essere orientato principalmente ad abbassare quanto più possibile i costi di produzione ed a mantenere la fedeltà della marca.  

● Declino: Se la domanda del mercato continua a contrarsi, il settore entra nella fase di declino. La competizione fra le imprese rimaste diventa molto aspra e le barriere all’uscita del settore giocano una parte fondamentale.  

Dalla descrizione del ciclo di vita del settore si può comprendere come ciascuna fase dello stadio di sviluppo del settore stesso presenti per l’impresa differenti minacce ed opportunità.  

  L’analisi interna: L’analisi dell’ambiente esterno non è sufficiente, da sola, a definire le particolari linee strategiche che l’impresa dovrebbe adottare: al contrario, la strategia dovrebbe consentire all’impresa di schivare le minacce e di sfruttare le opportunità derivanti dall’ambiente esterno grazie ad una corretta gestione dei suoi punti di forza e di debolezza. Per punti di forza e di debolezza di un’azienda si intende indicare i processi e le attività che l’impresa sa condurre rispettivamente meglio e peggio dei propri concorrenti e che le consentono o le impediscono di raggiungere vantaggi competitivi sostenibili nel tempo: l’impresa dovrà dunque cercare di sfruttare i propri punti di forza e di annullare quelli di debolezza.  

La Catena del Valore (Porter, 1985): Porter ha messo a punto questo modello che rappresenta l’azienda come un insieme di attività, ciascuna delle quali contribuisce alla creazione del valore finale prodotto dall’impresa.  In generale, la catena del valore di Porter esprime il valore contenuto in un determinato prodotto o servizio come la somma dei contributi derivanti dalle attività svolte per la sua realizzazione. 

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Le attività individuate da porter vengono distinte in attività primarie e attività di supporto: le prime sono quelle che direttamente intervengono nella realizzazione del prodotto finito dell’impresa; le seconde, al contrario, non intervengono direttamente nella realizzazione del prodotto ma consentono lo svolgimento delle attività primarie. 

   L’Analisi SWOT: Una volta condotta l’analisi dell’ambiente esterno per l’individuazione delle minacce e delle opportunità e l’analisi interna dei processi e delle attività al fine di determinare i propri punti di forza e di debolezza, l’impresa deve ricondurre a unità i risultati delle analisi svolte.  Il confronto fra punti di forza/debolezza e minacce/opportunità prende il nome di analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats) e consente di individuare le linee per impostare la strategia aziendale: il fine di ogni strategia, infatti, dovrebbe essere quello di sfruttare le opportunità derivanti dall’ambiente esterno e, parallelamente, di annullarne le minacce facendo leva sui propri punti di forza e cercando di ridurre al minimo i propri punti di debolezza.  Dal confronto fra i punti di forza/debolezza e le minacce/opportunità l’impresa può individuare dei gap strategici, ossia dei disallineamenti fra ciò che l’impresa “sa fare” e ciò che “dovrebbe saper fare”.   Il processo di gestione strategica scaturisce dall’analisi SWOT ed è teso alla determinazione del piano d’azione per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. L’intero processo si sviluppa secondo l’articolazione stessa della struttura organizzativa.  In genere le grandi imprese presentano 3 macro-livelli gerarchici: 

1. Livello Corporate; 2. Livello Business Unit (BU); 3. Livello Funzioni; 

 Le decisioni prese al livello superiore influenzano e determinano quelle prese ai livelli successivi. La Strategia di Livello Corporate riguarda quindi l’organizzazione nel suo complesso ed è decisa dai massimi livelli dell’organizzazione. Consiste, ad esempio, nell’individuare il mix ottimale di BU presenti nei diversi settori e nel coordinare le loro attività, con il fine ultimo di creare valore per gli azioni e, in generale, per tutti gli stakeholder dell’impresa. Le decisioni tipiche possono essere quindi ricondotte a 2 macro-ambiti: 

● La composizione del portafoglio d’impresa; ● L’allocazione delle risorse tra le diverse BU; 

Quando un’impresa decide di intraprendere nuove attività che abbiano comunque dei legami con quelle già svolte in precedenza, si può parlare di portafoglio correlato, mentre quando i legami sono deboli o inesistenti, ci si riferisce ad un portafoglio conglomerato.  I motivi che possono portare a scegliere un portafoglio correlato sono diversi; tra questi: 

● Miglior utilizzo delle risorse disponibili; ● Allocazione più efficiente delle risorse; ● Possibilità di sfruttare economie di scala; ● Possibilità di giustificare investimenti, quali quelli in ricerca e sviluppo, a seguito del 

raggiungimento di una “massa critica” di attività; ● Condivisione delle conoscenze; 

 Gruppi conglomerati si formano invece non solo attraverso acquisizioni di aziende (natura esogena) ma anche a seguito di una profonda attività di ricerca interna (natura endogena). Si ricorre alla diversificazione conglomerata quando il valore prodotto nel complesso supera la somma dei valori che si otterrebbero separatamente da ciascuna attività. I vantaggi di un portafoglio conglomerale sono: 

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● Possibilità di gestire i flussi finanziari come una “banca”, finanziando tramite business a maggiore profittabilità business che necessitano di investimenti; 

● Diversificazione del rischio. Lo svantaggio maggiore è di tipo organizzativo: non si possono sfruttare sinergie tra BU ed il top management deve coordinare entità sostanzialmente autonome.   Le Matrici di Portafoglio: Le matrici di portafoglio sono degli strumenti che possono supportare la direzione centrale nella formulazione delle strategie di livello corporate e nel monitoraggio del processo di implementazione. Tra le matrici più diffuse c’è la matrice crescita-quota di mercato relativa del Boston Consulting Group (BCG). 

Matrice BCG: La matrice permette di prevedere l’andamento dei profitti e dei flussi di cassa associati alla collocazione nei quattro quadranti e suggerisce le strategie più appropriate per l’allocazione e la gestione delle risorse. 

● Nel quadrante delle stars si collocano le BU con elevata quota di mercato relativa e che operano in un mercato con alto tasso annuale di crescita. 

● Nel quadrante dei question marks ci sono le BU che operano in mercati in crescita ma con bassa quota di mercato relativa: costituiscono business con prospettive ancora poco chiare. 

● Nel quadrante delle cash cows ci sono BU con alta quota di mercato, ma che operano in mercati maturi, a basso tasso di crescita. Queste BU sono in genere leader di costo del mercato e quindi in grado di generare liquidità e profitti. 

● Infine nel quadrante dei dogs ci sono attività nella fase di declino del loro ciclo di vita (bassa quota relativa in mercati che non crescono più). Non c’è alcuna convenienza a investire in queste BU, e sono quindi candidate all’abbandono da parte del gruppo. 

 Il BCG suggerisce la strategia di mantenere un buon equilibrio tra cash cows e stars e, contemporaneamente alimentare uno o più question marks. In sintesi: 

● Mungere le mucche; ● Investire nelle stelle; ● Disinvestire dai cani; ● Analizzare gli enigmi con l’obiettivo di trasformarli in stelle. 

 La principale critica a questo modello è il ristretto numero di indicazioni che può fornire oltre alla difficoltà di circoscrivere gli ambiti del mercato di riferimento. Nonostante le critiche, a causa della sua sinteticità e facilità di lettura, è uno strumento molto applicato in ambito aziendale, in quanto permette di effettuare un rapido posizionamento strategico e di comporre il portafoglio d’impresa. Infatti un portafoglio è ben bilanciato se: 

● C’è un buon numero di cash cows in grado di assicurare profittabilità nel breve periodo e fornire flussi finanziari ai question marks; 

● Ci sono diversi question marks, quali basi per la profittabilità futura dell’impresa; ● Ci sono delle stars: ● Non ci sono dogs; 

 La prima delle numerose evoluzioni della matrice BCG è la matrice grado di attrattività del settore-capacità competitiva del business della General Electric (GE).  

Matrice GE: L’attrattività del mercato viene fornita tramite una valutazione soggettiva basata su fattori esterni: 

● Dimensione del mercato; 

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● Tasso di crescita del mercato; ● Redditività del settore; ● Ciclicità; ● Reattività all’inflazione; ● Importanza dei mercati esteri; 

  Anche per la capacità competitiva nel business viene fornita una valutazione soggettiva, basata sui fattori critici di successo che definiscono la posizione competitiva dell’azienda all’interno del proprio settore. In particolare si costruisce tenendo conto: 

● Della posizione di mercato; ● Della posizione competitiva; ● Della redditività relativa; 

 Le attività in alto a sinistra nella matrice presentano alti potenziali di crescita e di profitto, e sono quindi attività da sviluppare, mentre quelle in basso a destra, con potenziali di crescita e profitto nullo o negativo, sono considerate attività “da mietere” ed infine quelle sulla diagonale sono attività da mantenere in ragione delle potenzialità di sviluppo del mercato e di profitto. 

 Le matrici possono essere utilizzate anche all’interno di una singola BU quando questa desideri analizzare una serie dettagliata di segmenti di prodotto-mercato.  

Metodo del Parenting di Good, Campbell e Alexander  Good, Campbell e Alexander hanno introdotto un ulteriore strumento per identificare le core competence che il corporate dovrebbe sviluppare e diffondere nelle varie BU, quale metodo per determinare il migliore portafoglio possibile. Secondo ll loro approccio la strategia di diversificazione è giustificata solo se il corporate è in grado di fornire una serie di servizi alle BU che consenta loro di competere più efficacemente nelle imprese rivali. L’approccio è conosciuto come parenting ed è teso all’analisi dell’accordo tra strategia di livello corporate e strategie delle singole BU e l’allineamento tra competenze del corporate ed esigenze delle BU.  La rappresentazione è sempre matriciale e le dimensioni sono: 

● Rapporto tra fattori di successo e risorse del corporate; ● Esigenze della BU nei confronti del corporate e competenze del corporate; 

 Quando sono alte entrambe le dimensioni analizzate il corporate si dovrebbe comportare come una Parent Company.  Quando siamo nelle condizioni di Heartland il parent company è il fulcro di tutte le strategia, la “patria”. Quando siamo nelle condizioni di Ballast, invece, le BU possono operare con successo indipendentemente dal corporate (che è “zavorra”). Value Trap indica una posizione pericolosa: il corporate non è in grado di contribuire al successo delle BU, le quali, invece, manifestano esigenze. Alien, infine, indica una situazione in cui l’unica prospettiva è l’abbandono.  

Integrazione Verticale: Con l’espressione integrazione verticale si intende l’estensione delle attività dell’impresa, a valle, verso i mercati finali dei prodotti, o a monte, verso gli stadi precedenti nel percorso di creazione del valore. L’obiettivo può essere la riduzione delle incertezze legate all’approvvigionamento oppure il raggiungimento della stabilità dei flussi di vendita. Imprese fortemente innovative saranno tentate di integrare al proprio interno tutte le attività ed i servizi necessari alla produzione dei beni.  

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L’integrazione verticale comporta un aumento dei costi fissi, la perdita di flessibilità, la possibilità che insorgano problemi di bilanciamento tra parte integrante e parte integrata ed un inevitabile aumento dei costi amministrativi. Quando l’integrazione verticale si sviluppa a valle degli stadi produttivi previsti dalla configurazione originaria la trasformazione che subisce l’organizzazione è molto più profonda: è necessario introdurre nuovi processi produttivi, e a volte modificare i propri metodi di vendita nonché i canali di distribuzione e cambia il mercato di riferimento.  Tra i vantaggi legati ad una strategia di integrazione verticale possiamo considerare: 

● Più alte barriere alla concorrenza; ● Riduzione dei rischi degli investimenti su impianti specializzati; ● Protezione della qualità dei prodotti e servizi; ● “Soppressione” di mercati in cui non si + leader; ● Promozione di una più efficace programmazione e riduzione dei tempi di risposta al mercato; ● Aumento della domanda; ● Possibilità di investire le risorse in eccesso; 

 Gli svantaggi possono invece essere: 

● Aumento dei costi rispetto al mercato esterno; ● Rischio che le tecnologie evolvano troppo velocemente; ● Difficoltà nel prevedere la domanda; ● Reazioni negative dei clienti; 

 Harrigan ha individuato 4 Tipologie di Integrazione Verticale: 

● Integrazione totale; ● Integrazione parziale (l’impresa controlla solo una parte delle produzione ed acquista 

dall’esterno la restante parte); ● Quasi integrazione (l’impresa controlla parte del capitale del fornitore esterno); ● Contratti di lungo termine. 

 In realtà l’integrazione totale è adottata di rado, perchè rende più complessa l’organizzazione e fa aumentare il rischio, essendo le imprese più vulnerabili alle innovazioni tecnologiche.   Integrazione Orizzontale: Per integrazione orizzontale si intende l’estensione dell’attività svolta dall’impresa in altri mercati geografici, oppure l’acquisizione di imprese concorrenti, oppure la formazione di alleanze con altre imprese. L’integrazione orizzontale è molto diffusa; infatti anche piccole imprese operano in più attività, che possono essere differenti per clienti diversi, funzioni d’uso dei prodotti e tecnologie utilizzate. Porter ha individuato 3 Tipologie di Interrelazioni tra le BU di un’impresa, le quali non si escludono mutuamente ma contribuiscono in modo diverso a generare il vantaggio competitivo: quelle tangibili, le intangibili, e le interrelazioni con i concorrenti. Le interrelazioni tangibili derivano dalla possibilità di condividere alcune attività della catena del valore tra BU; quelle intangibili sono create tra catene di valore separate e riguardano principalmente scambi di conoscenza, know-how e capacità gestionali generiche; infine, due BU possono competere con due diverse unità di una stessa impresa diversificata, il corporate deve valutare in modo congiunto tutti i possibili “fronti” sui quali si può scontrare con la rivale.  La strategia di integrazione orizzontale permette, quindi, di ottenere specializzazione ed economie di scala, espansione territoriale, o di difendersi da un attacco da parte di un’impresa concorrente. Il principale ostacolo all’implementazione di strategie di integrazione orizzontale consiste nell’autonomia delle singole BU. solo negli ultimi anni stanno emergendo strutture organizzative con una dimensione orizzontale, con l’obiettivo di coordinare le strategie delle singole BU. 

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Porter ritiene che lo strumento fondamentale per implementare con successo la strategia di integrazione orizzontale sia l'organizzazione orizzontale, che si sovrapponga e non sostituisca quella verticale. La strategia di integrazione orizzontale è piuttosto osteggiata dalle autorità che disciplinano la concorrenza. Infatti porta alla concentrazione delle attività di un settore nelle mani di un piccolo numero di imprese.   La Diversificazione: Diversificare per un’impresa o per una BU significa entrare in una nuova attività imprenditoriale, attraverso lo sviluppo interno oppure attraverso acquisizioni o alleanze. L’acquisizione è forse il modo più rapido, ma non sempre è possibile identificare con esattezza un’impresa, disposta alla cessione, che permetta, una volta assimilata, di creare valore per gli stakeholder. Le economie di scala o di scopo sono altri fattori che potrebbero spingere verso una strategia di diversificazione. A volte la diversificazione può essere un valido strumento per acquisire tecnologie e competenze, anche di tipo manageriale, per fronteggiare la concorrenza. Il management ha, in genere, diversi vantaggi nel gestire un’impresa diversificata; alcuni autori sostengono che una strategia di diversificazione non correlata renda meno probabile che il management venga cacciato in caso di risultati negativi, in quanto i risultati di un’impresa molto diversificata riflettono, in genere, l’andamento dell’intera economia. La strategia di diversificazione si traduce in un insuccesso ogni qual volta si riscontrano costi superiori ai benefici ed errori di valutazione.  La strategia di penetrazione di mercato è forse la più applicata dalle imprese, comporta infatti la concentrazione sui prodotti e/o servizi, le tecnologie ed i mercati che l’organizzazione già conosce. Un’alternativa alla strategia di penetrazione è lo sviluppo di mercato. L’impresa può decidere di esportare in nuovi mercati geografici i prodotti e/o servizi che hanno avuto successo nei mercati correnti. Quando le risorse e le competenze interne, a seguito di un’attenta analisi, non dovessero rivelarsi sufficienti, si può ricorrere allo sviluppo esterno, mediante fusioni, acquisizioni o alleanze con altre imprese. Per fusione si intende l’integrazione di due o più imprese, in genere di dimensioni confrontabili, in una sola entità. L'acquisizione prevede invece che un’impresa ne rilevi un’altra e può essere ostile o amichevole.  Le fusioni e le acquisizioni possono essere motivate da vari fattori; tra questi: 

● Superare le barriere all’entrata in un settore; ● Acquisire quote di mercato, accelerando i tempi di entrata nel settore ed escludendo, nel 

contempo, un competitor; ● Controllare il settore, quando la fusione o l’acquisizione permette di presentarsi come gruppo 

dominante; ● Acquisire know-how in modo meno rischioso e più veloce rispetto allo sviluppo interno di 

competenze; ● Maggiori risorse, permettendo di ripartire i rischi di investimenti rilevanti. 

 Non sempre però le fusioni e le acquisizioni portano vantaggi alla nuova impresa, anzi spesso la indeboliscono.  In realtà il successo, o l’insuccesso, di una fusione o di un’incorporazione non è accidentale ma dipende: 

● Dall’esperienza pregressa del management in questo tipo di operazioni; ● Dalla tipologia di diversificazione; ● Dalla priorità che viene data al processo di integrazione; 

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● Dalla capacità del management di fronteggiare gli imprevisti;  

Un’alternativa molto pratica per implementare una strategia di diversificazione è l’alleanza strategica con un’altra impresa. Un’alleanza strategica è un accordo che si basa sulla reciprocità. Le imprese mantengono la propria indipendenza ed apportano in modo complementare risorse, competenze e tecnologie ad un’attività che permette di cogliere delle opportunità, suddividendo costi, rischi e vantaggi. Le alleanze possono assumere diverse forme giuridiche, dalla joint venture alla gentlemen agreement. I motivi che spingono le imprese ad alleanze strategiche sono molteplici. Tra questi: 

● Conseguimento della leadership di mercato; ● Fronteggiare le minacce competitive; ● Entrare rapidamente nei principali mercati; ● Fissare standard mondiali di prodotto; ● Riduzione dei costi per la R&S; 

 Di contro, dal punto di vista della singola impresa, non è possibile ottenere un pieno controllo su tutte le attività.  Strategie a Livello di Business Unit: Le business unit (BU) sono unità operative che vendono determinati prodotti e/o servizi a gruppi omogenei di clienti e competono con un insieme definito di imprese rivali. Esse sono sostanzialmente entità autonome e possono quindi formulare proprie scelte strategiche, sempre però nel rispetto dei vincoli imposti dalla strategia di livello corporate.  Le domande fondamentali a cui deve rispondere la strategia competitiva sono: 

● Quali esigenze/bisogni dei clienti intendiamo soddisfare? ● Quali gruppi di clienti vogliamo servire? ● Come intendiamo operare per soddisfare le esigenze dei gruppi di clienti identificati? 

 Le possibili strategie competitive sono diverse e possono essere raggruppate in 3 Macro-categorie: 

● Strategie generiche (valide in ogni ambiente competitivo); ● Strategie dipendenti dal settore e dalla fase del suo ciclo di vita; ● Strategie dinamiche (relative a situazioni particolari); 

 Secondo Porter le imprese possono adottare 4 Diverse Strategie Generiche per ottenere dei vantaggi competitivi rispetto le rivali: 

● Leadership di costo ● Differenziazione ● Focus sui costi ● Focus sulla differenziazione 

 Un’impresa può ottenere una leadership di agendo sulla propria struttura dei costi, creando valore ad un costo minore rispetto ai concorrenti e sfruttando la posizione di vantaggio per conquistare maggiori quote di mercato. Difficilmente la leadership di costo può essere compatibile con la strategia di differenziazione ed ha successo per mercati in cui i consumatori siano particolarmente sensibili al prezzo.  La differenziazione consiste nella capacità di un’impresa di distinguersi dalle altre, agendo sulle caratteristiche dei prodotti o sulle prestazioni dei servizi, oppure agendo sui fattori emozionali/emotivi dei consumatori.  Mentre la leadership di costo genera solitamente un’ampia quota di mercato, la strategia di differenziazione, dai dati empirici, sembra portare profitti più alti, in quanto molto più attenta alle 

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esigenze ed ai bisogni dei consumatori ed alla costruzione di una struttura in grado di rispondere prontamente ed in modo innovativo ai cambiamenti.  

⇒ leadership di costo >> differenziazione!  

Una caratteristica dei settori, che non dipende dallo stadio del ciclo di vita, bensì da elementi strutturati è la frammentazione.  Un settore è frammentato quando è formato da diverse piccole e medie imprese (PMI), nessuna delle quali riesce ad ottenere un predominio sulle altre in termini di quota di mercato. Per sopravvivere o riuscire a conseguire un vantaggio competitivo le imprese devono stabilire la strategia migliore per fronteggiare la frammentazione o tentare di ridurla.  Per fronteggiare la frammentazione le imprese possono: 

● Cercare o creare nuovi segmenti di mercato; ● Specializzarsi; ● Focalizzarsi su segmenti ad alto sviluppo; ● Operare in segmenti in cui la competizione sia meno forte; ● Ritirarsi dal settore; 

 Quando invece si preferisce agire perché il settore si consolidi, riducendo il numero di imprese che si contendono il mercato si può operare nel seguente modo: 

● Introducendo un prodotto a basso costo, standardizzato, che sia in grado di sostituire un’intera gamma di prodotti forniti da più imprese; 

● Adottando una strategia di franchising o affiliazione, che permetta di superare le barriere finanziarie e sfruttare economie di scala e scopo; 

● Adottando una politica di marketing particolarmente aggressiva; ● Entrando in mercati scarsamente dinamici; ● Acquistando imprese concorrenti; 

 Nei periodi di recessione economica, di diminuzione della domanda, di profondi cambiamenti demografici e dei gusti dei consumatori, alcuni settori tenderanno a consolidarsi indipendentemente dalle strategie adottate dalle imprese.  In ambienti fortemente dinamici, comunque, non è possibile stabilire delle regole che portino sicuramente alla definizione di strategie competitive di successo, piuttosto è possibile individuare alcuni principi che permettano di ridurre il rischio di insuccesso.  Evitare lo scontro frontale con imprese leader è sempre consigliabile; meglio tentare di conquistare quote di mercato che esse non possono o non vogliono conquistare. Le strategie adottabili sono: 

● Introduzione di prodotti sostitutivi; ● Introduzione di nuove modalità di distribuzione; ● Concentrazione su nicchie trascurate o emergenti. 

 Il Turnaround: Quando un’impresa si trova a fronteggiare un continuo peggioramento dei risultati è necessario che metta in atto le azioni più efficaci per superare le difficoltà e tornare ai livelli prestazionali precedenti o, se possibile, arrivare addirittura a migliorarli. In questo caso si dice la BU avvia un processo di turnaround, che parte da un’analisi approfondita dei fattori, endogeni ed esogeni, che hanno causato il declino, con l’obiettivo di valutare gli effetti e gettare basi solide per il recupero della situazione. Ovviamente in casi di turnaround non esistono ricette magiche, valide in qualsiasi contesto, ma è possibile, dall’esame di casi di successo o insuccesso, stabilire principi generali che possano aiutare nel processo di risanamento. La diagnosi è la fase più importante dell’intero processo. Le principali cause di una crisi possono essere ricondotte a tre fattori: 

● Recessione economica; 

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● Cambiamenti nella tecnologia; ● Responsabilità del management; 

 Quando la crisi è generata da una recessione bisogna essere pronti a cogliere le minime opportunità; la scelta è tra operare in modo aggressivo, approfittando della debolezza degli avversari, ovvero concentrarsi su posizioni difensive. Le innovazioni tecnologiche possono sconvolgere interi settori e spingere diverse imprese verso il declino. Molte crisi possono, invece, essere ricondotte a responsabilità del management. Con responsabilità del management si intende: 

● Incapacità da parte della direzione, a causa di carenze rispetto a particolari competenze, oppure a causa di errori nella progettazione della successione; 

● Dimensione eccessiva dell’impresa; ● Controlli finanziari non adeguati; ● Struttura dei costi sbilanciata, in particolare se i costi fissi sono troppo alti rispetto a quelli 

variabili; ● Inerzia: è una causa di crisi piuttosto perniciosa, soprattutto nei casi in cui le imprese diventano 

vittime del proprio successo.  Il processo di diagnosi interna può portare alla determinazione di 4 Possibili Stati: 

● L’impresa non è in grado di recuperare la situazione; ● Il recupero può essere solo temporaneo; ● È possibile che l’impresa sopravviva grazie ad un processo di turnaround, ma le condizioni 

esogene fanno comunque temere uno sviluppo limitato; ● Il recupero è sostenibile; 

 Il processo di turnaround sarà caratteristico di ogni singola situazione e contesto, alcuni principi possono però aiutare nei diversi casi: 

● Fermare le attività che sono in perdita; ● Controllare il cashflow con estremo rigore; ● Non avere fretta di redigere piani di recupero, ma dedicare il tempo necessario alla raccolta 

dei dati e all’analisi della situazione; ● Stabilire chi deve gestire il processo e con quali poteri; ● Effettuare un’analisi sulla capacità produttiva; ● Arrivare ad un piano strategico di rilancio; ● Fissare obiettivi realistici e raggiungibili, ma anche desiderabili e sfidanti; ● Promuovere la creatività organizzativa e lo sviluppo di nuove idee; ● Generare liquidità; ● Stabilire i criteri con cui si misureranno i risultati; 

 Ovviamente la possibilità di successo di una strategia di turnaround dipende da diversi fattori. Se un’impresa opera in possibilità del proprio punto di pareggio corre meno rischi di una che applica il turnaround quando i costi sono molto superiori ai ricavi.  Le strategie di turnaround più applicate sono le seguenti: 

● Ridimensionamento; ● Ricerca del consenso; ● Leadership e change management; ● Interim executive; ● Investire la liquidità ottenuta tramite le attività di ridimensionamento per sostenere nuove 

strategie; ● Se possibile scorporare divisioni o linee di prodotti e renderle spin-off, entità giuridiche separate 

le cui azioni possono essere offerte sul mercato; ● Andare controcorrente; 

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● Dipingere la situazione peggiore di quanto sia nella realtà; ● Rapidità nel cambiamento; ● Tagliare i costi senza necessariamente indebolire le prospettive di lungo periodo; ● Riorganizzare le attività dell’impresa con l’obiettivo di aumentare la flessibilità;  ● Alleanze e joint venture. 

    

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BIBLIOGRAFIA  Testo https://books.google.it/books?id=sF1NnwEACAAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q=proprietà%20e%20controllo%20dell'impresa&f=false  

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