cirpit 2-2011suplemento

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  • CIRPIT REVIEWRivista Internazionale On-line

    n. 2 - Supplemento AttiSupplement to the Proceedings

    Marzo 2011

    Centro Interculturale dedicato a Raimon Panikkarwww.cirpit.raimonpanikkar.it

  • CIRPIT REVIEW PUBBLICATION

    Editorial Board

    Editorial StaffAlessandro Calabrese, Intercultural PagePaolo Calabr, Epistemological PageMarcello Ghilardi, Aesthetics PageVictorino Perez, Philosophical PageGianni Vacchelli, Literary Page

    Editorial DirectorAnna Maria Natalini

    Intercultural Center dedicated to Raimon PanikkarPresident: M. Roberta CappelliniVice President: Giuseppe [email protected]

  • 3 Indice / Index

    3 Indice/Index

    4 Editoriale

    5 Editorial

    CONTRIBUTI POST COLLOQUIUM / CONTRIBUTIONS

    6 Rossella Bonito OlivaLALTRO IN ME,UNA FILOSOFIA DELLINCLUSIONE E DEL DIALOGO

    11 Wolfgang KaltenbacherCHE COSA LA FILOSOFIA INTERCULTURALE?

    17 Maria Esther MastrogiovanniRIFLESSIONE

    22 L. Anthony Savari RajECOSOPHICAL JUSTICE

    25 Lucas CervioLA FRATERNIDAD EN CONFLICTO Y EL CONFLICTO FRATERNO:APORTES DESDE LA INTERCULTURALIDAD

    42 Maria Roberta CappelliniLA FRATERNIDAD EN CONFLICTO Y EL CONFLICTO FRATERNO:APORTES DESDE LA INTERCULTURALIDAD

    LA PAGINA DELLARTE / ART PAGE45 Giorgio Taffon

    A NAPOLI, PER L'OMAGGIO A RAIMON PANIKKAR:UNA TESTIMONIANZA

    48 Giuseppe Fornasarig (presentazione di Giuseppe Cognetti)- IL SENTIERO DELLA RICERCA- CAMBOGIA 99- IL MANDALA DEL CUORE- CORANO 33/72- PER MARTIN BUBER: IL VOLTO FEMMINILE DI DIO: LA SHEKHINAH

    56 RECENSIONI / REVIEWS

  • 4 Editoriale

    ATTI DEL 1COLLOQUIUM CIRPIT

    LAssociazione Cirpit desidera ringraziare lIstituto Italiano per gli Studi Filosofici(IISF)e il Prof. Antonio Gargano, per il sostegno offerto al nostro progetto, il Dr. MarcoEmanuele e le Associazioni Napolitalia e Link Campus University e i Proff. AlbertoManco e Francesco Parisi dellUniversit lOrientale per le collaborazioni, le Universitdi Napoli, Siena e Bergamo, il Comune di Napoli, la Commissione Nazionale Italiana perlUnesco per i patrocinii, lEditrice Jaca Book e il Dr. Sante Bagnoli per la collaborazione.Ed ancora la D.ssa Rammairone per il servizio traduzione e lAgenzia SantElia per ilsupporto tecnico. Infine tutti i relatori e gli amici che sono gentilmente intervenuti aNapoli in occasione del 1Colloquium della nostra Associazione. Un particolareringraziamento va agli ospiti: ai Professori Vincenzo Scotti, Massimo Cacciari e GianniColzani. Ed ancora al Dr.Mario Cavani della Fondazione Culturale Responsabilit Eticaed alla D.ssa Milena Carrara Pavan curatrice dell'Opera Omnia (Edizioni Jaca Book),per il bellissimo video La mia Opera, (temi sviluppati e presentati dallautore stesso)la cui proiezione ha suggellato il termine dei Lavori. Ed infine un ringraziamento ancheai Soci e collaboratori del Cirpit ed al pubblico presente. A tutti un grazie di cuore peraver permesso la realizzazione di questo Colloquium.

    Editoriale

    Questo supplemento, a corredare gli Atti della Rivista n. 2, Marzo 2011,raccoglie alcuni contributi postumi relativi alle riflessioni scaturite spontaneamente daiLavori insieme ad alcune recensioni.

    Ci auguriamo che le riflessioni e le tematiche proposte in questi Atti possanocontinuare ad essere dibattute sul Forum delle nostre pagine web, che fa seguito alColloquium, invitando gli studiosi, i lettori e gli amici ad entrare in un dialogodialogalein merito al dibattito avviato a Napoli.

    Anna M. Natalini M. Roberta Cappellini

  • 5 Editorial

    Proceedings of the 1st Cirpit Colloquium

    Cirpit Association wishes to thank the Italian Institute for Philosophical Studies(IISF) and Prof.Antonio Gargano, for the support given to our project, Dr. MarcoEmanuele of Napolitalia Association and Link Campus University, Prof. Alberto Mancoand Francesco Parisi of LOrientale for their contributions, the Universities of Naples,Siena and Bergamo, the City of Naples, the Italian National Commission for UNESCO fortheir moral patronage. Furthermore Jaca Book Editors and Dr. Sante Bagnoli for theircooperation, Dr. Rammairone for the translation service and St. Elias Service for thetechnical support. Finally, all the speakers and friends who have kindly intervened inNaples on the occasion of the 1st Colloquium of our Association. Special thanks to theguests: Professors Vincenzo Scotti, Massimo Cacciari and Gianni Colzani. And still toDr.Mario Cavani of Fondazione Culturale Responsabilit Etica and to Dr. MilenaCarrara Pavan curator of the Opera Omnia (Jaca Book Editions) for the projection ofher beautiful video La mia opera (with themes presented and developed by theauthor himself) . And final thanks go to Cirpit staff and Members and to the public.Thanks to everybody for having allowed the realization of this Colloquium.

    Editorial

    This Supplement which accompanies the Proceedings of Cirpit Review n. 2March 2011, contains some contributions following up the Conference, together withsome book reviews. The questions addressed to the speakers by the public and friendshave been added, together with the speeches and reflections spontaneously arisenduring the debate.

    We also hope the discussions and topics raised by these papers will continue tobe debated on our Forum web pages, following the Colloquium, inviting scholars,readers and friends to join in a "dialogic dialogue" and in the debate started in Naples.

    Anna M. Natalini M. Roberta Cappellini

  • 6Rossella Bonito Oliva

    Rossella Bonito Oliva,Univ. degli Studi di Napoli LOrientale

    Luomo non solo, non unisola enemmeno un continente. Abbiamo bisognodel cielo. Luomo un mesokosmos, il puntoin cui convergono tutte le sfere della realt.

    Panikkar

    Tutta la vicenda personale di RaimonPanikkar testimonianza, esempio di una fe-conda combinazione tra culture, religioni, co-stumi. Linterculturalit non perci nel suocaso, se non indirettamente, oggetto di unateoria, ma condizione esistenziale di un intel-lettuale occidentale che riflette sulle proprieradici. Da questo intreccio Panikkar fa germo-gliare il problema e la condizione per un pen-siero che si alimenta di analogie, che si eserci-ta sui richiami per rintracciare, in un nuovoumanesimo e in una politica di pace, la possi-bilit di una metafisica n dogmatica, n dot-trinaria, piuttosto terapia per una riconcilia-zione tra uomo, Dio e mondo.

    Da un lato lassunzione radicale del bi-sogno di connessioni pi che di separazioni,

    dallaltro la profonda e raffinata conoscenzadi culture tra loro fortemente distanti e geo-graficamente lontane d consistenza e vivaci-t al discorso di Panikkar che nei suoi testi enei suoi discorsi usa esempi e citazioni attin-gendo liberamente dalla cultura cristiana e daquella induista focalizzandone le affinit. Que-sto stile di discorso lascia emergere il ripetersiin scenari diversi di un uguale bisogno metafi-sico che si sprigiona dallumano senso di fragi-lit. Una condizione esistenziale che alla ba-se di un sentimento religioso, ma anche capa-ce di generare falsi idoli e irrigidimenti, comesi dato spesso nella nostra tradizione preoc-cupata solo della vittoria sulloriginaria insicu-rezza e finitudine.

    Non si tratta di procedere per opposi-zioni o rovesciamenti, perseguendo lo stile delconflitto pi che quello della comprensione edellinterpretazione, Panikkar propone inveceunermeneutica del dialogo dialogale in cui laresistenza delle differenze culturali e di quellelinguistiche si fa energia creativa di alternativepossibili contro lomologazione e la subordi-nazione. Il punto di contatto perci non puessere trovato nelle espressioni, ma nelle mo-tivazioni che muovono la relazione delluomoverso il mondo e verso Dio in direzione di una

    LALTRO IN ME,UNA FILOSOFIA DELLINCLUSIONE E DEL DIALOGORossella Bonito Oliva

  • 7Rossella Bonito Oliva

    risposta. Sarebbe forse pi giusto affermareche la continuit si rende per Panikkar visibilenei punti di incertezza, nei balbettii, nei mo-menti di crisi e nei pensatori di rottura, l do-ve la sicurezza cede alla pi originaria fragilitumana.

    Si tratta per Panikkar come gi per Kant,che si muoveva ancora allinterno del proget-to di secolarizzazione del Moderno, di far e-mergere lineludibilit del bisogno pi profon-do e pi lacerante della ragione di oltrepassa-re la frammentariet per tracciare un orizzon-te unitario nel cammino in-finitodellesperienza umana nella triangolazione trame, mondo, Dio1. In questa prospettiva ne-cessario recuperare questa profonditdellesperienza smarrita nella immanentizza-zione a-religiosa2, che lascia unirrequietezzainteriore nel singolo. Tra il potere della scien-za e linquietudine individuale solo una nuovareligiosit senza assolutismi pu creare unponte. Non perci questione di tolleranza odi conciliazione tra religioni diverse, quanto diuna spinta profonda, ma non singolare, po-tente, ma non assolutizzante, cui la religiositrisponde con accenti diversi.

    Linsistenza stessa sulla religiosit piut-tosto che sulla religione permette a Panikkar,perci, di uscir fuori del dilemma relativo alladimensione privata o pubblica della fede sol-levata dalla modernit e portata avanti nel di-battito della postmodernit. La questione reli-giosa la questione stessa delluomo.

    1 I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. G. Colli, AdelphiMilano 1995.2 R. Panikkar, Forme e crisi della spiritualit contempo-ranea, In Studi cattolici, VI, 33, Roma 1962, pp. 5-19ora in Id. Concordia e armonia, Mondadori Milano2010, p. 11.

    La metafisica occidentale diventa vio-lenza nella misura in cui tende ad assolutizza-re lessere, trascurando la complessa articola-zione della connessione tra uomo, mondo eDio, radicata nel bisogno, nella dipendenza,nella paura3. Non possibile eludere, nem-meno attraverso le certezze della scienza,una qualche risposta allinterrogativo religio-so, al bisogno di un orizzonte unitario sia purefuori di ogni rassicurazione sistematica.Luomo un essere religioso perch scoprein se stesso una consapevolezza che lo apre almistero, che poi scopre immanente in tutte lecose4. Si tratta di riportare alla luce il respiroe leco della trascendenza smarrita nel sognodella modernit assumendo il mistero elineffabile come linfa delle relazioni umane.In altre parole luomo moderno vuole, vor-rebbe avere fede5, ma finisce per cedere allerassicurazioni della scienza e al potere dellacultura egemone. Da questo punto di vista lariscoperta della religiosit allarga le coordina-te della vita umana a quanto rimane mistero,in fieri, in trasformazione, fuori del potere de-gli individui, minando alla base la sterile auto-referenzialit a favore della capacit di istitui-re relazioni.

    Distinguendo tra fede e credenza cometra religione e religiosit Panikkar insiste sulfattore emotivo pi che sulle asserzioni dellaragione, sul lato soggettivo piuttosto che suquello oggettivo cercando nelle pieghe del

    3 E.Levinas sottolinea listanza omologatrice e astraentedella metafisica occidentale come una vera violenza,cfr. Id, Totalit e infinito, tr. it. a cura di S.Petrosino,Jaca Book Milano 1983.4 R. Panikkar, Un punto di incontro tra le prospettivereligiose. Non giustizia rispondere con il male al malein Humanitas, 2, 2004, pp. 343-352, ora in Id. Concordiae armonia. Cit. qui p. 99.5 R. Panikkar; Forme e crisi. cit. p. 20.

  • 8Rossella Bonito Oliva

    cuore il fondo pi originario di artifici nei qualiluomo stesso rimasto intrappolato. PerciPanikkar ritrova nella religiosit, quel senti-mento, comune a pi religioni che le connettedallinterno nel riferimento comuneallineffabile in cui si raccolgono sentimenti,bisogni, aspirazioni nella tensione al legame.Solo su questa via si pu rintracciare la possi-bilit di una felice coincidenza tra esperienzapersonale e itinerario filosofico, al cui internola fede (cristiana, induista, buddista) riportan-do locchio umano al mondo accende il rap-porto con laltro. Panikkar ricorda, infatti, ilsignificato pi antico di re-ligio, ci che unisce,anche se solo lo spostamento sulla trascen-denza disattiva qualsiasi assolutismo autore-ferenziale. Linteresse e la familiarit con unavasta e variegata cultura induce Panikkar arintracciare nella variet i punti di contatto enelle tradizioni la spinta alla libert che animaogni fede come specifico delluomo.Nellallargamento della prospettiva che carat-terizza e insieme circoscrive ogni conoscenzaemergono le affinit smarrite nelle successiveguerre di credenze, di religioni e di civilt di-svelando nellincontro tra differenze il destinostesso di ogni individualit. N un misticismoamorfo, ma nemmeno una pedante ricerca didifferenziazione producono larricchimentocontinuo della condizione umana.

    Come nella rappresentazione di Magrit-te de la condizione umana lindividuo, se-condo Panikkar, guarda il mondo come attra-verso una finestra: i margini delimitano equindi necessariamente riducono e deforma-no la realt, anche se la trasparenza del vetroproduce lillusione di una visione diretta. O-gnuno una finestra sul mondo dice Panikkarin unintervista, quel mondo che si allarga nelconfronto tra la vista prodotta nelle diverse

    finestre. Laltro perci si fa avanti nel senti-mento della dipendenza, pi avanti divienebraccio fondamentale della mia relazione almondo. Ogni cosa oltre ci che io vedo, ol-tre la singola cornice, l dove le finestre simettono in comunicazione reciproca. In que-sto rinvio continuo che si avvale del dialogodialogante6, di un sentire transindividualeeppure sfaccettato in cornici necessariamentedistinte, ma non tragicamente diverse, si atti-va la plurisonanza del mondo negli uomini.

    Il sentimento della trascendenza allorasottolinea il limite e nel limite indica la viaverso lAltro, il divino, e laltro uomo comeapertura. Panikkar ben consapevole del fat-to che lessere in cammino non assicura sullameta e sulla sua raggiungibilit. Si tratta di di-sporsi alla ricerca, di aprirsi appunto al miste-ro nella convinzione che solo questa pu esse-re la via di un arricchimento progressivodellindividuo. In unintervista Panikkar, infat-ti, sottolinea come la stessa identit sia un fal-so concetto, dal momento che pu corrispon-dere al massimo al significato che assume neldocumento di cui ognuno dispone nella vitacivile. Il documento, per, ci che ci identifi-ca per un altro, per un controllo impersonale,in qualche modo dallesterno e attraverso co-dici pi che in quanto persona. E uno stru-mento legale, che niente dice della personacome entit dinamica e aperta che forse solola morte pi fermare.

    Il pericolo si cela nellassunzione di que-sti atteggiamenti burocratici nello stesso rap-porto con noi stessi, nella misura in cui ce-diamo alla tentazione di certezze a buon mer-cato, di una spettacolarizzazione dei nostri

    6 Dallultima videointervista di Panikkar Studio Oikos diMarco Manzoni

  • 9Rossella Bonito Oliva

    corpi e delle nostre anime. Non un peccato,ma uno scacco, secondo Panikkar per il qualela pienezza per luomo nellapertura,nellesperienza piena della relazione conlaltro da s che sia mondo, che sia Dio olaltro uomo. In questo orizzonte ogni chiusu-ra come ogni irrigidimento si traduce in unoscacco per la conoscenza e per la libert, an-che allinterno delle teorie filosofiche.

    In questa apertura circolare e in-finitarispetto a ogni singolo dallIo al mondo e dalmondo allaltro nascosta la risorsa per unrinnovamento della vicenda umana, che evitiogni gerarchia, ordine, livellamento per ritro-vare il divino in ogni cosa, rendendo ogni cosasacra e necessaria: la natura, laltro uomo, ilvicino come lo straniero. In questo senso nonsi mai soli nella propria ricerca, condividen-do un destino di fragilit che spinge al con-fronto, allesperienza della libert da ogni vin-colo attivato in quel sentimento ineffabile dellegame con il mondo, con laltro7. Laltro, per-ci, implicato nel mio stesso limite, pre-sente in me, e ogni autoreferenzialit solounartificiosa idealizzazione che inducelillusione di sollevare i piedi da terra, da tuttoquanto ci ingombra e ci impaccia. Aprirsiallaltro significa per Panikkar disporsi a quan-to mi accomuna allaltro nella fragilit, nel li-mite, nella impossibilit della trasparenza edella coerenza, piuttosto che nellidentit incui si cela solo una sorta di volont di potenza.

    La sottolineatura dellintra preferitaallinter e al multi consente a Panikkar di lavo-rare su un terreno di confine tra universale eparticolare, razionale e emotivo, trascendentee immanente rinunciando ad un tempo ad o-

    7 R.Panikkar, Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiri-tualit della terra, Cittadella editrice, Assisi 1993.

    gni assunzione di certezze a favoredellattenzione a tutto quanto sempre in fie-ri per luomo in cammino nella ricerca,nellaccettazione coraggiosa dellimpossibilitdi poter raggiungere una qualsiasi meta informa definitiva.

    Non certo la volont che pu condurresu questa strada conciliatrice, dal momentoche per Panikkar non si tratta di imparare o didivenire secondo la visione superegoica e con-torta dellOccidente morale, quanto di proce-dere verso la purificazione e lascolto delsemplice che parla attraverso il cuore. Il divinocome trascendente in tal modo si manifesta inquanto rimarrebbe intattingibile per luomochiuso nella sua difensiva autoreferenzialit.Solo il divino apre lumano allamore, al per-dono conferendo unampiezza di respiro allaquale luomo spesso rinuncia in nome di unasterile vittoria.

    Rintracciare laltro non richiede unospingersi allesterno, unoperazione artificio-sa, ma pi semplicemente significa mettersiallascolto, rintracciare laltro dentro di me,dove stato occultato. Ne sentiamo il richia-mo se solo abbandoniamo le tracce del narci-sismo occidentale. La cosmoteandria di Panik-kar sottolinea, infatti, limplicanza tra legamecon il mondo e legame con laltro: romperequesta circolarit tra uomo e mondo produceillusorie certezze e false risposte, conflitti e la-cerazioni. Solo nellassunzione della pluralitdei punti di vista, attraverso i quali e non, no-nostante i quali, si attinge il senso pi profon-do della vita come della morte che intrecciaogni cosa. In questa prospettiva non possibi-le riprodurre polarizzazioni facendo inclinarequesta volta il positivo sullOriente a sfavoredellOccidente. La polarizzazione stessa unapatologia della modernit, cos come la loca-

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    Rossella Bonito Oliva

    lizzazione geografica del bene o del male asso-luto che occulta quella fluidit che dello spi-rituale8.

    In questo senso Panikkar preferisce lametafora al ragionamento, al rigore logico. Lametafora conserva in s lineffabile, assumelimpossibilit della trasparenza, lavora sugliintrecci piuttosto che sulle evidenze: dichiarada subito la sua contiguit con luniverso e-motivo, con la dipendenza dal mondo, mo-strando in controluce il bisogno metafisicoche anima la visione cosmoteandrica. La mo-dalit della riflessione giocata su aforismi emetafore mette alla prova per lautore questaenergia dellintra che egli ha sperimentatonella sua formazione dalla teologia cattolicaalla cultura indiana ereditata dal padre e ri-cercata nei suoi viaggi in et matura. Questocarico esistenziale permette a Panikkar digiungere a quello che non un artificioso sin-cretismo proprio perch si gioca nel richiamodelle affinit, che si liberano l dove si resti-tuisce alla teoria linflessione interrogativacon cui si sprigiona dalluomo. Non si d unatraducibilit del mito che come spiega il ter-mine antico mythos ha al suo interno il silen-zio e la testimonianza, ci che pi proprio,ma che deve essere necessariamente condivi-so9. In quanto in ci che non si pu dire si celaquanto, sia pur contraddittorio, rimane vero.

    Una sorta di rimozione destinata a ripe-tersi nel tempo e nello spazio proprio per la

    8 La posizione di Panikkar anticipa le posizioni che a li-vello politico sono assunte da A.Sen che sottolinea lacecit dellOccidente verso gli elevati valori presentianche nella storia della cultura orientale, cfr. Id. La de-mocrazia degli altri. Perch la libert non uninven-zione dellOccidente,tr. It Mondadori Milano 2004.9 R. Panikkar, Mito, simbolo, culto, in Opera Omnia, vol.IX, tomo I, Jaca Book Milano 2008.

    sua debolezza, impotente dinanzi a ci chetrascende la capacit dazione delluomo. Aquella che una volont di potenza e una ra-dicalizzazione delle differenze, Panikkar sosti-tuisce lassunzione delle contraddizioni comeparte integrante della realt, in quanto ele-mento di una verit non selettiva. La contrad-dizione e quindi le distinzioni sono il sale stes-so della vita che si sviluppa dal confronto, daldialogo tra prospettive diverse piuttosto chesul monolitismo voluto dallOccidente. Ognidiscorso perci dialogo, confronto di miti,l dove il mito per Panikkar linterodelluomo, senza la pretesa di essere ogni co-sa. Il mito trattiene in s lineffabile, la condi-visione emotiva, qualcosa di magico in cui racchiusa la possibilit stessa di un cammino.In questo orizzonte il mito resta inattaccabile,nella misura in cui non pretende e non rap-presenta se non lumano nella sua relazionecon il mondo, con laltro. I miti non possonoessere propagandati, n pubblicizzati perchrichiedono una convinzione interiore senza laquale diventano folclore superficiale.

    E in questa prospettiva che si imponeloriginalit e la fecondit di un pensiero qualequello di Panikkar che non intende segnarefini o punti di arrivo, ma solo liberare lenergiache si sprigiona in tutte le relazioni se solo siimpara a lasciar essere lumano delluomo chenon conosce confini, territori o localizzazioni,ma solo lessere in cammino come apertura.

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    Wolfgang Kaltenbacher

    Wolfgang Kaltenbacher,Universit degli Studi di Napoli LOrientale.

    Il ventesimo secolo ha visto la fine degliimperi coloniali insieme allascesa di una va-riegata critica delle ideologie coloniali. Il clas-sico colonialismo (quasi) scomparso, ma alsuo posto troviamo oggi forme pi sofisticatedi dominio. La critica della visione eurocentri-ca del mondo sorta non soltanto nelle ex co-lonie, ma anche nei paesi occidentali, in formadi unautocritica del pensiero europeo. La crisidella coscienza europea rivela contemporane-amente le sue debolezze e i suoi punti di for-za. A questultimi appartiene la capacit dimettere se stessi in discussione. Questo vale,sintende, solo per le tradizioni pi nobili delpensiero europeo.

    Con la critica delleurocentrismo ha ini-zio tra laltro una riflessione pi sistematicasul contesto culturale della filosofia di cui sioccupa la filosofia interculturale. Bench la fi-losofia si sia sempre occupata implicitamentedi problemi interculturali, la filosofia intercul-turale come tentativo esplicito di affrontare iproblemi dellinterculturalit nata solo qual-che decennio fa. Linterculturalit comparsa

    come oggetto di studio in varie altre discipli-ne, molto tempo prima che i filosofi avvertis-sero il bisogno di riflettere sistematicamentesui problemi interculturali (Hinnenkamp 1994,Monceri 2000 e 2006, Kaltenbacher 2004).

    Gran parte dei testi sulla filosofia inter-culturale sono stati scritti e pubblicati daglistudiosi e dalle istituzioni intorno alla rivistapolylog Forum for Intercultural Philosophy.Bench i singoli autori di questo gruppo ab-biano definito la filosofia interculturale in mo-do diverso (Wimmer 2004: 50), c ovviamen-te un consenso di base sui requisiti minimidella filosofia interculturale:

    Noi intendiamo la filosofia interculturalecome limpegno di dare espressione alletante voci della filosofia, ciascuna nel suocontesto culturale, e di creare in questomodo una discussione fruttuosa e condivisain cui tutti abbiano eguali diritti. Nellafilosofia interculturale vediamo soprattuttoun nuovo orientamento e una nuovapratica della filosofia: una filosofia cherichiede un atteggiamento di rispettoreciproco, di ascolto e di disponibilit diapprendere. richiesto un nuovo orientamento, per-

    ch riconoscendo la situazionalit culturale

    CHE COSA LA FILOSOFIA INTERCULTURALE?Wolfgang Kaltenbacher

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    Wolfgang Kaltenbacher

    della filosofia le posizioni filosofiche devonoaffermarsi sul livello interculturale, e la cultu-ra e le culture devono essere mantenute con-sapevolmente presenti come contesto del fi-losofare. Una nuova pratica necessaria per-ch la nuova consapevolezza richiedelabbandono di una produzione individuale emonoculturale della filosofia, e si cerca inveceuna polifonia dialogica, dinamica e fondamen-talmente aperta delle culture e delle discipline(http://prof.polylog.org/obj-en.htm [29 ago-sto 2010]).

    Allinterno di questo quadro generaletroviamo approcci diversi alla filosofia inter-culturale che in parte possono essere conside-rati complementari. La filosofia interculturaleparte dalla consapevolezza del contesto cultu-rale della filosofia e della rilevanza di questocontesto per lo sviluppo delle teorie filosofi-che. Da qui risulta il compito di riflettere si-stematicamente sulla relazione tra la produ-zione filosofica e il suo contesto culturale, disviluppare nuovi strumenti e metodi per esse-re in grado di comprendere culturalit ed in-terculturalit in filosofia. La consapevolezzadel ruolo del contesto culturale cambia la no-stra sensibilit e il nostro atteggiamento neiconfronti di altri contesti culturali e ci invita ariflettere metodicamente sui problemi cultu-rali ed interculturali. La filosofia allarga, tra al-tro, la sua competenza ad una filosofiadellinterculturalit (Cesana 2007: 55).

    La culturalit di ogni tradizione filosoficanon implica, per, un determinismo e relativi-smo culturale. Nonostante il condizionamentoculturale della produzione filosofica possibi-le mantenere la convinzione di una verituniversale, bench non possiamo pi preten-dere di avere un accesso privilegiato o esclusi-vo a questa verit. Essa rimane unidea re-golativa.

    La filosofia interculturale pu cambiarela percezione della propria tradizione filosofi-ca. In particolare la filosofia occidentale sta-ta criticata per la sua autopercezione ed sta-ta invitata ad aprirsi ad altre tradizioni. veroche molti autori occidentali sono convinti chela filosofia sia una conquista esclusivamenteeuropea, e questo sicuramente sbagliato.Dallaltro lato non va dimenticata la curiositche gli europei hanno sempre avuto nei con-fronti delle altre culture e che questo interes-se non era sempre motivato da una bramaimperialista. La critica delleurocentrismo haoccupato molto spazio nelle prime pubblica-zioni della filosofia interculturale. Contempo-raneamente sono stati respinti tutti gli altricentrismi come il sinocentrismo oppurelafrocentrismo (Wimmer 2004: 53-62; Neder-veen Pieterse 2009: 70). Sembra essere cosaovvia che si debba andare oltre la propria tra-dizione, e la filosofia interculturale pretendedi dare un contributo per raggiungere questoobiettivo, individuando le differenze culturalie le somiglianze transculturali (Cesana 2007:53), unimpresa che presuppone competenzeparticolari.

    La filosofia interculturale va distinta dal-la filosofia comparata. Su questa distinzionehanno insistito soprattutto gli autori della filo-sofia interculturale. La filosofia comparata,nella sua forma storica, non ha come partico-lare obiettivo la riflessione sul contesto cultu-rale della produzione filosofica e i filosofi diquesto campo in realt non si sono preoccu-pati pi di tanto dei presupposti culturali delproprio pensiero. Dallaltro lato la filosofia in-terculturale dipende dalla comparazione di di-verse tradizioni filosofiche, e quindi deve af-frontare anche tutte le difficolt della filosofiacomparata. Occorrono studi molto approfon-diti prima di poter fare qualsiasi comparazio-

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    Wolfgang Kaltenbacher

    ne. Sono proprio gli studiosi pi specializzatiad avere delle riserve nei confronti della filo-sofia comparata. Si pensi solo agli studi sullevarie tradizioni filosofiche del subcontinenteindiano. Gli indologi hanno buone ragioni adessere scettici sulle comparazioni fatte da filo-sofi che non hanno mai studiato i testi nellalingua originale ma solo in qualche traduzioneinglese.

    Essendo incompleta o incerta la nostraconoscenza di altre tradizioni, la filosofia in-terculturale pu comunque cominciare con lariflessione sul contesto culturale della propriatradizione, vagliandola in base alle sollecita-zioni e agli spunti provenienti da altri ambiticulturali. Dal confronto possono sorgere do-mande che mettono in nuova luce la propriatradizione senza tuttavia esigere una cono-scenza perfetta delle altre tradizioni.Lincontro con la cultura giapponese, ad e-sempio, ha fatto emergere il profondo carat-tere europeo del concetto di cultura (ha-shi 1984; Monceri 2000). Il termine colere, ilcoltivare della natura, originalmente limitatoallambito dellagricoltura, fu gradualmenteesteso a tutti i campi della vita umana. La tra-sformazione della natura, la creazione di unaseconda natura in questo laspetto rile-vante. Nella moderna lingua giapponese fuconiato un nuovo termine (bunka) per espri-mere il concetto europeo di cultura. Quantofosse diversa la concezione della relazione traluomo e la natura nel Giappone tradizionalesi evince dalla famiglia di parole che servivaper caratterizzare i vari aspetti della culturaprima dellintroduzione del termine bunka.Lideogramma f, il vento, in combinazionecon le varie espressioni specificanti, forniva glielementi linguistici per descrivere tutta la sfe-ra della cultura. Il fatto che f, un elementonaturale, indicasse lambito della cultura, di-

    mostra per hashi che il rapporto tra luomoe la natura era concepito in Giappone in modocompletamente diverso. Il compito della cul-tura non stato la trasformazione della natu-ra, bens lautoassimilazione, scrive Monceri.Questo non devessere frainteso. La culturanon stata il diventare uno con la natura.Cultura stata la ricerca del postodelluomo tra cielo e terra, illustrata nella pa-rabola della ruota idraulica che nondevessere messa n troppo profondamentenellacqua, n fuori lacqua. La parabola vieneattribuita al filosofo giapponese NinomiyaSontoku. In un periodo in cui si annunciavanograndi cambiamenti, a cavallo tra il Settecentoe lOttocento, egli difendeva lideale confucia-no delluomo di cultura, il quale munito diun libro e di un attrezzo agricolo cercava dimantenere lequilibrio culturale. Con questaparabola prendeva le distanze sia dal buddhi-smo, paragonandolo alla ruota abbassatatroppo profondamente nellacqua, sia dallosviluppo dellindustrializzazione che gi si po-teva intravedere e che avrebbe portatoallabbandono dellagricultura edallalienazione dalla natura, simboleggiati dal-la ruota idraulica fuori lacqua (Ishiguro 1955).

    Il concetto occidentale di cultura hainiziato a sgretolarsi durante il ventesimo se-colo, secolo che ha visto una vertiginosa acce-lerazione della mondializzazione. In tutte lediscipline che si occupano di fenomeni cultu-rali il concetto statico di cultura viene sostitui-to da un concetto dinamico. Le culture nonsono immutabili, non sono entit fisse. Ognicultura il risultato di un complesso processostorico con innumerevoli contatti e scambicon le altre culture. Nessuna cultura esiste inmodo isolato e i confini delle culture non si la-sciano definire con precisione. La definizionedi cultura dipende dai criteri che si applicano,

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    Wolfgang Kaltenbacher

    dalla Kulturnation alle culture locali, a unitancora pi piccole. Alla fine ogni individuo hala sua cultura.

    Indipendentemente dalla definizione dicultura certo che non possiamo mai lascia-re il circolo culturale al quale apparteniamo,ma il circolo pu cambiare e noi con esso.Possiamo allargare o cambiare il nostro oriz-zonte. Con ogni passo che facciamo si sposta,in effetti, il nostro orizzonte. Era sbagliato,quindi, considerare lorizzonte una cosa stati-ca. Gadamer non lo ha mai fatto. La sua meta-fora della fusione degli orizzonti meritavauna valutazione pi attenta. Negli studi inter-culturali questa metafora gadameriana statainterpretata come un sintomo di una culturadellusurpazione e quindi respinta categori-camente. Lespressione tedesca Horizontver-schmelzung ambigua, come ha ricordatoPhilippe Eberhard (2004). Essa contiene con-temporaneamente uno e molti orizzonti. Siparte da molti orizzonti e si inizia ad entrare inun comune contesto di comunicazione, sicondivide in parte un orizzonte. Ogni metafo-ra ha i suoi limiti e deve essere interpretata,cos anche la metafora della fusione degli o-rizzonti che alla fine non tanto lontana daquella delle sovrapposizioni (berlappungen),usata dalla filosofia interculturale. noto cheil tardo Gadamer si interessato del dialogointerculturale. Ram Adhar Mall, per, si la-menta che Gadamer non abbia praticato que-sto dialogo e che sia sempre rimasto legato aun concetto eurocentrico della filosofia. Non un segreto che la filosofia di Gadamer statalegata fin dallinizio al pensiero greco.Dallaltro lato non possono essere pi ignoratii tentativi di Gadamer di aprire il proprio pen-siero ad altre tradizioni (Grondin 2007). La co-siddetta ermeneutica analogica o erme-neutica interculturale non ha mostrato, co-

    munque, quel passo rivoluzionario oltrelermeneutica classica, almeno per quanto ri-guarda il suo aspetto epistemologico. Ci sonovari problemi irrisolti nella filosofia di Gada-mer, ma non si pu negare che il suo pensierooffra elementi fondamentali per la filosofia in-terculturale. La massima, che la prima filosofiadi un autore classico debba essere distinta dalsuo atteggiamento culturale, vale in particola-re per Hegel il quale stato criticato forte-mente dalla filosofia interculturale, ma spessoin modo molto superficiale. ovvio che alcunielementi della filosofia di Hegel sono inaccet-tabili. Non possiamo seguire Hegel nella suametafisica della storia delle religioni, permenzionare solo un aspetto, ma il quadroconcettuale che offre molto utile per lo svi-luppo di una teoria pluralistica (Nagl-Docekal/Kaltenbacher/Nagl 2008: 27).Nellincontro delle culture possiamo eviden-ziare il contesto comune di comunicazioneoppure esaltare le differenze. In ogni caso He-gel ci offre un ampio spettro di strumenti con-cettuali sofisticati per lanalisi dei processi in-terculturali, e in questo Hegel rappresenta so-lo il culmine di una ricca tradizione del pensie-ro dialettico che prima di tutto indica la natu-ra dialettica di ogni concetto. Ci che ci divideda altre tradizioni ci unisce a loro. Conoscere ilconfine significa essere gi al di l di esso. Ilprocesso della comprensione interculturale graduale. Non esiste unassoluta incompren-sibilit, ma altrettanto vero che rimarrannosempre differenze culturali. Rimarr, quindi, ilcompito della traduzione interculturale.

    Unepistemologia della filosofia intercul-turale dovrebbe partire dal processo comples-so di un reale allargamento dellorizzonte incui nuove categorie vengono adottate e lapropria posizione continuamente cambiata.Ho descritto questo modello epistemologico

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    Wolfgang Kaltenbacher

    in un altro contesto come universalismo dia-lettico che respinge e supera sia il relativismoculturale sia luniversalismo astratto (Kalten-bacher 2008: 280).

    Modelli simili sono stati sviluppati da al-cuni autori della filosofia interculturale. Clau-dia Bickmann parte dallidea di una philoso-phia perennis la quale, per, non pu esserereclamata come possesso esclusivo di nessu-no. Ci sono accessi differenti alluniversale. Levarie culture hanno approcci diversialluniversale, e questo un fatto che non puessere pi ignorato. Le differenze devono es-sere riconosciute. Dallaltro lato non possiamorinunciare alluniversale. Il bisogno di contro-bilanciare la filosofia unilaterale delluniversa-lismo astratto ha portato alla creazione di unaltro pensiero unilaterale, la filosofia della dif-ferenza. La filosofia interculturale in sensostretto nata nella grande corrente della filo-sofia della differenza. Le particolarit delle di-verse tradizioni filosofiche dovevano esseredifese e rivalutate. Adesso sarebbe giunto ilmomento, sostiene Bickmann, di correggereanche gli eccessi della filosofia della differen-za. Gli elementi comuni delle diverse tradizio-ni devono essere colti. Le sovrapposizionipermettono la comunicazione interculturalesenza cancellare le differenze. Da respingeresono sia lidea di una totale commensurabilitdelle culture sia lidea di una totale incom-mensurabilit. Bickmann ha formulato nuovicriteri per la filosofia interculturale, adottatidalla Societ di Filosofia Interculturale(Society of Intercultural Philosophy), che fan-no comprendere la distanza della sua posizio-ne da quella espressa nelle prime pubblica-zioni della filosofia interculturale (Bickmann2007; http://www.int-gip.de/englisch/informationen_ englisch.html[29 agosto 2010]).

    Non casuale che la filosofia intercultu-rale sia nata negli ultimi decenni del ventesi-mo secolo. Essa fa parte della svolta culturale.Unanalogia interessante la troviamo nellagermanistica che sin dagli anni Settanta hasviluppato un nuovo ramo degli studi germa-nici, la germanistica interculturale, la qualepu essere considerata come uno dei vari ten-tativi di superare i tradizionali limiti disciplina-ri e di sfruttare gli spazi di nuove prospettiveinterdisciplinari. La svolta culturale ha causatoin Germania lo spostamento dalle Geisteswis-senschaften alle Kulturwissenschaften e lacreazione di una nuova disciplina, la Kultur-wissenschaft (al singolare) la quale si basa inparte su vecchie tradizioni tedesche e che siinserisce contemporaneamente nello sviluppodegli studi culturali a livello internazionale:Cultural Studies, New Historicism, Cultural Po-etics, Visual Studies, Postcolonial Studies, Cul-tural Analysis, letnografia postmoderna, lasemiotica, la sociologia della cultura in Franciaetc. (Bachmann-Medick 2006; Bhme 1998,2000 e 2008; Wierlacher/Bogner 2003).

    Come gli studi letterari anche la filosofiainterculturale ha ormai superato gli eccessiculturalistici. La critica postmoderna dellegrandi narrazioni continua ad essere impor-tante per la de-costruzione dei discorsi ege-monici, ma linsufficienza di una mera de-costruzione diventata evidente ed una ten-denza verso una posizione pi equilibrata puessere constatata. Essere consapevole dellaculturalit della produzione filosofica senzarinunciare alluniversalit stato formulatospesso da Wimmer come lobiettivo generaledella filosofia interculturale (2004: 63, 153).

    Come lantropologia culturale, la filoso-fia interculturale deve essere attenta a nondiventare vittima delle proprie idee. Il mondoodierno ha costretto lantropologia culturale a

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    Wolfgang Kaltenbacher

    ripensare categorie fondamentali che hannodeterminato il discorso antropologico per tan-to tempo. Concetti come cultura, trib ogruppo etnico non possono essere pi utiliz-zati nel mondo globalizzato. Limmagine delmondo come suddiviso in culture stata so-stituita da altre rappresentazioni come quelladellecumene globale (Fabietti 2004: 261-268). Questa nuova concettualizzazione po-trebbe essere vista come un altro eccesso,messo in moto dalla necessit di dissolverecostruzioni di identit culturali che in realtnon esistono. Ma in ogni caso la filosofia in-terculturale deve evitare concetti che hannogi dimostrato la loro inefficienza in altri cam-pi disciplinari.

    BibliografiaBachmann-Medick, Doris (2006), Cultural Turns: Neuo-rientierungen in den Kulturwissenschaften, Reinbek:Rowohlt.Bickmann, Claudia (2007), Philosophieren zwischen derUniversalitt des begrifflich Allgemeinen und der un-verrechenbaren Besonderheit des Individuellen, in Or-thafte Ortlosigkeit: eine interkulturelle Orientierung;Festschrift fr Ram Adhar Mall zum 70. Geburtstag, acura di Hamid Reza Yousefi, Ina Braun e Hermann-JosefScheidgen, Nordhausen: Traugott Bautz, 103-119.Bhme, Hartmut (1998), Zur Gegenstandsfrage derGermanistik und Kulturwissenschaft, in Jahrbuch derDeutschen Schillergesellschaft, XLII (1998), 476-485.Bhme, Hartmut (2000), Kulturwissenschaft, in Realle-xikon der deutschen Literaturwissenschaft, vol. II, Ber-lin-New York: de Gruyter, 356-359.Bhme, Hartmut (2008), Vom turn zum vertigo.Wohin drehen sich die Kulturwissenschaften? (Recen-sione di: Doris Bachmann-Medick (2006), CulturalTurns: Neuorientierungen in den Kulturwissenschaften,Reinbek: Rowohlt), in JLTonline (19.05.2008),http://www.jltonline.de/index.php/reviews/article/view/26/177 [29th august 2010].Cesana, Andreas (2007), Kulturalitt und interkulturellePhilosophie, in Orthafte Ortlosigkeit: eine interkulturel-le Orientierung; Festschrift fr Ram Adhar Mall zum 70.Geburtstag, a cura di Hamid Reza Yousefi, Ina Braun eHermann-Josef Scheidgen, Nordhausen: TraugottBautz, 51-64.Eberhard, Philippe (2004), The middle voice in Gada-mers hermeneutics: a basic interpretation with some

    theological implications, Tbingen: Mohr Siebeck.Fabietti, Ugo (2004), Antropologia culturale:lesperienza e linterpretazione, Roma-Bari: Laterza.Grondin, Jean (2007), Zu welcher Kultur gehrt maneigentlich? Bemerkungen zur Kultur der Interkulturali-tt, in Orthafte Ortlosigkeit: eine interkulturelle Orien-tierung; Festschrift fr Ram Adhar Mall zum 70. Gebur-tstag, a cura di Hamid Reza Yousefi, Ina Braun e Her-mann-Josef Scheidgen, Nordhausen: Traugott Bautz,139-148.Hinnenkamp, Volker (1994), Interkulturelle Kommuni-kation, Heidelberg: Groos.Ishiguro, Tadaatsu (a cura di) (1955), Ninomiya Sonto-ku: His Life and Evening Talks, Tokyo: Kenkyusha.Kaltenbacher, Wolfgang (2004), Il luogo scientificodella germanistica interculturale, in Annali-Sez. Germa-nica (Universit degli Studi di Napoli LOrientale), N.S.XIV (2004), 1-2, 249-270.Kaltenbacher, Wolfgang (2008), Universalitt der Ver-nunft, Pluralitt der Religionen: Indien und Europa, inViele Religionen eine Vernunft? Ein Disput zu Hegel, acura di Herta Nagl-Docekal, Wolfgang Kaltenbacher eLudwig Nagl, Wien: Bhlau; Berlin: Akademie Verlag,265-280.Mall, Ram Adhar (2010), India and Intercultural Aesthe-tics, in Handbook of Phenomenological Aesthetics, acura di Hans Rainer Sepp e Lester Embree, Dordrecht-London: Springer, 161-166.Monceri, Flavia (2000), Il problema dellunicit giappo-nese: Nitobe Inaz e Okakura Kakuz, Pisa: ETS.Monceri Flavia (2006), Interculturalit e comunicazio-ne: una prospettiva filosofica, Roma: Edizioni Lavoro.Nagl-Docekal Herta, Kaltenbacher Wolfgang, Nagl Lu-dwig (2008), Einleitung: Viele Religionen, eine Vernunft,in Viele Religionen eine Vernunft? Ein Disput zu Hegel,a cura di Herta Nagl-Docekal, Wolfgang Kaltenbacher eLudwig Nagl, Wien: Bhlau; Berlin: Akademie Verlag, 9-32.Nederveen Pieterse, Jan (2009), Globalization and cul-ture: global mlange, second edition, Lanham, MD:Rowman & Littlefield.hashi, Rysuke (1984), Der Wind als Kulturbegriff inJapan, in Kultur: Begriff und Wort in China und Japan,a cura di Sigrid Paul, Berlin: Reimer.Wierlacher Alois, Bogner Andrea (a cura di) (2003),Handbuch interkulturelle Germanistik, Stuttgart: Me-tzler.Wimmer, Franz Martin (2004), Interkulturelle Philoso-phie: eine Einfhrung, Wien: WUV.

    Wolfgang Kaltenbacher 2011

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    Maria Esther Mastrogiovanni

    Ripensare la nascita per un nuovo con-cetto di 'dipendenza'.

    Mi piace cominciare richiamando la me-tafora della 'finestra', che Panikkar usa nelbellissimo video offertoci da Milena CarraraPavan,visto durante il convegno a Napoli il 3 -4 dicembre 2010.

    Il mio intervento si pone proprio comeun'ulteriore 'finestra' da cui sono solita guar-dare e dalla quale chiedo l'ascolto.

    Il proprio punto di vista immaginatocome una finestra.

    L'immagine della 'finestra' straordina-ria, e prima di esprimermi sull'argomento chemi preme, la voglio raccontare nelle risonanzee nella ricchezza di significati che mi susci-ta,seguendo un percorso di immaginazionecos come lo sto apprendendo da Gastone Ba-chelard e con l'aiuto degli approfondimentisul 'mundus imaginalis' di Paolo Mottana.

    La 'finestra' luogo di soglia, fra internoed esterno.E' un'apertura fra realt separate econtigue.Dunque realt distinte, ma legate dauna contatto in primo luogo materiale, uncontatto fluido, ora pi visibile ora meno evi-

    dente.Pu essere pi o meno opaca, se il ve-tro che la compone pi o meno ombra-to,sporco, incrostato. Pu essere aperta ochiusa (da noi, ma anche, d'imperio, da altri)econsentire all'aria di circolare liberamente, a-gli odori di essere percepiti, alle voci e ai suonidel mondo di essere pi o meno uditi. Con-sente di rimanere 'dentro', quasi invisibileall'esterno, nell'illusione della propria assolu-tezza, in quanto unica e sola finestra possibi-le.Oppure, di sporgersi sul suo davanzale, be-ne in vista, in grado cos di vedere quante al-tre finestre esistano accanto alla propria, e nelsilenzio ascoltare meglio ci che da altre fine-stre proviene.

    L'immagine della finestra inoltre, implicanon solo una distinzione, ma anche una di-stanza fra me e ci che vedo e come lo vedo.Io non mi esaurisco in ci che vedo e in comelo vedo: sono altro, un di pi di quello che divolta in volta penso e affermo. Ci mi d unsenso di leggerezza, e la capacit di stare nellecose senza troppi drammi: tutto in movi-mento, anche il mio sguardo che fonda e so-stiene il mio dire.

    E nel movimento c' anche quello dell'a-scolto: del mio silenzio da abitare, da vivere,

    RIFLESSIONEMaria Esther Mastrogiovanni

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    Maria Esther Mastrogiovanni

    da scoprire. E in quel silenzio il pi delle volteconquistato con fatica paziente e umile, farepulizia, mettere ordine, lasciare solo l'essen-ziale. Allora, quel silenzio pu ospitare la pre-senza dell'Altro: capire, accettare che l'Altroesiste veramente, il fine che Simone Weil sipone nella sua vita.

    E in questo in-quieto movimento incon-trare l'Altro in una in-quieta pace.

    E' questa una ricerca lunga, difficile maaffascinante, di ciascuna vita.

    In questa attitudine mi muovo, ben lun-gi dall'aver raggiunto un qualsiasi approdo:ogni tanto un porto sembra la fine del viaggio,ma la corrente ritrascina con il suo canto odo-roso al largo e l'avventura continua.

    Sono curiosa e non mi piacciono i sen-tieri noti. Ho frequentato cos luoghi diversi elontani fra loro e pi di una volta ho constata-to con un sorriso e con un po' di stupore, co-me molti amino rinchiudersi in un recinto no-to, e coltivino per una vita intera lo stessogiardino: piante perfette quasi, nascono rigo-gliose: Nuovi frutti, nuovi incroci, nuove pian-te che hanno del meraviglioso e impensabiliper il senso comune. Ma tale bellezza a volte,si ripiega su se stessa, non apre finestre su al-trettanti meravigliosi giardini: c' una faticasolitaria, eroica, che ha in s nel suo intimo unnucleo di insignificanza proprio per la ristret-tezza dello spazio vitale in cui si rinchiude. C'un assoluto che ignora l'assoluto del giardinoaccanto.

    Ho frequentato, sui libri e nelle relazio-ni, il sapere espresso dalle donne.

    Alla domanda che pi volte mi sono po-

    sta perch proprio la passione per la condi-zione femminile e non altro ugualmenteimportante, al mio sguardo di giudice severo,sono riuscita a rispondere solo di recente. E'nella mia storia che ho trovato la risposta.Non certo per motivazioni 'oggettive'.: noncredo si possa stabilire una graduatoria dipriorit fra i bambini affamati del Ruanda o gliafghani costretti a fuggire dalle loro case perla guerra o le donne che subiscono violenze ditutti i tipi nella indifferenza e nel silenzio delleistituzioni e delle societ...l'elenco potrebbenaturalmente continuare a lungo.

    E' un utile esercizio ricostruire la genesidelle proprie passioni intellettuali, ma anchepolitiche e sociali. Si diventa poi, pi libere epi capaci di perseguire quell'interesse, nonpi 'solo' appassionato, ma ancor pi vivouna volta che si siano sciolti i lacci della pro-pria storia, che cos manifesta tutta la sua e-nergia.

    Met della mia vit l'ho spesa nello stu-dio e nell'azione, per comprendere e valoriz-zare la soggettivit femminile. Ancora oggi,con animo diverso, continuo a farlo, non pisolo nei luoghi di donne, ma anche in quelliche si usano chiamare luoghi 'misti'.

    E cos, qui fra voi, mi possibile,oggi,sentirmi, 'a casa'. Proprio in un momento incui ho sentito con pi acutezza un senso di di-sagio, di estraneit, di solitudine nel luogo incui lavoro e nella realt che mi circonda.Sonoun'insegnante, mi piace stare in classe con leallieve e gli allievi, ma sempre pi vivo con in-sofferenza l'istituzione scolastica.

    Proprio quando riflettevo come, - aven-doli ascoltati, negli ultimi mesi, a Firenze - i

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    Maria Esther Mastrogiovanni

    protagonisti della vita culturale italiana misembrano procedere per mondi separati, au-toreferenziali, a volte forse, privi di una one-st intellettuale, oggi sempre pi rara.

    Cos durante i due giorni del Convegno,in una sala del palazzo Serra di Cassano, pre-stigiosa sede dell'Istituto Italiano per gli StudiFilosofici, a Napoli, mi sono sentita a casa duevolte.

    In primo luogo, perch Napoli la miacitt natale e poi perch ho percepito unagrande sintonia con le persone che l si sonoespresse.

    Non ero sola.

    E oggi, per chi come me, nel suo quoti-diano si sente isolata, come se parlasse un'al-tra lingua o vivesse in un altro mondo, un'e-sperienza preziosa percepire di trovarsi a'casa'.

    Ma, nel momento in cui rifletto su que-sta dualit, penso alla a-dualit di cui parlaPanikkar e mi interrogo.

    Il problema interculturale si intrecciafortemente con quello intra-culturale, quelloproprio di ogni comunicazione, dove pare chesia quasi impossibile, soprattutto quando siusano le parole, non fra-intendersi.

    Spesso le parole complicano le relazioni,a volte, sembrano anche aiutarle: ma sono leparole o qualche altra cosa che passa invisibi-le, attraverso un linguaggio non verbale, unlinguaggio che ho imparato a chiamare 'delcuore'?

    So di essere molto di parte, ma ho un in-

    teresse poco sviluppato per le questioni pu-ramente teoriche: preferisco seguire la lezio-ne di Simone Weil che era una grande pensa-trice, filosofa, politica, mistica, letterata e tan-te altre cose: un pensiero deve trovare la suaverit bont nell'essere praticabile.

    Pensiero- azione. Un pensiero incarnato,come l'ha definita Gabriella Fiori.

    Almeno in certi ambiti.

    La Natura ci ancora madre, anche se lacultura occidentale dalla Rivoluzione Scientifi-ca in poi ha cominciato a considerarla unmeccanismo piuttosto che un organismo. E dal, -nonostante i successivi sviluppi della co-siddetta visione scientifica del mondo, ai piignoti, - si sviluppata la pervasivit dell'ideadella macchina, che ha divorato tutto, anche ilnostro corpo. Viviamo come congegni di ungrande orologio, il cui ritmo non scanditodal nostro respiro, ma da una impersonalelancetta di ferro che procede indifferente almondo.

    Ma se ci volgiamo alla Natura con intimadistanza(Rilke) e con amoroso sguardo, pos-siamo ancora ricevere grandi insegnamenti.

    E vorrei riflettere con voi, proprio par-tendo dal concetto cos stimolante di a-dualit, su quel particolare momento della vi-ta di tante specie viventi e su quella precisarelazione che c' tra una madre e il suo bam-bino durante la gravidanza e nei primi anni divita . Quell'unit fortissima e necessaria cheha per gi, sin dal suo sorgere, il movimentodel distacco e dell'autonomia. In quel momen-to, la donna e il bambino sono nello stessotempo 'due e uno'.

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    Maria Esther Mastrogiovanni

    Tale relazione ' talmente poco conside-rata nel nostro immaginario, che non ci sonoparole, e non solo in italiano, per definirequella relazione di dipendenza-indipendenzafra due esseri viventi, dove la dipendenza haun tempo e comprende la crescita della indi-pendenza dell'uno dall'altro: di chi sta per na-scere e di chi alimenta quella nascita.

    Per inciso, ho avuto una certa esitazionenel trovare il verbo pi appropriato per de-scrivere chi, femmina, donna, corpo di donna,consente, decide, fa in modo che una nascitapossa accadere.

    C' tutta una retorica sul rapporto ma-dre -figlio/a, sulla maternit, ma sull'aspettoche qui considero non trovo nulla che abbiaacquisito un valore esemplare e simbolico.

    Forse in altre culture. Ma non ne sono aconoscenza e se qualcuno pu portare un suocontributo, gliene sar grata.

    Dunque, durante la gravidanza abbiamoun inedito: un corpo che ne fa crescere un al-tro, che per un certo tempo, nascosto, pro-tetto, nelle viscere. E' qualcosa di straordina-rio! Mi capitato, da giovane, per la mia tesisulla maternit, di essere presente al parto diuna donna. Quella scena mi si impressa nellamente e quando toccato a me partorire, mi stata di grande aiuto.

    Allora compresi perch i nostri antenati,migliaia di anni fa, ancora inconsapevoli dicome si concepisse un essere vivente, rima-nessero turbati davanti a quell'evento straor-dinario e meraviglioso che la nascita di unessere vivente, e attribuissero alle loro donnepoteri magici e la responsabilit di un rappor-

    to privilegiato e diretto con la Natura: la don-na era allora una sciamana. Le grandi statuedella Dea madre mediterranea, che si possonoancora vedere al museo de La Valletta, a Mal-ta, testimoniano questo senso della potenzafemminile, dispensatrice, generosa, dell'ab-bondanza, nella quale soltanto pu nascereuna nuova vita. Sono donne immense comedimensioni, 'grasse', con un forte valore sim-bolico di ricchezza.

    Se penso oggi, all'immagine quasi ano-ressica della donna' moderna', mi sembraquasi un fantasma di quella figura: un'ombralieve, muta e svuotata, che sfiora questa terracercando di occuparvi il minore spazio possibi-le.

    Anche se pare affermarsi un 'nuovo'modello femminile, la cui prima funzionesembra essere 'di nuovo'...quella di piacereall'uomo!

    Dunque, la Natura, che amo significarecome Madre, ci offre lo spettacolo di un even-to, la nascita di un essere vivente, che fra letante sue caratteristiche , ha quella di porre inuna relazione speciale tre individui: un padreuna madre un figlio/a.

    E pi in particolare, nel corpo della don-na sboccia una vita, che dipende totalmenteda quella della madre, in perfetta simbiosi, fi-no a quando, compiutasi l'opera, quella vitaesce da quel corpo per continuare, sulla stra-da di una sempre maggiore autonomia, lapropria esistenza.

    E l'allevare, il crescere, l'educare sonotutte azioni che implicano una relazione cheper quanto dispari, agisce, su vari fronti e in

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    Maria Esther Mastrogiovanni

    ambiti diversi, su entrambi i soggetti: entram-bi i soggetti, madre e figlio/a si formano, ma-turano, 'crescono' insieme. E non mi risulti e-sista parola nella nostra lingua che descrivatutta la complessit e lo spessore di questaparticolare modalit di relazione. Se riflettia-mo su questo 'inizio' come un inizio proprio dimoltissime specie viventi, ci renderemo contodi come nascendo, facciamo esperienza di unamodalit di relazione che, in seguito, non solodimentichiamo, ma anche quando vi pensia-mo, la consideriamo al pi, in quanto'naturale', non appropriata all'essere umano'sviluppato', il quale sembra ritenere di uma-nizzarsi proprio 'superando la propria condi-zione naturale': ma in questo movimento deicorpi e del pensiero, di fatto ci si allontanaanche dalle proprie radici, dalla propria origi-ne. Se poi pensiamo che, per quanto riguardagli esseri umani, all'origine c' un corpo didonna, non difficile comprendere comequesta rimozione culturale, collettiva, possaavere a che fare, ieri come oggi, con il disco-noscimento della potenza della madre.

    L'individuo 'libero', in quanto assolutopadrone di s attraverso la sua volont, risultaa questo punto, una bella astrazione e una viad'uscita per il maschio (solo occidentale?) cheper 'rifondarsi', deve rinascere da se stessodimenticando la sua nascita reale, e le condi-zioni in cui essa avvenuta. Tutto ci ha avutonei secoli trascorsi, una sua funzione, forse, - una domanda alla quale non facile rispon-dere, - ma oggi, in un mondo sempre pi pic-colo, una strada per non soccombere tutti,pu essere quella di ricordare che, se siamovivi e vogliamo che si continui a vivere, per-ch qualcuno ci ha messo al mondo e allevati:cio riconoscere la nostra 'dipendenza', nei

    confronti delle e degli altri, 'dipendenza' neitermini in cui l'abbiamo vissuta alla nascita purtroppo non ci sono altre parole, e'interrelazione' mi sembra troppo asettica epoco pregnante. Agire veramente questa ac-quisizione in ogni ambito, non assolutamen-te facile, ma cambierebbe l'ordine simboliconel quale siamo soliti pensarci ed esprimerci.Non facile. Ma questa la grande scommes-sa che da pi parti, con altre motivazioni, staemergendo come ineludibile per la nostra so-pravvivenza.

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    L. Anthony Savari Raj

    Tsunami in 2004.

    It indeed awakened us, at least for ashort while, to realize that nature is not sing-ing any longer its sweet song. It has only be-gun to let out its cry.

    On this disastrous occasion, we heardpeoples cry too, a cry out of helplessness,loss and pain.

    Though the groanings of nature and thepoor appeared to outsmart one another, yetthey also fused into one not, of course, in aharmonic symphony, but in a horrifying ca-cophany!

    The cacophany had a theme too! It por-trayed that the cosmic display and the humandisplacement are connected and that the hu-mans are not the only players on world stage.It perhaps signaled the need and a new op-portunity for a fresh and urgent vision of acosmotheandric (cosmos-divine-human) soli-darity.

    Ecosophical Justice is presented in thisvery cacophanic world context and situation.It reminds us, among other things, that eco-logical predicament is not merely ecological,but it is a human problem which indeed re-quires a radical mutation in human attitude.In our attempt to control and manipulate na-ture, we have forgotten that we are naturalbeings, sustained by the same environmentwe seek to dominate.

    Very significantly, our domination hasspilled over to the human beings too, particu-larly the poor who cry out for justice and lib-eration. The logic that exploits the earth andthe poor seems to be one and the same. Eco-logical and justice concerns, therefore, are in-separable. Justice is the way of ecology.

    Ecosophical Justice reminds us, further,that precisely because of our present state ofhuman emergency and seriousness of theecological situation, mere short-term solu-tions and technical stopgaps are insufficient.In other words, it is not enough to find waysby which we can more effectively or morehumanly deal with the Earth, unless, at thesame time, we find the Earth as another di-

    ECOSOPHICAL JUSTICEL. Anthony Savari Raj

    L. Anthony Savari Raj,University of Madras, India.

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    L. Anthony Savari Raj

    mension of our very selves, sharing the samedestiny. This, in short, constitutes the ecoso-phical awareness.

    It appears, therefore, we need a radicalre-vision of reality which would make usaware that the world is the manifestation ofthe total cosmotheandric reality which callsfor a holistic participation. It involves indeed acultural disarmament and innovation and aparticipatory common life in solidarity withfellow human beings and the earth. This, ofcourse, is our human dignity and responsibil-ity.

    Understandably, this requires from usdistance and involvement, contemplation andaction, theory and praxis and, of course, anopenness to the transcendent. Spontaneousand authentic actions for the welfare of theeco-human can flow only from a serene in-sight and right evaluation born of an ecoso-phical vision.

    Our guide in our search for ecosophicaljustice is Raimon Panikkar who is at once aphilosopher, a scientist and a theologian. Buteven these terms do not adequately capturethe heart of Panikkars enterprise.

    As a scientist, philosopher and theolo-gian he has spent a lifetime exploring thegreat religious and secular traditions, seekingto discern their underlying visions of reality.How do we name that in which we all live andmove? The modern scientist sees it as the ma-terial universe, the philosopher as the humanmind, the theologian as the mysterious divine.

    But Panikkar sees these options as par-tial and fragmenting; indeed they are part ofthe problem rather than part of the solution.

    When we see that the earth is reduced tomere stuff, wholly subject to a human willthat sees itself autonomous from the mysteryof being itself, then we begin to see the prob-lem at the heart of our crucible.

    Panikkars ecosophical vision is to besituated in this context. It indeed leads us tosee the co-penetration of which we namedand separatedas universe, humanity andthe divine. It is our effort to discern and spellout how authentic and effective actions ofjustice can spontaneously flow from this holis-tic and ecosophical vision of Panikkar.

    Our focus on Panikkars ecosophical vi-sion has another important purpose. At a timewhen the future of theology in general, andIndian theology in particular, is said to dependvery much on the meeting and interaction oftwo important streams in theologizing,namely, the religio-cultural (mystical con-tent) and the socio-political (prophetic con-cern), through an exploration of the contoursof justice in Panikkar's ecosophical enterprise,our work indeed attempts to develop a widerframework in which both the streams areharmoniously integrated and one made tosupport the other. After all, a unified searchfor truth and realization of justice are onlytwo sides of the same coin.

    The study is presented in four chapters.The first chapter takes up the question

    of the relationship between religious plural-ism and justice and further explores the pres-ence and nature of justice concerns in the e-cosophical vision of Panikkar.

    Though Panikkars contribution hasbeen studied and interpreted in various con-

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    L. Anthony Savari Raj

    texts and aspects, yet, we believe, the impli-cations of his vision for the central issue ofjustice has not been thus far sufficiently ex-plored. Hence the present attempt.

    This attempt looks interesting and sig-nificant amidst a certain tendency to catego-rize and portray Panikkar only as a represen-tative of religio-cultural orientation and as amere dialogue theologian without an explicitliberation and justice motif and concern.

    As a pathway to explore Panikkars jus-tice concerns, the second chapter ventures toexplore Panikkars vision of ecosophy. Hereattempts are made to show the implicationsof Panikkars vision for one of our major con-temporary problems, namely, the ecologicalpredicament. Panikkars proposal of ecoso-phical vision, as different from ecological, iselaborated.

    The word ecosophy as understood byPanikkar, suggests that the question lies be-yond a more or less refined ecology. It furtherreminds us that the present predicament isneither ecological, nor technical but a humanone. It is a problem rooted in our ways ofthinking. It involves our new attitude and per-ception about the earth, ourselves and alsothe divine and the collective identity and des-tiny of all the three dimensions of reality. It, inshort, points to a cultural mutation.

    The third chapter studies Ecojusticewhich may well complement Panikkarsecosophy. Besides portraying justice as theway of ecology, it indeed attempts to repre-sent ecology as the symbol of the struggles ofthe poor for regaining their lost dignity, theirland resource, rice and freedom.

    Stated differently, behind the ecologicaldisaster we can sense the reduction of the an-thropos to the reduction of a particular race,country and worldview which indeed preparesthe ground for the appropriation for one selfof the natural resources and consequently thevery means for livelihood of the other. It isthis inhuman and exploitative practice againstthe other that has spilled over and has be-come an ecological disaster. The programmeof ecojustice that is presented in the chapter,therefore, indicates that it is only by deeplyentering into the human (unaffected by re-stricted and restricting anthropocentrism)that we can arrive at a sound ecological uni-verse.

    The final chapter, Ecosophical Justice,attempts to discern the meeting point be-tween the ecojustice and ecosophical consid-erations. Attempts are made to show howecojustice orientations can indeed serve as acomplement and also as an external stimu-lus to Panikkars ecosophical vision. Effortsare made, therefore, to discern and spell outthe implications of justice in Panikkars visionof ecosophy in the light of ecojustice consid-erations.

    In the first part of this chapter, we dis-cuss the nature of ecosophical justice, mainlyto be in the nature of clarification. This clari-fication would consist in clarifying two impor-tant aspects of our ecosophical response,namely, the primacy of being and the spon-taneity of doing. In the second part of thechapter, we attempt to open the heart ofecosophical justice by unearthing its founda-tions, implications and implementations.

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    Lucas Cervio

    A manera de premisa e introduccinEsta reflexin brota de un contexto

    particular, Bolivia. Pas sumergido en unabierto, desconcertante, impredecible yprofundo proceso de cambio socio-poltico ycultural. Proceso que para muchos es laesperanza de das mejores y para otros es msde lo mismo. Una sociedad en conflictoporque, generalmente, todo cambio ytransformacin significa una redistribucin yreequilibrio de las fuerzas sociales, por tantoconflicto.

    La nueva Constitucin Poltica, en suprimer artculo, expresa que: Bolivia seconstituye en un Estado Unitario Social deDerecho Plurinacional Comunitario, libre,independiente, soberano, democrtico, inter-cultural, descentralizado y con autonomas.Bolivia se funda en la pluralidad y elpluralismo poltico, econmico, jurdico,cultural y lingstico, dentro del procesointegrador del pas.

    Estamos ante un proyecto de Estado ysociedad atrevido y de gran alcance, original y

    desafiante. Una declaracin que manifiesta lanecesidad de dar lugar, reconocimiento yautodeterminacin a la pluralidad de culturasy cosmovisiones, conjugndolas dentro de unmodelo de gobierno forneo a stas mismas.Artculo que, aunque no manifiestaexplcitamente, nos remite a la categora defraternidad, de esa fraternidad universal,entendida como conjugacin de relaciones depertenencia recproca y de responsabilidad,como principio de reconocimiento de laidentidad y del aspecto unitario del cuerposocial, en el respeto de cada una de lasdiferentes multiplicidades (Ropelato2006:184).

    El intento boliviano es la lucha pordesarrollar un Estado que de cabida ypromueva relaciones de pertenenciarecproca sin anular o menguar la pluralidentidad cultural de sus habitantes; quemantenga el aspecto unitario del cuerposocial pero al mismo tiempo respete lasdiferentes multiplicidades de maneras deser, estar y vivir que se dan en su territorio. Esla bsqueda de aquello que no est, pero seanhela; que apenas se vislumbra, pero ya se loquiere hecho realidad.

    LA FRATERNIDAD EN CONFLICTO Y EL CONFLICTO FRATERNO:APORTES DESDE LA INTERCULTURALIDADLucas Cervio

    Lucas CervioUniversidad Catlica Boliviana

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    Lucas Cervio

    Considero que desde estas tierras consus anhelos, luchas y bsquedas, y sin entraren los particulares del proceso poltico, socialy cultural que viene desarrollndose enBolivia, hay un aporte al camino que se vienerecorriendo desde hace aos para dar rostro yconcretizacin a la categora de fraternidad.M. Antonio Baggio, uno de los msimportantes exponentes de este recorrido,aos atrs se preguntaba, qu nuevoselementos nos llevan, hoy en da, a analizareste precedente y a plantear el problema dela fraternidad? Considero que se puedenindicar dos clases de motivos, que estnrelacionados entre s: la fraternidad comoexigencia y pregunta; y la fraternidad comoexperiencia y recurso (Baggio 2009:8).

    La experiencia de este ltimo decenioen Bolivia manifiesta la presencia de estaexigencia, que por momentos ha sido un gritodesde diversos sectores sociales, por generarfraternidad; como tambin est presente elrecurso humano, social y cultural paraarticular la fraternidad como categora polticay concretizarla.

    De mil modos y maneras se podradesarrollar esta intuicin. Concretamente sehar desde el mbito de filosficoteolgico yla perspectiva intercultural, que considero uninstrumental muy vlido para adentrarse yreflexionar los contextos plurales y susprocesos.

    En un segundo momento profundizarel conflicto dentro de la interaccin entre lasculturas, principalmente desde unaperspectiva interpersonal. Para esto recurrira la inspiracin ofrecida por un texto bblico.

    I. La fraternidad en conflictoLa finalidad de esta primera parte ser

    precisar lo que se comprende porinterculturalidad dada su ambigedad designificados y comprensiones. Luego, desdealgunas de sus claves, se realizar una velozcrtica del principio fraternidad buscandodesmantelar algunos de sus supuestosculturales occidentales que pretenden seruniversalizados a todas las culturas.

    En otras palabras, desarrollaremos unadeconstruccin1 de la categora defraternidad, colocando a sta en conflicto, poras decir, para poder manifestar ciertascontradicciones y ambigedades. La finalidadde este ejercicio es contribuir a seguirahondando, con nuevas luces, el camino paratransformar la fraternidad en una categorapoltica. O sea, un principio capaz de formarparte constitutiva del criterio de decisinpoltica, contribuyendo en la determinacin,junto a la libertad y la igualdad, del mtodo yde los contenidos de la poltica misma. Y quetambin logre influir en el modo con el cualse interpretan las otras categoras polticas,como la libertad y la igualdad (Baggio2006:39).

    1. Breves aclaraciones alrededor de la in-terculturalidad

    En esta reflexin la interculturalidadviene asumida principalmente desde latradicin desarrollada, con acentos diversos,

    1 Deconstruccin: 1. f. Accin y efecto de deconstruir;2. f. Fil. Desmontaje de un concepto o de una construc-cin intelectual por medio de su anlisis, mostrando ascontradicciones y ambigedades, Real Academia Espa-ola, www.rae.es

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    Lucas Cervio

    por tres estudiosos: R. Panikkar, R. Fornet-Betancour y D. de Vallescar. Esta ltima, luegodel estudio a fondo de los otros dospensadores, afirma que

    la interculturalidad, antes que una teora, es unaexperiencia de interrelacin, reciprocidad,dilogo y solidaridad. Presupone una actitud deapertura y escucha atenta. Nos sita ms all dela afirmacin de la existencia fctica dediferentes culturas y del planteamientomulticultural liberal-democrtico, pues concede acada miembro con independencia del marcopoltico del que se trate- la facultad de contribuircon su aportacin particular. Esto significa queasume la tarea de renegociacin continua deroles y espacios, el discernimiento de valores queentretejen y orientan los procesos de sntesis decada sociedad (Vallescar 2005:477).

    Por tanto el punto de partida de lainterculturalidad es una opcin tica deapertura y escucha para descubrir las riquezasque el diverso/a (culturalmente, socialmente,religiosamente, polticamente, etc.) meofrece. Desde estas actitudes, que se vuelvenexperiencia de vida, en un segundo momentose va reflexionando y aportando a una teoraque d insumos para gestionar, de maneracreativa y equitativa, la interrelacin entreculturas. Entonces, la propuesta interculturalpromueve un verdadero enriquecimientohorizontal entre las personas, grupos socialesy pueblos pertenecientes a diversas culturasque conviven en un espacio comn.

    Interculturalidad es la bsqueda degenerar espacios donde cada persona puedacontribuir con aportacin particular a lagestacin de una sociedad, y por tanto a unaglobalizacin justa, digna, equitativa ysolidaria para todos, todas y todo. Todo en elsentido de incluir en nuestra categora de

    bienestar al planeta, el gran excluido de lamodernidad.

    A su vez, la interculturalidad asume lacompleja tarea de la renegociacin continuade roles y espacios para dar lugar a todos ycada uno de los miembros de la sociedad,procurando el discernimiento de valores queentretejen y orientan los procesos de sntesisque lleva adelante cada pueblo y sociedad.

    Por tanto la interculturalidad permiteser pensada como una categoraeminentemente tico-poltica que surgedesde el mundo de la vida y no desde fuera del, que alude a cuestiones que rompen elmarco monocultural en el que somossocializados, y que cuestiona el carcterhomogenizante de la globalizacin fctica(Salas 2007:28). Propuesta que exige unanueva relacin entre los seres humanos y lospueblos, que aunque sea asimtrica hoy,puede dar forma a nuevas relaciones desimetras (Salas 2007:28).

    2. Relacin entre interculturalidad y fra-ternidad en el contexto plural

    Cuando hablamos de culturas esimportante dejar claro que la interculturalidadse coloca como una alternativa clara ante launiformidad de una cultura sobre las dems.Esto porque asume que las culturas no sonfolklore sino que cada cultura es una formanueva de ver y de vivir el mundo. La culturaofrece a cada tiempo y pueblo su estilo y,sobre todo, su lenguaje (Panikkar 2006:11).

    Importante subrayar que las culturasson formas de ver y vivir en el mundo, portanto la interculturalidad no ha de serreducida a los espacios de interaccin entre

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    Lucas Cervio

    culturas originarias-indgenas y modernas. Lapropuesta intercultural parte desde lainteraccin entre culturas milenarias,modernas y postmodernas (juveniles,periferias de las ciudades, etc.) en su continuareconfiguracin actual. Por esto lainterculturalidad se propone, pues como unaalternativa que permite reorganizar el ordenmundial porque insiste en la comunicacinjusta entre las culturas como visiones delmundo y porque recalca que lo decisivo esten dejar libre los espacios y tiempo para quelas visiones del mundo puedan convertirseen mundo reales (Fornet-Betancourt2001:375).

    Precisamente esta comunicacin justaentre las culturas como visiones de mundo eslo que tiende un puente entre lainterculturalidad y la fraternidad. Porque si escierto que la solidaridad, la fraternidad y lasrelaciones de alteridad como valores positivosnos permitirn ver que todo lo que le sucedede malo al otro nos afecta, que debemosinvolucrarnos (Barros 2009:156), significaque ambas propuesta giran alrededor de almenos un eje comn: la inter-in-dependencia2de la familia humana, que como vivenciademocrtica requiere de una indignacinconstante y una accin que contribuya a

    2 Aunque todo est relacionado con todo, es asmismo verdad que cada parte de este todo esdiferente, as como todos los hombres son distintosentre s. Cada uno es una persona, es decir, un nudonico en la red de relaciones que constituye la realidad.Cuando este nudo rompe los hilos que lo unen a losotros nudos, cuando las tensiones se han vuelto tantensas que no permiten ya la libertad constitutiva de lainter-in-dependencia entre nudo y nudo y, en ltimainstancia, con la realidad, en ese momento nace elindividualismo que perturba la armona y lleva a lamuerte de la persona hacindole perder su identidadque es slo relacional. (Panikkar 2006:16)

    cambiar la realidad de todos (Barros2009:156).

    La fraternidad coloca el acento en quetodos los seres humanos somos hermanos, ylo que sucede a uno afecta al conjunto; lainterculturalidad agrega que esta inter-in-dependencia constitutiva del gnero humanoha de ser matiza desde la diversidad (cultural,religiosa, etc.) que tambin es constitutiva delser humano. Entonces, la fraternidad, sinoadquiere un rostro, un contexto y un tiempodesde el cual constituirse, corre el riesgo dequedar como formulacin universalista dedifcil aplicacin. Por esto que

    en el siglo XXI, el rostro de la nueva fraternidady sororidad ser intercultural o no ser. Paraaprender, entender y cambiar es preciso que laspersonas se aventuren en el dilogo consigomismas (dilogo intracultural), con sussemejantes, con personas de otras culturas oreligiones (dilogo intercultural e interreligioso)y se abran a ambientes culturales distintos; a laamplitud de lo real y lo cotidiano (Vallescar2006:16-17).

    En los tiempos que corren unapropuesta que busca recuperar la categorapoltica de fraternidad irremediablementetiene que asumir el factor cultural que esconstitutivo del ser humano. No puedequedarse a un nivel simplemente sociolgicoo econmico o incluso poltico. Hoy por hoy,no podemos reflexionar sobre la fraternidadsin asumir que en el mundo sedesencuentran, encuentran y conviven,constantemente, diversos mundos culturalesque expresan diversas maneras de estar,sentir y vivir la vida.

    Si es cierto que desde un punto devista poltico, la fraternidad se sita antes quenada como principio de construccin social,

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    Lucas Cervio

    donde el otro, si podemos definirnoshermanos, no es otro diferente de m, sinootro yo mismo (Ropelato 2006:199); elindagar la visin de mundo del otro que esyo mismo se torna fundamental. Claro,siempre y cuando la fraternidad quieracolaborar concretamente a la aperturaconstante hacia ambientes culturalesdistintos permitiendo ampliar la experienciade lo real y lo cotidiano.

    Para realizar lo que venimos enunciandoes necesario la prctica del dilogointercultural, que permite reconocer lainviolable igualdad de la dignidad humanapero al mismo tiempo la diferencia (cultural,social, religiosa, poltica, etc.) que tambin esinviolable. Como afirma Fornet-Betancourt,

    la necesidad del dilogo intercultural es lanecesidad de realizar la justicia, de entrar en uncontacto justo con el otro libre; lo que quiere decir asu vez que es necesario reconocerle como personahumana portadora, justamente en su diferencias, deuna dignidad inviolable que nos hace iguales(Fornet-Betancourt 2001:264).

    Por tanto, si la fraternidad desearesponder de manera profunda, creativa yreal al contexto actual del pluralismo nopuede reducir su anlisis de la realidad al nivelsocio-poltico sino que ha de abrirse a lacomplejidad del pluralismo cultural.Solamente desde este acercamientointercultural podr descubrir que lo poltico ysocial es percibido y vivido de manerasmltiples y diversas en un mismo contexto.

    Lo expresado revela que, tal vez, unpaso adelante en la reflexin alrededor elprincipio de la fraternidad tendr que asumirel pluralismo cultural de nuestros contextos,tambin latinoamericanos, si desea realmente

    ser una categora que promueva justicia,dignidad, igualdad y libertad a todos y todassus habitantes. Para esto un recurso de granvalor ser profundizar el mtodo de lafilosofa intercultural: el dilogo dialogal,donde las reglas del dilogo no sepresuponen unilateralmente ni se dan porsupuestas a priori sin haberlas establecido enel propio dilogo (Panikkar 2006:49). Estoporque

    el dilogo dialogal es radicalmente diferente deldilogo dialctico: no pretende con-vencer alotro, es decir, vencer dialcticamente alinterlocutor o, por lo menos, buscar con l unaverdad sometida a la dialctica. El dilogodialctico presupone la aceptacin de un campolgico y personal al que se atribuye o reconoceuna validez o jurisdiccin puramente objetiva. Eldilogo dialogal, en cambio, presupone laconfianza recproca en un aventurarse comn enlo desconocido, ya que no puede establecerse apriori si nos entenderemos el uno al otro, nisupone que el hombre sea un ser exclusivamentelgico (Panikkar 2006:52).

    Entonces, para la aplicacin de lacategora de fraternidad en espacios socialesno podremos contentarnos con establecerdilogos entre tendencias polticas diversas yopuestas. Si realmente deseamos fortalecer eltejido social de nuestros contextos plurales,es necesario promover espaciosinterculturales donde se practique el dilogodialogal. Espacios donde este contenida yrepresentada toda la diversidad cultural deuna regin, ciudad o barrio.

    3. Lo vital de un universalismo desde aba-jo (partir desde contextos reales)

    El desafo de educarnos al dilogodialogal remite a otro punto importante de la

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    propuesta intercultural, punto que estreferido al desde donde de lainterculturalidad. Es la universalidadentendida como una construccin constantedesde abajo o desde espacios concreto, yaque si el dilogo dialogal quiere ser fecundoy no contentarse con simples elucubracionesracionales no puede limitarse a formalismosabstractos de validez general, sino que debedescender al dilogo entre culturas concretasque entran en contacto (Panikkar 2006:55).

    El horizonte de la fraternidad esuniversal, ya que sta no puede ser reducida aun grupo, regin, pueblo, nacin o continente.Pero un posible riesgo ante este inmensoobjetivo de la fraternidad es menospreciar ydesvalorizar lo contextual, particular yconcreto. Es el riesgo, por otra parte tanlatino, de creer que porque est hecha lalegislacin o la norma, ya hemos alcanzado elobjetivo; pero tambin el riesgo tanoccidental de creer que la sntesis abstractauniversalista contiene lo particular. Ante esto,la interculturalidad nos recuerda que elproceso de identificacin parte siempre de loconcreto. Lo cual significa que no debemosrenunciar a la particularidad, sino ahondar enella hasta descubrir lo universal (Esquirol2005:155).

    Por tanto, si la fraternidad universaldesea realmente convertirse en unaalternativa global, tendr que saber brotardesde los contextos e irse construyendo, noa pesar de estos sino gracias a estos. Slosi ahonda en estos contextos hasta descubrirlo universal, es que podr aportar a latransicin del derecho internacional de losEstados soberanos hacia un derechocosmopolita que se preocupe con las

    cuestiones ecolgicas, de la paz y de la guerra,del desarrollo, en resumen, de todas lascuestiones que trascienden las fronteras delos Estados y exigen la superacin de unalgica meramente individualista, del interspersonal, de grupo, de clase o de etnia (Tosi2009:68).

    Afirmar que el punto de partida est enlas realidades concretas significa, por ejemplo,acercarse para aprender del proceso bolivianoque busca un nuevo orden socio-poltico ycultural. Aporte que exige ser ledo,profundizado y criticado desde sus visiones yestilos de vida, y no desde un paradigmaforneo. Porque para la propuestaintercultural la universalidad supone laliberacin realizante de todos los universosculturales y que, por eso mismo, ni se imponepor imperio de algn centro ni se logra al altoprecio de la reduccin y de la nivelacin de lodiferente, sino que crece desde abajo comoun tejido de comunicacin libre y desolidaridad (Fornet-Betancourt 2001:376).

    Entonces, el desarrollo de la propuestade fraternidad universal por una parte tieneque ser capaz de evitar el reduccionismo y lanivelacin de la diferencias fruto de esaabstraccin tan occidental en busca de unasntesis superior, y por otra parte tambin hade evitar erigir un centro desde el cualpromover la aplicacin de esta. El caminopasa por promover un policentrismo quepermita una mayor cercana a los contextos yque al mismo tiempo evita el encierro deestos. En otras palabras, la fraternidaduniversal no se concretiza aplicndolas a losdiversos contextos socioculturales y polticosdesde unos principios delineados desde quiensabe dnde, sino que la fraternidad universal

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    se va construyendo o gestando desdeespacios concretos. Contextos que cuandoestn maduros en sus experiencias defraternidad podrn aportar a los cambios en lalegislacin mundial.

    Cabe sealar que este partir desde loscontextos posibilita dos pasos fundamentalesen el proceso intercultural de generarsociedades justas y plenas de vida. Por unlado, es necesario profundizar en la propiacultura y no mantenerse en lo superficial ytpico. Por el otro, ante la otra culturadebemos ir ms all de todo lo que, en unprimer momento, nos aparece: descubrir loque est detrs, descubrir el sentido profundode los smbolos, de las conductas, de laspalabras o de los pensamientos (Esquirol2005:155-156). Son justamente los mismosespacios de interaccin cultural los quepermiten desarrollar la intraculturalidad(conocimiento de lo propio) que esimprescindible para poder sumergirse en lainterioridad de otras culturas y promover unaautntica interculturalidad.

    Es por estos dos pasos fundamentalesque la fraternidad universal ha de partir desdelos espacios concretos y vitales de laspersonas, para ir desarrollando su proyectode categora socio-poltica que permita evitartanto el encierro individualista de la libertaddesvirtuada, como la homogenizacin amorfade una igualdad mal comprendida.

    Pero el dilogo intercultural no tieneslo un carcter interpersonal, sino tambingrupal, social y entre pueblos. Ms an, es undilogo a desarrollar entre tradiciones ymodos de ver y vivir en el mundo. Por tantoincluso la misma categora de fraternidadtendr que ser puesta en discusin, si es que

    realmente desea entablar este dilogorespetuoso, horizontal y de enriquecimientomutuo con las culturas.

    4. Un posible equivalente homeomrfico(formas similares) a la categora de fra-ternidad

    Poner en discusin la categora defraternidad no significa anular su ricatradicin y aporte conceptual desarrollado enlos marcos del pensamiento occidental.Significa ms bien, desde este desarrollo, notratarla como una categora universal quepuede ser impuesta y colocada en todas lasculturas por igual. Dicho en trminos de laperspectiva intercultural, significa buscar susequivalentes homeomrficos en otrasculturas. Concretamente esto significa que setrata pues de un equivalente no conceptual nifuncional, a saber, de una analoga de tercergrado. No se busca la misma funcin (que lafilosofa ejerce), sino aquella equivalente a laque la nocin original ejerce en lacorrespondiente cosmovisin (Panikkarcitado en Estermann 2006:47).

    Entonces, un desafo no menor que sepresenta a quienes estamos desarrollando elprincipio de fraternidad es buscar susequivalentes homeomrficos en otrasculturas para poder entablar un autntico yenriquecedor dilogo con estas. Aqu estamosen el meollo de la perspectiva interculturaldonde como resultado de la hermenuticadiatpica uno aprende a pensar ycomprender desde el sistema simblico dems de una tradicin (Vallescar 2005:482). Y

    esto puede comprenderse por las nociones dehomologa las nociones juegan papelesequivalentes y ocupan espacios homlogos en los

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    Lucas Cervio

    respectivos sistemas- y de equivalenciahomeomrfica (=formas similares), nociones quedesignan una correlacin de funciones, que hade ser descubierta no impuesta externamente-entre las creencias especficas de distintasculturas o religiones a travs de su funcintopolgica. Permiten as reconocer los puntos deencuentro y apuntar a la mutua fecundacin(Vallescar 2005:482).

    Para ejemplificar, de manera muy velozy hasta superficial, podemos preguntarnos sies posible seguir utilizando la categora defraternidad en un contexto boliviano o esnecesario buscar su equivalentehomeomrfico.

    Segn un estudioso del mundo andino,J. Estermann, es posible hablar de unafilosofa y pensamiento que configura laszonas de los andes. Esta filosofa andina,como la nombra Estermann, es una filosofacomo reflejo de las culturas andinas, de lospueblos originarios que habitan el continentedesde Colombia hasta el norte de Argentina,un pensamiento vivo y transformador(Estermann 2007:44). El punto principal que ladiferencia del pensamiento y la filosofaoccidental es que

    la filosofa andina parte del principiofundamental de la relacionalidad (y no de lasustancialidad) y afirma que todo estrelacionado con todo, que todo tiene que ver contodo, que nada es ab-soluto, que existe una redde relaciones csmicas de la que cada ente esparte. La relacin es para hablar en formaparadjica- la verdadera sustancia andina. Encontraste, segn Aristteles (y la tradicinulterior), la relacin es un accidente, unacaracterstica de sustancias, exterior a stas y no-esencial (Estermann 2007:45).

    A su vez, continua el autor, esteprincipio fundante se desglosa en varios

    principios derivados: los principios decomplementariedad, correspondencia,reciprocidad, ciclicidad e inclusividad(Estermann 2007:45). Cabe sealar que estosprincipios derivados no se reducen a un rea odimensin de la realidad sino que cada unode ellos rige para todos los elementos, actos yrelaciones existentes en el universo ordenado(pacha), sean sos divinos o humanos, vivos oinertes, sagrados o profanos (Estermann2007:45).

    Ser que el principio de fraternidadtiene algo en comn con algunos de estosprincipios derivados como son lacomplementariedad, corresponsabilidad,reciprocidad, ciclicidad e inclusividad?Responder a este interrogante, en busca delequivalente homeomrfico, comporta unainvestigacin en s. Pero tal vez, a manera dehiptesis, es posible sealar que en uncontexto andino el equivalente de fraternidadsera la complementariedad. Por qu? Unabreve justificacin es la siguiente. Tosi afirmaque

    al enfatizar la libertad y la igualdad endetrimento de la fraternidad, la Mod