cellulite pathohysiology

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FERDINANDO TERRANOVA, MD IL NODULO DELLA DISCORDIA L’IRRISOLTA DIATRIBA SULLA PATOGENESI DELLA CELLULITE ALLA LUCE DELLA FISIOPATOLOGIA DEGLI ADIPOCITI ABSTRACT: Gli studi pubblicati, in tema di cellulite, da periodici di livello internazionale sono in nu- mero limitato e pervengono a conclusioni antitetiche. Conseguentemente, non è ancora possibile dirimere le gravi disparità di idee che, da anni, si trascinano sulla natura di questa affezione, sulla sua origine e, persino, sugli aspetti più elementari del quadro istopatologico. Manca, addirittura, una denominazione universalmente riconosciuta. Nel corso degli ultimi decenni, sulla sua ezio-patogenetesi si sono contrapposte, con alterne vicende, cin- que principali ipotesi, che indicano, come causa dell’inestetismo, rispettivamente: 1) un edema da eccessiva idrofilia della matrice intercellulare; 2) un’alterazione della fine omeostasi a livello della micro-circolazione distrettuale; la teoria patogene- tica viene compendiata in una denominazione sintetica ed esplicativa: pannicolopatia-edemato-fibro- sclerotica (PEFS); 3) la protrusione di ernie adipocitarie intradermiche, favorita dalla peculiare conformazione anatomica del sottocutaneo della donna, differente rispetto a quella dell’uomo; 4) una diseguale reazione che i tralci fibrosi interlobulari manifestano, in risposta allo stiramento indot- to dall’adiposità; 5) la proteolisi dei setti interlobulari, realizzata dalle proteasi. Tutte queste ipotesi devono, forse, oggi, essere aggiornate alla luce delle recenti acquisizioni in merito alla sofisticata e composita fisiopatologia del tessuto adiposo, che agisce come non solo come magazzino delle eccedenze alimentari, ma anche come dispositivo di governo del bilancio energetico dell’intero or- ganismo e come sistema ghiandolare a secrezione ormonale e para-ormonale multipla, in grado di mo- dulare il food intake, di regolare il metabolismo dei substrati calorici negli altri distretti e di produrre una serie di altre importanti azioni sistemiche. Le molteplici capacità dell’adipocita rendono inverosimi- le che questo elemento rimanga vittima impotente di fattori estranei, laddove si realizzi una diffusa alte- razione anatomo-funzionale del tessuto che lo ospita. 1. INTRODUZIONE Ogni medico è destinato a provare un profondo disagio quando si trova costretto a trattare una qualunque patologia sulla scorta di conoscenze scarse e contraddittorie; purtroppo, una simile, imbarazzante, situa- zione si realizza puntualmente tutte le volte in cui una paziente richiede al proprio curante di aiutarla a ri- solvere il problema della “cellulite”. Questa condizione, quasi esclusivamente muliebre, compromette la siluette (ed il buon umore) di milioni di donne, in ogni parte del mondo. Tutti i canali mediatici che individuano il loro target nella popolazione femminile under 50 fanno un gran parlare di questo disturbo e dei relativi rimedi. Innumerevoli provvedimenti (di tipo chirurgico, farmacologico, fitoterapico, omeopatico, elettromedicale, cosmetologico, fisio-massoterapico, ecc.) hanno conseguito un’effimera gloria 1 , prima di rivelarsi ineffi- caci; ciò non impedisce a centri estetici e beauty-farms di continuare ad incassare cifre da capogiro, spac- ciando improbabili panacee. 1

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Page 1: Cellulite Pathohysiology

FERDINANDO TERRANOVA, MD

IL NODULO DELLA DISCORDIA L’IRRISOLTA DIATRIBA SULLA PATOGENESI DELLA CELLULITE

ALLA LUCE DELLA FISIOPATOLOGIA DEGLI ADIPOCITI ABSTRACT: Gli studi pubblicati, in tema di cellulite, da periodici di livello internazionale sono in nu-mero limitato e pervengono a conclusioni antitetiche. Conseguentemente, non è ancora possibile dirimere le gravi disparità di idee che, da anni, si trascinano sulla natura di questa affezione, sulla sua origine e, persino, sugli aspetti più elementari del quadro istopatologico. Manca, addirittura, una denominazione universalmente riconosciuta. Nel corso degli ultimi decenni, sulla sua ezio-patogenetesi si sono contrapposte, con alterne vicende, cin-que principali ipotesi, che indicano, come causa dell’inestetismo, rispettivamente: 1) un edema da eccessiva idrofilia della matrice intercellulare; 2) un’alterazione della fine omeostasi a livello della micro-circolazione distrettuale; la teoria patogene-

tica viene compendiata in una denominazione sintetica ed esplicativa: pannicolopatia-edemato-fibro-sclerotica (PEFS);

3) la protrusione di ernie adipocitarie intradermiche, favorita dalla peculiare conformazione anatomica del sottocutaneo della donna, differente rispetto a quella dell’uomo;

4) una diseguale reazione che i tralci fibrosi interlobulari manifestano, in risposta allo stiramento indot-to dall’adiposità;

5) la proteolisi dei setti interlobulari, realizzata dalle proteasi. Tutte queste ipotesi devono, forse, oggi, essere aggiornate alla luce delle recenti acquisizioni in merito alla sofisticata e composita fisiopatologia del tessuto adiposo, che agisce come non solo come magazzino delle eccedenze alimentari, ma anche come dispositivo di governo del bilancio energetico dell’intero or-ganismo e come sistema ghiandolare a secrezione ormonale e para-ormonale multipla, in grado di mo-dulare il food intake, di regolare il metabolismo dei substrati calorici negli altri distretti e di produrre una serie di altre importanti azioni sistemiche. Le molteplici capacità dell’adipocita rendono inverosimi-le che questo elemento rimanga vittima impotente di fattori estranei, laddove si realizzi una diffusa alte-razione anatomo-funzionale del tessuto che lo ospita. 1. INTRODUZIONE Ogni medico è destinato a provare un profondo disagio quando si trova costretto a trattare una qualunque patologia sulla scorta di conoscenze scarse e contraddittorie; purtroppo, una simile, imbarazzante, situa-zione si realizza puntualmente tutte le volte in cui una paziente richiede al proprio curante di aiutarla a ri-solvere il problema della “cellulite”. Questa condizione, quasi esclusivamente muliebre, compromette la siluette (ed il buon umore) di milioni di donne, in ogni parte del mondo. Tutti i canali mediatici che individuano il loro target nella popolazione femminile under 50 fanno un gran parlare di questo disturbo e dei relativi rimedi. Innumerevoli provvedimenti (di tipo chirurgico, farmacologico, fitoterapico, omeopatico, elettromedicale, cosmetologico, fisio-massoterapico, ecc.) hanno conseguito un’effimera gloria1, prima di rivelarsi ineffi-caci; ciò non impedisce a centri estetici e beauty-farms di continuare ad incassare cifre da capogiro, spac-ciando improbabili panacee.

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Di fronte ad un problema tanto sentito, i progressi della scienza medica appaiono singolarmente esigui: interrogando la Medline, si scopre che, sull’argomento, gli studi pubblicati da periodici di livello interna-zionale sono in numero molto limitato. Chi si prendesse la briga di leggerli scoprirebbe che essi perven-gono a conclusioni antitetiche. Ancor più sorprendente è il disinteresse che per il “problema cellulite” manifestano non solo gli Istituti Universitari ma anche i laboratori di ricerca delle grandi aziende del set-tore cosmetico, che, pure, hanno fornito e continuano a fornire pregevoli contributi all’avanzamento delle conoscenze sulla fisiopatologia della cute. Conseguentemente, non è ancora possibile dirimere le gravi disparità di idee che, da anni, si trascinano sulla natura di questa affezione, sulla sua origine e, persino, sugli aspetti più elementari del quadro istopa-tologico. Manca, addirittura, una denominazione riconosciuta: tutti gli autori che hanno toccato l’argomento si sono affrettati a premettere dotte considerazioni sui motivi per i quali il vocabolo “cellulite”, entrato nell’uso a livello internazionale, risulta improprio ed inadeguato. Tuttavia non ne è stato trovato uno migliore. Infat-ti, il termine “cellulitis” viene usato, nell’inglese scientifico, per indicare una malattia del tutto diversa: l’infezione suppurativo-gangrenosa del cellulare lasso sottocutaneo2. Nei capitoli delle panniculiti3 e del-le lipodistrofie4 sono incluse forme morbose chiaramente non assimilabili alla comune cellulite. Infine, le altre dizioni di volta in volta impiegate (PEFS, liposclerosi, liopoedema, adiposis oedematosa, dermo-panniculosis deformans, status protrusus cutis, ecc.) riassumono concezioni morfologiche e patogeneti-che non universalmente condivise. Diverse possono essere le cause della perdurante inadeguatezza delle conoscenze: da un lato, l’enorme quantità di ciarpame pseudo-scientifico che circola in tema di cellulite rende l’argomento poco allettante per ogni serio gruppo di studio; dall’altro, nei paesi anglosassoni, ove si svolge buona parte della ricerca biomedica, ha prevalso la tesi che nega dignità nosologica alla cellulite, considerandola una “normale” espressione di adiposità peri-trocanterica femminile. Infine, l’estrazione che il contenuto lipidico degli a-dipociti subisce durante il processo di fissazione dei campioni istologici altera la morfologia di questi ul-timi, rendendo difficile e controversa la ricostruzione dell’organizzazione tissutale. Fortunatamente, negli ultimi anni, questa incresciosa lacuna nella comprensione di uno dei più diffusi inestetismi femminili è stata parzialmente colmata in modo, potremmo dire, “indiretto”: la sempre mag-giore diffusione dell’obesità e delle malattie ad essa collegate ha rappresentato, infatti, lo stimolo per un crescente interesse dei ricercatori di tutto il mondo verso lo studio della fisiopatologia del tessuto adiposo. Sono stati, pertanto, pubblicati migliaia di articoli che, pur non prendendo in alcuna considerazione il “problema cellulite”, hanno fornito una enorme messe di informazioni sulle caratteristiche morfologiche e funzionali che il tessuto adiposo può presentare in base al distretto corporeo, al sesso, all’età, al BMI, ecc. Enucleando, da questi lavori, gli aspetti istologici e biochimici individuati nel sottocutaneo gluteo-femorale delle donne e prendendo buona nota di quelli che, invece, non vengono mai riscontrati, si posso-no, faticosamente, conseguire dati utili a districarsi nel farraginoso ginepraio della teorie sulla patogenesi della cellulite. 2) IL TESSUTO ADIPOSO La cellulite è una patologia che, nel sesso femminile, colpisce elettivamente il grasso sottocutaneo, con una netta prevalenza per alcune sue localizzazioni. E’ doveroso, quindi, iniziare la trattazione della patogenesi di tale affezione con un breve richiamo sulla morfologia del tessuto adiposo e sulle peculiarità anatomiche e funzionali che esso assume a seconda del sesso e della sede. 2.1 ASPETTI MORFOLOGICI Il tessuto adiposo è un particolare tipo di connettivo, il cui elemento costitutivo e rappresentato da cellule specializzate (adipociti o fat cells), contenenti voluminose gocciole lipidiche; queste rappresentano riser-ve energetiche, che possono essere utilizzate dall’organismo, in risposta a particolari segnali nervosi e ormonali, negli intervalli tra i pasti e nei periodi in cui l’apporto calorico è inferiore alle richieste metabo-liche. Adipociti isolati o in piccoli gruppi si trovano sparsi in tutto il connettivo lasso, soprattutto in sede perva-sale: si parla, più propriamente, di tessuto adiposo quando si formano grossi ammassi di cellule, macro-scopicamente visibili.

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Il tessuto adiposo viene oggi considerato un “organo diffuso”, il più grande di tutto il corpo: in un ma-schio di costituzione media, rappresenta il 15-20% del peso; nella femmina arriva al 20-25%. E’ localiz-zato principalmente nel sottocutaneo, al di sotto dell’apparato tegumentario, ove forma strati, detti panni-coli adiposi, di spessore variabile, a seconda della congruità dell’apporto alimentare rispetto alle esigenze metaboliche; in tale sede contribuisce a determinare la siluette corporea ed assolve a compiti di isolamen-to termico e di protezione meccanica. E’ presente anche in molte altre regioni somatiche, come la ghiandola mammaria femminile, il palmo del-le mani, la pianta dei piedi, le fosse orbitali, le cavità inguinali e ascellari, le logge renali, lo spazio retro-peritoneale, l’omento, il mediastino, il timo. In alcune di tali zone, il tessuto adiposo svolge una funzione meccanica di sostegno In base ad una serie di caratteristiche morfologiche e funzionali, tra cui, innanzitutto, la modalità con cui i lipidi si accumulano nel citoplasma ed il colore tessutale, si distinguono due istotipi. 2.2 TESSUTO ADIPOSO BIANCO La varietà uniloculare viene spesso indicata come tessuto adiposo “comune” o “bianco” o anche “giallo”; in lingua inglese è detto White Adipose Tissue, da cui l’acronimo WAT. Il riferimento al colore è giustifi-cato dal tono cromatico, a sua volta determinato dal tipo di lipidi che vi si trovano accumulati: per il 90-99% trigliceridi, con piccole quantità di carotenoidi, acidi grassi liberi, di- e mono-gliceridi, fosfolipidi, colesterolo e suoi esteri. Il tessuto adiposo bianco è costituito da grosse cellule di forma tondeggiante o poliedrica. Il diametro è in media, di 60 μm, ma può raggiungere i 120 μm. Il termine “uniloculare” è motivato dal fatto che il volu-me cellulare è occupato quasi interamente da un’unica goccia lipidica (lipid droplet), che schiaccia lo scarso citoplasma ed il nucleo in un sottile orlo periferico; in sezione, si osservano, pertanto, aspetti ad “anello con castone”. La microscopia elettronica rivela minuscole lipid droplets secondarie, accanto a quella principale, un piccolo apparato del Golgi, pochi mitocondri filamentosi, un reticolo endoplasmico e molti ribosomi liberi. Le lipid droplets sono oggi considerate veri organuli cellulari. Sono rivestite da un monolayer fosfolipi-dico, cui si legano particolari proteine, che svolgono un ruolo indispensabile per la gestione del contenuto energetico (vedi figura n. 1): accanto alle proteine della famiglia PAT, tra cui la Perilipina A5, è stata re-centemente individuata la presenza di peptidi adibiti alla movimentazione ed alla fusione degli elementi vescicolari (Rabs, SNAREs, ecc.)6. Ogni cellula adiposa risulta circondata da un’esile lamina basale7 in cui sono presenti proteoglicani, col-lagene non fibrillare (prevalentemente di tipo IV e VI), laminine, entactine, fibronectina, ecc. Tecniche di proteomica hanno dimostrato che gli adipociti intervengono attivamente nella sintesi e nella manutenzio-ne di questa matrice extracellulare8, la cui entità e composizione cambiano a seconda dello stato funzio-nale9. Gli elementi cellulari sono fittamente accostati: gli ammassi sono divisi in lobuli mediante setti connetti-vali, in cui si trovano i vasi sanguigni. Ogni adipocita è in contatto con almeno un capillare. Il flusso ema-tico tessutale è elevato, in rapporto al volume cellulare: supera quello del muscolo striato e aumenta ulte-riormente nel digiuno prolungato. Oltre alla componente vascolare, i setti interlobulari contengono altri tipi di cellule stromali, quali fibro-blasti, leucociti, linfociti, macrofagi, elementi mesenchimali indifferenziati con funzioni staminali; de-correndo verticalmente ed obliquamente, questi tralci formano, nell’ipoderma, un reticolo fibroso (reti-nacula cutis) che collega il derma profondo con le fasce muscolari o periostee. 2.3 TESSUTO ADIPOSO BRUNO Il tessuto adiposo multiloculare, chiamato anche tessuto adiposo bruno (in inglese Brown Adipose Tis-sue, da cui l’acronimo BAT) è formato da cellule di medie dimensioni (non superano i 50 μm), fittamente accostate, di forma poligonale, contenenti molteplici, piccole gocciole lipidiche, sparse nel citoplasma, insieme al nucleo ed agli organuli cellulari. Il colorito scuro (che giustifica il nome di questo tessuto) de-riva dall’elevato numero di mitocondri e dalla ricca vascolarizzazione. I trigliceridi contenuti nelle minuscole lipid droplets non sono destinati ad essere rilasciati per divenire substrati di altre cellule, ma vengono sottoposti a β-ossidazione direttamente nei mitocondri degli adipo-citi bruni. Qui la Uncoupling protein 1 (UCP1) permette di disaccoppiare la catena respiratoria dalla fo-sforilazione ossidativa; l’energia liberata non serve, quindi, a produrre ATP, ma viene dispersa sotto for-ma di calore.

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Figura n. 1: Tessuto adiposo bianco e bruno

Nei piccoli mammiferi e in alcune specie animali che vanno in letargo durante la stagione invernale, il BAT è molto abbondante, soprattutto, nella regione interscapolare e nelle ascelle e serve a mantenere l’omeotermia. Quando le temperatura corporea tende ad abbassarsi, vari stimoli endocrini (gli ormoni ti-roidei, l’azione delle catecolamine sui recettori β3-adrenercici) incrementano la termogenesi nei mito-condri delle cellule multiloculari. Nella specie umana il tessuto adiposo bruno è presente, in quantità modesta, nel feto e nel neonato, ove è prevalentemente localizzato nelle regioni scapolari; con la crescita, si trasforma, per gran parte, in grasso bianco. Sino a qualche anno or sono, era opinione comune che, nelle persone adulte (in cui il maggior rapporto peso/superficie rende meno critica la termoregolazione) il BAT fosse praticamente assente. Vi-ceversa, recenti indagini, basate sull’impiego della tomografia ad emissione di positroni (PET-CT) previa infusione di F18-fluorodeossiglucosio, hanno dimostrato che accumuli di BAT funzionalmente attivi, con immunopositività per l’UCP1, sono comunemente rilevabili a tutte le età10, sparsi in un’area che va dalla nuca, sino alle zone latero-cervicali, sovraclaveari e, in minor misura, toraciche, paravertebrali, soprare-nali; essi sono più abbondanti nelle femmine e diminuiscono negli anziani. Ulteriori osservazioni hanno enfatizzato l’importanza di tali rilievi; si è notato che la quantità di tessuto adiposo bruno e la sua funzionalità aumentano in seguito a prolungate esposizioni alle basse temperatu-re11. Inoltre, è stata riscontrata una proporzionalità inversa tra il volume del BAT e l’indice di massa cor-porea (BMI, ossia Body Mass Index); in altri termini, nei soggetti in sovrappeso lo sviluppo del tessuto adiposo bruno appare minore rispetto ai controlli, per cui si può ipotizzare che un deficit di attività del BAT possa essere tra le cause che determinano l’obesità. E’ stato, infatti, calcolato che 50 grammi di tes-suto adiposo bruno, sottoposti a forte stimolazione ormonale, possono sostenere un dispendio energetico pari al 20% di quello dell’intero organismo12. L’istogenesi degli adipociti bruni è stata a lungo materia dibattuta, non essendo chiaro se essi costituisse-ro elementi distinti dalle cellule del grasso bianco o, piuttosto, derivassero da queste ultime. Paradossal-mente entrambe le tesi contrapposte hanno ricevuto conferma. Da un lato, infatti, sembra provato che il BAT e il WAT prendono origine da precursori mesenchimali di-stinti: in particolare gli adipociti bruni derivano dalle stesse stem cells (contrassegnate dalla positività per la proteina MYF-5) da cui nascono le fibre muscolari. La differenziazione in senso adipocitario di tali progenitori è innescata dal fattore di trascrizione PRDM-16 e dalla proteina BMP-7 (bone morphogenic protein 7)13. Dall’altro lato, è stato dimostrato che, al di fuori degli accumuli di tessuto adiposo bruno, particolari sti-moli (ad esempio, l’attivazione della ciclo-ossigenasi-2, cui consegue la sintesi della prostaglandina PGE2)14, possono indurre i comuni adipociti bianchi a trasformarsi in elementi (da taluni denominati adi-pociti “beige“15) che, pur senza esprimere il fattore MYF-5, si comportano come cellule del BAT; essi, infatti, sono positivi per l’UCP1 e incrementano il dispendio energetico attraverso il disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa 16 (figura n. 2).

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Figura n. 2: Istogenesi degli adipociti bianchi, bruni e “beige”

Studi sperimentali nel topo, in cui sono state modificate l’espressione del BAT o della UCP1 e ricerche sui polimorfismi della UCP1 nella specie umana inducono a ritenere probabile che il tessuto adiposo bru-no svolga un ruolo importante nel prevenire l’accumulo di grasso viscerale e la resistenza insulinica17. La crescente incidenza, nei paesi occidentali, dell’obesità e delle malattie ad essa collegate rende sempre più pressante la richiesta di terapie farmacologiche efficaci. Le difficoltà connesse al mantenimento di re-gimi dietoterapici fortemente ristretti e i risultati sin’ora deludenti nell’impiego clinico dei farmaci ano-ressanti spiegano l’attuale interesse per i processi biologici in grado di aumentare il consumo calorico. Purtroppo i tentativi di sviluppare agonisti selettivi dei recettori β3-adrenergici non ha ancora ottenuto il successo auspicato. La recente individuazione dei fattori in grado di indurre la differenziazione e l’attivazione degli adipociti bruni e beige ha spalancato nuove prospettive per la ricerca di una cura dell’obesità. 2.4 ASPETTI FUNZIONALI Adipogenesi Gli adipociti bianchi prendono origine da precursori mesenchimali, morfologicamente indistinguibili dai fibroblasti, probabilmente situati in sede prerivasale. In passato si riteneva che la moltiplicazione di queste stem-cells avvenisse solo nelle fasi di crescita tessu-tale caratteristiche dell’età prenatale e dell’adolescenza e che, invece, nell’adulto, in caso di apporto ali-mentare sovrabbondante, l’aumento della massa adiposa fosse dovuto principalmente all’incremento vo-lumetrico degli adipociti residenti. Oggi sappiamo, viceversa, che, anche dopo l’età dello sviluppo, rimangono, nel grasso, elementi staminali in grado di proliferare e di trasformarsi in senso adipocitario18, ,19 20; si calcola che le forme immature (progenitori mesenchimali totipotenti e preadipociti committed ma non ancora differenziati) costituiscano tra il 15% ed il 50% del volume tessutale totale21. Finché permane un equilibrio tra l’input nutrizionale e le esigenze caloriche, la consistenza della popola-zione rimane invariata; ciò non vuol dire che essa sia statica, né che gli elementi che la compongono sia-no immortali. Il loro numero viene mantenuto costante grazie ad un equilibrio dinamico tra i fenomeni di apoptosi , , ,22 23 24 e quelli di neo-adipogenesi. In altri termini, si realizza un bilancio tra i processi paralleli di morte e rigenerazione: le cellule grasse neoformate rimpiazzano quelle che scompaiono, con un turnover del 10 per cento circa l'anno25. Qualora, invece, il materiale energetico introdotto con il cibo superi il consumo, le eccedenze vengono i-nizialmente immagazzinate attraverso un aumento della dimensione degli adipociti pre-esistenti. Subito dopo, iniziano ad essere riversate anche all’interno di nuovi elementi, generati a partire dai preadipociti 26. Tale fenomeno, determinato neoadipogenesi, comporta una prima fase di proliferazione dei precursori, cui segue il processo di differenziazione: le cellule fusiformi assumono un aspetto tondeggiante e accu-mulano trigliceridi entro lipid droplets via via sempre più voluminose. Parallelamente, altri drammatici

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cambiamenti coinvolgono tutti i componenti citoplasmatici, il citoscheletro e perfino le strutture della cir-costante matrice extracellulare27, la quale subisce un intenso rimodellamento28, accompagnato da neo-formazione vasale29,30. Il rapporto tra ipertrofia ed iperplasia degli adipociti può spostarsi in un senso o nell’altro, in base a nu-merosi fattori, tra cui una variabilità individuale geneticamente determinata, il sesso, l’età, il distretto corporeo31,32. I recettori nucleari PPARγ (sui quali agiscono gli ultimi nati nella famiglia dei farmaci an-tidiabetici orali, i tiazolinedioni) rappresentano i principali induttori dell’adipogenesi. I ligandi naturali di tali recettori sembrano essere acidi grassi polinsaturi di origine alimentare ed eicosanoidi da essi derivati. In linea di massima, l’aumento del numero degli adipociti prevale nei soggetti giovani, nel sesso femmini-le e nel distretto sottocutaneo gluteo-femorale; in questi casi la dimensione media cellulare non subisce notevoli incrementi e le attività metaboliche non risultano alterate. Viceversa, la preponderante tendenza all’ipertrofia adipocitaria, tipica soprattutto del grasso viscerale del maschio obeso in età medio-avanzata, predispone il tessuto a comportamenti disfunzionali, in grado di favorire l’insorgenza delle patologie sistemiche che vengono oggi ricomprese nell’ambito della cosiddetta Sindrome Metabolica. L’eccessiva crescita volumetrica (soprattutto se riguardante gli adipociti viscerali) sembra, quindi, costi-tuire uno dei principali fattori scatenanti della metamorfosi che vede cellule normalmente adibite a com-piti essenziali per la sopravvivenza dell’organismo trasformarsi in quello che gli autori anglosassoni defi-niscono “sick fat” 33e che rappresenta un grave elemento di disturbo per l’omeostasi generale. La variazione della dimensione dei singoli adipociti è espressione del bilancio tra i processi che portano al deposito di trigliceridi (lipogenesi) e quelli che ne determinano l’idrolisi (lipolisi). Tale equilibrio è de-terminato dallo stato nutrizionale ed è regolato da fattori endocrini, tra i quali le catecolamine, l’insulina, gli ormoni steroidi, la tiroxina ed alcune adipokine. Lipogenesi Il primo passo del processo è rappresentato dalla captazione degli acidi grassi liberi (in inglese Free Fatty Acids, da cui l’acronimo FFA) trasportati dal sangue, mentre la loro neosintesi adipocitaria, a partire dal glucosio, è assai modesta nella specie umana. La Lipoprotein-Lipasi (LPL), sintetizzata dagli adipociti e trasferita alle cellule endoteliali, li preleva dalle lipoproteine plasmatiche: chilomicroni e VLDL (very-low-density lipoprotein). L’enzima scinde, infatti, i trigliceridi in esse contenuti: i FFA idrolizzati pene-trano entro gli adipociti, per diffusione passiva e mediante dispositivi di trasporto attivo. Sono, poi, con-vertiti in acil-CoA ed, infine, all’interno del reticolo endoplasmico, legati al glicerolo-3-fosfato, ricavato dal metabolismo glucidico. La triplice esterificazione del glicerolo porta nuovamente alla formazione dei trigliceridi. Questi ultimi vengono racchiusi entro le “lipid droplets” che il reticolo endoplasmico rilascia nel citoplasma. Come già accennato, non si tratta di semplici ammassi molecolari ma di veri e propri organuli, circondati da un involucro fosfolipidico monostratificato34, sulla cui superficie si ancora un’intera compagine di specifiche proteine: la famiglia PAT35, così chiamata dalle iniziali delle specie più rappresentative. Tra queste, la più abbondante, sul rivestimento delle lipid droplets mature, è la Perilipina A36. La proteine PAT svolgono un ruolo essenziale nella serie di eventi che porta alla nascita ad allo sviluppo delle lipid droplets; inoltre, partecipano attivamente al processo della lipolisi. L’insulina esplica un potente azione di stimolo sull’attività della LPL e, quindi, sulla captazione dei FFA e sulla successiva liposintesi37. Lipolisi Nella specie umana, i principali ormoni implicati nell’avvio della lipolisi sono le catecolamine (adrenali-na e noradrenalina) che, a livello cellulare, interagiscono con quattro varietà di recettori adrenergici: β1, β2, β3 ed α2. I tre sottotipi β, ed in particolare i β 2, trasmettono un impulso lipolitico, mentre le unità α2 mandano un segnale di senso contrario; l’adipocita è l’unico elemento cellulare che ospita contemporane-amente, sulla sua membrana, adrenorecettori con funzione agonista ed antagonista. La quantità di triglice-ridi idrolizzati dipende dal bilancio locale tra questi inputs di opposta valenza38. I recettori β sono accoppiati ad una proteina G eccitatoria, che attiva l’enzima di membrana adenilato-ciclasi, determinando un aumento del pool di cAMP (adenosin-monofosfato ciclico), il quale, a sua volta, innesca la protein kinasi A (PKA). I recettori α2 hanno effetto contrario: essendo accoppiati ad una pro-teina G inibitoria, bloccano l’adenilato-ciclasi, riducendo sia la disponibilità di cAMP, sia, conseguente-mente, l’attività della PKA39 (vedi figura n. 3).

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Figura n. 3: meccanismi di regolazione della lipolisi adipocitaria

In condizioni normali, il sottotipo recettoriale β2 rappresenta il più rilevante promotore dell’attività lipoli-tica e l’adrenalina costituisce il principale ligando. Lo stesso ormone eccita, però, anche il recettore adre-nergico α2. Il bilancio tra gli effetti lipolitici ed antilipolitici della stimolazione catecolaminica è funzione, in un de-terminato distretto, del rapporto numerico tra unità di tipo β2 e di tipo α2 e/o da variazioni locali della sensibilità delle stesse. Oltre alle catecolamine, altre sostanze possono influire, in senso positivo o negativo, sulla idrolisi dei tri-gliceridi, per lo più con meccanismi di tipo post-recettoriale, che modificano la concentrazione di cAMP. Tra queste, l’insulina, che rappresenta il più potente ormone antilipolitico: il suo legame allo specifico recettore incrementa la funzione della fosfodiesterasi 3B, enzima costituzionalmente attivo, facente parte di un sistema di controregolazione, adibito a degradare il cAMP man mano che viene formato40. Tale modalità di azione spiega come gli inibitori della fosfodiesterasi 3, quali l’aminofillina e la teofillina, bloccando la rimozione del cAMP, ne mantengono elevata la disponibilità, in modo da determinare un in-cremento della lipolisi41. Un altro meccanismo di modulazione dell’idrolisi dei trigliceridi è posto in essere dall’adenosina: essa esercita una forte azione antilipolitica, agendo su uno specifico recettore, attraverso il quale inibisce l’adenilitato-ciclasi e la produzione di cAMP. La caffeina e la teofillina sono antagonisti dell’adenosina (vedi tabella 1) Infine un forte agente lipolitico è costituito dal Peptide Natriuretico Atriale: esso agisce su specifici recet-tori, accoppiati con una Proteina G che, a sua volta, attiva la Guanilato ciclasi. Si ottiene così la produ-zione di cGMP, la cui azione è simile a quella del cAMP. Sino a pochi anni or sono si riteneva che l’idrolisi dei trigliceridi nel tessuto adiposo fosse realizzata dalla sola Lipasi Ormono-Sensibile (HSL). Questo assunto si è dimostrato inesatto allorché è stato scoperto che, nei topi geneticamente privi di HLS, la lipolisi basale non viene compromessa. Nelle cellule adipose di questi animali non si produce un crescente accumulo di trigliceridi (TG) non idrolizzati: piuttosto au-menta il contenuto in di-gliceridi (DG)42, il che si spiega tenendo presente che la HLS è molto più effi-ciente nella lipolisi dei DG che non dei TG. Nel 2004 tre gruppi di ricerca individuarono negli adipociti un altro enzima lipolitico, denominato Adipo-se Triglyceride Lipase (ATGL), dotato di capacità specifica per l’idrolisi dei TG43. Successivi studi han-no riconosciuto la presenza di ulteriori enzimi (ad esempio una Monogliceride-Lipasi) e di un’ampia serie di cofattori. In base a questo insieme di acquisizioni, sembra ormai chiaro che la lipolisi adipocitaria è un processo molto più complesso ed articolato di quanto in passato si pensasse. La sequenza degli eventi che portano al rilascio di FFA nella circolazione ematica, sulla base delle attuali

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conoscenze, sembra seguire lo schema riassunto nella figura n. 4. In seguito alla stimolazione catecolaminica che porta, come si è detto, alla sintesi di cAMP ed alla attiva-zione della PKA, quest’ultima opera una fosforilazione della Perilipina A. Ciò consente al cofattore CGI-58 di staccarsi dalla Perilipina A, per andarsi a legare alla ATGL: il com-plesso ATGL/CGI-58 si fissa sulla superficie della lipid droplet ed avvia la lipolisi, staccando una prima catena di acido grasso dai TG. Si ottengono, in questo modo, molecole di DG. A questo punto, la PKA opera una fosforilazione anche a carico della HLS: ciò consente a questo enzi-ma, costituzionalmente inattivo, di traslocare dalla sua normale collocazione citoplasmatica per andare a ancorarsi sulla superficie della lipid droplet44. Qui il suo compito principale consiste nel promuovere il distacco di una seconda catena di acido grasso dai DG, trasformandoli in mono-gliceridi (MG). L’ultima fase della lipolisi è affidata ad una Monogliceride-Lipasi che idrolizza l’ultima catena di acido grasso, ge-nerando FFA e glicerolo. A questa complessa successione di eventi partecipano anche altri cofattori proteici, tra cui la lipotransina, che contribuisce a favorire traslocazione della HLS dal citoplasma alla superficie della lipid droplet, e la fatty acid binding protein-4 (FABP4) che funge da trasportatore intracitoplasmatico dei FFA.

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Figura n. 4: Varie lipasi lavorano in sequenza per idrolizzare le tre molecole di aci-do grasso dai trigliceridi

Insulina e tessuto adiposo Il tessuto adiposo è uno dei principali bersagli dell’attività insulinica, manifestando, in condizioni norma-li, un’estrema sensibilità all’ormone. L’insulina stimola l’uptake adipocitario di glucosio, per induzione della translocazione, verso la mem-brana, dei recettori GLUT4; a partire dal glucosio la cellula adiposa può, così, sintetizzare acidi grassi che vengono, poi, esterificati in trigliceridi. Questi ultimi, in realtà, nella specie umana, vengono principalmente prelevati dalla circolazione, dato che la capacità neolipogenetica del tessuto adiposo sembra essere assai minore di quella che si osserva nei ro-ditori. Il forte incremento della sintesi degli acidi grassi indotto dall’insulina si realizza quasi tutto a livello epa-tico, ove l’ormone aumenta la captazione del glucosio e la produzione di FFA, che sono, poi, utilizzati per fabbricare trigliceridi, a loro volta assemblati nelle VLDL. Le lipoproteine trasportano al tessuto adiposo i lipidi prodotti dal fegato, insieme a quelli provenienti dal-la dieta. Come si è detto, i trigliceridi non vengono assorbiti direttamente dagli adipociti, ma sono prima idrolizzati da una lipoprotein lipasi extracellulare. Quindi, entrano nella cellula come acidi grassi, per es-sere poi, nuovamente, esterificati al glicerolo, nel reticolo endoplasmico. L’insulina esercita una forte azione di stimolo sulla lipoproteina lipasi, incrementando, così, il deposito dei grassi a livello adiposo. Contemporaneamente, l’ormone inibisce la lipolisi, innescando la fosfodiesterasi: la conseguente riduzio-ne della disponibilità di cAMP impedisce le fosforilazioni necessarie per attivare gli enzimi lipolitici. Alterazioni della differenziazione, della proliferazione e delle funzioni biologiche degli adipociti, come quelle che si realizzano in condizioni di eccesso (obesità), deficit (lipodistrofia) e/o alterata di-

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stribuzione regionale del tessuto adiposo, sono frequentemente associate a quadri di insulino-resistenza, cui conseguono alterazioni dell'omeostasi metabolica e predisposizione al diabete di tipo 2. Adipochine Fino a pochi anni or sono, gli adipociti erano considerati unicamente sedi di deposito delle riserve ener-getiche, immagazzinate come trigliceridi durante la fase postprandiale e mobilizzate sotto forma di aci-di grassi liberi (FFA) nella fase interprandiale e nel digiuno prolungato. In realtà, già da oltre un decennio abbiamo cominciato a comprendere che il tessuto adiposo non è un inerte magazzino, ma un attivissimo organo endocrino, il più esteso e polivalente di tutto il corpo, capace di produrre importanti molecole, chiamate adipochine45, che intervengono nella regolazione di tutte le fa-si della gestione dei substrati calorici, modulando lo stimolo della fame e quindi l’apporto alimentare, il dispendio energetico, il trasporto ematico, lo stoccaggio e l’ossidazione periferica dei grassi, la sintesi ed l’utilizzazione dei glucidi, la sensibilità all’insulina46. In epoca ancora più recente sono stati acquisiti dati che indicano come il tessuto adiposo sia in grado di realizzare importanti azioni sistemiche che vanno al di là del metabolismo energetico, in quanto influi-scono sulle funzioni dell’apparato circolatorio, del sistema immunitario47, del rene, delle gonadi e dell’impalcatura ossea, con importanti ricadute persino sulla proliferazione cellulare, sui processi infiam-matori48,49, sulla riproduzione e sulla fisiopatologia dell’invecchiamento50. Le adipochine hanno sia un’azione autocrina e paracrina, in quanto modulano le funzioni biologiche degli stessi adipociti e delle cellule dello stroma (ad esempio, i macrofagi), sia un’attività endocrina, poiché, una volta riversate nel torrente circolatorio, influiscono su organi distanti. I target delle adipo-chine sono molteplici e comprendono le cellule del sistema nervoso centrale, delle insulae pancreatiche, del fegato, del muscolo scheletrico e cardiaco, dell’endotelio, del sangue. Una particolare importanza rivestono quegli ormoni adipocitari che partecipano al mantenimento del-l'equilibrio metabolico attraverso la modulazione dell'azione insulinica: alcune adipochine aumentano la sensibilità all’insulina (ad esempio adiponectina e leptina)51; altre, al contrario, la riducono, causando insulino-resistenza (ad esempio resistina, TNF-α, IL-6)52.53. Tra le sostanze ad attività endocrina e/o paracrina rilasciate dal tessuto adiposo, ricordiamo: leptina54,55, adiponectina56,57, resistina58,59, IL-660, TNF-α61,62, ,63 64 e recettore solubile per il TNF-α65, FIAF (fa-sting-induced adipose factor)66, MCP-1 (monocyte chemoattractant protein–1) , Osteopontina, ASP (a-cylation-stimulating protein) 67, adipsina, prostaglandine68,69, lipoprotein lipasi70, angiotensinogeno ed angiotensina II71, FGF (fibroblast growth factor)72, TGF-β (transforming growth factor-beta )73, PAI-1 (plaminogen activator inhibitor-1)74, VEGF (vascular endothelial growth factor)75,76, MMP (matrix me-talliproteinases)77,78.

Principali Adipochine

Adipokine(s) Site of Action Function Leptin Hypothalamus Represses hunger, increases energy metabolism Immune system Keeps immune system up-regulated Cardiovascular system Anti-inflammatory effect Endocrine system Regulates puberty and reproduction Skeletal muscle Improves insulin sensitivity

Adiponectin Immune system Decreases release of inflammatory molecules Skeletal muscle Increases fatty acid oxidation, glucose uptake, and lactate production Liver Reduces levels of molecules involved in gluconeogenesis, increases free fatty acid metabolism Cardiovascular system Antiatherosclerotic effect

Resistin Immune system Stimulates inflammation Cardiovascular system Impairs vascular relaxation

Retinol-binding protein 4 Plasma Transports vitamin A Skeletal muscle Impairs insulin signalling

Tumor necrosis factor alpha (TNF-α)

Skeletal muscle Impairs insulin signaling

Visfatin Skeletal muscle Binds to insulin receptors and mimics insulin Immune system Causes release of TNF-α and interleukins (inflammatory signals)

Interleukin 6 Skeletal muscle Impairs insulin signalling

Angiotensinogen and angiotensin II Vascular system Induces smooth muscle cell contraction and raises blood pressure Adipose tissue Pro-inflammatory effect

Free fatty acids Skeletal muscle Promotes insulin resistance Liver Promotes insulin resistance Tabella 1: Principali sostanze prodotte dagli adipociti (talora anche dalle cellule stromali)

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E’ importante notare che alcune di queste sostanze, in realtà, oltre ad essere rilasciate direttamente dagli adipociti, vengono secrete anche (e, in qualche caso, soprattutto) dalle cellule stromali o dai macrofagi, i quali, come si dirà più avanti, infiltrano estesamente il grasso viscerale degli obesi. La leptina esercita i suoi effetti sul bilancio energetico, agendo su specifici recettori a livello ipotala-mico, ove induce sazietà, attraverso l’inibizione del neuropeptide Y. I ceppi di topi che presentano una mutazione del gene per la leptina (ob/ob) o per il suo recettore (db/db) mostrano un’obesità massiva. Nell’uomo i livelli plasmatici sono direttamente proporzionali alla massa adiposa: la secrezione di lep-tina è, quindi, aumentata nell’obeso, ove però, si manifesta uno stato di “leptinoresistenza”. Le funzioni della leptina non si limitano solo alla regolazione del rapporto col cibo, ma rivestono un ruolo importante anche nella riproduzione, nella modulazione plastica neuronale e nella regolazione del tono vascolare79. L’adiponectina è una delle proteine più attivamente espresse dagli adipociti: i livelli circolanti sono molto elevati nell’uomo sano. Recentemente è stato dimostrato che la funzionalità mitocondriale è es-senziale per la sintesi e la secrezione. Esistono 2 tipi di recettori specifici, localizzati, rispettivamente, a livello epatico e muscolare. L’adiponectina eleva la sensibilità all’insulina nel tessuto adiposo, nel mu-scolo e nel fegato; favorisce l’ossidazione dei lipidi; migliora la vasodilatazione endotelio-dipendente (at-traverso un incremento della produzione di NO); riduce l’espressione delle proteine di adesione; contrasta gli effetti negativi sulla funzione endoteliale provocati dal TNF-α e dalle LDL ossidate; blocca la diffe-renziazione dei monociti e la formazione di cellule schiumose; inibisce l’attività delle metalloproteasi di matrice, proteggendo la placca dalla rottura; ha anche azione antitrombotica, riducendo l’aggregazione piastrinica e la formazione del trombo80. Nei pazienti obesi, soprattutto con adiposità addominale viscerale, i livelli circolanti di adiponectina sono inferiori al normale; tale condizione si associa ad aumentato rischio di diabete, a ridotta utilizza-zione periferica di glucosio ed a diminuita ossidazione muscolare degli acidi grassi81. La visfatina ha effetti simili a quelli dell’insulina; sembra attivare il recettore insulinico, legandolo in un punto distinto da quello dell’insulina. Poiché i livelli circolanti sono significativamente minori di quanto richiesto dalla sua modesta affinità per il recettore, è verosimile che la visfatina possa agire per via paracrina o autocrina, piuttosto che in modo endocrino. La produzione di visfatina sembra essere specifica dei depositi adiposi addominali; infatti, la sua concentrazione plasmatica correla con l’indice WHR82. La resistina ha una storia controversa, per quanto riguarda la sua attività patogenetica. Nei roditori i livel-li circolanti di resistina risultano aumentati nell’obesità ed il suo ruolo nello sviluppo dell’insulino-resistenza è stato ampiamente dimostrato83. Permangono, invece, diversità di opinioni sul significato che tale adipochina assume nella specie umana, ove la sua produzione è realizzata principalmente dai monoci-ti ematici. Mentre alcuni suggerirono che i tassi plasmatici della resistina84 e/o le variazioni individuali nella composizione aminoacidica85 possono condizionare insorgenza dell’obesità e del diabete, altri non confermano tali osservazioni86. Dati recenti indicano che la resistina è implicata nei processi di tipo infiammatorio. Nel tessuto adiposo e nei monociti stimola la produzione di TNF-α e IL-687; inoltre, l’espressione della adipochina si associa a quella di altri indici di flogosi, come la PCR, risultando elevata nei pazienti affetti malattia intestinale in-fiammatoria e da patologia coronarica88. Un’ulteriore rilevante attività endocrina riconosciuta al tessuto adiposo è connessa alla presenza di una aromatasi, implicata nella bioconversione degli steroidi sessuali89. 2.5 DIFFERENZE DISTRETTUALI ANATOMO-FUNZIONALI Nella specie umana i depositi lipidici mostrano disuguaglianze morfologiche e fisiologiche, a seconda del distretto corporeo. Dal punto di vista anatomico e fisiologico, nell’organo adiposo possono essere distinti due principali comparti; quello sottocutaneo e quello splancnico addominale (periviscerale, omentale e retroperitoneale) 90. Nell’ambito di entrambi possono essere ulteriormente individuate aree circoscritte con caratteristiche tra loro non in tutto sovrapponibili. Ad esempio, nell’ambito del tessuto sottocutaneo, notevoli differenze funzionali sembrano esistere tra le regioni della metà superiore del corpo (ed in particolare quella della superficie addominale)91 rispetto al distretto gluteo-femorale. Il grasso viscerale, a sua volta comprende gli accumuli omentali e mesenterici, tributari del circolo portale e quelli retro peritoneali e perirenali, il cui sangue refluo è drenato dalle vene della circolazione sistemica.

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Per alcuni versi assimilabili metabolicamente al tessuto adiposo viscerale sono le localizzazioni perivasa-le, pericardiaca, mediastinica, cervicale e intrapelvica (gonadica, epididimale, uro-genitale)92. Nel maschio buona parte delle raccolte di grasso tendono a localizzarsi (soprattutto con il procedere degli anni) nella metà superiore del corpo, in particolare nella regione addominale, in sede viscerale (adiposità androide); nella donna in età fertile predomina, invece, la distribuzione sottocutanea, specialmente nella porzione somatica inferiore, ossia nell’area gluteo-femorale (adiposità ginoide). L’entità dei depositi ed alcune delle proprietà funzionali dei singoli comparti adiposi mostrano un notevo-le grado di variabilità, in conseguenza del bilancio nutrizionale e di particolari attività ormonali che, a lo-ro volta, dipendono dal sesso, dall’età, da eventuali disendocrinismi e da caratteristiche costituzionali. Ri-cerche condotte in vitro (su adipociti prelevati dalle diverse zone) ed in vivo (mediante esperimenti di mi-crodialisi tessutale o studi metabolici con traccianti marcati) indicano che sia i fenomeni di lipogenesi, sia quelli di lipolisi vengono regolati in modo dissimile nell’uomo rispetto alla donna e nel comparto splan-cnico rispetto a quello sottocutaneo93; quest’ultimo evidenzia, a sua volta, notevoli differenze regionali, soprattutto palesi tra l’ipoderma della metà superiore del corpo e quello gluteo-femorale94. In entrambi i sessi si è osservato che i soggetti obesi manifestano anomalie (non si sa se primitive o se-condarie alla stessa iper-adiposità) nella risposta alla regolazione ormonale. La specificità biologica degli adipociti nelle varie sedi sembra determinata da un insieme di fattori, tra cui morfologia cellulare, innervazione, vascolarizzazione, natura e quantità dei recettori di membra-na, attività dei sistemi intracellulari di trasduzione del segnale95, profilo di espressione genica96, ca-pacità secretoria, ecc. Ogni accumulo preferenziale di adipe è riferibile al diverso rapporto che in ciascuna zona esiste tra lipo-sintesi e lipolisi.

MODULATORI ADRENERGICI RECETTORIALI E POST-RECETTORIALI

noradrenalina agonista non selettivo beta e alfa-adrenergico isoprenalina agonista non selettivo beta -adrenergico propanololo antagonista selettivo beta -adrenergico clonidina agonista selettivo alfa -2 yohimbina antagonista selettivo alfa -2 forskolina attivatore diretto dell’adenilato-ciclasi aminofillina inibitore selettivo della fosfodiesterasi dibutiril-AMP stimolatore della protein kinasi A adenosina inibitore dell’adenilato-ciclasi N6-(l-2-fenilisopropil)-adenosina agonista recettore adenosina caffeina antagonista dell’adenosina

Tabella 2: Agonisti ed antagonisti adrenergici recettoriali e post recettoriali in grado di interferire sulla lipolisi

La liposintesi risponde prevalentemente alla regolazione insulinica; tuttavia, anche altri ormoni, come ad esempio i glicocorticoidi, sono in grado di aumentare l’attività della lipoproteinlipasi97. L’entità della lipolisi è soggetta ad una pluralità di influssi endocrini: si è rilevato che esistono differenze locali che riguardano sia il livello basale dell’idrolisi di trigliceridi, sia l’incremento che questa subisce sotto impulso adrenergico, sia l’entità della fisiologica riduzione post-prandiale. Un elemento importante nella modulazione della lipolisi è costituito dal bilancio, che in un determinato comparto adiposo si realizza, tra il numero e/o la responsività dei recettori adrenergici di tipo β (pro-lipolitici) e quelli di tipo α2 (anti-lipolitici). Anche gli ormoni sessuali svolgono un ruolo di rilievo: in particolare, si è appurato che gli adipociti sono dotati di recettori per gli estrogeni, di tipo ER-α ed ER-β98,99. Esperimenti condotti usando ligandi specifici per ciascuno di essi hanno consentito di attribuire alla sti-molazione dei recettori ER-α la responsabilità di gran parte delle peculiarità anatomiche e fisiologiche del tessuto adiposo femminile100. I maschi della specie umana hanno, come si è detto, una maggiore tendenza, nei confronti delle donne in età fertile, ad accumulare grasso nel distretto spancnico addominale. Tale circostanza assume, oggi, un enorme rilievo clinico ed epidemiologico, essendo stata chiaramente individuata la correlazione tra l’adiposità androide e l’incidenza dalle patologie più diffuse nella civiltà del benessere: il diabete, l’aterosclerosi, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari in genere101,102,103.

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Sorprendentemente, una delle principali differenze che sono state riscontrate, confrontando il metaboli-smo lipidico dei due sessi, consiste in una più elevata entità dell’idrolisi dei trigliceridi negli adipociti vi-scerali degli uomini. La spiegazione di questa situazione apparentemente contraddittoria (in cui la presen-za di depositi più consistenti si associa ad una loro più rapida dismissione) è stata individuata in un supe-riore uptake lipidico delle cellule adipose splancniche viscerali maschili rispetto a quelli muliebri: in altri termini, nel sesso forte, gli adipociti viscerali manifestano un più vivace turnover delle scorte energetiche, per cui associano una maggiore lipogenesi ad una più intensa lipolisi104 Negli stessi soggetti, il rapporto tra liposintesi e lipolisi nel pannicolo sottocutaneo è assai meno favorevole alla preferenziale deposizione di grasso. Nella femmina, viceversa, gli adipociti dell’ipoderma sono, in linea di massima, più grandi di quelli vi-scerali e presentano una maggiore attività della lipoprotein-lipasi, il che indica una liposintesi più viva-ce105. Anche la lipolisi, sia in condizioni basali, sia dopo stimolo catecolaminico, è, in senso assoluto, maggiore nel sottocutaneo femminile rispetto al distretto splancnico. Quest’ultimo manifesta, invece, una superiore responsività relativa alla sollecitazione adrenergica recettoriale (epinefrina) e post-recettoriale (dibutiril-cAMP e forskolina), nel senso che l’attività lipolitica, partendo da livelli basali molto inferiori al sottocutaneo, subisce, per effetto della sollecitazione ormonale, una crescita (espressa come guadagno rispetto ai valori basali) molto più elevata, pur restando inferiore, in valori assoluti, alla lipolisi adrener-gica sottocutanea.

Attività metabolica Lipolisi basale Sottocutaneo > viscerale Ativazione della lipolisi da parte delle catecolamine Viscerale > sottocutaneo Inibizione della lipolisi da parte dell’insulina Sottocutaneo > viscerale Recettori lipolitici β2-adrenergici Viscerale > sottocutaneo Recettori anti-lipolitici α2-adrenergici Sottocutaneo > viscerale Attività della Lipoprotein lipasi Viscerale > sottocutaneo Captazione dei FFAs circolanti postprandiali nel maschio Viscerale > sottocutaneo Captazione dei FFAs circolanti postprandiali nella femmina Sottocutaneo > viscerale Rilascio di FFAs nel circolo portale Viscerale > sottocutaneo Induzione della sintesi epatica di glucosio e trigliceridi Viscerale > sottocutaneo Recettori PPAR-γ Viscerale > sottocutaneo Produzione di Leptina Sottocutaneo > viscerale Produzione di Adiponectina Viscerale > sottocutaneo Produzione di IL-6 Viscerale > sottocutaneo Produzione di TNF-α Viscerale > sottocutaneo Produzione di Angiotensinogeno Viscerale > sottocutaneo Tabella 3: Caratteristiche funzionali che differenziano il grasso viscerale dal sottocutaneo

Il numero degli adrenorecettori α2 presenti sugli adipociti del sottocutaneo è più elevato nella donna che nell’uomo; ciò sembra collegato all’attività degli estrogeni. Questi ormoni aumentano l’espressione delle unità recettoriali antilipolitiche nelle cellule adipose del sottocutaneo, ma non in quelle viscerali, dirottan-do, in tal modo, la deposizione del grasso verso la periferia. Esperimenti di microdialisi in vivo hanno confermato che il deposito lipidico postprandiale nella femmina avviene, in prevalenza, nel sottocutaneo, mentre nell’uomo predilige il distretto viscerale. 106

Come già accennato, nell’ambito del sottocutaneo femminile si manifestano importanti diversità regiona-li; il comune rilievo di una deposizione del grasso muliebre che privilegia il distretto gluteo-femorale a scapito della metà superiore del corpo ha trovato, anch’esso, una spiegazione in una diversa sensibilità lo-cale allo stimolo catecolaminico. Si è accertato che, nel gentil sesso, le cellule adipose dell’ipoderma gluteo-femorale presentano una sen-sibilità α2-adrenergica 40 volte superiore a quella del sottocutaneo addominale, per cui la sollecitazione catecolaminica esercita, in loco, un effetto prevalentemente anti-lipolitico107. Studi basati sul rilascio tes-sutale di glicerolo dimostrano che, nella metà inferiore del corpo, sia la lipolisi basale, sia quella sotto stimolo adrenergico sono sensibilmente minori nella donna, rispetto all’uomo.

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3. ADIPOSOPATIA E SINDROME METABOLICA La crescente diffusione dell’obesità nei paesi industrializzati è diventata un grave problema di salute pub-blica. Nel periodo che va dal 1976 al 2002, la prevalenza dell’obesità (BMI > 30 kg/m2) è salita negli USA dal 15% al 31% della popolazione 108,109, mentre quella del sovrappeso (BMI > 25 kg/ m2) è passata dal 46& al 66% (il 17,1% nei bambini). Anche in Italia la situazione sta diventando allarmante110, poiché circa il 50% degli uomini e il 34% delle donne tra i 35 e i 74 anni hanno un indice di massa corporea su-periore a 25 kg/m2. L’eccessivo accumulo adiposo, come è noto, costituisce il più importante fattore di predisposizione alle patologie ed alla prematura mortalità. 3.1 Adiposità Viscerale Peraltro, sin dall'epoca delle osservazioni di Jean Vague, intorno al 1950111, sappiamo che, dal punto di vista fisiopatologico, la qualità del tessuto adiposo è più determinate rispetto alla quantità: appare evi-dente, infatti, che non esiste un unico tipo di obesità, bensì più varianti, ognuna delle quali ha propri elementi fenotipici, è caratterizzata da peculiari aspetti fisiopatologici ed è gravata da specifiche com-plicanze112. In particolare, è accertato che la più stretta correlazione con le malattie dell’età avanzata attiene non alla massa grassa nel suo insieme, bensì al tessuto adiposo che si accumula a livello centrale, nel distretto splancnico addominale. L’obesità viscerale (definita anche androide perché più comune nel maschio), si associa, infatti, ad insulino-resistenza, dislipidemia, ipertensione, infiammazione: queste condizioni, a lo-ro volta, comportano un’aumentata incidenza del diabete mellito, dell’aterosclerosi (con il suo corteo di conseguenze ischemiche) e di alcune tra le più comuni forme di cancro113,114. A sostegno di tali conclusioni, sono vi sono i dati emersi da un gran numero di studi epidemiologici (per citarne alcuni, Hartz115, NHANES III116, Goteborg117, Health Professional Study118, Nurses' Health Study119, Hoorn Study120) che, in tutto il mondo, hanno preso in esame svariate decine di migliaia di soggetti di entrambi i sessi e di varia età; in tutti i casi è stata riscontrata una stretta correlazione tra gli indicatori antropometrici di obesi-tà centrale e l’incidenza di diabete e patologie cardiovascolari. La distinzione fra obesità centrale e obesità periferica è relativamente agevole e si basa sull'esame obiet-tivo del soggetto e, in particolare, sulla misurazione della sola circonferenza dell'addome o del rappor-to WHR fra la circonferenza della vita (rilevata, in genere, a livello ombelicale) e quella dei fianchi (mi-surata all’altezza dei grandi trocanteri). Circonferenze addominali >102 cm negli uomini e >88 cm nelle donne identificano l'obesità addominale, anche se più recentemente sono stati raccomandati da alcuni limiti più rigorosi di 94 e 80 cm, rispettivamente. Valori di WHR >1.0 negli uomini e >0.90 nelle donne (oppure, in maniera più stringente, 0.95 e 0.85, rispettivamente) sono indicativi di distribuzione preva-lentemente centrale dell'adipe, a prescindere dalla quantità totale del grasso corporeo e dalla presenza di obesità. Più recentemente, l'impiego di tecniche di imaging quali la tomografia assiale computerizzata (TAC), la risonanza magnetica nucleare (RMN), la densitometria assiale a raggi X (DEXA), o, (con risultati mol-to meno accurati) l'ecografia addominale hanno consentito una più dettagliata distinzione fra obesità centrale sottocutanea e obesità viscerale. Si deve a Gerard Reaven, nel 1988, la prima osservazione in merito alla frequente associazione, nei sog-getti affetti da obesità androide, di alterazioni apparentemente non collegate, quali la ridotta tolleranza glucidica, l’iperinsulinemia, l’ipertensione e un quadro dislipidemico (con aumento dei trigliceridi e del colesterolo, accompagnato da una riduzione delle HDL). Secondo l’ipotesi formulata da Reaven ed, in se-guito, ampiamente convalidata, tali condizioni (dotate di sinergica azione patogenetica verso le malattie cardiovascolari) configurano un quadro unitario (da lui definito sindrome X ed oggi più noto come Sin-drome Metabolica) il cui denominatore comune è riconducibile alla resistenza insulinica121. 3.2 Tessuto adiposo e resistenza insulinica La resistenza all’insulina può essere definita come la condizione in cui l’ormone, nonostante una secre-zione quantitativamente normale o superiore al normale, non riesce a svolgere la sua attività, in particola-re a livello del tessuto adiposo, del muscolo e del fegato. Ne conseguono una ridotta tolleranza ai glicidi, la mancata soppressione postprandiale della lipolisi, la dislipidemia. L'insulina è il più potente ormone anabolico nel nostro corpo e svolge un ruolo significativo nella regola-zione dei principali nutrienti (glucosio, grassi, aminoacidi); inoltre, influenza la crescita e la differenzia-zione cellulare, come pure le funzioni endoteliali.

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L'insulina suscita le varie risposte biologiche legandosi alla sottounità alfa di uno specifico recettore, così da stimolare l’attività tirosin-kinasica della sottounità beta, la quale da inizio alla successiva sequenza di trasmissione, attraverso la fosforilazione di vari substrati: tra questi le quattro proteine IRS (insulin recep-tor substrate) la cui distribuzione è tessuto-specifica. Le due principali catene di trasduzione in tal modo avviate fanno capo rispettivamente alla PI3K (fosfati-dil-inositolo-3-kinasi) ed alla MAPK (mitogen-activated protein kinase). Soprattutto la prima gioca un ruolo cruciale nelle più importanti azioni metaboliche dell’insulina, com-presa la translocazione del trasportatore GLUT 4 (mediante il quale si realizza l’uptake del glucosio), la sintesi di glicogeno, trigliceridi e proteine, gli effetti anti-infiammatori e vasodilatatori. Fatta eccezione per rari casi, in cui entrano in ballo anticorpi contro il recettore di membrana o mutazioni del relativo gene, la resistenza insulinica è dovuta ad alterazioni che intervengono nelle fasi intracellulari successive all’interazione dell’ormone con il recettore. Le conseguenti anomalie metaboliche risultano dal combinato disposto tra il deficit di attività insulinica, nei distretti in cui la resistenza maggiormente si manifesta, e l’impatto dell’iperinsulinemia compensato-ria sui tessuti che conservano una normale reattività. Oggi si ritiene che il primum movens della sindrome metabolica sia rappresentato dall’obesità viscerale122, la quale è in grado di produrre i suoi disastrosi effetti sistemici attraverso tre principali meccanismi: a) un’alterata secrezione di adipochine: gli adipociti ipertrofici e disfunzionali cessano di produrre adi-ponectina, ormone che, normalmente, preserva la sensibilità periferica all’insulina, oltre a svolgere attivi-tà anti-infiammatorie e vaso protettrici. Aumenta, invece, nel grasso viscerale, la sintesi di resistina, an-giotensinogeno II, leptina, IL-6 e TNF-α, fattori in grado di contribuire, ciascuno non modalità proprie, al complesso delle alterazioni funzionali che sono alla base della resistenza insulinica e della sindrome me-tabolica,123. b) l’induzione di una condizione pro-infiammatoria sistemica: negli obesi, il tessuto adiposo, soprat-tutto quello splancnico addominale, risulta diffusamente infiltrato da una rilevante popolazione di macro-fagi. La stimolo che induce questa reazione di tipo infiammatorio non è chiaro: si è ipotizzato che l’espansione della massa adiposa sia solo in parte compensata da una parallela neoangiogenesi, cosicchè si determinerebbero condizioni di ipossia tessutale, forse aggravate anche dallo schiacciamento dei mi-crovasi e dai fenomeni di adesione leucocitaria all’endotelio124. Ne conseguirebbe la secrezione adipoci-taria di fattori vasoattivi, come ACE (angiotensin converting enzyme125), leptina e HIF-1α (hypoxia indu-cible factor 1 alpha) o di citochine angiogenetiche, come il VEGF (vascular endothelial growth factor) ed il MCP-1 (monocyte chemoattractant protein–1), dotate anche della capacità di attrarre i fagociti. Se-condo un’altra teoria, l’ipossia stessa (o anche, semplicemente, l’eccessivo carico lipidico, in grado di de-terminare stress del Reticolo Endoplasmico126) determinerebbero l’attivazione del fattore NFkB (media-tore intracellulare dei fenomeni a carattere flogistico)127 e, persino, la morte di alcuni adipociti, richia-mando monociti ematici; questi, in effetti, sembrano assumere frequentemente una disposizione in circo-lo, intorno a cellule adipose in disfacimento128 (figura n. 5).

Figura n. 5: Macrofagi disposti a corona intorno ad adipociti apoptotici

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La reazione locale determina forti ripercussioni a livello generale, in quanto i macrofagi infiltranti e, in minor misura, gli stessi adipociti disfunzionali, riversano nel sangue grandi quantità di citochine infiam-matorie, come IL-6 e TNF-α, le quali non solo inducono uno stato flogistico cronico sistemico ma altera-no il metabolismo dei substrati energetici, a livello, soprattutto, muscolare, contribuendo a provocare l’insulinoresistenza129. c) la lipotossicità: gli adipociti ipertrofici, tipici del grasso viscerale dell’obeso, vengono meno al loro ruolo fondamentale, perdendo la capacità di immagazzinare adeguatamente i lipidi. Si comportano, infat-ti, come recipienti stracolmi, il cui contenuto trabocca. In altri termini, il sovraccarico di trigliceridi (che per deficit di neoadipogenesi non può essere ripartito su altre cellule) insieme alla particolare sensibilità all’attività lipolitica delle catecolamine, determinano un elevatissimo rilascio di FFA e glicerolo nel sistema portale130. Ne consegue un progressivo accumulo ectopico di materiale lipidico (steatosi) nel parenchima e-patico, in cui provoca una grave compromissione funzionale131. Un analogo iperafflusso di FFA prende ori-gine, nella circolazione sistemica, dal tessuto sottocutaneo, soprattutto quello della metà superiore del corpo: anche in questo caso si formano depositi ectopici di sostanze grasse, soprattutto nelle fibre muscolari schele-triche e cardiache e nelle insulae pancreatiche. Accumulandosi in tali sedi improprie, i lipidi diventano for-temente citolesivi, per effetto sia di fenomeni di tossicità diretta, sia di turbe dell’espressione genica, sia di processi di apoptosi132,133. Ne conseguono anomalie funzionali a carico dei tessuti bersaglio: deficit di capta-zione muscolare di glucosio, cardiopatia dilatativa, riduzione delle produzione di insulina. 3.3 Tessuto adiposo ed invecchiamento Il tessuto adiposo contrae importanti ed intricati rapporti con i fenomeni legati all’invecchiamento134,135. Da un lato questi ultimi esercitano una notevole influenza sulla quantità e distribuzione dell’adipe. Con il passare degli anni, infatti, anche in assenza di variazioni nel peso corporeo e nella massa grassa comples-siva, si osserva un progressivo incremento della quota relativa del grasso corporeo rispetto alla compo-nente magra. Si espandono, parallelamente gli accumuli viscerali addominali, a scapito delle sedi sottocu-tanee. Aumentano anche i depositi ectopici, in particolare nei muscoli scheletrico e cardiaco, nel pancreas e nel midollo osseo. Tali trasformazioni si associano ad un accresciuto rischio di morbilità e mortalità136. Dall’altro lato, le ricerche condotte negli ultimi anni hanno rivelato le forti ripercussioni sulla longevità poste in essere dall’entità delle scorte lipidiche, dalla loro collocazione distrettuale, dall’apporto calorico e dai fattori endocrini che regolano il metabolismo del tessuto adiposo e, più in generale, la gestione delle risorse energetiche. E’ osservazione clinica comune, corredata da un’ampia messe di dati epidemiologici, che l’obesità ed il sovrappeso riducono l’aspettativa di vita137. Viceversa, la restrizione calorica, e la conseguente riduzione delle riserve di trigliceridi hanno dimostrato di produrre un aumento della durata di vita in elevatissimo numero di specie, che vanno dai lieviti ai ver-mi e dagli insetti fino ai mammiferi138,139. I meccanismi biochimici attraverso cui tale effetto si esplica non sono stati del tutto delucidati: sembra, comunque, che essi non si riducono alla ridotta produzione di scorie metaboliche conseguente alla minor disponibilità di substrati energetici. Si ipotizza, invece, un pro-fondo cambiamento nel pattern di espressione genica, in base al quale verrebbero attivati geni ad azione citoprotettiva. La diminuzione della massa grassa si associa ad una maggiore longevità, anche quando ottenuta mediante diversi tipi di manipolazione genetica, così come avviene nella Drosofila, in seguito alla sovraespressione del fattore di trascrizione dFOXO140. Nei mammiferi la proteina SIRT1 (omologa di SIR2, nota per in-crementare le durata di vita nel lievito) riduce l’accumulo lipidico negli adipociti, reprimendo l’attivazione del recettore PPARγ; la sua attivazione rappresenta una delle modalità attraverso cui si rea-lizzano gli effetti sulla longevità prodotti dalla restrizione e viene oggi identificata come un target di pos-sibili terapie anti-aging141. In molte forme biologiche, dalle più semplici sino ai mammiferi, un’ampia varietà di alterazioni geniche che compromettono vie di trasmissione dei segnali di tipo insulinico ed insulino-simile142, comprese quel-le mediate dal GH e dal IGF-1, determinano un allungamento del corso dell’esistenza. Così avviene ad esempio:

• nel Caenorabditis Elegans, in cui si è ottenuta la mutazione del recettore insulino-simile DAF-2143: • nella Drosofila, nella quale è stata soppressa la proteina Chico, substrato del recettore insulinico144; • nel topo, in cui è stata inibita l’attività del GH145,146 o si è prodotto il knock-out del recettore per

l’insulina nelle cellule adipose147 o di quello per l’IGF-1 a livello cerebrale148. Di particolare interesse è l’aumento della longevità e della resistenza agli stress che si è osservato nei topi

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geneticamente privi della proteina p66SHC149. Secondo una recente interpretazione, p66SHC agirebbe come un amplificatore dell’attività dell’insulina a livello degli adipociti150, nei quali massimizza la sintesi e l’immagazzinamento dei trigliceridi151. Gli animali privi della proteina presentano un minor accumulo lipidico ed una ridotta resistenza al digiuno; in compenso, sono meno soggetti all’obesità dieta-indotta e vivono più a lungo dei controlli152. Il tessuto adiposo sembra in grado di interferire su fenomeni che condizionano la durata dell’esistenza anche prescindendo da effetti direttamente collegati alla gestione dei substrati energetici. Ciò si realizza, ad esempio, attraverso la promozione, ad opera del tessuto viscerale ipertrofico dell’obeso, di una condizione infiammatoria cronica a livello sistemico. Le citochine flogogene rilasciate nel sangue, esercitano, infatti, azioni a distanza, su una pluralità di bersagli, inducendo il rilascio endocel-lulare del fattore NFkB, l’espressione endoteliale di proteine di adesione e l’attivazione leucocitaria. Tali eventi contribuiscono a generare il danno tessutale progressivo determinato dai fenomeni di tipo immuni-tario-infiammatorio: questi, infatti, secondo la teoria dell’Inflammaging153,154, rappresentano fatti lesivi che generano micro-alterazioni parenchimali cumulative, le quali concorrono a provocare il decadimento senile. Per finire va ricordato che, sempre nel topo, l’ablazione chirurgica del grasso viscerale (ma non di quello sottocutaneo) eleva la longevità155.

4. NATURA E CAUSE DELLA CELLULITE Per coloro che lavorano nel campo della medicina estetica, il tessuto adiposo assume una ulteriore rile-vante valenza, in quanto sede delle alterazioni, ancora non univocamente definite, che conducono al dif-fusissimo inestetismo della cellulite. Il primo tentativo di definire la cellulite e la stessa paternità del termine si devono ai medici francesi Al-quier e Pavot che, nel 1922, descrissero una distrofia dei tessuti mesenchimali, priva di aspetti flogistici, caratterizzata da un ristagno di fluidi interstiziali. I due autori transalpini consideravano l’affezione come una reazione elementare del tessuto connettivale, di fronte a noxae di varia natura (traumatica, tossica, in-fettiva, disendocrina). Nel corso degli ultimi decenni, sulla ezio-patogenetesi della cellulite si sono contrapposte, con alterne vi-cende, cinque principali ipotesi, che indicano, come causa dell’inestetismo, rispettivamente:

1) un edema da eccessiva idrofilia della matrice intercellulare; 2) un’alterazione microcircolatoria, cui fa seguito una reazione fibrosclerotica; 3) ernie adipocitarie intradermiche, la cui genesi è ascrivibile ad una diversa conformazione anato-

mica del sottocutaneo della donna rispetto a quello dell’uomo; 4) una diseguale risposta allo stiramento da parte dei tralci connettivali interlobulari; 5) una proteolisi dei suddetti tralci, prodotta dalle Metalloproteinasi.

4.1 ECCESSIVA IDROFILIA DELLA MATRICE INTERCELLULARE Nel 1964, Bassas-Grau descrisse, nella matrice connettivale nel sottocutaneo di pazienti affette da celluli-te, fenomeni di iper-polimerizzazione dei mucopolisaccaridi acidi, cui attribuì la responsabilità di un ab-norme incremento dell’idrofilia tessutale. Il perdurare di questa anomalia condurrebbe alla formazione di un edema cronico, evolvente in fibrosclerosi 156. L’osservazione, benché non confermata da altri auto-ri157,158,159, ha esercitato una duratura influenza sugli approcci terapeutici, giustificando la somministra-zione topica o mesoterapica di jaluronidasi e di altri agenti accreditati di attività litica nei confronti dei proteoglicani. In epoca a noi più vicina, Lotti e coll., utilizzando tecniche di fissazione al rutenio in microscopia elettro-nica, hanno esaminato il derma della cute sovrastante le aree di tessuto adiposo affetto da cellulite; vi hanno evidenziato un aumento della presenza di glucosaminoglicani, accanto a segni di attivazione dei fi-broblasti, alterazioni della parete dei micro-vasi, rarefazione delle fibre collagene ed elastiche sub-epidermiche160. Secondo l’ipotesi degli autori, ribadita in una più recente rivisitazione161, il quadro isto-chimico indica un’anomala risposta connettivale che, attraverso il richiamo di liquidi nell’interstizio, può esitare in una vistosa neofibrillopoiesi del sottocutaneo.

4.2 ALTERAZIONE MICROCIRCOLATORIA

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La teoria che spiega la cellulite come conseguenza di una primitiva disfunzione del microcircolo tessuta-le è, attualmente, la più seguita, almeno in Italia e, in minor misura, in altri paesi d’Europa; ricercatori eu-ropei hanno, del resto, fornito un decisivo contributo alla sua elaborazione.

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Binazzi, nella seconda metà degli anni ’70, ha posto una pietra miliare nella interpretazione del quadro i-stopatologico della cellulite162, con una serie di osservazioni che gli hanno consentito di elaborare un’ipotesi patogenetica ancor’oggi attuale e di compendiarla in una denominazione sintetica ed esplicati-va: pannicolopatia-edemato-fibro-sclerotica (PEFS)163. Lo stadio iniziale, secondo Binazzi, è, spesso, associato all’eccessiva adiposità ed è clinicamente caratte-rizzato da irregolarità della superficie cutanea, nelle regioni dei glutei, delle cosce, dell’addome e delle spalle: la cosiddetta cute “a materasso”. L’esame istologico evidenzia solo un’estrema variabilità della forma e della dimensione degli adipociti (aniso-poichilocitosi), insieme ad un edema geloide del derma, a dilatazione dei vasi linfatici ed a chiazze di ipercheratosi follicolare (cute a buccia d’arancia”). La fase successiva si distingue per la possibilità di apprezzare palpatoriamente lesioni nodulari, mobili e dolenti, di diametro variabile da 1 a 5-6 mm; le sezioni di tessuto, secondo Binazzi, lasciano intravedere un profondo sovvertimento del sottocutaneo, ove bande connettivali circondano lobuli adiposi, realizzan-do formazioni nodulari, ad evoluzione sclerotica; coesistono alterazioni vasali a carattere emorragico e trombotico. Ryan164, Merlen165,166,167 e, soprattutto, Curri168,169 hanno collocato questi processi involutivi nell’ambito di un’interpretazione patogenetica che individua il primum movens del disturbo nella compromissione della fine omeostasi a livello microcircolatorio. Curri prende spunto, per le sue considerazioni, da un attento studio anatomo-fisiologico delle ramifica-zioni terminali dell’albero circolatorio: elemento funzionale di base del comparto angiologico periferico è l’unità microvascolo-tessutale (o istangio)170, formata dal distretto vasale distale (arteriola afferente, metarteriole, sfinteri precapillari, anastomosi artero-venose, rete capillare, venule efferenti, linfatici ini-ziali) e dalla matrice connettivale peri-vasale. Quest’ultima, oltre a fungere da sostegno meccanico alla sottile parete capillare (manicotto mucopolisaccaridico171), svolge compiti di filtro dinamico negli scambi metabolici tra il sangue ed il parenchima172. Motore della corrente ematica microcircolatoria è la vasomotion, attività contrattile ritmica delle miocel-lule arteriolari173, la cui frequenza varia tra 3 e 20 cicli al minuto, in rapporto alle condizioni locali (pres-sione interstiziale, PO2, ecc.), determinando, a livello capillare, variazioni ondulatorie del flusso (flowmo-tion) 174. Acquisizioni recenti hanno chiarito come il cardine dell’omeostasi microcircolatoria sia l’endotelio, il quale non si limita ad assolvere ad una mansione puramente meccanica di rivestimento endoluminale, ma modula gli scambi emato-tessutali e (attraverso una complessa attività di biosintesi, che lo assimila ad un apparato ghiandolare “diffuso”) sovrintende agli equilibri tra fenomeni pro- ed anti-coagulanti, fibrinoliti-ci ed anti- fibrinolitici, vasodilatori e vasocostrittori, in modo da adeguare, in tempo reale, la funzionalità locale della microcircolazione alle mutevoli esigenze delle cellule175. Una gran messe di dati ha messo in luce, negli ultimi anni, il ruolo rilevante che le disfunzioni degli ele-menti endoteliali possono svolgere nella patogenesi di numerose malattie176. Molte osservazioni inducono a ritenere che gli ormoni femminili estrogeni influenzano in modo decisivo la funzione endoteliale, la quale assume aspetti distintivi nella donna in età feconda177. Curri ha delucidato le peculiarità morfologiche dell’unità microvascolo-tessutale del sottocutaneo178, ca-ratterizzata da: • rete capillare a maglie molto ravvicinate, che contrae intimi rapporti di vicinanza con gli adipociti, ri-

ducendo ai minimi termini lo “spazio di diffusione”; • assenza di anastomosi artero-venose, il che porta a ritenere che la continuità della perfusione degli adi-

pociti rappresenti una condizione non sacrificabile; • ramificazioni che collegano le arteriole e le venule del tessuto adiposo alla rete vasale del derma e del

tessuto muscolare: esse realizzano unità istangiche cilindriche, disposte perpendicolarmente alla super-ficie cutanea ed estese da quest’ultima fino agli strati sottostanti all’ipoderma179. Ciò giustifica la fre-quenza con cui i deficit microcircolatori della pannicolopatia si associano ad alterazioni del flusso e-matico estese alla cute ed alla muscolatura loco-regionale, ove provocano segni clinici (ipercheratosi, dolori crampiformi) 180 e strumentali181,182.

La presenza di recettori per gli estrogeni nelle cellule endoteliali e muscolari lisce183 rende ragione delle differenze funzionali del microcircolo femminile184,185, con particolare riguardo per il tono vascolare186 e la permeabilità187. Su questi presupposti e sulla base di un’attenta analisi dei dati istologici e clinico-strumentali, Curri ha costruito la sua ipotesi sulla genesi della PEFS.

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Il fattore causale viene individuato in una cronica “microcircolatory maldistribution”, a sua volta, ricon-ducibile ad un primitivo difetto dei dispositivi arteriolari di modulazione del flusso o ad una inadeguatez-za della vasomotion. A tale condizione, talora inquadrabile nell’ambito della cosiddetta flebopatia ipotonica (fase preclinica dell’insufficienza venosa), conseguono: • rallentamento della circolazione ematica; • fenomeni di sludge eritrocitario; • compromissione dell’equilibrio idrostatico capillare; • ridotta ossigenazione parietale e tessutale; • danno endoteliale (endothelial swelling, microaneurismi, microemorragie); • abnorme permeabilità capillaro-venulare; • aumento della pressione idrostatica del liquido interstiziale e del suo contenuto proteico188; • episodi ricorrenti di edema inter-adipocitario. Gli adipociti subiscono un danno che si esprime inizialmente con un’anisopoichilocitosi, in seguito con rotture della membrana plasmatica e fuoriuscita del materiale lipidico. L’esilissimo intreccio di delicate fibrille che fa da impalcatura al lobulo adiposo, avvolgendo ogni singola cellula (oggi sappiamo che cia-scun adipocita è rivestito da una membrana basale) si ispessisce a causa dell’ipossia e del conseguente stress ossidativo189. Hanno origine bande di tessuto connettivale giovane che sepimentano il lobulo, cir-condando grappoli di cellule adipose degenerate190,191: i micronoduli così formati tendono, successiva-mente, ad essere conglobati dall’ulteriore apposizione di materiale collagene ad evoluzione sclerotica, si-no a realizzare i macronoduli palpabili, causa dell’irregolarità della superficie cutanea (vedi figura n. 6). In questo sviluppo, Curri identifica quattro stadi evolutivi192 (vedi tabella 2): 1° stadio: edema 2° stadio: sclerosi 3° stadio: fibrosi e fibrosclerosi con micronoduli 4° stadio : epatizzazione e sovvertimento strutturale con macronoduli. Il primo stadio si caratterizza per i segni clinici e strumentali di un disturbo della fine regolazione micro-circolatoria. Zone di vasodilatazione si alternano ad aree di ipovolemia capillare. Le arteriole mostrano iposfigmia, per deficit della vasomotilità. Progressivamente si determina una condizione di stasi venosa e linfatica. Gli adipociti aumentano di volume, per l’eccessivo accumulo di trigliceridi, mentre il lipo-edema determina la loro deformazione, la perdita delle connessioni intercellulari, l’espansione di lacune interstiziali ed, infine, la rottura delle membrane citoplasmatiche. L’ipo-ossigenazione e l’insufficiente drenaggio dei liquidi interstiziali portano alla dissociazione delle fibre reticolari, collagene ed elastiche.

Figura n.. 6 : noduli adipocitari e fibrosclerosi

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L’esame obiettivo evidenzia un aumento della pastosità cutanea, con riduzione dell’elasticità dermo-epidermica. Si notano pallore ed aree di ipotermia superficiale. Nel secondo stadio l’ipossia e l'edema interstiziale promuovono l’addensamento della componente stromale fibrosa che circonda i lobuli adiposi, mentre l'epidermide si assottiglia. Contestualmente, si osserva la progressione della microangiopatia ipodermica: i piccoli vasi mostrano alterazioni diffuse, con riduzione della contrattilità ritmica e comparsa di ectasie e microaneurismi.. Nel terzo stadio le alterazioni del microcircolo interessano anche la parete delle arteriole di maggior cali-bro. La stasi venulo-capillare aumenta e si realizzano significative microemorragie. Il tessuto connettivale si ispessisce ulteriormente, finchè le fibre collagene formano una trama compatta che soffoca gli elementi vascolari e cellulari, ostacolandone le funzioni vitali. La neofibrillogenesi tende ad incapsulare piccoli gruppi di adipociti, con formazione di micronoduli. Si osserva uno scompaginamento del confine fra l’ipoderma e il derma. L’epidermide partecipa all’affezione con una ipercheratosi focale. Clinicamente il terzo stadio è caratterizzato dalla comparsa di una rugosità di superficie conosciuta con il termine di “buccia d’arancia”; alla palpazione si rilevano una fine granulia ed una dolorabilità diffusa (cellulalgia o sindrome dolorosa delle zone cellulitiche). Nel quarto stadio la sclerosi arteriolare distrettuale, la dilatazione venulare, l’ipovolemia e la rarefazione capillare determinano un grave deficit del flusso microcircolatorio. Il tessuto si addensa, per la comparsa della lesione tipica della malattia: il macronodulo. La normale compartimentazione in lobuli dell’ipoderma é completamente sovvertita, sostituita da irregolari accumuli adipocitari, incapsulati da tra-vate connettivali di elevato spessore. Fenomeni regressivi si repertano anche a livello del derma (sclerosi focale del collagene ed atrofia degli annessi). L’epidermide appare ipotrofica. Il piano superficiale è irre-golare per l’alternanza di introflessioni e prominenza globose (aspetto a materasso). Il tessuto è molto dolente alla palpazione.

quadro clinico patogenesi istologia e istochimica I stadio

cute pallida, pastosa microcircolatory maldistribution, difetto della vasomotion

lipoedema, anisopoichilocitosi, rotture della membrana

II stadio

ipotermia e ipoelasticità cutanea, parestesie

stasi, sludge, ectasie microvasali, abnor-me permeabilità ipovolemia ed ipossia zonale

manifestazioni regressive adipocitarie, massiva dilatazione microvasale, fi-brillopoiesi

III stadio

pelle a buccia d’arancia (chiazze di ipercheratosi), fine granulia palpatoria

riduzione del flusso capillare, aumento delle aree di ipossia relativa

neoflibrillogenesi, adipociti degenerati incapsulati in micronoduli

IV stadio

cute a coltrone, noduli dolenti alla palpazione

stasi, ipovolemia, teleangestasie e micro-varicosità

travate connettivali sclerotiche circon-dano macronoduli. Fenomeni distrofi-ci locali del derma e dell’epidermide

Tabella 4: I quattro stadi evolutivi della P.E.F.S. secondo Curri Sulle orme di Curri, oltre 20 anni or sono, Bartoletti e coll., nell’ambito dell’attività scientifica della So-cietà Italiana di Medicina Estetica e della Scuola Internazionale di Medicina Estetica, hanno fornito un importante contributo alla definizione della distrofia cellulitica. Un primo apporto è stato di natura clinica: Bartoletti ha completamente rivisitato l’inquadramento se-meiologico 193,194, ha codificato l’iter diagnostico195 (individuandone i momenti salienti nella visita ge-nerale nello studio flebologico, nella valutazione posturale e nell’esame ecografico196,197,198,199) ed ha sviluppato i protocolli terapeutici attualmente più seguiti200,201.

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Un’altro rilevante contributo di Bartoletti e della sua Scuola è stato di natura nosologica. Curri, attribuen-do al deficit di perfusione del pannicolo la capacità di incrementare il deposito lipidico202, accomunava la patogenesi della PEFS a quella degli ispessimenti distrettuali del sottocutaneo.

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Bartoletti ha operato una più netta distinzione tra la pannicolopatia e l’adiposità localizzata peritrocanteri-ca femminile e, pur senza negare la possibilità di forme intermedie, ha ricollocato quest’ultima in un am-bito di normalità morfologica e funzionale203. In tale impostazione ha ricevuto supporto dalla recente in-dividuazione, sugli adipociti, dei recettori per gli estrogeni: tale scoperta, come si è detto, consente di in-terpretare il deposito di grasso in sede gluteo-femorale come fisiologica conseguenza della modulazione che questi ormoni esercitano sull’attività lipasica204 e lipoprotein-lipasica205. In anni a noi più vicini altri AA hanno fornito elementi a favore dell’origine microangiopatica della cellu-lite. Rossi et al., prendendo in rassegna la letteratura che accredita tale teoria, hanno citato dati di flussometria laser doppler attestanti, nel tessuto adiposo delle regioni affette, una riduzione del flusso ematico pari al 35 % rispetto alle zone indenni.206

Questi rilievi trovano una qualche conferma nelle ricerche, attualmente in corso, in merito al ruolo svolto, nella patogenesi della resistenza insulinica, dal tessuto adiposo dei soggetti obesi (in modo specifico, pe-rò, i rilievi si riferiscono al grasso viscerale). Alcune osservazioni tendono, infatti, a dimostrare che gli adipociti ipertrofici soffrono una condizione di relativa ipossia (dovuta ad un’insufficienza microcircola-toria207), che costituisce la causa scatenante della secrezione di fattori flogogeni, in grado, a loro volta, di produrre lo stato infiammatorio cronico a carattere sistemico che si associa all’adiposità centrale,208. Un recente lavoro documenta, nel tessuto adiposo viscerale dell’obeso, lo sviluppo di un quadro istologico di fibrosi periadipocitaria209 su base ipossica. Emanuele et al. sono giunti a prospettare un ruolo eziologico per fattori di pertinenza endotelio-vasale prendendo spunto da presupposti completamente diversi. Con l’intento di verificare l’eventuale esistenza di specifiche predisposizioni genetiche alla cellulite, gli autori hanno analizzato il DNA di 200 soggetti femminili che presentavano l’inestetismo, senza peraltro essere in sovrappeso (BMI>25 kg/m2) e di 200 controlli. L’indagine era volta a valutare la distribuzione di 25 polimorfismi, riguardanti 15 diversi geni, operanti in ambiti funzionali differenti, in quanto regolavano, rispettivamente, il metabolismo lipidico, i processi infiammatori, la sintesi di matrice extracellulare, l’azione periferica degli estrogeni, le attività endoteliali. Le uniche correlazioni statisticamente significative con il quadro clinico sono state riscontrate a carico di due geni entrambi implicati nella fisiopatologia dell’endotelio: i geni dell’ACE (angiotensin I converting enzyme) e dell’ HIF-1α (hypoxia-inducible factor 1 alpha). La varianti alleliche associate ai quadri di cel-lulite condizionavano, in ambedue i casi, una tendenza alla riduzione del flusso vasale210. Un altro lavoro ha confermato il possibile ruolo patogenetico del suddetto polimorfismo dell’ACE, la cui associazione con la cellulite risultava ancora più stringente nelle donne che, contemporaneamente, risul-tavano dedite al tabagismo211. 4.3 ERNIE ADIPOCITARIE INTRADERMICHE Numerosi autori, a partire da Cambar212, Braun-Falco, Ribuffo213 e Calvieri214, hanno negato che, nelle aree in cui si manifesta il quadro clinico della cellulite, sia possibile individuare, in microscopia ottica ed elettronica, modificazioni istologiche diverse da quelle comunemente osservabili nelle zone di accumulo adiposo macroscopicamente “normale”. Da tali osservazioni discende la concezione, molto diffusa, soprattutto nei paesi anglosassoni, che, in a-perto contrasto con l’ipotesi microangiopatica, riconduce la cellulite ad una semplice manifestazione di accumulo lipidico215. L’esistenza di una disparità di opinioni su argomenti scientifici non è, di per sé, circostanza insolita. Il fatto che la controversia si fondi sull’enunciazione di presupposti istopatologici profondamente diversi suscita, però, una certa perplessità: appare sorprendente il permanere di così ampi margini di disaccordo della definizione di aspetti morfologici riferiti a strutture facilmente accessibili all’esame bioptico. Se la cellulite non è altro che l’espressione di una localizzata sovrabbondanza di tessuto adiposo, quale è, allora, la causa che limita, in modo pressoché esclusivo, la comparsa dell’inestetismo al sesso femminile ed a particolari distretti e come si spiegano le forti disparità tra individui con BMI (body mass index) so-vrapponibili? Nel 1978, due medici tedeschi, Nürnberger e Müller, riferendo i risultati degli esami istologici effettuati su un’ampia casistica (150 prelievi da cadavere e 30 da vivente), negarono di aver riscontrato fenomeni di edema o di fibrosi216. Attribuirono, invece, il manifestarsi delle irregolarità cutanee, nelle tipiche zone muliebri, alla concomitanza di due fattori causali:

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Figura n. 7; il differente orientamento dei tralci interlobulari sottocutanei nel maschio (a sinistra) ri-spetto alla donna (al centro) predispone questa allo sviluppo di ernie adipocitarie nel derma (a de-stra)

• l’eccessivo deposito lipidico distrettuale (“non c’è cellulite senza adiposità”); • la peculiare architettura che, nella donna, caratterizza il sottocutaneo di queste sedi. Mentre l’ipoderma

maschile è attraversato da tralci fibrosi a decorso obliquo, che si intersecano, delimitando lobuli adipo-citari relativamente piccoli, di forma poligonale, nelle femmine si osservano setti fibrosi orientati per-pendicolarmente rispetto alla superficie, i quali separano lobuli voluminosi, a sezione rettangolare; i loro apici premono contro il derma reticolare e vi aggettano, sotto forma di “papille adipose” vedi fi-gura n. 7).

Le donne che sviluppano un ispessimento del pannicolo sottocutaneo presentano, nelle zone tipiche dell’adiposità ginoide, lobuli molto aumentati di volume, i quali lungo i bordi sono trattenuti dai tralci, ma, centralmente, sporgono nel derma, con papille adipose ipertrofiche. Nelle “zone cellulitiche” il confi-ne dermo-ipodermico assume, quindi, un profilo “collinare” che, in condizioni di perfetta normalità, può essere messo in evidenza con il “pinch-test”: la manovra, ponendo in trazione i setti connettivali inesten-sibili, evidenzia ondulazioni superficiali (mattress phenomenon, ossia aspetto di cute a materasso) anche in soggetti relativamente magri. L’antiestetica alternanza di rilievi e depressioni si rende, via via, spontaneamente manifesta: dapprima appare palese solo durante la stazione eretta, successivamente anche in decubito. Viceversa, nel sottocutaneo maschile i grappoli adipocitari, separati dall’incrocio di setti connettivali o-rientati secondo un angolo di circa 45° rispetto alla perpendicolare al piano cutaneo, non tendono a pro-trudere verso il derma, anche in caso di iper-accumulo lipidico. Conseguentemente, anche negli uomini obesi, il pinch-test non determina irregolarità superficiali “a materasso” E’ interessante notare che, nei soggetti ipogonadici, il tessuto adiposo assume morfologia femminile, dimostrando che, per quanto con-cerne l’impalcatura connettivale, il fattore causale delle differenze legate al sesso è rappresentato dall’attività androgena. L’importanza che gli odierni autori anglosassoni attribuiscono alla predisposizione anatomica dell’ipoderma femminile è tale che molti, superando l’originaria concezione di Nürnberger e Müller, mi-nimizzano l’importanza patogenetica dell’obesità e considerano la cellulite alla stregua di un normale fe-notipo del tessuto adiposo della donna in età post-adolescenziale217: una sorta di carattere sessuale secon-dario, dal quale nessun membro del gentil sesso risulta completamente esente, neppure le top-models, le atlete olimpiche e le anoressiche218. L’opinione appare in sintonia con la percezione che della cellulite avevano i nostri avi, i quali hanno, ad-dirittura elevato questo aspetto a vero canone di bellezza, immortalandolo in celebri dipinti in cui si cele-brava il trionfo dell’avvenenza muliebre. Numerose reviews sul tema della cellulite concordano nell’attribuire alla dislocazioni adipocitaria intra-dermica il ruolo di lesione patognomonica della cellulite 219,220. Rosenbaum e coll., hanno riscontrato nel sottocutaneo, oltre alle differenze legate al sesso, anche una va-riabilità individuale; le donne con cellulite presentano, al confine dermo-ipodermico, un piano connettiva-le di demarcazione più irregolare e discontinuo, tale da predisporre alla protrusione delle papille adipo-se221, le quali giungono a configurare delle vere e proprie “ernie” : i lobuli adipocitari, infatti, arrivano ad insinuarsi nello spessore del derma reticolare. In un lavoro pubblicato nel 2008, un gruppo di ricercatori tedeschi ha elaborato un algoritmo di calcolo. al fine di ricavare, da scansioni ecografiche del sottocutaneo, un coefficiente numerico capace di definire

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il grado di irregolarità della linea che delimita l’ipoderma dal derma. Tale parametro ha dimostrato una buona correlazione con un “cellulite score” clinico, che gli stessi autori hanno messo a punto, analizzan-do, con un apposito software, immagini digitalizzate ad alta risoluzione della superficie cutanea, acquisite con metodo di ripresa standardizzato222. Querleux e coll. hanno sottoposto più di sessanta soggetti a MNR (magnetic nuclear resonance), impie-gando sia le tecniche di imaging, sia la spettroscopia223. Le prime hanno documentato il profilo indentato che le papille adipose conferiscono al confine dermo-epidermico e hanno confermato il differente orien-tamento dei tralci connettivali nei due sessi (anche se la differenza è apparsa meno netta rispetto a quanto prospettato da Nürnberger e Müller). Le femmine mostrano, infatti, un decorso semiverticale in una per-centuale significativamente più elevata dei setti interlobulari; tale tendenza si accentua nelle donne affette da cellulite, le quali manifestano anche un maggior spessore del sottocutaneo (soprattutto del piano adipo-so profondo, sottostante alla fascia di Camper) e del derma; quest’ultimo, nel campione esente dall’inestetismo, appare, invece, più sottile rispetto a quello della cute maschile. Un rilievo ancora più importante, dal punto di vista patogenetico, scaturisce dai dati di spettrometria MR, i quali, secondo gli estensori dell’articolo, escludono che nella cellulite si realizzi una qualsiasi forma di edema, almeno a livello dei lobuli adiposi (il potere di risoluzione non è risultato sufficiente a permette-re la valutazione del contenuto idrico dei setti fibrosi interlobulari)224. La tecnica MNR è stata applicata allo studio della morfologia del tessuto adiposo sottocutaneo anche in un altro, recente lavoro225 che, quantunque penalizzato dall’esiguità del campione, ha consentito interes-santi osservazioni. Innanzitutto, gli autori, tutti nord-americani, riscontrano l’assenza di una corrispon-denza diretta ed esclusiva fra il BMI e la comparsa di irregolarità della superficie cutanea: sia le donne con BMI superiori a 30, sia le normopeso, possono essere immuni da cellulite, o più o meno gravemente afflitte da questo dismorfismo. Solo negli individui con BMI inferiore a 30 l’esame in RMN della regione postero-laterale della coscia attribuisce alle donne un maggiore accumulo di grasso sottocutaneo rispetto ai maschi: gli spessori supe-riori alla media appaiono frequentemente correlati alla presenza di cellulite. Al contrario, presso gli obesi, il pannicolo adiposo regionale mostra un’altezza non molto diversa nei due sessi (a parità di BMI), indipendentemente dall’eventuale presenza di cellulite femminile; questa si ac-compagna, piuttosto, ad un’alterazione della componente fibrosa ipodermica, la cui entità complessiva non risulta, però, aumentata, bensì fortemente ridotta rispetto ai controlli, a livello sia dei setti interlobu-lari, sia del confine dermo-ipodermico (vedi figura n. 8). Contemporaneamente, il derma appare assottigliato ed “indentato” da un maggior numero di estroflessio ni adipose.

Figura n. 8: studi in RMN dell’impalcatura fibrosa del sottocutaneo; nelle donne affette da celluli-te non si rilevano ispessimenti connettivali

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Tali osservazioni da un lato sembrano dimostrare che la cellulite non comporta un’involuzione sclero-fibrosa del sottocutaneo, dall’altro indicano che altri fattori, oltre al mero eccesso ponderale, interven-gono nella patogenesi; gli autori identificano uno dei possibili elementi causali in una costituzionale sotti-gliezza e lassità dei tralci connettivali inter-lobulari . Una conferma di tale ipotesi può essere tratta da un recente studio, in cui sono state confrontate le pro-prietà visco-elastiche della cute indenne e di quella affetta da cellulite226; quest’ultima è risultata più sog-getta a subire deformazioni in seguito a sollecitazioni meccaniche, rivelando un minor compattezza tes-sutale. Un’ulteriore considerazione che induce a mettere in serio dubbio lo sviluppo di un esteso processo di fi-brosi nel sottocutaneo gluteo femorale di larga parte della popolazione femminile scaturisce dal fatto che tale alterazione non viene riscontrata e descritta in nessuno degli innumerevoli lavori che, negli ultimi an-ni, sono stati dedicati alla fisiopatologia del tessuto adiposo nelle sue varie localizzazioni, come può es-sere agevolmente constatato scorrendo le ampie reviews di recente pubblicazione227,228,229. In particolare, la recente dimostrazione di fenomeni di neoadipogenesi anche nell’adulto, ha indotto nu-merosi autori ad indagare sulle complesse relazioni che i preadipociti proliferanti intrattengono con la ma-trice extracellulare. Quest’ultima è divenuta, così, oggetto di approfondite ricerche: è stata studiata la sua composizione ed è stato documentato il ruolo che gli stessi adipociti svolgono sia nella sintesi, sia nel ri-modellamento che accompagna l’incremento del loro numero (iperplasia) e della dimensione (ipertrofia). Un’attenta analisi è stata dedicata anche alle alterazioni od inadeguatezze che la matrice può manifestare a causa dell’espansione della massa adiposa e si è avanzata l’ipotesi secondo cui un’insufficienza della neoangiogenesi in rapporto allo sviluppo tessutale potrebbe determinare situazioni di relativa ipossia, in grado , a loro volta, di avviare reazioni infiammatorie. Tuttavia, in nessuno dei tanti lavori pubblicati sull’argomento, è stato riferito che a tale serie di eventi possa far seguito una condizione di edema tessutale né, tantomeno, è stato descritta una evoluzione fibro-sclerotica della matrice. Chiaramente, le ricerche di cui si parla non avevano affatto, tra i propri obiettivi, la disamina del problema della cellulite ma, vista la grande diffusione dell’inestetismo, se questo realmen-te producesse nel sottocutaneo un esteso sconvolgimento in senso sclero-nodulare, il quadro sarebbe stato sicuramente documentato. 4.3 DISEGUALE REAZIONE ALLO STIRAMENTO DEI TRALCI INTERLOBULARI Il gruppo belga del prof. G.E. Pierard, sulla base dell’esame di 39 prelievi autoptici, pur confermando la presenza di papille adipose nel sesso femminile, ha osservato che queste formazioni sono evidenti in tutto il sottocutaneo muliebre, anche al di fuori delle aree comunemente affette dalla lipodistrofia, e sono visi-bili pure nei soggetti esenti da tale condizione. Le papille adipose, inoltre, sono protrusioni di piccola dimensione, incapaci, in quanto tali, di produrre, a livello del piano cutaneo, la grossolana alternanza di convessità e depressioni tipica della cellulite.

Figura n. 9: l’alternanza di stretching e di ipertrofia a carico dei setti interlobulari de-termina gli irregolari rilievi cutanei

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Tale quadro sarebbe, invece, dovuto al progredire dell’adiposità che determina l’aumento in altezza dei lobuli adipocitari, di forma grossolanamente cilindrica, disposti con il maggior asse perpendicolare al pia-no cutaneo. Ciò sottopone a tensione i tralci che li delimitano lateralmente: alcuni di questi, per effetto della ben nota capacità dei fibroblasti e dei miofibroblasti di attivarsi in seguito a sollecitazioni meccani-che230, andrebbero incontro a fenomeni di ispessimento reattivo, fibrosclerosi e retrazione. Altri setti connettivali subirebbero, invece, lacerazioni parziali, simili a smagliature231. Conseguentemente, sulla superficie cutanea, aree molli e sporgenti, dovute a protrusioni del tessuto adi-poso, secondarie al cedimento dei tralci interlobulari, si alternano ad aree infossate, più consistenti alla palpazione, nelle quali i setti fibrosi sclerotici, simil-cicatriziali, riavvicinano il derma alla fascia musco-lare232 (vedi figura n. 9). Indagini in RMN ad alta risoluzione, effettuate da autori brasiliani 233, hanno documentato, in corrispon-denza delle aree depresse riscontrabili sulla cute dei glutei, in soggetti affetti da cellulite, la presenza di tralci connettivali ispessiti e retratti, a decorso lineare, perpendicolari alla superficie cutanea, che si proiettano dalla fascia muscolare sino al derma reticolare, provocando l’infossamento di quest’ultimo (vedi figura n. 10); gli esami non evidenziano, invece, la disposizione fibrosa ad anello perinodulare de-scritta da Binazzi e da Curri. Lo stiramento dei tralci connettivali per l’ipertrofia dei lobuli adiposi si estende anche al collagene del derma papillare, nel quale osservazioni in vivo con tecniche di microscopia confocale hanno evidenziato immagini di sfilacciamento, simili a quelle riscontrate nelle striae distensae. Una volta prodottasi, l’alterazione cui i tralci interlobulari, sottoposti a stiramento, vanno incontro è, in larga misura, irreversibile, come dimostrato da Smalls et al., i quali hanno condotto uno studio al fine di verificare gli effetti di una perdita di peso sulle manifestazioni della cellulite. Gli autori hanno notato che il quadro clinico subiva un miglioramento solo nei soggetti che, partendo da un BMI mol-to elevato, ottenevano un notevole dimagramento. In tutte le altre situazioni la cellulite non si risol-veva ma, anzi, pareva peggiorare. L’osservazione sembra confermare l’ipotesi di una patogenesi mediata dalla rottura, per stiramento, dei tralci interlobulari; allorché vengono “strappati”, questi non possono essere più riparati, neanche nei casi in cui una perdita di peso riduce la tensione cui e-rano stati sottoposti. Pertanto, il calo ponderale è un buon punto di partenza per combattere l’inestetismo nelle donne o-bese, ma da solo non basta a risolvere l’irregolarità del piano superficiale cutaneo: neanche per l’associazione tra dieta ed esercizio fisico sono disponibili prove scientifiche di efficacia234.

Figura n. 10: tralci connettivali a decorso perpendicolare al piano cutaneo in corrispondenza delle aree cutanee depresse in un soggetto affetto da cellulite. Non si osserva, invece la disposizione fibro-sa ad anello perinodulare ipotizzata da Curri.

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4.3 PROTEOLISI DEI TRALCI INTERLOBULARI Un ulteriore sviluppo delle teorie di Pierard si è avuto ad opera dell’americano K.D. Marenus, il quale ha suggerito che la proiezione di “gibbosità” adipose verso il derma potrebbe essere agevolata dal degrado della componente collagene di quest’ultimo, conseguente all’azione di alcune proteasi235. Recentemente, tale concetto è stato ripreso ed ampliato da Peter Pugliese: l’autore ha proposto una nuova ipotesi patogenetica236, che inquadra la cellulite nell’ambito di un gruppo di disordini del tessuto connet-tivo femminile, comprendente, tra l’altro, le smagliature cutanee, la lassità del pavimento pelvico, le fle-bectasie varicose, le patologie dell’articolazione temporo-mandibolare, la meiopragie del legamento cro-ciato anteriore, l’edentulia gravidica. Tutte queste manifestazioni sarebbero riconducibili ad un eccesso della funzionalità di una classe di en-zimi proteolitici, le Metalloproteinasi della matrice (MMP), tra le quali si annoverano numerose collage-nasi ed elastasi, normalmente adibite al turnover dei componenti peptidici della sostanza intercellulare dei tessuti connettivi; E’ stato dimostrato che gli adipociti sono in grado di secernere questi enzimi i quali en-trano in gioco nelle fasi di rimaneggiamento tessutale che accompagnano l’aumento o la riduzione della massa grassa. La sintesi e l’attivazione delle MMP aumenterebbero per effetto della stimolazione eserci-tata dagli estrogeni, similmente a quanto si verifica nell’utero, ove l’iper-espressione ciclica di queste pro-teasi, indotta dagli ormoni femminili, svolge un ruolo rilevante nel determinare lo sfaldamento mestruale dell’endometrio237. Gli aspetti clinici della cellulite conseguirebbero, quindi, (in accordo con la tesi di Pierard) al cedimento dei setti fibrosi interlobulari: il fenomeno sarebbe, però, ascrivibile non solo all’eccessiva tensione mec-canica, ma anche e soprattutto ad una parziale digestione, operata dalle collagenasi endogene, funzional-mente alterate dagli estrogeni238. La lacerazione enzimatica del collagene potrebbe essere favorita anche da una destabilizzazione dello stesso, conseguente ad un’alterata distribuzione dei fluidi interstiziali nella matrice: Challahan et al., han-no recentemente utilizzato la microscopia confocale in vivo per esaminare il derma delle cosce e dei glutei femminili (il sottocutaneo non è attualmente esplorabile con tale tecnica), individuando “spazi scuri riem-piti da fluidi”, non attribuibili a rami vasali. Gli autori hanno ipotizzato che i suddetti spazi corrispondano ad accumuli di GAGs (il che confermereb-be le osservazioni di Lotti et al. in merito ad un incremento della presenza di queste sostanze nel derma delle aree affette da cellulite). La conseguente evoluzione patogenetica sarebbe, in qualche misura, ricon-ducibile a quanto suggerito da Maibach et al.239, secondo i quali, in particolari condizioni, anomali depo-siti localizzati di GAGs idrofili nel contesto della matrice, intrappolando l’acqua, la “sequestrano”, e ne impediscono il legame al collagene; in tal modo, ottengono l’effetto paradosso di produrre una disidrata-zione tessutale. Tale fenomeno potrebbe rendere più rigidi e fragili i fasci di collagene del derma e dell’ipoderma, predisponendoli all’attacco enzimatico ed alla rottura. La teoria che attribuisce la causa principale della cellulite ad un disordine della matrice ha suggerito un approccio terapeutico che sfrutta le capacità di ripristino dell’omeostasi connettivale attribuite alla vita-mina A; in uno studio recente, l’applicazione topica di emulsioni contenenti retinolo ha ottenuto un sia pur modico beneficio240.

5. CELLULITE: NUOVE ACQUISIZIONI E NUOVI INTERROGATIVI Il dibattito sulla cellulite, come si vede, rimane scientificamente piuttosto asfittico, penalizzato dal limita-to numero di studi e dalla modestia delle risorse impiegate. L’impasse che ancora si trascina per la mancata soluzione di quesiti basilari (come quelli che riguardano il quadro istopatologico della lesione), rischia, peraltro, di perdere attualità, venendo superata dai progres-si che altre branche della medicina stanno realizzando nella comprensione della fisiopatologia del tessuto adiposo e dell’endotelio, i due elementi cellulari più coinvolti nello sviluppo dell’inestetismo. In particolare, le odierne acquisizioni fanno risaltare un limite che accomuna le principali teorie sull’origine della cellulite. Sia nella concezione di Curri, sia in quella di Nürnberger e Müller, sia nelle altre più recenti, il tessuto adiposo, sede dell’alterazione, non gioca un ruolo significativo nell‘insorgenza della stessa: non interviene affatto, rimanendo “vittima” passiva di una disfunzione micro circolatoria o di un difetto dell’impalcatura fibrosa connettivale, oppure partecipa solo con modalità puramente fisiche, generando una tensione meccanica, attraverso la sua ipertrofia. Tali impostazioni risentono di un’idea ormai superata, che vede nell’adipocita un elemento cellulare dalle

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capacità limitate, addetto unicamente a compiti di magazzino dei substrati calorici in eccedenza; ad un ci-totipo dall’apparenza così banale non è logico ascrivere grosse “responsabilità” patogenetiche, cosicché i fattori causali della cellulite sono stati cercati altrove. Oggi, però, sappiamo che l’organo adiposo svolge mansioni sofisticate e composite241, agendo come: • dispositivo di governo del bilancio energetico sistemico, in grado di modulare il food intake ed il me-

tabolismo dei substrati negli altri tessuti; • sistema ghiandolare a secrezione ormonale e para-ormonale multipla242,243,244,245, capace non solo di

effettuare una bio-conversione degli ormoni steroidei circolanti, ma anche di sintetizzare de novo fatto-ri di regolazione di natura proteica (adipochine).

L’importanza che l’eccesso adiposo, soprattutto quello viscerale, sembra assumere nella patogenesi della resistenza insulinica e del diabete246,247, come pure dell’aterosclerosi248 e delle malattie cardiovascolari in genere249 spiega l’enorme mole di studi che, negli ultimi anni, è stata dedicata alla biologia dell’adipocita. Tra l’altro, come si è detto, è stata evidenziata una notevole plasticità del tessuto adiposo, dovuta alla pre-senza di elementi mesenchimali indifferenziati, capaci, in caso di necessità, di trasformarsi in adipociti. Le straordinarie performances oggi riconosciute al tessuto adiposo non possono essere prive di ripercus-sioni per quanto riguarda la fisiopatologia della cellulite. Ad esempio, l’ipotesi secondo cui il sottocutaneo subirebbe passivamente le conseguenze di una disfun-zione microcircolatoria va, con ogni probabilità, rivista alla luce delle scoperte che delineano, tra la com-ponente vasale e quella adipocitaria, un intreccio di relazioni molto più dinamiche, ad andamento bidire-zionale250,251: sappiamo, infatti, che, in base alle esigenze, il tessuto adiposo è in grado di modulare, diret-tamente o indirettamente, il flusso ematico che lo attraversa252. Inoltre, gli adipociti secernono fattori ne-oangiogenetici253 e numerose altre sostanze in grado di regolare le attività delle cellule endoteliali,. Studi recentissimi ci informano che, nei soggetti obesi, gli adipociti vanno incontro, diventando ipertrofici a di-sturbi funzionali che si esprimono attraverso il rilascio di citochine flogogene254,255,256; queste causano effetti sistemici e, contemporaneamente, inducono, nella compagine apparentemente “normale” del tessu-to, un infiltrato macrofagico di entità proporzionale al volume adipocitario medio257,258,259. L’adiposità (invero, soprattutto quella viscerale) comporta, quindi, l’attivazione, a livello distrettuale, di meccanismi biochimico-cellulari di tipo flogistico, che, paradossalmente, rimangono subclinici nella sede di produzione, mentre determinano ripercussioni metaboliche a distanza, sull’intero organismo, contri-buendo allo sviluppo della resistenza insulinica e delle malattie cardio-vascolari 260,261. Alcuni autori sono arrivati a definire il tessuto adiposo come un “organo infiammatorio”262, per cui l’obesità corrispondereb-be ad una condizione flogistica cronica263. Non è illegittimo, a questo punto, ipotizzare che processi infiammatori (uguali o diversi ?) possano realiz-zarsi anche negli accumuli adiposi distrofici della cellulite ove, in modo strisciante, potrebbero giocare un ruolo nella patogenesi della stessa, rendendosi responsabili, per esempio, delle alterazione endoteliali264 e dell’edema descritti da Curri (ammesso che, effettivamente, si realizzi) o della proteolisi enzimatica dei setti interlobulari. La cellulite, così, potrebbe, forse, rivelarsi degna del suo nome, riconquistando, a buon diritto, i connotati di affezione ad origine, almeno in parte, infiammatoria. Purtroppo, a tutt’oggi, non sono stati pubblicati studi in grado di confermare o smentire questa ipotesi, co-sì come, più in generale, non sono disponibili dati che chiariscano se ed in che modo le proprietà funzio-nali recentemente riconosciute al tessuto adiposo intervengono nella patogenesi di questa affezione.

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