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Cari lettori, Con la realizzazione di questo libro si vogliono ricordare gli invalidi e i morti sul lavoro perché, purtroppo, ogni giorno un padre di famiglia o una madre esce per andare a lavorare e non fa più ritorno per mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro. L’ANMIL, da sempre, combatte le sue battaglie verso una maggior sicurezza negli ambienti di lavoro. In tal senso, come Sezione Provinciale di Varese, da 12 anni organizziamo, in collaborazione con l’Inail, dei convegni sulla sicurezza indirizzati ai ragazzi delle medie della nostra provincia al fine di sensibilizzarli sul dramma infortunistico. Oltre a questo, ogni anno, ci rechiamo in varie scuole medie e istituti professionali della provincia, dove facciamo parlare direttamente i nostri invalidi che raccontano le loro drammatiche vicende. Intendiamo far vedere ai ragazzi a cosa si va incontro se non si è attenti alla sicurezza perché quando si subisce un danno ce lo portiamo addosso per tutta la vita. Per questo riteniamo basilare andare a parlare con i ragazzi e spiegare loro a quali rischi vanno incontro una volta entrati nel mondo del lavoro: vogliamo far loro capire che devono pretendere che siano rispettate le normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Il libro racconta la storia dei monumenti che sono stati eretti nei vari secoli: ci sono monumenti dedicati alla riconoscenza per le gesta di grandi uomini che hanno fatto la storia della nostra nazione ma anche, come nel nostro caso, monumenti dedicati alle vittime del lavoro, le cosiddette morti bianche che, ancora, sinceramente, io non ho capito perché vengono chiamate così. Di bianco non c’è proprio nulla, c’è solo dolore per le famiglie che hanno perso il proprio caro. In conclusione il mio augurio è che il prossimo libro parli di monumenti dedicati alla sicurezza sul lavoro e non ai caduti. Questo è il mio, il NOSTRO, obiettivo. Che morti sul lavoro non ce ne siano più.

Antonio Di Bella

Presidente Provinciale ANMIL

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Il lavoro, come esempio. Il lavoro è un diritto riconosciuto dalla Costituzione. Dovremmo dire: il lavoro è un diritto. Punto! E di lavoro si deve vivere, non morire. Non si può pensare che il lavoro sia mutilazione. Ho accettato di buon grado l’invito della ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati Invalidi del Lavoro) a riflettere insieme, su ciò che è lavoro, incidente e morte. A volte si ha paura, quasi si venisse contagiati, a pronunciare parole così dirette, rigide, certo non soggette ad interpretazioni personali. Le morti sul lavoro sono definite “morti bianche”, anche se di bianco non c’è nulla. Se non la buona volontà di colui che stava lavorando, il suo impegno e la sua responsabilità nei confronti della società civile. Gli incidenti e le mutilazioni non hanno ancora una definizione tutta loro. Ma se ne può fare a meno, perché conta l’uomo (e la sua salute), non la parola. Ci sono sempre stati lavori più o meno rischiosi, ma il caso – quando si sono seguite le norme passo dopo passo e applicate le misure di sicurezza – non lo si può controllare. E un lavoratore rischia, perché il rischio è alla base del lavoro. Accade ovunque, ma non per gli stessi motivi. E’ intollerabile la leggerezza nel “fare” così come è inaccettabile la distrazione. Eppure a volte la testa viaggia altrove. Penso ai collaboratori e ai titolari della micro e piccola impresa. Penso ai tanti dubbi che li hanno assaliti negli ultimi tre anni, dal 2008 ad oggi. Per molti imprenditori e lavoratori si è arrivati ad un tale punto di soffocamento economico – commesse al ribasso, la non trasparenza sui contratti e sui subappalti, giochi sleali spesso legalizzati sul mettere in concorrenza più parti, prezzo al pezzo quasi inaccettabile (eppure nessuno ha rifiutato un ordine, perché non si dice “no” al lavoro) – da dover valutare, nella quotidianità, anche una buona dose di panico. E il panico, lo sappiamo, toglie lucidità. I mutilati sul lavoro, per non parlare dei morti, non sono considerati eroi. A loro, però, si deve ancor più rispetto e, soprattutto, dobbiamo riconoscere una dignità pari a coloro che hanno fatto qualcosa di straordinario. Sono un esempio per tutti, ma soprattutto per quelle nuove generazioni che non sempre valutano per il giusto l’importanza di avere un lavoro. E di doverselo tenere. Con questo non voglio dire che esistono lavoratori di serie A o serie B. Esiste chi, lavorando, rischia della sua vita o della sua integrità fisica. E’ per questo che il volumetto in questione assume una sua rilevanza sociale, economica ma soprattutto civica. Educazione all’essere civili e ad affrontare con civiltà i problemi, più o meno drammatici, che possono accadere in un ambiente di lavoro. Con un semplice libretto si aprono gli occhi su una realtà che a volte si dimentica o, peggio ancora, si vuole dimenticare. E invece non c’è nulla di cui vergognarsi: a maggior ragione di fronte al dolore. E al lavoro.

Dott. Arch. Giorgio Merletti

Presidente Confartigianato Imprese Varese

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Il simbolo del Lavoro:

un bassorilievo in marmo situato nell’atrio

dell’Associazione Provinciale Varesina

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I Monumenti I monumenti sono rocce che l’uomo ha plasmato per lasciare un ricordo ai posteri. Il termine deriva dal verbo latino monere, ovvero ammonire, far ricordare. Infatti il monumento è sempre stato usato nella storia dell’uomo per ricordare le azioni di qualcuno o la persona stessa che l’ha compiuta. I primi monumenti della storia umana sono i monumenti funebri dei primitivi: essi servivano a ricordare il caro estinto ai famigliari. La loro funzione era strettamente individuale anche perché l’uomo viveva all’interno del suo clan familiare e non in strutture più complesse, le persone con cui intrecciava relazioni erano perciò principalmente famigliari. Man mano che gli uomini incominciavano ad organizzarsi tra loro, a riunirsi in gruppi sempre più grandi fino a formare una società, cambiò anche la funzione a la collocazione del monumento. Esso non serviva più soltanto al singolo per ricordare un defunto, ma era simbolo per la società e la collettività; in particolare era simbolo del potere ed è infatti il potere, qualunque esso sia, democratico, dispotico, religioso, che decide quale tipo di monumento costruire e dove costruirli. Il monumento è utile al potere perché permette di autocelebrarsi e di entrare nella quotidianità di ogni persona; infatti una città è sempre ricca di monumenti, che spesso la denotano anche urbanisticamente, così facendo il potere entra nella vita del singolo. (Gianni Vattimo) I monumenti sono simboli; raccontano storie che ricordano le persone che non ci sono più. Tutto questo è per non perdere la conoscenza del passato, per far sì che non ci sia un appiattimento della memoria: sui monumenti si trova la storia, l’epoca, lo stile, i simboli, la vita, la morte e l’eternità. I simboli favoriscono l’identificazione e la condivisione di un’idea. Essi muovono grandi emozioni e rappresentano azioni, persone e senso di appartenenza: vanno difesi con fermezza e decisione. Nel nostro caso questi simboli hanno un unico scopo: rendere un giusto e doveroso omaggio atto ad onorare tutti i caduti sul lavoro, ignorati dai media e da tutti, veri martiri di questa nostra Patria, testimoni di operosità e di un durissimo sacrificio che, con il loro lavoro cercavano quei diritti inalienabili di dignitosa sopravvivenza per loro e le proprie famiglie. I monumenti ANMIL onorano i morti sul lavoro, persone che hanno costruito le nostre case, le nostre strade, mobili, piastrelle per pavimenti, che hanno tagliato marmo e creato gallerie per fare brevi percorsi ecc..e che, per forgiare e stampare di tutto, hanno respirato polvere sottile velenosa.

Costruzione volta a ricordare un fatto o una persona illustre.

Ha valore prevalentemente architettonico ed in tal senso è propriamente l’avanzo di una costruzione antica che testimonia del grado di civiltà dei tempi in cui sorse. Essenzialmente architettoniche sono talora le espressioni dei Monumenti (archi di trionfo e steli); talora sono invece sculture (statue o gruppi); si distinguono i Monumenti funerari, (Mausoleo o tomba) e i Monumenti onorari o commemorativi. Fra i Monumenti antichi, di cui é fatto cenno nelle fonti scritte e di cui si sono conservati avanzi, ricordiamo le colonne con statue e tripodi , le statue erette a vincitori di giochi, le edicole ed i tempietti a forma circolare (come il Monumento coreico di Lisicrate in Atene) e le esedre con immagini di sovrani. Detti Monumenti sorgevano in preferenza nei santuari più importanti : a Delfi, ad Olimpia, ad Epidauro, ecc.

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In Italia, grazie alle diverse civiltà che hanno lasciato profondi segni del loro passaggio, esistono numerose splendide città ricche di monumenti ed opere d’arte che vanno dalle più antiche aree archeologiche ai reperti di epoca romana sino alle opere più recenti. I Romani innalzarono archi , statue come il colosso di Nerone, Monumenti equestri come la statua di Marco Aurelio, nonché le colonne coclidi di Traiano e Teodosio. Mentre l’età medioevale conosce solo i Monumenti funebri, si assiste col Rinascimento, ad un ritorno alle forme d’ispirazione classica sia per quanto riguarda i Monumenti specialmente commemorativi come le statue equestri al Colleoni ed al Gattamelata sia per quelli aventi funzioni pratiche anche se eretti in onore di un individuo come fontane, archi di trionfo, ecc. L’età barocca appare prediligere le fontane mentre ancora praticamente ignora, se si eccettua qualche monumento equestre -in funzione più artistica che commemorativa-, la riproduzione della figura umana. Periodo di maggiore diffusione del Monumento è il sec. XIX iniziato con il movimento neoclassico che ampiamente ripropone forme delle antichità, archi di trionfo quali quello della Pace di Milano e quelli di Parigi, di Monaco e di Londra; si riaffermano le colonne, ricompaiono, specie a celebrazione dell’epopea napoleonica, statue a figura intera e busti: questi ultimi finora riservati a solo ricordo negli edifici sacri o nelle dimore patrizie. Il monumento così, specie nella seconda metà del secolo scorso e nel secolo attuale, si diffonde largamente essenzialmente con funzione commemorativa: in Italia, in modo particolare, a ricordo dei fatti e delle figure del Risorgimento e per analogia anche delle epoche precedenti. Si hanno in genere statue a figura intera, busti, monumenti equestri, gruppi, sempre quindi con preminenza della figura umana. Negli ultimi anni del sec. XIX infine, il concetto architettonico viene nel Monumento ad assumere maggiore importanza per un maggiore impulso verso la grandiosità della costruzione ed il suo conseguente impegno a fini pratici; si hanno così i grandi monumenti commemorativi quali il Vittoriano di Roma, i numerosi ossari, i Monumenti dei Caduti del Risorgimento e delle altre guerre d’Italia, le torri in ferro quali la Tour Eiffel a Parigi e le statue gigantesche quali quella della Libertà di New York. Di assai minore importanza, ai nostri giorni, la retorica della figura umana alla quale si vengono per lo più sostituendo Monumenti pratici: in modo particolare fontane o vari complessi nei quali la parte architettonica è preminente; è il caso del progetto per il milite ignoto a Milano, risolto con semplici elementi strutturali o di Monumenti di vaste proporzioni nei rapporti scultura- architettura, quali quello ad Alcide De Gasperi a Trento e quello di Pinocchio a Collodi, realizzati in Italia nel dopoguerra.

Il Diritto del Monumento

Dal punto di vista giuridico, qualunque bene che presenta interesse artistico, storico, archeologico e tutti quei beni che sono stati riconosciuti di interesse particolarmente importante in tale senso sono sottoposti a vincoli e limitazioni. Infatti i privati proprietari non possono demolire, modificare o restaurare i Monumenti di loro proprietà senza preventiva autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali ed inoltre devono sottoporre alla competente Soprintendenza i progetti delle opere che intendono eseguire e sono inoltre obbligati a denunciare al Ministero ogni atto che trasferisca la detenzione o la proprietà del Monumento stesso. Infine secondo l’articolo 733 del Codice penale vigente, chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un Monumento è punito penalmente ed economicamente.

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Megalito

Un megalito è una grande pietra, o gruppo di pietre, usato per costruire una struttura o un monumento senza l’uso di leganti come calce o cemento. Il termine megalito proviene dell’unione di due parole del greco antico; megas (grande) e lithos (pietra). I megaliti presentano forme e strutture diverse, anche se si possono individuare alcune tipologie fondamentali. Un esempio è rappresentato dal menhir, un masso grosso o appena sbozzato, conficcato nel terreno. Esistono inoltre strutture megalitiche ben più complesse con vere e proprie fortificazioni; è l’esempio dell’acropoli di Alatri nel Lazio e dei nuraghi in Sardegna. Distribuzione dei megaliti: il termine è usato per descrivere strutture erette da popoli in molte parti del mondo, in periodi differenti. Nel primi anni del XX secolo era diffusa la teoria che la maggior parte dei megaliti fosse il prodotto di una “Cultura Megalitica” globale, ma datazioni successive hanno confutato tale ipotesi. L’Europa è disseminata di megaliti che in passato sono stati attribuiti alle fate o ai giganti e considerati dimore di nani o di altri esseri mitologici e fantastici. In Europa occidentale i megaliti sono solitamente riconducibili al periodo neolitico o all’età del bronzo (4500-1500 a.C.). Il megalito più noto è probabilmente Stonehenge in Inghilterra, ma ve ne sono moltissimi altri, come i Dolmen di Mores in Sardegna, di Bisceglie o di Minervino di Lecce. La prima descrizione di un megalito (Carnas) si deve al Conte di Caylus, nel XVIII secolo. Legrand d’Aussy introdusse i termini menhir e dolmen, presi dal linguaggio bretone, ed interpretò i megaliti come tombe galliche. L’archeologo Salvatore Piccolo vi trovò elementi anatomici umani che non solo hanno datato questi genere di architettura al bronzo (2.200 a.C.), ma soprattutto ne hanno rivelato la funzione funeraria.

Tomba Megalitica, Mane Braz, in Bretagna

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Le Epigrafi

Sono pietre dove è scolpito un testo o un’iscrizione, l’intento del testo è solitamente quello di tramandare la memoria di un evento storico, di un personaggio o di un atto. Generalmente le iscrizioni sono realizzate in lettere maiuscole. La tradizione epigrafica è caratteristica della civiltà classica greca e romana e testimonia il diffuso grado di alfabetizzazione raggiunto da queste società; senza un tale presupposto le epigrafi non avrebbero potuto assolvere la funzione di comunicazione pubblica cui erano destinate. Le epigrafi sono una delle fonti più importanti per capire un epoca storica. Sebbene forniscono soltanto informazioni succinte e parziali, le epigrafi non riflettono soltanto la vita di una persona, ma testimoniano la vita di una città e la sua evoluzione nel tempo grazie a nomi, cariche pubbliche, date ed azioni che riportano. La maggiore parte delle epigrafi proviene da monumenti funerari dedicati ai defunti. Le epigrafi onorarie, invece, venivano dedicate a cittadini importanti o che avevano compiuto azioni ammirevoli. La lettura delle epigrafi permette di ricostruire l’evoluzione della vita politica di una città, i metodi di promozione sociale e la struttura delle classi sociali. Sul volume delle epigrafi del Civico Museo Archeologico di Arsago Seprio, si legge quanto riferito dal Prof. Antonio Sartori dell’Università degli Studi di Milano “ad ascoltar le pietre … si scoprono tante cose inattese, in primo luogo si conoscono delle persone…. Quelle che popolarono le nostre terre prima di noi… persone come noi…. ma che avevano qualche attenzione in più per mostrarsi con l’unico mezzo a disposizione e l’unico ad essere sopravvissuto, le epigrafi”

Museo Archeologico di Arsago Seprio: Are votive a Mercurio e a Silvano

e stele funeraria di Maxsa

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L’uomo nel passato Fin dall’antichità, l’uomo ha tentato di costruire opere sempre più importanti in modo da dimostrare il potere del proprio regno. I Sumeri costruirono monumenti chiamati ziqqurat, dei particolari templi mesopotamici a forma di torre scalare composta di sei o sette piani uniti da rampe che danno accesso ad un piccolo santuario. Vissero in Mesopotamia dal V millenio a.C. tra i fiumi Tigri ed Eufrate. Dopo i popoli mesopotamici, un’altra civiltà, sulle sponde del fiume Nilo, ha creato imponenti costruzioni. Gli Egizi, costruirono enormi templi dedicati ai loro dei, come quello di Abu Simbel; alti obelischi, come quello di Sesostri I°, ed infine le piramidi. Esse sono delle enormi tombe fatte costruire da alcuni faraoni; le piramidi più importanti sono quelle dei faraoni Cheope, Chefren e Micerino a Giza. Un altro monumento egiziano imponente è la Sfinge, una statua con il corpo di leone e la testa umana rappresentante simbolicamente il faraone Chefren. Poi vennero i Greci, colonne portanti della cultura e architettura classica, i loro templi, dedicati alle divinità, sono stati ritrovati in varie zone del Mar Mediterraneo, soprattutto in Sicilia e a Paestum in Campania. I templi sono preceduti da varie file di colonne ed all’interno una statua raffigurante la divinità a cui sono dedicati. Queste tre civiltà, costruirono possenti monumenti, ma solo sette sono stati scelti per rappresentare le meraviglie del Mondo Antico con le loro culture, sei sono andati distrutti da molto tempo, alcuni per opera della natura, altri per la mano dissacratrice dell’uomo.

Le sette meraviglie del Mondo Antico

IL COLOSSO DI RODI

IL FARO DI ALESSANDRIA

I GIARDINI PENSILI DI BABILONIA

LA PIRAMIDE DI CHEOPE A GIZA

LA STATUA DI ZEUS AD OLIMPIA

IL TEMPIO DI ARTEMIDE AD EFESO

IL MAUSOLEO DI ALICARNASSO

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Obelisco

Monumento commemorativo dell’antico Egitto, si tratta di una colonna lunga e snella, di sezione quadrangolare terminante con una punta piramidale. Gli obelischi dovevano avere un significato celebrativo ma non sacro, in quanto la loro elevazione era in relazione con i riti per i defunti. Fra i resti monumentali più significativi della civiltà faraonica gli obelischi contendono il primato alle piramidi, edificati a centinaia dai faraoni, molti di essi sono stati successivamente trasportati lontano dall’Egitto per essere elevati come trofei nella grandi capitali: Roma, Parigi, Londra e New York. Essi simboleggiavano il potere dei faraoni o rendevano omaggio alle divinità solari. In Egitto gli obelischi avevano un profondo significato religioso e celebrativo della regalità del Faraone. In epoche successive, furono trasportati dall’Egitto fino a Roma, Città Eterna, per volere degli imperatori e questo nei primi secoli dopo Cristo. Alcuni obelischi furono invece realizzati in epoca romana con lo stesso granito usato dagli Egizi, privi di iscrizioni oppure con geroglifici copiati dai modelli dell’epoca faraonica. Questi obelischi rappresentavano simboli di potere e di vittoria, venivano adoperati per abbellire circhi, templi e tombe, trascurando del tutto le iscrizioni originali presenti sui monumenti: erano parte importante dell’architettura degli antichi egizi. L’obelisco simboleggiava il dio del sole Ra e, durante la riforma religiosa di Akenaton si diceva fosse un raggio di sole pietrificato dell’aten, il disco solare. Roma è la città che vanta il maggior numero di obelischi al mondo. Nessuna città al mondo poteva contare un numero simile di obelischi ma, con la caduta dell’impero romano e le invasione barbariche, molti obelischi caddero in rovina. Di molti se ne persero le tracce: finirono sepolti sotto la polvere dell’oblio. Gli obelischi sparsi a Roma sono tredici: il più alto è quello “Lateranense” (32,84 m), il più piccolo viene detto “di Dogali” (6,36 m) e si trova nei giardini presso la stazione Termini.

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Obelisco “Lateranense” situato in piazza S. Giovanni a Roma, fu realizzato all’epoca dei faraoni da Tutmosis III nel XV secolo a.C. proviene dal tempio di Ammone Karnak a Tebe in Egitto.

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Cippo I Cippi Monumentali sono interessanti per contenuto artistico e archeologico, che servirono ad indicare un’area sepolcrale gentilizia o una semplice tomba. I Cippi sepolcrali, esclusivamente di pietra, furono usati nelle civiltà remote fin dalla prima età del ferro; erano costituiti da semplici parallelepipedi lisci. Gli Etruschi, che ebbero svilupatissimo il culto dei morti, fecero grande uso di Cippi finemente lavorati, con richiami a forme umane spesso distinti per tombe femminili e tombe maschili. Furono usati dai Greci e dai Romani ma meno degli Etruschi: nell’antica Roma c’erano Cippi che recavano iscrizioni che si riferivano a decreti senatoriali. Tra i più famosi pervenutici, il Cippo rinvenuto nel santuario betilico preistorico di Terlizzi (Bari); quello Etrusco a busto umano proveniente dalla necropoli arcaica di Vetulonia; quello di Settimello (Firenze), nel quale sono chiaramente visibili quattro figure leonine in piedi che fungono da sostegno ad una pietra a forma di pigna liscia. I Cippi sono anch’essi dei monumenti che fanno rammentare a tutti di ricordare uomini e fatti che, oltre i nomi e le righe degli epitaffi, hanno storia di vita, precedenti e dimensioni molto più complesse e luoghi da raccontare. In visita al campo di aviazione di Lonate Pozzolo l’11 marzo 1926, Gabriele d’Annunzio lo intitolò “Campo della Promessa” e dettò l’epigrafe in memoria degli aviatori italiani caduti durante la prima guerra mondiale poi riportata su un cippo di granito di Montorfano.

Cartolina emessa in occasione del’ottantesimo anno dall’evento 11 marzo 1926 - 11 marzo 2006

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Stele Lastra di pietra o di marmo di forma oblunga che, piantata verticalmente per terra o su un apposito zoccolo, serve ad indicare il luogo dove sono seppellite delle persone (stele funeraria) o, più di rado, un termine o una dedicazione votiva. Le Stele in pietra omogenea appaiono già in Italia all’epoca palafitticola . Ad Atene la Stele ha profilo piatto e su una delle facce porta il nome del defunto e spesso il suo ritratto. Alla fine di quello stesso secolo la fioritura artistica è interrotta dalla legge di Demetrio Falereo contro il lusso dei monumenti funebri. Presso talune città Greche si diffondono le Stele dipinte. Gli Etruschi, dopo la Stele liscia, ebbero già nel secolo VI quella con figura e con caratteri incisi superficialmente. Nel mondo romano ebbe grande diffusione come monumento funebre per la semplicità ed economia: spesso è scolpita con ritratti o busti a mezzo rilievo o bassorilievo disposti anche su due o tre file. La stele di Axum è un obelisco in pietra basaltica a sezione rettangolare da Axum, la città santa dell’Antico Impero d’Etiopia. La stele fu trovata dai soldati italiani impegnati nella guerra d’Etiopia alla fine del 1935. La stele, sezionata in sei parti e trascinata da centinaia di soldati italiani ed eritrei durante un’odissea di due mesi fino al porto di Massaua, fu trasportata per nave fino a Napoli tramite piroscafo Adua, dove giunse il 27 marzo 1937. Poi venne trasportata fino a Roma, dove fu collocata il 28 ottobre 1937 in Piazza di Porta Capena. L’Italia si propose di restituire la Stele all’Etiopia, in quanto prelevato come bottino di guerra, il 15 settembre 1947. Trascorsero parecchi anni con varie vicissitudini, non ultima la deposizione del re Hailé Selassié, ma finalmente il primo frammento dell’obelisco arrivò in Etiopia e il suo ritorno fu accolto con grandi festeggiamenti. Il 4 giugno 2008, grazie a fondi italiani, è stato aperto il cantiere ad Axum per ricomporre la stele come da accordi fra il governo etiope e quello italiano, l’Istituto Centrale per il Restauro ha compiuto una ulteriore pulitura, prima della cerimonia, celebrata ad Axum per il rientro in patria della stele ricollocata accanto alla stele gemella nella valle del Tigré.

Francobollo Etiope emesso nel 1958 La stele di Axum ricostruita nel suo luogo d’origine

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Ara

Il luogo ove era compiuto il sacrificio agli Dei per mezzo del fuoco (la parola va infatti connessa con areo-ardo, brucio). Comunemente si trova ara in latino per indicare i grandi altari dedicati agli Dei: in senso più ampio la parola fu usata per ogni monumento commemorativo di una certa importanza. L’ara poteva essere di pietra o di metallo (ara aerea o aenea) ed anche zolle di terreno (aroe cespiticiae o gramineae). Fra le are più celebri quella di Zeus a Pergamo, l’Ara Pacis Augustae e l’Ara Maxima in Roma. L’Altare di Zeus di Pergamo è uno degli edifici più famosi e uno dei capolavori dell’arte ellenistica. Fu fatto edificare da Eumene II in onore di Zeus Soter e Atena Nikephòros (Zeus salvatore e Atena portatrice di vittoria) per celebrare la vittoria sui Galati. Il fregio fu distrutto durante le invasioni barbariche e ricostruito coi frammenti superstiti da archeologi tedeschi a Berlino, nel Pergamon Museum. Ricca anche la messa delle statue recuperate e negli artisti la tendenza ad esprimere i sentimenti dell’anima. La dinastia pergamena è celebre per le arti, per le lettere, per le scienze che protese. La corte dei re di Pergamo è stata paragonata alla corte fiorentina dei Medici. Famosa la grande biblioteca di Pergamo fondata da Eumene, che fu rivale di quella di Alessandria e diede motivo alla diffusione dell’uso della pergamena in concorrenza a quella del papiro egiziano. L’Ara Pacis Augustae è un altare dedicato da Augusto nel nono secolo a.C. alla pace nell’età augustea, intesa come dea romana, e posto in zona del Campo Marzio consacrata alle celebrazione delle vittorie. Questo monumento rappresenta una delle più significative testimonianze dell’arte augustea ed intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato della Pax Romana. L’Ara Maxima a Roma è stato il primo centro di culto di Ercole edificato a Roma, dall’Ara massima di Ercole partivano i trionfi, che si concludevano al Palatino.

Colonne La Colonna che di norma è cilindrica, si chiama rastremata quando il diametro del fusto diminuisce verso l’alto. Si hanno numerosi esempi di Colonne commemorative o onorarie. La Colonna dorica, ionica, corinzia, toscana, romana e gotica, furono adottate nel medioevo quando furono lasciati i canoni greci e romani. A Roma si trovano anche le Colonne trionfali, che furono la risposta “romana” agli obelischi egizi, furono icone dei trionfi imperiali e poi vessilli della cristianità. Plus Ultra è una locuzione latina che significa andare oltre, superare i propri limiti, in contrapposizione all’altro motto latino Nec plus ultra, “non più avanti”. Secondo la mitologia, questa iscrizione fu scolpita da Ercole sui monti Calpe ed Abila, le cosiddette Colonne d’Ercole (stretto di Gibilterra), creduti i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali. Ercole raggiunse il limite del mondo e separò il monte presente in due parti (le due colonne d’Ercole). I due monti si chiamarono Abila in Africa e Calpe in Spagna. Le Colonne d’Ercole indicano il limite estremo del mondo conosciuto ed esprimono non solo un concetto geografico, ma soprattutto il limite della conoscenza. Contrariamente, quasi a voler superare lo stesso limite estremo, il sovrano Carlo V, adottò il motto Plus Ultra, cioè superare ogni limite possibile. Celebre la frase del sovrano: “Sono padrone di un impero su cui il sole non tramonta mai” proprio per evidenziare tale limite estremo.

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Simboli Senza simboli l’uomo non vive, sarebbe senza personalità, “insignificante”. Una città senza simboli sarebbe impossibile, anzi pericolosa: non si trova una piazza senza cultura, una via senza codici, un ambiente di ritrovo senza segni. I simboli sono presenti in ogni contesto storico e culturale, l’uomo ha sempre avuto bisogno di simboli, l’intelligenza umana procede per associazioni di ricordi e che cos’è un simbolo se non qualcosa che rimanda a qualcos’altro. I simboli hanno significato solo quando vengono attribuiti dall’uomo; sono importanti perché la capacità di pensare per simboli è ciò che distingue l’animale uomo dall’animale non umano. Visto l’importanza che hanno i simboli, sarebbe il caso di trattarli con un po’ più di rispetto e di considerazione. Questi simboli, che la gente conosce a stento e ricorda ancora meno, sono simboli che vengono esposti pubblicamente per far sì che la gente non li dimentichi. Il simbolo rappresentativo della Repubblica Italiana é: L’Emblema è caratterizzato da elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e la quercia. La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconografico ed è sempre stata associata alla personificazione dell’Italia sul cui capo essa splende raggiante. La ruota dentata d’acciaio, simbolo dell’attività lavorativa, traduce il primo articolo della carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro.” Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della Nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale. La quercia incarna la forza e la dignità del popolo Italiano.

Il primo giugno 1996 le poste italiane, in occasione del 50° della Costituzione Repubblicana emettono un francobollo “ Le Istituzioni” con Emblema dei simboli.

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La Luce Le statistiche riguardanti gli infortuni sul lavoro, pur evidenziando una tendenziale flessione, vengono descritte come un fenomeno sociale che permane grave ed inaccettabile e che richiede una ferma e condivisa volontà di cambiare le cose, elaborare proposte efficaci ed adottare misure preventive di controllo atte ad aumentare significativamente la sicurezza sul lavoro. Una società giusta è capace di assicurare a ciascun cittadino condizioni di vita rispettose della sua dignità e trova, nella sicurezza sul lavoro, un cardine necessario e ineludibile. Morire o rimanere gravemente menomati nel momento in cui si esercita quello che è un diritto e un dovere di lavorare per garantire a se stessi e alla propria famiglia una fonte di reddito per il sostentamento alla vita non è accettabile. Vedere cambiata la propria vita, radicalmente in peggio, è sicuramente un fatto che non riguarda soltanto la legislatura, ma riguarda, in primo luogo, la coscienza di ogni essere umano perché, prima ancora di essere giudicata politicamente, l’avvenimento deve essere considerato, soprattutto, in termini morali. Perciò credo che lo scopo di questa pubblicazione sia in primo luogo quello di accendere una “luce” su una quotidiana emergenza e non possiamo in ogni modo continuare a deprecarla a parole ma deve coinvolgere tutte le persone, una luce che possa abbagliare ed illuminare con la sincerità e l’onestà l’amore per la vita, ognuna in base alle proprie responsabilità e capacità, concordando nella volontà di una connessione fra le parti e trovando una convergenza condivisa per risolverlo. Uscire dalle tenebre notturne ed aprirsi al giorno che nasce con uno spirito nuovo dove tutti possano concorrere ad una maggiore sicurezza sul lavoro perché, come sappiamo, è nell’interesse di tutti gli uomini rientrare nel proprio nucleo famigliare integro e in buona salute.

Silvano Pedroni Consigliere Provinciale ANMIL

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Nel compimento del 150° dell’Unità d’Italia L’ANMIL Associazione Nazionale

fra Lavoratori Mutilati ed Invalidi del Lavoro (onlus) della Provincia di Varese, realizza questo libretto sui

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Questi simboli sono l’autentica espressione dell’art. 4 della Costituzione

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie

possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Francobollo e foglietto emessi dalle poste Italiane il 7 gennaio 2011

Per le celebrazioni dell’Unità d’Italia

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Ringraziamenti

Questi monumenti esaltano il sacrificio sul lavoro …a tutti quelli che, per esso, hanno sacrificato la propria vita o parte di essa perché l’elevazione culturale di un popolo è in rapporto al culto ed alla sensibilità riservatagli. Questi luoghi “ sacrali” è la dimostrazione di quanto le persone hanno pagato in vite umane e in mutilazioni per il benessere e la comodità della vita del giorno d’oggi. L’A.N.M.I.L. porge la propria gratitudine alle Amministrazioni di questi paesi i quali hanno motivo di sentirsi orgogliosi d’essere stati sensibili al dolore, consacrando, con un segno tangibile al ricordo, la parte più nobile e generosa dei lavoratori affinché la collettività riponga, tra le sue più preziose memorie intangibili, il valore del sacrificio di queste persone. I luoghi della memoria, sono un ponte tra il passato e presente, stimolano riflessioni sul loro legame, sono concepiti per tramandare la memoria del passato e, parlano della visione attuale del lavoratore. E’ giunto il momento di far parlare questi luoghi e i loro monumenti, la storia che essi raccontano è in prima istanza quella di personaggi e di fatti a cui essi si riferiscono, questi sono dunque i nostri luoghi della memoria, osservandoli e riflettendo si può pensare a quante lacrime esse contengono. (La gratitudine è l’espressione della maturità umana e, mentre la manifesta, la nutre e l’accresce. La gratitudine suscita dialogo di grazia tra chi ha dato il beneficio e chi lo riceve)

Don Oreste Benzi

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Atto costitutivo dell’Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi del Lavoro

Roma 23 settembre 1943

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Cenni storici L’ANMIL è stata fondata a Milano nel 1933. Le leggi fasciste, restrittive della libertà di associazione, ne determinarono lo scioglimento ma caduto il regime dittatoriale, essa fu prontamente rifondata a Roma, per atto del notaio Egidio Marchese in data 19 settembre 1943, registrato all’Ufficio atti pubblici, il 23 settembre 1943, al n° 5166 del volume 647. Da quasi 70 anni opera in Italia con responsabilità giuridica riconosciuta ed è stata eretta in ente morale con decreto luogotenenziale 22 febbraio 1945, n° 128. La legge 21 marzo 1958, n° 335, ha fatto dell’ANMIL un ente pubblico, posto sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e retta da uno statuto approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 1961, n° 127, su proposta del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale di concerto con il Ministero dell’Economia e delle finanze. Con l’istituzione delle Regioni, l’ANMIL è stata sottoposta, come tutti gli altri enti assistenziali, alle procedure di accertamento delle finalità pubbliche previste dagli articoli 113 e 114 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n° 616. L’ANMIL oggi è ancora un’associazione di diritto privato e mantiene la sua qualificazione di ente morale per effetto del Decreto Presidente della Repubblica 31 marzo 1979, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 9 maggio 1979, n° 125,che, all’articolo 2 dispone, tra l’altro, la conservazione dei compiti associativi previsti dal proprio statuto, approvato con il citato Dpr 127/61, nonché quelli di rappresentanza e tutela dei mutilati e invalidi del lavoro, previsti dalle norme vigenti. Inoltre, nel 1982 , la sezione controllo enti della Corte dei conti, con deliberazione del 9 marzo Nr. 1647, ha riconosciuto tra i fini propri dell’ANMIL l’attività di rappresentanza e tutela delle categorie, da svolgere anche per garantire -in conformità della legislativa- la continuità della erogazione delle provvidenze spettanti agli assistiti con caratteri di completezza e uniformità. Dal 2003 è diventata ANMIL Onlus, ovvero una organizzazione non lucrativa di utilità sociale, come deliberato dall’assemblea straordinaria riunita a San Benedetto del Tronto il 25 Ottobre.

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1° Congresso Nazionale Nel giugno del 1948 i delegati nazionali dell’ANMIL, si riuniscono a Roma per celebrare il 1° Congresso Nazionale, nel corso del quale vengono eletti i primi Organi Statutari, cominciando così a dare un equilibrio alla struttura complessiva ed individuando i problemi da inserire nella piattaforma rivendicativa.

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Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi del Lavoro A.N.M.I.L. “O.N.L.U.S”

Le iniziative realizzate dall’associazione A.N.M.I.L. sono numerose e tra le tante, quella di promuovere la cultura sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e quella di migliorare la tutela delle vittime di infortuni. L’associazione si richiama ai valori fondamentali della Costituzione Repubblicana, non ha finalità di lucro e persegue scopi di assistenza morale e materiale dei mutilati ed invalidi del lavoro che, indipendentemente da ogni opinione politica, convinzione ideologica, fede religiosa, appartenenza a qualsiasi gruppo etnico, accettino il presente Statuto che, come obbiettivo fondamentale, cerca l’unità di tutta la categoria. Questa Associazione si attiva per coinvolgere istituzioni, organizzazioni ed opinione pubblica affinché ci sia una maggiore attenzione verso una questione dalle molteplici sfaccettature e dai risvolti negativi che l’intera società non può e non deve più ignorare. Noi pensiamo che il ricordare gli incidenti mortali sul lavoro, attraverso l’osservazione dei vari monumenti a loro dedicati, sia un modo di condividere il dolore e la tristezza di chi rimane solo. Questa pubblicazione fa parte di un percorso di valorizzazione della memoria per i morti ed incidenti sul lavoro che, l’A.N.M.I.L., ha intrapreso da tempo nella convinzione che il ricordo del sacrificio attraverso i monumenti, sia uno strumento per richiamare l’attenzione della società; valori più che mai attuali e che sono la formazione e l’informazione dei lavoratori. Questo volume è una ricognizione inedita ed interessante dei Monumenti nella Provincia di Varese i quali, in uguale misura, sono a testimonianza del sacrificio umano. La pubblicazione intende quindi conservare, nella memoria delle persone, questi simboli. In particolare i luoghi che una collettività dedica alla commemorazione e alla rappresentazione di eventi che essa ritiene significativi per i membri che la compongono assumono, con il passare degli anni, il valore di documento. Essi sono la testimonianza del modo in cui la società che li ha voluti ha interpretato vite e storie di un passato eletto a portatore di un messaggio legittimato ad entrare nel patrimonio comune della collettività. Nella Convenzione Unesco del 2003 il “patrimonio culturale immateriale” è definito nei termini di rappresentazioni, espressioni, conoscenze, come pure strumenti, oggetti, manufatti e spazi culturali che le comunità e i gruppi riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questi patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi di risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di dignità e di continuità promuovendo, in tal modo, il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Il riconoscimento di tali segni sviluppa il senso e il valore del luogo, nonché la consapevolezza dell’importanza di conservarlo e valorizzarlo attraverso la continua rivitalizzazione della memoria. Una società che commemora tramite cerimonie, rituali, credenze, miti e simboli, far ricordare un evento passato significa riconsegnarlo alla memoria individuale e collettiva. Tradizionalmente, i Monumenti, esaltano il coraggio, la virtù, la grandezza di chi si intende commemorare; oppure onorano, come nel nostro caso, le vittime del lavoro denunciando le mancanze di sicurezze.

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Luigi Morosi è stato il fondatore dell’ ANMIL Provinciale di Varese

Correva l’anno 1947 quando Luigi Morosi, con l’aiuto di alcuni volenterosi mutilati ed invalidi del lavoro, costituì l’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro Provinciale in un locale offerto dal Comune. Nel giro di pochi anni Morosi, col suo entusiasmo, coinvolgeva molte persone e così, con il contributo economico non solo di industriali ed artigiani gallaratesi ma anche dei paesi limitrofi, consentiva la costruzione di una palazzina, insediandosi così, nell’anno 1953, nella sede di via Mons. Sommariva al n° 3 in Gallarate, la quale, fin da allora, é Sede Provinciale di Varese. Tutto questo anche grazie alla partecipazione di mutilati che si adoperarono per la raccolta dei fondi necessari alla costruzione mediante vendita di materiale di cancelleria nelle fabbriche di allora e nei vari negozi . Nella foto sopra il Comm. Luigi Morosi in un suo intervento ad una manifestazione ANMIL degli anni sessanta, mentre sotto la fusione del busto situato nell’atrio della sede.

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Silvio Zanella (1918- 2003). A vent’anni inizia la sua attività pittorica e approfondisce gli studi artistici fino al 1950 presso l’accademia delle Belle Arti a Brera, fonda il Premio Nazionale Arti Visive e realizza incisioni su marmo che raffigurano la Genesi presso il cimitero Monumentale. Esegue le vetrate policrome della Chiesa di Sant’Antonio Abate dedicate alla Santa Eucarestia e la via Crucis in bassorilievo nella chiesa di S. Paolo in Gallarate

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Il lavoro dell’uomo W|Ñ|Çà| ÅâÜtÄ| w| f|Ää|É mtÇxÄÄt xáxzâ|à| ÇxÄÄËtÇÇÉ DLHF ÇxÄÄt W|Ñ|Çà| ÅâÜtÄ| w| f|Ää|É mtÇxÄÄt xáxzâ|à| ÇxÄÄËtÇÇÉ DLHF ÇxÄÄt W|Ñ|Çà| ÅâÜtÄ| w| f|Ää|É mtÇxÄÄt xáxzâ|à| ÇxÄÄËtÇÇÉ DLHF ÇxÄÄt W|Ñ|Çà| ÅâÜtÄ| w| f|Ää|É mtÇxÄÄt xáxzâ|à| ÇxÄÄËtÇÇÉ DLHF ÇxÄÄt

átÄt VÉÇá|Ä|tÜx cÜÉä|Çv|tÄxátÄt VÉÇá|Ä|tÜx cÜÉä|Çv|tÄxátÄt VÉÇá|Ä|tÜx cÜÉä|Çv|tÄxátÄt VÉÇá|Ä|tÜx cÜÉä|Çv|tÄx Silvio Zanella realizza la Civica Galleria d’Arte Moderna dalla quale è stato direttore fino al 1998. Progetta e realizza il museo della tecnica e del lavoro M.V. Augusta. Consulente del centro Sistema Museale per l’arte contemporanea della Regione Lombarda. Si dedica allo sviluppo della Civica Galleria portando il suo patrimonio a 2633 opere inventariate e 11951 volumi della biblioteca specialistica.

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“La poesia è un mezzo per riscoprire i sentimenti nella più genuina dignità, nelle parole si riscontrano la bellezza, l’intelligenza, la forza, l’arte, la sensibilità e l’ispirazione; la poesia è l’espressione dell’anima, una grande volontà ed in essa scaturisce l’amore per la vita; serve per trasferire tutte le emozioni e i sentimenti che una persona come Luciano possiede”.

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Non abitiamo tempi facili. Il progresso avanza

con la civiltà, scopriamo segreti

sempre più inquietanti; tante tragedie sul lavoro

rimane solo il dolore, la pietà. Denominazione comune:

un cimitero di bare da non dimenticare. Noi uomini e donne che portiamo i segni

delle nostre invalidità, estendiamo la nostra voce per un lavoro più sicuro

più dignità che dia all’uomo la sua serenità.

Vedere un cielo azzurro, un mare blu e le acciaierie, i cantieri,

le industrie chimiche e le miniere non si coloran più

del sangue della gioventù.

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Le Morti Bianche

Le “ morti bianche” sono un primato italiano, siamo infatti il paese con più incidenti e che mantiene il trend negativo relativo alle morti sul lavoro. Oggi, altre persone moriranno sul lavoro; si chiamano operai e lavorano a Torino, a Brescia, a Venezia, a Bergamo a Palermo a Bologna ecc.. Le chiamano “morti bianche” perché sono coinvolte persone innocenti, sono perdite che si considerano dovute alla casualità, alla fatalità, alla sfortuna; vengono chiamate “morti bianche” per farle sembrare candide, immacolate, innocenti, ma per i loro famigliari in lacrime hanno sicuramente un altro colore perché, dietro una morte bianca c’è spesso cinismo e mancanza di responsabilità. L’operaio caduto da un tetto, colpito da una barra di acciaio caduta accidentalmente, schiacciato da un trattore in movimento, investito da uno scoppio di un tubo d’alta pressione oppure soffocato dalle inalazioni di sostanze tossiche mentre puliva una vasca ecc.. Onore ai morti sul lavoro, solidarietà alle famiglie che, elaborato il lutto, si troveranno ad iniziare l’altra guerra cioè quella per vedersi riconosciuto il sacrificio del proprio congiunto, battaglia che molto spesso perderanno. Nel corso degli ultimi anni e, in particolare in quello che stiamo vivendo, l’economia mondiale ha subìto ampi e profondi cambiamenti, frutto in particolare della globalizzazione, della crescente trasferibilità di fattori produttivi quali i lavori, il capitale e le tecnologie che, di fatto, hanno cambiato il modo di concepire il lavoro stesso. Tre morti al giorno, quasi ottocentomila gli infortunati all’anno, questa è la media italiana per quanto riguarda le morti e gli incidenti sul lavoro. Questi sono i dati diramati dall’I.N.A.I.L., stando alle denuncie effettuate ma i numeri sarebbero ancora più terrificanti se si potessero certificare anche tutti i lavoratori morti o infortunati ma mai denunciati; basti pensare a tutti i lavoratori assunti da sfruttatori senza scrupoli, senza alcun diritto, nemmeno quello di andare in ospedale, pur di coprire il loro sfruttatore. Un essere umano esce di casa per andare al lavoro per sostenere se stesso e la propria famiglia. La sera dovrebbe farvi ritorno sano e salvo. Questa dovrebbe essere la norma, ma spesso non è così. L’uomo in quanto tale aspira a vivere per godersi le stagioni della vita. La primavera, l’età giovane e spensierata colma di gioia. L’estate, l’età matura con la voglia di fare e di creare. L’autunno, l’età della saggezza: tutte le cose vengono ponderate e riflettute. L’inverno, l’età della vecchiaia: la chiusura della nostra vita. Diverse età a cui tutti vorrebbero partecipare, vivere, dialogare, contattare, fino al momento in cui un incidente ci cambia la vita: ecco che allora le stagioni della vita vengono rivoluzionate, trasformate o addirittura si interrompono. Oggi più che mai gli avvenimenti vanno pubblicizzati attraverso la stampa, che è il motore della libertà. Senza la libertà effettiva della circolazione delle idee vivremmo in una situazione di dittatura dolce in cui i plebisciti dei cittadini sarebbero influenzati decisamente dal loro grado di percezione dei problemi. E’ questo il senso della battaglia che l’A.N.M.I.L., con l’aiuto della Stampa, combatte e su cui talvolta l’ opinione pubblica appare distratta e non coglie il dramma degli incidenti sul lavoro.

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Amianto: le morti silenziose Morti silenziose perché le persone morte sono state uccise senza possibilità di scampo. Perché colpite da Asbestosi, Mesotelioma, e Carcinoma Polmonare. E il killer si chiama amianto: la Lana della Salamandra, come la chiamavano i greci. Un anno, due anni e, dopo atroci sofferenze: la morte. Cosa avevano fatto queste persone per meritarsi queste sofferenze: erano lavoratori in fabbriche dove si produceva o si usava l’amianto. Così operai che lavoravano nei forni delle acciaierie, in cementifici, fonderie, vetrerie, ecc… così da Casale ai cantieri di Monfalcone, a Bagnoli, a Piolo vicino Siracusa ecc… ……Una strage silenziosa: perché da anni tutti sapevano, ma nessuno ne parlava fuori dell’azienda: nessuna inchiesta giornalistica. Patologie amianto-correlate. La respirazione di fibre di asbesto può causare malattie diverse, tutte comunque caratterizzate da un lungo intervallo di tempo fra l’inizio dell’esposizione e la comparsa della malattia; il rischio della salute è direttamente legato alla quantità e al tipo di fibre inalate, alla loro stabilità chimica e ad una predisposizione individuale a sviluppare la malattia. Asbestosi è una malattia respiratoria cronica caratterizzata dalla comparsa di fibrosi polmonare con progressiva riduzione degli scambi respiratori a livello della membrana alveolo capillare per aumento di spessore del piccolo interstizio. E’ una tipica malattia professionale; la quantità di asbesto che rimane nei polmoni dipende, come già detto, dalle caratteristiche delle fibre inalate ma anche dall’intensità e dalla durata. L’asbestosi è pertanto una malattia in cui esiste una stretta relazione fra la quantità di asbesto inalato e la “risposta” dell’organismo; il tempo di latenza è, come già detto, solitamente di molti anni. Il Mesotelioma è un tumore maligno e attualmente la sua incidenza sta sensibilmente aumentando. L’esistenza di mesoteliomi in persone residenti intorno a miniere di asbesto o in familiari di lavoratori dell’amianto mostra che possono essere pericolose anche esposizioni a basse concentrazioni di asbesto protrattesi per molti anni. In questi ultimi anni si è osservato un drammatico incremento di questa malattia Molto spesso il mesotelioma viene diagnosticato quando la malattia è in fase avanzata. Carcinoma polmonare, rappresenta la prima causa di morte per tumore nell’uomo e nella donna. Le cause principali delle morti per tumore sono il fumo da sigaretta, fattori ambientali (tra cui sicuramente l’amianto), insieme a radiazioni ionizzanti, inquinamento ambientale ecc.. I sintomi legati al tumore del polmone possono essere i più svariati e sono secondari alla sede del tumore stesso, alla sua crescita all’interno del torace e alla possibilità di dare metastasi, ossia disseminazione di cellule nei vari organi e tessuti. In genere l’inizio di questa malattia è piuttosto subdolo, caratterizzato da tosse insistente con escreato a volte con striature di sangue, rialzo di febbrile, dispnea, astenia. L’amianto è un insieme di minerali del gruppo dei silicati.

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In natura l’amianto (che in greco significa “perpetuo ed inestinguibile”) è un materiale molto comune: la sua resistenza al calore e la sua struttura fibrosa lo rendono adatto come materiale per indumenti e tessuti da arredamento a prova di fuoco, ma la sua ormai accertata nocività per la salute ha portato a vietarne l’uso in molti Paesi. Le polveri di amianto, respirate, provocano infatti l’asbestosi nonché tumori della pleura, ovvero il mesotelioma pleurico e dei bronchi, ed il carcinoma polmonare. Una fibra di amianto è 1300 volte più sottile di un capello umano. Non esiste una soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di amianto nell’aria non sia pericolosa; teoricamente l’inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali, tuttavia un’esposizione prolungata nel tempo o ad elevate quantità aumenta esponenzialmente le probabilità di contrarle. L’amianto è stato utilizzato per produrre la miscela cemento-amianto ( il cui nome commerciale era Eternit) per la copertura di edifici, tetti, navi (ad esempio le portaerei), treni. Come materiale per l’edilizia (tegole, pavimenti, vernici, canne fumarie), nelle tute dei vigili del fuoco, nelle auto, ma anche per la fabbricazione di corde, plastica e cartoni. Inoltre, la polvere di amianto è stata largamente utilizzata come coadiuvante nelle filtrazione dei vini. La prima nazione al mondo a riconoscere la natura cancerogena dell’amianto e a prevedere un risarcimento per i lavoratori danneggiati fu la Germania nazista nel 1943 a seguito di pionieristici studi medici, anche questi primi nel mondo, che dimostrarono il rapporto diretto tra utilizzo di amianto e tumori. Una minaccia nascosta, ma non per questo meno concreta per il lavoratore direttamente esposto e per le rispettive famiglie, famiglie che, il più delle volte, presentano il conto a distanza di anni. Oggi le vittime dell’amianto sono oltre 3.000 l’anno, ma il bilancio è destinato a salire drasticamente nei prossimi decenni. I percepiti casi derivano da malattie relative ad anni recenti, ma siamo convinti che questa non è l’effettiva e definitiva dimensione del fenomeno. Le previsioni a medio e lungo periodo potrebbero essere superiori, proprio in considerazione delle caratteristiche di latenza di alcune patologie che possono portare alla morte anche dopo molti anni dall’esposizione, dalla contrazione o dalla manifestazione della malattia. Stando a quanto riferiscono medici esperti del settore il picco di questa malattia dovrebbe arrivare fra il 2015 e il 2020. “ Complice è la vita che accresce la comprensione, la sua fitta tela intrappola lentamente la preda in un dedalo di avvicendamenti sino a rendere sofferenza il suo esistere. Solo quando il cuore dell’uomo è stretto nella morsa del dolore, cerca la libertà. La sofferenza accende la ricerca, e la ricerca conduce alla verità.”

Cleonice Parisi

Scrittrice Italiana

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Una storia come tante Lavoro e fatica sono da sempre sinonimi ma, che lo debbano essere lavoro e dolore, lavoro e morte, appartiene più allo schiavismo che all’era dei diritti: eppure è realtà, da sempre. Luciano, attualmente consigliere ANMIL, è stato operaio, “fornellista”, uno specialista del lavoro sui forni industriali, posa, manutenzione, demolizione di strutture indispensabili in una varietà di differenti settori in cui ha lavorato per decenni, negli anni della grande fede nel futuro e nel progresso, della crescita dell’Italia da nazione povera a Paese fra i più ricchi al mondo, da cenerentola a protagonista orgogliosa. Il prezzo è stato alto e tanti colleghi di Luciano, già non ci sono più. Li ha colpiti la silicosi, il mesotelioma pleurico e tanti altri mali meno immediatamente identificabili e collegabili con sostanze tossiche e irritanti del sistema respiratorio. La sua storia é ormai un po’ rara, non sono in tanti a poterla raccontare e parliamo di forni refrattari; oggi non si usa più l’amianto, bandito dal 1992, ma la fibroceramica (a sua volta non priva di rischi per la salute). Raffinerie, cementifici, acciaierie, inceneritori: ovunque ci fosse un forno da installare, riparare, demolire e ricostruire, Luciano ed i suoi colleghi c’erano; fin dal 1954 ha lavorato in questo settore. Nel 1980 la conferma della malattia professionale; poco più che quarantenne, soffre di dispnea, difficoltà di respiro, fiato corto pur non avendo mai fumato in vita sua; la diagnosi: “Silicosi puntiforme ad entrambi i polmoni”. Da allora, metà della vita in cura e sotto controllo medico; corticosteroidi, antibiotici, inalatori, spirometrie, radiografie. Una storia come tante: quella delle malattie professionali è una galassia a parte. Ogni anno in Italia mille morti per incidenti sul lavoro e tremila per malattia professionale. Non sono pochi, considerando che sono solo i casi riconosciuti. Generazioni di lavoratori si sono impegnate senza esatta cognizione del pericolo. Lavoravano di buona lena, con soddisfazione, perché venivano trasferiti da una località all’altra, ricevevano una buona paga; nessuno sapeva cosa fosse in realtà e che male facesse il mesotelioma pleurico. Questa malattia riduce i polmoni ad un pugno, è terribile. Una vita in giro là dove necessitava il suo lavoro; “uno degli ultimi lavori l’ho fatto a Bangkok in Thailandia, nei primi anni novanta, forni a induzione” dice Luciano e, nei decenni successivi, le raffinerie di Pero, Sannazzaro de’ Burgondi, Taranto; inceneritori come a Milano o sulle colline di Riccione, acciaierie, impressionanti cattedrali del lavoro industriale come la Breda di Sesto San Giovanni, forni di tutti i tipi e, quasi sempre, della polvere di silice, come quando si usavano ancora i dischi abrasivi per tagliare, si inalava amianto quel materiale che sembrava utilissimo, costava poco, si usava ovunque, ( quando si tagliavano i cartoni per foderare i forni, la polvere volava e così quando si posavano le lastre: “candide come antiche vestali romane”.

Ma non sapevano che, solo un centimetro di amianto tagliato, rilascia qualcosa come trentaseimila fibre. Alcune persone del suo gruppo hanno cominciato ad ammalarsi e morire, alcuni ancora giovani, poi man mano tanti altri ci hanno lasciato. Persone che non sono più tra noi, “anche del mio paese, tra cui mio cugino” dice ancora Luciano. E non tutte le malattie professionali sono state riconosciute, perché l’amianto non attacca solo i polmoni, ma anche il fegato e l’intestino.

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Giravano le grosse mole giravano giorno e notte nella fabbrica

di Casale Monferrato: Amianto, cemento,

lastre d’eternit. Polvere bianca sulla pelle

sui nostri poveri vestiti sui bronchi e sui polmoni

un paesaggio lunare. I figli crescevano

tra quella bianca polvere i sogni infranti

di una vecchiaia sicura le tendine coi fiori

il tuo regalo sono ancora nel cassetto.

La bella favola svanita d’incanto.

Centinaia, centinaia di vittime a Casale Monferrato

per quel killer silenzioso che era l’amianto.

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Nel cimitero di Angera, la targa A.n.m.i.l. è stata collocata su un

cippo il 21-6-92, dove vengono ricordate le dieci persone perite in

quel tragico 27 luglio del 1935 a Taino in seguito allo scoppio della

polveriera.

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Caduti sul lavoro Con il termine “caduti sul lavoro” vengono ricordate tutte quelle persone decedute a causa di incidenti sul posto di lavoro. Questi lavoratori vengono spesso citati, con questo termine, anche nelle strade e nelle piazze d’Italia a loro dedicate. All’interno del movimento operaio italiano, a partire dagli anni sessanta, si è diffuso il termine omicidi del lavoro per indicare con nettezza le responsabilità dirette dei sistemi di produzione delle economie industrializzate rispetto alle scarse condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro, causa diretta di migliaia di morti che si verificano ogni anno nel mondo, specialmente nel settore edilizio, nelle miniere e nel settore siderurgico. Negli ultimi anni, sulla stampa e all’interno del movimento dei lavoratori, per definire il fenomeno é stato utilizzato anche il termine “morti bianche”, dove l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente. Varie statistiche, a cura di prestigiosi istituti internazionali, sono volte a determinare il numero di incidenti mortali e non mortali, le malattie professionali legati all’attività lavorativa. Scorrendo le statistiche è possibile fornire alcuni numeri, che in genere si suddividono per le seguenti quattro categorie: incidenti mortali, incidenti con danni permanenti, incidenti con danni temporanei e malattie professionali. Gli incidenti con danni permanenti sono quelli che comportano mutilazioni o simili e danni alla salute che non sono mai guaribili completamente; in sintesi, nel dopoguerra, si sono avuti in Italia, circa 30.000 infortuni l’anno con danni permanenti. Gli infortuni con danni permanenti si sono progressivamente ridotti fino al minimo di circa 20.000 infortuni l’anno registrati negli anni 80, successivamente però il numero ha ripreso a crescere e negli ultimi 10 anni sono aumentati ad oltre 30.000 infortuni all’anno in Italia. Incidenti con danni temporanei, sono infortuni meno gravi, solitamente guaribili in un periodo di tempo variabile da alcuni giorni ad alcuni mesi. I dati statistici qui sotto riportati sono stati diramati dall’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro). L’ordine di grandezza è di circa 270 milioni di incidenti l’anno nel mondo. I casi di malattie professionali sono, nel mondo, circa 160 milioni ogni anno. La statistica delle malattie temporanee è piuttosto aleatoria, in quanto i criteri di controllo sanitario e di monitoraggio variano nel corso del tempo. Nel settore agricolo, che riguarda la metà della forza lavoro mondiale, l’impiego di pesticidi è responsabile di 70 mila morti per avvelenamento ogni anno e di 7 milioni di casi di malattie acute e croniche. In media nel mondo circa 6.000 persone muoiono ogni giorno a seguito di incidenti o malattie professionali per un totale di oltre 2 milioni e duecentomila decessi all’anno. Di questi, circa 350.000 decessi sono causati da incidenti sul lavoro, 1 milione e settecentomila da malattie professionali e 158.000 da infortuni in itinere.

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Lavoro, fatica e benessere

Comunemente si dice, si lavora per vivere dignitosamente e, con il lavoro si cerca di raggiungere alcuni appagamenti esistenziale così, grazie al lavoro, troviamo il benessere ed anche alcune soddisfazioni. Lavoro, fatica e benessere sono in realtà ben intrecciati tra loro perché il lavoro è soprattutto fatica e sofferenza, mentre il benessere dipende solo da noi. Se il lavoro viene svolto senza armonia né gioia, ma solo esclusivamente al fine di procacciarsi del denaro, sicuramente risulterà frustante , mentre la fatica aumenterà in modo esponenziale. Con il lavoro, ci procuriamo denaro che ci permette di vivere, ma quanta fatica bisogna fare per raggiungere tale obiettivo, ancora più difficile é trovare benessere e soddisfazioni. In una situazione simile, il lavoro risulterà doppiamente faticoso, se forse lo vedessimo da un altro punto di vista, anche apprezzandolo solo un po’, risulterebbe sicuramente meno faticoso. Quando lavoriamo, non produciamo solo beni e servizi, ma produciamo noi stessi, diamo forma ad un pezzo assai significativo della nostra e dell’altrui esistenza. Ma per ottenere qualcosa la fatica e il sacrificio sono indispensabili, solo così possiamo conseguire un lavoro al meglio ed essere soddisfatti apprezzando ancora di più ciò che abbiamo fatto. Questo non accade solo nel mondo del lavoro ma ad esempio, nello sport: infatti per poter raggiungere un determinato obiettivo, bisogna allenarsi, lavorare con dedizione ed impegno percorrendo molti sacrifici e rinunce; solo così alla fine potremo essere soddisfatti dei propri risultati. Importante nel lavoro, come nella vita, è il sapersi organizzare: lavorare con saggezza, essere motivati, coinvolgere altre persone, condividere esperienze, raggiungere obiettivi, trasformando in gioia quel lavoro, si raggiungerà sia il benessere economico ma, soprattutto, quello salutare per noi stessi, pertanto il ritrovarsi in sintonia con una qualità di lavoro e con un ambiente armonioso saremo senz’altro influenzati positivamente ottenendo un ottimale rendimento. Di conseguenza il lavoro, la fatica sono cose che tutti dobbiamo affrontare nel corso della vita mentre, per trovare benessere e “felicità” occorrono molti sacrifici ed a volte essi non bastano.

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La felicità è benefica al corpo, ma è il dolore quello che sviluppa le facoltà

dello spirito.

Marcel Proust

Scrittore francese

Monumento A.n.m.i.l. ad Arsago Seprio

Collocato il 1° Ottobre 1995

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Mobbing Il Mobbing è, nel significato più comune in Italia, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracismo, ecc.) compiuti da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale nonché della salute psicologica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi ma, nell’insieme, producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza. Il Mobbing sul lavoro è spesso un comportamento con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento che potrebbe causare imbarazzo all’azienda; oppure a causa di ritorsioni a seguito di comportamenti non condivisi o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali e illegali. Per parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve durare più di sei mesi e deve essere funzionale all’espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie: disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post- traumatico da stress ad andamento cronico. Si distingue, nella prassi, fra mobbing gerarchico e mobbing ambientale; nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente dell’ordinaria collaborazione, dell’usuale dialogo e del rispetto. La prima persona a parlare di mobbing, quale condizione di persecuzione psicologica nell’ambiente di lavoro, è stato, alla fine degli anni ottanta, lo psicologo svedese Heinz Leymann che lo definiva come una comunicazione ostile e un’etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo, progressivamente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa. Secondo L’I.N.A.I.L. che, primo in Italia, ha definito il mobbing lavorativo qualificandolo come costrittività organizzativa, le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dall’attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi o l’assegnazione di quelli dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici. E’ chiaro che il mobbing non è una malattia, ma rappresenta il termine per indicare la complessiva attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro (pubblico o privato, solo o in combutta) per demansionare il lavoratore, isolarlo e obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni. In Italia, le tutele al licenziamento o trasferimento in altre sedi dei lavoratori sono maggiori che in altri Paesi ed è abbastanza diffusa la pratica di ricorso al mobbing per indurre nel lavoratore le dimissioni laddove il licenziamento è possibile solo per giusta causa (art. 18 dello Statuto dei Lavoratori).

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Invalidità permanente L’invalidità permanente è una forma molto grave di danno fisico causato da un infortunio sul lavoro. Affinché un danno possa essere configurato come invalidità permanente, deve essere irrimediabile e condizionare per sempre la vita dell’infortunato. Nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute, menomazioni, perdita di normalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica, il danno viene configurato come invalidità permanente, irrimediabile e condiziona la vita dell’infortunato. Oggi la cultura dell’immagine sta conquistando tutti: dai cartelloni pubblicitari e di poco gusto, alla posta elettronica che ci invade di messaggi non voluti, alla playstation per i ragazzi che fa vivere emozioni in solitudine in una realtà fittizia; ora conta più l’apparire che l’essere, c’è il culto ossessivo del proprio aspetto. Una maggiore attenzione ai disabili o, comunque ai meno “ perfetti”, é un valore aggiunto. La menomazione è una perdita o mancanza di funzionalità nel corpo o a livello intellettivo. Il termine disabilità a volte, viene sostituito da: diversa abilità, diversamente abile. E’ giusto ed indica già uno sviluppo di questo tema: quale rapporto? Il rapporto è alla ricerca del superamento dell’immagine che blocca, serve invece scoprire e valorizzare qualcosa.. Chi ha una menomazione, deve considerare la propria vita in termini diversi da chi non ce l’ha. Ma la diversità non sta nel negare uguali aspirazioni, uguali bisogni, sta nel capire che occorre un percorso diverso. La menomazione fisica permanente è dolorosissima in quanto la maggiore quantità degli incidenti sul lavoro avvengono in età giovanile, questi lavoratori possono avere delle difficoltà a relazionarsi, a trovare una donna che accetti il suo handicap, può essere di non facile soluzione. Così avviene un dramma nel dramma: delusione, mortificazione, mancanza di affetto sincero, tutto questo porta a colui che ha subito un danno permanente a chiudersi in sé stesso con conseguenze dolorose per sé con risvolti a volte drammatici. Questa è una condizione indotta nei disabili. La nostra é una società che ha strutture violente anche quando la violenza non si esprime con delle azioni in forma diretta: è una violenza sottile che induce il disabile a chiudersi nella propria condizione di diversamente abile. E quindi questo primo punto va rivolto direttamente a coloro che sono infortunati perché acquisiscano una conoscenza delle difficoltà che incontrano nel rapporto con la propria condizione. Nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute si intende per disabilità qualsiasi limitazione o perdita (conseguente all’infortunio) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. Nel 1980 l’organizzazione Mondiale della Sanità O.M.S. propone una classificazione generale e ci suggerisce che: “l’handicap è la conseguenza del deficit e non il deficit stesso”.

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E’ proprio vero che la maggior parte dei mali che capitano all’uomo sono cagionati dall’uomo

Plinio il Vecchio

Scrittore Romano

Monumento A.n.m.i.l. a Besnate

Collocato il 10 ottobre 1993

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Il dolore: l’unica esperienza universale

Alcuni Monumenti sono bellissimi, sicuramente da ammirare per la loro architettura, per la cromaticità, per l’eleganza di forme, per la loro plasticità ecc. La posizione in cui vengono installati é principalmente al centro di una piazza, ai lati di un crocevia, per far sì che tutte le persone che passano davanti possano ammirare il monumento stesso che, generalmente, rappresenta una vittoria, un trionfo, una conquista; esso non è altro che un elogio ai vincitori, meritato “premio” per chi ha combattuto. Le guerre, le battaglie ed i conflitti, sono sempre state fatte dall’uomo per conquistare qualche cosa, sottomettere al proprio volere nazioni, città conquistando immensi territori solo per la bramosia di possedere sempre di più ed arricchirsi appropriandosi di tutto ciò che appartiene ad altri esseri umani. E’ insito nell’uomo il desiderio di conquista e, per fare questo, è disposto a combattere per ottenerlo, sapendo di rischiare la propria vita. La storia dell’umanità è la storia della conquista e della dominazione dell’uomo sull’uomo. Quando il primo uomo primitivo ha controllato e dominato, attraverso la forza, un altro uomo, stava stabilendo il principio del dominio dell’uomo sull’uomo che ha retto lo sviluppo di tutte le società imperialiste delle diverse civiltà e che hanno segnato l’evoluzione ed il tracciato conosciute fino ad oggi. La ricerca del controllo e del dominio, a sua volta, definiscono il carattere imperialista delle diverse civiltà che hanno segnato l’evoluzione ed il tracciato della storia dell’umanità a partire dal dominio egemonico. Le diverse civiltà, nel corso della storia, non sono state un prodotto della libera creazione dello spirito e della mente umana ma strategie emergenti e politiche orientate alla conquista delle classi più potenti sulle classi più deboli della popolazione umana. Le guerre, l’uso del controllo militare e la capacità di distruzione, furono il fattore primario che ha reso possibile ad un gruppo ridotto di persone, per mezzo della conquista, di imporre la loro volontà sulla maggioranza obbligandola al loro volere, alla sottomissione, alla servitù ed alla schiavitù, con la sofferenza, l’ingiustizia sociale, la miseria, la droga, le guerre e lo sfruttamento del terzo mondo da parte dei paesi industrializzati…. Ora possiamo osservare una similitudine di fatti concomitanti: le morti sul lavoro. Quante morti avvengono sul lavoro o per cause di lavoro! Sono molte le persone che muoiono per malattie professionali, in candidi letti di ospedali, dopo aver smesso di lavorare da alcuni anni e nonostante si abbiano a disposizione tutti i mezzi tecnologici! Milioni di persone perdono la vita per il lavoro, come dichiarato dall’Istituto Internazionale del Lavoro, con Sede a Ginevra. Ragazzi o addirittura bambini, vengono sfruttati in tutto il mondo per arricchire altre persone. Così, per guadagnarsi un pezzo di pane per la sopravvivenza, questi ragazzi perdono la vita o si infortunano, dopo aver speso tutte le loro forze in settori lavorativi di scarsa professionalità, senza imparare un mestiere, solo una piccola parte lavora nell’artigianato, indirizzo che consente l’apprendimento di un lavoro. Questi giovani non rilasceranno più un sorriso, i loro occhi non brilleranno di luce, non illumineranno i loro famigliari con la loro gioia, la loro spensieratezza e, dopo l’incidente sul lavoro, i loro famigliari saranno immersi nella più profonda tristezza e dai loro occhi scenderanno solo lacrime di dolore...; come i giovani che venivano spediti al fronte a combattere per un nobile scopo: quello della libertà (prima guerra mondiale), ma senza una specifica preparazione per quello che avrebbero incontrato, i rischi che comportavano le battaglie...; così oggi milioni di ragazzi vengono inviati al lavoro, soprattutto nei cantieri, senza una adeguata preparazione specifica, con un risultato che, dopo l’immancabile incidente, molte persone cadono in un profondo dolore, quello che non si aspetta.

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Tutto questo urta violentemente con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che, in perfetta sintonia con la Costituzione Italiana, considera il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti: “uguali ed inalienabili” e che costituisce il fondamento della libertà, della pace e della giustizia nel mondo. Sono questi i fondamenti dell’ordine Costituzionale e della Civiltà del Diritto. Il dolore appartiene a quella stretta di esperienze che, da sempre, appassionano ed inquietano il pensiero umano. L’esperienza del dolore appare per molti versi incomprensibile, inaccettabile, ingiusta. Posto di fronte al terribile potere distruttivo del dolore, ognuno di noi si è chiesto almeno una volta che cosa siano e a cosa servano, a cosa mai possono servire il dolore e la sofferenza fisica. Il dolore può affliggerci e tormentarci senza lasciarci tregua, influenzando significativamente i nostri pensieri e le nostre attività e, talvolta, annullandoci ed assorbendoci completamente, rappresentando una esperienza totalizzante e terribile. Paradossalmente, in alcuni casi e in alcune forme, esso rappresenta per il suo valore difensivo ed adottivo, qualcosa di assolutamente necessario per la sopravvivenza e per la vita. Qual’è allora, il significato del dolore e quale funzione assolve? Come può e come deve essere trattato? Quali le migliori strategie terapeutiche grazie alle quali la Psicologia oggi può affiancarsi ed integrarsi alla Medicina nella terapia del dolore? Il dolore fisico passato il momento, se ne va. Per dimostrare questo fatto i ricercatori hanno cercato di osservare quanto le persone soffrivano realmente per delle parole o dei gesti, ottenendo che il rivissuto del dolore fisico era lieve, mentre quello psicologico no per cui, le offese si ricordano in modo profondo e riaffiorano su stimolazione, mentre il dolore fisico è ormai scomparso. Viviamo nel tempo, nella limitatezza del tempo, il presente non lo viviamo, sempre vogliamo attraversarlo per arrivare con le nostre speranze, i nostri sogni, oppure ritorniamo al passato con i suoi bei ricordi. Esasperiamo il presente e rimane la nostra visione verso il futuro: forse domani ci porterà qualcosa di buono? Allora ci chiediamo se tutta questa sofferenza ha un senso, forse serve a qualcosa? Tutto questo può essere di aiuto nella nostra crescita personale? Oppure è una sofferenza inutile, che sarebbe più giusto dimenticare, ignorare al più presto? E’ qualcosa che facilita o al contrario, rende più difficile l’elaborazione del lutto? E quali ripercussioni ha la nostra salute mentale? Una delle esperienze della vita umana è il dolore: é l’unica esperienza veramente universale! Ogni essere ha il suo inizio e la sua fine, nascita e morte! Siamo costretti a vivere, noi non scegliamo di essere, né si sceglie di non essere: non siamo arbitri della nostra vita. L’uomo non ha tratto nessun insegnamento dal passato e, ancora oggi, lotta intensamente per un maggiore possesso di beni materiali. L’uomo non ha tempo di pensare che il bene più prezioso è la vita e, per la vita, non si fanno né guerre né lavori forzati: essa ci é stata donata gratuitamente. Niente più del dolore fa crescere e insegna a gustare ogni attimo di quel dono grandioso che è la vita.

Laura Tangorra Insegnante e Scrittrice Italiana

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Il ricordo della felicità non è più felicità, il ricordo del dolore è ancora dolore

George Gordon Byron

Poeta Inglese

Monumento ai morti sul lavoro a Busto Arsizio

Collocato nell’anno 1985 in piazza Galimberti

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Speranze spezzate L’agenzia immobiliare presso cui mi ero rivolto per affittare il mio appartamento, mi chiama e mi avvisa che ha una persona interessata all’abitazione. Rimango sorpreso quando vedo che la persona interessata all’appartamento è un extracomunitario, molto giovane e di bella presenza; (doveva essere in Italia da un po’ di tempo perché capiva l’italiano mentre, con fatica, parlava la nostra lingua). Da subito ne ricevo una buona impressione e non avendo nessun pregiudizio in merito alla sua provenienza, accetto di cedergli l’appartamento. Firmo il contratto di locazione valido per un anno; il tempo che gli serviva per svolgere il suo lavoro nella nostra zona e che aveva in programma per quel periodo. Ogni mese ci incontriamo per il pagamento dell’affitto: é l’occasione per parlare del suo lavoro e le speranze per il suo futuro: piano piano capisco la forza di volontà e la tenacità che egli possiede. Dopo poco tempo il primo intoppo: il suo datore di lavoro fallisce e quindi rimane senza lavoro e senza soldi. Prima di arrivare in Italia Yoossef (nome di fantasia) era stato un po’ di anni in Germania e, durante quel periodo, frequentava scuole di specializzazione, imparava molto bene l’uso del computer con l’acquisizione di nozioni e l’interpretazione dei disegni tecnici di costruzione diventando un esperto imprenditore. Conosce bene questo lavoro e, dopo poco tempo, trova una grossa ditta immobiliare che costruisce grossi complessi residenziali: gli viene affidato parecchio lavoro. Così, col passare del tempo ed entrando in confidenza con lui, un giorno mi confida che, per rispettare la scelta dei suoi genitori, deve sposare una ragazza del suo paese d’origine. Approfitta quindi del periodo invernale, periodo di chiusura dei cantieri, e torna nel suo Paese d’origine, dove conosce e sposa una ragazza che già frequentava. Purtroppo, a causa della burocrazia per l’espatrio, deve aspettare qualche mese prima che la moglie possa raggiungerlo qui in Italia. Yoossef, da alcuni anni in Germania e adesso in Italia, ha imparato a vivere all’occidentale, ormai si é integrato alla nostra cultura, anche se rispetta e segue i vari riti di preghiere Musulmani. Un matrimonio si basa essenzialmente tra l’amore di due persone che si vogliono bene e che condividono tutto della vita; i matrimoni combinati non sempre possono durare e così dopo pochi mesi di matrimonio, la moglie ritorna al suo Paese. Entrambi chiedono il divorzio e questa pratica dura qualche anno; nel frattempo però Yoossef conosce una ragazza occidentale che da diversi anni vive in Italia e che fa la babysitter; le due persone si frequentano nei fine settimana. Lui va a prenderla il venerdì sera e la riporta al suo servizio la domenica sera. Quando mi capitava di incontrarlo, lo vedevo disteso e felice, sempre sorridente. Capivo che era un ragazzo che non si abbatteva mai, era sempre fiducioso e generoso al tempo stesso. Il suo ingegno imprenditoriale lo porta a comprare un furgoncino per portare nei cantieri i suoi dipendenti riportandoli poi a casa al termine della giornata così da non perdere tempo prezioso. Con la sua compagna le cose vanno molto bene, due persone mature che arrivavano da esperienze negative, i sentimenti si saldano nella vita con i problemi di ogni giorno. Ai primi di aprile dell’anno 2008 decidono di acquistare una casa singola che necessita di ristrutturazione, ma queste cose non spaventano Yoossef; penserà lui alla sistemazione senza troppa fatica. Fatalità vuole che, dopo qualche giorno, Yoossef, al lavoro con i suoi dipendenti presso un edificio in costruzione, uscendo nel cortile dell’edificio viene investito da un contenitore appeso ad una gru

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alta circa 20 metri. Il contenitore si stacca e, cadendo, colpisce violentemente la nuca di Yoossef. Tutti accorrono: purtroppo Yoossef è lì, per terra immobile per sempre. Tutti i sogni si sono spezzati. Dopo le prime delusioni matrimoniali, la rinascita, la ricostruzione di una vita dignitosa con la persona amata, ecco il destino più crudele che ha coinvolto più persone spezzando le loro speranze. Nei giorni seguenti, mentre i suoi resti venivano trasportati nel suo paese d’origine, io ritiravo la sua posta che regolarmente gli arrivava. In una grossa busta era inserito il diploma conseguito per avere frequentato il corso di formazione sulla sicurezza sul lavoro, in quel momento sentii un forte colpo al mio stomaco. Sebbene ci colpiscono ogni giorno immagini e notizie di disgrazie e di tragici infortuni sul lavoro, nella nostra società persiste un disagio di fondo nell’affrontare il tema della morte e della sofferenza che esso provoca. La morte in particolare viene subito archiviata, tranne nei casi più eclatanti ingigantiti dai media per poi essere occultata, trasformata in un fatto privato, come la morte nei letti di ospedali riguardanti le malattie professionali, da affrontare nell’intimità, nascondendo ogni manifestazione di emotività e dolore. Ma come la lezione freudiana ha insegnato, una volta repressi, i vissuti dolorosi tendono a ripresentarsi sotto altre forme e il materiale rimosso spesso ritorna deformato e può complicare notevolmente l’elaborazione del lutto. Quando viene a mancare una persona cara soffriamo intensamente a volte per settimane, mesi o anni.

Una sedia vuota, le speranze si sono spezzate

Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria

Dante Alighieri Il Sommo Poeta

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Se è vero che ci si abitua al dolore, come mai con l’andar degli anni si

soffre sempre di più?

Cesare Pavese

Scrittore e Poeta Italiano

Monumento A.n.m.i.l. a Caronno Pertusella

Collocato l’8 ottobre 2003

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Amore, forza e volontà

Credere nella riabilitazione nella ripresa di una vita piena ed attiva. La fiducia, la gioia, l’amore che dà la famiglia sono determinanti, l’uomo è abituato a pianificare tutto: amore, matrimonio, figli, carriera. Tutto tranne gli incidenti sul lavoro, a volte mortali. Non pensiamo, non vogliamo pensare, ci sono uomini che sono convinti di essere eterni. Queste persone parlano sempre al futuro: faremo, amplieremo, costruiremo, anche se molto anziane. Evidentemente significa che non è nella natura umana pensare ad un incidente anche se può provocare disabilità. Nell’incidente, la persona perde l’uso delle gambe, delle braccia, delle mani, diventa quasi cieco, quasi muto, non cammina, non stringe la mano in segno di saluto, non può scrivere il suo nome, leggere, ecc… Bisogna però, a questo punto, tenere conto di quello che è rimasto intatto e che, con la forza, la volontà, la riabilitazione, la fede, la memoria, l’intelligenza, si ha la speranza di una ripresa. In fondo al tunnel si trova la luce, quella luce che salva e, che con l’affetto dei famigliari e l’amicizia dei veri amici si ritrova la volontà di vivere. Migliaia di persone, infatti, trovano la gioia di vivere dopo incidenti paurosi, moltissimi giovani trovano la gioia di partecipare a gare sportive in varie discipline con la loro “diversità”. Queste persone erano in coma, considerate spacciate, sembravano larve ma, con forza indescrivibile di amore, forza e volontà sono tornate a vivere. Queste persone che hanno subìto un incidente grave devono essere accudite in tutte le loro funzioni, perciò hanno bisogno di assistenza, di riabilitazione continua con contenuti tecnologici, ma occorre, in aggiunta alla loro forza di volontà, l’amore della famiglia la quale ha un basso costo economico, ma sicuramente un alto contenuto umano. L’Unione Europea ha ufficialmente ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Firmato lo scorso 23 dicembre 2010. Grande soddisfazione è stata espressa dallo European disability forum, che sottolinea, come per la prima volta in assoluto, l’UE nel suo insieme divenga parte contraente di un trattato generale sui diritti umani: una ratifica destinata a migliorare la vita di milioni di persone.

2003 Anno Europeo delle persone diversamente abili. Le poste italiane emettono il 14 febbraio un francobollo celebrativo.

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Se il male é lieve, il dolore fisico é sopportabile e non é mai tale da offuscare la gioia dell’animo; se é acuto, passa presto, se é acutissimo conduce presto alla morte, la quale non é che assoluta insensibilità. E i mali dell’anima? Essi sono prodotti dalle opinioni fallaci e dagli errori della mente, contro i quali c’é la filosofia e la saggezza

Epicuro

Filosofo Greco

Monumento A.n.m.i.l. a Castiglione Olona

Concessione dell’anno 1989 per il collocamento

all’interno del cimitero comunale

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L’ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro È una agenzia specializzata delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, che si occupa di promuovere la giustizia sociale ed i diritti umani internazionalmente riconosciuti, con particolare riferimento a quelli riguardanti il lavoro in tutti i suoi aspetti. E’ stata la prima agenzia specializzata a far parte del sistema delle Nazioni Unite nel 1946, ma la sua fondazione risale al 1919 in seno alla Società delle Nazioni. Ne fanno parte 178 Stati; lo scopo: la tutela e promozione dei diritti legati al lavoro. Il ruolo principale dell’ILO è quello di formulare gli standard minimi internazionali delle condizioni di lavoro e dei diritti fondamentali del lavoratore, tra cui: libertà di associazione, diritto di organizzazione, negoziazione collettiva, abolizione del lavoro forzato, parità di opportunità e trattamento ed altri standard che regolano l’intero spettro dei diritti del lavoro. L’Ilo fornisce inoltre assistenza tecnica principalmente nelle seguenti aree: formazione e riabilitazione professionale, politiche per l’occupazione, amministrazione del lavoro, diritto del lavoro e relazioni industriali, condizioni di impiego, gestione dello sviluppo, sviluppo di cooperative, sicurezza sociale, statistiche del lavoro, sicurezza e salute sul posto di lavoro. Promuove infine lo sviluppo di organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro indipendenti e favorisce servizi di formazione e consulenza a tali organismi. All’interno della famiglia delle Nazioni Unite, l’ILO si caratterizza per unicità grazie ad una struttura tripartita che prevede nel lavoro dei suoi organi costituenti un’equa partecipazione, accanto ai governi, delle componenti delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. L’idea di avere una giornata Mondiale per la Sicurezza e la Salute sul lavoro trova la sua radice nella Giornata istituita dai lavoratori americani e canadesi nel 1989 per commemorare, il 28 aprile di ogni anno, i lavoratori deceduti e infortunati sul lavoro. La Confederazione Internazionale dei Sindacati liberi e le Federazioni sindacati internazionali ne hanno fatto un evento globale e ne hanno ampliato la portata fino ad includere la nozione di lavoro e di posto di lavoro sostenibile. Attualmente, la Giornata Internazionale di Commemorazione dei lavoratori deceduti e infortunati è celebrata in oltre cento Paesi. Nella Giornata Mondiale si incoraggiano governi, organizzazioni dei datori di lavoro e organizzazioni dei lavoratori a realizzare, nell’ambito delle rispettive aree di competenza, attività di sensibilizzazione sul tema della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Allo stesso tempo, si invitano tutte le persone collegate al mondo del lavoro a riflettere sui propri metodi di lavoro ed a identificare le misure di prevenzione per evitare infortuni e malattie, non soltanto il 28 aprile, ma durante tutto l’anno. L’Ufficio Internazionale del lavoro (ILO) crede fermamente che gli infortuni e le malattie legate al lavoro possono e debbono essere prevenuti e che, per raggiungere questo obiettivo, sia necessaria un’azione a livello internazionale, nazionale, regionale e aziendale. Parte della risposta consiste nell’adottare un’adeguata legislazione nazionale sulla sicurezza e salute sul lavoro e promuovere l’applicazione, in questo, gli ispettori del lavoro, giocano un ruolo chiave. L’altra parte della risposta risiede anche in una maggiore e migliore educazione e formazione che integri meglio la sicurezza e salute sul lavoro all’interno di corsi di formazione professionale e di programmi di formazione aziendale.

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Comunque, un successo reale nella riduzione degli infortuni e delle malattie legati al lavoro, può essere ottenuto con un impegno positivo da parte di tutti coloro che sono coinvolti nella prevenzione, un concetto che è al centro di quella che è stata definita “una cultura della prevenzione per la sicurezza e la salute”. La prevenzione comprende capacità di gestione, lungimiranza, pianificazione ed impegno, per evitare i pericoli, valutare i rischi ed agire prima che si verifichi un infortunio o si contragga una malattia. Questo obiettivo può essere raggiunto soltanto con le misure indicate e con la collaborazione di tutti gli attori interessati, il datore di lavoro, che ha la principale responsabilità di fornire condizioni di lavoro sicure e salubri, i dirigenti, i supervisori ed i loro rappresentanti per la sicurezza e la salute, i sindacati attraverso comunicazione, accordi collettivi, comitati di sicurezza, etc.: tutti questi hanno un ruolo importante da svolgere nel miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro attraverso un dialogo efficace. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro rifiuta da sempre l’idea che gli infortuni e le malattie causate dal lavoro facciano parte dei “rischi del mestiere”: l’efficacia della prevenzione è incontestabile. Nel corso del XX secolo, i paesi industrializzati hanno registrato una notevole riduzione degli infortuni gravi dovuta, in larga parte, ai reali progressi compiuti per rendere il luogo di lavoro più sano e sicuro. La sfida è far sì che i lavoratori di tutto il mondo possano beneficiare di questi progressi. L’esperienza ha dimostrato che una forte cultura della sicurezza crea benefici a lavoratori, imprenditori e governi. Varie tecniche di prevenzione si sono dimostrate efficaci sia nell’evitare incidenti e malattie professionali, sia nel migliorare i risultati delle imprese. L’elevato livello delle norme di sicurezza vigenti in alcuni paesi è il risultato di politiche a lungo termine di promozione del dialogo sociale tripartito e di contrattazione collettiva tra sindacati e imprenditori, nonché di una efficace legislazione in materia di salute e sicurezza garantita da rigide ispezioni sul lavoro. Ogni anno, le sostanze pericolose uccidono circa 438.000 lavoratori nel mondo e si stima che il 10% dei tumori alla pelle sia attribuibile all’esposizione a sostanze tossiche nei luoghi di lavoro. Solo l’amianto, provoca, nel mondo, circa 100.000 morti l’anno e, questa cifra, continua ad aumentare benché la produzione globale di amianto sia scesa a partire dagli anni ‘70. Un numero crescente di lavoratori negli Stati Uniti, in Canada, nel Regno Unito, in Germania e in altri paesi industrializzati muore per l’esposizione alla polvere dell’amianto avvenuta in passato. Circa il 4% del PIL (Prodotto Interno Lordo) mondiale costituisce la perdita dovuta ai costi causati da incidenti, decessi e malattie professionali, dovuta a sospensione dal lavoro, cure mediche, pensione d’invalidità e di reversibilità. Tale perdita economica mondiale è l’equivalente di 20 volte l’ammontare complessivo dell’aiuto ufficiale allo sviluppo mondiale.

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Il saggio cerca di raggiungere l’assenza di dolore, non il piacere

Aristotele Scienziato e Filosofo Greco

Monumento A.n.m.i.l. a Marnate

Collocato il 14 ottobre 1983

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Non è di moda oggi parlar

d’infortunio sul lavoro. E’ impostato sulla non visibilità

della buia rassegnazione. Officine, cantieri,

morte o infortuni seri è la realtà

che circonda legge dell’ingiustizia. Progresso, profitto

il lavoratore, la lavoratrice nullità senza diritto.

C’è la speranza di un futuro migliore dove il lavoro è vita

la sicurezza parola non più smarrita.

Le Poste Italiane emettono una busta con francobollo il 19-5-2001 per rammentare gli incidenti sul lavoro.

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Un bagliore nella notte

La Thyssenkrupp è un’azienda tedesca, la più importante d’Europa nel settore siderurgico, che dà occupazione nel mondo a circa 190.000 dipendenti. L’incidente alle acciaierie Thyssenkrupp di Torino, sopraggiunge nella notte fra il 5 e 6 dicembre 2007. Sette operai dello stabilimento di Torino vengono investiti da una fuoriuscita di olio bollente in pressione che prende fuoco: moriranno nel giro di un mese. Le fiamme hanno devastato il reparto trattamento termico dello stabilimento, dove i laminati di acciaio vengono portati ad alta temperatura e poi raffreddati in bagni di olio per temprarli. Critiche all’azienda sono state sollevate da più parti, sia perché alcuni operai coinvolti nell’incidente stavano lavorando da 12 ore, sia perché, secondo le testimonianze di alcuni operai, i sistemi di sicurezza non hanno funzionato. Per l’amministratore delegato verrà formulato, dai pubblici ministeri, l’ipotesi di reato di omicidio volontario con dolo ed incendio doloso. Una città in lutto, un corteo di 25 mila persone che l’attraversa, un funerale per una strage atroce. Nell’omelia funebre, il Cardinal Poletto pronunciò la seguente citazione: “desidero invitare tutti a sintonizzarsi con la mente, col cuore e soprattutto con la preghiera con l’evento drammatico che ci sta davanti: le bare che racchiudono i corpi straziati dal fuoco di questi operai che nel loro turno di lavoro notturno hanno trovato la morte. Il dolore indescrivibile delle loro spose, dei figli, dei genitori, dei parenti, dei colleghi di lavoro, lo sbigottimento generale di tutta la città e dall’intera comunità; questo è un dramma di tutti, non ci sono aggettivi adeguati per commentare questo modo atroce di morire”. Il Ministro della Salute Livia Turco affermò: “ho visto in faccia quei giovani lavoratori e il dolore delle loro famiglie; quello della salute e della sicurezza è un diritto fondamentale dei lavoratori. Occorre ridare centralità alla dignità del lavoro e non permettere la solitudine del lavoro operaio. E’questa una battaglia di civiltà e una grande battaglia politica”. Ho guardato nella mia coscienza – ha detto ancora il Ministro- in questi mesi di governo abbiamo fatto tutto ciò che era possibile, buone leggi ma anche una quotidiana attività amministrativa con la sottoscrizione di protocolli per la sicurezza con importanti realtà industriali del paese. Il procuratore Raffaele Guariniello sta indagando e interrogando testimoni: sembra che gli estintori non fossero stati ricaricati e che il telefono non funzionasse al punto che per chiedere aiuto ad altri operai uno di loro ha dovuto ricorrere ad una bicicletta. Il 1° luglio 2008 i familiari delle sette vittime hanno accettato l’accordo con l’azienda per il risarcimento del danno per la somma complessiva di euro 12.970.000; con detto accordo, i familiari rinunciano al diritto di costituirsi parte civile nel processo ai dirigenti. In considerazione del numero delle persone coinvolte, i media hanno parlato molto e a lungo di questa tragedia sul lavoro; noi però, siamo convinti che, se la morte avesse riguardato una sola persona, una volta tumulata, i media non né avrebbero più parlato; esaminando ed analizzando il loro comportamento, sembra che vogliano fuggire dalla realtà. Coloro che muoiono sul lavoro o per cause di lavoro, dovrebbero avere lo stesso trattamento e riconoscimento perché, tutti, ognuno nel proprio campo, altro non facevano che espletare il proprio dovere.

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Voglio seminare briciole dei miei pensieri.

Dimenticare quel fatal giorno

dove invano aspettavamo il tuo ritorno.

Hai lottato per il lavoro e la famiglia.

Non ho cancellato il tuo ricordo,

ho vissuto all’ombra di me stessa.

Per i nostri figli, ho ritrovato

il soffio della vita.

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Quando una disgrazia è accaduta e non si può più mutare, non ci si dovrebbe permettere neanche il pensiero che le cose potevano andare diversamente o addirittura essere evitate; essi infatti aumenta il dolore fino a renderlo

intollerabile

Arthur Schopenhauer Filosofo Tedesco

Monumento A.n.m.i.l. a Olgiate Olona

Collocato il 28 marzo 1999

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Breve storia della sicurezza sul lavoro

Le prime leggi sulla sicurezza dei luoghi di lavoro furono introdotte, nel codice civile, in Italia 1942 mentre le prime leggi specifiche sull’argomento risalgono agli anni cinquanta. Di particolare importanza furono il D.P.R.n° 547 del 1955, il D.P.R. n° 303 del 1956 ed il D.P.R. n° 164 del 1956 per le costruzioni. Questi decreti, molto corposi e ben costituiti, sono tra i meno applicati nella storia dell’Italia repubblicana infatti, ancora a tutt’oggi, c’è un numero enorme di infortuni sul lavoro sia in fabbrica che in edilizia. Negli anni novanta, dopo l’ingresso in Europa e l’emanazione di direttive europee in materia, sono stati promulgati altri decreti, il n° 626 del 1994 e il n° 494 del 1996, che obbligano le imprese, i committenti ed i datori di lavoro al rispetto dei decreti precedenti, a gestire il miglioramento continuo delle condizioni di lavoro, ad introdurre la formazione e l’informazione sui rischi per cui sono state create nuove figure professionali responsabili per la sicurezza. La principale novità introdotta dal D.L.626/94, in coerenza con concetti espressi nelle direttive CE in esso recepite, è l’obbligo della valutazione del rischio da parte del datore di lavoro e l’introduzione di un Servizio di Prevenzione e Protezione di cui il datore di lavoro è il responsabile. La valutazione del rischio, quindi, è un processo di individuazione dei pericoli e, successivamente, di tutte le misure di prevenzione e protezione volte a ridurre al minimo sostenibile le probabilità, (quindi il rischio) ed il danno conseguente a potenziali infortuni e malattie professionali. Rispetto alla normativa precedente D.P.R. 547/55 oggi il datore di lavoro non è solo “ debitore della sicurezza nei posti di lavoro” ma deve essere partecipe e responsabile di un processo di miglioramento delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso una periodica valutazione dei rischi (che viene documentata in un apposito “documento di valutazione dei rischi” in riferimento all’art. 4 comma 2 del D.L.626/94, che ne determina solo i requisiti oggettivi di sicurezza, ma considera anche gli aspetti organizzativi e soggettivi associati allo svolgimento dell’attività lavorativa. Altra novità introdotta nella 626/94 è l’introduzione di un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (art. 18) il quale deve essere eletto dai lavoratori stessi e deve essere consultato preventivamente in tutti i processi di valutazione dei rischi. Tutti questi adempimenti devono poi essere sempre affiancati dei disposti dell’art. 41 della Costituzione Italiana e dall’art. 2087 Codice Civile che obbligano i datori di lavoro a garantire l’integrità fisica e morale di tutti i lavoratori tenendo conto della miglior tecnologia applicabile e tutto ciò che può essere fatto per evitare potenziali infortuni. La sicurezza sul luogo del lavoro consiste in tutta quella serie di misure di prevenzione e protezione (tecniche, organizzative e procedurali) che devono essere adottate dal datore di lavoro, dai suoi collaboratori e dai lavoratori stessi. Le misure di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori hanno il fine di migliorare le condizioni di lavoro, ridurre la possibilità di infortuni ai dipendenti dell’azienda, agli altri lavoratori, ai collaboratori esterni e a quanti si trovano, anche occasionalmente, all’interno della azienda. Misure di igiene e tutela della salute devono essere adottate al fine di proteggere il lavoratore da possibili danni alla salute.

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In Italia, la salute e la sicurezza sul lavoro sono regolamentate dal D. Lgs. 81/2008 ( conosciuto come Testo Unico Sicurezza Lavoro ), entrato in vigore il 15 maggio 2008. Questo decreto, che ha avuto molti precedenti normativi storici (risalenti al 1955 e 1956 ed altri più recenti), recepisce in Italia le Direttive Europee in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, coordinandole in un unico testo normativo, che prevede specifiche sanzioni a carico degli inadempienti. Dall’omissione delle precauzioni in materia consegue sia la responsabilità penale del datore di lavoro sia il diritto al risarcimento del danno a favore del lavoratore subordinato. Gli indennizzi ai lavoratori infortunati vengono erogati da parte dell’I.N.A.I.L. al quale tutti i lavoratori devono essere iscritti, con il pagamento dei relativi contributi da parte della Azienda. Tocca all’Italia il non invidiabile primato delle vittime sul lavoro in Europa. Nel nostro paese il numero delle “morti bianche”, seppure in calo rispetto agli anni precedenti, è diminuito meno che nel resto d’Europa. Negli ultimi anni il nostro calo registrato è stato pari al 25,49 per cento mentre, nella media europea, la flessione è stata pari al 29,41 per cento. La riduzione è stata ancora più accentuata in Germania, dove il numero di vittime si è quasi dimezzato con un meno 48,3 per cento ed in Spagna dove si è registrato un decremento del 33,64 per cento. Sono questi alcuni dei risultati resi noti nel secondo rapporto sulla “Tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inapplicate e diritti negati” presentato dall’A.N.M.I.L al Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Ma, nelle cifre ufficiali, seppure meno allarmanti di quelle relative alle vittime, non sono comprese incidenti che non vengono denunciati da chi è impiegato nell’ambito del lavoro nero dove, secondo l’I.N.A.I.L., si verificherebbero almeno 200 mila casi. Attualmente, nel complesso, gli incidenti sul lavoro sono circa 800.000 l’anno ed i morti poco più di mille. L’indennizzo ridotto, al danno, sembrerebbe aggiungersi la beffa. La riforma realizzata con il decreto legislativo 38/2000 che ha introdotto, in via sperimentale, la copertura del danno biologico, di fatto, dicono dall’A.N.M.I.L., ha comportato un “netto ridimensionamento del livello delle prestazioni in rendita, addirittura la trasformazione dell’indennizzo da rendita a capitale liquidato una tantum”. Passi troppo timidi. La rinnovata consapevolezza della gravità del fenomeno, cresciuta anche in ragione dei numerosi interventi del Presidente della Repubblica sul tema, sembra non essere riuscita a produrre ancora una significativa inversione di tendenza, Gli autori del rapporto sottolineano come a cinque mesi dall’entrata in vigore della legge 123/07, che ha stabilito nuove norme in materia di sicurezza sul lavoro, i coordinamenti provinciali delle attività ispettive stanno muovendo i primi passi, mentre tutto il personale impegnato nella prevenzione infortuni, al ritmo attuale, impiegherebbe ben 23 anni a controllare tutte le aziende. L’A.N.M.I.L inoltre sottolinea come si intervenga quasi sempre a cose fatte e molto raramente a livello di prevenzione.

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Dov’è il dolore, il suolo è sacro

Oscar Wilde

Scrittore Irlandese

Monumento A.n.m.i.l. a Saronno

Collocato il 6 ottobre 1996

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Langue la terra ferita l’uomo col suo profitto

lentamente le toglie la vita.

Ed è la terra che geme la terra che cerca il suo seme.

Metropoli dal grigio cemento invasivo

meno verde ecomostro visivo.

I mari, gli oceani lordati dal nero petrolio compagnie petrolifere senza scrupoli

rialzo delle azioni nel loro portafoglio.

Ritorniamo ai tempi antichi di Frate sole e l’olezzar di rose e viole.

Di volta celeste fustellata di stelle

un grazie al Creator per tante cose belle.

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Il dolore che affrontiamo Quando muore una persona a noi cara veniamo colpiti dal dolore: questa è una esperienza che durante la nostra vita, purtroppo, dobbiamo tutti affrontare. Ognuno di noi il dolore lo sperimenta a modo suo cercando di superare quei tempi in modo diverso, non conoscendo una perfetta ricetta per superare quei tristi momenti. Il lutto viene affrontato con un percorso assai lento, il percorso di decidere del nuovo modo di vivere, soprattutto nell’ambito della cerchia famigliare, senza la persona che ci era particolarmente cara. Rimarginare la ferita, la quale è assai profonda, richiede sicuramente pazienza e molto tempo. Rivedere lentamente l’immagine con le memorie, i sentimenti della persona che amavamo può sembrare meno dolorosa. Molte persone che vengono colpite dal lutto, hanno un comportamento di non accettare il fatto negando l’accaduto ma, lentamente e con forza cercano di riabituarsi alla nuova situazione. Lentamente si recepisce la nuova e dura realtà, così il percorso di cicatrizzazione diventa lungo e doloroso; comunque, col passare del tempo, piano piano si svilupperà una progressiva accettazione della persona morta. Il tragico evento, con i suoi sentimenti, porta dolore, emozione, rabbia, senso di colpa, pena, rimpianto, stato di vuoto e di abbandono; emozioni che ci raggiungono e ci trascinano ogni qualvolta la nostra mente li rinnova, rimanendo affranti nel nostro cuore. I sentimenti, quali essi siano, giocano un ruolo di cicatrizzazione e non serve accantonare in un angolo della mente le emozioni dolorose, ma é sicuramente consigliabile che il dolore e i sentimenti, guidati dal cuore, facciano il loro naturale percorso. Ci sono poi effetti diversi a secondo del modo in cui la persona amata muore. Se la persona a noi cara muore di malattia professionale, i famigliari e le persone a lui care vengono coinvolte, si intensificano i legami affettivi, i propri sentimenti, si condivide il dolore ed infine, si accetta, nonostante tutto, anche la morte. Le morti “bianche” invece, sono morti improvvise, sicuramente provocano shock, ansia, depressione, stress e generano un senso di impotenza. Parlare di ricordi con le persone amiche, comunicare il proprio dolore, i propri sentimenti, farsi ascoltare su quanto è profondo il dolore, senz’altro aiuta; va ricordato infatti che non si è mai soli e che altre persone hanno già concretizzato questo percorso. Quando si perde una persona cara, si spendono molte energie nel tentativo di reagire nella maniera che riteniamo giusta; è però impossibile trovare il modo giusto! Il modo migliore per onorare la memoria di chi ci ha lasciato è continuare a vivere con coraggio. Questo è uno dei maggiori sostegni dell’esistenza umana; trovare risonanza emotiva in altri uomini ai quali si è affezionati e la cui presenza suscita un caldo sentimento di appartenenza. Questa reciproca conferma mediante sentimenti, la risonanza emotiva tra due o più persone, ha un ruolo centrale nel compiere un significato e un senso di appagamento all’esistenza.

Norbert Elias Sociologo Tedesco

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Quanta retorica sulla virtù del dolore, l’esperienza vissuta non lascia dubbi; il dolore annienta

Alessandro Morandotti

Antiquario e scrittore Italiano

Monumento A.n.m.i.l. a Somma Lombardo

Collocato nell’anno 2000 in piazza mercato e

trasferito in largo S. Agnese il 18 aprile 2010

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Un grave incidente nella nostra Provincia

Nel 1914 a Taino, fu aperta una fabbrica di esplosivi e da subito iniziarono le assunzioni di operai: circa una sessantina. Negli anni successivi la fabbrica si estese e la sua massima espansione ci fu durante la seconda guerra mondiale, periodo in cui furono occupate circa 1500 persone. Per i tainesi era una soddisfazione far parte di una grande azienda, la quale non lesinava riconoscimenti ai suoi dipendenti come premi aziendali, soggiorni al mare, vacanze in alberghi e spaccio aziendale ecc.. Al primo maggio di ogni anno venivano premiati i dipendenti anziani con targhe, pergamene e medaglie. Questa fabbrica non ha rappresentato solo il luogo della paura e del dolore, ma anche della gioia, dell’allegria, il dopolavoro aziendale ha avuto un ruolo importante nella storia della Polveriera. Varie manifestazioni sportive hanno rappresentato un punto di raccordo e di unione fra dipendenti, i giovani avevano occasione di incontrarsi anche fuori del lavoro, si stabilivano amicizie, scambi di interessi comuni e anche molte storie d’amore, alcune delle quali felicemente concluse con il matrimonio. “Lì c’era brava gente, serena e allegra, i giovani avevano grande rispetto dei lavoratori più anziani, ognuno divideva senza paura i suoi problemi con altri e tutti erano ascoltati, non c’era invidia fra loro, ma dialogo”. Non c’era il benessere di oggi ma la gente si sentiva più felice, spensierata e le amicizie con i rapporti interpersonali erano facilitati dall’avere in comune lo stesso lavoro. L’atmosfera di cordialità coinvolgeva anche i dirigenti, i caporeparto, i capofficina in quanto avevano un comportamento amichevole e protettivo verso i loro operai. Sicuramente un modo diverso di concepire il mondo del lavoro che, rapportato ai giorni nostri, appare anacronistico, ma era la pura realtà di allora. Nel 1935 alle ore 14,30 del 27 luglio nel reparto imballaggio avvenne una violenta esplosione e 36 lavoratori, di cui 16 tainesi, persero la vita. Fu un lutto che colpì profondamente il paese, questo grave incidente è ancora vivo nella memoria dei tainesi. Nel tragico scoppio morirono anche 10 operai di Angera, 6 di Sesto Calende, 2 di Besozzo, 1 di Castelletto Ticino, 1 di Ispra. Molte furono le ipotesi avanzate sulle cause dello scoppio, ma le inchieste che si svolsero per disposizione della questura di Varese e della prefettura stabilirono solo la causalità dell’incidente escludendo la dolosità. Il 25 novembre 1972 la polveriera fu chiusa definitivamente, finì così l’attività produttiva del più grande stabilimento insediatosi sul territorio di Taino dopo circa 60 di attività costati ai lavoratori 39 morti ed un numero elevato di feriti e di mutilati. Con il passare degli anni per i famigliari delle vittime e i mutilati (alcuni lavoratori hanno perso la vista, altri un braccio, altri le dita delle mani) il dolore si è ovviamente attenuato ed anche la paura e la delusione per i posti di lavoro perduti, con la chiusura della fabbrica, sono oggi un lontano ricordo. Però, per le implicazioni effettive, per quello che ha significato e per quello che i tainesi hanno pagato in termini personali, la Polveriera non può essere dimenticata: essa è parte integrante della memoria collettiva ed il luogo ove sorgeva merita di essere conservato con il massimo rispetto. Anche nel dolore v’è un certo decoro, e lo deve serbare chi è saggio

Lucio Annèo Seneca Filosofo, Politico e Drammaturgo romano

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Nel cimitero di Taino, la cappella dove riposano le persone

tainesi morte in seguito allo scoppio della polveriera;

al centro una targa dell’A.n.m.i.l. deposta il 29-5-1994.

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Il dolore nella famiglia La morte di un figlio é quanto di più tragico che un genitore possa sopportare; infatti una parte del genitore muore quando il figlio muore. Il futuro, con tutti i suoi sogni e tutte le speranze, va in frantumi. L’improvvisa morte di un figlio sul lavoro é, per ogni famiglia, un evento devastante in quanto non c’è il tempo per assimilare la tragedia e per prepararsi alla tragica perdita; il trauma che subiscono non si rimarginerà più; dai loro occhi scenderanno solo copiose e amare lacrime. Il ruolo dei genitori è quello di difendere, aiutare e soccorrere i propri figli; quando avviene il dramma però, pur sapendo di non essere loro responsabili della morte del proprio figlio vengono colpiti lo stesso da un senso di colpa. Queste persone, così come fanno tutti, smettono di sognare e di desiderare il bene migliore per i propri figli, accettare la morte del proprio figlio è veramente difficile ed occorrono mesi e mesi prima di realizzare la tragica realtà. Figlio, nipote, figlio dell’amico, persona che fino a ieri ti parlava, ti sorrideva, era colmo di gioia, ora non c’è più. I brevi anni della vita di un giovane a causa dell’incidente, sono cancellati, questi ragazzi non conosceranno l’età matura con le gioie e i dolori che accompagnano un’esistenza; sono vite annullate nello spazio di un secondo; mentre le vite delle persone di coloro che vengono coinvolte in queste tragedie sono lacerate e straziate: nei lori occhi non c’è che il buio e lo spirito sofferente, mentre il cuore è tormentato dal dolore. Ed è proprio per aiutare queste persone che fanno fatica a fronteggiare le nuove situazioni, che l’Associazione A.n.m.i.l., già da molti anni, mette a disposizione medici e psicologi che possono assistere tutte quelle persone aiutandole così a superare tutti i sintomi di depressione.

Francobollo “Amore e Psiche” emesso dalle Poste Italiane il 12.10.2007

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Chi sradicasse la conoscenza del dolore estirperebbe anche la conoscenza del piacere e in fin dei conti annienterebbe l’uomo

Michel de Montaigne

Filosofo, Scrittore e Politico Francese

Monumento A.n.m.i.l. a Tradate

Collocato il 29 aprile 1990

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Una riflessione La creazione delle norme da parte dell’ILO “Organismo delle Nazioni Unite”, a cui aderiscono 180 Paesi, costituisce un sistema di norme internazionali del lavoro, atti a definire e garantire i diritti dei lavoratori e a migliorare le condizioni di lavoro. Con l’adozione della Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro nel 1998 gli Stati membri hanno deciso di recepire un nucleo di norme del lavoro. Si tratta di diritti umani basilari che costituiscono l’asse portante del lavoro dignitoso; il diritto alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva, l’eliminazione del lavoro minorile, forzato, della discriminazione nel lavoro favorendo la cooperazione fra governi, imprenditori ed organizzazioni dei lavoratori per facilitare il progresso sociale ed economico. Il dialogo sociale può significare negoziazione, consultazione o semplicemente uno scambio di opinioni fra rappresentanti degli imprenditori, dei lavoratori e dei governi, questo aspetto riguarda le relazioni fra lavoratori e dirigenti; è uno strumento flessibile che consente a governi, organizzazioni imprenditoriali e sindacati di gestire i cambiamenti e raggiungere obiettivi economici e sociali. L’organismo internazionale dell’Onu assicura che le norme internazionali del lavoro, le politiche ed i programmi rispecchino il punto di vista di tutte le parti sociali. Secondo l’associazione A.N.M.I.L., il lavoro è essenziale per il benessere di tutti e, oltre ad assicurare un reddito, apre la strada al progresso sociale ed economico, dando più potere agli individui e alle loro famiglie e comunità. Noi riteniamo che, per realizzare questo progresso, il lavoro deve essere dignitoso con la relativa sicurezza. Il lavoro dignitoso ed in armonia, è quello a cui ogni individuo aspira per la propria vita lavorativa; comporta la possibilità di ottenere una posizione produttiva e sufficientemente retribuita, sicurezza sul lavoro e protezione sociale per sé e per le proprie famiglie. Lavoro dignitoso e in armonia significa migliori prospettive per lo sviluppo personale e per l’integrazione sociale, libertà di manifestare le proprie opinioni, organizzarsi e partecipare alle decisioni riguardanti la propria vita e dà pari opportunità di trattamento a donne ed uomini. Il lavoro dignitoso è la chiave per l’eliminazione della povertà. Se le persone hanno un lavoro dignitoso, possono partecipare alla ridistribuzione dei guadagni provenienti da un’economia internazionale sempre più globalizzata: estendere l’opportunità di un lavoro dignitoso nella sicurezza per tutti è la condizione essenziale perché la globalizzazione sia equa e porti integrazione sociale. Quando il lavoratore è in armonia con un lavoro dignitoso troverà appagamento sia sul lavoro che durante il tempo libero. Purtroppo il lavoro negli ultimi anni ha costretto molti lavoratori a lavorare con semplici funzioni e togliendo a loro la speranza di realizzare i loro sogno. A volte ci viene da pensare che il mondo del lavoro sia retto soltanto da rapporti meccanici e strumentali mediati dalla retribuzione; l’uomo, nel lavoro, non cerca la propria soddisfazione, il proprio appagamento, la propria completezza e una vita lavorativa degna di essere vissuta, ma semplicemente un’occasione finalizzata a ricercare un valore monetario, generando malessere personale e collettivo. Il lavoro dignitoso ed in armonia può scaturire da una riflessione etica e morale che la salute del lavoratore é anche là dove i lavoratori possono esprimersi, valutare, scegliere e pertanto seguire comportamenti etici. Una riflessione etica-morale ci permette di vedere il quotidiano lavoro da una visione profonda e ampia, che non sia soltanto l’interesse economico, piuttosto un arricchimento della persona umana, etica, relazionale, morale, e spirituale.

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L’etica e la morale possono essere definiti come la ricerca di uno o più criteri che consentono all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri; pretende una base razionale, quindi non emotiva dell’atteggiamento assunto, non riconducibili a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone una cornice di riferimento dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimersi. Con una riflessione etica-morale è possibile dotare il lavoro con sistemi organizzativi etici lavorativi. E’ innegabile che un lavoro riannodato alla profondità dell’esistenza di coloro che lavorano è un lavoro all’insegna della vera efficacia e dell’autentica efficienza in sicurezza. Creare le condizioni per una vita eccellente nel lavoro significa ottenere, sicuramente, la migliore qualità delle prestazioni, offrendo un ottimo servizio. Lavorare in armonia significa accordo, rispondenza di pensiero e di azioni, provvedimenti in armonia con le vigenti leggi. La creazione di condizioni di lavoro dignitose deve quindi essere alla base di tutte le politiche di sviluppo. Il principio di una vita buona, ha le sue radici in una vita attiva, nella quale il lavoro non sia una maledizione o, peggio, un’attesa delusa ma costituisca fin da subito nel ciclo della vita, la base dell’autonomia sociale delle persone e delle famiglie. Fa riflettere che nonostante la crisi attuale del lavoro, stando alle denuncie registrate dall’INAIL nell’anno 2009 gli incidenti sono stati ben 12.226. Tra i rimedi indicati dalla nostra Associazione A.N.M.I.L., è necessario che vi siano maggiori investimenti sulle attività di prevenzione e di controllo, l’introduzione di sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze di comportamenti, l’organizzazione di un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l’applicazione certa e rapida delle sanzioni e la promozione di iniziative informative, formative e culturali che sviluppino nel medio - lungo periodo una maggiore attenzione alla prevenzione.

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Tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto che non provano

William Shakespeare

Poeta, Commediografo, Drammaturgo Inglese

Monumento A.n.m.i.l. a Varese Questo è stato il primo monumento nella nostra provincia

collocato nel 1966 in piazza della Motta.

L’opera è stata realizzata dal prof. Angelo Frattini (1910-1975)

noto artista internazionale varesino.

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Altro tragico incidente nella Provincia A Vergiate non c’è ancora un monumento ANMIL, ma per la quantità di morti e feriti avvenuti, ci sentiamo in dovere di raccontare il fatto, così da potere, in qualche modo, onorare le persone che hanno perso la vita nell’espletare i propri compiti. L’azienda di proiettificio, insediata a Vergiate nel corso della prima guerra mondiale, occupava centinaia di dipendenti e produceva esplosivi e cariche per proiettili. Cessata la guerra, l’azienda fu trasformata da industria bellica in azienda chimica, licenziò tutte le maestranze per sfasciare l’organizzazione operaia e riassunse i più fidati. Le bombarde da smontare e recuperare quanto più fosse possibile, continuarono ad arrivare ed il lavoro aumentò. Si istituì un nuovo cottimo che portava la giornata lavorative a 12-13 ore, senza rispettare tutte quelle cautele con cui poteva essere compiuto il lavoro a giornata. Quindi lavoro molto intenso ed operai poco esperti con conseguente maggiore rischio di infortuni. I rapporti erano tesi sotto il profilo sindacale, ma c’erano preoccupazioni anche sulla sicurezza del lavoro (la stampa di allora informa che il 13 gennaio 1920 una gravissima sciagura si verifica presso l’azienda, con lo scoppio di una caldaia a vapore che provoca la morte di un giovane lavoratore e il grave ferimento di un fuochista mentre, il 6 settembre sempre dello stesso anno, un soldato addetto alla sorveglianza viene ferito gravemente). Venerdì 26 novembre 1920: nel proiettificio si verifica un primo scoppio, assumendo proporzioni gigantesche; poi una pioggia di legnami, schegge di bombe di tutte le dimensioni, proiettili inesplosi si riversa per un raggio di oltre due chilometri attorno allo stabilimento. Vetri rotti, tetti scoperchiati, case lesionate, tutti i sintomi paragonabili a quelli di una violentissima scossa tellurica. Subito dopo una seconda esplosione, quindi una terza, ancora più terrificante, ed altri scoppi: una catena impressionante di esplosioni. Con i primi due scoppi furono lesionati molti edifici di Vergiate, Sesona ed altri centri fino a Somma Lombardo mentre, con i successivi scoppi, la cerchia dei danni si estese in modo più massiccio a Sesona, raggiunse da un lato Sesto Calende ed Angera mentre dall’altro lato Gallarate, Casorate Sempione, Besnate, Mornago e Casale Litta. Il bilancio di quel terribile 26 novembre 1920 fu impressionante e sbalordì i soccorritori. Tutti i mezzi atti a favorire la fuga furono utilizzati dalla popolazione terrificata: camion, automobili, biciclette, carri e cavalli, carretti carichi di masserizie, intere famiglie raccolte nei campi con le giovenche appresso oppure sostati ai bordi delle strade fornivano l’idea di un esodo di tutta la popolazione coinvolta. I maggiori danni, causati dagli spaventosi scoppi dei depositi di proiettili, li ebbe la frazione di Sesona la più vicina alla fonte delle esplosioni e praticamente “coventrizzata”; ossia rasa al suolo. L’elenco dei morti causati dal grave sinistro probabilmente non potrà mai essere compilato con assoluta esattezza in quanto nulla si è saputo della sorte dei 31 militari che prestavano servizio all’interno dello stabilimento. Come pure non si accertò l’esatto numero dei dipendenti in forza all’azienda e presenti al momento dello scoppio. Ufficialmente sono stati registrati 20 morti e circa 200 feriti. A novant’anni di distanza, sembra che nulla sia cambiato, perché oggi come allora, per salvaguardare il lato economico aziendale, si licenziano operai “in vari modi” e, approfittando dell’ attuale crisi economica, si attuano delle ristrutturazioni costringendo l’operaio ad accettare del lavoro con scarse sicurezze. Ciò che è più amaro, nel dolore di oggi, è il ricordo della gioia di ieri.

Gibran Kahlil Scrittore, poeta, pittore e filosofo Libanese

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Foto in alto: monumento a ricordo dei morti dello scoppio nel cimitero di Vergiate. In basso: cappelletta eretta presso il luogo dell’ex proiettificio a ricordo delle persone scomparse.

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Il più grave incidente nella nostra Provincia. Un disastro pressoché prevedibile. Vergiate 1920: l’esplosione del proiettificio. La documentazione ufficiale parla di una cifra complessiva di danni che si aggira fra 7/8 milioni di lire dell’epoca, una cifra enorme. Foto d’epoca : dalla collezione privata del Sig. Pietro Galdangelo di Somma Lombardo.(g. c.)

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A.N.M.I.L.

Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi del Lavoro L’A.N.M.I.L, forte delle credenziali che si é guadagnata in tanti anni di attività, promuove il lavoro sicuro ed il pronto recupero dell’infortunato e dell’invalido, elementi base di tutte le azioni ed eventi dell’Associazione. L’obiettivo primario è quello di garantire a tutte le persone ed in particolare ai giovani, la possibilità di esprimere interamente il loro potenziale, senza escludere l’impegno parallelo di aiutare chi non è in condizioni di farlo, accompagnando le persone lungo l’intero ciclo di vita attraverso il binomio opportunità-responsabilità per raggiungere un sistema di protezione sociale universale, selettivo e personalizzato che modelli su giovani, donne e disabili l’efficacia di grandi programmi quali la natalità, la famiglia, la formazione, l’occupazione e la prevenzione per la salute. E’ un punto chiave la cui importanza è, in definitiva, proporzionale al crescere della reale garanzia di una vita buona o dignitosa, sicché l’unificazione di salute e lavoro in un unico Ministero deve essere colta come opportunità per enfatizzare lo stretto legame tra salute e prosperità economica. Il principio di una vita buona o dignitosa ha le sue radici in una vita attiva nella quale il lavoro non sia una maledizione o, peggio, un’attesa delusa ma costituisca, fin da subito nel ciclo della vita, la base dell’autonomia sociale delle persone e della famiglia. Nessuno può mettere in dubbio il significato ed il valore dell’impegno dell’ANMIL per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro, valore primario che da oltre 67 anni testimoniano le conseguenze della carenza di tutela su questo fronte. Questa prevenzione, che tanto sta a cuore all’ANMIL, ha fatto sì che si sono evitati in questi anni numerosi infortuni così di aver contribuito ad un enorme potenziale di vita e di energie salvate. Secondo l’Istituto di previdenza, l’andamento del 2009 non fa che confermare una tendenza che, con l’unica eccezione del 2006, è in corso ormai da molti anni: da un punto di vista statistico l’andamento storico del fenomeno degli infortuni mortali appare ridotto a un quarto rispetto ai primi anni sessanta: nel giro di circa 40 anni, infatti, si è passati dal tragico record storico di 4.664 morti sul lavoro del 1963, apice del boom economico, ai poco più di 1.500 di inizio terzo millennio, mentre nel 2009 il minimo storico con 1.050 morti. “Il sensibile miglioramento costituisce un fatto sociale importante, ma dobbiamo continuare in modo ancora più deciso e strategico, su questa strada” così il presidente dell’Inail, Fabio Sartori, ha commentato i dati. “Nessuno infatti”, ha continuato Sartori, “ può negare che i 790 mila incidenti denunciati all’istituto lo scorso anno restino sempre una cifra molto elevata” . Nella manifestazione nazionale del 10 ottobre 2010 svoltasi a Modena, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha scritto nel suo messaggio “l’incolumità e la salute dei lavoratori costituiscono valori primari per la società e la loro tutela è interesse non solo del singolo lavoratore, ma di tutta la collettività”. “Ogni giorno purtroppo”, ha proseguito Napolitano, “continuano a registrarsi infortuni sul lavoro, troppo spesso mortali, anche a causa di inammissibili superficialità e gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori”.

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Intervenendo alla manifestazione di Modena per la sessantesima giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro organizzata dall’ANMIL, il ministro Maurizio Sacconi, sottolinea che bisogna accelerare la piena attuazione del testo unico sulla sicurezza del lavoro e invita a puntare maggiormente su informazione, prevenzione e formazione e vigilanza, annunciando inoltre un accordo con l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza per intensificare la vigilanza per contrastare il lavoro sommerso. L’on. Sacconi da detto: “Abbiamo creato un unico ente per la sicurezza dei lavoratori che deve, fra le altre cose, assistere le imprese nelle tecniche della prevenzione, oltre che concorrere alla formazione e all’assistenza delle vittime”. Il Ministro ha riconosciuto, su questo tema, il ruolo dell’ANMIL: “ E’ un partner fondamentale, specifico per un grande programma da attuare nelle scuole insieme all’INAIL, senza dimenticare l’importante rete di servizi che mette a disposizione delle vittime degli incidenti sul lavoro”. Quindi è sicuramente un motivo per potersi impegnare a fondo, per sollecitare l’opinione pubblica, gli organismi dello Stato, le forze sociali, la magistratura ed il volontariato a fare quanto è umanamente possibile per sconfiggere l’evento infortunistico. L’ANMIL da alcuni anni, ha costituito la Fondazione “Sosteniamoli Subito” per offrire un aiuto immediato e concreto sia alle vedove che agli orfani dei lavoratori deceduti nei luoghi di lavoro; così come il Progetto “Silos” (Scuola Innovazione Salute Organizzazione Sicurezza) che nasce da un idea innovativa di ANMIL e condivisa da INAIL sui temi della sicurezza sul lavoro e dal Ministero della Pubblica Istruzione. Il 24 novembre 2010 si è tenuto a Roma, nella sede dell’INAIL, il convegno conclusivo del progetto Silos, la sperimentazione di ANMIL e INAIL portata avanti assieme a 28 Istituti superiori di 8 diverse regioni italiane, che ha visto il coinvolgimento di 1.500 studenti a partecipare all’esperienza. Gli studenti, i loro docenti e i dirigenti scolastici hanno presentato i lavori svolti nel corso dell’anno scolastico 2009/2010. Al convegno hanno preso parte i vertici di ANMIL e INAIL con molti rappresentanti del mondo politico, istituzionale e imprenditoriale. “Il lavoro manuale non deve uscire dall’orizzonte della nostra cultura”, dice il presidente dell’INAIL Sartori al quale spetta il duro compito di snocciolare i dati e di spiegare che, quando si parla di incidenti sul lavoro, non si può esaltare neanche se le vittime sono meno di un quarto rispetto a quelle del1’anno 1963. E, finché non sarà sconfitta la cultura del subappalto l’Italia, nonostante i risultati non certo trascurabili, non potrà certo aspirare ad essere la punta di diamante dell’Europa sul tema della prevenzione. In ordine di tempo è da citare anche l’autorizzazione, da parte del Ministero del Lavoro, alla costituzione del Patronato ANMIL: è un riconoscimento di grande rilevanza e rappresenta la conferma delle capacità organizzative e tecniche dell’Associazione. Il Patronato, non solo sarà a disposizione di tutti gli infortunati e dei loro famigliari, ma offrirà a tutti servizi di assistenza e consulenza. L’uomo solo non esiste, non ci sono che uomini legati gli uni agli altri, fino ai limiti dell’umanità e del tempo.

Michel Quoist. Scrittore Francese

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Conclusione Il dolore per la morte o l’infortunio con menomazione fisica di una persona cara, è forse una delle intense esperienze che dobbiamo affrontare durante la nostra vita. Esso penetra in profondità nella nostra persona, tocca le nostre emozioni, può modificare le relazioni interpersonali ed anche il nostro aspetto fisico. Nessuno può conoscere la ricetta per superare quei momenti, ciascuno li vive in maniera diversa. Viene affrontato il lento processo di ridefinizione del nostro mondo e della nostra nuova realtà. Moltissime sono le persone che sperimentano una sorte di negazione del fatto traumatico mentre il cuore e la mente cercano di riadattarsi alla nuova realtà, col tempo si impara che si può e si deve guardare in faccia alla nuova vita. I sentimenti dell’infortunio sono un insieme di dolorose emozioni, rabbia, pena, colpa, rimpianto, stato di abbandono, queste emozioni ci assalgono e ci travolgono rimanendo così affranti e provati dietro di esse, mentre altre si ramificano e persistono nel tempo. Non esistono sentimenti rispettabili o deprecabili, ciascuna emozione gioca un ruolo specifico nel processo di cicatrizzazione, siamo tutti tentati dal chiudere in un cassetto le emozioni più dolorose. Un grido del cuore negato e represso può portare a una produzione di rabbia ingiustificata. E’ obbligatorio ritrovare la gioia interiore perché, se rimane la ghettizzazione, lo squilibrio psichico, il pessimismo, il materialismo e l’individualismo, anche se il peso dell’infortunio si fa sentire, bisogna recuperarsi interiormente¸ con una visione realistica della nuova condizione della propria vita, mai bisogna perdere la propria vitalità. Senza allegria, senza interessi, si diventa amorfi; la tristezza porta solo a creare disperazione e quindi è obbligatorio riappropriarsi con l’ottimismo, la fiducia e la serenità. Noi crediamo che la salute e l’integrità fisica vada anteposta a tutto. Con le nostre lotte, insieme a tutti lavoratori e cittadini, abbiamo contribuito a rompere il muro di omertà e di complicità che in questi anni si era creato a difesa degli interessi delle lobby dell’amianto, portando sul banco degli imputati ed in alcuni casi facendo condannare padroni e dirigenti che, pur sapendo della pericolosità di certi materiali, ad esempio l’amianto, hanno condannato a morte intere generazioni di operai. Non possiamo accettare che profitto, bilanci aziendali o dello Stato siano anteposti alla salute ed alla vita umana ma non possiamo neppure acconsentire che tante, troppe vittime e le loro famiglie non abbiano giustizia. Solo partecipando in prima persona, organizzandosi sui propri interessi, a partire dalla salute, è possibile creare, nel Paese, un grande movimento che sappia unificare le lotte operaie e popolari nella battaglia per la difesa della salute, contro lo sfruttamento degli esseri umani. La storia ci mette in relazione diretta con la nostra identità stratificata, ampliando il valore di una memoria collettiva e di uno spirito del tempo che il lavoro degli uomini ci fanno ritrovare ed offrire: esperienze di rara emozione alle persone attratte dall’armonia di un luogo che dialoga con il passato. Oggi, più che mai, le istituzioni devono tutelare la ricchezza delle nostre radici, la politica culturale deve puntare alla valorizzazione del patrimonio storico e di quanti hanno perso la vita per il lavoro. Ai famigliari dei morti sul lavoro a queste persone che vivono il loro quotidiano dolore con composta dignità, vadano le nostre più sentite e sincere condoglianze.

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Non dobbiamo dimenticare che la cronaca quotidiana pone in evidenza che, ancora oggi, per facili guadagni, molte realtà produttive continuano a trasgredire ed a non applicare le elementare norme di sicurezza, senza dimenticare che ci sono poi lavorazioni particolari dove non è possibile esercitare controlli e dove, sistematicamente, si muore ancora per l’insorgere di gravi malattie provocate dai prodotti utilizzati. La tutela della salute e sicurezza nell’ambiente lavorativo, la prevenzione e la gestione dei rischi, sono tutti elementi che devono essere condivisi dalle imprese e dai lavoratori mediante una solida campagna di prevenzione e di alfabetizzazione culturale. Noi chiediamo alle istituzioni ed agli organismi preposti, di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, in modo particolare, per quelli che vengono impiegati in attività più a rischio e connotate da una forte componente manuale ed in assenza di un’ adeguata formazione professionale, in quanto queste categorie, di fatto, sono le più soggette ad infortuni. Occorre inoltre potenziare le attività di controllo e vigilanza. Dobbiamo renderci conto che, per affermare una radicata cultura della sicurezza, non è più sufficiente rafforzare la produzione normativa e consolidare gli strumenti di controllo e repressione, ma è fondamentale, in parallelo, inculcare nel bagaglio culturale di ciascuno di noi l’importanza dei cosiddetti “comportamenti sicuri” e far capire che la cosa più importante che abbiamo a disposizione è la nostra vita. Serve quindi uno sforzo di lungo periodo che, a partire dagli anni della scuola, si muova attraverso una fase di formazione mirata, un veicolo fondamentale di promozione e di comportamenti virtuosi. In questo senso l’A.N.M.I.L., sino dagli anni novanta, è impegnata in un costante lavoro di promozione e testimonianza rivolto alla scuole di ogni ordine e grado. Nel corso di questi ultimi anni, alcuni nostri dirigenti provinciali, hanno incontrato centinaia di ragazzi in diversi scuole, testimoniando il valore e l’importanza della sicurezza sul lavoro, convinti che, far parlare i protagonisti narrando i loro racconti di vita vissuta, rappresenta la via più sicura per superare la tradizionale rassegnazione o, ancora peggio, il formale adempimento delle norme. Come recita l’art.1 della Costituzione, l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Ci entusiasma leggere queste parole perché pensiamo che il lavoro sia proprio l’espressione dell’essere umano: tutto ci viene dal lavoro: dal pane quotidiano, al progresso, alla cultura. Nel lavoro uomini di tutte le razze, religioni, ideologie, lingue, ritrovano la concordia, la fratellanza e la speranza per una vita migliore. Già si dice che: “la speranza è l’ultima a morire” in quanto la speranza è l’ultima risorsa disponibile all’uomo. La “speranza” è lo stato d’animo di chi è fiducioso negli avvenimenti futuri ma non conosce i contorni precisi e le esatte possibilità di riuscita. Secondo la dottrina Cristiana, la “speranza” rappresenta una delle tre virtù teologali, insieme a “fede e carità” e, pertanto, viene definita come “ l’attesa fiduciosa della benedizione divina”. Sono le virtù fondamentali per la salvezza originate direttamente da Dio. Il peccato contro la speranza è la disperazione. Spesse volte l’uomo è disperato, cioè non è più sostenuto da alcuna speranza; in ogni epoca però è possibile scorgere almeno un filo di speranza, non solo per i singoli individui, ma per la società nel suo complesso. Va sicuramente condiviso il concetto dell’importanza e della “gratuità” nello sperare. Questa gratuità è la possibilità per tutti noi di accedervi, materiale non deperibile, che è sempre a nostra disposizione.

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Fanno molta tristezza quelle persone che non sperano più, loro non vogliono guardare dietro le proprie spalle, sperare è anche quello che ci fa ricordare che le migliori possibilità per aiutarci le abbiamo noi, é il pensiero buono verso noi stessi, prima di dormire si può pensare: ce la farò?…. ho fatto tutto il possibile?….. .Sono convinto che domani andrà meglio. La speranza, alla fine, è una forma di vita, con un valore più ampio per cui si dice che finché c’è vita c’è speranza. Sicuramente, mezzo secolo fa, l’uomo era più sensibile al dolore altrui; oggi coi mass - media che ci profilano dei modelli di vita più trasgressivi ed audaci, le morti e gli infortuni sul lavoro non fanno più notizie. In questo mondo attuale, l’uomo è sostanzialmente più distratto e certamente più indifferente; è un solitario, freddo, distante ed estraneo nell’osservare ciò che succede attorno a lui. E’ praticamente impossibile quantificare il dolore che i famigliari provano per la scomparsa di un loro famigliare deceduto sul luogo del lavoro, tanto meno per il lavoratore che si infortuna; la perdita, anche se minima, di una parte del proprio corpo é sempre un forte dolore sia fisico che psichico. Quando rinnoviamo l’amore per i nostri cari che sono morti, noi vinciamo la morte perché rinnoviamo una relazione vitale. Per questo motivo, anche se il cuore è colmo di dolore, non si può non amare la vita, “è il più prezioso bene per ogni essere umano, mai può essere disprezzata, umiliata, mutilata e tanto meno distrutta per il lavoro; dall’ amore scaturisce la vita e la vita desidera e chiede amore”. Occorre allora compiere ogni sforzo perché le tragedie delle morti sul lavoro non si ripetano, o almeno, data l’inevitabilità dell’imprevisto, si riducano al minimo. Ognuno è chiamato a fare la sua parte fino in fondo; gli imprenditori a porre in essere ogni adeguata protezione, i sindacati a impegnarsi strenuamente anche su questo fronte, le istituzioni ad emanare ed aggiornare norme e sanzioni severe, i mass-media a tener vivo nell’opinione pubblica questo tema ed i responsabili della sicurezza a compiere le ispezioni con ogni scrupolo, affinché possa risuonare con più forza il rispetto della dignità umana.

Il 20 maggio 1980 le Poste Italiane, emettono la I° serie del “Lavoro Italiano nel Mondo”

Recupero dei templi di Philae al di sopra del livello delle acque della diga di Assuan, in Egitto

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XÄÉz|É t| ÅÉÇâÅxÇà|XÄÉz|É t| ÅÉÇâÅxÇà|XÄÉz|É t| ÅÉÇâÅxÇà|XÄÉz|É t| ÅÉÇâÅxÇà|

In tutto il mondo esprimono ognuno la propria storia:

libertà, dolore, bellezza e gloria. Dalla stele

scolpita in pietra ad indicarci

le prime civiltà ai monumenti

che rappresentano le vittime del lavoro.

Il dolore la pietà, noi uomini e donne che portiamo i segni

delle nostre menomazioni e delle nostre invalidità,

a nome della associazione A.N.M.I.L.

per non dimenticare doniamo

un fiore, una corona: è un gesto sincero

ai caduti sul lavoro è un’ opera buona.

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`ÉÇâÅxÇà| fàÉÜ|v| Megalito .................................................................................................. pag. 9 Le Epigrafi .............................................................................................. pag. 10 L’uomo nel passato ................................................................................. pag. 11 Obelischi ................................................................................................. pag. 12 Cippo ....................................................................................................... pag. 13 Stele ......................................................................................................... pag. 14 Ara .......................................................................................................... pag. 15

`ÉÇâÅxÇà| t| ÅÉÜà| áâÄ ÄtäÉÜÉ Angera ..................................................................................................... pag. 33 Arsago Seprio ......................................................................................... pag. 36 Besnate .................................................................................................... pag. 39 Busto Arsizio ........................................................................................... pag. 42 Caronno Pertusella ................................................................................. pag. 45 Castiglione Olona ................................................................................... pag. 47 Marnate ................................................................................................... pag. 50 Olgiate Olona ......................................................................................... pag. 54 Saronno ................................................................................................... pag. 57 Somma Lombardo ................................................................................... pag. 60 Taino ....................................................................................................... pag. 62 Tradate .................................................................................................... pag. 64 Varese ..................................................................................................... pag. 67 Vergiate ................................................................................................... pag. 69 AFORISMI SUL “DOLORE” SCRITTI DA FILOSOFI, SCRITTORI, INSEGNANTI, POETI, SCIENZIATI, SOCIOLOGHI, DRAMMATURGHI, POLITICI E COMMEDIOGRAFI. Cleonice Parisi ...................... pag. 30 Arthur Schopenhauer…..pag. 54 Marce Proust ......................... pag. 36 Oscar Wilde……………..pag. 57 Plinio il Vecchio..................... pag. 39 Norbert Elias……………pag. 59 Laura Tangorra ..................... pag. 41 Alessandro Morandotti...pag. 60 Gordon Byron ........................ pag. 42 Lucio Seneca..................pag. 61 Dante Alighieri ...................... pag. 44 Michel Montaigne………pag. 64 Cesare Pavese ...................... pag. 45 William Shakespeare…..pag. 67 Epicuro................................... pag. 47 Gibran Kahlil……………pag. 68 Aristotele ................................ pag. 50 Michel Quoist…………...pag. 72

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