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Capitolo quinto SOLIDARIETÀ, GERARCHIA E DIRITTO La Parentela e i Tribunali Si è visto il sopravvivere per molti secoli in Italia di una classe di contadini liberi, talora piccoli proprietari e altre volte concessionari, parallelamente a complesse gerarchie di proprietari terrieri, alcuni locali, alcuni abitualmente assenti dalle proprie terre, e in gran parte abitanti in città. I1 potere dei proprietari terrieri era considerevole ma non sufficiente a controllare la vita economica dei vari villaggi e parimenti insufficiente a dominarne la vita sociale. E’ facile vedere che gli abitanti liberi di villaggi come Varsi furono completamente indipendenti dalle pressioni esterne, eccetto che per le pubbliche richieste dello stato, quali il servizio nell'esercito. Ma anche gli abitanti di villaggi come Gnignano, ove predominavano i grandi proprietari, non sentirono particolarmente l'influenza dei loro padroni sulla vita quotidiana, in particolare in quanto non vivevano più entro il villaggio. L'aumento del potere economico dei grandi proprietari nei secoli VIII e IX certamente rafforzò l'importanza sociale delle gerarchie e delle signorie, come si vedrà nella seconda parte di questo capitolo. Ma i problemi quotidiani delle comunità contadine, cooperazioni su piccola scala, tensioni, l'eliminazione di differenze, venivano raggiunte in maniere diverse, tramite legami sociali fra eguali e quasi-eguali, in particolare quelli basati su relazioni di parentela e di famiglia. L'intera immagine dello stato carolingio e longobardo si basava sulla importanza dei liberi, specialmente in quanto soldati, ma anche come partecipanti a varie responsabilità e istituzioni pubbliche quali i tribunali. Ciò non impedì agli strati più deboli di venir oppressi da quelli più forti, ma significava che almeno le attività pubbliche erano piuttosto ben documentate, e che i re avevano interesse ai loro destini. Significava anche che, almeno in teoria, i membri liberi della società avevano tutti pressoché lo stesso status, ricchi e poveri. Sebbene ciò non sia mai stato vero in realtà, significa almeno che non si può tracciare una divisione tra gli appartenenti alla società aristocratica e a quella non aristocratica dei secoli VIII e IX; e i tipi di parentela documentati in Italia in questo periodo sembra siano stati caratteristici di tutti i livelli della società libera. Le famiglie aristocratiche avrebbero iniziato solo nell'XI secolo ad assumere caratteristiche anche formalmente diverse, come si vedrà nell'ultimo capitolo. E’ impossibile esser certi che gli uomini non liberi avessero modelli di vita sociale simili. Di rado i documenti in nostro possesso trattano questo aspetto della società; la sua esistenza, e l'entità incerta, devono servire da filtro a tutto ciò che viene esposto in questo capitolo. Comunque ci sono indizi che negli strati non liberi almeno i concessionari, e forse anche gli schiavi domestici, avessero legami sociali non diversi da quelli delle classi inferiori della società libera. In questa parte verranno discussi i più importanti di questi legami sociali, la parentela, oltre ad altri tipi di solidarietà organizzata a livelli meno complessi, il consortium ed il villaggio stesso. In tutte le società tradizionali la parentela è importante, e si suole porla in antitesi sotto questo aspetto alle società moderne, ove le attività pubbliche dei cittadini vengono regolate da leggi e dalle strutture della giustizia. Comunque l'Italia alto medievale era socialmente molto precoce, e l'impatto della legislazione e dell'attività giudiziaria era anch'esso considerevole. Alla fine del presente capitolo verrà trattato questo impatto e alcuni dei contrasti fra legge e solidarietà parentale, cosi come appaiono all'osservatore moderno; gli stessi italiani alto-medievali non sembra siano stati poi tanto turbati da tali contrasti. Une delle più note caratteristiche dei Longobardi è che erano suddivisi in vasti raggruppamenti di parenti, le farae. Alboino invase l'Italia in fara, e quando elevò suo nipote Gisolfo a duca del Friuli gli permise di scegliere le farae da tenere con sé. Paolo chiosa la parola 'cioè, generazione o

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Page 1: Capitolo quinto SOLIDARIETÀ, GERARCHIA E DIRITTO · I toponimi che incorporano tale parola sembra indichino il primo stadio dell'insediamento longobardo, dato che la parola cade

Capitolo quintoSOLIDARIETÀ, GERARCHIA E DIRITTO

La Parentela e i Tribunali

Si è visto il sopravvivere per molti secoli in Italia di una classe di contadini liberi, talora piccoliproprietari e altre volte concessionari, parallelamente a complesse gerarchie di proprietari terrieri,alcuni locali, alcuni abitualmente assenti dalle proprie terre, e in gran parte abitanti in città. I1potere dei proprietari terrieri era considerevole ma non sufficiente a controllare la vita economicadei vari villaggi e parimenti insufficiente a dominarne la vita sociale. E’ facile vedere che gliabitanti liberi di villaggi come Varsi furono completamente indipendenti dalle pressioni esterne,eccetto che per le pubbliche richieste dello stato, quali il servizio nell'esercito. Ma anche gli abitantidi villaggi come Gnignano, ove predominavano i grandi proprietari, non sentirono particolarmentel'influenza dei loro padroni sulla vita quotidiana, in particolare in quanto non vivevano più entro ilvillaggio. L'aumento del potere economico dei grandi proprietari nei secoli VIII e IX certamenterafforzò l'importanza sociale delle gerarchie e delle signorie, come si vedrà nella seconda parte diquesto capitolo. Ma i problemi quotidiani delle comunità contadine, cooperazioni su piccola scala,tensioni, l'eliminazione di differenze, venivano raggiunte in maniere diverse, tramite legami socialifra eguali e quasi-eguali, in particolare quelli basati su relazioni di parentela e di famiglia.

L'intera immagine dello stato carolingio e longobardo si basava sulla importanza dei liberi,specialmente in quanto soldati, ma anche come partecipanti a varie responsabilità e istituzionipubbliche quali i tribunali. Ciò non impedì agli strati più deboli di venir oppressi da quelli più forti,ma significava che almeno le attività pubbliche erano piuttosto ben documentate, e che i re avevanointeresse ai loro destini. Significava anche che, almeno in teoria, i membri liberi della societàavevano tutti pressoché lo stesso status, ricchi e poveri. Sebbene ciò non sia mai stato vero in realtà,significa almeno che non si può tracciare una divisione tra gli appartenenti alla società aristocraticae a quella non aristocratica dei secoli VIII e IX; e i tipi di parentela documentati in Italia in questoperiodo sembra siano stati caratteristici di tutti i livelli della società libera. Le famigliearistocratiche avrebbero iniziato solo nell'XI secolo ad assumere caratteristiche anche formalmentediverse, come si vedrà nell'ultimo capitolo. E’ impossibile esser certi che gli uomini non liberiavessero modelli di vita sociale simili. Di rado i documenti in nostro possesso trattano questoaspetto della società; la sua esistenza, e l'entità incerta, devono servire da filtro a tutto ciò che vieneesposto in questo capitolo. Comunque ci sono indizi che negli strati non liberi almeno iconcessionari, e forse anche gli schiavi domestici, avessero legami sociali non diversi da quelli delleclassi inferiori della società libera.

In questa parte verranno discussi i più importanti di questi legami sociali, la parentela, oltre ad altritipi di solidarietà organizzata a livelli meno complessi, il consortium ed il villaggio stesso. In tuttele società tradizionali la parentela è importante, e si suole porla in antitesi sotto questo aspetto allesocietà moderne, ove le attività pubbliche dei cittadini vengono regolate da leggi e dalle strutturedella giustizia. Comunque l'Italia alto medievale era socialmente molto precoce, e l'impatto dellalegislazione e dell'attività giudiziaria era anch'esso considerevole. Alla fine del presente capitoloverrà trattato questo impatto e alcuni dei contrasti fra legge e solidarietà parentale, cosi comeappaiono all'osservatore moderno; gli stessi italiani alto-medievali non sembra siano stati poi tantoturbati da tali contrasti.

Une delle più note caratteristiche dei Longobardi è che erano suddivisi in vasti raggruppamenti diparenti, le farae. Alboino invase l'Italia in fara, e quando elevò suo nipote Gisolfo a duca del Friuligli permise di scegliere le farae da tenere con sé. Paolo chiosa la parola 'cioè, generazione o

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lignaggio', ed il termine 'lignaggio' è forse la traduzione migliore. I toponimi che incorporano taleparola sembra indichino il primo stadio dell'insediamento longobardo, dato che la parola cade indisuso dopo un'unica citazione nel codice di Rotari. Una di queste, negli Appennini abruzzesi, è lasuggestiva 'Fara filiorum Petri', un nome già latinizzato di lignaggio, che giunge in questa formafino ai giorni nostri. Gregorio Magno fece riferimento a gruppi dell'esercito longobardo (di fattomercenari bizantini) chiamati Grisingi e Gaugingi, e anche questi possono essere nomi di farae inquesto caso non del tutto latinizzati; -ing è un comune suffisso germanico occidentale, spesso usatocome segno distintivo di una stirpe. Rimane sfortunatamente oscuro cosa esattamente significassefarae, o quale ne fosse la consistenza. Ciò che successe alla farae è altrettanto oscuro. Come sidisse, Rotari usò la parola una sola volta, quando fece riferimento al diritto di un uomo di 'migrare'in un'altra parte del regno con la sua fara. Altrimenti, si riferì alla 'stirpe' (parentilla) intendendo ungruppo di persone rispetto al quale un longobardo avrebbe potuto far valere diritti ereditari, fin tantoche fosse l'erede più vicino e potesse dar nome a tutti i suoi parenti intermedi1. La parentilla eravasta, si estendeva per sette generazioni, ma sembra non abbia avuto alcuna funzione reale. Comecorpi effettivi, Rotari faceva riferimento a gruppi più piccoli di parentela (parentes) che si riunivanoper attività legali o quasi legali, per prestare garanzia, per giuramenti purgatori (il giuramentoformale a favore del buon nome e dell'innocenza di un uomo accusato), e per faide.

La faida non veniva considerata dagli abitanti dell'Europa altomedievale, anche dai re, un processodi degrado quale talvolta è stato severamente giudicato dagli storici moderni. E’ regolata e le èinsita la tendenza a ristabilire la pace, in quanto la gente coinvolta volente o nolente nella contesa,spesso con legami con ambo le parti, in genere non vuole dedicare la maggior parte del suo tempoal combattere. In tutte le società le faide famose che durano a lungo sono atipiche per definizione,infatti attirano l'attenzione di tutti proprio perché non vengono risolte. Ciò è in genere possibile soloin casi di antagonismo e gravità eccezionali, e di solito anche quando i partecipanti vivonoabbastanza lontani gli uni dagli altri da poter evitare il contatto sociale, o in luoghi che presentanocomplessità sociale, come le città; le grandi faide italiane sono state quasi tutte urbane (si pensi aMontecchi e Capuleti). La falda può verificarsi in molte comunità tradizionali e su piccola scala, edil Mediterraneo è sempre stato sotto questo profilo una zona calda. I1 sorgere potenziale della faidasottende tutti gli interessi contadini tradizionali per la solidarietà e la pace familiare2.

Anche i re longobardi davano valore alla pace, tuttavia non consideravano la violenza, se non entrola corte del re, offensiva dei principi della società civile. Essi tentarono di limitare l'accadere dellefaide, di prevenirne il sorgere ad ogni banalità, Rotari aumentò l'indennità di danni, per rendere piùonorevole la sua accettazione, aumentando così le possibilità della soluzione della lite stessa. Maquesta era parte del costume longobardo, e i diritti fondamentali di ogni longobardo di aderirvi nonpotevano essere negati. Si è visto che Liutprando mantenne il duello (che di per sé, per lo più, è unaversione rituale e limitata della faida), malgrado i suoi dubbi che esso fosse uno strumento digiustizia, ed i Carolingi persino ne aumentarono leggermente l'importanza. Tuttavia è ironia che siapprenda la maggior parte di quanto se ne sa dalla legislazione delle corti reali che guida e limita lemodalità delle faide. Le fonti sono poche e a parte racconti occasionali di vendetta in PaoloDiacono, Liutprando di Cremona, o specialmente nel Chronicon Salernitanum, non si ha traccia dicontese importanti fino alle cronache del periodo dei comuni ed oltre. Tuttavia l'esistenza dellacontesa e la sua legittimità viene affermata in tutte le fonti che la citano.

1 Mario d'Avenches, Chronicon (MGH A.A. II, s.a. 569, Paolo, H.L., 2. 9; Rotari 153, 177. In opposizione a S.M.C., pp.39-40n., cfr. H.H. Meinhard, The patr linear principle in early Teutonic Kingship, Studies in Social Anthropology, acura dt J. Beattie, R.G. Lienhardt (Oxford, 1975), pp. 23-6.

2 M. Gluckman, op. cit., capitolo primo; J.M. Wallace-Hadrill, The LongHaired Kings (Londra, 1962), pp. 121-47; cfr.M. Hasluck, The Unwritten Law in Albania (Cambridge, 1954) per alcuni esempi, e E. Gellner, Saints of the Atlas(Londra, 1969), pp. 104-25, per giuramenti.

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La struttura del gruppo familiare nella società longobarda era patrilineare, i cosidetti legami'agnatici'. Quando una figlia si sposava, si sposava entrando in una nuova famiglia (Liutprandometteva in guardia contro il matrimonio in una famiglia con la quale si fosse in lotta) e si dovevapensare a particolari misure precauzionali per evitarne lo sfruttamento. Se dopo il matrimonio ladonna avesse venduto terreni, la sua stessa famiglia d'origine avrebbe dovuto testimoniare che loaveva fatto di sua volontà, liberamente, e che non vi era stata costretta dal marito e dalla famiglia diquesti; documenti simili sono comuni nell'X secolo. Questo sistema di discendenza per lineamaschile contribuì alla definizione delle famiglie, in quanto l'uomo o la donna potevano esseremembri di un solo gruppo familiare; esso era strettamente connesso all'eredità. Quando un uomoaveva bisogno che la sua parentela giurasse per lui in una cerimonia di giuramento purgatorio,doveva presentare i membri del suo casato nell'ordine della successione, facendoli venire, senecessario, da ogni parte del regno. Anche nella faida, l'unico uomo che aveva diritto di vendicareun uomo morto era il figlio, sebbene nel caso non avesse figli ma solo figlie il diritto passasse ad ungruppo meno definito di propinqui o proximi parentes, parenti stretti. La contesa, essendo per naturaun fatto più spontaneo, non poteva essere controllata in modo severo quanto il giuramento rituale3.

Queste erano norme longobarde, in quanto facevano parte del diritto longobardo; anche i romaniavevano un sistema patrilineare, ma la legge dell'Impero non riconosceva risoluzioni private comela faida. Tuttavia vi sono tracce che i Romani almeno sentissero la necessità di vendicare la morte diun congiunto. I1 manuale giuridico dell'Italia del VIl secolo, la Summa Perusina, affermaesplicitamente « se avete vendicato la morte di un congiunto, ne diventerete erede ». Forse questotesto riflette le usanze di Roma sotto l'Esarcato4. Nell'Italia longobarda, si possono fare solo ipotesi.Si è visto che i Romani nell'Italia longobarda avevano fatto propri elementi della solidarietà digruppo longobarda quali il launigild, che con 1'XI secolo divenne parte della legge territoriale delregno longobardo; non è improbabile abbiano riconosciuto anche la`faida, anche se non ci èpossibile dimostrarlo.

In questo mondo le donne avevano una posizione pubblica di poco conto. I Longobardi (adifferenza dei Romani) le consideravano sempre soggette all'uomo dalla nascita alla morte; alpadre, al fratello, al marito e al figlio a seconda dei casi. Raramente potevano possedere terreni, senon come eredi o vedove, e anche in questi casi il loro controllo era limitato per legge. Le unichedonne longobarde legalmente indipendenti erano le badesse dei conventi, forse poiché avevanoassunto parte della legge romana nei loro voti. L'Italia dell'alto medioevo non fu probabilmente maiparticolarmente piacevole per le donne. Solo occasionalmente, nella nobiltà più alta, alcune donnedotate di carattere eccezionalmente forte riuscirono ad assumere qualche carica politica, specie inperiodi d'instabilità. In genere erano le vedove di uomini importanti senza eredi adulti comeTeodolinda fra i Longobardi, e più occasionalmente mogli influenti di uomini in vita, comeAngilberga, moglie di Lodovico II. Il X secolo vide molte di queste figure: Berta, vedova diAdalberto II di Toscana, Ermengarda, vedova di Adalberto d'Ivrea, Villa, moglie di Berengariod'Ivrea, e più notevole di ogni altra, Marozia, che governò Roma dal 928 al 932. In modosignificativo, Liutprando di Cremona, il loro cronista, non volle trovare altra spiegazione della loroimportanza se non estrema licenziosità, unico motivo cui potesse pensare per spiegare il loroincomprensibile controllo sull'uomo; il loro potere metteva in crisi l'intera sua immagine delmondo5:E meglio vedere in loro il punto focale della continuità dinastica (come eredi, o custodi difigli piccoli) in un secolo nel quale diventava sempre più importante per l'aristocrazia la 3 Lineprando 13, 22, 61, 119.4 Summa Perusina, 6. 35. 10 a cura di F. Patetta (Roma, 1900), cfr. P.S. Letcht, Vindictam facere, « Scritte Varie », II, 2(Milano, 1949), pp. 363-6.5 Liutprando, Antap., 2. 48, 55-6; 3. 7-8, 445; 5. 32.

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consapevolezza della discendenza. Tuttavia esse erano atipiche. Per noi la maggior parte delledonne sono soltanto nomi, nominali padrone di terre alienate dagli uomini delle loro famiglie, o lecontroparti con le quali gruppi di famiglie avevano fatto alleanze per mezzo di matrimoni. Non ènoto cosa in realtà facessero o pensassero.

La base della solidarietà parentale fu senza dubbio la cooperazione nelle attività economiche. ilmolto più probabile che si volesse vendicare la morte di un proprio cugino se lo si aiutava a potarele viti e se lui aiutava a raccogliere le olive. Finora abbiamo considerato la teoria della faidaall'interno della parentela ma la faida è rara. Ben più comune è la cooperazione economica, e questaè meglio documentata. Quando Lopichis, il bisnonno di Paolo Diacono, unico di tutti i suoi fratelli,scappò dalla prigionia dopo un'incursione avara e tornò (con l'aiuto di un lupo addomesticato) allasua casa distrutta, la ricostruì con regali della sua gente (consanguineorum et amicorum). Questo erauno dei compiti della parentela6. Si è già vista la frammentazione della terra in Italia causata dallesuddivisioni ereditarie. Era ed è tipico dei proprietari dividere ogni zolla fra i propri figli (le figliericevevano in eredità terreni solo se non vi erano figli maschi). Ma l'altra faccia della medaglia èche non era previsto che tali eredi coltivassero le terre separatamente, almeno per una generazione,e talvolta anche di più. Infatti non sempre era necessario dividere la terra immediatamente allamorte del padre; parecchie leggi longobarde trattano le norme che stanno alla base della proprietàcomune fra fratelli. Nel periodo longobardo, questa indivisione permaneva solo, nella maggior partedei casi, fino alla morte di uno dei fratelli o fino a che questi non volessero separarsi in modo piùformale.

Tuttavia, coi secoli X e XI, erano ancora più comuni i terreni indivisi fra cugini e talora parentianche più lontani. Non suddividere almeno posponeva la necessità di determinare parti giuste,operazione suscettibile di generare acredine, e sempre complessa. Un documento lucchese del 762elenca parte del processo col quale il vescovo Peredeo alla morte del fratello divise le proprietà diquesti con il nipote Sunderad; circa trenta appezzamenti vengono accuratamente scorporati e riuniti,e ciò era solo parte della loro proprietà fondiaria. Ma per separare totalmente i beni di Peredeo daquelli di Sunderad sarebbe stato necessario scambiare le terre, per avere blocchi indipendenti diproprietà, cosa che certamente i due eredi non riuscirono a fare. Tali scambi sono in effetti ben rarinei documenti italiani. Un primo esempio si ha nella zona collinare sopra Parma, nell'alta valle diVarsi, nel 770, quando Audeperto, figlio di Auderat diede la sua proprietà in un villaggio in cambiodi quella di suo zio e dei suoi cugini posta in un altro villaggio. Sembra che Audeperto si siaseparato dalla sua gente, almeno in senso fisico. Comunque è forse più interessante il fatto che isuoi parenti, Artemio e i nipoti Rodeperto, Gumperto, Asstruda e Paltruda, mantenessero le proprieterre ancora indivise; qui l'eccezione era Audeperto. Stiamo trattando due diversi livelli sociali, inquanto Peredeo e Sunderad erano aristocratici importanti, mentre Artemio e Audeperto erano nonpiù che proprietari terrieri di scarsa importanza, e forse contadini proprietari, ma il problema didivisione e cooperazione era lo stesso7.

La parentela era la forma più comune di solidarietà orizzontale, non tuttavia l'unica. Gli schiavi, adesempio, venivano considerati dalla legge come privi di parentela, e quando furono liberati inmassa, i gruppi di colliberti che ne derivarono venivano considerati come aventi gli stessi obblighidi un gruppo di parenti. Tuttavia anche gli schiavi avevano talvolta qualche parente individuabile.In merito esistono ancora due testi notevoli di Arezzo, della fine dell'XI secolo, che elencano alcunidegli schiavi domestici (compresa una famiglia di cuochi) del monastero di S. Fiora e S. Lucilla, edin particolare cinque generazioni di discendenti di un certo Pietro, vivente attorno al 950, tramite lesue tre figlie, Lucica, Gumpiza, e Dominica, che sono descritte come tutte unite da parentela 6 Paolo, H.L., 4. 37.7 Rotari 167, Liutprando 70; Schiaparelli, 161 (cfr. 154), 249; cfr. J. Davis, Land and Family in Pisticci (Londra, 1973),pp. 107-45.

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(propinquitate). Cinque generazioni costituiscono una parentela vasta sotto qualsiasi aspetto, e sorgeil sospetto che le dimensioni di tale parentela siano proprio il risultato delle documentazioni diproprietà del monastero; ma quando un membro dell'ultima generazione, Giovanni figlio diRusticello, reclamò la libertà in un pubblico tribunale nel 1080 (senza successo), furono presentianche i suoi parenti servi. La maggior parte dei legami in queste genealogie di schiavi eranoindividuati per discendenza maschile; la struttura del gruppo era identica a quella degli uominiliberi. Non mancavano neanche i legami fra gli schiavi domestici e i liberi. Uno o due uomini liberisi sposarono all'interno delle famiglie servili (alcuni schiavi, infatti, erano stati una volta liberi, ederano schiavi soltanto in quanto non potevano pagare le penalità stabilite dalla legge per assassinioe furto; potevano avere anche parenti liberi). Per quanto ne so, questi testi sono unici, e gettano unaluce su qualcosa che altrimenti è del tutto oscuro. Ma è improbabile che la` situazione sulla qualefanno luce non avesse rispondenza altrove8.

Per lo più ci si riferisce in modo generico ad altri gruppi collettivi col termine consortes o consortia.Consors nel latino classico significava 'socio' o 'comproprietario', spesso 'co-erede', e questeaccezioni costituiscono la base del suo significato nell'Italia alto-medievale, come altrove inEuropa, con diverse sfumature in contesti diversi. Nell'Italia dell'VIII secolo significava raramente'parente' o 'co-erede', e in genere definiva il socio non parente in una attività economica. Ma neisecoli seguenti la differenza fra parenti e consortes diminui, e spesso ci si riferisce a parenti e aeredi col termine di consortes. I1 significato della parola, tuttavia, verteva ancora sulla comproprietào sull'uso cooperativo della proprietà, mantenendo anche il suo significato di 'cooperazione fra nonparenti'. il in questo contesto che ci si riferisce talvolta ai membri della comunità del villaggio coltermine consortes. Si è visto nel precedente capitolo che i villaggi che si univano in azionecollettiva erano in genere posti in zone marginali, con qualche attività economica cooperativa comebase della loro attività, quale la pastorizia. Gli uomini di Limonta si autodefinivano consortes, maqui probabilmente la base economica era l'essere tutti sottomessi al monastero di S. Ambrogio. Unesempio in cui emerge l'attività collettiva di tutto un villaggio o area si ha in un caso giudiziariodell'824, quando i consortes di Flexum, senza successo, contestarono al monastero di Nonantola idiritti di pesca e pastorizia nelle vicinanze del loro territorio, anche se questi diritti erano statigarantiti al villaggio dal re Liutprando. Flexum si trovava nelle paludi del Po, ed i suoi abitantierano ancora piccoli proprietari, che lottavano per mantenersi indipendenti dalle violazionimonastiche. E’ del tutto possibile che in tali zone la solidarietà del villaggio fosse più importantedella parentela, o almeno avesse pari importanza, e, per contro, I'assenza di una comunità divillaggio potente in zone abitate fosse uno degli elementi che in Italia dava alla forza della parentelala sua ragione d'essere, dato che era l'unico principio di organizzazione esistente. Di certo gli 'eredie consortes' presenti negli atti dei secoli X e XI altrove in Italia erano piuttosto diversi dai consortesdi Flexum. Tali consortes erano, per la maggior parte, estensioni del gruppo familiare,modificazioni più o meno artificiali della sua estensione. Quando nell'XI secolo e successivamente,le famiglie aristocratiche instaurarono relazioni contrattuali all'interno del gruppo familiare persalvaguardare i nuclei territoriali ed alcune forme di attività economica collettiva, queste relazionifurono conosciute anche come consortia. La loro esistenza fa notare come permanga importante larelazione di parentela come principio organizzativo di quasi tutta la società9.

La legislazione reale mostra che i re vedevano nella faida e nel giuramento purgatorio espressionivalide della legge, ricorsi informali basati non sulla presentazione formale di prove e decisioni digiudici, ma sul confronto di gruppi familiari e su accordi circa la determinazione dellecompensazioni. La faida e i fatti ad essa analoghi sono tradizionalmente legati ai crimini di violenzae onore. I casi giudiziari che si conoscono, tuttavia, per lo più ebbero per oggetto la terra e lo status

8 Pasqui, Arezzo, cit., 292-3, 240.9 G. Salvioli, Consortes e colliberti (B4); Manaresi, 36.

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legale. Raramente erano associati a qualche compromesso e mediazione che si possa collegare allafaida. Alcuni esempi dovrebbero darcene l'idea.

Nel 762 Alperto di Pisa e sua cognata Rodtruda (che aveva come procuratore Tasso) comparvero altribunale reale di Pavia. Tasso affermò che Alperto illegalmente occupava la terra del suo defuntofratello Auriperto, che l'aveva lasciata in testamento alla Chiesa. In risposta a ciò Alperto mostrò ilsuo contratto, nel quale Auriperto e lui si erano accordati di nominarsi vicendevolmente eredi nelcaso uno di loro morisse senza prole, come era accaduto ad Auriperto. Tasso rispose affermando, inprimo luogo, che l'atto era solo una copia, e quindi priva di valore legale; in secondo luogo, che nonera concorde con i tipi di donazione previsti dalla settantatreesima legge di Liutprando; in terzoluogo, mostrò un altro atto (anch'esso copia) col quale Auriperto aveva lasciato le sue terre pertestamento alla Chiesa, inficiando cosi il primo atto. Alperto chiese con sorpresa evidente: « Ma,Tasso, se la mia copia non ha valore, com'è possibile che la vostra ne abbia? ». Tasso, con gestoteatrale, comunicò che il suo atto era stato controfirmato da re Astolfo, e quindi aveva pieno valore.Alperto perse la causa10.

Ad un certo punto durante il regno di Liutprando, a Como o nelle vicinanze, Lucio si presentò intribunale reclamando il riconoscimento legale della sua libertà che era stata posta in discussione(con violenza) da parte di Totone di Campione. Lucio esibì l'atto in suo possesso fatto al tempo diCuniperto, che dimostrava che era stato messo in libertà dai parenti di Totone col rituale del giroattorno ad un altare di chiesa. Ma questo rituale ebbe validità legale solo dal 721, con laventitreesima legge di Liutprando; quindi l'atto che era antecedente alla legge decadde. Lucio nonpoté neppure dimostrare di essere stato ritenuto Libero per i trent'anni precedenti il caso giudiziario,(il pagamento del suo affitto e i suoi obblighi in lavoro avrebbero potuto essere stati effettuati sia daschiavi che da uomini liberi). Quindi il suo diritto decadde, in quanto la trentennale rinunciaannullava la pretesa di un uomo di avvalersi degli effetti di tale diritto11

Talora, quando non si avevano testimonianze scritte, la corte poteva avvalersi di testimonianzeorali; se ne è visto l'esempio nel capitolo quarto, nei casi fra proprietari e concessionari, alcuni deiquali trattano istanze nelle quali le chiese richiedevano testimonianze in aggiunta ad atti, erendevano gli atti privi di valore quando si riscontrava la morte dei testimoni. Un caso di minoreingiustizia è forse quello di Gundi, moglie di Sisenando, un franco che nell'873 viveva nell'Abruzzoorientale. I1 legale imperiale Maione affermò ch'ella aveva preso i voti dopo la morte del primomarito, contrariamente alla deposizione di Sisenando che aveva affermato di averla sposatalegittimamente. Maione trovò un vescovo ed altri quindici testimoni che giurarono che ella si erafatta suora; sia lei che la sua proprietà furono assoggettate a confisca da parte dello stato. Talorasorgevano problemi legali più sottili. Nel 912 Ageltruda vedova dell'imperatore Guido richiese larestituzione di terre che aveva dato alla Chiesa in un atto ancora esistente, contro le proteste delvescovo di Piacenza, che accusava la falsità dell'atto. Riuscì a dimostrare ciò non sulla base dellasua inautenticità, ma dimostrando che la chiesa beneficiata, S. Croce e S. Bartolomeo in Persico,non era mai stata costruita, e così l'atto perse valore12.

L'elenco potrebbe continuare. Quasi tutti i casi giudiziari sono interessanti ed illuminanti. Ce nesono circa dodici del periodo longobardo, e qualcosa come 260 nella raccolta di placiti di CesareManaresi, casi giudiziari regi, del periodo fra il 774 e il 1000; Manaresi ne saltò parecchi, e neescluse un gran numero in quanto non furono oggetto di giudizio da parte di funzionari del re.Hanno tutti stile diverso, almeno fino a che si precisano le procedure rituali ed i metodi diarchiviazione dei casi verso 1'880, ma si assomigliano in un punto molto importante: la 10 Schiaparelli, 163.11 Schiaparelli, 81.12 Manaresi, 76 (cfr. 82, 84), 124.

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preoccupazione per la lettera della legge, e per il significato letterale dell'atto, quando ciò non fossein contrasto con la legge. Da ciò è chiaro che non avevano molto a che fare con la faida. Faide etestimonianze giurate forse non ricorrevano tanto negli atti scritti; e spesso non interessavano lechiese, archivi principali dei documenti. E, come si disse, il tipo di diatriba che ci viene tramandatoper iscritto sotto forma di casi giudiziari non è tanto quello che avrebbe generato la faida. Non ve nesono per furto o per atti violenti, malgrado l'attenzione che venne data a questi fatti nel codicelongobardo. Una piccola percentuale fa vedere la Chiesa che esercita i suoi diritti di giudicare i reaticarnali dei suoi chierici. Un gruppo un po' più grande è costituito da dispute inerenti lo status,dispute che abbiamo esaminato nel precedente capitolo. Tuttavia, la gran parte dei casi che ci sonogiunti è relativa ai terreni. Dopo tutto la terra è oggetto della maggior parte degli atti scritti.Certamente Rotari capì che il giuramento purgatorio poteva essere usato nelle dispute relative allaproprietà, come infatti spesso capitava nei casi giudiziari dell'Europa del Nord e soprattuttonell'Inghilterra anglo-sassone. Ma già permetteva che un documento potesse essere usato comeprova prima facie per dimostrare l'esistenza di una vendita controversa di un terreno, se esisteva unsimile documento (i contratti erano molto meno comuni nel VII secolo). Nel 746 Rachi diede a ciòmaggior forza. I venditori in malafede erano pronti a giurare che non era stato loro pagato l'interoprezzo di una vendita, anche se questa aveva dato origine ad un contratto: « ciò sembra a noi e ainostri giudici severo; ...con tale giuramento possono toglierci qualsiasi cosa ». Quindi nessungiuramento poteva inficiare un contratto steso in modo corretto13.

La testimonianza scritta era la base della maggior parte dei casi giudiziari. Il suo corollario era ilprevalere della legge scritta. Rotari, come altrove i legislatori germanici, dava forma scritta alleconsuetudini (talvolta aggiornandole); quantunque a differenza di molti altri tentasse di metterletutte per iscritto, in 388 capitoli. I1 suo tentativo è alla base di tutte le legislazioni successive,direttamente fino al Liber Papiensis dell'inizio dell'XI secolo, compilazione della scuola di legge diPavia di tutte le leggi reali longobarde e post-longobarde, con chiose globali, rimandi, ed esempi dicasi tipici, un lavoro notevole e sofisticato, e modello del ripristino, un secolo più tardi, del dirittoromano e canonico. La legge reale scritta sempre più veniva considerata suprema in ogni campo.Liutprando permise che nei contratti la legge scritta fosse superata solo con l'accordo delle dueparti—e da ciò escludeva la legge sull'eredità. Lodovico II asserì categoricamente: « nessunodovrebbe osare giudicare solo con la propria volontà, ma dovrebbe mettere in pratica nella manierapiù ampia la legge scritta. Ciò che non è oggetto di legge scritta dovrebbe venirci sottoposto per unanostra decisione ». Nella maggior parte dei paesi la legge medievale evolveva lentamente, dallapubblicazione regia di consuetudini tradizionali si giungeva alla volontà del re di prevalere sopraogni legge. Comunque in Italia, poco più di due secoli dopo Rotari, tutte le leggi avevano assuntoforma scritta, almeno agli occhi dei re14.

Queste, ovviamente, erano le pretese dei re, ma sembra siano state largamente rispettate da Italici-Longobardi, Romani e Franchi. L'ampiezza del rispetto fa notare la forza dell'egemonia dello statoin Italia. Ciò, forse, richiede anche qualche spiegazione, in quanto l'Italia fu certamente unicanell'Europa occidentale per forza e diffusione della legge scritta nei secoli VIII e IX.

I1 punto fondamentale qui importante è l'alta percentuale degli abitanti del regno d'Italia, almenoquelli appartenenti alle classi più alte, che possono essere definiti colti. Per loro legge scritta esignificato letterale degli atti avevano un significato ben preciso. Ce lo si può aspettare dal clero edalle classi professionali cittadine: scrivani, notai, avvocati, medici, ma lo si riscontra anche frauomini comuni, specie dopo l'inizio del IX secolo. La testimonianza ci viene dalla percentuale di 13 Rotari 359, 227, Rachi 814 Liutprando 91, MGH Capitularia, II, 219 c. 5. Per alcune implicazioni: cfr.,per esempio, L. Nader, Law and Culture in Society (Chicago, 1969), pp. 69-91Per alcuni paralleli: cfr. C.P. Wormald, Lex Scripta and Verbam Regis (A4).

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persone che come testimoni firmarono, anziché porre una croce in calce agli atti. Negli atti di Luccadei secoli VIII e IX, la percentuale delle firme aumenta fino a livelli notevoli. Nel decennio dopo il760, la prima decade durante la quale gli atti diventarono numerosi, il 47 per cento dei testimoni giàapponeva la propria firma; questa percentuale attorno all'820 era salita al 62% e con 1'ultima decadedel secolo era già giunta all'83%. Clero e professionisti attorno al 760 firmavano già per il 69%;attorno all'890 questo dato era salito al 100%. Anche la gente comune, quantunque mostri unapercentuale dell'11 per cento attorno al 760, raggiunse il 7796 attorno all'89015. Solo persone di unacerta levatura testimoniavano negli atti, e questi dati possono essere assunti come significativi soloper gli uomini della classe dei proprietari terrieri, ma per quelle classi i dati sono decisamente alti, e,in quel momento, ben più alti che altrove in occidente. Inoltre l'aumento nel secolo IX deve fornirequalche indicazione dell'effetto pratico che l'interesse della Rinascenza Carolingia per l'istruzioneebbe in Italia sulle classi superiori urbanizzate. Essere capaci di firmare col proprio nome eaggiungere una breve formula di testimonianza non è, ovviamente, un criterio molto selettivo dialfabetismo. In alcuni contesti oggi (ove la capacità di apporre una firma è il requisito essenziale peraccedere a molti lavori) non sempre comprova la capacità di leggere. Ma nel secolo IX, quando ilconcetto d'istruzione era totalmente diverso, la capacità di scrivere deve per lo meno implicare lacomprensione del significato di legge scritta e testimonianze scritte, anche se tale persona'funzionalmente alfabeta' non era in grado di leggere speditamente, per non parlare poi di leggereVirgilio per diletto. In effetti, alcune persone d'eccezione lo potevano fare. Everando del Friuli,morto nell'866, con testamento divise la sua biblioteca fra i propri figli. Possedeva oltre cinquantalibri: bibbie, vangeli, opere liturgiche; il commentario di Agostino ad Ezechiele, i suoi sermoni, laCittà di Dio; le vite di Martino di Tours, gli scritti dei Padri Orientali e di Apollonio; opere diIsidoro, Fulgenzio, Martino di Braga, Basilio di Cesarea, Orosio; due trattati sui principi, del IXsecolo, le Gesta regnum francorum, il Liber Pontificalis, un bestiario, la cosmografia di Aethicus,De Retus Bellicis, e sette codici di leggi, quelli dei Franchi salici e ripuari, degli Alemanni, deiBavaresi, dei Longobardi, e i codici romani di Teodosio II e Alarico. Pochi proprietari terrieri, se vene furono, avrebbero pensato di imitare Everardo, ma la Rinascenza Carolingia ebbe anche su diloro qualche effetto, svolgendo il ruolo lento ma utilissimo di promotrice di una qualche formad'istruzione16.

Il fatto che i testi scritti avessero un qualche significato e una qualche utilità per gli Italiani èampiamente dimostrato dal numero di atti tuttora esistenti: varie centinaia nell'VIII secolo, per lopiù originali; parecchie migliaia nel secolo IX. La legge era considerata parte integrante di tali testi.Non di rado, chi stendeva gli atti (o gli scrivani) mostra di conoscere i termini specifici delle leggi:parecchie formule comuni negli atti italiani citano la specifica legge cui l'atto fa riferimento. In unatto della zona di Pistoia dell'880, la suora Roteruda, facendo una donazione legalmente dubbia adun certo Vidulprando, cita parola per parola tutta la centounesima legge di Liutprando. In genere,gli atti non sembra potessero prevedere procedure non ancora sancite dalla legge. Si è visto reLiutprando districarsi nella sua legge per legittimare le donazioni alla Chiesa nel 713, la serie degliatti in nostro possesso praticamente inizia da tale data. Nella classe dei proprietari terrieri almeno,fu molto forte l'influenza del diritto reale e della legislazione17.

Questi comportamenti certamente derivavano dalle tradizioni romane così come l'uso di una ampialegislazione e dell'atto scritto. Si è visto come l'influsso romano agisse sul contenuto di alcuni

15 Da Batsocchini. Gli esempi si riferiscono in ciascun caso a più di 300 testimoni riguardanti una sessantina di atti.

16 Per il testamento di Everardo P. Riché, Les bibliotbèques de trois aristocrates laies carolingiens, «Moyen Age», LXIX(1963), pp. 96-101. Cfr. D.A. sullough, Le scuole cattedrali e la cultura dell'ltalia settentrionale (B6-c).17 F. Brunetti, Codice Diplomatico Toscano, II, n. 1 (Firenze, 1833), erroneamente datato 774; F. sinatti d'Amico,L'applicazione dell'Edictum... in Tuscia, 5° Congresso, cit., pp. 745~81.

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aspetti della legge longobarda, in particolare la legge sulla proprietà. L'osservanza della legge scrittae una regolamentazione delle testimonianze discendevano parimenti da Roma, tuttavia il solorispetto non bastava a ricreare la forza enorme del sistema giuridico tardo-romano, basato suatteggiamenti nei confronti della legge che riconfermeremmo oggi: la differenza fra penale e civile,il fine disinteressato della decisione del giudice (con possibilità di appello) oltre a procedure inteoria meno familiari, quali la tortura sistematica dei testimoni. Lo stato era a quest'epocalongobardo e franco-longobardo, e i Longobardi, sebbene acculturati e sofisticati, erano ancora unpopolo germanico, che non aveva interesse a ristabilire l'apparato coercitivo dello stato tardo-romano, essenziale per il funzionamento della legge tardo-romana. E’ a questo punto che lasopravvivenza apparentemente contraddittoria della faida diventa spiegabile. I procedimenti formaliderivanti dal periodo romano erano limitati ad ambiti specifici della legge che si sono già esaminati:proprietà e status. In altri ambiti, particolarmente ove una parte cercava soddisfazione per un tortosubito per violenza, furto o insulto, si usavano i metodi tradizionali della comunità germanica, chedifficilmente facevano ricorso allo stato. La mescolanza di procedura formale ed informale, diprova e compurgazione, forse è meglio evidenziabile in una legge di Lodovico II contro lecospirazioni in latrocini, che appartiene alle disposizioni generali per ristabilire l'ordine pubbliconell'850. Se qualcuno era sospettato o correva voce facesse parte di una cospirazione, potevadiscolparsi col giuramento purgatorio di dodici uomini, e nel caso non potesse, doveva sottomettersialla penalità prevista (si trattava normalmente di una transazione, metà andava alla vittima e metàallo stato). Tutta la popolazione locale doveva, se ne era in possesso, fornire le prove al tribunale inun interrogatorio sotto giuramento18. Lo stato interveniva per eliminare l'illegalità in una zona; matutti gli abitanti del luogo sospetti dovevano ancora all'interno della comunità sottoporsi agli usualiprocedimenti del giuramento purgatorio, e l'unico cambiamento operato da Lodovico in questocampo fu la possibilità di raddoppiare i testimoni giurati necessari all'accusato per farsi dichiarareinnocente. Questo è il metodo che Lodovico ritenne necessario per risolvere ciò che chiaramente eraun grave problema sociale, e avrebbe potuto funzionare; il problema non si ripresentò nelle sueleggi successive. Forse una società transalpina sarebbe ricorsa a ordalie per integrare le accuse dellacomunità. Lodovico invece fece ricorso ad una inquisizione, una sorta di raccolta dei fatti, simile alGrand Jury inglese e americano; le ordalie in Italia erano piuttosto rare, a parte i duelli.

Quando sull'appoggio di leggi scritte intervenivano i re, essi avevano il problema di assicurarsi chelo stato avesse la forza d'imporre i giudizi che non erano accettati dalla parte perdente, in particolarequando chi soccombeva era persona influente e potente. (Quante volte i giudici abbiano emessogiudizi contrari a persone potenti è, forse, un altro discorso, di certo i re dovevano legiferare troppospesso contro sentenze corrotte o interessate per dimostrare che lo stato era decisamente efficace).Non è facile capire con quali mezzi lo stato riuscisse a fare ciò. I casi giudiziari di cui ci sono giuntigli atti presentano soltanto i giudizi, e non ci dicono come (e se) furono messi in pratica. Forse èsignificativo che nei nostri testi gli unici gruppi che contestarono e protestarono contro le decisionidei tribunali sono alcuni contadini che persero cause inerenti il loro status e i loro diritti;appartenevano a gruppi sociali che erano stati esclusi dall'assetto politico longobardo-carolingio.Nella classe dei proprietari terrieri non sembra che il disposto dei tribunali sia stato rifiutato; ledecisioni erano apparentemente accettate anche se non erano a favore. Se è proprio così, allora sirafforza l'impressione dell'autorità dello stato longobardo e carolingio in Italia se paragonata allealtre nazioni europee, e ciò deve essere fondamentalmente collegato alla più ampia egemonia dellostato su una classe colta superiore.

Ci sono alcuni esempi fra i casi pervenutici di parti vincenti che fanno concessioni a quelle perdenti,a volte, presumibilmente, in base alla consapevolezza che non sarebbero riuscite ad esercitare i lorodiritti reali, anche se avevano l'appoggio formale dello stato, senza il consenso della parte perdente.

18 MGH Capitularia, II, 213 c. 3.

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Il monastero di Farfa nel 750 riuscì a provare che il prete Claudiano aveva avuto il diritto di donareuna chiesa al monastero; dimostrò che il documento presentato dai nipoti di questi, che dichiaravache Claudiano reggeva la chiesa soltanto come rappresentante della famiglia, era tecnicamenteinvalidato davanti alla legge (mancava un elenco di testimoni). Ma nel 751 Farfa donò una piccolatenuta ai nipoti, che sarebbe tornata al monastero alla loro morte, in cambio della loro sottomissioneal giudizio forse anche Farfa pensò che la sua vittoria fosse non tanto equa. Tipico esempio di untale riscatto è un caso giudiziario del 859, nel quale il monastero milanese di S. Ambrogio dimostròche Lupus non aveva diritto al beneficio che reclamava a Cologno Monzese, ma poi gli concessealtra terra19. Casi simili divennero sempre più numerosi fino al secolo XI e oltre, e di certo índicanola posizione debole nella quale talvolta si trovavano i monasteri, soggetti alla coercizione da partedei loro locatari/vassalli, o per lo meno ad arbitrati segreti. Ma il compromesso aveva luogo dopo lasentenza; non faceva parte del procedimento giudiziario. Quantunque i vincitori delle cause talvoltaabbiano dovuto constatare l'inefficacia delle loro vittorie, l'uso del compromesso come parte dellacausa stessa fu assai raro; e così erano il giuramento purgatorio (sebbene fosse usato a Luccanell'840 per mancanza di testimoni) e il duello20. Tuttavia il duello veniva mantenuto dai Carolingicome mezzo estremo se le prove offerte dalle parti erano prive di consistenza e non abilitavanoquindi il giudizio. I1 procedimento fu molto esteso da Ottone I nel Capitolario di Verona del 967,che, nonostante l'allarme di molti ecclesiastici e dei successivi commentatori di leggi di Pavia,permise di mettere in dubbio l'autenticità degli atti attraverso l'uso del duello, portando, comelamentarono i giuristi, a « duelli per proprietà possedute da un centinaio d'anni... e alla morte di chile possedeva »21. Con questa legislazione lo stato in parte abbandonò il ruolo di fonte del diritto cheaveva precedentemente assunto. Ottone e molti dei suoi consiglieri erano germanici, estranei allatradizione italiana. Attorno al 960 lo stato era debole, e sotto molti aspetti aveva rinunciato alleproprie funzioni in favore di unità sufficientemente decentralizzate, tali da poter lasciare allecomunità i risarcimenti legali. Ma nelle cause dei 150 anni successivi al 967 l'interessante non sonoi giudizi per duello, quanto il loro basso numero: meno di una dozzina in 320 casi giudiziari, fra il967 e il 1100 nella raccolta di Manaresi. L'idea di giustizia assoluta amministrata dallo stato sitrasferì alle città d'Italia; la ereditarono i comuni, insieme con il giudizio per duello. Essi sapevanoche lo stato era la fonte del diritto, e quando nel XII secolo reclamarono una statualità de facto, lofecero in gran parte con la legislazione. I1 duello e anche la faida fecero parte di quel diritto persecoli.

Gerarchia e clientela: aristocrazia

Finora in questo capitolo si è contrapposta la solidarietà della fami glia e della comunità di villaggioalla nozione di giustizia associata agli interessi dello stato. Potrebbe sembrare che il potere dellearistocrazie sia stato escluso. La tendenza, nei secoli VIII e IX, dei proprietari terrieri laici edecclesiastici verso l'espansione delle loro proprietà a discapito dei vicini meno importanti potrebbe,tuttavia, esser vista come un venir meno delle solidarietà delle comunità finora esaminate. MarcBloch, uno dei più grandi storici medievisti, pensava fosse stato proprio così: egli vide la 'societàfeudale in Francia e Germania sostituirsi ad una più vecchia società, un po' più ugualitaria, basata sulegami di parentela, in gran parte a causa della inadeguatezza di tali legami, nel X secolo e

19 Regesto di Farfa II (a cura di I. Giorgi, U. Balzani, Roma 1879) nn. 25, 31; Porro, 208.20 Sul compromesso Manaresi, 97; sulla testimonianza a discarico Manaresi, 44. Cfr. i comrnenti di J. van Velsen in M.Gluckman (curatore), Idees and Procedures in African Customary Law (Oxford, 1969), pp. 137-49.21 MGH Constitutiones, I, n. 13 e i commenti in Liber Papiensis, MGH Leges, IV, Pp. 568-80. Cfr. A. visconti, Lalegislazione di Ottone I, A.S. Lombardo, LIII (1925), pp. 40 73, 221-51.

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successivamente. Le solidarietà di parentela potrebbero essersi rafforzate man mano che lo stato sidisgregava ed il potere delle signorie diveniva più consistente, ma la maggior parte delle funzioni diparentela furono assorbite dal vincolo feudale. Tuttavia lavori più recenti, rispetto all'opera diBloch, hanno evidenziato aspetti diversi. Si pensa oggi che le famiglie abbiano sempre avuto unruolo importante nell'organizzazione della società feudale, e che il loro ruolo si sia accresciutoallorché le gerarchie feudali si sostituirono allo stato. Inoltre la parentela assumeva importanza tantopiù grande quanto più elevata era la posizione sociale del singolo; più vasto era il campo di azionedel singolo, più egli aveva bisogno dei parenti. Parentela e aristocrazia certamente potevano esserein tensione; è questo l'argomento di fondo di una vasta parte della letteratura sulla Francia del XIIsecolo, ma la società era abbastanza complessa da poterle fare coesistere salvo casi particolari.

Come si è visto, in Italia, parentela e famiglia sembrano aver rivestito la più notevole funzione nellavita quotidiana e nella solidarietà locale; clientela e dipendenza divenivano invece significative suscala maggiore e per la mobilità sociale. L'individuo poteva emergere col servizio prestato al suosignore. La sua necessità di porsi sotto la protezione di un signore poteva anche mostrare la suadisgrazia. La parentela, sorta di vincolo orizzontale, era estremamente importante quando ci simetteva in contrasto tra pari: la clientela, sorta di vincolo verticale, quando l'opposizione era controi potenti (salvo che quest'ultimi non fossero proprio i signori del singolo). Fin da tempi moltoremoti si può vedere la coesistenza di ambo gli assi nel regno longobardo: la legge di Rotari sullefarae, gruppo di parenti corporati assieme, tratta per esempio del destino delle donazioni che 'unduca od ogni uomo libero' ha fatto ad un uomo al suo servizio che ora vuole emigrare con la suafara. Questi assi coesistono ancora oggi: Jeremy Boissevain ha dimostrato come i vincoli familiari ela protezione siano fra loro complementari nella mafia siciliana moderna. La struttura frammentariadella proprietà terriera e del potere locale che erano una caratteristica così rilevante nell'Italia deisecoli VIII e X (e successivamente), e il sopravvivere del concetto di obbligo pubblico in tutto ilperiodo oggetto del presente studio, forse fecero in modo che la clientela fosse una forza menodominante che non nella Francia feudale, ma essa rimase uno dei vincoli fondamentali22.

La dipendenza e le gerarchie sono soggetti ovviamente a cambiamenti più cospicui che non glischemi della parentela finora descritti; ciò avviene in quanto sono più strettamente collegati allemutevoli strutture dello stato. Una parte di questo dinamismo è più apparente che reale, l'affermarsied il cadere di certe famiglie, ad esempio, o le variazioni nella terminologia dell'aristocrazia, mauna parte è genuina, specialmente in quanto lo stato stesso muta.

Finora nel mio scritto l'aristocrazia ha avuto un ruolo dominante, senza che io abbia tentato didefinire esattamente cosa essa fosse. Si è esaminata la relazione fra famiglie potenti e stato sotto iCarolingi; il modo in cui l'ideologia dei singoli governanti d'Italia poteva modificare titoli e nomidei proprietari terrieri d'Italia; la tendenza ad urbanizzarsi delle classi superiori e le architetture cheli ospitavano; il possesso da parte di famiglie aristocratiche di aziende costituite, per lo più, digruppi di proprietà piccole e disperse. L'elemento comune fu sempre la proprietà fondiaria. La terra,in misura quasi esclusiva (tralasciando i mercanti occasionali e meno occasionali) dava benessere equindi status e potere. Questo è l'elemento di maggior peso nell'identità delle classi superiori. I modiin cui la terra e i suoi coltivatori venivano sfruttati potevano cambiare, come anche il modo in cui ilpossesso di terreni si tramutava, come si vedrà, in potere politico; ma continuava ad essere il primopasso verso la nobiltà. Paolo Diacono succintamente ne fece il punto in una poesia degli anni dopoil 780, una supplica a Carlomagno a favore di suo fratello Arichi, ostaggio in Francia: nobilitasperiit miseris, accessit aegestas, o, assai meno succintamente: « la nobiltà non si cura dei poveri; alsuo posto è subentrata l'indigenza ». I Longobardi e i loro successori attribuivano scarsa importanza 22 M. Bloch, La società feudale (Torino 19774); Rotari 177; J. Boisservain, Patronage in Sicily, «Man», New Ser., u. s.I (1966), pp. 18-33.

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ad una 'nobiltà di sangue', lo status di nobile non persisteva se disgiunto dal possesso di terre; l'usoda parte di Paolo del termine nobilitas è davvero molto vago, e 'eminenza', o 'notabilità', sarebberovocaboli più adatti23. La mobilità sociale era del tutto possibile in Italia per i fortunati come per imeno fortunati: anche per i Carolingi. I discendenti in linea maschile di re Bernardo, nel x secolo sistabilirono in Italia come mediocri conti di Parma e Sospiro (nonché distinti conti di Vermandois inFrancia). Le famiglie si adattarono abbastanza facilmente ai cambiamenti economici.

La terra non era l'unico criterio per l'affermazione dell'arıstocrazia. Altre due erano le variabili dirilievo: i reciproci atteggiamenti degli aristocratici e l'intervento dello stato, la protezione regia. Peressere aristocratico bisognava essere riconosciuto tale dagli altri; la corsa allo status, fra le classialte delle città nel periodo tardo romano ed alto medievale è evidente negli edifici che in essefurono costruite, come si è già visto. L'attrazione era forte anche per quelli, come i vescovi e gliabati, che erano, almeno in teoria, estranei a tutte le gerarchie laiche. Tuttavia il patrocinio reale erala chiave della affermazione politica. Sebbene le gerarchie fossero basate sul possesso di terreni, inogni gerarchia i livelli erano dati dagli incarichi pubblici, senatori o prefetti sotto l'Impero, tribuni oduchi sotto i Bizantini, duchi, conti, o marchesi nel regno longobardo-carolingio. Tuttal'organizzazione della nobiltà era determinata dalla ideologia e dall’orientamento dello stato. I reerano in grado di dare ai proprietari terrieri status e potere così ampi, per lo più attraverso le carichepubbliche, che nessuno poteva sottrarsi al patrocinio reale con facilità, né poteva misconoscere ilpotere che da ciò i re ottenevano. La tensione fra proprietà terriera ed interessi dello stato, fra potereprivato e pubblico, favorì ampiamente lo stato. All'inizio del IX secolo l'equilibrio a Beneventocominciò a mutare, e all'inizio del X secolo anche nel regno d'Italia, fino a che verso la fine del Xsecolo, il sistema era totalmente cambiato e lo stato stesso aveva pressoché cessato di esistere nellasua vecchia forma. Nell'ultimo capitolo di questo libro esamineremo come ciò avvenne, mentre quiconsideriamo le precondizioni del fenomeno: il mutare dei caratteri delle classi più elevate.

Certamente i Longobardi possedevano una qualche gerarchia sociale quando giunsero in Italia. Neosserviamo la cristallizzazione durante i primi decenni di occupazione, con lo stabilirsi dei duchilongobardi nelle città, ed il loro enorme potere nel periodo dell'interregno. Alcuni di questi duchidiscendevano da celebri casate. Rotari, in apertura dell'Editto, elencò tutti i suoi sedici predecessoricome re dei Longobardi. Non tutti questi re erano imparentati fra loro, così, per i re di ogni nuovagenus (famiglia o clan, molto probabilmente fara), egli dava il nome della stirpe—Audoino, exgenere Gausus, o Arioaldo, ex genere Caupus, o il genas di Rotari stesso, gli Harodo; qui egliaggiunse l'elenco di undici suoi antenati per linea maschile. Tali personaggi erano, in un certosenso, nobili per nascita; ma anche così i raggruppamenti non detenevano quel solido potere che, adesempio, era in mano alle sei nobili stirpi citate nel codice legale bavarese dell'VIII secolo, stirpipreminenti, la cui importanza è indiscussa nella storia bavarese. Mai i nomi ricorrono fra iLongobardi, né compaiono alla ribalta altri cognomi fino alla situazione ben diversa che si verificanell'XI secolo. Le stesse leggi non menzionano affatto una aristocrazia, ma solo guerrieri liberi,chiamati indifferentemente liberi homines, exercitales e arimanni. Essi erano la base formale epubblica dello stato longobardo. Nelle leggi l'unica testimonianza di un qualche tipo di gerarchia èdata dal fatto che per la composizione della vertenza per l'omicidio di un uomo libero non vienestabilita l'entità dell'indennizzo; deve essere pagato in angargathungi, termine longobardo glossatoin latino come 'secondo la qualità della persona', e affine al gethynge anglosassone, 'onore'. Si trattadi un criterio specifico di status, ma è estremamente vago. Non ci è possibile dare un quadrocoerente delle gerarchie longobarde dei secoli VI e VII. Tutto ciò che si può dire è che le differenzedi status probabilmente davano luogo a suddivisioni differenziate dei terreni e del bottino all'epocadell'invasione. Duchi, gastaldi e i proprietari terrieri più ricchi senza dubbio erano per la maggiorparte le persone più importanti fra i Longobardi nel periodo antecedente il 568. I1 significato reale

23 MGH Poetae, I p. 48; cfr. D.A. Bullough, Europae Pater, << Eng. Hist. Rev. >>, LXXXV (1970) p. 76.

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dei termini di 'qualità' o 'onore' in Rotari era probabilmente' comunque, collegato all’estensionedella proprietà terriera posseduta da un singolo individuo. Ciò diventò esplicito nell'VIII secolo, inquanto nel 750 Astolfo suddivise i potenziali coscritti esclusivamente in base alla proprietà: quelliche avevano otto o più concessionari, quelli che ne avevano sette, quelli che non ne avevano mapossedevano quaranta iugis (dieci ettari) di terra, e i minores homines che ne avevano ancora meno.Anche i Longobardi utilizzano titoli, presi in prestito dai Romani, quali vir devotus e virmagnificus, ma è difficile dimostrare che essi volessero dire qualcosa di più preciso che 'soldato' e'uomo importante' rispettivamente. La precisione dei titoli che aveva accompagnato la complessitàdello stato tardo-romano e le sue varie gerarchie aristocratiche era a questo punto scomparsa24.

All'inizio della documentazione a noi disponibile, nell'VIII secolo, le persone importanti sonochiaramente tutte proprietari terrieri. Ne abbiamo già menzionati alcuni, quali Taldo di Bergamo(vivente nel 774) e Gisolfo di Lodi (morto attorno al 759). Taido era un gasindo reale e Gisolfo unostrator (sua figlia Natalia fu dapprima moglie di un altro gasindius, Alchi vir magnificus, esuccessivamente moglie di Adelperto anteper regine; un suo parente, Arichi, era stato gastaldo diBergamo). Ambedue avevano posizioni importanti a corte. Gisolfo, per lo meno, era un funzionariodel re—i gasindii avevano un ruolo meno importante quali dipendenti del re, come si vedrà. La loroposizione divenne parte del loro titolo, e di certo contribuì allo status personale. Arichi di Bergamonon era più gastaldo quando venne citato in un atto del 769, ma il testo fa ancora riferimento al suoincarico precedente. La carica contemplava il possesso di terreni; quantunque teoricamente questiterreni passassero a chi succedeva nella carica, in pratica i funzionari potevano appropriarsi di partedi essi o darne parte ai dipendenti, come lamentava Liutprando. Funzionari senza scrupoli potevanoanche trarre guadagni dalla 'vendita della giustizia', come appare dalle leggi di Rachi25. E, infine, ifunzionari erano i più comuni destinatari del patrocinio reale sotto forma di donazioni di terreni. Lacarica forniva dunque dei vantaggi, anche se non era di per sé indizio di appartenenzaall'aristocrazia. Non si può dubitare di trovarsi di fronte ai massimi livelli dell'aristocrazialongobarda quando leggiamo questi atti: i registri con le loro testimonianze risuonano di gasindii eviri magnifici. Ma la base economica principale non era tanto costituita dalle cariche quanto dalleproprietà terriere familiari.

I1 testamento di Taido chiarisce questo aspetto. Come dipendente reale, aveva un legameparticolarmente stretto col re, ma il suo testamento trattava quasi esclusivamente di terreni avuti ineredità da suo padre. Non vi è in esso neanche un solo riferimento a terre acquisite in qualsiasi altramaniera, e in particolare a nulla ricevuto dal re. Ciò è forse un po' eccezionale, e, in numerosi atti eleggi si trovano riferimenti a donazioni di terre reali a laici. Queste donazioni, di certo, molto spessovenivano fatte a funzionari e gasindii, come le donazioni di Astolfo a Desiderio quando era duca diBrescia26, comunque generalmente esse avvenivano in favore di persone che già possedevanoterreni. La proprietà terriera non solo era l'elemento principale di accesso alla posizione difunzionario, ma anche all'attenzione del re. Ovviamente i re potevano donare terre ai loro favoriti, aprescindere dal precedente status di costoro, e alcuni dei funzionari di Pavia avevano probabilmenteretaggi oscuri. Molto raramente si hanno testimonianze di re che abbiano elargito terre, tuttaviaun'eccezione è costituita da Gregorio Greco, giullare di Liutprando, che ricevette in dono dal redella terra vicino a Bologna. I professionisti della corte del re, come i referendarii e i notai,funzionari che qualche volta forse avevano umili origini, non stesero atti che ci siano pervenuti.L'unico per cui abbiamo documentazione, Gaidoaldo, dottore di Liutprando e Astolfo, aveva vaste

24 Rotari, Prologo e 48, 74; Lex Baiwariorum, 3. 1 (MGH Leges, v, 2); Astolfo 2.25 Schiaparelli, 293 per Taldo (e forse Porro, 80 per le parentele); Schiaparelli, 137, 155 e 226 per Gisolfo; Liutprando59 e Notitia 5, Rachi 10. Cfr. Ie opere di G. Tabacco elencate nella bibliografia, sezione B4, in particolare Laconnessione tra potere e possesso..., pp. 146-64, 207-28.26 Rotari 167; Bruhl, 31; Schiaparelli, 28 per un probabile non-funzionario

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terre di famiglia, ed era di fatto uno dei maggiori proprietari terrieri della Toscana longobarda27, Fuquesta posizione, piuttosto che la sua abilità di medico, che inizialmente lo alzò al rango diaristocratico. L'affermazione di Paolo della nobiltà come opposto della povertà fu scritta proprio inqueste decadi.I1 patrocinio reale favorì dunque principalmente chi già era proprietario terriero. Inoltre ledonazioni del re non erano particolarmente generose, e raramente eguagliavano la proprietà che unuomo già aveva. Grimoaldo, come tramanda Paolo Diacono, fece notevoli donazioni all'esercito diBenevento, che nel 662 lo aveva aiutato a prendere il trono; ad alcuni che rimasero presso di luidiede enormi possedimenti. Ciò può essersi reso necessario per dare basi materiali a quelli cheavevano terre molto lontano, ed è l'ultimo esempio di donazioni liberali di re che si conosca in Italiafino all'inizio del secolo X28. I re successivi fecero notevoli donazioni alle chiese, ma anche allora,non dell'entità di quelle dei re franchi, e sembra che i laici venissero soddisfatti con alcune casecoloniche, un bosco, una striscia di terra incolta, occasionalmente con un'intera azienda, e certo legratifiche inerenti le funzioni pubbliche. Forse per questa ragione gli aristocratici longobardi non cicolpiscono per la loro ricchezza. Otto case coloniche costituivano per Astolfo il criteriodell'importanza politica. Taido e Gisolfo possedevano ben di più, nulla comunque di paragonabilealle proprietà tipiche di un senatore romano o a quelle che avrebbe avuto, nel secolo successivo, unaristocratico imperiale franco. Le terre di questi però erano sparse quanto quelle dei Supponidi. Laproprietà terriera di Taldo era formata da otto tenute e circa dieci case coloniche in quattro diversezone, in comproprietà con i suoi due fratelli. Difficilmente si può considerarle come ricchezzapersonale, ed ogni porzione era già divisa in tre: la frammentazione sarebbe stata più grande el'entità della proprietà anche minore nella generazione successiva. Le sostanze e la ricchezza dei reoffuscavano completamente una simile proprietà terriera. Quantunque la posizione e la vicinanza alre non portassero grandi benefici materiali, almeno davano maggior potere politico. In questoconsistevano, soprattutto, le regalie dei re longobardi ai propri aristocratici ed era meno costoso deiterreni.

Da tale stato di cose si evince come i re longobardi patrocinassero i loro aristocratici, esso mostratuttavia anche che i re che non creavano nuove nobiltà con donazioni, inevitabilmente dovevanoavvalersi della nobiltà preesistente. Forse il legame fra proprietari terrieri e re non eraparticolarmente solido, ma non si spezzò. Senza dubbio ciò avvenne per la ricchezza ed il poteredello stato e per la relativa mancanza di centri di potere che gli si opponessero. Un ulteriorerafforzamento veniva dal senso che i re, e in parte le classi più alte, avevano della natura pubblicadel regno, eredità romana lasciata allo stato longobardo: la funzione pubblica dava potere e status diper sé, indipendentemente dalle sostanze private che un funzionario già aveva e che potevaillegalmente ottenere. Un simile concetto della cosa pubblica è sempre presente in tutta lalegislazione longobarda. Nondimeno lo stato era basato su fondamenta meno sicure rispetto a quelledel tardo Impero. Non poteva più, anche se ne fosse stato capace, basarsi su servizi disinteressati.Erano ormai necessari legami più personali. Le gerarchie pubbliche basate sullo status e sullaproprietà terriera erano rafforzate dalla nobiltà e dai legami personali fra gente di posizione socialediversa. Questi legami esistevano già all'epoca di Rotari, nell'VIII secolo furono ampliati. I gasindiireali appaiono nelle leggi e negli atti in nostro possesso: compagni o dipendenti dei re, legati al reda fidelitas, obbligati a fedeltà da giuramento. Liutprando ne fa menzione nella sessantaduesimalegge, del 724, quando aggiornò la legge di Rotari sulla compensazione per l'assassinio e definl la'qualità della persona' in modo più preciso. I1 'più piccolo' exercitalis valeva 150 solidi, il 'primo,300 solidi. Ma in merito ai gasindii se ne deduce che se veniva ucciso anche il più infimoappartenente a tale casta, la sua morte doveva venir compensata con 200 solidi, « dato che è ovvioche è a nostro servizio », e la cifra arrivava ai 300 solidi per il più importante. I1 legame personale 27 Gregorio, Dipl. Kar., I, 183. Galdoaldo: Schiaparelli, 203, Brnhl, 26 (p. 156).

28 Paolo, H.L., 5. 1.

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diretto fra gasindius e re aveva importanza per Liutprando e i suoi successori. La frode perpetratadagli amministratori di Liutprando era considerata grave, ma gravissima quando perpetrata da unodei suoi fideles: << di che tipo di fidelitas si tratta, quando egli collude con un giudice, o con unamministratore, o un aldius o uno schiavo e s'impadronisce della nostra proprietà contro la nostravolontà? >> Simili persone sono colpevoli del crimine di spergiuro oltre che a quello di frode29

Anche così, il ruolo di gasindius non fu mai particolarmente emergente della società longobarda. Ilcarattere saliente della sessantaduesima legge di Liutprando non è dato dal riconoscimento di unacategoria legalmente privilegiata di dipendenti del re, quantunque tale legge ne parli, ma dalla lievedifferenza che la posizione sociale comportava per le wergilds dei suoi uomini. Uno spettro di soli150 solidi per coprire l'intera gamma degli uomini liberi, dai coltivatori agli aristocratici, non èparticolarmente ampio secondo gli standard medievali. E, come dimostra il testamento di Taido, laposizione di gasindius non portava necessariamente vantaggi materiali permanenti Ai nostri occhi,abituati ai rilevanti compensi attribuiti alla lealtà nelle società meglio note della Francia edell'Inghilterra feudali, tutto questo quadro può sembrare piuttosto debole alcuni hanno visto nelledisfatte militari del 775-6 e del 773-4 proprio la dimostrazione di tale fragilità. Tuttavia taliconsiderazioni risalgono all'insidia idealistica di valutare l'ordine logico del feudalesimo militareclassico come prodotto della inevitabilità storica. Non ci si può avvalere di una 'mancanza disviluppo' di legami formali individuali con il re come spiegazione della caduta dello statolongobardo. I Franchi erano semplicemente, in campo militare, più potenti e avevano maggioreesperienza. Come lo stato longobardo si sarebbe sviluppato resta ignoto.

Percorrendo la società verso il basso già esistevano vari livelli di signoria. Non solo i re avevanogasindii, ma anche duchi ed altri aristocratici. Una legge di Rachi parla di un uomo che entra alservizio di un gasindius reale o di un suo fidelis; qui si hanno almeno quattro livelli. Non si può direquanto ciò fosse normale, ma non era una caratteristica nuova del secolo VIII. Rotari citava gente alservizio (gasindium) di Duchi e di altri uomini liberi, e inoltre dal 568 in poi ogni aristocratico deveavere avuto un qualche tipo di seguito armato, vincolato attraverso donazioni che avrebberocompreso anche terre. A giudicare dalle parallele donazioni reali queste erano in genere complete.Le citazioni di donazioni revocabili o non ereditabili sono rare in Italia antecedentemente al 77430.Sebbene la clientela fosse importante, essa era ancora un comportamento relativamente informaledella struttura sociale italiana. La base formale del sistema sociale del regno longobardo era ancorala posizione pubblica degli uomini liberi, exercitales o arimanni. Questi erano per lo più piccoli omedi proprietari terrieri, che coltivavano la terra da sé o tramite affittuari. L'informalità dellasignoria deve essere collegata alla rarità delle locazioni, con l'eccezione di un ristretto numero dicoltivatori prima del secolo IX. I rapporti clientelari fra le classi più alte nel secolo IX esuccessivamente, furono, come si vedrà, regolarmente espresse nella concessione di locazioni.

I re franchi apportarono poche modifiche a questo quadro. Proteggevano i Franchi, come si è visto,e forse donarono loro terre di longobardi ribelli. In alcune zone la bilancia della proprietà terrierapendeva un po' alla volta a favore dei Franchi. I dipendenti venivano ora chiamati vassi, vassalli,anziché gasindii, ma lo stato continuava ad essere pressoché eguale a quello che era stato nelperiodo longobardo. La società continuava a cambiare, comunque, alla fine del secolo IX avevasubito mutamenti notevoli. Se ne esamineranno separatamente i due aspetti: lo sviluppo ideale ereale dello status sociale del proprietario libero, l'arimannus, e i cambiamenti nella naturadell'aristocrazia e della proprietà terriera stessa.

Molte delle più diffuse ipotesi sugli arimanni sono dovute a Giovanni Tabacco, che le elaborò afondo in un classico del 1966, I liberi del re nell'Italia carolingia e postcarolingia. Il regno 29 Liutprando, Notitia 5.30 Rachi 10, 11, Rotari 225. Revocabile e non ereditabile: Rotari 177, Schiaparelli, 124.

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carolingio mantenne la tradizione longobarda riguardo l'affidamento di responsabilità pubbliche aiguerrieri liberi, gli arimanni, ai quali ci si riferisce altrimenti col termine 'figli della Chiesa' o'uomini privati', o anche solo 'Longobardi'; si è visto che l'ideale era strettamente connesso con Iaconsapevolezza di essere longobardo, sebbene tale categoria comprendesse anche Romani e, dopo il774, Franchi, che nel loro paese avevano tradizioni simili. Gli obblighi specifici degli arimannierano determinati dal loro status e dalla disponibilità di proprietà. Dal tempo di Astolfo, alcuni diloro erano anche passati alla condizione di affittuari, ma ancora dovevano servizi allo stato, non acausa di obblighi personali verso i signori ma per la loro posizione pubblica. Questi servizi eranoprincipalmente militari, ma non sempre, in quanto il regno non era di certo sempre in guerra siasotto i Longobardi sia successivamente. Un caso giudiziario dell'864 si riferisce agli obblighi deiproprietari come oste et ponte et placito, l'esercito, la manutenzione dei ponti (compresi i lavoripubblici in genere) e la presenza in tribunale; la legislazione carolingia menziona in pari modo tuttiquesti obblighi31. Gli Arimanni, come gli aristocratici che avevano cariche pubbliche, avevano unlegame diretto con lo stato, in teoria ancora non mediato dai vari livelli di potere clientelare chesempre più facevano parte della società italiana nel secolo IX.

I Carolingi consideravano questa relazione estremamente importante. Il potere di grandi proprietariterrieri a livello locale, in particolare di conti e vescovi, era rilevante e sempre maggiore, ma i re sisforzavano nella loro legislazione di mantenere legami diretti con gli uomini liberi. Le attivitàespansionistiche dei potenti creavano due rischi per i re. I1 primo, di cui si sono già esaminate letestimonianze, era l'oppressione dei vicini da parte dei ricchi, fatto che, unito alla debolezzatradizionale dei poveri nei periodi di calamità economica, portò gli arimanni minori alla condizionedi concessionari e li rese quindi potenzialmente estranei al potere pubblico nel suo insieme. I1secondo fu la tendenza dei signori a formare le loro scorte con persone che avrebbero dovutocoprire cariche pubbliche, privatizzando così i canali dei servizi dello stato, e dando loro unindirizzo personalistico.

La risposta dello stato ad entrambe le tendenze era di fatto piuttosto incoerente. Ai re non occorrevache ogni uomo libero del regno combattesse nelle loro guerre, e non era irrazionale prendere soloquelli che potevano impugnare le armi, e non avevano bisogno di coltivare la terra. Nel 726Liutprando, all'inizio delle sue guerre, permise ai giudici di lasciar liberi un certo numero degli «uomini degli strati più bassi, privi di casa e di terreni » per eseguire servizi pubblici di un generenon specificato per tutto il periodo della guerra. Nell'825 Lotario pretese dagli uomini liberi cheavevano proprietà insufficienti per partecipare alla spedizione in Corsica che si unissero in gruppida due a quattro o più e scegliessero un rappresentante da mandare alla guerra (questo era undiffuso costume europeo). Lodovico II nelle ordinanze relative alla guerra di Benevento dell'866esonerò da ogni obbligo gli uomini che avevano proprietà di valore inferiore a 10 solidi (nonnecessariamente terreni), e quelli con poco più di 10 solidi dovevano rimanere in forza come unaspecie di guardia civica per il periodo bellico32. Il povero era troppo insignificante per forniretangibili vantaggi militari al re, e anche quando se ne mobilitavano grandi masse, come nell'866-7, ire furono propensi a considerare che i meno importanti potevano essere ignorati; d'altro canto eranopreoccupati che le attività senza scrupoli dei potenti potessero allontanare sempre più lo stato dalpopolo. Libertà e servizio nell'esercito erano strettamente connessi per i Longobardi, e altri obblighidei liberi, come la partecipazione all'attività dei tribunali, potevano andar perduti se l'uomo liberopovero veniva emarginato. Nell'813, dei libellarii 'di recente creazione' furono posti sotto ilcontrollo dei loro signori terrieri quando prestarono servizi per conto dello stato, almeno nel casoche si fossero « tagliati fuori dalla sfera pubblica, non per frode o attività improprie, ma solo per 31 Manaresi, 66.

32 Liutprando 83, MGH Capiularia, I, 162 c. 3, II, 218 c. 1. Ma in Kurze, 67 (809) apparirebbe che gli affittuariservissero nell'esercito (sotto la guida dei loro signori).

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povertà e bisogno di terreni ». Le cariche pubbliche tendevano ad essere associate alla proprietàterriera, e non alla conduzione. Già all'inizio del secolo IX si trovano negli atti i primi riferimenti adaffittuari soggetti alla giurisdizione privata dei loro proprietari per dispute minori e per infrazioni (icasi principali, tuttavia, rimasero pubblici)33

Lotario (o i suoi consiglieri) fu il primo a reagire alla privatizzazione crescente dei servizi degliaffittuari. Dall'822, chi aveva totalmente alienato la sua proprietà (ed era così presumibilmentediventato affittuario) cominciò ad essere soggetto ai conti per i servizi pubblici. Le norme del1'813furono sostituite dalla riaffermazione dei diritti pubblici rappresentati dall'autorità comitale. Ilsecolo IX fu anche ricco di leggi concepite per evitare che i piccoli proprietari terrieri fossero ridottial livello di affittuari causa le esazioni indebite dei potenti, fino ai capitolari degli ultimi legislatorisecondo il modello carolingio, Guido e Lamberto, negli anni dopo 1'890. Nell'891 poi, Guidoriaffermò tutti gli obblighi pubblici di tutti gli arimanni, che fossero o no proprietari di terre, diprestare servizio militare. Guido stava, tuttavia coscientemente riprendendo la tradizione carolingia;di certo gli arimanni non erano meno oppressi, infatti l'elenco di atti di oppressione perpetrati su diloro nelle leggi degli anni attorno all'890 è più lungo di quanto non fosse in precedenza. E le leggidi Guido e di Lamberto rendono ben chiaro un punto: conti e vassalli, le stesse autorità pubbliche,erano quelli che più facilmente potevano opprimere i poveri. Nell'898 Lamberto promulgò ancheleggi contro l'abitudine dei conti di dare in feudo i servizi pubblici degli arimanni ai loro vassalli34.Nel 900 l'azione di retroguardia degli arimanni di Cusago contro il conte di Milano mostra in modopiù che chiaro la fondatezza del pericolo. Ed era un pericolo riguardo al qua le i re non potevanofare nulla. L'unica effettiva controparte al potere dei conti, la Chiesa, godendo del privilegiodell'immunità nelle azioni giudiziarie contro i propri concessionari, allontanava ancor più lecategorie più povere dal controllo-rutela dello stato.

Le nostre argomentazioni si sono quasi integralmente basate sulla legislazione carolingia. E’difficile dimostrarne la validità. I documenti privati, per loro natura, c'informano poco dellerelazioni fra liberi e stato. e quasi nulla ci dicono dell'oppressione operata dai potenti. Non si puòdire quante concessioni furono il risultato di azioni di forza. Ma, per contro, l'insistenza delle leggi,sebbene ci mostri come i Carolingi fossero consapevoli di non essere obbediti, non ci dice quantocomune fosse l'oppressione. Come si è visto nel capitolo quarto, è improbabile che tutti i piccoliproprietari terrieri abbiano perduto le loro terre. E’ anche chiaro come gli affittuari liberi per lamaggior parte abbiano conservato la loro libertà giuridica, e si vede dalla documentazione che essialmeno potevano accedere ai tribunali pubblici, anche se raramente vincevano le cause. Ciò che siaffaccia negli anni attorno al 900 è un sistema di libertà a due livelli: gli affittuari liberi avevanoperso i loro obblighi pubblici, quantunque conservassero ancora alcuni diritti pubblici abilanciamento della loro dipendenza economica; i proprietari contadini liberi a quell'epoca per lopiù mantenevano i loro obblighi e i loro diritti, quantunque ci fossero ora meno proprietari. Benpoco potevano fare i Carolingi per salvare gli uomini liberi di minore importanza che rischiavano diessere sottomessi ai potenti, ma almeno potevano mantenere in vigore le responsabilità pubblichedegli arimanni per coloro che rimanevano abbastanza indipendenti da reclamarle.

Ci resta, tuttavia, un sospetto: proprio perché la piena entità della minaccia portata alla posizionedei liberi ci è nota solo attraverso la legislazione carolingia, tali minacce possono non rappresentareuna caratteristica particolare del IX secolo come spesso si pensa. La Roma del tardo Imperopresentò certamente con ampiezza simili sintomi, ed il prologo dell'Editto di Rotari del 643dichiarava che Rotari lo aveva in realtà largamente steso in quella forma a causa delle « esazionisupplementari (richieste ai poveri) da parte di chi era più forte, servendosi della forza ». I1 33 MGH Capitularia, I, 93 c. 5; per la giurisdizione privata, cfr. per esempio, Regesto della chiesa di Pisa, I (a cura diN. Caturegli, Roma, 1938), nn. 23, 15, 16.34 Capitularia, I, 158 c.8 (Cfr. 165 c.2), II, 224 c. 4, 225 c. 3.

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contadino in tutte le società ha da temere dal ricco, anche quando questi non si pone in posizione diattacco deliberato, ma specialmente (com'è normale il caso) quando lo è. I1 fatto nuovo nel periodocarolingio fu in parte l'accrescersi della proprietà terriera della Chiesa, risultato di un secolo didonazioni, che si è già visto spostare l'equilibrio del potere locale decisamente a favore deiproprietari maggiori; ma in particolare la nuova minaccia che il potere locale dei ricchirappresentava per la posizione pubblica del povero. E’ possibile che questo nuovo sviluppo sia statoil prodotto degli atteggiamenti aristocratici franchi. I1 concetto di autorità pubblica fu certamentepiù debole nel regno franco che in quello longobardo. Tuttavia può davvero darsi che solosuccessivamente alla fine del secolo VIII i legislatori si occupassero del problema dei liberi chedivenivano affittuari. Se così fosse, e in questo caso perché, sono problemi ai quali ancora non sipuò dare una risposta.

Lo sviluppo del sistema delle clientele (gruppi di persone dipendenti da un signore) fra i liberiproprietari ancora esistenti fu, tuttavia, chiaramente collegato alla matrice sociale franca. Si è vistoche nel periodo longobardo gli aristocratici si munivano di scorte, e che questi legami personalispesso erano contro gli interessi dello stato. Sotto i Carolingi tali legami ebbero grande sviluppo,tramite l'istituzione del vassallaggio, un legame personale molto più forte del gasindiato, sebbenebasato anch'esso sul giuramento di fedeltà. Certamente nelle loro leggi si trovano assai piùriferimenti ai vassalli e all'entourage degli aristocratici che non nelle leggi longobarde. Anche i renon erano del tutto contrari a questo sviluppo; esso consentiva una più veloce mobilitazione delletruppe, e, quantunque esaltasse il potere armato locale dei conti, almeno dava maggior forza allaloro autorità quando essi agivano nell'interesse dello stato35. I re si basavano sui propri vassalli, epresupponevano che sia questi che i vassalli dei conti e dei vescovi fossero pronti a servirli. Nonsembra siano stati del tutto delusi: il vassallaggio, lungi dall'indebolire l'autorità reale, sotto moltiaspetti la rafforzò, particolarmente durante la crisi del potete pubblico che seguì alla morte diLodovico II.

D'altro canto, le relazioni private inevitabilmente indebolirono l'insieme degli obblighi pubblici,specialmente quando i re si basarono sempre più su di esse, causa la poca affidabilità degli obblighipubblici. Gli arimanni minori che sopravvivevano nel secolo IX, per la maggior parte lo dovetteroall'aiuto che veniva dato loro dai patroni, sia laici che ecclesiastici. Col 900, i re rimasero con pochiuomini delle classi inferiori che non riconoscevano alcuna aristocrazia intermedia fra sé e il re.L'Italia era diventata un sistema di clientele, gruppi di protetti dipendenti o da conti o da famiglienon comitali con incarichi pubblici di poca importanza (sia secolari che clericali), o, sempre più, davescovi. Le classi più alte fungevano da intermediari fra lo stato e tutti gli altri strati della società.Quantunque ciò fosse all'inizio meno contrario agli interessi dello stato dell'espropriazione deglistrati più bassi dei liberi, colpi le relazioni pubbliche in modo assai più rilevante. I1 governocentrale perse via via importanza negli affari locali. Si cominciavano a gettare le basi per lalocalizzazione completa del potere nelle città e nei castelli rurali (rocche e villaggi fortificati) cheiniziarono a sorgere nel secolo X man mano che lo stato perdeva ed alienava il proprio potere.

Via via che i liberi proprietari non appartenenti all'aristocrazia venivano costretti all'autodifesa,l'aristocrazia stessa assunse caratteristiche più complesse. Disponibilità economica e status eranodipese fin allora dalla proprietà terriera diretta; gli affittuari per la maggior parte erano contadininon liberi o semiliberi. Man mano che i grossi proprietari terrieri aumentavano le loro proprietà, ciònon era più possibile. I1 secolo IX vide l'acme della proprietà ecclesiastica, e le più grandi famigliefranche erano proprietari terrieri maggiori di quanto non fossero state le famiglie aristocratichelongobarde. I1 vuoto fra esse e i proprietari minori aumentava. Ma il crescere delle clientele deivassalli e la loro influenza politica sollevò il problema di come ricompensarli e mantenerli in stato

35 Cfr. G. Tabacco, il regno italico (B4), pp. 771-7.

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di fedeltà. E’ ben nota la risposta dei Franchi: il beneficio dato in cambio del servizio nell'esercito,la base del 'diritto feudale'. In Italia tali benefici sono presenti nelle fonti a noi disponibili a partiredall'inizio del IX secolo, e presto il sistema fu ovunque adottato. Nell'816 l'abate di Monte Amiataaffittò ai contadini una casa con terreno « che il nostro vassallo Inghiperto precedentemente ebbe inbeneficio », dimostrando, almeno qualche volta, il riconoscimento del legame franco usuale fravassallaggio e beneficio36. Tuttavia gli Italici non accettarono mai totalmente le implicazioni delbeneficio, che cioè l'unica cosa che un signore avrebbe esigito in cambio della propria terra era ilservizio militare. Ben più comuni erano le forme tipiche della cessione condizionata dei poderi inItalia, cioè il normale affitto di terreno.

Si sono visti i vescovi di Roma e di Ravenna crearsi appoggi sin dal secolo VII affittando terreniagli aristocratici e ai soldati. Dall'inizio del secolo IX i documenti ecclesiastici in nostro possessomostrano un analogo comportamento nell'Italia longobarda. L'unica differenza fra le due zone stanel fatto che le parti non longobarde dell'Italia avevano ancora un tipo particolare di cessione per ifitti a lungo termine, l'emphytensis, mentre i Longobardi non l'avevano; pertanto non è semprefacile conoscere se un fitto nell'Italia franco-longobarda veniva fatto al coltivatore, ad unaristocratico o a un vassallo (se non per informazioni casuali), la dimensione della proprietàaffittata, l'entità del canone richiesto. Non necessariamente la gente avrebbe considerato le dueforme di cessione del tutto distinte. Anche i contadini potevano, se avevano risorse sufficienti,prendere in affitto ulteriori proprietà che coltivavano in forma indiretta, e a partire da ciò tutta unagamma di variazioni esisteva. I grandi fondi venivano dati in genere in affitto per ricavarne canoniin denaro, che erano, anche se spesso superiori al nominale, esigui rispetto alla dimensione dellaproprietà. Uno dei primi affitti alla famiglia Aldobrandeschi nel sud della Toscana, ad esempio, apartire dall'809, Fissava un canone di 120 denarii annui al I ottobre, una bella cifra, ma piccola serapportata ad una estensione molto vasta con annessi due monasteri37. Questi fitti non dicono nulladel servizio militare o, per la maggior parte, della fedeltà politica. Tuttavia sono atti pubblici, egiudizialmente validi. La preoccupazione di mantenere il lato economico delle relazioni personalianche fra membri di una clientela, nell'ambito della legge pubblica, è proprio tipica degli italiani. Letestimonianze scritte dei diritti dei proprietari ebbero importanza per lo meno pari a quelle nonscritte, forse solo sottintese, relative al riconoscimento di obblighi personali. Questi erano ancoraper lo più il prodotto dei soli legami personali, in particolare il giuramento di vassallaggio. La terraera il quid pro quo, ma non era direttamente associata agli obblighi personali, a meno che non fosseun beneficio. All'inizio della caduta dello stato nel X secolo, quando le clientele diventarono semprepiù importanti, l'affitto rimase la forma principale di concessione. I benefici di per sé sitrasformarono in una semplice forma di affitto e gli assomigliarono sempre di più; divisibili fraeredi, ad esempio, com'era la terra in affitto, e non necessariamente collegati al servizio militare. Ledue forme si amalgamavano comunque, in quanto entrambe divennero sempre più cessioni direttedella proprietà, anche se nessuna delle due forme intendeva necessariamente esserlo.

Gli affitti su vasta scala furono fatti dalle chiese in cambio di appoggio politico, ma sarebbe unerrore immaginare che siano stati fatti in forma del tutto volontaria. I vescovi e gli abati avevanobisogno di appoggio contro le appropriazioni ad opera di aristocratici laici (talora, come sottoLotario, incoraggiati dallo stato). Il miglior modo per ottenerlo fu l'affittare ad altri aristocratici;talvolta agli stessi che avevano tentato l'appropriazione, come riconoscimento di sconfitta. I Franchipossono essere stati i principali colpevoli, avvalendosi della protezione dello stato per stabilirsi suiterreni; certamente i casi giudiziari del IX secolo mostrano che le azioni delle chiese contro simili 36 Kurze, 75. Per il feudalesimo militare italiano, cfr. P.S. Leicht, Il feudo in Italia nell'età carolingia (B4).

37 Barsocchini, 365.

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uomini sono per lo più rivolte contro Franchi. I1 clero concedeva affitti a chi lo appoggiava, mentrecontemporaneamente tentava di revocarli a quelli che li avevano ottenuti con la violenza. Geremiadi Lucca nell'852 ottenne da Lodovico II dei diplomi per revocare ogni contratto d'affitto o cessionescritta a sua scelta (non benefici—questi non possono aver costituito parte importante delledonazioni episcopali dell'epoca a Lucca). Le usò nell'853 contro una piccola famiglia che avevaaffittato una chiesa episcopale. Ma anche Geremia diede in affitto grandi estensioni ad altri, inparticolare alla sua stessa famiglia38. E, con l'inizio del X secolo, era emersa a Lucca tutta una seriedi famiglie aristocratiche che, pur avendo direttamente proprietà, si basava principalmente sucontratti di affittanza episcopali, famiglie alle quali le fonti fanno riferimento col termine di vassallidel vescovo. Queste famiglie erano per la maggior parte longobarde, e talora apparentementediscendevano da famiglie di proprietari terrieri del regno longobardo. I 'Rolandinghi' dellaGarfagnana, negli Appennini sopra Lucca, che appaiono per la prima volta nel secolo X,probabilmente erano discendenti di Pertualdo vir magnificus, un protetto di re Liutprando all'iniziodell'VIII secolo e padre di un vescovo di Lucca, Peredeo. Tali famiglie, che regolarmentericevevano terreni in affitto dai vescovi, chiaramente appartenevano in modo stabile alla clientelaepiscopale, come due secoli prima nell'Italia bizantina; da alcune di esse erano usciti i detentori dicariche episcopali, ma tutta la base del loro potere si era spostata. Lo status nell'VIII secolo sibasava sulla proprietà terriera. Col X secolo lo status si basava solo sul possesso, sia tramite laproprietà diretta, sia tramite l'affitto. Con la fine del X secolo un'intera signoria poteva basarsi sutali contratti d'affitto, in genere fondati sulla cessione in affitto da parte del vescovo delle decime diuna chiesa battesimale (pieve) e le chiese da questa dipendenti. Ad esempio i Rolandinghicontrollavano la pieve di S. Pancrazio sin dal 94039.

I Rolandinghi e famiglie ad essi simili erano la nuova piccola nobiltà del X secolo e oltre. Molte diesse presto cessarono di essere dipendenti dai vescovi, loro primi protettori. Per tutto il X secolo, sipossono trovare sacerdoti coscienziosi o ambiziosi che lamentano di aver trovato i propri patrimonidistrutti quando accedevano alla carica. Un chierico ben inserito, Gerberto, fatto abate di Bobbio daOttone II nel 982 e papa (col nome di Silvestro II) da Ottone III nel 999, avrebbe potuto ottenerequalcosa. Gerberto inviò numerose lettere a Ottone II lamentandosi dello stato di Bobbio dopo lapolitica degli affitti fatta dai suoi predecessori. Ottone III infine annullò tutti gli affitti nel 998, epersino emanò in materia un capitolare di carattere generale. I1 vescovo di Verona Raterio, ilmassimo letterato dell'Italia del X secolo, si trovò in posizione simile attorno al 960, se si puòcredere alle sue lamentele di così vasta portata e assai accese. Anch'egli fu ricompensato da undiploma del re del 967 che annullava i contratti d'affitto non vantaggiosi, quantunque è improbabilesia riuscito a servirsene, dato che i suoi nemici riuscirono a farlo destituire (ed era ormai tempo)dalla carica nel 96840. Ma malgrado gli sforzi di questi luminari, l'aristocrazia minore continuò abasarsi sugli affitti episcopali, emergendo talora come la parte più importante delle classi piùelevate dell'XI secolo.

La concentrazione delle terre della Chiesa è il risultato del carattere ecclesiastico della maggiorparte della nostra documentazione, ma tutto indica che conti ed altri aristocratici laici sicomportavano nella stessa maniera. Ciò valeva anche per lo stato. I re si avvalsero di donazionidirette, che, come si è visto, non erano troppo generose nei riguardi dei laici (le chiese non potevanofarlo; diminuire le proprietà della Chiesa tramite donazioni era contro il diritto canonico). Nonsembra si siano avvalsi di contratti di affitto, ma dopo il 774 essi certamente beneficiarono i loro

38 Manaresi, 25, 35, 43, 64 contro i Franchi; 57 per Geremia.39 Schwarzmaier (B3-f), pp. 22244; C.E. Boyd (4), pp. 88-99.40 Gerberto, Epistolae (MGH Briefe, II), nn. 2, 3, 5; Dipl. Ottonts, III, n. 303; b4GH Constitutiones, I, n. 23. Ratber:Dipl. Ottonis, I, 348; cfr. F. Weigle, Ratherius uon Verona inn Kampt um das Kirchengut, Q.F., XXVIII (1937-8), pp.27-35.

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vassalli, forse ancora su piccola scala. Comunque nel X secolo, le famiglie di vassalli del re erano inquantità pari a quelle di vassalli episcopali, comprese parecchie nuove famiglie comitali italiane.Ciò deve riflettere la maggiore generosità dei re dopo la morte di Lodovico II, che raggiunseproporzioni sbalorditive sotto Berengario I. Se queste famiglie si basassero su donazioni dirette diterreno o su benefici è spesso poco chiaro, ma non sembra abbiano considerato il loro diritto dipossesso come particolarmente condizionante; in quel momento non potrebbe aver fatto grandifferenza, dato che il potere dello stato declinava. Anche lo status di conte o visconte, e le terreconnesse a tale carica, spesso divennero nel X secolo proprietà privata per eredità, dato che allora inesse si ravvisavano maggiormente cessioni permanenti di diritti ad una famiglia. Sotto questoaspetto, il ricoprire una carica divenne una variante del godere di benefici, come nel nord Europa.Tuttavia, diversamente dal nord Europa, ciò non si limitò alla gerarchia aperta degli obblighimilitari feudali; sia coprire una carica sia il beneficio divennero proprietà incondizionate di singolefamiglie. I terreni pubblici di un conte iniziarono ad essere divisi fra i suoi eredi. Con il 1000, ancheil titolo di conte, o marchese, spesso divenne comune a tutti i membri di una famiglia. D'allora inpoi la struttura del potere da cui dipendevano i Carolingi era quasi dimenticata.

Col X secolo le gerarchie della società italiana erano sostanzialmente mutate. I diritti pubblici e leresponsabilità di tutti gli uomini liberi variavano a seconda della proprietà terriera e facevano capo aproprietari terrieri ricchi che in genere erano pubblici funzionari, base ideale dello stato longobardo-carolingio; ora ad essi si era sostituito un sistema di clientele legate ad un signore principale (laico oecclesiastico) da legami di vassallaggio, e da contratti d'affitto concessi più o meno liberamente,donazioni e benefici fondiari. Gli obblighi pubblici dell'uomo libero nei secoli VIII e IX erano perla maggior parte militari, ma si estendevano ad altro specialmente all'amministrazione dellagiustizia. Le clientele dei secoli X e XI, per contrasto, erano quasi totalmente militari.

Tuttavia l'antitesi non era completa. Anche i Longobardi avevano avuto seguiti armati collegati ailoro signori, come era logico per uno dei gruppi più attivi di invasori barbarici dell'Imperooccidentale. E nel X secolo non tutto era stato privatizzato. La maggior parte della giustizia erarimasta pubblica. Lo status di libero era ancora per principio una questione pubblica; lo statoesisteva ancora come concetto nel diritto pubblico. La signoria non fu mai così forte da diventare ilprincipio organizzativo per tutta, o anche per la maggior parte, della società, diversamente, adesempio, dal nord della Francia. Come in Francia il servizio militare fu sempre più prerogativadell'aristocrazia. Nell'XI secolo, miles, soldato o 'cavaliere', divenne un termine tecnico dellapiccola nobiltà. I comuni abitanti delle città lottavano ancora tuttavia, spesso con qualche effettoman mano che le città andavano verso l'indipendenza e lo status comunale. E un elementoimportante della feudalizzazione del nord Europa col X secolo non si verificò in Italia: la crescitadel concetto di una casta di nobili chiusa. Paolo Diacono nell'VIII secolo ne aveva menzionatol'assenza. Raterio di Verona fece la stessa affermazione nel X secolo:

Si consideri il figlio di un conte, il cui nonno fosse giudice; suo bisnonno fosse un tribuno o unosculdahis, il suo trisavolo solo un soldato. Ma chi era il padre di quel soldato? Un indovino o unpittore? Un lottatore o un uccellatore? Un pescivendolo o un vasaio, un sarto o un allevatore dipolli, un mulattiere o un venditore ambulante? Un cavaliere o un contadino? Uno schiavo o unuomo libero? 41

Chiaramente Raterio vide che la mobilità sociale avveniva all'interno dei ranghi della gerarchiaufficiale. Non v'è dubbio che la possibilità di tale mobilità (quantunque allora fosse rara) eracollegata al continuo sopravvivere dell'ideologia pubblica dello stato, nel quale in teoria tutti gli

41 Raterio, Praeloquia, 1. 23 (Migne, Pr, 136 c. 167).

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uomini liberi avevano gli stessi diritti. Questa ideologia doveva continuare ad esistere, soprattutto,nelle città, e dopo un secolo e mezzo sarebbe diventata uno strumento di forza nelle mani deicomuni. Tuttavia il potere reale dello stato era a quell'epoca scomparso da tempo, in parte in seguitoallo sviluppo sopra descritto. Nell'ultimo capitolo vedremo come.