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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 46 -EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI COMPOSITI Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano CAPITOLO 46 46 EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI COMPOSITI Sinossi materiali compositi presentano numerosi vantaggi dal punto di vista strutturale e funzionale rispetto ai materiali tradizionali. D’altra parte, essi manifestano significative peculiarità nel comportamento a fatica e diverse criticità riguardo alla resistenza ambientale ed alle sollecitazioni accidentali. Al contrario dei materiali omogenei ed isotropi, i compositi sono caratterizzati da modalità di danneggiamento diversificate, fortemente dipendenti dalla loro natura ortotropica. Quest’ultima è altresì responsabile del peculiare comportamento nei confronti degli impatti a bassa energia, i quali possono provocare danneggiamenti interni molto seri, ma non rilevabili dall’esterno (Barely Visible Impact Damage). Inoltre essi mostrano fenomeni sconosciuti ai materiali tradizionali (gli effetti di bordo) o quantitativamente molto più rilevanti a parità di geometria (gli effetti d’intaglio). L’eterogeneità e l’ortotropia giustificano altresì la risposta dei compositi nei confronti di eventi atmosferici accidentali, quali la fulminazione o il bird strike. I materiali compositi non soffrono dei problemi di corrosione cui vanno soggetti i materiali tradizionali, ma vedono le proprie caratteristiche degradate a causa dell’invecchiamento ambientale (environmental ageing) il quale si manifesta con l’assorbimento di umidità e la riduzione delle caratteristiche elastiche in dipendenza del valore della temperatura esterna. Il corretto utilizzo dei materiali compositi richiede la conoscenza di tali comportamenti, che perciò verranno trattati nel seguito. 46.1 Danneggiamento e fatica nei materiali compositi 46.1.1 Meccanismi di danneggiamento nei materiali compositi differenza dei materiali metallici i materiali compositi sono materiali non omogenei e anisotropi anche a una scala di osservazione molto più grande di quella tipica della microstruttura dei materiali policristallini. Uno delle differenze fondamentali, rispetto ai materiali metallici, è la tendenza ad accumulare danno in modo diffuso e progressivo, piuttosto che a localizzarlo in una singola macro-frattura. I meccanismi di danno, inoltre, sono molteplici. Tipicamente si può affermare che esistano 4 tipologie di danneggiamento ben riconoscibili e distinguibili nei materiali compositi: - il danneggiamento progressivo della matrice - il danneggiamento dell’interfaccia fibra-matrice - la rottura delle fibre a trazione e a compressione - i fenomeni di delaminazione I primi tre meccanismi di danno si riferiscono a danni di tipo intralaminare, che avvengono all’interno dello I A

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 46 -EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI COMPOSITI

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

CAPITOLO

46

46 EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI

COMPOSITI

Sinossi

materiali compositi presentano numerosi vantaggi

dal punto di vista strutturale e funzionale rispetto ai

materiali tradizionali. D’altra parte, essi manifestano

significative peculiarità nel comportamento a fatica e

diverse criticità riguardo alla resistenza ambientale ed

alle sollecitazioni accidentali. Al contrario dei

materiali omogenei ed isotropi, i compositi sono

caratterizzati da modalità di danneggiamento

diversificate, fortemente dipendenti dalla loro natura

ortotropica. Quest’ultima è altresì responsabile del

peculiare comportamento nei confronti degli impatti a

bassa energia, i quali possono provocare

danneggiamenti interni molto seri, ma non rilevabili

dall’esterno (Barely Visible Impact Damage). Inoltre

essi mostrano fenomeni sconosciuti ai materiali

tradizionali (gli effetti di bordo) o quantitativamente

molto più rilevanti a parità di geometria (gli effetti

d’intaglio). L’eterogeneità e l’ortotropia giustificano

altresì la risposta dei compositi nei confronti di eventi

atmosferici accidentali, quali la fulminazione o il bird

strike. I materiali compositi non soffrono dei problemi

di corrosione cui vanno soggetti i materiali

tradizionali, ma vedono le proprie caratteristiche

degradate a causa dell’invecchiamento ambientale

(environmental ageing) il quale si manifesta con

l’assorbimento di umidità e la riduzione delle

caratteristiche elastiche in dipendenza del valore della

temperatura esterna. Il corretto utilizzo dei materiali

compositi richiede la conoscenza di tali comportamenti,

che perciò verranno trattati nel seguito.

46.1 Danneggiamento e fatica nei materiali

compositi

46.1.1 Meccanismi di danneggiamento nei

materiali compositi

differenza dei materiali metallici i materiali

compositi sono materiali non omogenei e anisotropi

anche a una scala di osservazione molto più grande di

quella tipica della microstruttura dei materiali

policristallini. Uno delle differenze fondamentali, rispetto

ai materiali metallici, è la tendenza ad accumulare danno

in modo diffuso e progressivo, piuttosto che a localizzarlo

in una singola macro-frattura. I meccanismi di danno,

inoltre, sono molteplici. Tipicamente si può affermare che

esistano 4 tipologie di danneggiamento ben riconoscibili e

distinguibili nei materiali compositi:

- il danneggiamento progressivo della matrice

- il danneggiamento dell’interfaccia fibra-matrice

- la rottura delle fibre a trazione e a compressione

- i fenomeni di delaminazione

I primi tre meccanismi di danno si riferiscono a danni di

tipo intralaminare, che avvengono all’interno dello

I

A

TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 46 -EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI COMPOSITI

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spessore di una lamina e sono promossi dalle

componenti di sforzo agenti nel piano delle lamine

stesse. L’ultimo tipo di danneggiamento è invece

interlaminare ed è originato dalle componenti agenti

fuori dal piano della lamina, detti anche sforzi

interlaminari. I meccanismi di danno possono evolvere

in modo indipendente o possono interagire fra di loro e

la predominanza di una tipologia di danneggiamento

rispetto a un'altra dipende grandemente dalle

caratteristiche del materiale e dalle sequenze di

laminazione. La Figura 46.1mostra una sequenza di

laminazione e le convenzioni utilizzate per un

laminato soggetto a trazione. La Figura 46.2 si

riferisce alla tipica evoluzione del danno in un

laminato composito di questo tipo, in una prova di

trazione quasi-statica. Le tipologie di danneggiamento

descritte sono simili a quelle che possono evolversi nel

corso di sollecitazioni cicliche. Nel seguito, i

meccanismi di danneggiamento sono descritti con

maggiore dettaglio.

Figura 46.1 – Laminato in composito soggetto a un carico di

trazione.

Figura 46.2 – Tipico andamento dell’evoluzione del danno in un laminato in composito soggetto a trazione.

xx

yy

=0

xy

=90

=-45

=45

=0

F

Z, z

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Danneggiamento intralaminare nella matrice:

transverse matrix cracking

Si possono riconoscere, in Figura 46.2, danneggiamenti

intralaminari rappresentati da fratture nella matrice. Tali

fratture avvengono sempre in direzione parallele alle

fibre della lamina, lungo l’asse lamina x. Esse sono

quindi orientate trasversalmente al carico di trazione

applicato quando la fibre della lamina sono anch’esse

orientate trasversalmente (transply cracking).

Per un carico di trazione applicato in direzione X, in assi

laminato, il transverse matrix cracking occorre nelle

lamine orientate a 90° rispetto alla direzione del carico,

che sono sollecitate da un carico di trazione yy. Tale

sforzo agisce nella direzione della matrice, dove le

proprietà di resistenza del composito sono estremamente

ridotte . La Figura 46.3 illustra questo meccanismo di

danneggiamento in un laminato cross-ply (con sequenza

di laminazione costituita da soli ply orientati a 0° o a 90°

rispetto all’asse X laminato).

Figura 46.3 – Transverse matrix cracking in un laminato

cross-ply.

In realtà, questi tipi di danneggiamento possono

avvenire anche in lamine inclinate rispetto alla direzione

del carico, come le lamine orientate a 45° mostrate in

Figura 46.1. In questi casi la frattura della matrice, che si

sviluppa sempre secondo linee parallele alle fibre, è

promossa dall’azione combinata di yy e xy. La Figura

46.4 mostra che, in effetti, questo meccanismo di

danneggiamento è collegato, a livello micro strutturale,

anche a fenomeni di frattura nell’interfaccia fibra-

matrice.

E’ noto che questo meccanismo di danno è uno dei primi

che viene attivato durante prove quasi-statiche o cicliche

di laminati a trazione. E’ un fenomeno che riguarda sia

lamine con rinforzo unidirezionali, che tessuti. In una

prova quasi-statica, l’attivazione di tale meccanismo, in

generale, è molto anticipata rispetto al limite di rottura

del laminato. Come mostrato in Figura 46.5, la comparsa

delle fratture trasversali nella matrice avviene

approssimativamente in corrispondenza della first ply

failure nel laminato (individuata, ad esempio, mediante

un criterio di resistenza) ma non comporta un effetto

particolarmente significativo sulla risposta macroscopica

del laminato.

Figura 46.4 – Ingrandimento di una frattura trasversale

nella matrice.

Figura 46.5 – Effetto del transverse ply cracking sulla

risposta macroscopica del laminato.

Lo sviluppo delle fratture trasversali riduce le

caratteristiche di rigidezza delle lamine nelle direzioni in

cui tali proprietà sono dominate dalla fase matrice, ma è

intuibile come, per un laminato con rinforzo multi

direzionale, l’effetto sulla rigidezza complessiva,

dominata dalle caratteristiche delle fibre allineate in

direzione del carico, sia trascurabile.

Il transverse matrix cracking è un fenomeno che procede

in modo tipicamente progressivo, sia in prove quasi-

statiche, sia in sollecitazioni cicliche. Sia l’andamento

delle rigidezze che le ispezioni effettuate con diverse

metodologie sperimentali sulla densità delle fratture

indicano che l’evoluzione del transverse matrix cracking

tende a uno stato di saturazione, oltre il quale non si

osserva accumulo ulteriore di danno. La Figura 46.6 è

rappresentativa di tale tendenza, in una prova di trazione

quasi-statica su un laminato. Lo stato di saturazione cui

tende la densità delle cricche è noto come characteristic

damage state (CDS).

Attivazione del

meccanismo di

tranverse ply

cracking (First

ply failure del

laminato)

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Figura 46.6 – Evoluzione del transverse matrix cracking

in una prova quasi-statica

Danneggiamento intralaminare nella matrice:

formazione di cricche longitudinali

La Figura 46.2 indica, fra i meccanismi di danno attivati

nel laminato, la comparsa di fratture parallele alle fibre

orientate secondo l’asse di applicazione del carico.

La formazione di questo tipo di fratture, tipica delle

lamine con rinforzo unidirezionale, è collegata al

differente coefficiente di Poisson fra le lamine orientare

nella direzione del carico applicato e quelle orientate in

direzione trasversale. Le lamine orientate a 0° tendono a

contrarsi, ma tale tendenza è ostacolata dalla rigidezze

delle lamine poste a 90°. Lo stato di sforzo yy che ne

deriva può provocare la formazione di fratture nella

matrice, parallelamente alle fibre.

Questo tipo di danno ha una rilevanza molto minore,

rispetto al transverse matrix cracking, nel

danneggiamento complessivo del laminato. Nei laminati

in fibra di carbonio, in effetti, è difficilmente osservabile

se non poco prima del cedimento dell’interno laminato o

in prossimità di intagli.

Delaminazioni

A differenza delle tipologie di danno descritte in

precedenza, la delaminazione è un danno interlaminare

che è promosso dall’azione di componenti di sforzo

agenti fuori dal piano del laminato: zz, xz, yz.

Le fratture per delaminazione possono avvenire secondo

tre modalità di base, illustrate in Figura 46.7, o secondo

una loro combinazione. Le delaminazioni in modo II e

III sono promosse dagli sforzi di taglio interlaminare,

mentre le de laminazioni in modo I sono innescate dagli

sforzi normali interlaminari zz.

Figura 46.7 – Modalità di propagazione delle fratture

interlaminari

Secondo lo schema riportato in Figura 46.2, la

delaminazione è promossa dallo sviluppo di danni

intralaminari nella matrice, che fungono da innesco alle

fratture interlaminari (combined intralaminar

interlaminar crack), e dagli effetti di bordo libero del

laminato (freee edge delaminations).

Figura 46.8 – Esempio di delaminazione in

corrispondenza di fratture trasversali nella matrice

La Figura 46.8 è un esempio di delaminazione innescata

in prossimità di una frattura trasversale nella matrice.

Per quanto riguarda gli effetti di bordo libero, la loro

origine risiede nella necessità di soddisfare la

congruenza fra le lamine del laminato ai bordi dello

stesso, dove un lato delle lamine deve essere scarico. La

componente di sforzo intralaminare agente su tale lato,

che garantiva equilibrio e congruenza della lamina

all’interno del laminato, deve essere, al bordo scarico,

sostituita da una componente di sforzo interlaminare.

Ciò provoca la comparsa di elevati valori di sforzo

interlaminare ai bordi, che divengono i luoghi favoriti

per lo sviluppo di de laminazioni, come mostrato in

Figura 46.9

tendenza alla contrazione nel ply a 0°

frattura longitudinale nella matrice

del ply a 0°

yy esercitato dalla rigidezza delle

fibre trasversali del ply a 90°

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Figura 46.9 – Sviluppo di delaminazioni ai bordi di un

laminato.

Figura 46.10 – Sviluppo di delaminazioni in un laminato

curvo soggetto a flessione quasi-statica

Altri punti di potenziale sviluppo di delaminazioni, sotto

l’azione di carichi quasi-statici o ciclici, sono le zone in

cui sono presenti curvature oppure variazioni di forma e

di spessore ottenute attraverso variazioni della sequenza

di laminazione (ply drop off). La Figura 46.10 si

riferisce a un laminato a L soggetto a una prova di

flessione. Nella zona di massima curvatura, gli sforzi xx

nelle lamine originano una componente diretta verso il

basso che può essere equilibrata solo da componenti di

sforzo interlaminari.

Le precedenti considerazioni indicano le zone di

potenziale sviluppo di delaminazioni sotto l’azione dei

carichi di progetto in un laminato inizialmente integro.

In realtà, come affermato, lo schema si riferisce

all’evoluzione del danno in una prova quasi-statica e,

volendo, può essere esteso alle prove cicliche su un

provino originariamente integro, ma non tiene conto

delle due fonti principali di delaminazione nelle strutture

in composito: i difetti tecnologici e gli impatti

accidentali, che possono facilmente indurre

delaminazioni di entità non trascurabile nei manufatti.

A differenza del transverse matrix cracking, la

delaminazione interviene in una direzione dove, con le

tecnologie di laminazione convenzionali, non può essere

introdotto alcun rinforzo nel laminato. La possibilità di

variare la direzione del rinforzo, per evitare di lasciare

da sola la matrice a mettere in gioco gli sforzi che

debbono equilibrare i carichi esterni, non può essere, in

questo caso sfruttata.

Per questo motivo, una volta sviluppatasi, la

delaminazione può procedere nel composito senza

incontrare barriere che si oppongano alla sua

propagazione. Questo meccanismo di danno, pertanto,

tende a sviluppare fratture localizzate nel composito, a

differenza delle altre tipologie di danneggiamento e

rappresenta per i compositi uno dei fattori di rischio più

significativi. Una volta nucleato, infatti, il danno

interlaminare è facilmente propagabile fino a che il

cedimento diviene inevitabile.

Rottura delle fibre a trazione e danneggiamenti

dell’interfaccia

La rottura delle fibre è il meccanismo di danno che

produce, generalmente, il cedimento definitivo del

laminato. Le fratture delle fibre di rinforzo è un

fenomeno di rottura fragile, che può essere studiato

attraverso modelli probabilistici. Infatti, la resistenza

delle fibre è distribuita con una certa distribuzione di

probabilità nelle lamine di rinforzo. La rottura di gruppi

isolati di fibre nelle lamine allineate con la direzioni di

carico, non comporta il cedimento del laminato poiché il

carico può venire trasferito ad altre fibre. Nei laminati

con rinforzo in fibra di carbonio, rotture isolate di fibre

sono presenti fin dall’80% del carico di rottura. A tali

fenomeni si riferisce lo schema in Figura 46.2 che

introduce, fra i possibili danni, le fratture localizzate

delle fibre.

La matrice e lo sviluppo di danni all’interno della

matrice giocano un ruolo importante, per due motivi

fondamentali:

le zone in cui la matrice è danneggiata (ad esempio

per transverse matrix cracking) rappresentano zone

di sovrasollecitazione per le fibre;

la matrice ha la funzione di trasferimento del carico

dalle fibre e quando si ha rottura dell’interfaccia

fibra-matrice (fiber-matrix disbond in Figura 46.2),

tale capacità è compromessa.

xx xx

zz

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Si osservi che, in particolare nelle prove di fatica, il

danneggiamento dell’interfaccia fibra-matrice, può

avvenire indipendentemente dal verificarsi del

transverse matrix cracking e compromettere la capacità

di trasferimento di carico fra le fibre.

Il cedimento finale avviene quando le fibre contigue a

quelle interrotte, già sollecitate ai limiti della loro

resistenza, non sono più in grado di farsi carico della

sovrasollecitazione. La riduzione della capacità di

trasferimento di carico, dovuta al danno matrice,

aggrava la situazione impedendo, alla parte di fibra

rimasta integra, di collaborare. L’interazione fra i

meccanismi di danno della matrice e la rottura delle

fibre non è trascurabile nel comportamento a fatica dei

materiali compositi.

Meccanismi di danno a compressione

La Figura 46.12 si riferisce ai meccanismi di danno

attivati durante la compressione di un laminato in

composito.

Si può osservare il ruolo che i fenomeni di

delaminazione possono avere sulla risposta globale dei

laminati a compressione. Infatti, mentre la propagazione

della delaminazione non comporta grandi alterazioni

della risposta a trazione del laminato, la situazione a

compressione è completamente differente. Qualunque

sia la causa che ha promosso la delaminazione, il

laminato, in seguito a tale danneggiamento, risulta

suddiviso in sub-laminati di spessore ridotto, che

possono facilmente instabilizzarsi anche per bassi di

carichi di compressione. L’instabilizzazione comporta

una notevole accelerazione della propagazione della

delaminazione e sottrae area resistente a compressione.

Un punto di fondamentale importanza è il meccanismo

di cedimento delle fibre a compressione, che determina

il cedimento finale delle lamine per compressione. Tale

meccanismo di cedimento è caratterizzato dalla

microinstabilità delle fibra nella matrice (fiber

microbukling).

La fibra, che di per sé ha scarsa rigidezza flessionale a

causa dei diametri molto ridotti, è stabilizzata dalla

rigidezza trasversale e a taglio della matrice. La fibra,

dunque, non può sbandare poiché la matrice la sostiene,

ma, in presenza di piccoli disallineamenti, (dell’ordine

del grado) e di elevate azioni di compressione, la

matrice non è più in grado di svolgere tale azione

stabilizzante e la fibra si in stabilizza, sbandando. La

micro-instabilità può essere caratterizzata da uno

sbandamento in controfase delle fibre (che testimonia

l’inadeguatezza della rigidezza trasversale della matrice

a sostenere la fibra) o da uno sbandamento in fase, in cui

la matrice cede a taglio. Le due modalità, dette extension

mode o shear mode, sono presentate in Figura 46.11. Per

le frazioni volumetriche tipicamente utilizzate nei

compositi di interesse strutturale, tuttavia, lo shear mode

è il meccanismo prevalente.

Il meccanismo di cedimento dimostra che la resistenza a

compressione è in effetti una proprietà dominata dalla

caratteristiche della fase matrice del composito.

Figura 46.11 – Micro-instabilità delle fibre a compressione

Figura 46.12 – Meccanismi di danno in un laminato in

composito soggetto a compressione

46.1.2 La fatica nei materiali compositi

L’esecuzione di prove a fatica su provini in materiale

composito provoca l’accumulo di danno che evolve

secondo i molteplici meccanismi presentati nel par.

46.1.1 Nelle sollecitazioni cicliche, la disomogeneità

dello stato di sforzo e delle proprietà meccaniche a

livello micro strutturale può nucleare le diverse tipologie

di danneggiamento anche per livelli di sforzo inferiori a

quelli corrispondenti all’attivazione dei meccanismi di

danno in condizioni quasi-statiche.

Tale accumulo di danno provoca una riduzione della

rigidezza e anche della resistenza residua, che è

misurabile interrompendo la prova a fatica ed eseguendo

una prova statica fino a rottura. Oltre un certo livello di

accumulo nella prova a fatica si ha il cedimento finale

del provino, che generalmente avviene di schianto. Noti

il numero di cicli cui il provino è estato sottoposto e

l’ampiezza dell’oscillazione di carico, è possibile

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costruire una curva di Wöhler, in modo del tutto simile

al caso dei provini metallici.

La curva, che è indicativamente rappresentata in Figura

46.13-A, ha, in generale, una forma diversa da quella

tipica dei materiali metallici e, inoltre, non permette di

distinguere l’attivazione dei diversi meccanismi di

danno. Per farlo, si dovrebbero raccogliere i dati

necessari a tracciare le curve che, dato un livello di

sforzo Sa, rappresentano le soglie di attivazione, in

termini di numero di cicli, per ogni tipo di

danneggiamento. In un laminato in composito soggetto a

fatica pulsatoria a trazione, ad esempio, l’evoluzione del

danno potrebbe essere caratterizzata dalla comparsa di

trasverse matrix cracking (1), seguita dalla comparsa

delle prime delaminazioni (2), dalla loro propagazione

(3) e dall’inizio delle fratture nei gruppi di fibre (4).

Figura 46.13 – Curva di Wöhler per un materiale

composito e soglie di attivazione dei meccanismi di danno

Figura 46.14 – Densità delle fratture trasversali nei ply a

45° di un laminato [(45,02)2]S in carbonio durante una

prova di fatica

La densità delle fratture dovute al transverse matrix

cracking, ad esempio, è stata oggetto di numerosi studi.

La Figura 46.14 si riferisce all’evoluzione di tale

danneggiamento nelle lamine orientate a 45°, esterne e

interne, di un laminato con sequenza di laminazione

[(45,02)2]S. La differente evoluzione del danno a fatica

è dovuta agli effetti di superficie nelle lamine esterne,

che presentano una fase di nucleazione accelerata.

Tuttavia, oltre un certo livello di danno, le lamine

esterne, cui può essere trasmesso il carico solo da un

lato, non sono ulteriormente danneggiate. Le lamine

interne, al contrario, presentano una densità crescente

senza evidenziare un livello di saturazione e, al

momento del cedimento, risultano significativamente

più danneggiate delle esterne.

L’esempio riportato è indicativo della complessità del

fenomeno della fatica nei compositi. L’approccio

classico, mutuato dall’esperienza riguardante i materiali

metallici e basato sulle curve S-N è possibile, ma

comporta, in sostanza, la caratterizzazione separata a

fatica di ogni sequenza di laminazione.

Le curve S-N e i diagrammi di vita costante a fatica

individuano, comunque, alcune tendenze che

caratterizzano il comportamento dei compositi. La più

rilevante di tali tendenze è che i compositi rinforzati con

fibre di carbonio hanno prestazioni di fatica che, a

trazione, sono notevolmente superiori a quelle dei

materiali metallici. La Figura 46.15 si riferisce a dati

ricavati alla fine degli anni ’60, su laminati

unidirezionali con rinforzo in fibra di carbonio ad alto

modulo. Il grafico in Figura 46.15-A è relativo a prove

flessionali e presenta una riduzione del massimo carico

di trazione applicabile all’aumentare del numero di cicli.

Si osservi, comunque che tale riduzione è molto limitata

rispetto al caratteristico andamento delle curve di

Wöhler dei materiali metallici, presentate nel Cap.57. I

risultati presentati in Figura 46.15-B, relativi a prove di

fatica pulsatoria a trazione, mostrano addirittura

l’insensibilità del materiale a questo tipo di fatica. La

banda grigia nei grafici, infatti, rappresenta la

dispersione dei dati ottenute in prove di trazione quasi-

statica e, come si può osservare, i risultati ottenuti fino a

107 cicli mostrano che il materiale è in grado di

sostenere l’applicazione ciclica di un carico di trazione

che è in pratica uguale a quello di rottura in una prova

monotona.

L’avvento di nuovi materiali, con sforzi di rottura a

trazione quasi-statici molto superiori rispetto a quelli dei

compositi ad alto modulo ha lievemente ridotto le

prestazioni a fatica dei compositi con rinforzo in fibra di

carbonio, che rimangono, comunque, complessivamente

superiori a quelle dei materiali metallici.

La Figura 46.16 si riferisce a laminati con sequenza

[(45,02)2]S realizzati con diverse tipologie di fibre di

carbonio. Il tipo di fatica applicata è una fatica

pulsatoria a trazione con:

Sa

1 2 3 4

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Figura 46.15 – Prestazioni a fatica di laminati

unidirezionali in carbonio ad alto modulo

Figura 46.16 – Prestazioni a fatica pulsatoria a trazione di

laminati [(45,02)2]S in fibra di carbonio

È interessante osservare che i materiali che offrono le

migliori prestazioni di resistenza in prove quasi-statiche

non presentano, in generale, le migliori prestazioni a

fatica. La forma delle curve di Wöhler ottenute è molto

varia: alcuni materiali presentano una relazione lineare,

altri dei limiti di fatica, altri ancora mostrano una

marcata curvatura verso il basso ad alti valori del

numero di cicli. E’ evidente l’influenza del tipo di resina

epossidica, come mostrano i diversi comportamenti di

laminati che utilizzando le medesime fibre di rinforzo.

Sebbene, quindi, il cedimento finale avvenga per rottura

delle fibre di rinforzo, l’accumulo di danno nella matrice

sembra giocare un ruolo rilevante, come anticipato nel

par. 46.1.1. La precedente Figura 46.14, che mostra

l’evoluzione del danno nella matrice, si riferisce a

laminati in T800/5245 (materiale 1 in Figura 46.16) per

un livello di sforzo massimo pari a 1 Gpa. La Figura

46.17 si riferisce ai comportamenti di laminati cross-ply,

con sequenza [(0,90)2]S, di laminati con diversi tipi di

fibre di rinforzo (GRP:Vetro, KFRP: Kevlar; CFRB:

Carbonio).

Il tipo di fatica considerata in Figura 46.17 è pulsatoria a

trazione, con R = 0.1. Le prestazioni a fatica sono

diagrammate in un grafico - logN, dove rappresenta

la massima deformazione a trazione applicata. Secondo

alcune interpretazioni, la fatica dei compositi, nel piano

- logN può presentare tre campi distinti, che, tuttavia, a

seconda del tipo di materiale, possono non essere tutti

presenti. Il primo campo, per alti valori di deformazione

applicata, comporta cedimenti per rottura delle fibre, in

assenza o in presenza di danneggiamento dell’interfaccia

fibra-matrice. I livelli di deformazione applicata variano

pochissimo rispetto a quelli ottenibili in una prova

quasi-statica. Abbassando il livello delle deformazioni

applicate, sebbene gruppi di fibre isolati possano essere

soggetti a rottura, ciò non comporta il cedimento

completo del laminato ed altri meccanismi di danno

hanno il tempo di evolvere. Tali meccanismi, quali il

matrix cracking, le delaminazioni o il danneggiamento

delle interfacce, possono influenzare lo stato di danno

complessivo e portare a rottura a più bassi livelli di

deformazione applicata. La pendenza della curva -

logN incomincia a decrescere, definendo, così, un

secondo campo della vita a fatica del composito.

Figura 46.17 – Diagramma -logN per laminati cross-ply

con rinforzi in fibra di vetro, Kevlar e carbonio

C’e’ tuttavia, anche nel caso delle matrici polimeriche,

un qualche tipo di limite di deformazione a fatica e, se le

deformazioni applicate non superano tale limite, il

composito non dovrebbe, in linea di principio, rompersi

per nessun valore del numero di cicli. Questo comporta,

nell’ultimo campo, un asintoto orizzontale della curva. Il

passaggio attraverso questi campi dipende dalla

particolare combinazione di materiale, sequenza di

laminazione e tipo di sollecitazione. Secondo questa

interpretazione, i risultati riportati in Figura 46.17

indicano che nei compositi rinforzati in fibra di vetro,

che sono caratterizzati da elevatissimi valori di

deformazione a rottura, i meccanismi di danno nella

matrice sono immediatamente attivati e il primo campo,

quello di deformazione costante con il numero di cicli,

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non è esistente. Per alti valori del numero di cicli,

tuttavia, la curva si appiattisce e mostra un limite di

fatica.

La maggiore rigidezza del Kevlar e il minor livello di

deformazioni a rottura, permette di ritardare

l’attivazione dei meccanismi di danno della matrice per

bassi numeri di cicli. La curva è quindi inizialmente

quasi piatta e mostra solo in seguito un effetto del

numero di cicli. Per il carbonio, le deformazioni

rimangono sempre a livelli molto limitati. Ciò impedisce

l’attivazione dei meccanismi di danneggiamento nella

matrice. Per tale motivo, l’andamento della curva -

logN è quasi piatto e mostra la tipica scarsa sensibilità al

numero di cicli applicati dei compositi rinforzati in fibra

di carbonio a trazione. Per quanto riguarda l’effetto dello

sforzo medio, e dei diversi tipi di fatica, i diagrammi di

fatica a vita costante, nei compositi, mostrano che

l’effetto dei uno sforzo medio a trazione provoca

complessivamente una diminuzione dell’ampiezza di

oscillazione del carico. A parità di N, quindi, i valori di

Sa ammessi per la fatica alternata saranno, superiori, a

quelli relativi alla fatica pulsatoria a trazione. Tale

comportamento è simile a quello dei metalli.

Tuttavia, nei metalli, è noto che uno sforzo medio a

compressione ha sempre un effetto benefico sulla vita a

fatica del materiale, mentre tale fenomeno non si

verifica per i compositi. La ragione di questo fatto può

essere ricondotta all’interazione fra delaminazione e

sollecitazioni di compressione e a quella fra danno nella

matrice e rottura delle fibre che indica, nei compositi, la

resistenza a compressione è in realtà una proprietà

dominata dalle proprietà della matrice. Il tipico

diagramma di fatica a vita constante, esemplificato in

Figura 46.18 per i compositi con rinforzo in fibra di

carbonio, mostra un effetto quasi simmetrico nel caso di

sforzi medio di trazione e di compressione.

Figura 46.18 – Esempio di diagramma di fatica per

compositi rinforzati in fibra di carbonio

46.2 Effetti di bordo e d’intaglio

46.2.1 Effetti di Bordo

Gli effetti di bordo sono un fenomeno tipico dei laminati

in materiale composito caratterizzati da sequenze di

laminazione non omogenee. Nel caso più generale, un

laminato costituito da lamine con orientazioni e/o

caratteristiche elastiche differenti, se soggetto a

deformazioni di natura meccanica e/o termica manifesta,

in prossimità dei bordi liberi, uno stato di sforzo

aggiuntivo a quello della soluzione nominale, che nasce

per garantire condizioni di congruenza ed equilibrio. La

soluzione nominale, per un generico laminato “Angle-

Ply” sottoposto ad una sollecitazione di trazione lungo

l’asse longitudinale “ ”, come quella presentata in

Figura 46.19, vede la comparsa, in corrispondenza dei

bordi liberi del laminato, di stati di sforzo di natura

inter-laminare ( ; ; ) che si sovrappongono alle

componenti intra-laminari: ; ; che agiscono nel

piano delle singole lamine. Il fenomeno è appunto noto

come effetto di bordo.

Figura 46.19 – Laminato “Angle-Ply” simmetrico,

geometria e stati di sforzo

La soluzione nominale, caratterizzata dalle sole

componenti di sforzo piano, risulta completamente nota

della Teoria Classica della Laminazione (CLT). Questa

continua a rappresentare la soluzione corretta dello stato

di sollecitazione al centro del laminato, cioè in una zona

sufficientemente lontana dai bordi liberi, tale da non

risentire più degli effetti degli sforzi inter-laminari.

Queste componenti di sforzo assumono infatti valori

massimi in corrispondenza dei bordi liberi tendendo ad

attenuarsi con l’allontanamento dalla superficie di

discontinuità. Gli sforzi inter-laminari (Figura 46.19),

che per loro natura non possono in alcun modo essere

valutati dalla semplice CLT, si dimostrano

particolarmente pericolosi per l’integrità del generico

manufatto in materiale composito, perché agiscono nella

regione di interfaccia tra lamine contigue, l’interlamina

che dato l’alto contenuto di resina, la fase meno

resistente del composito, si dimostra particolarmente

predisposta a manifestare meccanismi di

danneggiamento. Questi meccanismi di danneggiamento

che possono manifestarsi in diverse regioni del laminato

sempre per effetto della presenza di significative

componenti di sforzo interlaminare originate da cause

molteplici, nel caso particolare di effetti di bordo

prendono il nome di delaminazioni di bordo libero. In

Figura 46.20 si può apprezzare la tipica conformazione

delle delaminazioni di bordo libero con la tendenza a

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nucleare in corrispondenza delle superfici di

discontinuità e a propagare successivamente verso

l’interno del laminato in entrambe le direzioni “ ” e “ ”.

Figura 46.20 – Delaminazione di bordo libero

Effetti di bordo per laminati Cross-Ply

Si consideri un laminato “Cross-Ply” con sequenza

[90/0]s sottoposto ad una sollecitazione di trazione lungo

l’asse longitudinale “ ”, come riportato in Figura 46.21.

La semi sezione della lamina superiore del laminato

orientata a 90°, come riportato in Figura 46.21 risulterà

caratterizzata dalla presenza di uno stato di sforzo

distribuito sulla faccia normale alla direzione di

applicazione della sollecitazione di trazione e da una

componente di sforzo in corrispondenza del piano di

simmetria del laminato sulla faccia ortogonale alla

direzione “ ”. La presenza di quest’ultima componente

di sforzo è giustificata dalla discordanza tra i coefficienti

di Poisson delle due lamine contigue disposte

rispettivamente a 90° e 0° rispetto alla direzione di

applicazione della sollecitazione di trazione. In

particolare, il coefficiente di Poisson ν12, espresso nel

riferimento locale della generica lamina, indica la

tendenza alla contrazione in direzione 2 (la direzione

dominata, per una lamina di composito unidirezionale,

dalla fase matrice), per effetto di una sollecitazione di

trazione in direzione 1 (la direzione dominata della fase

fibra, sempre nell’ipotesi di lamina di composito

unidirezionale). Nel piano della singola lamina è

possibile definire anche il coefficiente di Poisson ν21 che

indica, analogamente al precedente, la tendenza alla

contrazione in direzione 1, per effetto di una

sollecitazione di trazione in direzione 2. Anche da un

punto di vista intuitivo appare evidente come il

coefficiente di Poisson ν12 sia superiore al coefficiente

ν21 per una lamina di composito unidirezionale, come

confermato anche dalla simmetria della matrice di

flessibilità della lamina, da cui risulta:

Quindi, sulla base dei valori tipici assunti dalle

caratteristiche elastiche convenzionalmente identificabili

da prove standard di caratterizzazione per un generico

composito unidirezionale, per esempio in fibra di

carbonio e resina epossidica: E11 = 150 Gpa; E22 = 10

GPa; ν12 = 0.34, si determina un coefficiente di Poisson

ν21 pari a 0.023, cioè più di un ordine di grandezza

inferiore al coefficiente ν12. Queste considerazione

confermano anche da un punto di vista quantitativo la

discordanza dei coefficienti di Poisson delle due lamine

orientate rispettivamente a 90° e 0°, sottolineando la

tendenza della prima ad opporsi alla contrazione

trasversale della lamia orientata a 0° per effetto della

sollecitazione longitudinale di trazione (“Poisson

mismatch”). A fronte di questa differenza tra i

coefficienti di Poisson, al fine di garantire la congruenza

delle deformazioni delle due lamine contigue lungo

l’asse “ ”, la lamina superiore, orientata a 90°, risulterà

soggetta ad uno stato di sforzo assiale di trazione che

insisterà solo sulla superficie interna, originata dal

“taglio” della porzione di lamina considera effettuato in

corrispondenza del piano di simmetria del laminato. Al

fine di soddisfare l’equilibrio alla traslazione lungo la

l’asse “ ” della porzione di lamina indicata in Figura

46.21, dovendo la superficie libera ABCD mantenersi

scarica per definizione, si prevede la nascita di

componenti di sforzo di taglio che insisteranno solo

nella regione di interfaccia tra le due lamine contigue

orientate a 90° e 0°. La presenza di queste componenti

di sforzo di taglio garantiscono l’equilibrio

traslazionale del laminato ma inducono insieme alle

componenti assiali una coppia di rotazione positiva

intorno all’asse “ ”.

Figura 46.21 – Equilibrio di corpo libero su una porzione

di lamina a 90° in un laminato “Cross-Ply” [90/0]s

Si ipotizza in questa situazione la nascita di componenti

di sforzo sempre di natura inter-laminare , ma in questo

caso di tipo normale: in grado di generare una coppia

uguale ed opposta alla precedente necessaria a garantire

l’equilibrio ai momenti attorno all’asse “ ”. Anche

queste componenti, come le precedenti di taglio

agiscono nella zona di interfaccia tra le due lamine

contigue, come indicato in Figura 46.21, con una

distribuzione lungo l’asse “ ” in grado di soddisfare

l’equilibrio alla traslazione verticale, pertanto

caratterizzata da una risultante nulla lungo l’asse “ ”.

Una possibile distribuzione, in grado di soddisfare

entrambi i requisiti di equilibrio, è stata ipotizzata da

Pagano e Pipes e presentata in Figura 46.22. Secondo

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l’andamento proposto, la distribuzione dello sforzo

inter-laminare di tipo normale , auto-equilibrata lungo

l’asse “ ”, tende a zero al centro del laminato, in

corrispondenza del suo piano di simmetria verticale,

presentando una singolarità in corrispondenza della

superficie libera esterna. Le componenti di sforzo nel

dominio positivo del grafico di Figura 46.22 (“tension”)

esercitano una azione di strappamento (“peeling”) delle

due lamine. Numerose evidenze sperimentali

evidenziano come significative componenti di sforzo

inter-laminare normale e di taglio possono

concorrere sinergicamente alla formazioni di

delaminazioni di bordo libero.

Figura 46.22 – Sforzi interlaminari normali σz (Pipes-

Pagano)

Effetti di bordo per laminati “Angle-Ply” – Soluzione di

Pipes-Pagano

Si consideri un laminato “Angle-Ply” con sequenza di

laminazione simmetrica costituito da lamine di

composito unidirezionale orientate a 45° ([±45°]s)

soggetto ad uno stato di deformazione assiale ,

uniforme sulla sezione, come riportato in Figura 46.23.

La soluzione di un simile problema sarebbe

caratterizzata, secondo la Teoria Classica della

Laminazione (CLT) da uno stato di sforzo piano in cui

sia la componente normale ( ) sia quella di taglio ( ),

all’interno della generica lamina, risultano costanti

lungo la direzione trasversale “ ”, variando solo

attraverso lo spessore del laminato nel passaggio da una

lamina all’altra. Questa soluzione, valida solo

nell’ipotesi di laminato di estensione infinita, risulta non

corretta ed incompleta nel caso reale di di laminato di

dimensione finita, proprio in prossimità dei suoi bordi

liberi. La non correttezza deriva dalla previsione di

costanza della componente di taglio in

corrispondenza dei bordi liberi, dove nel rispetto delle

condizioni al contorno di superficie scarica, questa

componente dovrebbe tendere a zero ed incompleta

perché priva di ogni previsione su eventuali componenti

di sforzo inter-laminare.

Figura 46.23 – Soluzione di Pipes-Pagano andamento delle

componenti di sforzo

Al fine di superare i limiti intrinsechi della soluzione

offerta dalla CLT, Pipes e Pagano proposero una

soluzione esatta del problema in corrispondenza dei

bordi liberi del laminato sulla base della soluzione di un

sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali

del second’ordine, definito a partire dalle equazioni

indefinite di equilibrio del laminato adottando le

proprietà di simmetria ed anti-simmetria del problema.

La natura ellittica, del quadro di equazioni così definito,

permise agli autori la soluzione del problema, adottando

uno schema alle differenze finite, con riferimento ad un

materiale composito ad alto modulo in fibra di carbonio

e resina epossidica, le cui caratteristiche elastiche sono

riportate in Tabella 46.1.

Tabella 46.1 – Caratteristiche elastiche composito in fibra

di carbonio alto modulo (Pipes-Pagano)

Caratteristiche elastiche composito ad alto modulo

E11 = 138 GPa ν12 = ν13 = ν23 = 0.21

E22 = E33 = 14.5 GPa G12 = G13 = G23 = 5.9 GPa

La Figura 46.23 mostra l’andamento degli sforzi in assi

laminato in corrispondenza dell’interfaccia superiore tra

le lamine a +45° e -45° che si trova a z = h0 secondo lo

schema del laminato riportato in figura, in cui la singola

lamina ha spessore h0 ed il laminato ha larghezza pari a:

2b = 16h0. In particolare, è possibile apprezzare come lo

sforzo di taglio nel piano tenda al valore stimato

dalla CLT solo per un rapporto y/b < 0.5, mentre nel

rispetto della condizione al contorno di bordo libero e

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superficie laterale scarica esso tenda a zero in

corrispondenza del rapporto y/b = 1. Anche lo sforzo

normale può essere correttamente previsto dalla CLT

per un rapporto y/b < 0.5, mentre risulta diminuire in

prossimità del bordo libero.

Questo in termini di stato di sforzo piano, mentre per

quanto riguarda la previsione di eventuali componenti di

sforzo inter-laminare in prossimità dei bordi liberi la

soluzione di Pipes-Pagano, nel caso specifico di

laminato “Angle-Ply”, identifica come significativa la

sola componente di taglio , che dal valore nullo, in

corrispondenza del centro del provino tende ad

aumentare in modo significativo in prossimità del bordo

libero del laminato, presentando una singolarità in

corrispondenza del rapporto y/b=1. In questo caso

infatti, non essendo il laminato caratterizzato da una

discordanza tra i coefficienti di Poisson delle lamine

contigue, come invece avveniva nel caso precedente di

laminato “Cross-Ply” ([90/0]s), risulta affetto, in

prossimità dei suoi bordi liberi, solo dallo sforzo inter-

laminare di taglio , risultando nulla sia la

componente normale , sia lo sforzo di taglio .

Come evidenziato in precedenza per l’andamento degli

sforzi interlaminari e nel caso di laminato “Cross-

Ply” ([90/0]s), anche in questo caso lo sforzo di taglio

rende incompleta la soluzione offerta dalla CLT solo

in un regione prossima alle zone di estremità, essendo

caratterizzato da un andamento che decade rapidamente

allontanandosi dai bordi liberi. In letteratura, a conferma

di questa considerazione, si possono trovare numerosi

studi numerici condotti su laminati in materiale

composito caratterizzati da diversi rapporti geometrici:

b/h0 = 4; b/h0 = 8 e b/h0 = 12 che indicano come la

regione di intensificazione degli sforzi interlaminari si

estenda dal bordo libero verso l’interno del provino per

una distanza paragonabile allo spessore dell’intero

laminato (4h0). Alla luce di questi risultati è possibile

affermare che la presenza di componenti di sforzo

interlaminare in prossimità dei bordi liberi può essere

considerata come un effetto di bordo limitato ad una

regione ristretta, mentre lo stato di sforzo all’interno del

laminato, cioè ad una distanza dai bordi pari allo

spessore del laminato, è colto adeguatamente anche

dalla semplice CLT.

Attraverso lo spessore del laminato lo sforzo di taglio

inter-laminare è caratterizzato dall’andamento

proposto in Figura 46.24, in cui le diverse curve sono

parametrate in funzione della distanza dal centro del

laminato: y/b = 0.89; 0 .93; 0.96; 1.00 e dove i segmenti

tratteggiati rappresentano delle estrapolazioni degli

andamenti definiti dalla soluzione di Pipes-Pagano

identificati dalle curve continue.

Figura 46.24 – Soluzione di Pipes-Pagano: distribuzione

dello sforzo di taglio interlaminare τxz attraverso lo

spessore del laminato

Figura 46.25 – Soluzione di Pipes-Pagano: sforzo τxz in

funzione dell’orientazione ϑ delle lamine

Tutti gli andamenti prevedono un valore nullo dello

sforzo di taglio inter-laminare in corrispondenza

della superfice esterna superiore del laminato (z/h0 =

2.00) e di quella media (z/h0 = 0), mentre i valori

massimi si riscontrano in corrispondenza dell’interfaccia

tra le lamine a +45°/-45° (z/h0 = 1.00). Anche questi

andamenti confermano la singolarità dello sforzo di

taglio in corrispondenza del bordo libero (y/b =

1.00).

In Figura 46.25 si può apprezzare l’andamento dello

sforzo di taglio inter-laminare , valutato in prossimità

del bordo libero del laminato dove assume però ancora

un valore finito, in funzione dell’angolo di orientazione

delle lamine di un laminato “Angle-Ply”, secondo la

soluzione proposta da Pipes-Pagano. L’andamento

prevede un valore massimo per questa componente di

sforzo inter-laminare, in corrispondenza di un angolo di

orientazione delle lamine ϑ = 35° ed il suo annullamento

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in corrispondenza di ϑ = 60°, oltre che per le

orientazioni 0° e 90°.

Effetti di bordo per laminati “Angle-Ply” – Soluzione di

Puppo-Evenson

Puppo ed Evenson proposero una formulazione

approssimata del problema già affrontato da Pipes-

Pagano, basata sulla modellazione di ogni lamina del

laminato con due strati distinti, l’uno con caratteristiche

anisotrope soggetto ad uno stato piano si sforzo, l’altro

con caratteristiche isotrope soggetto ad uno stato di

sforzo di puro taglio. La soluzione del problema secondo

la trattazione di Puppo-Evenson evidenzia andamenti

per le componenti di sforzo nel piano e simili a

quelli proposti da Pipes-Pagano, come visibile dalla

Figura 46.26. Le due soluzioni differiscono molto sulla

previsione dell’andamento della componente di taglio

inter-laminare , in corrispondenza del bordo libero

dove la singolarità prevista dalla soluzione di Pipes-

Pagano contrasta con il valore ben preciso previsto dalla

soluzione di Puppo-Evenson, come osservabile in Figura

46.26.

Figura 46.26 – Confronto tra la soluzione di Puppo-

Evensen e quella di Pipes-Pagano per laminato “Angle-

Ply” a trazione

Implicazioni degli sforzi interlaminari

La presenza di stati di sforzo inter-laminari dovuti ad

effetti di bordo come esposto sia per laminati “Cross-

Ply” sia per laminati “Angle-Ply” sono alla base di

possibili fenomeni di delaminazione in prossimità delle

regioni di discontinuità sia esse rappresentate da bordi

liberi esterni sia da bordi liberi interni conseguenti ad

esempio alla presenza di fori nel laminato.

L’entità di questi stati di sforzo di natura inter-laminare

conseguenti ad effetti di boro, si è dimostrata

significativamente dipendente dalla sequenza di

laminazione del laminato. In particolare, Pagano e Pipes

ipotizzarono la possibilità di poter agire sul verso di

azione della componente normale degli sforzi inter-

laminari , facendolo variare da positivo a negativo

agendo opportunamente sulla sequenza di impilamento

delle lamine di un generico laminato. L’attività condotta

dai due autori si è ispirata alle evidenze sperimentali di

attività condotte in passato su laminati caratterizzati

dalle sequenze di laminazione: [45/-45/15/-15]s e [15/-

15/45/-45/]s che hanno evidenziato, a parità di materiale

costituente quindi a parità di caratteristiche di rigidezza

assiale (le proprietà di simmetria dei due laminati

permettono di condurre la trattazione solo considerando

il loro comportamento assiale non risultando affetti da

alcun tipo di accoppiamento flessionale), una differenza

sia in termini di resistenza a fatica dell’ordine di 170

MPa sia in termini di resistenza statica.

In analogia a quanto precedentemente esposto per il caso

di laminato “Cross-Ply”, lo stato di equilibrio su un

laminato [15/-15/45/-45]s soggetto a trazione è

presentato in Figura 46.27. L’equilibrio della porzione di

lamina superiore orientata a 15° impone la presenza di

uno stato di sforzo di trazione in corrispondenza del

suo piano di simmetria, che può essere equilibrato solo

da uno stato di sforzo di , per gli stessi motivi

esposti in precedenza per la trattazione del laminato

“Cross-Ply”. Anche in questo caso, l’equilibrio alla

rotazione è garantito dalla presenza di uno stato di

sforzo interlaminare di tipo normale caratterizzato da

una distribuzione autoequilibrante in direzione

proposta in Figura 46.22. In queste condizioni, l’azione

di trazione nel piano dovuta alla componente porta ad

avere, per ragioni di equilibrio, una componente di

sforzo interlaminare di tipo normale di trazione che

tende a promuovere il distacco della lamina in

corrispondenza del bordo libero. Nel caso in cui si

sostituisse la lamina esterna a 15° con una lamina

orientata a 45°, la componente di sforzo trasversale

muterebbe il suo verso d’azione sottoponendo la lamina

ad uno stato di compressione. Questo porterebbe ad una

modifica del verso d’azione della componente inter-

laminare di tipo normale da trazione a compressione,

che si opporrebbe in questo modo alla delaminazione.

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Figura 46.27 – Stato di equilibrio per un laminato “Angle-

Ply” di tipo misto soggetto a trazione

La Figura 46.28 propone il confronto dell’andamento

della componente di sforzo inter-laminare per due

laminati: [15/-15/45/-45]s e [15/45/-45/-15]s secondo

Pipes-Pagano. Sulla base di questi andamenti l’ultima

sequenza di laminazione risulta essere affetta da una

minor tendenza a manifestare fenomeni di

delaminazione rispetto alla prima, motivando in questo

modo una maggior resistenza complessiva del laminato.

Il laminato con sequenza: [45/-45/15/-15]s, per quanto

detto in precedenza, risulterà affetto da componenti di

sforzo inter-laminare di compressione con un

andamento nello spessore analogo a quello identificato

per il laminato [15/-15/45/-45]s ma cambiato di segno,

manifestando in questo senso una maggior resistenza

rispetto a quest’ultimo. La stessa distribuzione degli

sforzi interlaminari di taglio per queste ultime due

sequenze di laminazione prese in esame, pone l’accento

sul ruolo determinante svolto del verso d’azione dello

sforzo sulla vita di un generico laminato in materiale

composito.

Figura 46.28 – Andamento attraverso lo spessore dello

sforzo interlaminare di tipo normale in una regione

prossima al bordo libero

In conclusione, si possono identificare tre differenti

tipologie di problemi per gli sforzi interlaminari:

Laminati “Angle-Ply” con sequenza [± ] risultano

affetti solo da sforzi di taglio interlaminari del tipo

conseguenti ad un accoppiamento taglio-

estensionale;

Laminati “Cross-Ply” con sequenza [0/90] risultano

affetti sia da uno sforzo interlamiare di taglio sia

da uno sforzo interlamiare di tipo normale per

effetto della discordanza tra i coefficienti di Poisson

delle lamine contigue (“Poisson mismatch”);

Laminati con sequenze del tipo [± /± ] risultano

affetti da tutte le componenti di sforzo interlaminare:

; ; per effetto della presenza sia di

discordanza tra coefficienti di Poisson tra lamine

contigue sia di accoppiamento taglio-estensionale.

46.2.2 Effetti d’Intaglio

I laminati in materiale composito come ogni altro

manufatto possono presentare al loro interno dei fori

necessari per scopi vari quali, l’alloggiamento di un

elemento di collegamento (rivetto, ribattino, bullone,

ecc..) oppure per ragioni di accessibilità. Il foro, viene

trattato come un problema di bordo interno perché, come

nel caso delle lamiere metalliche, esso produce una

intensificazione dello stato di sforzo rispetto alla

soluzione nominale in una regione prossima ai bordi

liberi interni che si vengono a creare. La corretta

previsione dell’entità di questa amplificazione dello

stato di sforzo diventa, nel caso dei laminati in materiale

composito, abbastanza complessa. In Figura 46.29 si

può apprezzare la previsione dello stato di sforzo

circonferenziale avanzata da Greszczuk per un materiale

isotropo confrontata con quella di differenti compositi

unidirezionali con orientazione delle fibre a 0° soggette

ad uno stato di sforzo assiale . Dagli andamenti si può

osservare come dal fattore di concentrazione pari a 3

dato dal rapporto = 3 per un materiale isotropo

per = 90° si arrivi, per la stessa posizione angolare,

sino ad un valore di 9 ( = 9) nel caso di lamina di

composito unidirezionale in fibra di carbonio e resina

epossidica. Le lamine in materiale composito sono per

contro caratterizzate da una riduzione dello sforzo

circonferenziale in corrispondenza della posizione

angolare = 0°. Inoltre, i materiali compositi oltre allo

svantaggio di essere caratterizzati da sforzi più elevati in

prossimità del foro hanno anche il grosso svantaggio di

essere per così dire meno accomodanti rispetto alle

concentrazioni di sforzo rispetto ai materiali metallici

per effetto della loro minor duttilità. Quindi, mentre nel

caso dei materiali metallici eventuali considerazioni di

resistenza, in presenza di fori interni, possono essere

condotte anche solo sulla base della conoscenza del solo

fattore di intensificazione dello sforzo, nel caso dei

materiali compositi questo risulta essere insufficiente. In

questi casi bisognerebbe infatti conoscere lo stato di

sforzo completo, in prossimità del foro, ed impiegare un

criterio di resistenza completo, rispetto ad un semplice

criterio di massimo sforzo.

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Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

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Figura 46.29 – Effetto delle proprietà del materiale sullo

stato di sforzo circonferenziale σϴ in prossimità dei bordi

di un foro per lamine di composito unidirezionale a 0°

soggette a trazione σ1

La Figura 46.30 propone l’andamento del fattore di

intensificazione dello sforzo dato dal rapporto per

una lamina di composito con fibra di boro e resina

epossidica soggetta ad una sollecitazione di trazione

orientata dell’angolo α rispetto alla direzione di giacitura

delle fibre. Gli andamenti per orientazioni α maggiori di

0° evidenziano una riduzione del valore massimo

assunto dal fattore di intensificazione dello sforzo ed

una variazione della sua posizione angolare attorno al

foro.

Figura 46.30 – Concentrazione dello sforzo ai bordi di un

foro per una lamina di composito unidirezionale con fibre

di boro e resina epossidica soggetta ad una sollecitazione

di trazione con orientazione α

Si conclude la trattazione presentando in Figura 46.31 i

risultati del fattore di intensificazione dello sforzo per un

laminato “Cross-Ply” soggetto ad una sollecitazione di

trazione. In questo caso l’andamento si riferisce ad uno

sforzo complessivo a livello di laminato definito come

rapporto: in cui rappresenta la forza

generalizzata per unità di apertura e spessore del

laminato. Anche in questo caso l’andamento evidenzia

una intensificazione massima dello sforzo

circonferenziale in corrispondenza della giacitura a 90°

rispetto alla direzione di applicazione della

sollecitazione esterna di trazione, con un valore

massimo del rapporto pari a 5. Nel caso dei laminati

compositi le successive verifiche di resistenza vengono

condotte sulla base di questa componente di sforzo

circonferenziale generalizzata che permette attraverso la

CLT di risalire allo sforzo locale all’interno delle

singole lamine che costituisco il laminato al fine di

applicare idonei criteri di resistenza.

Figura 46.31 – Concentrazione dello sforzo ai bordi di un

foro per un laminato “Cross-Ply” soggetto ad una

sollecitazione di trazione σ1

46.3 Effetti igrotermici

Tutti i materiali compositi a causa della presenza della

fase matrice sia essa di natura organica o inorganica

manifestano una certa sensibilità all’effetto delle

condizioni dell’ambiente operativo con particolare

riferimento al contenuto di umidità ed alle variazioni

termiche. Tipicamente, l’esposizione di manufatti in

materiale composito ad ambienti operativi

particolarmente umidi e/o caratterizzati da significative

variazioni termiche induce conseguenze sia di tipo

chimico-fisico sia di tipo meccanico.

Conseguenze di tipo chimico-fisico

Le conseguenze di tipo chimico-fisico dovute

all’esposizione di un laminato in materiale composito ad

ambienti particolarmente umidi sono legate alla

percentuale di umidità assorbita dal materiale con

conseguente variazione volumetrica e ponderale. La fase

più sensibile ed esposta a questa condizione ambientale

è indubbiamente la matrice che in conseguenza

dell’assorbimento di umidità può essere soggetta, da un

punto di vista chimico, alla saturazione dei radicali liberi

presenti nella loro struttura chimica per effetto, ad

esempio, della rottura dei legami trasversi (“cross-link”)

tra le lunghe catene polimeriche ad opera dell’azione di

alte temperature e/o raggi ultravioletti. L’assorbimento

di umidità interferisce anche con i legami di tipo van der

Waals tra le stesse catene polimeriche con conseguente

loro interruzione. Questi due fenomeni contribuiscono

ad incrementare la mobilità delle lunghe catene

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polimeriche presenti nella struttura chimica della fase

matrice, con conseguente riduzione, a livello

macroscopico, delle sue caratteristiche meccaniche ed in

ultima battuta dell’intero manufatto in materiale

composito. Da questo punto di vista le condizioni più

gravose si riscontrano per condizioni ambientali

caratterizzate dalla concomitanza di alta temperatura, ed

alte concentrazioni di umidità, note come condizioni:

“hot-wet”, come confermato dagli andamenti qualitativi

riportati in Figura 46.32.

Figura 46.32 – Influenza di temperatura ed umidità sulle

proprietà meccaniche per un laminato in materiale

composito

Tra le conseguenze più significative a livello

macroscopico legate all’assorbimento di umidità da

parte della resina si registra anche una influenza sulla

sua temperatura di transizione vetrosa ( ) resina che

tende a diminuire, come confermato dagli andamenti

proposti in Figura 46.33 per due differenti materiali

compositi con fibra di carbonio (T300/5208 e AS/3502).

Figura 46.33 – Andamento della temperatura di

transizione vetrosa in funzione del contenuto percentuale

di umidità per due compositi in fibra di carbonio

Le fibre, di per se, non manifestano una grande

sensibilità all’umidità dimostrandosi refrattarie al suo

assorbimento, a parte quelle di natura polimerica (fibre

di Kevlar), che come nel caso della matrice sono

sensibili al suo assorbimento, con conseguenze di tipo

chimico-fisico analoghe a quelle precedentemente

discusse. Tutti i tipi di fibre possono però essere affetti

da un fenomeno che interessa la loro interfaccia dove

l’accumulo di umidità assorbita dalla fase matrice può

portare alla formazione di ossidi di Silicio con

conseguente formazione di una sottile pellicola

nell’interfaccia fibra/matrice che può compromettere le

caratteristiche di coesione tra le due fasi, ma questo si è

dimostrato essere un effetto con conseguenze di tipo

secondario rispetto a quelle precedenti relative alla sola

fase matrice.

I due fenomeni ambientali di tipo termico e di

assorbimento dell’umidità hanno tempi caratteristici

molto differenti con tempi di adeguamento del

manufatto in composito dell’ordine dei minuti per

quanto riguarda la temperatura e dell’ordine di alcuni

anni per quanto riguarda l’assorbimento di umidità. Per

questo motivo, da un punto di vista sperimentale, lo

studio degli effetti ambientali sui laminati viene

condotto attraverso processi di umidificazione che

sfruttano la sinergia tra alta temperatura ed umidità al

fine di accelerare i tempi di adeguamento del materiale,

che si attestano, in queste condizioni operative,

nell’ordine delle migliaia di ore. Questo si realizza, da

un punto di vista operativo, disponendo i provini da

condizionare in ambienti controllati in temperatura ed

umidità oppure immergendo direttamente i provini in

acqua riscaldata a temperature dell’ordine dei: 60 °C ÷

80 °C.

L’assorbimento di umidità da parte di un corpo, come

ogni fenomeno diffusivo, è governato dalla legge di

Fick, che nel caso specifico assume la forma:

in cui rappresenta la concentrazione di umidità e la

diffusività. La soluzione del problema viene affrontato

nel caso di laminato costituito da una sola lamina,

secondo lo schema proposto in Figura 46.34, sulla base

delle seguenti ipotesi:

la concentrazione di umidità e la temperatura variano

solo lungo la direzione normale alle facce del

laminato (direzione di Figura 46.34);

la temperatura ed il contenuto di umidità sono

costanti e gli stessi su entrambe le facce del

laminato;

il laminato è in equilibrio termico con l’ambiente,

quindi la temperatura interna eguaglia quella

ambiente ( ): = ;

inizialmente, temperatura e distribuzione di umidità

sono uniformi all’interno del materiale;

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la conduttività termica e la diffusività di massa

dipendono solo dalla temperatura e sono

indipendenti dalla concentrazione di umidità e dalla

concentrazione di sforzi all’interno del materiale;

la singola lamina che costituisce il laminato è

caratterizzata da un materiale omogeneo a proprietà

costanti.

Sotto queste ipotesi, la concentrazione di umidità si

può esprimere come funzione della posizione e del

tempo come:

[

]

dove rappresenta la concentrazione iniziale di umidità

all’interno del materiale, la concentrazione di

umidità massima per un laminato in date condizioni

ambientali, mentre lo spessore della lamina e la

diffusività nella direzione .

Figura 46.34 – Assorbimento di umidità per singola

lamina in condizioni ambientali costanti

La massa totale di umidità all’interno del laminato si

può esprimere come:

Dove rappresenta la superficie esposta all’ambiente

esterno. Le due precedenti equazioni permetto di

arrivare alla seguente espressione per la massa totale:

[

]

In cui è la massa iniziale del laminato prima

dell’esposizione alle condizioni ambientali e è la

massa di umidità in condizioni di saturazione in

equilibrio con le condizioni ambientali esterne. Il

parametro può essere convenientemente approssimato

con la seguente espressione:

[ (

)

]

Un parametro di significativo interesse pratico è

rappresentato dal guadagno in peso percentuale definito

come:

In cui rappresenta il peso del materiale in presenza di

umidità interna, quello del materiale secco, la

massa di umidità assorbita e la massa del materiale

secco.

In genere si parla di massimo contenuto di umidità in

condizione di saturazione riferendosi alla quantità

espressa come:

che rappresenta appunto il massimo livello di umidità

raggiunto asintoticamente dal materiale dopo un lungo

periodo di esposizione a condizioni ambientali

caratterizzate da temperatura e contenuto di umidità

costanti. Per un dato materiale il contenuto di umidità

dipende dalla temperatura e dal livello di umidità

dell’ambiente esterno. Risultati sperimentali

sull’assorbimento di umidità per un materiale composito

con matrice polimerica sono presentati in Figura 46.35

per diversi valori di temperatura dell’ambiente esterno.

Tutte le curve raggiungono un livello massimo di

concentrazione di umidità, in condizioni di saturazione,

che risulta indipendente dalla temperatura, ma

dipendente solo dal livello di umidità dell’ambiente

circostante. In realtà, è possibile apprezzare una piccola

dipendenza di dalla temperatura, che comunque si

dimostra non chiaramente identificabile a causa della

dispersione dei dati sperimentali. Per questo motivo, da

un punto di vista ingegneristico questa dipendenza non

viene considerata. Alcune evidenze sperimentali hanno

evidenziato, ad alte temperature, delle possibili

variazioni del valore , dopo il raggiungimento della

condizione di saturazione del materiale. Le variazioni in

aumento sono state associate alla possibile presenza di

cricche all’interno del materiale, ed alla possibilità che il

fenomeno dell’assorbimento non rispettasse la legge di

Fick. Le variazioni in diminuzione del valore sono

state invece motivate dalla perdita di materiale per

dissoluzione, idrolisi o frattura.

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Tabella 46.2 – Massimo contenuto di umidità per

compositi in fibra di carbonio e resina epossidica

Dalle curve riportate in Figura 46.35 si apprezza invece

come la temperatura influenzi i tempi di assorbimento

del materiale. In particolare, le alte temperature riducono

i tempi di esposizione del materiale per il

raggiungimento della condizione di saturazione.

Il massimo contenuto di umidità in condizioni di

saturazione del materiale ( ) è costante quando il

materiale è immerso in un liquido, mentre può essere

legato all’umidità relativa ( ) dell’ambiente esterno nel

caso in cui il materiale è esposto ad ambiente umido

secondo l’espressione:

In cui e sono due costanti. In Tabella 46.2 si

possono apprezzare per alcuni materiali compositi i

valori assunti da queste due costanti e dal massimo

contenuto di umidità per umidità relativa

dell’ambiente pari a: 53%.

Figura 46.35 – Assorbimento di umidità per laminato in

materiale composito in fibra di carbonio e resina

epossidica a diverse temperature

Sempre nell’ipotesi di diffusione governata dalla legge

di Fick, la diffusività viene espressa come funzione

della temperatura attraverso la legge di Arrhenius:

in cui in (mm

2/s) e in (K) sono costanti, mentre

rappresenta la temperatura assoluta. La Tabella 46.3

riporta i valori di queste due costanti per tre diversi tipi

di materiali compositi con fibra di carbonio soggetti a tre

differenti condizioni ambientali.

Tabella 46.3 – Diffusività per compositi in fibra di

carbonio e resina epossidica in differenti condizioni

ambientali

Il processo di assorbimento di umidità da parte di un

generico laminato in materiale composito ha

caratteristiche di reversibilità. Risulta infatti possibile

ridurre il contenuto percentuale di umidità all’interno del

laminato, sino alla perdita completa dell’umidità,

riportandolo nelle condizioni originarie di fornitura

attraverso il processo di essicamento, che consiste nel

disporre il laminato in un ambiente secco ad alta

temperatura oppure preferibilmente in un ambiente in

depressione. Il processo di essicamento viene comunque

condotto a temperature inferiori a quella di transizione

vetrosa e ha durata dell’ordine delle 800 ÷ 900 ore.

Per quanto riguarda le conseguenze chimico-fisiche

dovute alle sole condizioni termiche è indubbio che le

limitazioni maggiori provengano ancora una volta dalla

fase matrice, la più sensibili a questo parametro

ambientale, riscontrando da parte della fase fibra una

limitata sensibilità alla temperatura dell’ambiente

esterno. Le massime temperature di funzionamento per

le resine di comune impiego in campo aeronautico sono

dell’ordine dei 110 °C ÷ 120 °C, oltre questi valori si

possono manifestare fenomeni di pirolisi per matrici

termoindurenti e rammollimento per quelle

termoplastiche. Per temperature prossime alla

temperatura di transizione vetrosa ( ) della resina si

manifestano fenomeni di rilassamento (“softening”) del

materiale per effetto della progressiva rottura delle

catene polimeriche della matrice.

Si può apprezzare inoltre una riduzione anche

significativa della resistenza, in funzione del tempo di

permanenza del composito ad alta temperatura come

evidenziato dagli andamenti riportati in Figura 46.36,

riferiti a due differenti materiali compositi: 8552/IM7;

M18-1/G939 e parametrati in funzione del numero di

giorni di esposizione a 200 °C (n. d/200 °C).

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Figura 46.36 – Influenza del tempo di permanenza sulla

resistenza di due materiali compositi: 8552/IM7; M18-

1/G939

Si è osservato inoltre come la riduzione delle

caratteristiche meccaniche sia accentuata

dall’esposizione ad ambiente ossidante rispetto ad

ambiente inerte e come la degradazione sia associata alla

differente perdita in massa dei diversi starti costituenti il

laminato con perdite in massa quantificabile nell’ordine

dei 3 % ÷ 5 %. La perdita delle proprietà meccaniche ad

alte temperature è dovuta principalmente alla

degradazione della resina e delle caratteristiche di

adesione tra resina e matrice.

Conseguenze di tipo meccanico

Si è già avuto modo di apprezzare, nella sezione

precedente, come l’esposizione più o meno prolungata

di laminati compositi ad ambienti umidi, in presenza di

alte temperature, (condizioni “hot-wet”), influisca

negativamente sulle caratteristiche meccaniche

dell’intero manufatto. Gli andamenti proposti in Figura

46.37 e Figura 46.38 evidenziano la riduzione della

rigidezza per due differenti laminati con orientazione

omogenea a 0° e +/-45° rispettivamente riscontrata

durante una prova di trazione. In particolare, si può

apprezzare come la massima degradazione di rigidezza

si manifesti per il laminato con orientazione delle lamine

a +/- 45°, cioè quello dominato, nel suo comportamento

a trazione, dalla fase più sensibile agli effetti igrotermici

(la matrice). Questo giustifica anche il limitato effetto

riscontrabile tra gli andamenti riportati in Figura 46.37

per i laminati con sequenza omogenea a 0°, dominati,

nella loro risposta a trazione, dalla fase meno sensibile

all’assorbimento di umidità (la fibra).

Da un punto di vista meccanico, oltre a questi fenomeni

di tipo macroscopico, all’assorbimento di umidità

conseguono effetti di secondo livello, quantificabili

nell’ambito della meccanica del continuo attraverso la

generazione di stati di sforzo addizionali funzioni del

tempo che si sommano a quelli dovuti ai carichi di

esercizio, dando luogo ad una intensificazione dello

stato di sforzo complessivo cui risulta soggetto il

laminato

Figura 46.37 – Prove statiche di trazione su provini in

materiale composito in fibra di carbonio con lamine

orientate a 0°

Figura 46.38 – Prove statiche di trazione su provini in

materiale composito in fibra di carbonio con lamine

orientate a +/-45°

Da un punto di vista meccanico, oltre a questi fenomeni

di tipo macroscopico, all’assorbimento di umidità

conseguono effetti di secondo livello, quantificabili

nell’ambito della meccanica del continuo attraverso la

generazione di stati di sforzo addizionali funzioni del

tempo che si sommano a quelli dovuti ai carichi di

esercizio, dando luogo ad una intensificazione dello

stato di sforzo complessivo cui risulta soggetto il

laminato.

In particolare, svolgendo la trattazione con un approccio

alle deformazioni, la deformazione totale vede il

contributo sia di deformazioni di origine meccanica

( ), di origine termica ( ) e di origine igroscopica

( ), cioè:

Le deformazioni termiche, nell’ipotesi di

comportamento termoelastico del materiale composito di

tipo lineare, si assume che siano direttamente

proporzionali alla variazione di temperatura

attraverso un coefficiente di dilatazione termica ( ). Le

Secco

Umido

Umido

Secco

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caratteristiche di ortotropia di una generica lamina, in

materiale composito, richiedono la definizione di due

differenti coefficienti di dilatazione termica, quello

longitudinale ( ), e quello trasversale ( ),

rispettivamente nella direzione del rinforzo e della

matrice per una lamina di composito unidirezionale. Ne

conseguiranno quindi due deformazioni termiche:

Le deformazioni termiche libere sono tipicamente

differenti nelle due diverse direzioni. In questo caso per

deformazioni libere si intende quelle associate alla

singola lamina isolata quando cioè questa è libera di

cambiare le proprie dimensioni senza alcun tipo di

vincolo. Vincolo che interviene nel caso in cui la lamina

si trova all’interno di un laminato dovendo rispettare la

tendenza a deformarsi delle lamine contigue. In questa

situazione le deformazioni termiche producono sforzi

termici.

Analogamente sarà possibile definire delle deformazioni

di origine igroscopica sulla base del cambiamento di

volume della lamina per effetto dell’assorbimento di

umidità. Il contenuto di umidità ( ) all’interno della

singola lamina può esprimersi come rapporto tra la

massa di acqua assorbita ( ) e la massa del materiale

secco ( ), cioè:

In cui rappresenta la massa del laminato

condizionato. Anche in questo caso, nell’ipotesi di

comportamento lineare, la variazione dimensionale del

laminato è proporzionale al contenuto di umidità ( ).

Sulla base del comportamento ortotropo della generica

lamina di composito risulta possibile definire due

differenti coefficienti di rigonfiamento , uno

longitudinale ( ) ed uno trasversale ( ) che portano

alla seguente espressione per le componenti di

deformazione igroscopiche nel piano:

{

} {

}

Le relazioni scritte in forma vettoriale per tutte le

componenti di deformazione piana evidenziano

l’assenza di un effetto igroscopico sulla deformazione a

taglio (

), al contrario è intuibile come la

deformazione igroscopica massima si apprezzerà in

direzione trasversale a quella delle fibre, cioè la

direzione dominata dalla fase matrice, per una lamina di

composito unidirezionale.

Prima di procedere con la definizione della

deformazione totale risulta importante focalizzare

l’attenzione sul possibile stato di deformazione di un

generico laminato, soggetto a fenomeni igrotermici. In

Figura 46.39 si presentano gli stati deformativi

conseguenti ad azione igrotermica per un laminato

“Cross-Ply” ([0/90]) costituito da sole due lamine:

Figura 46.39 – Deformazioni igrotermiche per un

laminato “Cross-Ply” [0/90]

Dal confronto tra le deformazioni delle lamine in

condizioni libere e quelle in condizioni vincolate, appare

evidente come all’interno del laminato, per effetto del

rispetto delle condizioni di congruenza tra le

deformazioni delle due lamine contigue disposte a 0° e

90°, si generino delle deformazioni residue: ed

,

per le quali la lamina orientata a 0° risulterà soggetta ad

uno stato interno di trazione, mentre quella orienta a 90°

risulterà soggetta ad uno stato di compressione.

Queste deformazioni residue sono quantificabili sulla

singola lamina come differenza tra le deformazioni non

meccaniche finali dell’intero laminato, per congruenza

uguali in tutte le lamine che lo costituisco, indicate in

Figura 46.39 come e le deformazioni igrotermiche

delle singole lamine, indicate come e

per la

lamina orientata rispettivamente a 90° e 0°.

Quindi nel sistema di riferimento locale della singola

lamina si avrà:

{ } { } { } { } { } { }

Cioè:

{

} {

} {

} {

}

Da cui sarà possibile ricavare attraverso la Teoria

Classica della Laminazione nell’ipotesi di stato piano di

sforzo ed in assenza di effetti di bordo, gli sforzi residui

{ } sulla singola lamina attraverso la matrice di

rigidezza della singola lamina :

Stato iniziale del

laminato senza sforzi

Deformazioni

igrotermiche in

condizioni libere

Deformazioni

igrotermiche in

condizioni vincolate

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{ } { }

[

] {

}

In cui:

Un qualunque laminato prodotto in autoclave presenta

degli stati di sforzo residui per effetto dell’escursione

termica cui sono sottoposti nel passaggio dalla

temperatura di reticolazione della resina dell’ordine dei

170 °C per i compositi di impiego aeronautico alla

temperatura ambiente. Eventuali effetti macroscopici

conseguenti alla presenza di questi sforzi residui di

origine igrotermica, come deformazioni permanenti del

laminato, sono annullati dalla simmetria delle sequenze

di laminazione con cui vengono realizzati. Laminati con

sequenze di laminazione non simmetriche possono

manifestare queste deformazioni residue conseguenti

alla presenza di stati di sforzo residui di origine

igrotermica conseguenti al processo produttivo.

46.4 Cause ambientali e accidentali di

danno

46.4.1 Scenari di nucleazione e propagazione

del danno strutturale

Le sollecitazioni meccaniche rappresentano uno dei

motivi principali di accumulo di danno nelle strutture,

ma non sono l’unica causa di danneggiamento nelle

strutture aerospaziali. Nella vita a fatica il periodo di

nucleazione del danno indica la fase in cui la

sollecitazione meccanica ciclica agisce come causa di

danno, innescando micro-danneggiamenti locali in grado

in evolversi in macro-danni che erodono

progressivamente o in modo improvviso le

caratteristiche di rigidezza e resistenza residua

dell’elemento strutturale. Nei compositi è ragionevole

pensare che la fasi di nucleazione e propagazione del

danno possano comunque essere distinte, sebbene tale

distinzione vada eseguita per ciascun diverso tipo di

danneggiamento. La distinzione si adatta bene,

comunque, ai fenomeni di delaminazione che, una volta

nucleati, propagano come fratture localizzate.

Qualora il danno sia causato da altri agenti, rispetto alle

sollecitazioni meccaniche, la seconda fase della vita a

fatica, relativa alla propagazione del danno, indica che le

sollecitazioni meccaniche sono in grado di propagare il

danno fino al cedimento completo dell’elemento

strutturale.

In una struttura aeronautica, quindi possono verificarsi

diversi scenari di danneggiamento che, con specifico

riferimento a una struttura metallica, sono riassunti in

Figura 46.40. Le tre curve riportate in figura indicano

come danni in grado di portare al cedimento della

struttura possano evolvere da diverse situazioni. La

curva 1 si riferisce a un danno che è effettivamente

nucleato da sollecitazioni meccaniche. Il danno rimane

non identificabile attraverso controlli non distruttivi

(NDI) per la maggior parte della vita a fatica (che, in

termini assoluti, è molto maggiore che nei casi

successivi).

La presenza di difetti tecnologici o lo sviluppo di danni

per corrosione o microimpatti comporta la presenza di

danni che non sono originati dalla sollecitazione

meccanica. La fatica, tuttavia, ne promuove la

propagazione, seguendo l’evoluzione indicata dalla

curva 2. La vita a fatica dell’elemento sarà più breve che

nel primo caso ma, in termini relativi, la frazione di vita

nella quale il danno risulta individuabile attraverso

controlli non distruttivi è maggiore.

In entrambi i casi 1 e 2, la Figura 46.40 prevede scenari

in cui i micro-danneggiamenti non evolvono e la vita a

fatica dell’elemento è infinita.

La curva 3 si riferisce a macro-fratture originate da

cause esterne alla sollecitazione meccanica con

dimensioni tali da poter essere rilevate immediatamente

attraverso controlli non distruttivi. Tali danni potrebbero

potenzialmente non evolvere nel cedimento

dell’elemento strutturale. Infatti, se il criterio di

progettazione adottato è particolarmente conservativo

l’elemento potrebbe essere dimensionato in modo da

tollerare la presenza di danni di questo livello senza che,

sotto l’azione dei carichi operativi applicati

ciclicamente, vi sia propagazione. D’altra parte, se il

danno può essere identificato mediante procedure di

ispezione semplificate, il dimensionamento potrebbe

essere tale da condurre a una propagazione che tuttavia

deve essere sufficientemente lenta rispetto alle

tempistiche programmate di manutenzione, in modo che

il danno accidentale possa essere rilevato prima che si

evolva fino a portare alla rottura.

Tali concetti sono alla base della filosofia di

progettazione detta damage tolerance, che sarà

approfondita nel Cap.57

TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 46 -EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI COMPOSITI

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Figura 46.40 – Scenari di danneggiamento

Importa rilevare, tuttavia, che per la progettazione di

elementi strutturali in grado di tollerare la presenza di

danni, di qualsivoglia origine, eliminando il rischio di

cedimenti strutturali fra gli intervalli di ispezione, è

necessario disporre di approcci ingegneristici che siano

in grado di prevedere e controllare la crescita di una

macro-frattura sotto l’azione dei carichi applicati. La

branca della scienza delle strutture che studia i fenomeni

di propagazione delle fratture si chiama meccanica della

frattura e fa uso di strumenti analitici, come la legge di

Paris presentata nel Cap.57. La meccanica della frattura

non studia la nucleazione del danno, ma applica i metodi

dell’ingegneria strutturale a condizioni in cui la frattura

è già esistente, per studiarne le modalità di

propagazione. Il suo sviluppo ha permesso l’evoluzione

di filosofie di progettazione basate sul controllo della

propagazione delle fratture, a partire da un determinato

scenario di danneggiamento.

Per dettagliare meglio tali scenari è quindi opportuno

individuare le principali cause di danno che, oltre ai

fenomeni inerenti alla nucleazione del danno a fatica,

possono innescare fratture che, propagate attraverso le

sollecitazioni meccaniche, sono potenzialmente

pericolose per l’integrità strutturale.

Tra le cause di danno di maggior interesse nelle strutture

aerospaziali possono essere annoverate le seguenti:

i difetti tecnologici, per i quali si rimanda alla

descrizione delle diverse tecnologie;

la corrosione, che, oltre a rappresentare un fattore di

accelerazione per la nucleazione e la propagazione

del danno a fatica, è, per le strutture metalliche, una

causa di danno a sé stante;

gli impatti a bassa energia, originati da grandine,

detriti e ghiaia, o da urti accidentali durante le fasi di

assemblaggio e manutenzione dei velivoli;

le collisioni con volatili, che possono essere definiti

impatti ad elevata energia e rappresentano le

condizioni dimensionanti per le parti più esposte dei

velivoli;

i danni derivanti da folgori che si scaricano sul

velivolo.

46.4.2 Cenni ai danni originati dalla

corrosione

La corrosione rappresenta uno dei principali problemi

per i velivoli con struttura metallica. Ai meccanismi che

producono il danno a corrosione è dedicato un capitolo

separato delle dispense. In generale, la corrosione

contribuisce a creare uno stato di danneggiamento

diffuso che, nei velivoli con maggior vita operativa,

altera le modalità e la velocità con cui i danni evolvono

in fratture e cedimenti pericolosi per l’integrità dei

velivoli. Problematiche di questo tipo sono state

amplificate dalla selezione dei materiali svolta in anni

relativamente recenti quando, in molti casi, la ricerca di

elevate prestazioni meccaniche in condizioni quasi-

statiche ha portato all’introduzione di materiali

particolarmente soggetti a fenomeni di corrosione, quali

le leghe alluminio-zinco. I velivoli realizzati con tali

materiali, in ambito militare e civile, non hanno potuto,

inoltre, beneficiare dei più avanzati sistemi di protezione

dalla corrosione, introdotti successivamente alla loro

produzione. Le problematiche connesse alla nascita del

danno a corrosione sono amplificate dal fatto che la

2 Evoluzione da difetti microstrutturali (difetti tecnologici, corrosione, microimpatti)

3 Evoluzione da difetti macrostrutturali (difetti tecnologici,impatti a bassa-media energia)

3

2

1

1 Evoluzione da difetti nucleati per fatica nel materiale vergine

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nucleazione del danno corrosione è un fenomeno di

difficile identificazione e, spesso, è individuata solo

affidandosi all’esperienza del personale di

manutenzione. Nelle giunzioni, in particolare, l’unica

possibilità di individuare l’innesco di fenomeni corrosivi

prevede lo smontaggio delle parti. Per tali motivi, la

corrosione è uno dei principali problemi connessi con

l’invecchiamento dei velivoli anche in conseguenza del

fatto che agisce spesso in sinergia con le sollecitazioni

meccaniche, come affermato nel Cap.57, dando luogo al

fenomeno della corrosione fatica.

Si ricordi comunque, che forme di corrosione quali la

corrosione uniforme e l’esfoliazione possono ridurre

progressivamente la resistenza di una struttura anche in

assenza di sollecitazioni cicliche.

Tra le forme di corrosione che influenzano

maggiormente la nucleazione dei danni, che vengono

poi propagati a fatica, vi è il fenomeno della corrosione

per pitting, che è tipico delle strutture in lega di

alluminio. Tale forma di corrosione attacca le impurità

incluse nelle strutture in lega di alluminio e le estende,

in modo da accelerare la crescita delle fratture da queste

zone.

La corrosione per pitting comporta tipicamente la

nucleazione di danni di dimensioni inferiori a quelle

individuabili mediante le ispezioni. In base al grafico in

Figura 46.40, l’evoluzione delle frattura da un danno per

pitting segue un andamento del tipo descritto dalla curva

2. Come già accennato, tuttavia, il danno per corrosione

può essere diffuso e tale fatto può accelerare la velocità

di propagazione delle fratture, per interazione fra micro-

fratture originate in punti diversi. Come discusso nel

Cap.57, la presenza di danni diffusi, difficilmente

individuabili, che interagiscono con la localizzazione di

fratture è uno delle conseguenze più pericolose

dell’invecchiamento dei velivoli. Per tale motivo la

presenza di corrosione non identificata può

rappresentare un fattore di rischio per l’integrità

strutturale anche in presenza di un programma di

ispezioni.

46.4.3 Danni da impatti a bassa energia

Le possibilità di danno da impatto a bassa-media energia

sono, per una struttura aeronautica, molteplici. Ai bassi

livelli di energia d’impatto, la grandine rappresenta uno

dei più comuni oggetti che possono originare danni di

diversa entità. I valori di energia di impatto sono

dell’ordine di qualche Joule, ma la elevata densità di

collisioni aumenta il rischio di diffusione del danno.

Un’ulteriore categoria di oggetti che possono provocare

danni da impatto a bassa-media energia è rappresentata

da ghiaia e detriti presenti sulla pista. Pur considerando

che le velocità, in fase di decollo o atterraggio, sono

limitate, l’ordine di grandezza delle energie di impatto

per pietrisco con un volume di 1 cm3 sale fino 10 J 20

J. Per velivoli che possono operare da terreni non

preparati il rischio di impatti ad energia molto più

elevata è notevole.

Energie maggiori possono essere messe in gioco da

impatti di utensili durante le fasi di manutenzione o da

errori durante l’assemblaggio di parti del velivolo. Si

consideri che un utensile di 1 Kg, che cade da 1 metro di

altezza, possiede un’energia di impatto di 10 J.

Tali considerazioni indicano che le struttura dei velivoli

possono subire, durante la loro vita operativa, numerosi

eventi di impatto a energia dell’ordine delle decine di

Joule, che possono essere definiti a bassa-media energia.

E’ difficile, se non impossibile, prevenire questo tipo di

eventi ed inoltre, a differenza del caso di impatti ad alta

energia, quali le collisioni con volatili o gli impatti

balistici, i danni derivanti da impatti a bassa-media

energia possono non essere rilevati se non ispezionando

il velivolo durante una fase di manutenzione

programmata.

Per questi motivi la struttura del velivolo deve essere in

grado di tollerare questi impatti senza eccessive

degradazioni delle caratteristiche di rigidezza e

resistenza e la vita a fatica degli elementi strutturali

impattati è un problema di rilevante interesse.

Un concetto fondamentale è quello di progettare la

struttura in modo che sia in grado di operare,

nell’intervallo fra due ispezioni successive, in presenza

di danni che, originariamente, siano sotto la soglia del

danno identificabile mediante ispezione (BVID: barely

visible impact damage). Il criterio di progetto deve

tenere conto che, questi danni, a causa delle

sollecitazioni cicliche subite nell’intervallo fra ispezioni

successive, possono propagare. Come si vedrà nel

successivo par. 57.5, questi aspetti sono alla base delle

filosofie di progetto più moderne.

Nelle strutture metalliche, gli impatti a bassa e media

energia provocano danni che sono, in effetti, facilmente

rilevabili attraverso l’ispezione visiva, quali indentazioni

o. al limite, perforazioni. Il livello del danno BVID

corrisponde, dunque, a danneggiamenti che non

comportano grande degrado strutturale, sebbene da essi

si possano propagare fratture a fatica in grado di minare

l’integrità del velivolo.

Al contrario, il problema degli impatti a bassa energia

presenta aspetti significativamente più critici nel caso

delle strutture in composito. Per tali strutture si può

distinguere fra impatti a bassa velocità (LVI: Low

Velocity Impact), che producono prevalentemente danni

quali il matrix cracking e la delaminazione, con limitata

rotture delle fibre, e impatti ad altà velocità (HVI: High

Velocity Impatcs) che possono comportare o meno

perforazioni ma che, nella maggior parte dei casi,

producono rottura delle fibre.

I danni da impatto a bassa velocità, nei compositi, sono

di difficile identificazione visiva, poiché sono

essenzialmente interni al laminato. La Figura 46.41

TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 46 -EFFETTO DELLA FATICA E DELL’AMBIENTE SUI COMPOSITI

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mostra la tipica morfologia del danno da impatto a

bassa-media energia in laminati in composito.

I controlli non distruttivi più utilizzati per

l’identificazione dei danni da impatto nei compositi sono

basati sugli ultrasuoni. Attraverso questi mezzi di

indagine è possibile evidenziare come impatti a bassa

velocità, con energia dell’ordine di qualche decina di

Joule, possono provocare estese delaminazioni, senza

superare, in molti casi, la soglia di identificabilità

all’ispezione visiva.

Figura 46.41 – Morfologia del danno da impatto in

laminati in composito spessi e sottili

Figura 46.42 – Tipiche mappe di danno interlaminare

ottenute con indagini agli ultrasuoni

Figura 46.43– Estensioni dell’area delaminata in laminati

in composito in funzione dell’energia di impatto

La Figura 46.42 mostra la forma tipica, in pianta, delle

de laminazioni prodotte da un impatto LVI. Dal punto di

vista quantitativo, la Figura 46.43, ricavata da dati

ottenuti su diversi tipi di materiale, mostra l’estensione

delle aree delaminate al variare dell’energia di impatti.

Si osservi come impatti a 20 J possono corrispondere ad

aree de laminate di oltre 2000 mm,

corrispondenti a

diametri di 50 mm. La soglia BVID dipende dal tipo di

materiale e dalla sequenza di laminazione, ma

delaminazione con dimensioni dell’ordine della decina

di millimetri e oltre possono certamente essere al di

sotto della soglia di identificazione mediante ispezione

visiva.

Le fratture interlaminari prodotte da questo tipo di

impatti vengono poi propagate dalle sollecitazioni

meccaniche di fatica fino a conseguenze catastrofiche

per l’elemento strutturale nel quale si sono propagate.

L’interazione fra il danneggiamento per delaminazione e

le modalità di danneggiamento a compressione, mostrata

in Figura 46.12, comporta che la presenza di questo tipi

di danni abbassa in modo drastico la resistenza a

compressione dei laminati. Le prove di compressione

post-impatto, eseguite su provini impattati al di sotto del

BVID e soggetti a cicli di fatica possono far registrate

livelli di resistenza a compressione pari al 20% di quelli

relativi a provini integri.

Bibliografia

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