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CAPITOLO 1 3 1. STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE PER LE INFRASTRUTTURE DI VIABILITÀ E TRASPORTO 1.1 INTRODUZIONE Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27/12/1988 stabilisce che devono essere sottoposti alla procedura di valutazione di impatto ambientale i progetti delle opere rientranti nelle seguenti categorie: raffinerie di petrolio greggio, nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 t al giorno di carbone o di scisti bituminosi; centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW, nonché centrali nucleari e altri reattori nucleari; impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o all'eliminazione definitiva dei residui radioattivi; acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio; impianti per l'estrazione di amianto, nonché per il trattamento e la trasformazione dell'amianto e dei prodotti contenenti amianto; impianti chimici integrati, ossia impianti per la produzione su scala industriale, mediante processi di trasformazione chimica di sostanze, in cui si trovano affiancate varie unità produttive funzionalmente connesse tra di loro (per la fabbricazione di fertilizzanti, di prodotti farmaceutici, di esplosivi, ecc.); tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza nonché aeroporti con piste di atterraggio superiori a 1500 m di lunghezza; autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli; strade extraurbane, o tratti di esse, a quattro o più corsie o raddrizzamento e/o allargamento di strade esistenti a due corsie al massimo per renderle a quattro o più corsie; porti commerciali marittimi, nonché vie navigabili e porti per la navigazione interna accessibili a battelli con stazza superiore a 1350 t; impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra; impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o che determinano un volume d'invaso superiore ad 1000000 m 3 , nonché impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che determinano un volume d'invaso superiore a 100000 m 3 ; elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale di esercizio superiore a 150 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 15 km; oleodotti e gasdotti di lunghezza superiore a 40 km e diametro superiore o uguale a 800 mm;

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1. STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE PER LE INFRASTRUTTURE

DI VIABILITÀ E TRASPORTO 1.1 INTRODUZIONE Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27/12/1988 stabilisce che devono essere sottoposti alla procedura di valutazione di impatto ambientale i progetti delle opere rientranti nelle seguenti categorie: • raffinerie di petrolio greggio, nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di

almeno 500 t al giorno di carbone o di scisti bituminosi; • centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300

MW, nonché centrali nucleari e altri reattori nucleari; • impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o all'eliminazione definitiva

dei residui radioattivi; • acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio; • impianti per l'estrazione di amianto, nonché per il trattamento e la trasformazione

dell'amianto e dei prodotti contenenti amianto; • impianti chimici integrati, ossia impianti per la produzione su scala industriale,

mediante processi di trasformazione chimica di sostanze, in cui si trovano affiancate varie unità produttive funzionalmente connesse tra di loro (per la fabbricazione di fertilizzanti, di prodotti farmaceutici, di esplosivi, ecc.);

• tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza nonché aeroporti con piste di atterraggio superiori a 1500 m di lunghezza; autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli; strade extraurbane, o tratti di esse, a quattro o più corsie o raddrizzamento e/o allargamento di strade esistenti a due corsie al massimo per renderle a quattro o più corsie;

• porti commerciali marittimi, nonché vie navigabili e porti per la navigazione interna accessibili a battelli con stazza superiore a 1350 t;

• impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra;

• impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o che determinano un volume d'invaso superiore ad 1000000 m3, nonché impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che determinano un volume d'invaso superiore a 100000 m3;

• elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale di esercizio superiore a 150 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 15 km;

• oleodotti e gasdotti di lunghezza superiore a 40 km e diametro superiore o uguale a 800 mm;

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• stoccaggio di prodotti chimici, petrolchimici con capacità complessiva superiore a 80000 m3; stoccaggio superficiale di gas naturali con capacità superiore a 80000 m3; stoccaggio di prodotti di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva superiore a 40000 m3; stoccaggio di prodotti petroliferi liquidi di capacità superiore a 80000 m3;

• impianti termoelettrici con potenza elettrica complessiva superiore a 50 MW; • impianti per la produzione dell'energia idroelettrica con potenza di concessione

superiore a 30 MW incluse le dighe ed invasi direttamente asserviti; • stoccaggio di prodotti combustibili solidi con capacità superiore a 150000 t; • impianti di gassificazione e liquefazione; • impianti destinati: al ritrattamento di combustibili nucleari irradiati; alla produzione o

all'arricchimento di combustibili nucleari; al trattamento di combustibile nucleare irradiato o residui altamente radioattivi; esclusivamente allo stoccaggio (previsto per più di dieci anni) di combustibile nucleare irradiato o residui radioattivi in un sito diverso da quello di produzione o l'arricchimento di combustibili nucleari irradiati, per la raccolta e il trattamento di residui radioattivi;

• attività minerarie per la ricerca, la coltivazione ed il trattamento minerallurgico delle sostanze minerali di miniera, ivi comprese le pertinenziali discariche di residui derivanti dalle medesime attività ed alle relative lavorazioni, i cui lavori interessino direttamente aree di superficie complessiva superiore a 20 ettari.

Per le categorie di opere suddette, come vedremo meglio in seguito, occorre considerare le componenti naturalistiche ed antropiche interessate, nonché le integrazioni tra queste ed il sistema ambientale preso nella sua globalità. Le componenti ed i fattori ambientali sono così intesi: 1) atmosfera: qualità dell'aria e caratterizzazione meteoclimatica; 2) ambiente idrico: acque sotterranee e acque superficiali (dolci, salmastre e marine),

considerate come componenti, come ambienti e come risorse; 3) suolo e sottosuolo: intesi sotto il profilo geologico, geomorfologico e pedologico, nel

quadro dell'ambiente in esame, ed anche come risorse non rinnovabili; 4) vegetazione, flora, fauna: formazioni vegetali ed associazioni animali, emergenze

più significative, specie protette ed equilibri naturali; 5) ecosistemi: complessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro

interagenti ed interdipendenti, che formano un sistema unitario e identificabile (quali un lago, un bosco, un fiume, il mare) per propria struttura, funzionamento ed evoluzione temporale;

6) salute pubblica: come individui e comunità; 7) rumore e vibrazioni: considerati in rapporto all'ambiente sia naturale che umano; 8) radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerati in rapporto all'ambiente sia

naturale, che umano; 9) paesaggio: aspetti morfologici e culturali del paesaggio, identità delle comunità

umane interessate e relativi beni culturali La documentazione che il committente è tenuto a presentare (al Ministero dell’Ambiente, al Ministero per i Beni Culturali e alla Regione interessata) per sottoporre le opere al giudizio di compatibilità ambientale, è costituita dai seguenti atti: • lo studio di impatto ambientale articolato secondo i quadri di riferimento

(programmatico, progettuale e ambientale) di cui ai successivi paragrafi, ivi comprese le caratterizzazioni e le analisi;

• gli elaborati di progetto;

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• una sintesi non tecnica destinata all'informazione al pubblico, con allegati grafici di agevole riproduzione;

• la documentazione attestante l'avvenuta pubblicazione. Lo studio di impatto ambientale è inoltre corredato da: ♦ documenti cartografici in scala adeguata ed in particolare carte geografiche generali

e speciali, carte tematiche, carte tecniche, foto aeree, tabelle, grafici ed eventuali stralci di documenti, fonti di riferimento;

♦ altri eventuali documenti ritenuti utili dal committente o richiesti dalla commissione di valutazione per particolari progetti;

♦ indicazione della legislazione vigente e della regolamentazione di settore concernente la realizzazione e l'esercizio dell'opera, degli atti provvedimentali e consultivi necessari alla realizzazione dell'intervento, precisando quelli già acquisiti e quelli da acquisire;

♦ esposizione sintetica delle eventuali difficoltà, lacune tecniche o mancanza di conoscenze, incontrate dal committente nella raccolta dei dati richiesti.

1.2 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO Il quadro di riferimento programmatico per lo studio di impatto ambientale fornisce gli elementi conoscitivi sulle relazioni tra l'opera progettata e gli atti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale. Tali elementi costituiscono parametri di riferimento per la costruzione del giudizio di compatibilità ambientale. È comunque escluso che il giudizio di compatibilità ambientale abbia ad oggetto i contenuti dei suddetti atti di pianificazione e programmazione, nonché la conformità dell'opera ai medesimi. Il quadro di riferimento programmatico in particolare comprende: a) la descrizione del progetto in relazione agli stati di attuazione degli strumenti

pianificatori, di settore e territoriali, nei quali è inquadrabile il progetto stesso; per le opere pubbliche sono precisate le eventuali priorità ivi predeterminate;

b) la descrizione dei rapporti di coerenza del progetto con gli obiettivi perseguiti dagli strumenti pianificatori, evidenziando, con riguardo all'area interessata: • le eventuali modificazioni intervenute con riguardo alle ipotesi di sviluppo assunte

a base delle pianificazioni; • l'indicazione degli interventi connessi, complementari o a servizio rispetto a

quello proposto, con le eventuali previsioni temporali di realizzazione; • l'indicazione dei tempi di attuazione dell'intervento e delle eventuali infrastrutture

a servizio e complementari. Il quadro di riferimento descrive inoltre: ♦ l'attualità del progetto e la motivazione delle eventuali modifiche apportate dopo la

sua originaria concezione; ♦ le eventuali disarmonie di previsioni contenute in distinti strumenti programmatori. 1.2.1 Il quadro di riferimento programmatico per le infrastrutture viarie Le infrastrutture di viabilità e trasporto sono state fino ad ora realizzate in Italia con il contributo totale o parziale dello Stato in quanto normalmente sono state riconosciute opere di pubblica utilità. Al contrario quindi di altri servizi che vengono pagati dall’utente, il servizio di trasporto, ritenuto appunto sociale, ha usufruito di questo status che porta l’onere della costruzione

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della infrastruttura a carico di tutti i cittadini. Infatti sia i pedaggi autostradali che le tariffe ferroviarie o aeree, salvo rare eccezioni, non solo non compensano gli oneri di costruzione della infrastruttura ma nemmeno quelli di manutenzione ed esercizio. Il dibattito sulla equità di questo regime cosiddetto misto si trascina da anni passando da entusiastici apprezzamenti a critiche feroci. La congiuntura attuale di estrema difficoltà per le finanze pubbliche ovviamente porta ad accentuare le seconde e favorisce una tendenza alla ricerca di copertura per gli investimenti autostradali attraverso l’aumento delle tariffe di pedaggio e per quanto riguarda le ferrovie attraverso la partecipazione di istituzioni private (banche) alla società concessionaria che dovrà realizzare e gestire le nuove linee ad alta velocità. In estrema sintesi si vuole qui evidenziare che, proprio perché l’investimento in infrastrutture di trasporto non viene quasi mai pagato da chi ne usufruisce, occorre un’accentuata sensibilità verso la verifica dell’inderogabile necessità dell’opera con la consapevolezza che qualsiasi spreco non solo è una sottrazione di risorse ad altre necessità ma può diventare anche un ingiustificato consumo di risorse non rinnovabili. Per contro, va ricordato che da sempre trasporto equivale a progresso e che la possibilità di instaurare una nuova relazione è un beneficio anche per chi nell’immediato non ne usufruisce. Come sempre la ricerca di un giusto equilibrio fra salvaguardia e consumo è un obiettivo valido da perseguire in tutte le decisioni che ci riguardano. In tale contesto, e nell’ambito del quadro di riferimento programmatico, uno strumento di verifica e controllo che sta mostrando sempre più la sua validità è l’analisi dell’“opzione zero”. Con questo termine si intende lo studio delle conseguenze che si potrebbero verificare se non viene realizzata l’opera. È noto che un sistema a rete(1), quale è appunto quello delle infrastrutture di trasporto, reagisce in forma articolata a qualsiasi intervento si faccia o non si faccia nel suo ambito. Se ne deduce che la mancata realizzazione di un nuovo ramo della rete, oltre alla mancanza del traffico creato(2) che in genere comporta, produce un sovraccarico sui rami esistenti dovuto alla mancata deviazione sulla nuova opera. Non solo tutto questo può essere quantizzato con sufficiente approssimazione, ma esistono gli strumenti, ampiamente tarati, per simulare le ricadute ambientali di questo fenomeno. Ci si riferisce in particolar modo a quei modelli matematici, di cui si dirà ampiamente in seguito, che permettono di simulare la diffusione dei vari inquinanti al contorno delle infrastrutture di trasporto. L’inquinamento (e quindi la salute pubblica) è solo un aspetto del problema, anche se oggi il più allarmante, ma non si può trascurare l’enorme consumo di risorse in termini di tempo, di mancata produzione di reddito ed altro che la congestione su un ramo della rete può produrre. È evidente quindi che come è un danno per la collettività fare un’opera non necessaria, lo è altrettanto non farne una necessaria. In questo sottile equilibrio si deve inserire l’analisi

(1) Un sistema si definisce “a rete” quando è composto da “nodi” e da “archi” che li collegano tra loro. Nel caso dei trasporti un “nodo” coincide con un punto di origine o di destinazione e quindi può essere un centro abitato, uno svincolo, una stazione, un aeroporto, ecc., a seconda della scala di lavoro. Gli “archi” o “rami” della rete rappresentano invece le possibilità di collegamento le quali possono essere di uno o più modi di trasporto. La rappresentazione schematica attraverso punti e linee di una rete si definisce “grafo” della rete. (2) Si definisce “traffico creato” quello che si sviluppa a seguito dell’apertura di una nuova possibilità di collegamento fra due nodi, o a seguito del miglioramento della quantità e della qualità del servizio lungo un ramo esistente.

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obiettiva dell’ingegnere per dare alla comunità quel contributo di conoscenze che è proprio del suo ruolo. La verifica dell’inderogabile necessità, tuttavia è solo il primo passo di un lungo iter del processo progettuale e realizzativo dell’infrastruttura; il secondo consiste nel controllo delle correlazioni con le pianificazioni sia di settore che territoriali. Per le infrastrutture di trasporto, le pianificazioni di settore hanno una gerarchia ben precisa. A monte di tutto esiste il Piano Generale dei Trasporti che è un documento quadro di indirizzo entro cui si inseriscono sia i piani più operativi di agenzia (ANAS - Ferrovie - Aeroporti - ecc.)(3) che i Piani Regionali di Trasporto(4). Il concetto di correlazione deve avere in questo caso una valenza che va al di là della presenza o meno dell’opera nei piani, si tratta infatti di verificare che gli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere siano congruenti con le linee di tendenza dei piani. Accade sovente infatti che l’infrastruttura in argomento sia soltanto una tratta di un più ampio itinerario indicato nei piani. Se da un lato appare giustificabile per motivazioni di ordine finanziario una procedura per tratte (che in Italia è quasi la norma), non è detto che la dinamica finanziaria coincida con quella trasportistica (caso molto frequente). Un errore di scelta della tratta o di funzionalità della stessa non solo può vanificare per anni il raggiungimento degli obiettivi che ci si era prefissi ma anche può apportare quei danni, di cui si è detto, dovuti all’inutilità dell’opera in quel frangente. È necessario insistere su questo argomento data la frequenza di casi del genere in Italia. Bisogna uscire dall’equivoco di dichiarare coerente con i piani un’opera che lo è solo in parte. La compatibilità di una tratta è cosa ben diversa da quella dell’intero itinerario. Occorre analizzare a fondo i piani finanziari di supporto, la congruenza delle tempistiche realizzative, la logica funzionale della rete per stadi successivi, tenendo ben presente che il territorio non è un entità statica nel tempo, ma al contrario si evolve continuamente. In quest’ambito si inserisce l’altro ambito di pianificazione che è quello territoriale a scala regionale, provinciale, comunale, comprensoriale, ecc. A questo punto il quesito non è più solo se e quando fare l’infrastruttura, ma anche “come” e “dove” farla. (3) Con il termine “piani di agenzia” si intende far riferimento ai piani dei vari enti delegati alla programmazione delle infrastrutture di trasporto. Ad esempio l’ANAS è l’azienda del Ministero dei Lavori Pubblici delegata alla programmazione, realizzazione e manutenzione delle strade statali. In tale veste è suo compito elaborare un piano decennale di lungo periodo ed un piano triennale di medio termine. Analogamente per l’Ente Ferrovie e per la Direzione dell’Aviazione Civile. (4) I “Piani Regionali di Trasporto” sono redatti dalle Regioni a seguito della “Legge quadro sui trasporti pubblici locali” n° 151 del 1981. Le prime Regioni a dotarsi di un PRT sono state il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia Romagna e la Toscana rispettivamente nel 1979, 1982 e 1986. Hanno fatto seguito nel 1988 il Friuli, il Veneto, le Marche, l’Umbria, la Valle d’Aosta e la Sardegna. Nel 1989 la Puglia e la Campania, e nel 1990 la Basilicata, la Liguria, l’Abruzzo ed il Molise. Il 4/3/1989 è intervenuto il Decreto legge n° 77 “Disposizioni urgenti in materia di trasporti e di concessioni marittime” convertito in legge n° 160 del 5/5/1989 che dava tempo sette mesi alle Regioni ancora inadempienti. In estrema sintesi il P.R.T. deve: • indicare le esigenze e le valutazioni di ciascuna Regione in ordine all’assetto delle grandi reti nazionali ed

internazionali; • individuare soluzioni specifiche relative all’impatto che tali reti hanno sulla realtà locale e le condizioni del

loro inserimento nel territorio; • definire le strategie e le politiche di intervento nei confronti dei trasporti di interesse regionale; • definire i relativi programmi di attuazione; • individuare il fabbisogno di risorse e l’andamento negli anni dei flussi di investimento; • verificare i risultati conseguiti a fronte degli obiettivi e dei criteri d’intervento indicati nello schema del P.G.T.

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Ovviamente le complessità aumentano perché‚ non sempre le pianificazioni di settore e territoriali sono coerenti sia fra loro che al loro interno. La soluzione non è quasi mai univoca. È bene quindi analizzare più scenari alternativi che gerarchicamente possono essere di sistema, di corridoio, di tracciato, di tipologia progettuale, di modalità costruttiva a seconda dello stadio in cui si opera. Il Piano Regolatore di un Comune ad esempio non prevede quasi mai (in quanto non di propria competenza) infrastrutture che hanno una funzionalità sovracomunale e quando le prevede (perché recepite da un Piano Regionale) non è detto che la scelta fatta a livello comunale sia la migliore in un’ottica sovracomunale. Per contro ogni Comune è sovrano (con varie limitazioni) sul proprio territorio, per cui il progetto di una infrastruttura di trasporto a valenza sovracomunale è anche la ricerca di un consenso verso una soluzione che salvaguardi da un lato gli interessi della più ampia collettività (che paga l’opera) e dall’altro le esigenze di chi cede una quota parte del proprio territorio. La conflittualità o il consenso si esprime, come si è detto, a vari livelli di progettualità, il primo dei quali è la cosiddetta “scelta di sistema”. Con questa dizione si intende tutto quel campo di variabili che stanno a monte del progetto vero e proprio e che inficiano la funzionalità della rete in cui è articolato il sistema trasporti con i suoi sottosistemi stradali, ferroviario, aereo, navale, ecc. Ad esempio è una macroscelta di sistema decidere se privilegiare la relazione da A a B con il modo stradale o ferroviario. Sono sempre scelte di sistema i collegamenti con la rete e quindi gli svincoli, le stazioni, ecc., gli standard progettuali e quindi il tipo di servizio da offrire, gli eventuali corridoi alternativi. 1.3 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGETTUALE Il quadro di riferimento progettuale descrive il progetto e le soluzioni adottate a seguito degli studi effettuati, nonché l'inquadramento nel territorio, inteso come sito e come area vasta interessati. Esso consta di due distinte parti, la prima delle quali esplicita le motivazioni assunte dal proponente nella definizione del progetto; la seconda concorre al giudizio di compatibilità ambientale e descrive le motivazioni tecniche delle scelte progettuali, nonché misure, provvedimenti ed interventi, anche non strettamente riferibili al progetto, che il proponente ritiene opportuno adottare ai fini del migliore inserimento dell'opera nell'ambiente, fermo restando che il giudizio di compatibilità ambientale non ha ad oggetto la conformità dell'opera agli strumenti di pianificazione, ai vincoli, alle servitù ed alla normativa tecnica che ne regola la realizzazione. Il quadro di riferimento progettuale precisa le caratteristiche dell'opera progettata, con particolare riferimento a: • la natura dei beni e/o servizi offerti; • il grado di copertura della domanda ed i suoi livelli di soddisfacimento in funzione

delle diverse ipotesi progettuali esaminate, ciò anche con riferimento all'ipotesi di assenza dell'intervento;

• la prevedibile evoluzione qualitativa e quantitativa del rapporto domanda-offerta riferita alla presumibile vita tecnica ed economica dell'intervento;

• l'articolazione delle attività necessarie alla realizzazione dell'opera in fase di cantiere e di quelle che ne caratterizzano l'esercizio;

• i criteri che hanno guidato le scelte del progettista in relazione alle previsioni delle trasformazioni territoriali di breve e lungo periodo conseguenti alla localizzazione dell'intervento, delle infrastrutture di servizio e dell'eventuale indotto.

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Per le opere pubbliche o a rilevanza pubblica si illustrano i risultati dell'analisi economica di costi e benefici, se richiesta dalla normativa vigente, e si evidenziano in particolare i diversi elementi considerati, i valori unitari assunti nell'analisi, il tasso di redditività interna dell'investimento. Nel quadro progettuale si descrivono inoltre: le caratteristiche tecniche e fisiche del progetto e le aree occupate durante la fase di

costruzione e di esercizio; l'insieme dei condizionamenti e dei vincoli di cui si è dovuto tener conto nella

redazione del progetto e in particolare: 1) le norme tecniche che regolano la realizzazione dell'opera; 2) le norme e le prescrizioni di strumenti urbanistici, piani paesistici e territoriali e

piani di settore; 3) i vincoli paesaggistici, naturalistici, architettonici, archeologici, storico-culturali,

demaniali ed idrogeologici, servitù ed altre limitazioni alla proprietà; 4) i condizionamenti indotti dalla natura dei luoghi e da particolari esigenze di tutela

ambientale; le motivazioni tecniche della scelta progettuale e delle principali alternative prese in

esame, opportunamente descritte, con particolare riferimento a: 1) le scelte di processo per gli impianti industriali, per la produzione di energia

elettrica e per lo smaltimento di rifiuti; 2) le condizioni di utilizzazione di risorse naturali e di materie prime direttamente ed

indirettamente utilizzate o interessate nelle diverse fasi di realizzazione del progetto e di esercizio dell'opera;

3) le quantità e le caratteristiche degli scarichi idrici, dei rifiuti, delle emissioni nell'atmosfera, con riferimento alle diverse fasi di attuazione del progetto e di esercizio dell'opera;

4) le necessità progettuali di livello esecutivo e le esigenze gestionali imposte o da ritenersi necessarie a seguito dell'analisi ambientale;

le eventuali misure non strettamente riferibili al progetto o i provvedimenti di carattere gestionale che si ritiene opportuno adottare per contenere gli impatti sia nel corso della fase di costruzione, che in quella di esercizio;

gli interventi di ottimizzazione dell'inserimento nel territorio e nell'ambiente; gli interventi tesi a riequilibrare eventuali scompensi indotti sull'ambiente.

1.3.1 Il quadro di riferimento progettuale per le infrastrutture viarie La prima parte del quadro di riferimento progettuale sta a cavallo fra il precedente quadro programmatico ed il progetto vero e proprio, in quanto affrontando le scelte di sistema si pone a valle della pianificazione ed a monte delle scelte progettuali che riguardano l’opera già definita. A titolo esemplificativo si sono già elencate alcune classiche scelte di sistema per una infrastruttura di trasporto. Restando nel settore stradale si può evidenziare la scelta della sezione tipo, intendendo con questo non il progetto degli elementi costituenti, che verrà dopo, quanto la composizione tipologica della piattaforma stradale. Le norme italiane attualmente in vigore per la progettazione stradale (Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade. G.U. N° 3 del 4 Gennaio 2002), prevedono quattro tipologie di strade extraurbane (autostrade extraurbane, extraurbane principali, extraurbane secondarie, locali extraurbane), per ognuna delle quali si possono avere

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diversi tipi di sezione, in relazione alla domanda di trasporto ed al limite superiore dell’intervallo di velocità di progetto. Ad ogni sezione stradale corrisponde un valore della cosiddetta “portata di servizio”, che è il valore massimo del flusso di traffico smaltibile in corrispondenza del livello di servizio assegnato(5). Il concetto di livello di servizio, presente nelle attuali Norme italiane, è mutuato dall’Highway Capacity Manual (HCM) edito dal Transportation Research Board di Washington. Un altro importante parametro che può associato alla sezione stradale, anch’esso dedotto dall’HCM, è la capacità(6), valutabile tramite la seguente relazione:

pHVw fffn2200C ⋅⋅⋅⋅= [1.1]

dove: • n è il numero di corsie per ogni senso di marcia; • fw è un coefficiente di riduzione che tiene conto della larghezza delle corsie e del

franco laterale(7); • fHV è un fattore di riduzione che dipende contemporaneamente dalla percentuale dei

veicoli pesanti e dall’andamento altimetrico(8); • fp è un altro coefficiente riduttivo che tiene conto dell’abitudine, da parte degli utenti,

a percorrere quella data infrastruttura (i conducenti, cioè, possono essere più o meno esperti del tracciato stradale).

In termini trasportistici quindi ad ogni sezione tipo e ad ogni andamento planoaltimetrico corrisponde un “bene e un servizio offerto” individuato proprio dalla portata di servizio, dal valore della capacità della infrastruttura, dalla velocità media di base(9) e, se c’è, dal costo del pedaggio. Come in tutti i servizi l’offerta non ha un valore autonomo se non viene commisurata alla domanda potenzialmente interessata. Ma è altrettanto vero che questa dipende in gran

(5) Si intende per “Livello di servizio”, una misura della qualità della circolazione in corrispondenza di un flusso assegnato. La qualità della circolazione ingloba tutti gli oneri sopportati dagli utenti, i quali consistono prevalentemente nei costi di viaggio, nel tempo speso, nello stress fisico e psicologico. La scelta del livello di servizio dipende dalle funzioni assegnate alla strada nell’ambito della rete e dal contesto territoriale in cui essa viene a trovarsi. L’Highway Capacity Manual individua sei livelli di servizio da A ad F in ordine decrescente. (6) Si definisce “capacità” di una strada quel limite di portata che ha sufficiente probabilità di non essere superato. (7) Se un ostacolo laterale si trova nel campo della visione distinta del conducente, la cui ampiezza dipende dalla velocità del veicolo, questi reagisce alla sensazione di pericolo allontanandosi lateralmente dall’ostacolo o riducendo la velocità, procurando in ogni caso una riduzione della portata. (8) L’influenza dei veicoli pesanti sulla portata di una strada dipende da tre fattori: • percentuale sul totale dei veicoli; • pendenza della livelletta; • lunghezza della livelletta. In termini relativi ciò che preoccupa di più è proprio la lunghezza della livelletta. Basta una lunghezza di appena 1000 metri (abbastanza usuale nella progettazione stradale) per portare il coefficiente di equivalenza in autovetture a valori abbastanza elevati anche con una pendenza del 3%. (9) Si definisce “velocità media di base”, la media pesata, in funzione della lunghezza, delle velocità di progetto del tronco stradale, che non sono altro che le massime velocità sostenibili in condizioni di sicurezza da un veicolo isolato su ogni elemento geometrico del tracciato.

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parte dalle condizioni di esercizio della infrastruttura. Si può quindi dire che l’offerta e la domanda si condizionano vicendevolmente alla ricerca di un equilibrio continuamente dinamico, che dipende sostanzialmente dall’apprezzamento, dalla necessità e più in generale dalla convenienza che ha l’utente nell’effettuare lo spostamento. Si è già detto che qualsiasi infrastruttura di trasporto appartiene ad una rete, che nel momento in cui viene dotata di un nuovo ramo (o se ne aumenta la capacità di uno esistente) subisce a catena una serie di trasferimenti di domanda da parte di tutti gli utenti interessati alla nuova tratta cui si va ad aggiungere il traffico creato (in quanto prima inesistente) dalla presenza della nuova tratta. Una più facile opportunità di spostamento favorisce infatti nuovi insediamenti in zone precedentemente non considerate o nuovi scambi fra zone che in precedenza non avevano convenienza ad effettuarli. Purtroppo con questo alibi si sono motivati tanti investimenti sbagliati sperando che la strada fosse una specie di bacchetta magica per risolvere la depressione di un’area. Ciò ovviamente non può essere vero in quanto quasi sempre il traffico creato deve essere un valore aggiunto al traffico deviato. Partendo proprio dal concetto di deviazione (dallo stesso o da altri modi di trasporto) si può cominciare a capire meglio il legame fra offerta e domanda. È chiaro infatti, non solo che per catturare traffico bisogna offrire condizioni migliori di quelle esistenti, ma anche che non c’è motivo di tentare di deviare il traffico se questo non si trova o, meglio, si prevede che a breve non si trovi in condizioni disagiate. Questa analisi permette di individuare con buona approssimazione non solo la domanda (in quanto già fortemente presente su rami esistenti della rete) ma anche l’offerta necessaria per attirarla. Tutto questo sarebbe abbastanza semplice se non intervenisse una variabile aleatoria di rilevante importanza quale è il tempo. Da un lato infatti esiste il problema dell’enorme vita utile(10) delle infrastrutture di trasporto (venti anni è proprio un minimo), dall’altro la poca attendibilità di previsioni comportamentali su tempi dello stesso ordine di grandezza. Ciò introduce un ulteriore elemento di prudenza che non sempre si rivela favorevole alla collettività. Sempre più infatti prevale la tendenza a ricercare il ritorno economico(11)

dell’infrastruttura nell’arco dei primi dieci anni dall’apertura al traffico, il che a breve termine dà certamente maggiori garanzie sulla giustezza dell’investimento, ma a lungo termine può produrre situazioni di sottodimensionamento di infrastrutture per altri versi ancora validissime. Esemplare è il caso attuale della necessità di allargamento a tre corsie di alcune autostrade aperte al traffico da appena venti anni senza che nulla sia stato predisposto per l’eventuale futuro ampliamento. Si coglie ancora una volta l’occasione per ribadire che nel settore della progettazione delle infrastrutture viarie non esistono soluzioni univoche e che l’ingegnere si trova spesso davanti a scelte complesse in cui non tutti i termini del problema sono chiaramente definibili. È quindi necessario un atteggiamento allo stesso tempo critico e di apertura verso le più diverse esigenze, evitando un conformismo superficiale con soluzioni prese in altri momenti e in altre condizioni. (10) Si definisce “vita utile di un’infrastruttura di trasporto” quel periodo di tempo al di là del quale la degradazione da essa subita ne rende necessario il rifacimento. (11) Si definisce “ritorno economico di una infrastruttura” il confronto, che può avvenire in diverse forme, tra il valore attualizzato del flusso dei benefici netti ed il valore attualizzato degli oneri di investimento, di manutenzione e di esercizio. Con il termine “beneficio” si intende la riduzione del costo generalizzato di trasporto dell’utente derivante dalla realizzazione del progetto.

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Per una ferrovia la definizione dell’offerta presenta alcuni aspetti abbastanza simili ed altri completamente diversi. I concetti di traffico deviato e creato sono sostanzialmente gli stessi. Quello che cambia è il concetto di capacità in quanto in questo caso non è completamente vero che la qualità del servizio dipende dal rapporto portata su capacità. In ferrovia infatti si potrebbe avere un ottimo servizio anche al limite della capacità proprio perché‚ non esiste l’aleatorietà comportamentale dell’autista e tutte le interferenze fra vettori sono regolate da apposito orario di servizio. È questo infatti uno dei tanti motivi di economicità del servizio su ferrovia rispetto a quello su strada. Un semplice confronto evidenzia infatti che per ogni direzione su ferrovia possono viaggiare circa 3200 passeggeri seduti l’ora(12) ad una velocità commerciale di circa 200 km/h con i treni ad alta velocità (AV) e di circa 110 km/h per gli attuali intercity (IC) al prezzo di circa 0,10 € al Km. Al contrario su un’autostrada a quattro corsie in condizioni ideali si hanno per il livello di servizio A (rapporto Q/c ≤ 0,35 e velocità possibile ≥ 95 km/h) 1400 veicoli l’ora, che nell’ipotesi di un coefficiente di riempimento medio(13) di 1,3 corrispondono a 1820 passeggeri l’ora. Bisogna arrivare al livello di servizio C (rapporto Q/c ≤ 0,75 e velocità possibile ≥ 80 km/h per portare 3900 passeggeri l’ora superando quindi la ferrovia. Se poi si fanno i conti in condizioni di capacità (livello di servizio E, velocità possibile circa 50 km/h) si arriva anche a 5200 passeggeri/ora. La situazione migliora sensibilmente per un’autostrada a sei corsie in condizioni ideali, dove già al livello di servizio A si raggiunge una portata oraria (circa 3120 passeggeri/ora) dello stesso ordine di grandezza di quella ferroviaria ed a capacità si raggiungono i 7800 passeggeri/ora (che sono più del doppio di quelli ferroviari). Il costo al chilometro non è nemmeno comparabile con quello ferroviario (sempre nell’ipotesi di un coefficiente di riempimento di 1.3) in quanto si attesta intorno ai 0,25 €/Km. Ovviamente questo costo a passeggero viene drasticamente abbattuto nel caso di coefficiente di riempimento 4 o 5, scendendo a 6-8 eurocentesimi per passeggero al chilometro. Se ne deduce che se valessero solo queste condizioni ai fini della scelta modale attualmente dovrebbero andare in autostrada limitatamente al livello di servizio A soltanto le vetture con 4 o 5 passeggeri e quando sarà in servizio l’AV non ci dovrebbe andare più nessuno !!! Ovviamente tutto ciò non è verosimile per le molteplici altre condizioni che entrano in gioco e sarebbe estremamente errato limitarsi a questo ragionamento ai fini di una scelta modale dell’investimento, tuttavia si spera che proprio l’aspetto volutamente provocatorio porti a riflettere meglio su queste condizioni. Come si può constatare da questi brevi cenni, è proprio in questa fase di scelta di sistema che si decide la qualità e la quantità del servizio di trasporto che verrà offerto agli utenti. Solo dopo aver definito gli standard di servizio dell’infrastruttura si può passare alla scelta dei criteri progettuali.

(12) La composizione media di un treno intercity è di una motrice (tipo E402) e 16 carrozze per un peso complessivo di 720+89 tonn. Mentre per l’A.V. è prevista una composizione di due motrici ETR500 e 10 vagoni con peso totale di 544 tonn. (13) Si definisce “coefficiente di riempimento medio” di un’autovettura il numero medio di passeggeri occupanti (compreso il conducente) su un campione di veicoli statisticamente valido.

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1.3.1.1 Criteri progettuali Nel campo progettuale, ad ognuna delle sezioni previste dalle attuali norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade, corrisponde un intervallo di velocità di progetto. Abbiamo già visto che la qualità del servizio si relaziona meglio con la “velocità possibile”, che è la “massima velocità commerciale”, piuttosto che con la “velocità di progetto”, che è la “massima velocità sostenibile in condizioni di sicurezza da un veicolo isolato su ogni elemento geometrico del tracciato”. Pertanto, mentre nel concetto di velocità possibile è insito quello di reciproco condizionamento dei veicoli in marcia, in quello di velocità di progetto contano solo le caratteristiche geometriche del corpo stradale, il che evidenzia l’origine ferroviaria di questo assunto. Dal momento che la velocità di progetto è la massima delle velocità possibili (essendo quella in cui non c’è alcuna interferenza veicolare) probabilmente gli estensori della norma hanno pensato di mettersi in condizioni di maggior cautela associando alle sezioni tipo un intervallo di velocità riferito al veicolo isolato. Il criterio progettuale scelto cioè è stato quello che se si adottano standard legati, attraverso leggi fisiche, alla massima velocità, sicuramente si è in condizioni di sicurezza per tutte le velocità di esercizio. È un criterio per certi versi considerato ancora oggi valido in quasi tutto il mondo, ma che comincia a mostrare i suoi limiti nelle attuali condizioni di traffico. La cronaca quotidiana infatti ha ampiamente messo in evidenza che la probabilità dell’incidente dipende in grandissima parte dal comportamento dell’utente in condizioni di flusso instabile e soprattutto climatiche avverse (nebbia, ghiaccio, pioggia, ecc.). Sarebbe auspicabile che uno strumento come l’analisi di rischio, già ampiamente collaudato in altri settori dell’ingegneria, venisse preso in considerazione in una futura revisione delle Norme cogenti per la realizzazione delle strade. Per far ciò occorrerà sviluppare tutta una modellistica sul comportamento dell’utente nelle varie condizioni di esercizio ed ottimizzare la scelta fra soluzioni alternative. Ben diverso il discorso in campo ferroviario, dove si va sempre più verso una circolazione a guida centralizzata in cui al macchinista vengono delegate funzioni esecutive soltanto su istruzioni della centrale operativa. Qui le prestazioni saranno funzione soltanto dell’andamento geometrico della linea e della distanza di sicurezza fra due convogli successivi. Il criterio progettuale quindi è necessariamente legato alle prestazioni del vettore piuttosto che a quelle del conducente. Tanto è vero che una delle scelte di sistema più dibattute in Italia per le ferrovie ad alta velocità è stata quella fra linea dedicata (modello francese) e linea promiscua(14). Proprio pensando ad un traffico merci di nuova generazione con velocità fra 120 e 160 km/h, alla consolidata abitudine degli utenti ai viaggi notturni di lungo percorso ed ad un miglior effetto rete attraverso le interconnessioni per raggiungere con lo stesso vettore anche destinazioni rilevanti, soprattutto al Sud, non raggiunte ancora dalla nuova linea, è prevalso fino ad ora il modello di linea promiscua. Da questa scelta deriva un criterio progettuale che possa consentire tutto ciò. Ad esempio il raggio minimo deve garantire il transito sia al convoglio AV alla velocità di 300 km/h sia al treno merci alla velocità di 80 km/h.

(14) Una linea ferroviaria si dice “dedicata” quando è riservata al transito di un solo tipo di treno (come nelle metropolitane) e quindi può essere dimensionata in funzione delle prestazioni di quel solo treno. Al contrario si dice “promiscua” quando deve consentire il transito di più tipi di treno con prestazioni diverse tra loro.

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1.3.1.2 Corridoi proponibili Essendo le infrastrutture stradali e ferroviarie di tipo lineare (al contrario di aeroporti, porti ed interporti che sono di tipo puntuale) la fascia di territorio in cui si pensa di inserirle viene chiamata normalmente “corridoio”. Non ha alcun senso precisare in termini numerici le dimensioni del corridoio (come alcuni hanno tentato di fare) in quanto di volta in volta la larghezza possibile della fascia può cambiare in funzione sia degli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere sia delle condizioni al contorno; è anch’esso quindi una scelta di sistema e come tale va inquadrata nell’iter logico sequenziale seguito senza riferirsi a modelli avulsi dal contesto in cui ci si trova. L’analisi di corridoio è stata per un certo tempo trascurata in quanto sostituita da una meno onerosa analisi di tracciato a grande scala (1:25000)(15); adesso, per fortuna, l’obbligo dello studio di impatto ambientale sta reintroducendo nella progettazione delle infrastrutture lineari di trasporto questo strumento di lavoro prezioso per diversi motivi. Il corridoio può nascere ad esempio dall’opportunità di collegare alcuni nodi della rete o di attraversare determinate fasce territoriali o di evitare alcuni vincoli, rappresentando in ogni caso una preliminare indicazione di allineamento ancor prima della scelta degli elementi geometrici del tracciato. È evidente che avendo già scelto il criterio progettuale l’ingegnere sa bene quali condizionamenti potranno venire al tracciato nell’individuare uno o più corridoi alternativi, ma deve essere consapevole che il criterio tecnico è soltanto uno degli elementi di analisi, da mettere a confronto anche con altri parametri quali quelli vincolistico, pianificatorio, funzionale, ambientale, ecc. Una lettura multi-obiettivo dei corridoi proponibili può essere un approccio corretto per un confronto con gli Enti (Regioni e Comuni) delegati alla gestione del territorio. Si tratta di una lettura che deve portare all’individuazione di tutti i condizionamenti possibili e quindi alla stesura preliminare di quelle ipotesi progettuali (in scala ancora 1:25000) da cui ricavare anche un primo quadro sommario della tipologia e della entità delle risorse da coinvolgere. 1.3.1.3 Progettazione di massima dell’opera Dopo aver scelto il corridoio, può cominciare quella che normalmente viene definita la progettazione di massima dell’opera. In genere questa viene sviluppata su una cartografia creata ad hoc (di solito in scala 1:5000) con il sistema della restituzione aerofotogrammetrica da foto aeree scattate con apposito volo. Come prima per la scelta del corridoio, anche in questo caso l’ingegnere non può pensare di essere solo con la sua cartografia nell’affrontare il disegno del tracciato. Le norme tecniche sugli studi di impatto ambientale richiedono esplicitamente la caratterizzazione del corridoio per ognuna delle componenti ambientali individuate dal decreto legge che regola la materia. Questo significa circondarsi dei vari specialisti di ogni materia (atmosfera, ambiente idrico, suolo e sottosuolo, vegetazione flora e fauna, ecosistemi, salute pubblica, rumore e vibrazioni, radiazioni, paesaggio) e farsi individuare tutte le emergenze presenti o previste nel corridoio. Il risultato di queste letture si esplicita in una serie di carte tematiche, redatte sulla stessa cartografia del progetto, che

(15) La scala cui si fa riferimento è quella di rappresentazione della cartografia su cui si effettuano gli studi. Tutto il territorio italiano è rappresentato su una cartografia con curve di livello in scala 1:25000 edita dall’Istituto Geografico Militare di Firenze.

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caratterizzano il corridoio a “pelle di leopardo”, attraverso cui toccherà all’ingegnere progettista districarsi con una o più alternative di tracciato cercando di fare il minor danno possibile. Si tratta indubbiamente di un processo oneroso, ma ampiamente giustificato rispetto ai “costi” che può subire la collettività per insufficienza di informazioni in questa fase. Conosciuto compiutamente il territorio da attraversare si può costruire una matrice azione-tipologia-effetto per ognuna delle componenti ambientali. Si tratta di individuare per ognuna delle tipologie di progetto (scavo, rilevato, viadotto, galleria, ecc.) quali “azioni” comporta sull’ambiente sia la fase di costruzione che quella di esercizio e di conseguenza quali “effetti” può produrre su ogni componente. Ad esempio lo scavo ha come azione l’interruzione dell’idrologia superficiale che ha come effetto sull’ambiente idrico un’alterazione del regime idrico superficiale. La matrice è lo strumento che permette di collegare l’opera all’ambiente. Infatti la lettura specialistica del territorio non è sufficiente se non si percepiscono le differenze dovute alle varie tipologie. Il tracciato non è una linea geometrica, ma un susseguirsi di opere che si inseriscono nel territorio secondo modalità ben precise. Ad esempio un bosco può essere attraversato in galleria senza alcun danno, mentre può restare compromesso in tutti gli altri casi. Si richiede quindi all’ingegnere progettista non solo di tener conto di tutte queste informazioni al contorno, ma anche di approfondire un tema progettuale, che in passato era rimandato alle fasi successive, quale quello relativo alla cantierizzazione. Si è capito infatti che per le infrastrutture lineari di trasporto è proprio questa la fase in cui si rischiano i maggiori danni ambientali. Di conseguenza il decreto legge ha voluto che se ne anticipasse lo studio alla fase del progetto di massima. È evidente infatti che non essendo il tracciato una linea ma un insieme di opere realizzate in grandissima parte con materiali di origine naturale, assume importanza preponderante l’ottimizzazione del processo costruttivo e quindi del consumo e/o della trasformazione delle risorse naturali. In definitiva si può dire che la progettazione integrata fa emergere alcuni fatti di notevole importanza: ♦ la fase preliminare e di massima tornano ad avere un ruolo preminente nell’iter

progettuale dell’opera; ♦ le scelte di sistema, i criteri progettuali, i corridoi non possono rispondere soltanto alla

logica del progetto ma si devono relazionare ad uno scenario programmatico più ampio con il consenso delle Regioni e dei Comuni interessati;

♦ le scelte di tracciato sono condizionate dalle interaziony opera-ambiente disaggregate per ogni componente ambientale;

♦ la fase di costruzione e di cantierizzazione ritorna ad essere dirimente fin dal progetto di massima, che abbraccia e risolve tutte le problematiche poste in essere dall’opera, lasciando alla fase del progetto esecutivo la messa a punto dei dettagli e la quantizzazione definitiva ed accurata delle risorse.

1.4 QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE La progettazione integrata, di cui si è già parlato, può innescare i meccanismi di un processo di ottimizzazione progettuale che può anche far arrivare al miglior progetto possibile, ma dà anche la consapevolezza che quasi mai ciò è sufficiente per giustificare l’opera così come è. Si tratta di un aspetto assolutamente nuovo per la progettazione delle infrastrutture di trasporto.

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Fino alla emanazione del DPCM del 27/12/88 qualsiasi progettista avrebbe considerato esaurito il suo ruolo se consapevole di aver redatto il miglior progetto possibile. Quel DPCM ha introdotto il concetto che per le opere elencate (fra cui tutte le ferrovie e le autostrade) ciò non è più sufficiente. Viene richiesto infatti che, per tutte quelle aree individuate come “critiche”, venga documentato lo stato dell’ambiente ante operam e venga simulato quello post operam. Questa richiesta che ad alcuni è sembrata eccessiva, è in realtà quella che veramente sta contribuendo alla diffusione di una cultura ambientale non solo fra i progettisti ma anche fra i gestori delle infrastrutture già aperte al traffico. È evidente infatti che per poter simulare impatti futuri in costruzione ed in esercizio, si sono dovute studiare da questo punto di vista tutte quelle situazioni già in essere sia nei cantieri in corso che sui tronchi aperti al traffico. Sono stati eseguiti molteplici rilevamenti che hanno permesso di sviluppare i più idonei modelli di simulazione. In particolare, il quadro di riferimento ambientale: definisce l'ambito territoriale e i sistemi ambientali interessati dal progetto, sia

direttamente che indirettamente, entro cui è da presumere che possano manifestarsi effetti significativi sulla qualità degli stessi;

descrive i sistemi ambientali interessati, ponendo in evidenza l'eventuale criticità degli equilibri esistenti;

individua le aree, le componenti ed i fattori ambientali e le relazioni tra essi esistenti, che manifestano un carattere di eventuale criticità, al fine di evidenziare gli approfondimenti di indagine necessari al caso specifico;

documenta gli usi plurimi previsti delle risorse, la priorità negli usi delle medesime e gli ulteriori usi potenziali coinvolti dalla realizzazione del progetto;

documenta i livelli di qualità preesistenti all'intervento per ciascuna componente ambientale interessata e gli eventuali fenomeni di degrado delle risorse in atto.

In relazione alle peculiarità dell'ambiente interessato, ed ai livelli di approfondimento necessari per la tipologia di intervento proposto, il quadro di riferimento ambientale: • stima qualitativamente e quantitativamente gli impatti indotti dall'opera sul sistema

ambientale, nonché le interazioni degli impatti con le diverse componenti ed i fattori ambientali, anche in relazione ai rapporti esistenti tra essi;

• descrive le modificazioni delle condizioni d'uso e della fruizione potenziale del territorio, in rapporto alla situazione preesistente;

• descrive la prevedibile evoluzione, a seguito dell'intervento, delle componenti e dei fattori ambientali, delle relative interazioni e del sistema ambientale complessivo;

• descrive e stima la modifica, sia nel breve che nel lungo periodo, dei livelli di qualità preesistenti;

• definisce gli strumenti di gestione e di controllo e, ove necessario, le reti di monitoraggio ambientale, documentando la localizzazione dei punti di misura e i parametri ritenuti opportuni;

• illustra i sistemi di intervento nell'ipotesi di manifestarsi di emergenze particolari. I risultati delle indagini e delle stime verranno espressi, dal punto di vista metodologico, mediante parametri definiti (esplicitando per ognuno di essi il metodo di rilevamento e di elaborazione) che permettano di effettuare confronti significativi tra situazione attuale e situazione prevista. Laddove lo stato dei rilevamenti non consenta una rigorosa conoscenza dei dati per la caratterizzazione dello stato di qualità dell'ambiente, le analisi saranno svolte attraverso

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apposite rilevazioni e/o l'uso di adeguati modelli previsionali. Potranno anche essere utilizzate esperienze di rilevazione effettuate in fase di controllo di analoghe opere già in esercizio. La caratterizzazione e l'analisi delle componenti ambientali e le relazioni tra esse esistenti riguardano: Atmosfera. Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell'aria e delle

condizioni meteoclimatiche è quello di stabilire la compatibilità ambientale sia di eventuali emissioni, anche da sorgenti mobili, con le normative vigenti, sia di eventuali cause di perturbazione meteoclimatiche con le condizioni naturali. Le analisi concernenti l'atmosfera sono pertanto effettuate attraverso: a) i dati meteorologici convenzionali (temperatura, precipitazioni, umidità relativa,

vento), riferiti ad un periodo di tempo significativo, nonché eventuali dati supplementari (radiazione solare, ecc.) e dati di concentrazione di specie gassose e di materiale particolato;

b) la caratterizzazione dello stato fisico dell'atmosfera attraverso la definizione di parametri quali: regime anemometrico, regime pluviometrico, condizioni di umidità dell'aria, termini di bilancio radiativo ed energetico;

c) la caratterizzazione preventiva dello stato di qualità dell'aria (gas e materiale particolato);

d) la localizzazione e la caratterizzazione delle fonti inquinanti; e) la previsione degli effetti del trasporto (orizzontale e verticale) degli effluenti

mediante modelli di diffusione di atmosfera; f) previsioni degli effetti delle trasformazioni fisico-chimiche degli effluenti attraverso

modelli atmosferici dei processi di trasformazione (fotochimica o in fase liquida) e di rimozione (umida e secca), applicati alle particolari caratteristiche del territorio.

Ambiente idrico. Obiettivi della caratterizzazione delle condizioni idrografiche, idrologiche e idrauliche, dello stato di qualità e degli usi dei corpi idrici sono: 1) stabilire la compatibilità ambientale, secondo la normativa vigente, delle

variazioni quantitative (prelievi, scarichi) indotte dall'intervento proposto; 2) stabilire la compatibilità delle modificazioni fisiche, chimiche e biologiche, indotte

dall'intervento proposto, con gli usi attuali, previsti e potenziali, e con il mantenimento degli equilibri interni a ciascun corpo idrico, anche in rapporto alle altre componenti ambientali.

Le analisi concernenti i corpi idrici riguardano: a) la caratterizzazione qualitativa e quantitativa del corpo idrico nelle sue diverse

matrici; b) la determinazione dei movimenti delle masse d'acqua, con particolare riguardo ai

regimi fluviali, ai fenomeni ondosi e alle correnti marine ed alle relative eventuali modificazioni indotte dall'intervento. Per i corsi d'acqua si dovrà valutare, in particolare, l'eventuale effetto di alterazione del regime idraulico e delle correnti. Per i laghi ed i mari si dovrà determinare l'effetto eventuale sul moto ondoso e sulle correnti;

c) la caratterizzazione del trasporto solido naturale, senza e con intervento, anche con riguardo alle erosioni delle coste ed agli interrimenti;

d) la stima del carico inquinante, senza e con intervento, e la localizzazione e caratterizzazione delle fonti;

e) la definizione degli usi attuali, ivi compresa la vocazione naturale, e previsti.

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Suolo e sottosuolo. Obiettivi della caratterizzazione del suolo e del sottosuolo sono: l'individuazione delle modifiche che l'intervento proposto può causare sulla evoluzione dei processi geodinamici esogeni ed endogeni e la determinazione della compatibilità delle azioni progettuali con l'equilibrata utilizzazione delle risorse naturali. Le analisi concernenti il suolo e il sottosuolo sono pertanto effettuate, in ambiti territoriali e temporali adeguati al tipo di intervento e allo stato dell'ambiente interessato, attraverso: a) la caratterizzazione geolitologica e geostrutturale del territorio, la definizione della

sismicità dell'area e la descrizione di eventuali fenomeni vulcanici; b) la caratterizzazione idrogeologica dell'area coinvolta direttamente e

indirettamente dall'intervento, con particolare riguardo per l'infiltrazione e la circolazione delle acque nel sottosuolo, la presenza di falde idriche sotterranee e relative emergenze (sorgenti, pozzi), la vulnerabilità degli acquiferi;

c) la caratterizzazione geomorfologica e l’individuazione dei processi di modellamento in atto, con particolare riguardo per i fenomeni di erosione e di sedimentazione e per i movimenti in massa (frane), nonché per le tendenze evolutive dei versanti, delle piane alluvionali e dei litorali eventualmente interessati;

d) la determinazione delle caratteristiche geotecniche dei terreni e delle rocce, con riferimento ai problemi di instabilità dei pendii;

e) la caratterizzazione pedologica dell'area interessata dall'opera proposta, con particolare riferimento alla composizione fisico-chimica del suolo, alla sua componente biotica e alle relative interazioni, nonché alla genesi, alla evoluzione e alla capacità d'uso del suolo;

f) la caratterizzazione geochimica delle fasi solide (minerali, sostanze organiche) e fluide (acque, gas) presenti nel suolo e nel sottosuolo, con particolare riferimento agli elementi e composti naturali di interesse nutrizionale e tossicologico.

Ogni caratteristica ed ogni fenomeno geologico, geomorfologico e geopedologico saranno esaminati come effetto della dinamica endogena ed esogena, nonché delle attività umane e quindi come prodotto di una serie di trasformazioni, il cui risultato è rilevabile al momento dell'osservazione ed è prevedibile per il futuro, sia in assenza che in presenza dell'opera progettata.

In questo quadro saranno definiti, per l'area in cui si inserisce l'opera, i rischi geologici (in senso lato) connessi ad eventi variamente prevedibili (sismici, vulcanici, franosi, meteorologici, marini, ecc.) e caratterizzati da differente entità in relazione all'attività umana nel sito prescelto.

Vegetazione, flora e fauna. La caratterizzazione dei livelli di qualità della vegetazione, della flora e della fauna presenti nel sistema ambientale interessato dall'opera è compiuta tramite lo studio della situazione presente e della prevedibile incidenza su di esse delle azioni progettuali, tenendo presenti i vincoli derivanti dalla normativa e il rispetto degli equilibri naturali. Le analisi sono effettuate attraverso: a) vegetazione e flora:

♦ carta della vegetazione presente, espressa come essenze dominanti sulla base di analisi aerofotografiche e di rilevazioni fisionomiche dirette;

♦ flora significativa potenziale (specie e popolamenti rari e protetti, sulla base delle formazioni esistenti e del clima);

♦ carta delle unità forestali e di uso pastorale;

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♦ liste delle specie botaniche presenti nel sito direttamente interessato dall'opera;

♦ quando il caso lo richieda, rilevamenti fitosociologici nell'area di intervento; b) fauna:

♦ lista della fauna vertebrata presumibile (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) sulla base degli areali, degli habitat presenti e della documentazione disponibile;

♦ lista della fauna invertebrata significativa potenziale (specie endemiche o comunque di interesse biogeografico) sulla base della documentazione disponibile;

♦ quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna vertebrata realmente presente, mappa delle aree di importanza faunistica (siti di riproduzione, di rifugio, di svernamento, di alimentazione, di corridoi di transito ecc.) anche sulla base di rilevamenti specifici;

♦ quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna invertebrata presente nel sito direttamente interessato dall'opera e negli ecosistemi acquatici interessati.

Ecosistemi. Obiettivo della caratterizzazione del funzionamento e della qualità di un sistema ambientale è quello di stabilire gli effetti significativi determinati dall'opera sull'ecosistema e sulle formazioni ecosistemiche presenti al suo interno. Le analisi concernenti gli ecosistemi sono effettuate attraverso: a) l'individuazione cartografica delle unità ecosistemiche naturali ed antropiche

presenti nel territorio interessato dall'intervento; b) la caratterizzazione almeno qualitativa della struttura degli ecosistemi stessi

attraverso la descrizione delle rispettive componenti abiotiche e biotiche e della dinamica di essi, con particolare riferimento sia al ruolo svolto dalle catene alimentari sul trasporto, sull'eventuale accumulo e sul trasferimento ad altre specie ed all'uomo di contaminanti, che al grado di autodepurazione di essi;

c) quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti sul grado di maturità degli ecosistemi e sullo stato di qualità di essi;

d) la stima della diversità biologica tra la situazione attuale e quella potenziale presente nell'habitat in esame, riferita alle specie più significative (fauna vertebrata, vegetali vascolari e macroinvertebrati acquatici). In particolare si confronterà la diversità ecologica presente con quella ottimale ipotizzabile in situazioni analoghe ad elevata naturalità; la criticità verrà anche esaminata analizzando le situazioni di alta vulnerabilità riscontrate in relazione ai fattori di pressione esistenti ed allo stato di degrado presente.

Salute pubblica. Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell'ambiente, in relazione al benessere ed alla salute umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed indirette delle opere e del loro esercizio con gli standard ed i criteri per la prevenzione dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le analisi sono effettuate attraverso: a) la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e della

comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del progetto;

b) l'identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura

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biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera;

c) la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti e cronici, a carattere reversibile ed irreversibile) con riferimento alle normative nazionali, comunitarie ed internazionali e la definizione dei relativi fattori di emissione;

d) la descrizione del destino degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo studio del sistema ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari;

e) l'identificazione delle possibili condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte;

f) l'integrazione dei dati ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della compatibilità con la normativa vigente dei livelli di esposizione previsti;

g) la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori di rischio.

Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato.

Rumore e vibrazioni. La caratterizzazione della qualità dell'ambiente in relazione al rumore dovrà consentire di definire le modifiche introdotte dall'opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti, con gli equilibri naturali e la salute pubblica da salvaguardare e con lo svolgimento delle attività antropiche nelle aree interessate, attraverso: a) la definizione della mappa di rumorosità secondo le modalità precisate nelle

Norme Internazionali I.S.O. 1996/1 e 1996/2 e la stima delle modificazioni a seguito della realizzazione dell'opera;

b) la definizione delle fonti di vibrazioni con adeguati rilievi di accelerazione nelle tre direzioni fondamentali e con caratterizzazione in termini di analisi settoriale ed occorrenza temporale secondo le modalità previste nella Norma Internazionale I.S.O. 2631.

Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. La caratterizzazione della qualità dell'ambiente in relazione alle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti dovrà consentire la definizione delle modifiche indotte dall'opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti e con i criteri di prevenzione di danni all'ambiente ed all'uomo, attraverso: a) la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti nell'ambiente

interessato, per cause naturali ed antropiche, prima dell'intervento; b) la definizione e la caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissioni di

radiazioni prevedibili in conseguenza dell'intervento; c) la definizione dei quantitativi emessi nell'unità di tempo e del destino del

materiale (tenendo conto delle caratteristiche proprie del sito) qualora l'attuazione dell'intervento possa causare il rilascio nell'ambiente di materiale radioattivo;

d) la definizione dei livelli prevedibili nell'ambiente, a seguito dell'intervento sulla base di quanto precede per i diversi tipi di radiazione;

e) la definizione dei conseguenti scenari di esposizione e la loro interpretazione alla luce dei parametri di riferimento rilevanti (standard, criteri di accettabilità, ecc.).

Paesaggio. Obiettivo della caratterizzazione della qualità del paesaggio con riferimento sia agli aspetti storico-testimoniali e culturali, sia agli aspetti legati alla percezione visiva, è quello di definire le azioni di disturbo esercitate dal progetto e le

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modifiche introdotte in rapporto alla qualità dell'ambiente. La qualità del paesaggio è pertanto determinata attraverso le analisi concernenti: a) il paesaggio nei suoi dinamismi spontanei, mediante l'esame delle componenti

naturali così come definite alle precedenti componenti; b) le attività agricole, residenziali, produttive, turistiche, ricreazionali, le presenze

infrastrutturali, le loro stratificazioni e la relativa incidenza sul grado di naturalità presente nel sistema;

c) le condizioni naturali e umane che hanno generato l'evoluzione del paesaggio; d) lo studio strettamente visivo o culturale-semiologico del rapporto tra soggetto ed

ambiente, nonché delle radici della trasformazione e creazione del paesaggio da parte dell'uomo;

e) i piani paesistici e territoriali; f) i vincoli ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici.

1.4.1 Il quadro di riferimento ambientale per le infrastrutture viarie Al fine di meglio comprendere le problematiche ambientali connesse alle infrastrutture di viabilità e trasporto, occorre preliminarmente caratterizzare le cosiddette “aree critiche”. Il concetto di criticità di un’area dipende dalla contemporanea presenza di un motivo di sensibilità verso gli effetti prodotti dalla costruzione o dall’esercizio della infrastruttura e dal verificarsi degli effetti temuti. Si è già detto che questo è il criterio con cui vengono predisposte le matrici di impatto, che servono al progettista proprio per evitare, per quanto è possibile, di produrre situazioni di impatto. Ma nonostante la dovuta attenzione verso le componenti ambientali, anche il miglior progettista non può fare a meno di innescare delle attività che possano alterare la qualità ambientale di un ricettore. Così nascono le aree critiche, che non possono quindi avere, come qualcuno crede, una dimensione prestabilita, ma hanno piuttosto i contorni del problema che di volta in volta si crea. Per ognuna di esse viene chiesto: ♦ che vengano studiate in una scala di maggior dettaglio; ♦ che si cerchi di minimizzare l’impatto con opportuni interventi ed opere anche

aggiuntive a quelle di progetto; ♦ che si simuli con modelli idonei la situazione che verrà a crearsi; ♦ che si predisponga un sistema di monitoraggio per tenere sotto controllo il sito; ♦ che si faccia riferimento ai valori limite previsti per i parametri regolamentati da

apposite norme e leggi. Mentre nel precedente quadro di riferimento progettuale le conoscenze specialistiche relative alle componenti ambientali previste nel Decreto Legge avevano esclusivamente una funzione di supporto all’ottimizzazione delle scelte progettuali, nel quadro di riferimento ambientale assumono una valenza autonoma mirata alla definizione dello stato dell’ambiente, ognuna per la propria competenza. Da qui la necessità di affrontare con maggior dettaglio le correlazioni fra le infrastrutture di trasporto ed ogni componente ambientale. 1.4.1.1 Atmosfera La prima componente ambientale elencata nel DPCM del 27/12/88 è l’“atmosfera”, e, non è un caso che sia anche una delle componenti più sensibili all’impatto creato dalle infrastrutture di trasporto.

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Bisogna evidenziare un aspetto peculiare di questa componente: essendo sempre presente non può essere in alcun modo evitata come “ricettore” degli effetti prodotti sia durante la fase di costruzione che in quella di esercizio. Per contro questa stessa caratteristica fa sì che gran parte degli effetti possano essere diluiti in uno spazio tale da abbassare la concentrazione delle sostanze inquinanti a livelli accettabili. Purtroppo non sempre tutto ciò è vero o perché le quantità di inquinante emesse a livello planetario sono tali da “innescare il rischio di danno, o perché il ricettore uomo è talmente vicino alla sorgente da rischiare l’assorbimento in concentrazioni ancora elevate e quindi tossiche o, infine, perché alcune sostanze inquinanti non riescono a diluirsi nell’atmosfera e quindi dopo una diffusione più o meno breve ricadono al suolo, avviando il meccanismo di inquinamento attraverso la classica catena ecologica. Si può evincere quindi che ci sono alcune caratteristiche ininfluenti ai fini della progettazione stradale o ferroviaria ed altre invece che hanno attinenza. Cominciamo dal prendere in considerazione la fonte di inquinamento che è costituita dal veicolo con il motore acceso. Le emissioni che ne conseguono possono essere suddivise a seconda del carburante utilizzato (benzina, gasolio, gpl) del tipo di veicolo (leggero con portata minore di 3.5 t e pesante con portata maggiore di 3.5 t) e del tipo di strada o del ciclo di guida (urbano, extraurbano, autostradale). L’ENEA (nell’ambito del progetto CORINAIR) ha studiato le emissioni veicolari(16) permettendo così di ricavare per le due classi di veicoli benzina e diesel i fattori di emissione alle varie velocità espressi in grammi/veicoli x minuto (tabelle 1.1. e 1.2). Un’altra fonte di inquinamento, che riguarda la costruzione delle infrastrutture di trasporto, è costituita dalle “polveri di cantiere”. Va ricordato infatti che qualsiasi progetto stradale e ferroviario prevede lo scavo, l’accumulo ed il trasporto di materiale terroso che subisce l’erosione da parte del vento e la conseguente diffusione al contorno.

SOSTANZE INQUINANTI

Velocità (km/h) NOx CO HC Pts SOx Aldeide Benz. Benzop. Pb

20 1.00 5.00 5.00 0.10 0.20 9.00E-03 0.270 5.00E-06 0.04

50 3.00 12.50 1.00 0.10 0.20 1.80E-03 0.054 1.00E-06 0.04

55 3.15 12.00 0.95 0.10 0.20 1.70E-03 0.051 9.50E-07 0.04

60 3.30 11.50 0.90 0.10 0.20 1.62E-03 0.049 9.00E-07 0.04

65 3.48 11.13 0.86 0.10 0.20 1.55E-03 0.047 8.63E-07 0.04

80 4.00 10.00 0.75 0.10 0.20 1.35E-03 0.041 7.50E-07 0.04

95 4.30 8.50 0.68 0.10 0.20 1.21E-03 0.036 6.75E-07 0.04

130 5.00 5.00 0.50 0.10 0.20 9.00E-04 0.027 5.00E-07 0.04

Tabella 1.1 - Fattori di emissione dei veicoli a benzina (g/veicolo x minuto).

(16) Le sostanze emesse allo scarico, attualmente oggetto di limitazioni (emissioni regolamentate) sono il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi incombustibili (HC) e gli ossidi di azoto (NOx), per motori ad accensione sia comandata che spontanea, mentre per questi ultimi (Diesel) esiste una limitazione anche per le emissioni particellari (nerofumo).

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SOSTANZE INQUINANTI

Velocità (km/h) NOx CO HC Pts SOx Aldeide Benz. Benzop. Pb

20 1.00 5.00 2.50 1.00 2.00 1.79E-03 0.054 2.38E-03 -

50 3.00 2.50 0.50 1.00 2.00 3.57E-03 0.011 4.76E-04 -

55 3.15 2.40 0.48 1.00 2.00 3.39E-03 0.010 4.52E-04 -

60 3.30 2.30 0.45 1.00 2.00 3.21E-03 0.010 4.29E-04 -

65 3.48 2.23 0.43 1.00 2.00 3.08E-03 0.009 4.11E-04 -

80 4.00 2.00 0.38 1.00 2.00 2.68E-03 0.008 3.57E-04 -

95 4.30 1.70 0.34 1.00 2.00 2.41E-03 0.007 3.21E-04 -

130 5.00 1.00 0.25 1.00 2.00 1.79E-04 0.005 2.38E-04 -

Tabella 1.2 - Fattori di emissione dei veicoli diesel (g/veicolo x minuto). Ritornando all’inquinamento primario, si può passare dalle emissioni del singolo veicolo alle emissioni totali per tronchi unitari di strada conoscendo (o prevedendo) i volumi di traffico disaggregati per categoria. Note le concentrazioni alla sorgente si può affrontare il problema della diffusione e quindi delle concentrazioni in arrivo sugli eventuali ricettori. Entrano in gioco a questo punto i parametri meteorologici del sito: • temperatura; • velocità e direzione del vento; • pressione atmosferica; • radiazione solare; • umidità relativa. A tal proposito in Italia si può disporre dei dati relativi ad una fitta rete di stazioni del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica. In base alla velocità del vento ed alla radiazione solare si può ricavare la “classe di stabilità dell’atmosfera” secondo il metodo di Pasquill. Tale metodo introduce una classificazione della stabilità atmosferica in funzione della velocità del vento e della radiazione solare incidente, secondo la tabella 1.3. Le classi suddette sono ricavate in funzione della velocità del vento (misurata ad una altezza standard dal suolo di circa 10 m.), dalla quantità di radiazione solare incidente, e dallo stato del cielo nel periodo notturno. In un’atmosfera “stabile” un volume d'aria spostato dalla sua quota originaria tende a tornare a questa quota. Al contrario in un’atmosfera “instabile” il volume d’aria accelera nella direzione dello spostamento verso l'alto o verso il basso. In un’atmosfera “neutra” infine rimane alla quota in cui è stata portata. La diffusione degli inquinanti al contorno è evidentemente influenzata dalla situazione meteorologica in cui si verifica. Maggiore è la velocità del vento, maggiore è la turbolenza e più rapida e più completa è la diluizione dell’inquinante.

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Vento alla superficie

GIORNO Radiazione solare incidente

NOTTE

Vento alla superficie (a 10 m

dal suolo [m/s])

Forte(17)

Moderata (17)

Debole (17)

Copertura sottile di nubi(18) o 4/8 di

nubi basse

3/8 di nubi basse

< 2 A(19) A - B B (19) 2 - 3 A - B B C (19) E (19) F (19) 3 - 5 B B - C C D (19) E 5 - 6 C C - D D D D > 6 C D D D D

Tabella 1.3 - Categorie di stabilità secondo Pasquill (1961). Una strada è assimilabile ad una sorgente lineare di inquinamento e quindi la concentrazione dell’inquinante in un punto dello spazio è la somma di tutti i contributi delle sorgenti puntiformi infinitesimali che costituiscono la sorgente lineare. L’equazione differenziale che è alla base di un trattamento matematico della diffusione in atmosfera è la seguente:

∂∂

⋅⋅⋅∂∂

+

∂∂

⋅⋅⋅∂∂

+

∂∂

⋅⋅⋅∂∂

=∂∂

⋅+∂∂

⋅+∂∂

⋅+∂∂

zCzK

zyCyK

yxCxK

xzCw

yCv

xCu

tC [1.2]

dove: • C è la concentrazione; • t è il tempo; • x, y, z sono le direzioni di un sistema tridimensionale; • u, v, w sono le componenti della velocità del vento nelle direzioni x, y e z; • Ki (i = x, y, z) sono i coefficienti di diffusione turbolenta nelle direzioni x, y e z. La soluzione analitica di questa equazione è possibile facendo alcune ipotesi semplificative. Ad esempio se si considera: stazionaria la velocità del vento nella direzione x, nulla la componente del vento nella direzione z (w=o) e xK ⋅ trascurabile, la [1.2] diventa:

∂∂

⋅⋅⋅∂∂

+

∂∂

⋅⋅⋅∂∂

=∂∂

⋅zCzK

zyCyK

yxCu [1.3]

(17) Per radiazione solare “forte” e “debole” si intende quando, con cielo sereno, l’altezza del sole sull’orizzonte, è, rispettivamente, maggiore di 60° e da 15° a 35°. La radiazione solare da “forte” si riduce a “moderata” con cielo coperto da 5/8 a 7/8 di nubi medie o da una debole copertura di nubi basse. Per la determinazione dell’altezza del sole esistono apposite tavole (List, R.J.1951). (18) In condizioni di cielo completamente coperto da nubi, sia durante il giorno, sia durante la notte, si considera la classe D senza tenere conto della velocità del vento. (19) La classe A corrisponde ad una instabilità forte. La classe B corrisponde ad una instabilità moderata. La classe C corrisponde ad una instabilità debole La classe D corrisponde ad un equilibrio debole La classe E corrisponde ad una stabilità moderata La classe F corrisponde ad una stabilità forte

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Per risolvere questa equazione è necessario conoscere i profili della velocità del vento e del coefficiente di diffusione, che si possono ottenere tramite i parametri meteorologici. Una soluzione è stata elaborata dal Texas Transportation Institute con il modello matematico chiamato TXLINE (Texas Line Source Dispersion Model) che ha come input: • il traffico espresso in veicoli/ora disaggregato in benzina, diesel, leggeri e pesanti; • il numero di corsie; • la concentrazione ambientale al contorno per ogni sostanza; • la temperatura del sito; • la velocità del vento; • la direzione prevalente del vento; • la scabrezza superficiale; • le coordinate del ricettore. È quindi possibile non solo misurare le concentrazioni al contorno con apposita strumentazione ma anche simulare con modelli matematici del tipo TXLINE la diffusione al contorno. Per quanto riguarda l’accettabilità dei valori trovati occorre far riferimento alla normativa vigente; in particolar modo per l’Italia vale il DPCM 28/3/83 dal titolo: “Limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e di esposizione relativi ad inquinamenti dell’aria nell’ambiente esterno.” Tale DPCM ha individuato otto agenti inquinanti di cui ha fissato i limiti massimi di accettabilità (tabelle 1.4 e 1.5).

Inquinante ♦ Media delle concentrazioni medie di 24

ore rilevate nell’arco di 1 anno ♦ 80 µg/mc

Biossido di zolfo (SO2) ♦ 98° percentile delle concentrazioni medie

di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno ♦ 250 µg/mc

Biossido di azoto (NO2)

♦ Concentrazione media di 1 ora da non superare più di una volta al giorno

♦ 200 µg/mc

Ozono (O3) ♦ Concentrazione media di 1 ora da non superare più di una volta al mese

♦ 200 µg/mc

♦ Concentrazione media di 8 ore ♦ 10 µg/mc Monossido di Carbonio (CO) ♦ Concentrazione media di 1 ora ♦ 40 µg/mc

Piombo ♦ Media aritmetica delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate in 1 anno

♦ 2 µg/mc

♦ Concentrazione media di 24 ore ♦ 20 µg/mc Fluoro ♦ Media delle concentrazioni medie di 24

ore rilevate in 1 mese ♦ 10 µg/mc

♦ Media aritmetica di tutte le concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno

♦ 150 µg/mc Particelle sospese ♦ 95° percentile di tutte le concentrazioni

medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno ♦ 300 µg/mc

Tabella 1.4 - DPCM 28/3/83. Tabella A: Limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e limiti massimi di esposizione relativi ad inquinanti dell’aria nell’ambiente esterno (standard di qualità)(20).

(20) Tutti i valori riportati riguardano la concentrazione totale dell’inquinante presente nell’aria.

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Precursore Valore limite di concentrazione Condizioni per la validità del valore limite

Idrocarburi totali escluso il metano espressi come C.

Concentrazione media di 3 ore consecutive in periodo del giorno da specificarsi secondo le zone a cura delle autorità competenti: 200 µg/mc.

Da adottarsi soltanto nelle zone e nei periodi dell’anno nei quali si siano verificati superamenti significativi dello standard dell’aria per l’ozono indicato nella tabella A.

Tabella 1.5 - DPCM 28/3/83. Tabella B: Valori per le concentrazioni massime nell’aria di precursori di inquinanti contenuti nella tabella “A” da adottarsi subordinatamente alla concorrenza di certe condizioni.

A questo ha fatto seguito il DPR del 24/5/88 n.203(21), che ha introdotto i concetti di “valore limite” e di “valore guida” (tabelle 1.6. e 1.7).

Inquinante Valore guida Periodo di riferimento

♦ Media aritmetica delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno: da 40 a 60 µg/mc

♦ 1 aprile - 31 marzo

Biossido di zolfo (SO2)

♦ Valore medio nelle 24 ore: da 100 a 150 µg/mc

♦ dalle 0 alle 24 di ciascun giorno

♦ 50° percentile delle concentrazioni medie di 1 ora rilevate durante l’anno: 50 µg/mc

♦ 1 gennaio - 31 dicembre

Biossido di azoto (NO2)

♦ 98° percentile delle concentrazioni medie di 1 ora rilevate durante l’anno: 135 µg/mc

♦ 1 gennaio - 31 dicembre

♦ Media aritmetica delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno: da 40 a 60 µg/mc fumo nero equivalente/mc

♦ 1 aprile - 31 marzo Particelle sospese

(misurate con il metodo dei fumi

neri) ♦ Valore medio nelle 24 ore: da 100 a

150 µg/mc fumo nero equivalente/mc ♦ dalle 0 alle 24 di ciascun

giorno

Tabella 1.6 - DPR 24/5/88. Allegato II: Valori guida di qualità dell’aria. Per completare il quadro del percorso normativo sulla tutela dell’atmosfera si ricorda il D.M. 30/6/88 n.389 che applica la direttiva CEE n.88/76 sulle emissioni inquinanti prodotte dai motori a propulsione e le leggi n.487 e n.488, entrambe del 27/10/1988, con le quali sono state recepite le convenzioni di Helsinki (8/7/85) e di Ginevra (28/9/84) sull’inquinamento atmosferico a lunga distanza e transfrontaliero.

(21) La differenza sostanziale riguardo alla normativa precedentemente in vigore, riguarda la suddivisione dell’anno in due periodi, con limiti massimi diversi.

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Inquinante Valore limite Periodo di riferimento

♦ Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno: 80 µg/mc

♦ 1 aprile - 31 marzo

♦ 98° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno: 250 µg/mc(22)

♦ 1 aprile - 31 marzo

Biossido di zolfo (SO2)

♦ Mediana delle concentrazioni medie

di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno: 130 µg/mc

♦ 1 aprile - 31 marzo

Biossido di azoto (NO2)

♦ 98° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di 1 anno: 200 µg/mc

♦ 1 gennaio - 31 dicembre

Tabella 1.7 - DPR 24/5/88. Allegato I: Valori limite di qualità dell’aria. Come si è già detto, se si considera l’atmosfera come ricettore globale nel suo insieme, il progettista stradale può fare ben poco per minimizzare questo impatto, ma in ogni caso la normativa gli impone di documentarlo affinché‚ il decisore possa valutare l’ammissibilità o meno dell’opera. È possibile considerare il ricettore uomo (nell’ambito della componente “salute pubblica”) come direttamente colpito da concentrazioni di inquinanti che dovessero superare i limiti di norma. In questo caso, in effetti, il progettista ha notevoli spazi di manovra sia nel posizionamento del tracciato sottovento rispetto alla localizzazione del centro abitato sia nella scelta dell’andamento altimetrico più idoneo per limitare la diffusione al contorno. Si tenga presente che una situazione di trincea, che è quella che contiene le sostanze inquinanti in un ambito più ristretto, può essere creata anche artificialmente con installazione ai margini della carreggiata di idonee barriere artificiali o naturali. 1.4.1.2 Rumore Si ritiene opportuno trattare subito dopo l’atmosfera la componente “rumore” perché‚ presenta molte analogie con la precedente. Come è noto sia i veicoli stradali che quelli ferroviari producono delle emissioni acustiche che si diffondono al contorno attraverso l’atmosfera. Le onde sonore diventano rumore nel momento in cui provocano una sensazione di fastidio a chi le riceve. Gli studi sul disturbo da rumore sono abbastanza recenti e si stanno estendendo dalle problematiche relative al danno uditivo, che da sempre erano presenti, a quelle, dai contorni meno chiari, relative ai disturbi di natura psicosomatica riscontrati sui soggetti esposti a lungo a livelli di rumore non tali da provocare lesioni all’apparato uditivo. È questo il motivo per cui questa componente è stata inserita fra quelle da prendere in considerazione per lo Studio di Impatto Ambientale. Si tenga infatti presente che in tutto il mondo industrializzato il rumore è considerato una delle motivazioni principali per il trasferimento delle residenze dalle aree urbane alle periferie.

(22) Si devono prendere tutte le misure atte ad evitare il superamento di questo valore per più di tre giorni consecutivi, inoltre si deve cercare di prevenire e ridurre detti superamenti.

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Si tratta in definitiva di una componente che oltre ai problemi di salute innesca delle turbative di natura socioeconomica non indifferenti. Nella descrizione del fenomeno sonoro occorre considerare alcune proprietà fisiche caratteristiche delle onde, quali la frequenza, la lunghezza d’onda, la pressione, l’intensità acustica, importanti ai fini della caratterizzazione del suono stesso e della sensazione uditiva. La frequenza f di un’onda sonora è definita come il numero di oscillazioni nell’unità di tempo e si misura in hertz (Hz). Essa caratterizza la tonalità di un suono (basse frequenze tipiche dei suoni gravi, alte frequenze tipiche dei suoni acuti). Il campo di frequenze che interessano la percezione uditiva dell’orecchio umano va da 16/20 a 16000/20000 Hz. Al di sopra dei 20000 Hz si estende la banda degli ultrasuoni, al di sotto dei 16 Hz quella degli infrasuoni. Il periodo T è l’inverso della frequenza, si misura in secondi e rappresenta il tempo necessario affinché le particelle compiano un’oscillazione completa. La lunghezza d’onda è la distanza percorsa dall’onda sonora durante un’oscillazione completa, si indica con λ e si misura in metri; è legata alle altre proprietà delle onde dalla

relazione: Tcfc

⋅==λ

dove f è la frequenza in hertz, c rappresenta la velocità di propagazione delle onde sonore o velocità del suono, funzione del modulo elastico del mezzo in cui le onde si trasmettono e della sua densità (nell’aria, alla temperatura di 20 °C, c≅344 m/s). Per pressione sonora si intende la variazione di pressione prodotta dal fenomeno acustico rispetto al valore statico. Nello studio del controllo del rumore i valori della pressione sonora variano su range piuttosto ampi, per cui è sorta la necessità di esprimere queste grandezze in scala logaritmica, considerando non il valore della grandezza in assoluto, ma il suo livello rispetto ad un valore di riferimento. Il livello di pressione sonora Lp in decibel, corrispondente ad una certa pressione p, è definito dalla relazione:

Lp = 10 log10 2

0pp

= 20 log10

0pp dB [1.4]

dove p è la pressione efficace, p0 la pressione sonora di riferimento, pari a 20 µPa (soglia di udibilità a 1000 Hz) qualora il mezzo di propagazione sia l’aria. Si può, quindi, affermare:

Lp = 20 log10

20p dB [1.5]

Una pressione sonora, ad esempio, di 20 µPa corrisponde a un livello di pressione sonora di 0 dB, una di 40 µPa a un livello di 6 dB, una di 200 µPa a un livello di 20 dB. Raddoppiando, quindi, un qualsiasi valore di pressione sonora si ottiene un aumento nel livello di pressione sonora di 6 dB, moltiplicando per 10 un qualunque valore di pressione sonora si ottiene un incremento nel livello di 20 dB. Il problema della valutazione del disturbo da rumore non è di facile soluzione, vista la dipendenza da innumerevoli fattori fra cui le caratteristiche oggettive del rumore (livello di pressione sonora, spettro di frequenza, durata temporale, presenza nelle ore notturne), la

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conformazione del sito (presenza o meno di edifici ai margini di una strada) e dell’ambiente (presenza di vegetazione, barriere naturali), le caratteristiche psicofisiologiche dell’individuo disturbato, varie circostanze accessorie (natura dell’attività che viene disturbata come, ad esempio, lettura, lavoro, riposo, sonno). Misure istantanee del livello di pressione sonora non sono significative perché non facilmente associabili alle reazioni soggettive. La soluzione, pertanto, è volta alla determinazione di indici numerici che, partendo dalle caratteristiche oggettive del rumore e tenendo conto di alcuni fattori soggettivi caratterizzanti le sensazioni medie dell’individuo, consentano di rappresentare la rumorosità ambientale e, di conseguenza, il disturbo arrecato alla comunità. L’indicatore frequentemente utilizzato per la caratterizzazione del disturbo del rumore è il cosiddetto Livello sonoro equivalente (Leq). Prefissato un intervallo di tempo di osservazione, il livello sonoro equivalente è il livello stazionario cui compete, nell’intervallo considerato, la stessa energia del rumore di livello variabile da analizzare; in altre parole, esso rappresenta il livello di pressione sonora di un suono costante che, nel predetto intervallo di tempo, espone l’individuo disturbato alla stessa energia acustica di quella che si ha considerando l’effettiva variabilità del suono. Da un punto di vista analitico si effettua la media energetica dei livelli istantanei di rumore rilevati nel tempo di osservazione:

( )

⋅⋅= ∫

T

0

2

010eq dt

ptp

T1log10L dB [1.6]

essendo T [s] l’intervallo di tempo di riferimento, p(t) [Pa] la pressione sonora in valore efficace e p0 = 20 µPa la pressione sonora di riferimento. Con questo criterio si sostituisce al reale valore fluttuante del livello di pressione sonora, misurato durante un tempo di osservazione T, un valore costante e continuo (Leq), che rappresenta un indice di valutazione degli effetti del rumore. In Italia le norme legislative in materia di disturbo da rumore sulla comunità sono contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 1991 (G.U. 8/3/91 S.G. n. 57) intitolato “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”. Tale decreto fornisce i parametri in base ai quali adeguare le emissioni acustiche delle diverse sorgenti sonore, fisse e mobili, presenti nel territorio. Dato il carattere transitorio del DPCM 1/3/91, nel 1995 il Parlamento ha prodotto un nuovo strumento legislativo costituito da una legge quadro sull’inquinamento acustico (la n. 447 del 26/10/95 G.U. n. 254 del 30/10/95) che sancisce i principi fondamentali di regolamentazione della materia e che, a sua volta, affida a una serie di decreti attuativi la completa normazione dell’argomento. A questi vanno aggiunte le seguenti normative internazionali: ♦ ISO R 1996: Valutazione del rumore con riferimento alle reazioni della collettività; ♦ ISO R 1996/1: Acustica - Definizioni e misure del rumore ambientale - Parte 1a -

Grandezze e metodi fondamentali; ♦ ISO R 1996/2: Acustica - Definizioni e misure del rumore ambientale - Parte 2a -

Acquisizione dei dati pertinenti l’uso del suolo.

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In base alla normativa italiana il territorio viene suddiviso in sei classi, per ciascuna delle quali vengono fissati, in relazione alla diversa destinazione d’uso, i valori massimi di livello sonoro equivalente per il giorno e per la notte. Le classi previste, le cui denominazioni e i rispettivi limiti sono riportati nella tabella 1.8, sono così caratterizzate: I – Aree particolarmente protette: nelle quali la quiete rappresenta un elemento di

base per la fruizione (aree ospedaliere, aree scolastiche, zone residenziali rurali, aree di particolare interesse naturalistico, ricreativo, culturale, archeologico, parchi naturali e urbani);

II – Aree prevalentemente residenziali: aree urbane interessate prevalentemente da traffico veicolare locale, con bassa densità di popolazione, limitata presenza di attività commerciali, totale assenza di attività industriali e artigianali;

III – Aree di tipo misto: aree interessate da traffico veicolare locale e di attraversamento, con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali, con limitata presenza di attività artigianali e con assenza di attività industriali; aree rurali, interessate da attività che impiegano macchine operatrici;

IV – Aree di intensa attività umana: aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con elevata presenza di attività commerciali e di uffici, presenze di attività artigianali, con dotazioni di impianti di servizio a ciclo continuo; aree in prossimità di strade di grande comunicazione, di linee ferroviarie, di aeroporti e porti; aree con limitata presenza di piccole industrie;

V – Aree prevalentemente industriali: interessate da insediamenti industriali e caratterizzate da scarsità di abitazioni;

VI – Aree esclusivamente industriali: aree caratterizzate da industrie a ciclo continuo e prive di insediamenti abitativi.

Classi di destinazione d’uso del territorio LAeq (diurno) LAeq (notturno)

I Aree particolarmente protette 50 40 II Aree prevalentemente residenziali 55 45 III Aree di tipo misto 60 50 IV Aree di intensa attività umana 65 55 V Aree prevalentemente industriali 70 60 VI Aree esclusivamente industriali 70 70

Tabella 1.8 - Limiti massimi del livello sonoro equivalente relativi alle classi di destinazione d’uso del territorio. Si noti che i periodi temporali di riferimento sono due: il diurno (dalle ore 6.00 alle 22.00) ed il notturno (dalle 22.00 alle 6.00). Accanto al criterio di valutazione del disturbo mediante limiti assoluti, il DPCM 1/3/91 propone il cosiddetto “Criterio del superamento” che basa la sua teoria sull’ipotesi che un disturbo non vada giudicato per la sua intensità in assoluto, bensì rispetto all’incremento che genera sul rumore di fondo. Vengono quindi stabiliti dei criteri differenziali: la differenza tra il livello del rumore ambientale (La) ed il rumore di fondo o livello residuo (Lr) non deve superare determinati valori limite. Per maggiore chiarezza, si ricorda che il rumore ambientale è definito come il rumore rilevabile in presenza della sorgente disturbante, mentre il rumore di fondo è quello rilevabile in assenza di tale sorgente.

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Nel caso in cui il valore del rumore superi quello del rumore di fondo di almeno 5 dB, l’immissione rumorosa è giudicata eccedente il limite di massima accettabilità; per le ore notturne tale limite è ridotto a 3 dB. Dal punto di vista igienistico-sanitario, l’adozione del criterio differenziale è corretta: il soggetto avverte infatti il disturbo nel momento in cui confronta la sua situazione di esposizione al rumore con quella precedente, esente da rumore o caratterizzata da un livello sonoro tollerato dal soggetto, se non altro per abitudine. D’altro canto, occorre sottolineare che tale criterio andrebbe bene solo se se si dovesse valutare un disturbo costituito da un rumore avente un andamento costante rispetto allo spettro acustico ed al tempo. In realtà, nella maggior parte dei casi, è vero l’opposto. Il DPCM prevede poi che i limiti assoluti ed i limiti differenziali siano rispettati contemporaneamente. In altre parole, si sono fissati due limiti o meglio due tetti: il superiore e l’inferiore. Il primo indica un livello di intensità sonora che comunque non deve mai essere superato dal disturbo, anche se l’incremento rispetto al rumore di fondo fosse nei limiti consentiti; il secondo, analogamente, fissa un valore tale che, se il disturbo fosse inferiore ad esso, sarebbe da ritenersi comunque tollerabile, anche se producesse un incremento, sempre rispetto al rumore di fondo, superiore ai limiti consentiti. La norma introduce inoltre un criterio di notevole importanza che merita di essere sottolineato: dato che i limiti (sia assoluti che differenziali) vanno rispettati contemporaneamente in tutte le aree, essi stessi si riferiscono non solo all’area da cui il rumore viene emesso ma anche alle aree in cui il rumore viene immesso. Il criterio assoluto va applicato a tutti i tipi di sorgente. Il criterio differenziale può essere impiegato solamente in presenza di una sorgente selettivamente identificabile che costituisce la causa del disturbo. Le sorgenti fisse sono selettivamente identificabili, per cui il rumore da esse prodotto deve essere regolamentato sia dal criterio assoluto che da quello differenziale. Al contrario, il traffico stradale non rappresenta in genere una sorgente selettivamente identificabile; di conseguenza il rumore da esso prodotto deve sottostare esclusivamente ai limiti assoluti. In casi particolari, comunque, anche il traffico può essere considerato come una specifica sorgente disturbante: si pensi, ad esempio, al transito di camion indotto da una cava o da un’azienda di autotrasporti. Il rumore prodotto da questo tipo di traffico dovrebbe quindi rispettare non solo i limiti assoluti ma anche quelli differenziali. In attesa della suddivisione del territorio comunale nelle zone riportate nella tabella 1.8, il DPCM prevede l’immediata applicabilità di limiti transitori rapportandoli ad una zonizzazione provvisoria in funzione della densità abitativa, definita in base al Decreto Ministeriale del 2 aprile 1968 (Tab. 1.9).

Zonizzazione Limite diurno (dBA) Limite notturno (dBA)

Tutto il territorio nazionale 70 60 Zona A (Centri storici in base al DM n.1444/68) 65 55 Zona B (Aree residenziali in base al DM n.1444/68) 60 50 Zona esclusivamente industriale 70 70

Tabella 1.9 - Limiti transitori di accettabilità del livello sonoro equivalente.

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È importante evidenziare che il DM 2/4/68 non prende in alcun modo in considerazione le problematiche acustiche, in quanto concepito solo a fini urbanistici. Le zone territoriali omogenee sono infatti definite solo rispetto ai limiti di densità edilizia e di altezza degli edifici, ed ai rapporti massimi fra gli spazi dedicati agli insediamenti abitativi e gli spazi pubblici e/o produttivi. Risultano di fatto non disciplinate dalla norma transitoria, le sorgenti sonore che non possono essere definite “fisse” come le linee ferroviarie e le direttrici stradali. Tali infrastrutture potranno essere, quindi, regolamentate solo in regime definitivo, ossia quando i Comuni avranno proceduto alla suddivisione dei rispettivi territori in base alla zonizzazione prevista dalle Norme italiane. Dall’analisi della normativa si evince che il rumore non solo va tenuto sotto controllo, ma anche che esistono differenti limiti di accettabilità (per il periodo diurno e per il notturno, assoluti e differenziali). A questo punto il progettista può assumere un comportamento abbastanza simile a quello già visto per la componente atmosfera. Può cioè indirizzare il tracciato in modo tale da allontanarsi dai ricettori sensibili a distanza sufficiente da rendere accettabile il livello sonoro che raggiunge il ricettore. Il suono infatti, propagandosi liberamente attraverso l’atmosfera, diminuisce di intensità all’aumentare della distanza fra sorgente e ricettore. Questa attenuazione è dovuta a: ♦ divergenza geometrica a partire dalla sorgente, compreso l’effetto di restrizioni

dovuto a superfici riflettenti; ♦ interposizione di eventuali ostacoli fra sorgente e ricevente; ♦ assorbimento di energia acustica da parte dell’aria in cui si propagano le onde

sonore; ♦ effetto suolo. È evidente inoltre, per tutti i motivi di cui sopra, che una sezione in trincea non si comporta ai fini acustici come una in viadotto. Anche per l’inquinamento acustico, come per quello atmosferico, esistono diversi modelli di simulazione che consentono al progettista di prevedere al meglio la situazione post operam. Per quanto riguarda le ferrovie uno dei modelli più accreditati è quello elaborato in Francia dal Centro Studi sui Trasporti Urbani (CETUR). Alla base delle relazioni di calcolo è stato usato il livello sonoro massimo emesso dal convoglio ferroviario durante il transito (Lmax), che può essere espresso mediante la relazione:

d00

0max KVVlog30

ddlogKLL −⋅+⋅−= [1.7]

dove: • L0 = Livello sonoro di riferimento emesso da un particolare tipo di treno transitante

alla velocità di riferimento (V0) e relativo ad un ricettore posto ad una distanza di riferimento (d0) e ad un’altezza di riferimento (h0);

• K = coefficiente moltiplicatore della distanza, funzione della lunghezza del convoglio; • d = distanza del ricettore in metri; • V = velocità del treno in km/h; • Kd = coefficiente di correzione per l’altezza del ricettore, funzione della direttività.

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Ricavato l’Lmax è possibile calcolare il livello equivalente sonoro (Leq) mediante la relazione:

⋅⋅= 10

Le

eq

max

10Ttlog10L [1.8]

dove: ♦ T = tempo di riferimento (in secondi); ♦ te = tempo di esposizione (in secondi). Si definisce “tempo di esposizione” l’intervallo temporale per il quale l’Lmax subisce una diminuzione di 10 dB(A). Esso è quindi funzione della lunghezza e della velocità del convoglio e della distanza del ricettore secondo l’espressione:

100d6

VL6.3te

⋅+⋅= [1.9]

dove: • L = lunghezza del treno in m; • V = velocità del treno in km/h; • d = distanza di riferimento in m. Se nell’intervallo di riferimento transitano “n” treni dello stesso tipo, si può passare dal Leq di un treno al Leq complessivo mediante la:

nlog10LL treno) 1(eqtreni) n(eq ⋅+= [1.10]

Se, come è più probabile, nell’intervallo di tempo transitano “n” convogli di “m” tipi (AV, intercity, pendolari, merci, etc.), i Leq prodotti dai diversi tipi di treno devono essere cumulati secondo la legge del calcolo esponenziale di seguito riportata:

⋅= ∑

=

m

1i

10L

eq

i,eq

10log10L [1.11]

dove: • m = tipi di convoglio; • Leq,i = livelli sonori associati ad ogni tipo di convoglio. Anche per ciò che concerne l’inquinamento acustico prodotto dalle infrastrutture stradali esistono diversi modelli di simulazione. Fra questi, a titolo d’esempio citiamo il M.I.R.A., il modello di previsione del rumore prodotto dal traffico autostradale, sviluppato dalla Soc. Autostrade S.p.A. M.I.R.A. è un modello matematico semiempirico che gira su personal computer. Esso è in grado di prevedere il livello sonoro di qualsiasi ricettore posto nello spazio circostante all’infrastruttura stradale, attraverso una serie di correzioni applicate al livello di energia di riferimento. Il livello di riferimento viene definito come il livello medio di energia emessa dai veicoli in autostrada. Le correzioni tengono conto del flusso di traffico, delle distanze dalla strada, della lunghezza del tratto di strada che interessa il ricettore, e delle attenuazioni dovute ad ostacoli naturali ed artificiali.

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Il programma di calcolo è strutturato secondo il seguente blocco di funzioni: 1) caratterizzazione della sorgente sonora (volume di traffico, composizione del flusso

veicolare, velocità media); 2) schematizzazione dell’infrastruttura secondo una sequenza di tratti rettilinei ed

inserimento nel territorio mediante coordinate geografiche o con l’ausilio di un riferimento fittizio;

3) descrizione topografica del territorio e del corpo stradale (raso, viadotto, trincea e rilevato);

4) ubicazione dei ricettori; 5) analisi della propagazione dei suoni nello spazio, tenendo conto dell’assorbimento

del terreno e dei fenomeni di riflessione da parte degli ostacoli; 6) fattori di schermo (attenuazione dovuta a file di case, boschi, ecc.); 7) restituzione dei risultati. La caratterizzazione della sorgente sonora avviene, in primo luogo, tramite il calcolo dell’energia sonora emessa da un veicolo rappresentativo di ognuna delle tre classi veicolari (automobili, veicoli medi, mezzi pesanti) e, in secondo luogo, valutando il livello energetico di un qualsiasi flusso di traffico. Per ognuna delle tre classi di veicoli è stata sviluppata una regressione logaritmica del tipo:

][dB VlogKCL A0 ⋅+= [1.12]

dove: • L0 = livello di riferimento per il singolo veicolo [dBA]; • C e K = coefficienti tipici di ogni classe veicolare; • V = velocità del flusso veicolare [km/h]. Il livello sonoro emesso dal singolo veicolo viene poi corretto, per tener conto del flusso di traffico, usando la relazione di seguito riportata:

i

0i*0 VT

DNlog10L⋅

⋅π⋅⋅= [1.13]

dove Ni è il numero di veicoli appartenenti alla classe i-esima nel periodo di un’ora, Vi è la velocità media del flusso di veicoli appartenente alla classe i-esima, T è l’intervallo di tempo di riferimento (1 ora), e D0 è la distanza tra la sorgente ed il ricevitore. Il livello equivalente orario di ogni classe di veicoli (Leq(hi)) si trova sommando il contributo del rumore emesso dal singolo veicolo con quello dovuto al flusso di traffico, ossia:

*00)hi(eq LLL += [1.14]

Il livello equivalente totale si ottiene come somma dei contributi acustici dovuti alle automobili (A), ai veicoli medi (M) ed ai mezzi pesanti (P):

++⋅= 10

L10

L10

L

)h(eq

)hP(eq)hM(eq)hA(eq

101010log10L [1.15]

Il livello equivalente calcolato tramite la [1.15] viene corretto per tenere conto delle attenuazioni dovute alla distanza, alla presenza del terreno ed all’assorbimento dell’aria. La relazione che viene utilizzata è la seguente:

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α+

⋅=

10*

)h(eq DDlog10L [1.16]

dove: ♦ D = distanza minima tra sorgente e ricettore (si tratta, cioè, della distanza tra il

ricevitore ed il punto d’intersezione tra la retta perpendicolare alla linea sorgente che passa per il ricevitore e la linea sorgente stessa);

♦ D0 = distanza di riferimento; ♦ α = coefficiente che tiene conto dell’assorbimento del terreno (vale 0 per terreni

perfettamente riflettenti; per terreni acusticamente assorbenti assume mediamente il valore di 0.5).

Il software M.I.R.A. provvede poi ad un’ulteriore correzione che mette in conto la lunghezza del tronco stradale che interessa il ricettore. In particolare, la strada viene suddivisa in segmenti di lunghezza finita, per ognuno dei quali viene valutata la lunghezza, e calcolato l’orientamento rispetto all’osservatore a mezzo della seguente procedura: si traccia, per ogni segmento, la linea perpendicolare allo stesso passante per

l’osservatore; si disegnano le linee passanti per l’osservatore e per i punti estremi di ogni

segmento; si calcolano gli angoli φ1 e φ2 (in gradi) tra queste linee e la linea perpendicolare (si

assumono negativi gli angoli a sinistra della linea perpendicolare); si determina l’orientamento di ciascun segmento attraverso la relazione: ∆φ = φ1 - φ2.

La correzione dovuta alla linea finita della sorgente sonora è espressa dalla relazione:

( )

φφ

π⋅= ∫

φ

φ

2

1

dcos1log10L **)h(eq [1.17]

In definitiva, per ogni segmento viene calcolato il Leq(h) sull’osservatore, e tutti i contributi vengono sommati mediante la relazione:

+++⋅=

°°°

10L

10L

10L

)tot(eq

segmenton)h(eqsegmento2)h(eqsegmento1)h(eq

10.......1010log10L [1.18]

Gli strumenti di calcolo appena analizzati (il modello del CETUR, il M.I.R.A. o altri similari) permettono di individuare il livello sonoro previsto in corrispondenza di quei ricettori considerati sensibili in base alla normativa di cui si è detto. In prima istanza il progettista dovrebbe tentare di fare in modo di rientrare nei limiti accettabili agendo sulle caratteristiche plano-altimetriche del tracciato. Ove ciò non fosse sufficiente, può ricorrere ad un altro metodo di riduzione, ossia quello di frapporre tra la fonte del rumore ed i ricettori un ostacolo efficace alla propagazione del suono. Tale ostacolo è costituito da una barriera con idonee caratteristiche di isolamento acustico, in relazione all’abbattimento di rumore necessario ed alle dimensioni dell’area da proteggere. La barriera costituisce un ostacolo alla propagazione dell’energia sonora emessa dal transito dei veicoli. Le onde vengono quasi totalmente riflesse verso la sorgente stessa.

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Una parte dell’energia sonora riesce però a “scavalcare” la barriera (energia diffratta) oppure ad attraversarla se l’isolamento del materiale non è adeguato (energia diretta). L’aliquota dell’energia sonora che scavalca la barriera, o che passa ai lati della barriera stessa è funzione delle caratteristiche geometriche (altezza, distanza dalla sorgente, distanza dal punto di ricezione rispetto al piano del ferro, lunghezza e spessore della barriera) mentre è indipendente dalle caratteristiche acustiche di isolamento della barriera stessa. Le aliquote di energia sonora che attraversano la barriera e che vengono riflesse sono invece calcolabili in relazione alle proprietà di isolamento acustico dei pannelli. È possibile individuare in commercio diversi tipi di barriere artificiali diversificate in base ai materiali utilizzati ed al comportamento acustico prevalente. Possono essere quindi individuati due tipi di pannelli: • barriere fonoassorbenti; • barriere fonoriflettenti. Con tali termini viene indicato il comportamento acustico “prevalente” del pannello; infatti le funzioni di smorzamento e di riflessione dell’onda sonora sono contemporaneamente presenti, anche se in rapporto diverso, in tutte le barriere artificiali. Le barriere fonoriflettenti (o fonoisolanti) sono quelle il cui comportamento prevalente è quello di riflettere l’onda sonora incidente. Si definisce potere fonoisolante la differenza tra il suono diretto e il suono riflesso; tale proprietà è detta anche perdita per inserzione. Questo tipo di barriera consente un abbattimento mediamente pari a 15 dB(A). Le barriere fonoassorbenti riflettono invece solo una parte dell’onda sonora incidente mentre smorzano un’altra parte di energia. Si definisce quindi potere fonoassorbente la capacità di un materiale di dissipare parte dell’energia incidente. Tale proprietà è misurabile nel rapporto tra l’energia acustica riflessa e quella incidente. Nella pratica comune si considera che l’inserimento di pannelli fonoassorbenti aumenta l’efficacia dell’intervento di circa 3-5 dB(A). Nel caso in cui siano presenti edifici su entrambi i lati dell’infrastruttura o gli stessi siano particolarmente alti è importante ridurre o deviare l’energia sonora riflessa e quindi utilizzare barriere fonoassorbenti. Insieme ai requisiti di protezione acustica, gli interventi di mitigazione proposti devono salvaguardare al massimo l’aspetto paesaggistico; le barriere devono inserirsi nel territorio rispettando al massimo le sue caratteristiche innestandosi nei diversi contesti come un elemento omogeneo. Non ultima è anche la verifica della sicurezza e della facilità di manutenzione dei pannelli. Si fornisce di seguito una brave descrizione delle barriere più comunemente utilizzate: Barriera trasparente: costituita da lastre in policarbonato o polimetilmetacrilato di

spessore 10-15 mm, montate su cordolo o barriera di sicurezza tipo New Jersey, con struttura portante in acciaio.

Barriera metallica: realizzata con pannelli, normalmente autoportanti, costituiti da un guscio metallico in acciaio o alluminio forato verso la sorgente, all’interno del quale sono allocati complessi porosi con elevate caratteristiche di fonoassorbenza (fibrosi o schiume sintetiche) che sfruttano i fenomeni di attrito e di risonanza. In campo stradale questo tipo di barriera viene montata su barriera di sicurezza tipo New Jersey.

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Barriera in calcestruzzo: costituita da pannelli in calcestruzzo di spessore da 10 a 20 cm. Le caratteristiche acustiche di questo tipo di barriera possono essere migliorate con l’utilizzo di aggregati ad elevata porosità e da profonde costolature sulla superficie rivolta verso la sorgente di spessore variabile (4-10 cm). Questa barriera acustica in campo stradale viene montata su barriera di sicurezza tipo New Jersey.

Biomuro: costituita da vasche con terra su cui vengono piantumate essenze vegetali selezionate. La struttura portante può essere di diverso tipo: cls, acciaio o legno. L’isolamento acustico di tali barriere è ottenuto in virtù delle stesse caratteristiche costruttive, in quanto la permeabilità al suono di un ostacolo dipende dalla sua massa per cui esse presentano caratteristiche simili a quelle di un terrapieno o di un ostacolo massiccio delle stesse dimensioni. Questo tipo di barriera è in grado anche di esplicare una buona funzione assorbente con l’abbattimento attraverso il filtro vegetale.

Rilevato antirumore: barriera costituita da riporto in terra al lato della sede stradale o ferroviaria rinverdito con vegetazione.

Barriera in legno: realizzata mediante pannelli in legno. Presenta un buon inserimento paesaggistico in aree naturalistiche. Il suo comportamento acustico può essere migliorato con l’inserimento di materiale isolante tra i due pannelli di legno.

Barriere miste: in questa categoria vengono identificate quelle tipologie di barriere ibride che sono costituite dall’alternanza di pannelli fonoassorbenti e fonoisolanti. Le caratteristiche acustiche di queste barriere possono essere per l’appunto definite miste.

Barriere vegetali: fondano la capacità di protezione acustica unicamente sulla vegetazione. Quando l’onda sonora è costretta ad un cammino complesso attraverso foglie, rami e tronchi parte dell’energia sonora si disperde in calore. Questi smorzamenti non sono uniformi nel tempo e nello spazio a causa dei vuoti dovuti a deperimento (malattie), oppure perché le piante cambiano la consistenza della chioma con le stagioni e con le vicende meteorologiche. La vegetazione ha di contro altri pregi nei confronti del miglioramento ambientale e quindi del consenso di chi vive nelle aree bonificate.

1.4.1.3 Ambiente idrico Le infrastrutture lineari di trasporto modificano sempre il regime di ruscellazione delle acque superficiali e meteoriche e talvolta anche di quelle profonde. Il progettista stradale o ferroviario da sempre si occupa di queste problematiche con un occhio particolarmente attento alla salvaguardia dell’opera che sta progettando. La normativa ambientale ovviamente gli chiede di più, estendendo l’analisi non solo all’opera ma all’ambiente circostante nelle sue varie accezioni. A secondo quindi dell’assetto geomorfologico, pedologico e delle condizioni di uso del suolo al contorno dell’infrastruttura occorre valutare le conseguenze più ampie dell’alterazione del regime idrico. Un caso particolare, ma non raro, è costituito dalla presenza nelle vicinanze del corpo stradale di eventuali prese di acqua ad uso potabile. Sia per quanto già detto ai paragrafi precedenti in merito alla ricaduta delle sostanze inquinanti, ma soprattutto come conseguenza di un eventuale sversamento di sostanze tossiche trasportate sulla strada stessa, se ne deve dedurre che tali prese d’acqua costituiscono aree critiche ad altissimo rischio per la salute dei cittadini che vi si approvvigionano.

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È ovvio che in questi casi il progettista debba prevedere alla raccolta completa di tutti i liquidi che insistono sulla piattaforma stradale. Altrettanto delicato è il problema della regimazione delle acque profonde ogni qualvolta si effettuano scavi. Innumerevoli sono ormai gli episodi di danni irreversibili all’ambiente causati da una mancanza di indagine conoscitiva sui siti soggetti a scavo. Basti pensare che il foro di una galleria può avere lo stesso effetto dell’apertura di un foro di uscita in un bacino sovrastante con i danni che è facile immaginare.