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Canne, cannabinoidi e 'cannibali' ovvero l'insostenibile leggerezza dello 'spinello'

Vincenzo MANNA Medico, Neurologo, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC SPDC DSM ASL ROMA 6 [email protected] cell. +39 333 36 25 218

"L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre

che l’universo si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua bastano ad ucciderlo.

Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe sempre più nobile di quel che

l’uccide, perché sa di morire ed è conscio della superiorità che l’universo ha su di lui;

l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità consiste, dunque, nel pensiero." (BLAISE

PASCAL - Pensieri).

Negli ultimi anni diverse campagne mediatiche di massa ed alcune organizzazioni politico-sociali hanno sostenuto la

sostanziale innocuità delle cosiddette droghe leggere, in particolare, dei derivati della canapa indiana, sotto forma di

hashish, olio di hashish e marjuana, la cosiddetta “erba”, “fumo” o “spinello”. Alcuni ne hanno richiesto la “legalizzazione”

se non, addirittura, la liberalizzazione. Da un lato, per sostenerne l’innocuità si sono portati ad esempio i livelli di tolleranza raggiunti in alcuni stati europei come l’Olanda con i suoi “coffee shop”; d’altro canto, numerosi studiosi ne hanno richiesto la legalizzazione per uso terapeutico, nel trattamento di diverse e disparate patologie, dalle nevrosi alla sclerosi multipla, riconoscendone esplicitamente gli effetti farmacologici sul sistema nervoso umano. In questi ultimi anni si è arrivati, in modo quasi schizofrenico a considerare, contemporaneamente, il fumo di sigaretta estremamente tossico e fattore di rischio, se non principale fattore causale, per l’insorgere di gravi patologie, quali i tumori e le malattie vascolari, mentre allo “spinello” si riservava un indistinto ruolo, di sostanza poco o per nulla tossica, la cosiddetta “droga leggera”. Ancora oggi, si sentono opinioni poco scientifiche, in cui si demonizza l’uso di hashish o se n’esaltano, irrazionalmente presunti effetti terapeutici, o, quantomeno se ne svaluta il potenziale lesivo per l’individuo consumatore occasionale o continuativo. Atteggiamenti emotivi ed irrazionali di questo tipo sono, purtroppo, evidenziabili anche tra i cosiddetti “esperti”, nel mondo politico e socioculturale, nonché tra illustri personalità del mondo mediatico. L’atteggiamento, rispetto al fenomeno droga, raramente risulta equilibrato e fondato su evidenze scientifiche. La canapa indiana (cannabis indica) è una pianta originaria del subcontinente indiano e dell'Asia centro-meridionale. Prevale allo stato selvaggio nelle zone tropicali e temperate. A tutt'oggi risulta, ormai, coltivata in quasi tutto il mondo. Dalla canapa indiana si producono la marijuana e l'hashish, che hanno effetti sul sistema nervoso centrale, blandamente euforizzanti ed allucinogeni. La marijuana è una miscela di fiori, steli e foglie, della pianta. L'hashish è un derivato della resina della cannabis, estratta dal polline dei suoi fiori, con l'utilizzazione di grassi animali o miele. Le parti più utilizzate della pianta, per il maggior contenuto di principi attivi, i cannabinoli, sono le infiorescenze e le foglie. Per questo l'hashish ha effetti psicoattivi più forti, rispetto alla marijuana. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che l'uso della canapa indiana fosse iniziato in età preistorica, probabilmente neolitica, in Asia Minore. Da qui si sarebbe diffusa verso l'India e poi verso la Cina, dove l'uso della pianta come sedativo è documentato in un antichissimo trattato di medicina e botanica, probabilmente redatto prima del 1000 a.C.. In India la canapa era ritenuta d’origine divina, ma anche in tutto il mondo islamico, l’assunzione dei derivati della canapa si riteneva favorisse l'esperienza mistica. L'uso voluttuario della canapa fu introdotto in Occidente in varie epoche, ma, soprattutto, nell'ottocento, in seguito alla conquista napoleonica dell'Egitto e delle provincie medio-orientali dell'Impero Ottomano. Il torpore indotto dai cannabinoidi, cui si abbandonavano i mediorientali, divenne così esperienza non insolita fra i borghesi colti ed i giovani parigini. Nacquero così i circoli di fumatori d'hashish, dove si incontravano alcuni fra i maggiori letterati e artisti parigini dell'epoca, tra cui Baudelaire e Balzac. Aspetti clinici dell'assunzione di cannabinoidi

I cannabinoidi includono marijuana, hashish ed olio di hashish, il cui principale componente attivo è rappresentato dal T.H.C. (tetra-idro-cannabinolo). I cannabinoidi possono essere assunti per via inalatoria col fumo oppure ingeriti. Gli effetti indotti dipendono dalla dose, dalla via di somministrazione, oltreché dal contesto ambientale e dalle caratteristiche personali del soggetto assuntore. I cannabinoidi, come gli allucinogeni, hanno la capacità di indurre alterazioni delle percezioni sensoriali. La marijuana, quando è inalata col fumo (spinello), ha un periodo d’effetto massimo, che é raggiunto in circa trenta minuti e che dura circa due ore. Il picco plasmatico si raggiunge in circa dieci minuti. Gli effetti farmacologici iniziano in pochi secondi, grazie alla relativa liposolubilità del tetra-idro-cannabinolo. Quando i cannabinoidi sono ingeriti, col cibo o sotto forma di decotti o infusi (thè), gli effetti sono ritardati. Iniziano dopo oltre 45 minuti, a

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stomaco vuoto, oppure dopo oltre una o due ore, a stomaco pieno. In questi casi gli effetti clinici possono protrarsi per oltre dieci ore. Effetti dei cannabinoidi a breve termine

La cosiddetta azione immediata dei cannabinoidi, varia, come per molte altre sostanze d’abuso, in rapporto a fattori strettamente fisiologici e farmacologici, quali: dosi, via di somministrazione, età dell'assuntore, metabolismo e abitudini dell'assuntore, contemporanea assunzione d’altre sostanze psicotrope, etc. Gli effetti vengono, però, influenzati da elementi del tutto diversi, quali: il contesto ambientale, la condizione psicologica dell'individuo in generale e, soprattutto, al momento dell'assunzione, lo scopo dell'assunzione, etc. Fatte queste necessarie premesse, gli effetti spiacevoli acuti più comuni sono: deficit dell'attenzione, della concentrazione e della memoria a breve termine, disorientamento spazio-temporale, ansia generalizzata e somatizzata, disforia, attacchi di panico. Altri effetti fisiologici a breve termine, sono: aumento dell'appetito, vasodilatazione periferica, irritazione congiuntivale, tachicardia, cefalea, astenia, disturbi soggettivi dell'equilibrio, con deficit della coordinazione motoria, alterazioni dei tempi di reazione agli stimoli, tosse debole e frequente. Gli effetti psicologici a breve termine, includono: aumento della sensibilità sensoriali (gusto, olfatto, udito), particolari e intense percezioni tattili e visive, facilitata rievocazione mnesica, dilatazione soggettiva del tempo trascorso sotto l'effetto dei cannabinoidi, loquacità, rilassamento psicofisico, senso di benessere, stato subeuforico dell'umore, disinibizione sociale. Effetti dei cannabinoidi a lungo termine

Gli effetti fisiologici indotti dai cannabinoidi a lungo termine includono: scialorrea (aumento della salivazione), tachicardia, disturbi del ritmo sonno-veglia, congiuntiviti, naso ostruito, faringo-tracheiti, bronchiti, deficit immunologici. Gli effetti psicologici a lungo termine, invece, sono rappresentati da: anedonia, astenia, abulia, instabilità dell'umore, trascuratezza, mancanza di motivazione e interesse, passività e apatia, scarsa tolleranza delle frustrazioni, bassa produttività, ottusità mentale, lentezza nei movimenti, deficit di memoria ed attenzione. Gli effetti avversi sul piano mentale, in caso d’intossicazione cronica, includono: irritabilità, manie di persecuzione con disturbi deliranti del pensiero, incoerenza tematica del linguaggio, disturbi grossolani formali e di contenuto dell'ideazione, confusione, ansia e depressione, attacchi di panico, fobie, disorientamento spazio-temporale e verso le persone, allucinazioni visive, delirium, psicosi tossica, depersonalizzazione, derealizzazione. I segni dell'assunzione di cannabinoidi

I segni ed i sintomi clinici facilmente apprezzabili dopo assunzione di cannabinoidi sono: fatuità, occhi arrossati, incostanza ed incoerenza sul piano ideativo, forte disattenzione, facile distraibilità, facile esauribilità nell'esecuzione di compiti mentali e psicofisici relativamente semplici. Le complicanze e i rischi connessi all'assunzione di cannabinoidi

L'uso prolungato dei cannabinoidi induce alterazioni del metabolismo cellulare, della motilità degli spermatozoi, della fertilità, dello sviluppo fetale, della funzione vascolare, dell'istologia dei tessuti cerebrali e del sistema immunitario, che viene solitamente depresso. I danni subiti dall'apparato respiratorio sono paragonabili, se non superiori, a quelli causati dal fumo di tabacco. Gli aspetti connessi alla tolleranza ed alla dipendenza non sono stati ancora del tutto chiariti. Solitamente, i consumatori abituali controllano, a parità di dose, con più facilità gli effetti comportamentali tipici indotti dall'assunzione di cannabinoidi, rispetto ai consumatori occasionali. Tuttavia, una tendenza ad aumentare le dosi, nel tempo tra i consumatori abituali, generalmente esiste. Nel caso d’intossicazione acuta l'assuntore può andare incontro ad una sindrome caratterizzata da: astenia, vertigini, pallore, sudorazione profusa, disturbi dell'equilibrio, nausea e vomito. In tal caso è necessario sdraiare l'assuntore, aiutandolo a coricarsi molto lentamente in un ambiente tranquillo, e, appena possibile, fargli bere molta acqua, con un poco di zucchero, ripetutamente, per qualche ora. Usualmente non si verifica una sindrome d'astinenza clamorosa alla brusca sospensione dell'uso di Cannabis. Tuttavia, persiste spesso un intenso desiderio di assumere la sostanza (craving) con sintomi che includono l'irritabilità, l'insonnia, la diminuzione dell'appetito, l'impulsività. I cannabinoidi: induzione di quadri psicopatologici

Numerose osservazioni scientifiche e cliniche, accumulatisi negli ultimi anni, hanno documentato che l’assunzione cronica di derivati della cannabis può indurre una sintomatologia psicopatologica, rilevante sul piano clinico, con l’insorgere di gravi disturbi della sfera comportamentale. La riduzione progressiva delle motivazioni sino all’insorgere di quadri di completa abulia, con disturbi francamente depressivi del tono dell’umore, talora associati a disturbi del pensiero a sfondo paranoide, con aumento dell’ostilità e dissocialità, caratterizza un processo di vera e propria “depersonalizzazione”, cioè di modificazione della parte più interiore e delicata della persona. In questo contesto, insieme alle alterazioni della sfera cognitiva, della memoria e dell’attenzione, compaiono con frequenza quadri assimilabili alla sintomatologia produttiva della schizofrenia. I disturbi della sfera ideativa possono giungere ad esasperarsi sino alla perdita del contatto con la realtà. L’impossibilità a definire i concetti, a focalizzare le idee, già evidente nelle situazioni d’uso occasionale o moderato della sostanza, si può trasformare in una distorsione persistente e pervasiva del modo di percepire il mondo circostante. Nelle forme più gravi, dopo l’uso di cannabinoidi a dosi elevate o

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per tempi d’esposizione relativamente lunghi, in soggetti più vulnerabili o predisposti, si manifestano vere e proprie allucinazioni, con disturbi deliranti del pensiero, a volte indistinguibili dai più classici sintomi schizofrenici. I disturbi della sfera ideativa pongono, infatti, difficili problemi di diagnosi differenziale anche agli psichiatri più esperti. Non è chiaro, infatti, se la marijuana sia direttamente responsabile di quadri psicopatologici, così gravi, oppure se svolga solo un’azione di causa precipitante, di fattore slatentizzante di quadri patologici preesistenti in fase sub-clinica. Le più recenti conoscenze sugli effetti cerebrali dei cannabinoidi rilevano il coinvolgimento di una specifica popolazione di recettori e delle sostanze fisiologicamente deputate alla loro stimolazione. L’anandamide, di cui stiamo parlando, una sostanza naturalmente presente nel nostro cervello, è coinvolta nella percezione dell’euforia ed alla modulazione dello stress emozionale. L’uso cronico di cannabinoidi produce insensibilità dei suoi recettori, con gli effetti sulla sfera psichica già descritti. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che, tra le condizioni biologiche associate all’insorgere di una psicosi schizofrenica ve ne fosse una che coinvolge proprio una disregolazione dei recettori cerebrali su cui i cannabinoidi agiscono. I soggetti predisposti geneticamente e neuro-biologicamente, nei quali quest’importante sistema di regolazione neuro-trasmettitoriale sarebbe carente, rischierebbero maggiormente lo sviluppo di una patologia schizofreniforme indotta dall’uso di cannabinoidi. Ancora più complessa appare l’interpretazione dei sintomi psicotici e di deficit cognitivo-comportamentale che, talora, compaiono non durante l’uso dei cannabinoidi, ma alla loro sospensione, dopo un prolungato periodo d’assunzione. Occorre, perciò, sottolineare quanto sia pericoloso per la popolazione generale ed i particolare per i soggetti predisposti, in età adolescenziale o giovanile, utilizzare queste sostanze psicoattive illegali, da alcuni sottovalutate nella loro potenziale dannosità e ritenute molto impropriamente “leggere”. Recenti osservazioni cliniche, sottolineando alcuni effetti terapeutici dei cannabinoidi, non fanno che confermarne l’azione sul sistema nervoso centrale. Ciò, potrebbe aprire prospettive di utilizzo clinico dei cannabinoidi, in un contesto medico e prescrittivo specifico. Non è forse la morfina un importante rimedio medico in anestesia e gestione del dolore estremo? Gli effetti terapeutici dei cannabinoidi non giustificano, in nessun caso, la liberalizzazione dell’uso ricreativo di tali sostanze, che trasformano, col tempo, tanti ragazzi sani e tanti giovani in “cannibali”, cioè in soggetti che si sono “fumato il cervello”, così come vengono scherzosamente identificati, nel linguaggio giovanile, coloro che fanno uso continuativo dei derivati della cannabis. Riferimenti bibliografici

MANNA V. L'insostenibile leggerezza dello "spinello". Foggiatre: territorio e salute, N. 4-5, 46-47, 1999. DIANA M, MUNTONI AL. Danni cerebrali da cannabis indica. ADD N.1, 6-8, 2000. ABOOD ME, MARTIN BR. Neurobiology of marijuana abuse. Nature 390, 557-559, 1998. GRINSPOON L, BAKALAR JB, ZIMMER L, MORGAN JP. Marijuana addiction. Science 277, 749-752, 1997. ENTIN EE & GOLDZUNG I. Residual effects of marjuana usage on learning and memory. Psychol. Res. 23, 169-178, 1973. BLOCK RI, GHONEIM I. Effects of chronic marijuana use on human cognition. Psycho-pharmacology 110, 219-228, 1993. HAMPSON RE, DEADWYLER SA. Cannabinoids, hippocampal function and memory. Life Sci. 65, 715-723, 1999.