cafoscari - unive.it · gnati in una difficile riflessione sulla politica e sulla legislazione per...

24
Cafoscari Rivista universitaria di cultura Anno IX - n. 2 Novembre 2005 UNA CITTÀ E IL SUO ATENEO, CROCEVIA DI CULTURE Wladimiro Dorigo In “volta de canal”, prima di ca’ Foscari Emanuele Severino Il dominio della “verità” Umberto Galimberti Il valore e il rischio della scienza, nel futuro dell’umanità Luciano Canepari L’Europa delle lingue I meriti di una lunga esperienza universitaria: per Giovanni Castellani Marco Paolini Le cose del tempo. Note sull’arte e sulle forme del narrare L’importanza dell’Ateneo nel sistema culturale veneziano Ca’ Foscari tra valutazione ed autovalutazione Ca’ Foscari: il tuo studio, il tuo lavoro Massimo Miani Come facilitare l’ingresso degli studenti nel mondo delle professioni Andrea Erri Il fondo sociale europeo: nuove professionalità in ambito artistico/musicale Laura Bergamin Ca’ Foscari domina il Palio remiero delle Università Asolo, 1962

Upload: ngoxuyen

Post on 21-Feb-2019

218 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

CafoscariRivista universitaria di cultura

Anno IX - n. 2 Novembre 2005

UNA CITTÀ E IL SUO ATENEO, CROCEVIA DI CULTUREWladimiro Dorigo In “volta de canal”, prima di ca’ Foscari ❃ Emanuele Severino Il dominio della“verità” ❃ Umberto Galimberti Il valore e il rischio della scienza, nel futuro dell’umanità ❃ LucianoCanepari L’Europa delle lingue ❃ I meriti di una lunga esperienza universitaria: per GiovanniCastellani ❃ Marco Paolini Le cose del tempo. Note sull’arte e sulle forme del narrare ❃ L’importanzadell’Ateneo nel sistema culturale veneziano ❃ Ca’ Foscari tra valutazione ed autovalutazione ❃ Ca’Foscari: il tuo studio, il tuo lavoro ❃ Massimo Miani Come facilitare l’ingresso degli studenti nel mondodelle professioni ❃ Andrea Erri Il fondo sociale europeo: nuove professionalità in ambitoartistico/musicale ❃ Laura Bergamin Ca’ Foscari domina il Palio remiero delle Università

Asolo, 1962

La città e il suo ateneo, crocevia di culture

Il sapere e le utopie

Il secondo numero di “Cafoscari” giunge mentre gli Atenei italiani sono impe-gnati in una difficile riflessione sulla politica e sulla legislazione per l’Universitàin discussione nel Parlamento italiano.

Non è superfluo rammentare, a costo di essere ripetitivi, quale importante ruo-lo svolga la nostra sede veneziana a dispetto della progressiva erosione delle purscarse risorse nazionali. Ca’ Foscari si presenta alla stregua di un moderno labora-torio che elabora le forme del sapere a beneficio della formazione dei futuri quadriintellettuali e professionali della società.

Inoltre, buona parte delle sue ricerche e delle sue acquisizioni produttive e cul-turali sono continuamente poste a disposizione della comunità nazionale e inter-nazionale, spesso senza contropartite e senza limitazioni di sorta.

Il fatto che Venezia resti al centro di uno straordinario scambio di culture e diconcezioni del mondo, e che continui ad attrarre gli autentici viaggiatori, quelliche hanno scelto di muoversi nell’infinito universo dei saperi, accresce la responsa-bilità della sua università.

Anche attraverso i contributi qui raccolti è facile comprendere quale valoreabbia lo studio quotidiano, quanto vasto sia l’impegno a tramutarlo in materiaformativa, e quanto i nostri docenti e i nostri collaboratori siano apprezzati eascoltati all’esterno.

La nostra rivista segue le vie dell’utopia quotidiana e ne immagina per sé unapiccola piccola: quella di ricevere dai suoi lettori pensieri e consigli per accentuarela visibilità del lavoro che si svolge nell’Ateneo.

Le illustrazioni di questo numero sono tratte dalle opere pittoriche di Carlo Dalla Zorza (Venezia 1903 - 1977) conservate presso il Dipartimento di Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici “G. Mazzariol”

1

Le notizie più antiche riferibili all’area della “voltade Canal” sono incidentali, conservate in un decretumducale del 982, nel quale è cenno a “duobus aquimolispositi in rivo Businiaco” (il secondo rivo citato da undocumento nella storia della città), che TribunoMenio attesta donati al monastero di S. Giorgio dalsuo abate, Giovanni Mauroceni, genero di Pietro IOrseolo, suo compagno di fuga dal palazzo verso ilmonastero di Cuxà sui Pirenei nel 978, quindi ritor-nato come monaco a Venezia, ricordato ancora da do-cumenti del 1079 e seguenti con il titolo di imperialisprotospatharius. La denominazione suggerisce, comeper molti altri rivi veneziani, l’iniziativa di una fami-glia, che è altrimenti nota, anche se la lunghezza e lalarghezza del rivo, la sua ubicazione e la sua antichitàdebbono richiamare un alveo naturale originario, sca-vato e arginato ai fini suddetti.

Non sappiamo se qualche ruota di mulino girasseanche sulle rive del Canale, il rivus altus, dove sorge ca’Foscari: qui le notizie documentali sono quasi tuttepiuttosto tarde, e le prime nominano un rivus Storlatus(1296), il cui alveo corse fra il Canale e il rivusBusiniacus sul tracciato dell’attuale calle Giustinian,campiello dei squelini, calle dei saoneri. Di scavo cer-tamente privato (una famiglia Domenico Storlato, conproprietà nella zona, è documentata nel 1117), loStorlatus era assai stretto, poco più di tre metri, come irivi-fossati arcaici, e risulta ridotto a piscina verso ilCanale, cioè parzialmente interrato nel tratto fra cam-piello dei squelini e rio de ca’ Foscari, da documentidel 1355 e 1387. Esso costituiva confine fra la parroc-chia di S. Pantalon e quella di S. Barnaba.

L’area di ca’ Foscari, con altre contigue, dovette es-sere acquisita in data ignota, forse verso la metà delDuecento, da Pantaleone Giustinian, patriarca diCostantinopoli, figlio del capostipite di un ramo deiGiustinian, Filippo, testatore nel 1259 (secondo quan-to informa Marco Barbaro): ma le attestazioni docu-mentali più alte sono del 1303 e del 1305-1307.Soprattutto un ampio documento del 1387 della can-

celleria ducale sottoscritto dal gastaldione BenvenutoAltier, che fa riferimento a una divisionis carta del1303 e ad altri atti, fornisce utili informazioni sulcompendio delle proprietà Giustinian all’alba del seco-lo, e sulla loro attribuzione ai figli di due nipoti delpatriarca Pantaleone, in una prima parte, maggiore, aun Pantaleone (il sedime di ca’ Foscari), e una secondaa un Çibertino (buona parte dell’area attigua di ca’Giustinian dei Vescovi). Da questi documenti appren-diamo che nella prima parte c’era già nel 1303 unaterra proprietatis magne (dotata di curia sive orticellum,contigua a un altro orticellum “qui appellaturGlesiola”), sì che si può datare fin d’ora al XIII secolol’edificio che il 21 febbraio 1430 il doge FrancescoFoscari, dopo pubblico acquisto nel 1428 da unBernardo Giustinian, donò al duca di MantovaGiovanni Francesco Gonzaga, definendolo “domumnostram duarum turrium […] super Canale Maius”. Laparte riconosciuta a Çibertino era invece, all’inizio delTrecento, in condizioni meno evolute: comprendevauna “fornace terre et case cooperta et discooperta”, con“tribus rugis domorum”, e si obbligava a rendere comu-ne alla prima parte, apertum et discoopertum, un calle“de pedibus sex et medio” diretto a S. Barnaba (è l’at-tuale calle del capeler), e a partecipare con la primaparte alla manutenzione della “via per quam itur ad S.Pantaleonem [l’attuale calle Foscari] et rippa et sedilia[le latrine] et pons qui est super rivum S. Pantaleonis”,che erano comuni. È da notare che un documento del1296 citato supra nomina qui ancora una piscina, nonuna via, sì che si può ritenere che il suo interramento ela costruzione del ponte siano opere compiute in queisette anni, e che in questo passaggio del secolo si deb-bano riconoscere impulsi di rinnovamento urbanisticoe articolazione proprietaria decisivi per tutta l’area.

Forse fu in quegli stessi anni che alcuni pronipotidi Pantaleone figli del nipote di lui, Ferigo dettoBelletto (abitante a Castello nel 1266), avevano ancheacquistato dagli eredi di Pasquale Vilioni (una famigliadi grandi proprietari della zona) un modesto pezzo di

In “volta de canal”, prima di ca’ FoscariWladimiro Dorigo, già professore ordinario di Storia dell’Arte Medievale

Studi e Ricerche

terreno confinante da sud con il rivus Storlatus, che eraricompreso nella parrocchia di S. Barnaba, e un’altraterra, forse degli stessi Vilioni, assai più arretrata.Bisogna attendere poi il 1334-1344 per avvertire lapolitica di progressivi acquisti di aree contigue di que-sto clan dei Giustinian: due vendite intraparentali del1334 nell’una e nell’altra parrocchia contermini, e treatti di compravendita del 1341-1344 che certificano ilpassaggio di proprietà fra Caterina vedova di MarinoSoranzo e Nicolò Giustinian q. Çibertino di un terre-no all’incrocio fra le calli dei Giustinian dirette a S.Pantalon e S. Barnaba.

È ora opportuna una sommaria considerazione de-gli scavi condotti fra il 2003 e il 2005 in connessionecon i lavori di re-stauro di ca’ Foscari,i quali permettonoanzitutto di stabilire– anche se non sonoancora completatigli esami scientificidei reperti incontra-ti (dendrocronolo-gia, radiometria delC14, etc.) – che ilsedime di ca’ Foscarifu frequentato alme-no dal VI-VII seco-lo, che nell’ambitodel cortile del palaz-zo opere di conteni-mento e sostegno diestensioni e rialzidel terreno (che de-clinava sempre piùin rapporto con l’al-lontanamento dalCanal Grande) fu-rono condotte inprogressione per al-meno cinque secolimediante palificazioni con intrecci viminei a “volparo-ni”, in presenza di letti di Tipha, confermando ancorauna volta le tecniche di insediamento arcaico rinvenu-te in tutti i recenti scavi veneziani. Il ritrovamento diuna transenna petrinea da finestra del IX-X secolo fraaltri materiali di getto, sotto una pavimentazione simi-le a cocciopesto assai più tarda relativa a una costruzio-ne lignea, potrebbe essere riferito al ricordo dellaGlesiola, conservato a proposito dell’orticellum ai limitidell’area fino al XIV secolo, di cui supra.

Complessivamente, apparendo per ora improprie ulte-riori deduzioni, il panorama evolutivo dell’appezza-mento in “volta de Canal” sembra ben compatibilecon il cenno documentale del 982 agli aquimoli del ri-vo Businiaco, configurando sulla riva destra (esterna)del meandro fluviale un’area alta per effetto del batten-te apporto delle torbide. Quell’area alta peraltro, al dilà del rilievo di un probabile argine, andava abbastanzarapidamente diminuendo di quota, per effetto cumu-lato di subsidenza e della trasgressione in corso nel V-VII secolo (detta “post-roman submergence” da R.W.FAIRBRIDGE - 1962 -): ciò implicò progressivi inter-venti di avanzamento e rialzo artificiale verso l’interno– ben documentati dallo scavo nel cortile di ca’ Foscari

per una lunghezza di 22m – a partire probabil-mente dagli anni succes-sivi all’alluvione del 589,come sembra attestare ilC14 di un palo, datatofra il 560 e il 645.

L’esame delle risul-tanze di scavo all’internodell’edificio costruito nel1452 e seguenti dal dogeFrancesco Foscari, cheacquistò la domus dua-rum turrium per donarlaal Gonzaga (fu poi con-fiscata dal comune nel1438, donata dal senatoa Francesco Sforza nel1439, riconfiscata nel1447) è più complesso, elascia per ora alcuni pro-blemi aperti. Le pavi-mentazioni della nuovafabbrica raggiunte nel-l’ambito del portego e dialcuni locali attigui, chesi collocano a quote me-

die comprese fra + m 0,91 (verso il cortile) e + m 0,45(verso il Canale), rispetto allo 0 del livello medio delmare 1897, stanno sopra più livelli antichi di “pastel-lone” e simili notevolmente più bassi (fino a + m 0,09presso il Canale), coprono tratti di una fondazionetrachitica che corre parallela a m 5,70 c. dalla facciata,e lasciano intendere che la fascia più bassa lungo ilCanale corrisponda a un portico d’acqua aperto, conmuro interno sopra la fondazione, in fase con la domusduarum turrium, o con una costruzione precedente.

2

Asolo la rocca, 1967

Utile ricordare al riguardo la precisa informazionecontenuta nella deliberazione sottoscritta dall’Altiernel 1387, la quale descrive forma e dimensioni(m13,82/12,87x25,12) di una quedam domus vetusnota dal 1370, situata nel sedime contiguo di ca’Giustinian dei Vescovi, e per effetto dell’indaginecompiuta in atti e in loco la assegna non alla secondaparte della divisione riconosciuta a Çibertino, ma auna terza parte, riconoscendola al figlio – di nome an-ch’egli Çibertino – di un Zuanne, fratello diPantaleone e Çibertino, che era stato titolare della ter-za parte dell’eredità del 1303: questa domus vetus deiGiustinian – già ‘vecchia’ nel Trecento – potrebbedunque lasciar supporre che la domus delle due torridei Giustinian, ubicata accanto a essa, apparisse alloraper contrasto relativamente nova, e fosse cioè in qual-che modo successiva a quella che riconduce al patriar-ca Pantaleone. Il quale fu parroco nel 1229 a S.Paternian, quindi parroco a S. Maria di Murano, edera parroco di S. Polo nel 1242, quando fu nominatodal doge membro eminente di una commissione per inuovi statuti, incaricata di “corrigere, dilucidare, com-ponere omniaque facere que ipsi operi noverint opportu-na”; patriarca, egli dovette poi nel fatale 1261 (F.CORNER, XV, 264) fuggire da Costantinopoli aNegroponte, dove finì i suoi giorni. Si può ritenere inogni caso che la casa del futuro patriarca sia databileentro il secondo quarto del Duecento.

Le dimensioni, l’ubicazione, i caratteri costruttivi edistributivi della domus duarum turrium sono, allo sta-to, di restituzione assai problematica, in parte forseimpossibile. Se la struttura planimetrica della vicinadomus vetus è probabilmente riconducibile per calco –pur ancora in assenza di una campagna di scavo –,mediante le misure documentali citate, al portego pas-sante e alla sequenza settentrionale di hospicia di ca’Giustinian dei Vescovi, il problema appare assai piùcomplicato alla luce dell’ampio scavo di ca’ Foscari, al-meno in attesa delle pubblicazioni preliminari. Le fon-ti usualmente citate al riguardo (Sanudo, Sansovino,Priuli) sono estremamente generiche, e ormai in granparte inattendibili sulla base dei documenti citati, edelle prime risultanze archeologiche. Comunque, lafronte sul cortile poté essere di m 23,70 c., pari a piediromani 80. La fronte duecentesca sul Canale fu inveceprobabilmente estesa lungo tutta la facciata di ca’Foscari per circa 26 m (sembrerebbero indicarlo i trat-ti della citata fondazione parallela), e il restringimentoin pianta verso il cortile verrebbe chiaramente a inizia-re con il cavedio verso ca’ Giustinian, ancora perfetta-mente mantenuto. Alcune particolarità archeologiche,

e la considerazione attenta di alcune singolarità dellaplanimetria attuale, inducono a formulare l’ipotesi diubicazione delle due torri non in facciata, ma in arre-trato, in corrispondenza del locale attiguo (versoCanale) all’attuale scalone di ca’ Foscari, e del localespeculare dall’altra parte del portego passante, verso ilrivo che, ha offerto indizi fondazionali significativi;questa ubicazione non sarebbe insolita, perché si ritro-va nella magna domus magna dei Barozzi (documenta-ta dal 1279, e disegnata dal de’ Barbari), e nella domusmagna Dandolo (ca’ Farsetti), costruita dal figlio delconquistatore di Costantinopoli nei primi anni del se-colo. Ipotesi, incertezze, sulle quali bisognerà ritorna-re, con più precisi elementi di valutazione.

Venezia, 15 settembre 2005

Ringrazio il dott. Luigi Fozzati, direttore di NAUSI-CAA, che mi ha reso possibili queste sommarie anticipazio-ni archeologiche, e la dott. Rossella Cester, responsabile del-lo scavo di Ca’ Foscari, per le informazioni pazientementefornitemi e le risposte date alle mie impazienti domande. Iriferimenti archivistici utilizzati sono dati per gran parte inW. DORIGO, Venezia romanica. La formazione della cittàmedioevale fino all’età gotica, I-II, Verona 2003].

3

Autoritratto, 1934

La distinzione tra scienza e tecnica dipende dallaconcezione filosofica tradizionale della “verità”, ossia dal-la convinzione che esista un sapere incontrovertibile nelquale è contemplato l’Ordinamento immutabile delmondo e dal quale è guidato l’agire dell’uomo. Per lungotempo (anche) la scienza ha attribuito a sé stessa il sensodella “verità” e ha inteso la tecnica come applicazionepratica di tale “verità”. In questa prospettiva la “verità” èil limite dell’agire e quindi anche dell’agire tecnico.

Ma negli ultimi due secoli questa concezione della“verità” tramonta – e si tratta del fenomeno decisivodegli ultimi due secoli -; e quindi cade anche il fonda-mento della distinzione tra scienza e tecnica. La scien-za concepisce sé stessa come sapere ipotetico-dedutti-vo, dove una teoria prevale su quelle antagoniste per-ché, in ultima istanza, possiede una maggiore capacitàdi trasformare il mondo secondo gli scopi dell’uomo,ossia perché è una tecnica vincente rispetto a quelleantagoniste. A maggior ragione tramonta la distinzio-ne tra tecnica e tecnologia.

Che la scienza concepisca sé stessa come sapereipotetico-deduttivo dipende in parte da grandi feno-meni che si producono all’interno del sapere scientifi-co (geometrie non euclidee, tendenziale estensione delcarattere statistico-probabilistico a tutte le leggi fisi-che, ecc.). Ma questa autoconsapevolezza della scienzaavviene all’interno del clima filosofico che negli ultimidue secoli distrugge la concezione tradizionale della“verità” e del “limite” dell’agire umano.

È cattiva filosofia quella che pretende di indicarealla scienza e alla tecnica come devono procedere.Tuttavia, nella storia dell’Occidente, la filosofia ha pre-parato il terreno in cui crescono scienza e tecnica: dap-prima evocando appunto la “verità” come “limite” as-soluto dell’agire, e quindi anche dell’agire tecnico; poi,mostrando l’inesistenza di quel limite e rendendo per-tanto libero l’agire scientifico-tecnologico, che dunqueè sempre meno vincolato dal “diritto naturale”, e sem-pre più dalle diverse configurazioni del “diritto positi-vo” via via stabilito dall’uomo lungo la propria storia.

Scienza e tecnica sono rese tanto più libere dal

pensiero filosofico quanto meno esse si disinteressanodi tale pensiero.

L’apparato scientifico-tecnologico, infatti, è tantopiù potente, cioè più libero, quanto più autenticamen-te conosce l’assenza di limiti al proprio dominio delmondo, quell’assenza di limiti che d’altra parte può es-sere solo il pensiero filosofico a portare alla luce.

Ma proprio per questa sua liberazione, l’apparatoscientifico-tecnologico planetario è destinato al domi-nio della terra, ossia è destinato a diventare, da mezzoper realizzare gli scopi delle grandi forze della tradizio-ne occidentale (capitalismo, comunismo, democrazia,cristianesimo, islam, ecc.) lo scopo di tali forze – cioèdelle forme pratico-culturali che hanno al loro centrola concezione filosofica tradizionale della “verità” – eche sono a loro volta destinate a diventare mezzi per ilcrescente potenziamento dell’apparato planetario dellascienza e della tecnica.

Questo intreccio tra liberazione filosofica dell’ap-parato scientifico-tecnologico e destinazione di taleapparato al dominio del mondo è la tendenza fonda-mentale del nostro tempo. In tale dominio consiste il“futuro della scienza”.

Tutto ciò non significa che il tempo del dominiofilosofico-scientifico abbia l’ultima parola. Ma il di-scorso sull’”ultima parola” – che d’altra parte è quellodecisivo – porterebbe troppo lontano dal tema a cuiquesto Convegno è stato dedicato.

4

Dal 21 al 23 settembre di quest’anno si è svolto a Venezia, presso la Fondazione“Giorgio Cini”, l’atteso convegno sul Futuro della scienza, promosso dalla FondazioneUmberto Veronesi. In merito a tale avvenimento pubblichiamo gli scritti dei professoriEmanuele Severino e Umberto Galimberti, che sono intervenuti ai lavori della conferenza.

Il dominio della “verità”Emanuele Severino, professore emerito di Filosofia Teoretica

Eventi

Teolo con rocca pendice, 1950

5

La prima conferenza internazionale su Il futuro del-la scienza ha visto la presenza di scienziati europei,americani e giapponesi, nonché filosofi, economisti epolitici internazionali che, nella loro attività, si sonorivelati particolarmente sensibili alle tematiche solle-vate dall’enorme progresso scientifico e tecnologico acui assistiamo e sempre più assisteremo nei prossimianni, senza che ciò abbia una particolare ricaduta suldibattito culturale. Inconveniente, questo, che priva ilpubblico dell’indispensabile informazione che potreb-be consentirgli di partecipare alle riflessioni che taleprogresso necessariamente comporta. La prima delletre giornate è stata dedicata al rapporto tra la scienza ei valori, la seconda all’impatto della scienza sulla vitaumana, la terza ai rapporti tra la scienza e il potere.

1. Scienza e valori. Già il tema della prima giornataapre il dibattito, a cui tutti siamo sensibili, relativo allacompatibilità tra le possibilità di intervento che le sco-perte scientifiche rendono possibili e i valori etici su cuifinora la cultura occidentale ha fondato se stessa. E quidiciamo subito che, nell’età della tecno-scienza, quale èappunto la nostra, l’etica si trova in grande affanno. InOccidente, infatti, abbiamo conosciuto fon-damentalmente tre etiche: l’etica cristiana, che si limitaa considerare la corretta coscienza e la sua buonaintenzione, per cui anche se le mie azioni hanno conse-guenze disastrose, se non ne avevo coscienza o in-tenzione, non ho fatto nulla che mi sia moralmente im-putabile. Esattamente come capitò un giorno a coloroche hanno messo in croce Gesù Cristo e che da lui sonostati perdonati “perché non sanno quello che fanno”.

È evidente che in un mondo complesso e tecnolo-gizzato come il nostro, una morale di questo genere èimproponibile, perché gli effetti sarebbero catastroficie in molti casi addirittura irreversibili. Quando nel-l’età moderna la società si laicizzò, apparve quella chepotremmo chiamare l’etica laica, la quale, messo sullosfondo il riferimento a Dio, con Kant formulò quelprincipio secondo cui “l’uomo va trattato sempre co-me un fine e mai come un mezzo”. È questo un

principio che ancora attende di essere attuato, ma nel-le società complesse e tecnologicamente avanzate giàrivela tutta la sua insufficienza. Davvero, a eccezionedell’uomo da trattare sempre come un fine, tutti glienti di natura sono un semplice mezzo che noi possia-mo utilizzare a piacimento?

E qui penso agli animali, alle piante, all’aria, all’ac-qua. Non sono questi, nell’età della tecnica, altrettantifini da salvaguardare, e non semplici mezzi da usare eda usurare?

Sia l’etica cristiana, sia l’etica laica sembra che si sianolimitate a regolare i rapporti tra gli uomini, senza averenessuna sensibilità e quel che più conta senza disporre dialcuno strumento né teorico né pratico per farci assu-mere una qualche responsabilità nei confronti degli entidi natura, il cui degrado è sotto gli occhi di tutti.

All’inizio del nostro secolo Max Weber formulò l’e-tica della responsabilità, riproposta vent’anni fa daHans Jonas. Secondo Weber chi agisce non può ritener-si responsabile solo delle sue intenzioni, ma anche delleconseguenze delle sue azioni. Se non che, subito dopoaggiunge: “Fin dove le conseguenze sono prevedibili”.

Questa aggiunta, peraltro corretta, ci riporta puntoe a capo, perché è proprio della scienza e della tecnicaavviare ricerche e promuovere azioni i cui esiti finalinon sono prevedibili. E di fronte all’imprevedibilitànon c’è responsabilità che tenga. Lo scenariodell’imprevedibile, dischiuso dalla scienza e dalla tecni-ca, non è infatti imputabile, come nell’antichità, a undifetto di conoscenza, ma a un eccesso del nostro pote-re di fare enormemente maggiore rispetto al nostro po-tere di prevedere e quindi di valutare e giudicare.

L’imprevedibilità delle conseguenze che possonoscaturire dai processi tecnici rende quindi non solo l’e-tica dell’intenzione (il cristianesimo e Kant), ma anchel’etica della responsabilità (Weber e Jonas) assoluta-mente inefficaci, perché la loro capacità di ordinamen-to è enormemente inferiore all’ordine di grandezza diciò che si vorrebbe ordinare.

Come si vede il problema resta aperto e ancora tut-

Il valore e il rischio della scienza, nel futuro dell’umanità. Umberto Galimberti, docente di Filosofia morale, Dipartimento di Filosofia e teoriadelle scienze

Eventi

to da pensare. Ma che lo si debba pensare mi pare ur-gente e inevitabile, e bene ha fatto Umberto Veronesiad aprire la Conferenza da lui promossa con questaprima importantissima questione.

2. L’impatto della scienza sulla vita umana. È questoil tema della seconda giornata articolata in quattro ses-sioni dove si è discusso con Carlo Rubbia delle futurefonti di energia, con i più famosi genetisti internazio-nali della rivoluzione che ha comportato la scopertadel Dna, con Veronesi dei progressi della medicina edelle possibilità terapeutiche che le continue scopertedischiudono, e infine delle ricadute in termini diinformazione e comunicazione che il continuo pro-gresso telematico comporta.

Le risorse energetiche sono infatti la condizioneper cui l’Occidente può mantenere il suo standard divita e i popoli in via di sviluppo raggiungerlo. Lo sce-nario non è prevedibile, perché mai, in un arco ditempo così breve, abbiamo raggiunto livelli di vitacosì elevati, che sono stati resi possibili dalla disponi-bilità tecnologica, tanto potente quanto fragile, comeChernobyl vent’anni fa e oggi il disastro di NewOrleans sono lì a dimostrare.

L’accaparramento di risorse energetiche sarà la cau-sa di guerre future, per non parlare delle presenti, e di-segnerà un nuovo mondo i cui contorni sono diffi-cilmente prevedibili.

Se dalla vita collettiva passiamo alla vita individua-le, la genetica in primo luogo e i progressi della medi-cina prolungheranno la nostra esistenza e migliore-ranno la qualità della nostra vita in una misura che legenerazioni che ci hanno preceduto non avrebberoneppure immaginato.

Ciò comporterà, in Europa dove esiste, una riduzio-ne dello stato sociale e dei contributi pubblici per l’assi-stenza sanitaria, fino a giungere al paradosso per cuiquello che dal punto di vista tecnico-scientifico sarebbepossibile effettuare, diventa impraticabile neri costi eco-nomici che la collettività non è in grado di sostenere.

Da ultimo l’impatto telematico che amplia in modoesponenziale le nostre conoscenze e modifica in modoradicale la modalità della nostra comunicazione, nellasperanza che non modifichi anche la nostra intelligen-za, trasformandola da problematica in binaria. La rivo-luzione nel mondo del lavoro è già sotto gli occhi ditutti, ed ora la attendiamo, non senza una certa preoc-cupazione, nel mondo della scuola e dell’università, do-ve i processi formativi dovranno inevitabilmente cedereil passo all’acquisizione di competenze tecniche.

3. Scienza e potere. La terza giornata dellaConferenza ha avuto per oggetto la spinosa questione

dei condizionamenti che la scienza subisce ad operadell’economia e della politica.

Infatti non si fa scienza senza denaro. E il denaro,essendo purtroppo l’unico generatore simbolico dellanostra cultura, si incanala là dove può moltiplicarsigrazie alle scoperte scientifiche. Ciò comporta, che ildenaro privato avrà occhi solo per la ricerca applicatache dà subito risultati economici, mentre per la ricercadi base (da cui quella applicata dipende) bisognerà im-plorare risorse pubbliche ad amministratori statali chenon hanno sguardi a lungo periodo per ricerche il cuisuccesso non è garantito.

Basti guardare le condizioni in cui versano le no-stre facoltà scientifiche e il tempo che gli scienziati sot-traggono alle loro ricerche per andare in cerca di fi-nanziamenti, fino alla decisione di abbandonare il no-stro paese per impossibilità materiale di fare ricerca. Amedio periodo, perché ormai il progresso della scienzaè velocissimo, questa situazione comporterà la dipen-denza dei paesi che non investono abbastanza in ricer-ca, come l’Italia, dai paesi che invece investono e, inun mondo sempre più tecnologizzato, questa sarà lanuova forma che assumerà il colonialismo.

Coloro che ci governano faticano a capire che inun mondo sempre più tecnologizzato la politica, senon si porta all’altezza del mondo che le è dato da go-vernare, rischia di non essere più il luogo della decisio-ne, perché per decidere è costretta a guardare all’eco-nomia, la quale assume le sue decisioni a partire dallerisorse e dalle disponibilità tecnologiche, per cui latecnoscienza finirà per mandare in soffitta la politicase questa non si fa avveduta.

Il rischio è terribile perché, come già ci ricordavaPlatone: “Le tecniche sanno come le cose devono esse-re fatte, ma non se devono essere fatte e a che scopodevono essere fatte. Per questo occorre quella tecnicaregia (basiliké téchne) che è la politica, capace di fartrionfare ciò che è giusto attraverso il coordinamento eil governo di tutte le conoscenze, le tecniche e le atti-vità che si svolgono nella città”. (Politico, 304 a).

Siamo all’altezza di quest’avvertimento di Platone?Penso di no. E allora ben venga, a chiusura dellaConferenza Internazionale sul futuro della scienza, lasollecitazione alla politica perché si porti all’altezzadella trasformazione del mondo che le è dato dagovernare. L’arretratezza della politica, l’insufficienzadella riflessione etica, la scarsa informazione, e non ilprogresso della scienza, sono infatti i veri pericoli cheoggi l’umanità corre. E per giunta a sua insaputa.

[L’intervento del prof. Galimberti è tratto da “La Repubblica” del 20 settembre 2005]

6

7

In questi ultimi anni, mi viene chiesto spesso di fa-re una previsione, o almeno di dare un parere “profes-sionale”, da fonetista che s’occupa della pronuncia dicentinaia di lingue di tutto il mondo, su quale sarà ilfuturo delle lingue e della loro pronuncia, in questomondo sempre più “globale”.

Ebbene, si riscontrano tendenze opposte e anchecontrastanti. Da una parte, c’è l’imbarbarimento sem-pre più selvaggio delle varie lingue, dovuto al fatto chela società e la scuola (compresa l’università) vivono sem-pre più frettolosamente, trascurando i particolari e lesfumature linguistiche. Inoltre, soprattutto lessicalmen-te, il computer e l’inglese contribuiscono a “stralunare”lingue d’antica e nobile tradizione. Ma anche la formafonica della lingua risente di questi fattori, sia semplifi-cando le strutture autoctone, sia accogliendo elementialloglotti, però, senza adeguarli armoniosamente.

D’altra parte, sono sempre più numerose e attive leiniziative per una specie d’autonomia “deglobalizzan-te”, che porta a privilegiare ed enfatizzare le peculiaritàlocali. Se tutto questo fosse semplicemente una sterilereazione, senza una pianificazione ragionata, e senzauno scopo “pulito”, la situazione sarebbe preoccupan-te. Se, invece, le intenzioni sono quelle di portare allaconsapevolezza delle ricchezze linguistiche locali, perconfrontarle con altre, piuttosto che per sostituirle adaltre (magari coll’imposizione), senz’altro il risultatosarà positivo e prospero.

Non ho incontrato nessun cittadino “ex-sovietico”(non russo, ma già bielorusso o ucraìno, per non par-lare degli altri) che amasse la lingua russa e la parlassee pronunciasse secondo i canoni previsti dall’imposi-zione. Nell’Impero Romano, il latino non era affattoimposto, ma all’interno delle varie popolazioni c’erasempre chi aspirava (e riusciva) ad apprenderlo e usar-lo bene, come un privilegio che portava altri privilegiculturali, sociali, economici e politici.

Come il latino è stato, per secoli, la lingua cui s’as-sociavano queste caratteristiche, così avvenne per ilfrancese e, oggi, avviene per l’inglese. Però, oggi, sem-

brano prevalere gli aspetti peggiori, quelli economici epolitici, avulsi da quelli sociali, ma soprattutto da quelliculturali, con un decadimento generale a tutti i livelli.

Ma, tornando a considerazioni più linguistico-fone-tiche, troviamo un nuovo interessante fermento nellaproduzione, per esempio, di dizionari di pronunciadelle varie lingue o loro varianti. Restando in Italia, giànel 1969 apparvero ben tre dizionari di pronuncia (ov-viamente cominciati prima del ’68, e quindi senza di-rette implicazioni con quel periodo di rinnovamento,che fu una specie di ripresa in piccolo dellaRivoluzione Francese, sempre partendo dalla Francia).Quei tre dizionari di pronuncia (indicati alla fine) ave-vano caratteristiche differenti e erano il prodotto d’im-postazioni e concezioni diverse; per cui, giustamente,uno [1] s’impose sugli altri due [2, 3], per maggior ri-gore e anche perché non seguiva la “tradizione lessico-grafica” di (cercare di) mostrare la pronuncia aggiun-gendo semplicemente nei lemmi qualche accento (oqualche puntino), alle normali lettere dell’ortografiacorrente. Infatti, dopo il lemma, quel dizionario tra-scriveva l’intera forma (qualche volta fornendo anchevarianti), usando un alfabeto fonetico. Purtroppo, sitrattava d’uno degli alfabeti fonetici usati in Italia, sen-za un’utilizzabilità effettiva da parte di lettori non ita-liani, com’è dimostrato da errori per analogia da partedi fonetisti stranieri che l’hanno usato. Certamente,questo era già un passo in avanti, sebbene, per l’indica-zione dei lemmi, si seguisse ancora un ordine alfabeticoormai superato, che non distingueva I da J.

Dopo 30 anni, lo scrivente ha dato alle stampe unnuovo dizionario di pronuncia italiana [4], che ha duecaratteristiche innovative: utilizza l’alfabeto fonetico in-ternazionale (IPA: International Phonetic Alphabet) eaggiorna le pronunce indicate, svincolandosi dalla tra-dizione di base fiorentina, per accogliere anche varian-ti del resto della Toscana e dell’Italia Centrale, in mo-do più sistematico e comprensivo, suddividendo e gra-duando le varie forme in 7 tipi di pronuncia neutra(piuttosto che “standard”): moderna, tradizionale, ac-

L’Europa delle lingueLuciano Canepari, docente di Fonetica e Fonologia, Dipartimento di Scienze del Linguaggio

Interventi

cettabile, tollerata, trascurata, intenzionale e aulica, fracui si può anche scegliere, a seconda di scopi personaliparticolari. Pur con questa maggiore libertà, si forni-sce lo stesso un’indicazione precisa per chi abbia acuore anche il rispetto della pronuncia della proprialingua, invece di preoccuparsi solo d’usare una morfo-sintassi corretta e un lessico appropriato.

Come si diceva sopra, è in espansione il numero didizionari di pronuncia prodotti in Europa (che nonindichiamo, per non allungare troppo questo breveintervento). Tutto ciò è, comunque, segno che il pro-blema è sentito dalla gente. Perciò, a parte l’effettivaqualità delle singole opere, è evidente il desideriod’informarsi su quale sia il modo migliore di pronun-ciare determinate parole italiane e straniere, compresii nomi, cognomi e toponimi che quotidianamente cigiungono anche dalla stampa e dalla radio-televisione,senz’escludere Internet.

La disponibilità di dizionari e manuali di pronun-cia sta portando alla necessaria consapevolezza delledifferenze, non solo fra lingue, ma anche all’internod’una stessa lingua, con le sue varianti regionali e so-ciali (in Italia ci sono più di 20 coinè regionali di pro-nuncia, con ulteriori suddivisioni [cfr. 5]). La consa-pevolezza della variazione e la possibilità di verificare escegliere ciò che si ritiene migliore, permette senz’altrodi riuscire a capire e gestire meglio le interferenze fralingue diverse e anche quelle derivanti dai dialetti, an-cora piuttosto vivaci in Italia.

Tutto ciò non spinge necessariamente verso unaglobalizzazione forzosa e depauperante. Al contrario, sele differenze sono individuate e utilizzate bene, posso-no portare a un vero arricchimento anche espressivo,oltre che cognitivo. Perciò, sebbene le isole linguistico-fonetiche sembrino sia in effettiva espansione, sia indiminuzione, ciò che conta davvero è l’averne coscien-za e la possibilità d’un utilizzo consapevole, che per-

metta di scegliere adeguatamente, piuttosto che esserlimitati da poche, striminzite e retrograde conoscenze.

Purtroppo, la nuova edizione del Dizionario d’orto-grafia e di pronunzia, che dovrebbe uscire entro il 2005,non migliorerà l’“alfabeto fonetico” usato, che è troppo“provinciale”; anzi, per le parole straniere, è stata pro-grammata un’ulteriore semplificazione, che non è certod’aiuto. Né la “moderna” aggiunta multimediale del “so-noro” renderà lo strumento più utile; infatti, in un di-zionario di pronuncia, ciò che conta è la scelta dei lem-mi sulla base delle vere esigenze di pronuncia, compresele varianti possibili. Sono stati pubblicati dei “dizionaridi pronuncia” che hanno trascritto i semplici lemmi deinormali vocabolari; quindi, con tutti gl’infiniti e tutti gliavverbi in -mente /-ment, che non pongono affatto pro-blemi, mentre non hanno dato le forme flesse (soprat-tutto dei verbi, nemmeno quelle irregolari!).

Gli editori sono schiavi della massa del pubblico,che – per pigrizia e impreparazione – crede che bastiuna “cliccata”, con più o meno laboriose sequenze for-zate, per “ottenere” la magia di sentire la giusta pronun-cia di tutte le parole... Al di là delle snervanti attese peri tempi “tecnici” dopo il fatidico clic, bisogna fare iconti anche con la qualità del suono e, ovviamente, pu-re con la qualità linguistica delle realizzazioni... D’altraparte, chi non è in grado di percepire bene i suoni, infi-ne, non potrà certo trarre grandi vantaggi da un frene-tico ascolto casuale. Per questo, io ho rifiutato di cederealla chimera multimediale per il mio Dizionario di pro-nuncia italiana, nonostante le insistenze dell’editore perallegare CD o DVD. Infatti, il “segreto” della foneticaconsiste proprio nell’impiego di simboli chiari, rigorosie internazionali, che “mostrano” effettivamente i verisuoni; per ogni lingua, ci vogliono solo alcune decinedi simboli, che poi, se sono internazionali, ricorronouguali pure in altre lingue, aumentando l’efficacia. Si sabene che la memoria visiva supera l’80% nei processid’apprendimento; perciò, sono molto più importantidei buoni simboli, che s’imparano divertendosi, chenon complessi e deludenti apparati tecnologici, di baseprettamente consumistica.

[1] Dizionario d’ortografia e di pronunzia, di Bruno Migliorini,Carlo Tagliavini e Piero Fiorelli, pubblicato a Torino dalla ERI (RAI),1969; con una seconda edizione nel 1981.

[2] Vocabolario di corretta pronunzia italiana, di Attilio De Sanctis,pubblicato a Milano dalla Fabbri, 1969.

[3] Vocabolario della corretta pronunzia italiana, di GiuseppeMalagoli e Luciano Luciani, pubblicato a Milano dalla Ceschina, 1969.

[4] Dizionario di pronuncia italiana, di Luciano Canepari, pubbli-cato a Bologna dalla Zanichelli, 1999 (ristampa emendata 2000).

[5] Manuale di pronuncia italiana, di Luciano Canepari, pubblica-to a Bologna dalla Zanichelli, 2004 (ristampa emendata della secondaedizione, con 2 audiocassette).

8

Colli Euganei, s.d.

9

Professore Castellani, lei insegna da molti anni disci-pline riguardanti le applicazioni della matematica allescienze economiche, finanziarie ed attuariali. Mai comein questi anni tali modelli hanno invaso la vita quoti-diana, ma quale è il rapporto tra una disciplina astrattacome la matematica e l’economia, che si fonda sulla li-bertà del comportamento umano ed è caratterizzata dal-l’incertezza?

Castellani. Quando si parla del rapporto tra mate-matica ed economia si deve distinguere tra i contributidella matematica all’analisi economica e quelli all’atti-vità economica. La matematica ha fornito in varieepoche strumenti per gli operatori economici: adesempio, la partita doppia per i mercanti, la matemati-ca finanziaria per i banchieri, la matematica attuarialeper gli assicuratori fino alla ricerca operativa per lemoderne attività produttive. Più recenti e, fino ad al-cuni decenni or sono, più controversi sono stati i con-tributi della matematica all’analisi economica, perchéla matematica veniva erroneamente percepita comeuna disciplina che si in-teressa esclusivamentedi come fare i conti,cioè degli aspetti quan-titativi dei fenomeni enon anche delle relazio-ni tra essi.

Nella seconda metàdel secolo scorso l’im-piego della matematicanelle scienze economi-che è andato sempre piùcrescendo e sono in

molti oggi a ritenere che l’uso dello strumento mate-matico sia stato determinante per far assumere all’eco-nomia il carattere di scienza: esso obbliga ad esplicitarele ipotesi poste a base del ragionamento e a giungerealle conclusioni solo attraverso le regole deduttive pro-prie della matematica. Lo sviluppo del calcolo delleprobabilità ha permesso l’analisi dei fenomeni aleatoripropri dell’economia e l’avvento dei computer la pos-sibilità di ricorrere a simulazioni dei fenomeni econo-mici, non potendo per essi ricorrere a ripetizioni diesperimenti in laboratorio come accade per le scienzefisiche. Naturalmente la matematica è uno dei metodidell’analisi economica: esistono aspetti della proble-matica economica che possono farne a meno. Non ba-sta la conoscenza della matematica per essere un buoneconomista.

Nel corso della sua carriera universitaria, lei ha avutomodo di formare diverse generazioni di allievi. Rispettoai decenni precedenti, attualmente si lamenta un disinte-resse e un’inadeguatezza dei nostri giovani per le discipli-

ne scientifiche. Pensa chesia proprio così o il feno-meno – se reale – ha altrespiegazioni ?

C a s t e l l a n i .Statisticamente è indub-bio che i giovani che sidedicano oggi alle disci-pline scientifiche inItalia sono una mino-ranza. Per la verità lo so-no anche negli USA,

I meriti di una lunga esperienza universitaria: per Giovanni Castellani

L’intervista al professore Giovanni Castellani, che attualmente insegna matematica finanziaria, matematica at-tuariale e metodi matematici per le decisioni finanziarie presso la Facoltà di Economia di Ca’ Foscari, nasce dal-l’occasione del suo settantesimo compleanno. Il Professor Castellani ha ricoperto i più prestigiosi incarichi all’in-terno dell’Università, di cui è stato Rettore dal 1983 al 1992. Già Preside della Facoltà di Economia dal 1974 al1981, direttore di Dipartimento è stato anche Presidente dell’AMASES, Associazione per la matematica applicataalle scienze economiche e sociali. Oltre al suo impegno accademico, il prof. Castellani è stato Deputato dellaRepubblica e Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Personaggi

Asolo S. Anna, s.d.

che però importano studenti e laureati indiani, cinesied anche europei proprio nei campi scientifici e tecno-logici. Le cause possono essere molteplici: l’insuffi-ciente attività di orientamento da parte di scuola eduniversità, la maggior difficoltà degli studi, l’inadegua-ta preparazione di base nella scuola media superiore, laremunerazione economica non superiore a quella chesi può raggiungere con altri tipi di studi (economia,giurisprudenza, ecc.) e, più in generale, la molteplicitàdi stimoli che la vita moderna offre ai giovani d’oggi,che li rende meno disposti a “sacrificare” alcuni annidella loro vita in uno studio assiduo e totalizzante.

Che cosa ricorda, invece, della sua formazione uni-versitaria, del suo corso di studi?

Castellani. Ricordo i dubbi iniziali sulla scelta dellafacoltà: ero indeciso tra matematica e filosofia, mentrei miei avrebbero preferito ingegneria. Ricordo la seve-rità degli studi all’Università di Padova, dove alla finedegli anni Cinquanta insegnavano prestigiosi ed insi-gni matematici. Ricordo il fascino di alcune lezioni suiconcetti di zero ed infinito e sulle geometrie non eu-clidee e la fatica per la preparazione di certi esami.Ricordo infine che appena laureato ricevetti l’offertacontemporanea di ben tre posti di lavoro da parte diuna grande industria, di una compagnia di assicura-zioni e dell’università. Non ho conosciuto quindi ledifficoltà che incontrano i nostri giovani oggi a trovareuna occupazione che valorizzi la loro preparazione.

Nel 1962 venni a Ca’ Foscari come assistente alla cat-tedra di matematica generale, coperta dal professoreVolpato, e sotto la sua guida riorientai i miei studi dal-la matematica pura alla matematica applicata all’eco-nomia fino al conseguimento della libera docenza inmatematica finanziaria nel 1969 e della cattedra nellastessa materia nel 1972.

Tra i suoi numerosi incarichi istituzionali d’Ateneoricordiamo l’impegno di rettore dal 1983 al 1992. Chebilancio trae da tale impegnativa esperienza?

Castellani. Il mio rettorato a Ca’ Foscari cadde inun periodo di grande evoluzione del sistema universi-tario italiano: si doveva dare attuazione alla legge del1980 che aveva istituiti i dipartimenti, riorganizzato ladocenza con le nuove figure del professore associato edel ricercatore e introdotto il dottorato di ricerca. Fuun lavoro di riorganizzazione enorme.

Contemporaneamente i piani triennali di sviluppodell’università italiana offrivano anche a Ca’ Foscaril’opportunità di ampliare la sua offerta formativa: fu-rono istituiti in quegli anni i corsi di laurea in scienzeambientali, conservazione dei beni culturali, informa-tica e il diploma in economia del turismo, anche conl’intento di offrire alla città competenze e professiona-lità in campi che la riguardavano da vicino. Durantequegli anni furono anche poste le basi dello sviluppo edel riordino edilizio dell’Università avendo ottenutodalla amministrazione comunale l’uso dell’area di SanGiobbe e di quella di via Torino a Mestre, dove pro-prio alla fine del mio rettorato venne insediato il neo-nato corso di laurea in informatica. Un intervento mi-nore, ma significativo per l’università e la città, fu l’ac-quisto dell’ex chiesa di Santa Margherita, ridotta adun magazzino, che ha permesso la realizzazione dell’at-tuale Auditorium.

Il suo legame con Venezia è dimostrato dal sostegnoattivo e generoso che ha dato ad enti e istituzioni impor-tanti. Quale è, secondo lei, l’immagine peculiare dellacittà lagunare, e quali priorità sono da affrontare per ri-lanciare il suo ruolo nazionale e internazionale?

Castellani. Non si può dare in poche righe rispostaad una questione sulla quale si sono versati fiumi diinchiostro. Mi limiterò a dire che Venezia per la suastoria, per la sua tradizione e per le sue attuali poten-zialità può aspirare ad essere una delle capitali dellacultura e, assieme al suo entroterra, potrebbe ancheaspirare ad essere centro di innovazione in alcuni set-

10

Asolo, 1965

tori quali, ad esempio, l’ambiente e il re-stauro. Fondamentale per il futuro sarà l’u-tilizzo che si farà delle aree dimesse diPorto Marghera. Il parco scientifico e tec-nologico è un primo passo che va nella di-rezione giusta.

E’ importante poi che Venezia sappiavalorizzare la sua vocazione di città portua-le, di città turistica per eccellenza, di cen-tro politico-amministrativo del Veneto e diporta verso l’Est europeo.

Naturalmente Venezia dovrà essere po-sta al riparo dalle acque alte, essere oggettodi continua manutenzione, avere un siste-ma di trasporti che la unisca sempre piùstrettamente a Mestre e al Veneto, raziona-lizzare la presenza turistica, realizzare quel-le strutture (palazzo dei congressi, nuovo palazzo delcinema, ecc.) che ancor oggi le mancano.

Le chiediamo anche di ripercorrere con il pensiero lasua carriera di Deputato del Parlamento italiano e diPresidente della Commissione Cultura della Camera, percapire come un uomo di studio e d’insegnamento puòcontribuire alla gestione politica del proprio paese.

Castellani La mia esperienza politica nasce nel1994 in un momento di crisi della politica italiana,che per superare le sue difficoltà chiede l’apporto dipersone della cosiddetta società civile. Durante i mieidue mandati parlamentari mi si è offerta l’occasione diportare il mio contributo a due Commissioni perma-nenti della Camera, quella delle Finanze e quella dellaCultura, vicine alle mie competenze professionali e

culturali. Durante la mia presidenza la CommissioneCultura è stata chiamata a discutere importanti leggiquali la riforma dei cicli scolastici, la riforma didatticadell’università, la riforma dei concorsi universitari, lariforma delle Accademie e dei Conservatori, ma ancheprovvedimenti riguardanti i beni culturali, il cinema,il teatro, l’editoria, lo sport. È stata un’esperienza inte-ressante che ha allargato i miei orizzonti culturali, chemi ha fatto conoscere da vicino le maggiori problema-tiche politiche nazionali ma anche la marginalità delsingolo deputato nel processo decisionale.Psicologicamente l’inserimento nel mondo politiconon è stato del tutto agevole: lo studioso è portato al-l’analisi delle questioni, a valutare il pro e il contro, acogliere le sfumature, a riconoscere le ragioni dell’in-terlocutore, il politico invece a schierarsi per il sì o peril no, senza sfumature,a polemizzare con l’avversario e

a conformare il proprio orienta-mento a quello del proprio partito.Nel 2001, soddisfatto dell’espe-rienza fatta e del servizio reso, so-no ritornato volentieri nelle auleuniversitarie.

11

Mazzorbo, casa sul canale, 1947

Malcontenta, 1962

Quando si parla di narrazione mi viene in mente lafunzione dell’epica, collegata alla grande oralità e all’i-dea di storia, intesa come celebrazione delle discen-denze eroiche e dell’appartenenza razziale. Tutto ciò siriscontra nella tradizione, dai greci ai giorni nostri. Peri contemporanei, invece, il discorso si fa più comples-so, perché chiama in causa le forme della retorica edella critica.

In genere ritengo che le arti della visione e quelledella rappresentazione costituiscano, rispetto alla sto-ria, sentieri interessanti e, insieme, pericolosi, perchérischiano di proporsi come elementi sostitutivi del li-bro. Occorre evitare la trappola dell’analfabetismo, chetende ad accogliere una proposta artistica come se fos-se la fonte di ogni conoscenza. Per evitare ogni confu-sione, alla fine del mio spettacolo Vajont, davo le istru-zioni per l’uso, affermando: “Avete il diritto e il doveredi dubitare di tutto quello che ho detto. Leggete einformatevi”.

Quando si esce dall’orizzonte etico della storiogra-fia e si entra nella dimensione dell’arte, è permessocompiere delle manipolazioni; talvolta si tratta di sem-plici accelerazioni di tempo, oppure di un cambio diritmo, ma è certo che si generano inevitabilmente par-ticolari mutamenti di peso, da un piede all’altro, dauna parte del corpo all’altra, da una parola all’altra: eogni atto acquista un senso.

Quando racconto una storia, seleziono ciò che di-co, e quando decido cosa dire sono costretto a trala-sciare tanto materiale narrativo, perché devo comun-que rispettare una durata. Anche la versione teatraledel Mahabharata di Peter Brook, che pur aveva un’e-stensione di tempo di nove ore, non poteva contenereper intero il poema indù dal quale è stato ricavato.Mentre nella scansione storiografica, se è necessario, siapre un nuovo capitolo, nell’arte non sempre è possi-bile farlo. Se si aggiunge troppo peso non si giunge fi-no in fondo.

Nel racconto orale la ricerca della sintesi è l’essenzadi una partitura, come di ogni costruzione a struttura

ritmica, che invece uno studio o un saggio può nonavere. Il raggiungimento della sintesi si presenta comeun’impresa allettante: è accattivante non solo proporreallo spettatore una storia ben raccontata, ma anchedargli la consapevolezza che non si sta proponendoun’interpretazione storiografica. Un attore non può di-re “io sono uno storico”, deve aver coscienza della dif-ferenza fra il suo lavoro e quello di uno storico. Solo unpazzo può pensare di piegare la forma espressiva delteatro allo studio critico dei documenti della storia.Invece, è certo che le arti possono attingere l’ispirazio-ne che si vuole dalle acquisizioni storiografiche: si guar-di, a tal proposito, la tendenza all’elaborazione storicanell’invenzione dei kolossal cinematografici.

In un paese smemorato come il nostro, ad un certomomento, ciclicamente, arrivano gli attori. Non sitratta solamente di Marco Paolini; ma penso a giovanicon venti anni meno di me, che ricominciano a parla-re della Resistenza, a parlare di guerra e di dopoguerra,di fatti che non hanno vissuto, ma rispetto ai qualievidentemente avvertono una carenza di memoria.Cominciano a indagare, magari parlando con chi havissuto quegli eventi, percorrono strade che penso diaver seguito anch’io, insieme ad altri, e che è giustoche siano ripercorse continuamente. Anche se, perquanto riguarda il mio lavoro teatrale, attualmente so-no interessato alle vicende del presente.

Un’altra considerazione riguarda, invece, il mododi lavorare. Nel corso degli anni ho capito che se pri-ma preferivo acquisire un’ampia documentazione pre-liminare, com’è stato per Il Milione, testo dedicatoespressamente a Venezia; oppure per Ustica, spettacoloper il quale ho avuto parecchie difficoltà prima d’ini-ziare, poiché disponevo di una tale quantità di mate-riali da non venirne mai a capo, mentre l’informazionemi sembrava ancora incompleta: insomma mi sentivonello stato d’animo di uno studente che deve preparar-si a sostenere un esame davvero impegnativo.

Adesso ho cambiato metodologia; preferisco re-stringere il campo, cercando un punto di partenza più

12

Le cose del tempo. Note sull’arte e sulle forme del narrareMarco Paolini, attore e autore

Cultura e Arte

concreto. Per esempio, nel caso de Il sergente, tratto daIl sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, non hoapprofondito tutta la documentazione sulla campagnadi Russia. Avevo letto a suo tempo per mia passionevari resoconti – quand’ero più giovane, ho bevuto tan-ti libri di storia – ma stavolta non mi sono documen-tato, perché ho escluso a priori di seguire un tagliostorico. Non volevo proporre un’analisi della ritirata diRussia, ma raccontare la testimonianza di un soldato.Partendo da qui, ho ristretto drasticamente il campo.Questa scelta mi ha permesso di arrivare in palcosceni-co prima, cioè di non avere tutta la zavorra che altrevolte mi ero trovato addosso, pagando però in terminid’imprecisione. Soltanto dopo ho recuperato via viacon più calma le letture necessarie, ma avendo giàcompiuto una scelta di base nell’organizzazione del te-sto: in tal modo, quello che stavo leggendo interagivacon un quadro di riferimento preordinato, con lospettacolo che avevo disegnato, con la disposizione amodificarlo, qualora fosse stato necessario. Invece, stu-diare senza avere già un progetto di lavoro, sarebbe ri-sultato dispersivo, perché non sempre si sa cosa servee, alla fine, si finisce per riempire tanti quaderni di ap-punti. È difficile scalare una montagna di sabbia, checontinua a franare sotto i piedi, mentre la base si allar-ga a dismisura, finendo per perdersi strada facendo.

Durante la fase di montaggio del Milione ricordodi avere avuto per le mani tre o quattro spettacoli di-versi e possibili; perciò non partiva mai, perché nonriuscivo a tenerlo insieme. Per Il sergente avevo aggiun-to alcuni riferimenti a Senofonte, che con il tempo,replicandolo, ho preferito lasciar cadere, perché lastruttura del racconto sta diventando più esaustiva esostanziosa di per sé, senza bisogno di citazioni ag-giuntive. Anche un altro spunto, tratto dal personag-gio Ruzante di Angelo Beolco, comincia a perdere im-portanza.

Credo che nella preparazione di una messinscena illavoro sulla materia letteraria e sui documenti storicipesi solo in parte. Alla base c’è sempre un viaggio, unpercorso; non può esistere la storia senza l’archeologia,come in teatro non può esistere una documentazionesenza il reportage e l’inchiesta. E quindi anche per Ilsergente è stato essenziale il viaggio, cioè lo stimolo aconiugare la ricerca di biblioteca con la verifica sulcampo: finché le parole non acquistano le gambe, enon si adattano alle scarpe che s’indossano, non decol-la l’immaginario, né s’accende la credibilità dell’inter-prete che agisce sopra un palcoscenico. L’attore non ècerto un professore universitario che sta tenendo unalezione.

Così è stato importante nell’ideazione della tramanarrativa viaggiare per una diecina di giorni attraversola campagna intorno al Don, quella che aveva visto laritirata di Russia, fermandomi a chiacchierare con lagente, guardando le persone in faccia, trascorrendotante ore insieme a loro: siccome filmavo, non era ne-cessario tradurre in tempo reale; potevo incantarmi aguardare le facce, le mani, entrare e uscire dalle case.Avevo la possibilità di distrarmi e di perdere del tempoin quei luoghi, potevo sentire il tic tac della sveglia suimobili.

E mi sono ritrovato in un mondo familiare, comequando da bambino andavo con i miei nonni a casadei contadini per comprare uova; e ho recuperato ele-menti di una società quasi transnazionale. Immaginotalvolta cosa avrebbe provato Pasolini a star seduto inquelle stanze, con quelle vecchie donne che si espri-mevano in un modo diretto: avrebbe gioito, perchéquello è il mondo del quale continuava ad avere no-stalgia.

Lavorando sulle storie del passato prossimo ci siammala di nostalgia. La memoria fa prigionieri e allo-ra l’oblio non è solo una condanna, ma può rappre-sentare una scelta. Permette così di affrontare il cam-mino più leggeri, come dimenticare a volte è una scu-sa per ritrovare, in seguito, le cose nel tempo.

13

Ritratto di Teresa Sensi, s.d.

Nel Secondo rapporto sulla Produzione culturale aVenezia, realizzato dalla Fondazione di Venezia, si con-ferma in modo evidente il ruolo attivo che svolgono intale ambito le due Università veneziane e, in particola-re, l’Ateneo di Ca’ Foscari. Per il secondo anno, infatti,l’analisi comparativa e qualitativa delle iniziative che sisvolgono nella città lagunare, permette d’intendere piùda vicino la natura degli “eventi”, la caratterizzazionedei “produttori”, la fisionomia dei “fruitori”.

Il Rapporto, curato da Francesco Sbetti e ManuelaBertoldo con la collaborazione di Marinella Martin,Roberto Cazzola e Tania Tamai, ha recensito ben1.838 episodi, dei quali il 74, 3% sono stati realizzatinel centro storico veneziano, con una estensione tem-porale complessiva di 9.201 giornate. Come suggeriscel’avvertenza di Guido Guerzoni dell’UniversitàBocconi di Milano, si tratta di una quantità enorme,soprattutto se commisurata sia alla scarsa consistenzadella popolazione residente nel cuore di Venezia, siaalla limitatezza delle risorse e delle sovvenzioni pubbli-che.

In un triennio l’incremento delle attività è passatoda 1.200 episodi al numero attuale, mentre il pesodella presenza culturale della città in riferimento allaproduzione nazionale si attesta su una quota del 10%,con l’aggiunta di una ragguardevole attenzione versol’internazionalizzazione.

La mappa tipologica delle manifestazioni è ampia,ma nel caso veneziano si sviluppa a partire dal versantedelle conferenze e dei convegni, seguito nell’ordine dal-le offerte musicali, cinematografiche, teatrali e artisti-che. Accanto alla presenza del Comune di Venezia,spicca per l’alta produttività Ca’ Foscari, che realizza unnumero di 262 eventi (quelle municipali sono 284),per 311 giornate (subito dopo si collocano il CircuitoCinema, con 202 iniziative, e IUAV, con 138).

Gli analisti rilevano come il polo universitario di-mostri un’effettiva apertura verso la società cittadina,

non solo per quanto riguarda i convegni (compren-dente le conferenze specialistiche, i seminari, le pre-sentazioni di saggi, fuori dalle occasioni didattiche eassociative), ma anche nelle sezioni specifiche di rasse-gne cinematografiche, musicali e teatrali. La sededell’Auditorium è divenuta, nel corso del tempo, unospazio d’accoglienza culturale tale da gareggiare con lesedi istituzionali.

Inoltre, si riconosce all’Ateneo un impegno conti-nuativo di pregio che fa salire il livello complessivodell’offerta culturale veneziana, senza nessuna richiestadi contropartite.

Alla luce di tale tendenza positiva è utile valorizzarela coerenza sociale delle iniziative d’Ateneo, che non siferma certo sul confine della formazione dei propristudenti, ma offre alla comunità i frutti del proprio la-voro di ricerca e di relazione culturale.

Ciò si ottiene dinanzi ad un progressivo decremen-to delle risorse e, fatto non secondario, nonostantel’involuzione del sistema turistico territoriale, sempremeno attento all’effettiva crescita della conoscenza cri-tica e creativa.

Oltre le tabelle, infatti, si registra una ricaduta su-perficiale di alcune manifestazioni internazionali (adesempio, i festival della Biennale) sulla massa degliospiti (fatto salvo un numero ristretto di operatori, ap-passionati e intellettuali), mentre i canali tradizionalidelle visite ai monumenti e alle gallerie scontano spes-so una staticità espositiva preoccupante.

Per Ca’ Foscari si tratta, dunque, di accentuarel’impegno ad ospitare nei propri spazi della cultura unnumero crescente di giovani, che talvolta partecipanoalla realizzazione delle occasioni e all’incremento di“produttività culturale” delle proposte. Anche i nume-ri e le tabelle prima o poi finiscono per recepire l’in-dissolubile vitalità delle stanze di Ca’ Foscari.

c.a.

14

L’importanza dell’Ateneo nel sistema culturale veneziano

Università e Città

15

Qual è il posizionamento di Ca’ Foscari nell’ambitodel sistema universitario italiano conseguente all’adozio-ne di questi criteri?

Fiegna. Nel 2004 l’Ateneo si collocava al 33° posto(su 58 università), con un peso medio pari a 1,23,frutto di un miglior posizionamento sul piano delladidattica (34° e 28° posto con riferimento, rispettiva-mente, alla domanda e ai risultati) e una collocazioneun po’ più bassa nella graduatoria per quanto attienealla ricerca, per la quale si evidenzia una situazione dilieve debolezza (35° posto).

Nel 2005 l’Ateneo ha perso qualche posizione (35°posto), con un peso a livello nazionale pari a 1,13,quale conseguenza di un peggioramento (in rapportoall’andamento del sistema) su tutti in parametri (35°posto sulla domanda, 31° sui crediti, 30° sui laureati,36° sulla ricerca).

È evidente che, poiché il fondo di finanziamentoordinario rappresenta la principale fonte di finanzia-mento dell’Ateneo (nel 2004 ha costituito il 40% deltotale delle entrate), è indispensabile che i comporta-menti di tutte le componenti accademiche siano tra-

Ca’ Foscari tra valutazione ed autovalutazioneMaria Bergamin, docente di Programmazione e controllo

Il 19 settembre scorso Guido Fiegna, componente del Comitato Nazionale per la Valutazione del SistemaUniversitario, è stato invitato a tenere un incontro presso l’ateneo di Ca’ Foscari finalizzato ad illustrare le moda-lità attraverso le quali il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ripartisce tra gli atenei le sommeannualmente stanziate nel bilancio dello Stato a titolo di fondo di finanziamento ordinario. Un appuntamentoimportante, che ha visto la partecipazione di componenti degli organi di governo e del personale docente e tecni-co-amministrativo.

Il modello proposto dal Comitato nel 2004, integrato e corretto con alcuni suggerimenti formulati dallaCRUI, prevede che l’attribuzione del fondo di finanziamento alle università venga collegata ad indicatori diperformance, in particolare:

➢ per il 30% alla domanda da soddisfare, misurata in ter-mini di studenti iscritti, di cui vengono valutate anche lecaratteristiche;➢ per il 30% ai risultati dei processi formativi, misuratiattraverso il numero di crediti acquisiti annualmente da-gli studenti e il numero dei laureati ponderati in funzio-ne del ritardo nel conseguimento della laurea rispetto al-la durata legale del corso;➢ per il 30% ai risultati delle attività di ricercascientifica, misurati considerando il numero di ricercato-ri, il tasso di successo nei bandi PRIN e l’entità degli in-troiti per attività conto terzi;➢ per il 10% a incentivi specifici, quali il sostegno alla

mobilità dei docenti, il sostegno agli studenti disabili, la compensazione delle minori entrate dalla contribu-zione studentesca conseguenti all’applicazione della normativa sul diritto allo studio, ecc.L’impiego di questi criteri allo stato attuale è alla base dell’attribuzione solo di una parte del FFO (Fondo di

Finanziamento Ordinario): nel 2004 il modello è stato impiegato per la ripartizione di 29 milioni di euro; nel2005 l’ammontare distribuito è stato di 150 milioni di euro, cui si sono aggiunti ulteriori 27 milioni destinati al-l’accelerazione del riequilibrio, ripartiti soltanto tra le Università che, sulla base delle differenze percentuali delvalore del FFO consolidato del 2004 e di quello derivante dall’applicazione del modello, presentavano una situa-zione di sottofinanziamento superiore al 5%.

Ricerca scientifica30%

Interventi specifici10%

30%Risultati dei processi di formazione

(crediti acquisiti e laureati)

Domanda di formazione(studenti iscritti)

30%

Sistema Universitario

16

guardati ai risultati incentivati dal Ministero e resi tra-sparenti attraverso l’applicazione del modello.

Ora, viste le regole di finanziamento e il posiziona-mento di Ca’ Foscari come evidenziatosi nei primi dueanni di applicazione del modello, si vogliono qui offri-re alcuni spunti per la riflessione.

Le regole del gioco vengono sempre applicate retrospet-tivamente.

Fiegna. Il finanziamento attuale è condizionatodalle performance passate. Politiche dirette ad impat-tare sul posizionamento dell’ateneo ai fini dell’otteni-mento di una quota più elevata di FFO producono illoro effetto con un certo ritardo.

Il posizionamento di ciascun ateneo è un valore relativo.Fiegna. Il criterio attraverso il quale avviene il fi-

nanziamento è tale da innescare meccanismi competi-tivi nell’allocazione delle risorse, poiché l’entità del fi-nanziamento spettante a ciascun ateneo dipende dalproprio peso relativo all’interno del sistema. Ciò signi-fica che non è sufficiente un miglioramento in terminiassoluti delle variabili contemplate dal modello: i sin-goli atenei per ottenere maggiori finanziamenti sonoindotti ad aumentare la performance in misura mag-giore e più velocemente dei concorrenti.

La valutazione relativa in termini di peso sul siste-ma ha due conseguenze, frutto dell’introduzione diuna logica di tipo concorrenziale:➢ un ateneo potrebbe accrescere sensibilmente le pro-

prie performance rispetto al passato, ma non inmodo sufficiente a migliorare il proprio posiziona-mento a livello nazionale;

➢ un ateneo potrebbe incrementare il proprio pesorelativo non in virtù di miglioramenti nelle proprieperformance, ma a seguito di un peggioramentodelle performance degli altri atenei;Paradossalmente, se all’interno del sistema il livello

fosse di mediocrità, sarebbe sufficiente essere menomediocri degli altri.

Va anche considerato che è difficile rivoluzionare ilproprio posizionamento, in quanto la situazione dipartenza condiziona il posizionamento futuro. Infattila disponibilità di mezzi finanziari adeguati è la primacondizione da soddisfare per realizzare cambiamentisignificativi.

Viste le regole del gioco, ha senso che l’ateneo faccia ri-corso, nella distribuzione interna delle risorse, a criteridel tutto diversi da quelli che il MIUR utilizza per asse-gnarci i fondi?

Fiegna. Le condizioni di bilancio dell’ Ateneo im-pongono l’accrescimento del peso di Ca’ Foscari nel si-stema nazionale. È indispensabile, per ottenere mag-giori risorse, stanti le caratteristiche del modello, che

facoltà, dipartimenti, ecc. siano responsabilizzati ri-spetto all’ottenimento dei risultati prefigurati dal mo-dello stesso e indotti a mettere in atto comportamentivirtuosi rispetto ad esso.

Si tratta di approntare meccanismi interni di allo-cazione delle risorse diretti a conseguire un miglior ri-sultato:➢ nella didattica, legando parte delle assegnazioni ri-

conosciute annualmente alle facoltà a parametriche considerino la domanda e i risultati della di-dattica;

➢ nella ricerca, utilizzando, al momento, gli stessi pa-rametri impiegati dal Ministero e preparandosi allemodifiche che potrebbero derivare dall’eventualeintroduzione dei criteri che il CIVR (ComitatoInterministeriale per la Valutazione della Ricerca)sta elaborando.Al di là di valutazioni in merito a pregi e difetti del

modello, resta il fatto che con esso gli atenei devononecessariamente confrontarsi, con la conseguenza chel’importanza di conoscere le regole e l’impatto che icomportamenti generano sui parametri adottati dalMinistero è di fatto imprescindibile, pena la contra-zione dei finanziamenti statali.

L’attività di autovalutazione assume in questo con-testo valenza strategica, perché è attraverso l’analisidelle proprie performance e la comprensione delle re-lazioni di causa-effetto che diventa possibile governarei processi decisionali.

A Ca’ Foscari opera dalla metà degli anni Novantail Nucleo di Valutazione, con un ruolo essenziale daquesto punto di vista, tuttavia non sufficiente se nonaffiancato dalla autovalutazione di ogni area all’inter-no dell’Ateneo.

La metodologia Campus, sia pure applicata alla so-la didattica, ha dato l’avvio alle attività di autovaluta-zione ed ha aperto la strada all’ accreditamento deicorsi di studio, passo questo che è destinato a diventa-re determinante ai fini della competizione tra atenei.In questa direzione si è mosso anche il ministero cheha riconosciuto Campus quale “presidio della qualitàdel processo“ formativo, assegnandoci un migliorepunteggio nella didattica per la sua adozione.

La piena consapevolezza di quali sono i comporta-menti incentivati dal Ministero e la capacità di gover-nare i processi decisionali, che deriva dalla comprensio-ne delle determinanti delle performance, ottenuta me-diante l’autovalutazione, costituiscono il perno per losviluppo dell’Ateneo. Miglioramenti anche marginalinel posizionamento assumono estremo valore, poichéallo stato attuale anche poche centinaia di migliaia dieuro di finanziamento in più possono fare la differenza.

17

Università % domanda % risultati % ricerca Peso finale Differenza 2004 2005 2004 2005 2005 2004 2005 2004 2005 ’05-’04

(crediti) (laureati)

Politecnica delle Marche 1,33% 1,23% 1,15% 1,05% 0,90% 1,10% 1,10% 1,19% 1,11% -0,08%Bari 2,63% 3,06% 2,63% 3,17% 2,87% 2,97% 2,87% 2,74% 3,00% 0,26%Politecnico Bari 0,67% 0,80% 0,45% 0,52% 0,52% 0,58% 0,57% 0,57% 0,63% 0,06%Basilicata 0,59% 0,64% 0,41% 0,39% 0,27% 0,60% 0,59% 0,53% 0,53% 0,00%Bergamo 0,65% 0,64% 0,78% 0,96% 0,78% 0,29% 0,32% 0,57% 0,62% 0,05%Bologna 5,65% 5,75% 6,75% 6,50% 7,59% 5,61% 5,39% 6,00% 6,00% 0,00%Brescia 1,08% 0,92% 0,91% 0,99% 0,96% 0,78% 0,79% 0,93% 0,90% -0,03%Cagliari 1,72% 1,64% 1,93% 1,69% 1,85% 1,62% 1,71% 1,76% 1,70% -0,06%della Calabria 1,87% 1,87% 1,38% 1,68% 1,90% 1,31% 1,17% 1,52% 1,60% 0,08%Camerino 0,40% 0,40% 0,54% 0,56% 0,34% 0,51% 0,48% 0,48% 0,46% -0,02%Cassino 0,55% 0,53% 0,68% 0,53% 0,49% 0,38% 0,42% 0,53% 0,49% -0,04%Catania 2,74% 3,05% 2,18% 2,63% 2,13% 2,77% 2,51% 2,56% 2,67% 0,11%Catanzaro 0,55% 0,66% 0,61% 0,78% 0,43% 0,30% 0,27% 0,49% 0,53% 0,04%Chieti 1,30% 1,17% 1,73% 1,67% 2,33% 1,03% 1,00% 1,36% 1,35% -0,01%Ferrara 1,13% 1,07% 1,04% 1,12% 1,09% 1,42% 1,39% 1,20% 1,19% -0,01%Firenze 3,47% 3,36% 2,89% 3,20% 2,67% 5,17% 5,01% 3,84% 3,79% -0,05%Foggia 0,54% 0,51% 0,34% 0,45% 0,39% 0,44% 0,53% 0,44% 0,49% 0,05%Genova 2,00% 2,12% 2,01% 2,29% 2,36% 2,99% 2,79% 2,33% 2,40% 0,07%Insubria 0,66% 0,60% 0,64% 0,67% 0,52% 0,52% 0,52% 0,61% 0,58% -0,03%L’Aquila 1,02% 1,07% 0,98% 1,03% 0,78% 1,04% 0,99% 1,02% 1,00% -0,02%Lecce 1,48% 1,36% 0,95% 1,04% 0,98% 1,31% 1,28% 1,25% 1,22% -0,03%Macerata 0,34% 0,26% 0,65% 0,78% 0,62% 0,45% 0,46% 0,48% 0,48% 0,00%Messina 1,87% 1,79% 1,59% 1,47% 1,45% 1,79% 1,70% 1,75% 1,65% -0,10%Milano 4,48% 4,26% 4,11% 4,18% 3,76% 4,21% 4,44% 4,27% 4,25% -0,02%Milano-Bicocca 1,73% 1,83% 2,09% 2,10% 2,00% 1,28% 1,28% 1,70% 1,72% 0,02%Politecnico Milano 3,60% 3,61% 4,10% 3,03% 4,49% 2,41% 2,48% 3,37% 3,20% -0,17%Modena e Reggio Emilia 1,18% 1,28% 1,49% 1,48% 1,57% 1,43% 1,48% 1,36% 1,42% 0,06%Molise 0,26% 0,29% 0,43% 0,50% 0,42% 0,34% 0,30% 0,34% 0,36% 0,02%Napoli 5,94% 5,64% 3,81% 4,44% 4,40% 5,30% 5,23% 5,02% 5,10% 0,08%Seconda Univ. Napoli 1,71% 1,69% 1,57% 1,75% 1,45% 1,73% 1,99% 1,67% 1,78% 0,11%“Parthenope” di Napoli 0,43% 0,56% 0,66% 0,79% 0,60% 0,23% 0,29% 0,44% 0,52% 0,08%“L’Orientale” di Napoli 0,35% 0,45% 0,49% 0,53% 0,50% 0,47% 0,40% 0,44% 0,46% 0,02%Padova 4,09% 3,91% 5,23% 4,84% 5,93% 4,36% 4,53% 4,56% 4,55% -0,01%Palermo 3,03% 3,42% 2,37% 2,89% 2,70% 2,88% 2,75% 2,76% 3,00% 0,24%Parma 1,80% 1,78% 1,70% 1,81% 1,82% 1,80% 1,90% 1,77% 1,83% 0,06%Pavia 1,67% 1,59% 2,03% 1,69% 2,16% 1,99% 1,94% 1,89% 1,79% -0,10%Perugia 2,04% 2,24% 2,37% 2,45% 2,11% 2,11% 2,27% 2,17% 2,28% 0,11%Piemonte Orientale 0,60% 0,75% 0,81% 0,88% 0,79% 0,61% 0,68% 0,67% 0,76% 0,09%Pisa 2,85% 3,00% 2,94% 1,97% 2,47% 3,76% 4,02% 3,18% 3,05% -0,13%Mediterranea di R.C. 0,52% 0,55% 0,38% 0,38% 0,28% 0,46% 0,44% 0,45% 0,45% 0,00%Roma “La Sapienza” 7,26% 7,03% 7,96% 6,43% 6,58% 6,99% 6,56% 7,40% 6,69% -0,71%Roma “Tor Vergata” 2,75% 2,36% 1,81% 2,33% 1,67% 2,76% 2,86% 2,44% 2,44% 0,00%Roma TRE 2,10% 2,06% 1,94% 2,22% 1,86% 1,11% 1,12% 1,72% 1,76% 0,04%IUSM-Roma 0,00% 0,07% 0,10% 0,10% 0,05% 0,03% 0,03% 0,04% 0,06% 0,02%Salerno 1,92% 1,79% 1,52% 1,57% 1,59% 1,39% 1,30% 1,61% 1,56% -0,05%Sannio di Benevento 0,30% 0,38% 0,25% 0,36% 0,17% 0,34% 0,31% 0,30% 0,33% 0,03%Sassari 0,80% 0,85% 0,54% 0,61% 0,64% 1,20% 1,27% 0,85% 0,92% 0,07%Siena 1,15% 1,54% 1,94% 1,39% 1,46% 2,47% 2,59% 1,85% 1,85% 0,00%Teramo 0,27% 0,29% 0,21% 0,49% 0,37% 0,33% 0,33% 0,27% 0,36% 0,09%Torino 3,94% 3,98% 4,67% 4,64% 4,61% 3,71% 3,63% 4,10% 4,08% -0,02%Politecnico Torino 2,02% 1,94% 1,80% 1,48% 1,96% 1,79% 1,93% 1,87% 1,84% -0,03%Trento 0,91% 0,85% 1,00% 0,98% 0,82% 1,42% 1,71% 1,11% 1,16% 0,05%Trieste 1,09% 0,95% 1,21% 1,10% 1,39% 1,62% 1,63% 1,31% 1,26% -0,05%Tuscia 0,54% 0,56% 0,60% 0,64% 0,64% 0,54% 0,57% 0,56% 0,59% 0,03%Udine 1,14% 1,25% 1,37% 1,37% 1,27% 1,29% 1,21% 1,27% 1,27% 0,00%Venezia 1,12% 1,06% 1,47% 1,29% 1,33% 1,11% 1,02% 1,23% 1,13% -0,10%IUAV – Venezia 0,48% 0,36% 0,54% 0,47% 0,61% 0,28% 0,29% 0,43% 0,39% -0,04%Verona 1,69% 1,34% 1,28% 1,66% 1,32% 1,28% 1,36% 1,42% 1,42% 0,00%

18

A quali professioni si può acce-dere frequentando i corsi di laureadi Ca’ Foscari?

Quali sbocchi professionali con-creti avrà il percorso di formazionescelto?

Queste sono le domande chemolte volte gli studenti e i laureatidi Ca’ Foscari si pongono e a cuid’ora in poi darà risposta un agilemanualetto chiamato Ca’ Foscari: iltuo studio, il tuo lavoro.

La pubblicazione, realizzata dallaSezione Orientamento e dallaSezione Tutorato e Stage, mira a di-segnare un percorso formativo com-pleto, a partire dal corso di laurea fi-no alla professione, con tutte leinformazioni utili sugli ulteriori re-quisiti richiesti: corsi di formazione,tirocinii, esami aggiuntivi, accessoagli Albi.

Questo nuovo strumento diorientamento è nato dall’esigenza difare chiarezza, dopo l’attivazione deicorsi di laurea riformati, sulle modalità di accesso airuoli professionali a seguito del conseguimento deinuovi titoli di studio. Vuole essere un supporto sia percoloro che desiderano sviluppare un percorso formati-vo coerente con le personali aspirazioni professionali,sia uno strumento di lavoro per il personaledell’Ateneo che si occupa delle attività di orientamen-to in entrata e in uscita.

Per realizzarlo è stata effettuata un’accurata ricerca

del materiale bibliografico disponibi-le e delle disposizioni normative cheregolamentano l’accesso agli Albi eallo svolgimento di alcune professio-ni, ma soprattutto è stato avviato unproficuo rapporto con i rappresen-tanti degli ordini che hanno fornitodati e informazioni.

La pubblicazione è organizzatain schede raggruppate per ambitiprofessionali in modo da agevolarela ricerca e la fruizione da parte dellettore. Ogni scheda riporta la de-nominazione e la descrizione delprofilo professionale, il contesto or-ganizzativo nel quale si inserisce, leconoscenze, le competenze e la for-mazione richieste, oltre ai requisitiaggiuntivi necessari per l’eserciziodella professione.

Le aree professionali consideratesono: Amministrazione finanza econtrollo, Amministrazioni pubbli-che e non profit, Analisi e controllo,Beni culturali, Comunicazione e

pubbliche relazioni, Controllo e certificazione di qua-lità, Formazione, Gestione risorse umane e organizza-zione, gestione, tutela e risanamento ambientale,Information Communication Technology, InformationCommunication Technology applicata all’impresa,Marketing e commerciale, mediazione linguistica e cul-turale, produzione e logistica, Ricerca e sviluppo,Sociale, Spettacolo, Turismo, ospitalità e tempo libero,Carriera nelle organizzazioni internazionali.

Ca’ Foscari: il tuo studio, il tuo lavoro

Ateneo e Società

19

Avvicinare i giovani all’Università e portare gli ate-nei a stretto contatto con le loro esigenze significa assi-curare ai laureati un più sereno e veloce inserimentonel mondo del lavoro e un’effettiva opportunità disbocco professionale soddisfacente. Continuando apensare alla professione in modo tradizionale, è diffici-le per un giovane, oggi, aprire uno studio individualedi dottore commercialista: è più facile entrare a farparte di realtà già avviate.

Ci sono però nuove nicchie di mercato e un buonnumero di settori che, di solito, non sono riconducibi-li alle tradizionali attività svolte dai dottori commer-cialisti, ma che ben possono adattarsi ai medesimi, co-me la qualità, il controllo di certificazione, il controllodi gestione, la gestione dei beni culturali e via dicen-do. Tutti ambiti dove, attualmente, non c’è un grannumero di esperti. Oggi più che mai si avverte l’esi-

genza di far entrare in contatto gli atenei con il mon-do professionale, per far interagire la scuola con il la-voro e superare quel gap di disorientamento che spes-so i giovani si trovano a dover affrontare a scapito del-la propria formazione.

La collaborazione dei dottori commercialisti diVenezia con Ca’ Foscari punta ad offrire agli studenti lapossibilità di accostarsi all’Università con entusiasmo emaggiori certezze sul piano professionale. Un forte lega-me tra i corsi di laurea e il mondo del lavoro favorisce lacomprensione degli obiettivi dei corsi e nello stessotempo facilita l’ingresso degli studenti nella società.

In questo quadro s’inserisce anche la convenzionefirmata lo scorso anno tra l’ateneo e il nostro ordineche consente l’effettuazione di stage presso gli studiprofessionali e, in definitiva, la costruzione di un pon-te tra Università e professione.

Come facilitare l’ingresso degli studenti nel mondo delle professioniMassimo Miani, Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Venezia.

Ateneo e Società

Fusina, 1962

20

Nell’anno accademico 2004-2005 il corso di laureain Tecniche artistiche e dello Spettacolo-TARS ed icorsi di laurea specialistica in Musicologia e Beni mu-sicali e in Scienze dello Spettacolo e della Produzionemultimediale hanno condotto un’interessante speri-mentazione didattica, offrendo ai propri studenti unasperimentazione a carattere laboratoriale, estremamen-te specialistica e professionalizzante, collegata a cinqueazioni formative dedicate ad altrettanti profili profes-sionali innovativi nel settore artistico/musicale.

Il progetto, reso possibile dal finanziamento dellaRegione Veneto attraverso il Fondo Sociale Europeo,nasce da un’approfondita analisi di scenario, relativa alsettore artistico/musicale a seguito della positiva valu-tazione del corso di laurea TARS nell’ambito del pro-getto CampusOne, da cui è risultato che le principaliprofessioni emergenti in ambito artistico/musicalepossono ritrovarsi principalmente in tre settori:1) nell’industria, quali operatori a vario livello nel set-

tore della discografia e in genere della musica ripro-dotta, nel settore dell’editoria musicale, della stam-pa d’informazione e di cultura;

2) nel terziario, come operatori a vario livello nel set-tore del sistema produttivo musicale, come compo-nenti degli staff delle direzioni artistiche, delle se-greterie, degli uffici stampa delle diverse istituzionispecificamente musicali o in qualche modo interes-sate alla cultura musicale (enti lirici, sinfonici, ca-meristici, festival, istituti di cultura, associazioni,accademie, ecc.); e ancora responsabili dell’inventa-rio e salvaguardia dei patrimoni d’arte scenografici ecostumistici conservati in tutti i teatri lirici e spessosoggetti a dispersione e deterioramento;

3) nelle istituzioni specificamente destinate alla con-servazione e alla valorizzazione dei beni musicali,come gli istituendi archivi sonori, le bibliotechemusicali, i musei degli strumenti, nonché alla rico-gnizione, catalogazione e conservazione del patri-monio cartaceo di ogni tempo.Il progetto, nato da un significativo partenariato

condotto dall’Ateneo di Ca’ Foscari con società, entied istituzioni che costituiscono luoghi di produzione edi valorizzazione culturale (Fondazione Giorgio Cini,

Fondazione Scuola di San Giorgio, Archivio LuigiNono, Videoteca Pasinetti) e con imprese produttricidi servizi di supporto alla cultura artistico/musicale(Labibi s.r.l.), è stato condotto secondo metodi didat-tici innovativi, prevedendo per ciascuna azione lezionifrontali (30 ore) in combinazione con esercitazioni la-boratoriali (25 ore).

Le azioni didattiche hanno riguardato, nello speci-fico, le seguenti aree:- Doppiaggio cinematografico, condotto da esperti di

la.bi.bi. s.r.l. ricostruendo un vero e proprio labora-torio di doppiaggio ed affiancando a dimostrazionipratiche interventi di carattere teorico e tecnico, affi-dati a direttori di doppiaggio, attori specializzati, re-gisti, operatori tecnici;

- Regia radiofonica, in cui si è esaminata la radiofoniacome possibile strumento creativo indirizzato ad unasintesi di diverse possibilità espressive indirizzate al-l’ascolto, anche attraverso l’analisi a più livelli di “te-sti acustici” realizzati per il mezzo radiofonico in dif-ferenti contesti storici e culturali;

- Elettroacustica e musica elettronica, individuando iprincipi fondamentali del funzionamento della nuo-va tecnologia digitale applicata alla musica, le attrez-zature e i vari software professionali per la registra-zione e la composizione musicale;

- Editoria musicale informatizzata, introducendo l’al-lievo all’uso dei programmi specializzati nella scrit-tura e nella stampa della musica;

- Costruzione siti web per musica e spettacolo, attra-verso l’apprendimento delle tecnologie di base dellapreparazione delle pagine e l’approfondimento dellenozioni base delle descrittive d’operatività dei siste-mi e delle banche dati.

Visto il successo dell’iniziativa, per la quale si sonocandidati oltre 100 allievi a fronte di 40 posti disponi-bili, si è presentato quest’anno un progetto dedicatoall’analisi di altri cinque profili nell’ambito musicale edegli spettacoli audiovisivi (adattamento dialoghi cine-matografici, produzione di opere audiovisive, dram-maturgia radiofonica, editoria elettronica da tavolo,restauro documenti sonori), confidando in una positi-va valutazione da parte della Regione del Veneto.

Il fondo sociale europeo: nuove professionalità in ambito artistico/musicaleAndrea Erri, docente di Teoria dell’impresa culturale per corso di laurea specialistica inScienze dello spettacolo e della produzione multimediale

Ateneo e Società

21

È stata l’Università Ca’ Foscari a scrivere il primonome nell’albo d’oro del Palio Remiero delle UniversitàVeneziane.

L’equipaggio di Ca’ Foscari ha vinto, ma sarebbe ilcaso di dire stravinto, la sfida contro IUAV. Gli atleticafoscarini si sono infatti imposti con facilità in entram-be le manches. Il successo risulta ancora più bello se sitiene conto che la vittoria è dell’intero gruppo. BepiFongher ha infatti voluto dare spazio a tutti, inserendol’intera rosa nelle due manches.

Entusiasta il Rettore di Ca’ Foscari Pier FrancescoGhetti che insieme al Rettore di IUAV, Marino Folinaveva fortemente voluto questa sfida “

La sfida è stata organizzata dai due Atenei veneziani,che da tempo collaborano attraverso un Comitato diCoordinamento (Co. CA.I.) per promuovere iniziativee migliorare i servizi rivolti ai propri studenti. Scopo co-mune è, in questo caso, quello di stimolare una sanacompetizione tra le due Università e rinnovare l’interes-se per lo sport della voga. A sostegno del progetto, fon-damentali sono stati il contributo della Cassa diRisparmio di Venezia – Sanpaolo IMI e la collaborazio-ne del Comune di Venezia e del CUS Venezia.

Una sfida che ha richiamato la famosa regata flu-viale tra Oxford e Cambridge, anche se a Venezia sisono usati due galeoni, le imbarcazioni ad 8 posti uti-lizzate durante il Palio delle Repubbliche Marinare,vinto, quest’anno proprio dalla città lagunare. A diffe-renza delle tradizionali imbarcazioni veneziane vogate“alla veneta”, nel galeone si voga seduti e di schiena,nello stile “all’inglese”.

La regata si è articolata in due manches di 720 metri,con partenza da Ponte di Rialto e arrivo davanti a Ca’Foscari. Al termine della prima manche i due equipaggihanno effettuato il cambio di imbarcazione e di corsia.

L’equipaggio di Ca’ Foscari era composto da: CarloZanetti (capitano), Nicola Faggin, Roberto OlivottoGiovanni Orlandini, Nicolò Vitturi, Sara Bortolato,Rosanna Spanò, Paolo Campagna, Stefano Li Pira,Sebastiano Marigo, Matteo Maguolo, GiulioBurigana. Timoniere: Bepi Fongher. DirettoreTecnico: Sergio Barichello.

Gli equipaggi sono stati selezionati a partire da mag-gio scorso rispettivamente da Andrea Bedin per IUAVe Giuseppe Barichello per Ca’ Foscari e, nell’allenamen-to di questi ultimi è stato coinvolto anche un maestrodella voga come Giuseppe Fongher.

Vittoriosa anche la spedizione universitaria in Cinadella squadra “Universities of Venice (Ca’ Foscari eIUAV) che si è laureata due volte campione del mondodi Dragon Boat agli “International University StudentsDragon Boat” Campionati Mondiali Universitari diDragon Boat svoltisi a Tianjin.

“Universities of Venice” ha vinto le gare dei 500 e5000 metri categoria MISTO (12 uomini e 8 donne).

L’equipaggio era composto da studenti/atleti delle uni-versità di Ca’ Foscari (7) e dell’Università IUAV di Venezia(5) che si erano mi-surati (sfidati) in oc-casione della regatastorica ed era inte-grato da una selezio-ne di atleti prove-nienti dalle univer-sità di Padova (8),Cagliari (5) e Verona(1). Ca’ Foscari erarappresentato da:Nicola Faggin, CarloZanetti, AndreaMartin, GiovanniDa Lozzo, GiuliaZanchi e RobertoOlivotto.

Ca’ Foscari protagonista in Canal Grande e in Cina di Laura Bergamin

Sport

Notiziario dell’Università Ca’ Foscari di Venezia

Pubblicazione trimestraleReg. del Trib. di Venezia

n. 994 del 19.10.1989

Direttore ResponsabileCarmelo Alberti

Responsabile di redazioneFederica Ferrarin

Comitato di redazioneLaura Bergamin ([email protected])

Riccardo Drusi ([email protected])Federica Ferrarin ([email protected])

Debora Ferro ([email protected])Gianni Michelon ([email protected])

Pier Giovanni Possamai([email protected])

Michela Rusi ([email protected] Stocchetti ([email protected])

Segreteria di redazioneServizio Comunicazione

e Relazioni EsterneTel. 041 234 8118/8358

Fax 041 234 8367E-mail [email protected]

Progetto grafico, editing e fotocomposizione

Pier Giovanni Possamai

StampaCartotecnica Veneziana s.r.l.

Venezia

La rivista è consultabile anche in formato elettronico sul sito dell’Ateneo www.unive.it nell’Area Comunicazioni