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CONTROLLO DEI RISCHI: BANCA D’ITALIA E CONSOB Marcello Clarich e Enrico Leonardo Camilli dicembre 2008 © Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione Dipartimento di Scienze giuridiche CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa

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CONTROLLO DEI RISCHI: BANCA D’ITALIA

E CONSOB

Marcello Clarich e Enrico Leonardo Camilli

dicembre 2008

© Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione

Dipartimento di Scienze giuridiche

CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa

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CONTROLLO DEI RISCHI: BANCA D’ITALIA E CONSOB

1. PREMESSA 2. IL MODELLO DELLA VIGILANZA STRUTTURALE 3. VIGILANZA E CRISI

4. L’EVOLUZIONE DELLA REGOLAMENTAZIONE SUL CONTROLLO DEI RISCHI 4.1. La vigilanza prudenziale e le competenze della Banca d’Italia 4.1.1. L’adeguatezza patrimoniale 4.1.2. Adeguatezza patrimoniale e trasferimento del rischio 4.1.3. Il processo di controllo prudenziale 4.1.4. L’informativa al mercato 4.2. La vigilanza sulla trasparenza e correttezza e le competenze della Consob 5. IL COORDINAMENTO FRA I POTERI PUBBLICI 5.1. Il livello comunitario 5.2. Il livello nazionale 6. BREVI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

1. Premessa

“La Financial Services Authority non esercitò in modo appropriato la supervisione su Northern Rock. (…) La Financial Services Authority sembra essere venuta sistematicamente meno ai propri doveri di regolatore allo scopo di assicurare che Northern Rock non ponesse rischi sistemici e questa carenza ha contribuito in modo significativo alle difficoltà e ai rischi per il pubblico erario che ne sono seguiti”.

E’ questo il giudizio severo del House of Commons Treasury Committee nel suo rapporto del 24 gennaio 2008 dal titolo “The run on the Rock”, cioè sulla vicenda che tra il 14 e il 17 settembre 2007 vide lunghe code di depositanti di fronte agli sportelli della banca in grave crisi di liquidità e oggetto di una delle operazioni di salvataggio più clamorose degli ultimi anni 1.

Il rapporto mette a nudo varie lacune nella vigilanza. In primo luogo, nonostante Northern Rock fosse qualificata dalla FSA come “high impact bank, under close and continuous supervision”, in realtà le verifiche globali della situazione dei rischi (cosiddetto ARROW full risk assessment) erano previste con cadenza solo triennale. Inoltre solo tre funzionari della FSA erano incaricati della supervisione della banca. Segnali chiari di crisi potenziale, come l’anomalo tasso di espansione delle attività della banca e la caduta del valore delle azioni a

1 Il rapporto (House of Commons – Treasury Committee, The run on the Rock, gennaio

2008, disponibile al sito internet http://www.parliament.the-stationery-office.co.uk/pa/cm200708/cmselect/cmtreasy/56/5602.htm) sottolinea che il precedente caso di corsa al ritiro dei depositi risale a più di un secolo fa e cioè al 1866 e riguardò il dissesto della Banca Overend, Gurney & Co. In Inghilterra si verificarono anche in seguito situazioni di dissesto bancario (di recente i casi BCCI del 1991 e Barings del 1995), ma senza l’onta delle code dei depositanti agli sportelli.

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partire da febbraio 2007, non furono colti prontamente dalla FSA. La stessa autorizzazione rilasciata dalla FSA nel giugno 2007 alla misurazione dei rischi di credito con il metodo dei rating interni previsto da Basilea 2 fu rilasciata nel momento sbagliato e consentì alla banca nel luglio 2007 di incrementare, con il surplus di capitale libero, i dividendi distribuiti.

In definitiva, secondo il Committee, il dissesto della Northern Rock fu dovuto non soltanto a una gestione disinvolta da parte dei responsabili della banca, ma anche al “failure of its regulator”. Critiche simili stanno coinvolgendo in maniera ancora più decisa l’operato e la struttura della vigilanza finanziaria negli Stati Uniti. In realtà la crisi, da molti considerata epocale, sta mettendo in discussione in via generale la capacità della vigilanza di gestire e controllare i rischi derivanti dalla finanza innovativa.

Certo è che la vigilanza sui rischi degli istituti di credito e degli intermediari finanziari è un compito assai delicato e richiede un’architettura di regolazione articolata.

Infatti, secondo i “Core Principles for Effective Banking Supervision” formulati dal Comitato di Basilea nell’ottobre 2006, una vigilanza bancaria efficace si regge su una serie di strumenti (contatti regolari con il management, visite e ispezioni, raccolta sistematica di informazioni, poteri di intervento correttivo, ecc.2) a disposizione del supervisore. A monte di siffatti strumenti devono sussistere numerose precondizioni che spaziano da politiche macroeconomiche virtuose, a un sistema appropriato di regolazione dell’attività di impresa e di tutela giurisdizionale dei diritti, a una disciplina del mercato che si regga su flussi di informazioni adeguate, su incentivi premianti per gli istituti ben amministrati, su meccanismi di responsabilizzazione degli investitori.

Occorre anche, a valle dei meccanismi di vigilanza ordinaria sugli istituti di credito e finanziari, una rete di protezione adeguata per i rischi sistemici tale da offrire una tutela dei piccoli risparmiatori senza creare rischi di “azzardo morale”.

A quest’ultimo riguardo, il rapporto sopra citato, nell’analizzare le azioni intraprese dai regolatori per fronteggiare il dissesto della Northern Rock, ribadisce il principio, parametro fondamentale dei sistemi di vigilanza bancaria, secondo la letteratura economica, in base al quale “le banche devono poter fallire così

2 Cfr. Basel Committee on Banking Supervision, Core principles for effective banking

supervision, Basilea, 2006, in particolare i principi da 19 a 25.

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da preservare la disciplina di mercato sulle istituzioni finanziare. Ma è importante che un siffatto “fallimento” venga affrontato in modo ordinato e gestito in modo tale da prevenire ulteriori danni all’economia, al sistema finanziario e agli interessi dei piccoli depositanti”.

In definitiva, la regolazione pubblicistica del sistema bancario e i poteri affidati alle autorità di vigilanza si muovono su un crinale assai stretto: da un lato, mantenere la pressione del mercato sugli intermediari senza il quale i rischi tendono ad accrescersi in modo esponenziale; dall’altro, esercitare la vigilanza, non già per evitare il fallimento del singolo istituto, ma per proteggere i depositanti e prevenire rischi sistemici.

A ciò si aggiunge un’ulteriore difficoltà. Come sottolinea l’Accordo di Basilea 2, “la vigilanza bancaria non è una scienza esatta; di conseguenza, elementi di discrezionalità all’interno del processo di controllo prudenziale appaiono inevitabili” (par. 779). Il tema della vigilanza dunque si presta a essere visto come uno dei terreni di elezione del dilemma (e della tensione) “regole-discrezionalità”, presente in tutti i modelli di regolazione pubblica.

Tracciate in sede di premessa alcune coordinate generali al cui interno si inserisce il problema della vigilanza sui rischi dell’attività bancaria e di intermediazione finanziaria, di seguito ci si propone di ricostruire in chiave analitica e in prospettiva storica l’evoluzione della disciplina della vigilanza. Rispetto ad alcuni profili problematici dell’era della finanza innovativa (la securitization del rischio e l’internazionalizzazione dei mercati finanziari), ci si concentrerà su due aspetti di particolare interesse per i profili pubblicisitici della vigilanza, ovvero la morfologia dei poteri e il coordinamento fra autorità, sia a livello nazionale che nella prospettiva comunitaria.

2. Il modello della vigilanza strutturale.

Storicamente il primo compiuto di intervento pubblico sulla finanza privata in Italia è rappresentato dalla legge bancaria del 1936 (R. d. l. 12 marzo 1936 n. 375).

La crisi del ’29, infatti, aveva reso palesi le conseguenze economiche di un’eccessiva assunzione del rischio da parte degli intermediari creditizi ed aveva richiesto una accelerazione rispetto alla traiettoria regolamentare intrapresa nel 19263.

3 Gli interventi del ’26 (R.d.l. 7 settembre 1926 n. 1511 e regolamento R.d.l. 6

novembre 1926 n. 1830) rappresentarono un primo tassello della regolamentazione bancaria,

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La legge del ’36, infatti, opera una precisa scelta verso la socializzazione del rischio derivante dall’intermediazione creditizia, realizzata attraverso l’eliminazione della pressione concorrenziale (favorita, nel caso italiano, anche da una quasi totale proprietà pubblica del sistema bancario) unita alla predisposizione di un vero e proprio “governo del credito” ad opera delle autorità creditizie.

Le regole della segmentazione funzionale, la discrezionalità legata alle condizioni economiche del mercato nella concessione dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria4, le barriere all’espansione geografica degli operatori sono alcuni degli strumenti della vigilanza c.d. strutturale che ha caratterizzato anche altre legislazioni sviluppatesi nel periodo fra le due guerre (in primis il Glass-Steagall Act americano del 1933).

La protezione dalla concorrenza, infatti, avrebbe permesso di garantire all’impresa bancaria un cuscinetto per attutire le conseguenze economiche dannose del rischio; allo stesso tempo la possibilità di ottenere extraprofitti avrebbe limitato l’incentivo dell’impresa bancaria ad assumere rischi eccessivi, in quanto il fallimento avrebbe comportato la perdita di tali vantaggi (c.d. franchise value doctrine).

La socializzazione del rischio comportò, d’altra parte, la necessità di intervenire sull’autonomia imprenditoriale dell’impresa creditizia. Non a caso essa venne sussunta nella categoria del servizio pubblico e in quella più generale di ordinamento sezionale del credito (Massimo Severo Giannini) che si caratterizza proprio per la presenza di una pluralità di soggetti il cui comportamento viene coordinato da norme interne vincolanti per i partecipanti e finalizzate al perseguimento di un interesse pubblico, in un’ottica di funzionalizzazione dell’autonomia imprenditoriale verso il perseguimento

limitato però solo al controllo sull’andamento gestionale ed al rilascio dell’autorizzazione iniziale per l’esercizio dell’attività, in un’ottica di “tutela del risparmio”. Mantennero però la struttura della banca mista e non intervennero sugli intrecci banca-industria, limitando quindi l’impatto sulle scelte gestionali dell’impresa bancaria. Per un’analisi dell’evoluzione storica del disegno legislativo italiano si rimanda a R. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, Il Mulino, 2007, 32 e ss. bibliografia ivi richiamata. Sottolinea il notevole stacco operato dalla legge bancaria del ’36 rispetto agli interventi del decennio precedente M. Condemi, Controllo dei rischi bancari e supervisione creditizia, Bari, Cacucci, 2005, 54 e ss.

4 Cfr. in particolare A. Nigro, L’autorizzazione “all’attività bancaria” nel T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, in AA. VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria – vol. I. I soggetti e i controlli, Milano, Giuffrè, 1996, in particolare 65 per le riflessioni sul ruolo del regime autorizzatorio per definire il “tono” (oggi si direbbe lo “stile”) della vigilanza.

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degli obiettivi delineati dall’autorità creditizia, ovvero della stabilità del sistema5.

3. Vigilanza e crisi

Questo modello, come noto, è stato progressivamente smantellato con l’evoluzione normativa degli anni ’80, avviata dalle prime direttive comunitarie in materia bancaria (a partire dalla direttiva 77/780/CE) e culminata con il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia del 1993 (D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, in seguito TUB)6.

Quello che qui interessa maggiormente è il cambiamento operato nella considerazione del rischio e del ruolo che dovrebbe assumere l’autorità di vigilanza nel suo controllo. Il riconoscimento della libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento, nonché della libertà di concorrenza operato dalla direttive comunitarie e dalla Corte di Giustizia7 anche nel settore creditizio, rende impercorribile la strada della vigilanza strutturale. Tale evoluzione, al contrario, comporta il pieno riconoscimento dell’autonomia imprenditoriale nelle decisioni di gestione del rischio8. Ciò può comportare, in ultima analisi, la possibilità che l’intermediario fallisca.

5 La teoria dell’ordinamento sezionale bancario fu sviluppata prima della guerra, cfr

M. S Giannini, Osservazioni sulla disciplina della funzione creditizia, in Scritti in onore di Santi Romano, Milano, 1939, 707 e ss. La finalizzazione dell’attività bancaria rappresentava elemento centrale della teoria, cui si legava anche l’idea che la funzione creditizia fosse “funzione di interesse pubblico”, regolata non tanto o non solo per tutelare il risparmio, quanto per perseguire un ottimo impiego del credito. Sulla base di questa impostazione trovavano giustificazione gli incisivi poteri di programmazione del settore, rafforzati dall’indeterminatezza delle finalità dei poteri attribuiti alla Banca d’Italia, cfr. M. Nigro, Profili pubblicistici del credito, Milano, Giuffrè, 1972.

6 Sulle rilevanti modifiche da approntare nell’ordinamento bancario per conformarlo al sistema comunitario, cfr F.Belli, A.Patroni Griffi, A.Nigro, M.Porzio, L’attuazione della Seconda direttiva sulle banche, atti della tavola rotonda del 20 novembre 1992 presso la LUISS, in Diritto Bancario e mercati finanziari, 1993, 167 e ss..

7 Corte di Giustizia, sentenza 14 luglio 1981, Zuchner, Causa C-172/80. 8 In questi termini poteva considerarsi fondata la questione di illegittimità sia

comunitaria che interna dell’obbligo di comunicazione preventiva dell’intenzione di acquisire banche, prevista nella Circolare 229 del 1999 ed eliminata solo con il Provvedimento 28 agosto 2006 del governatore M. Draghi, a seguito degli scandali del 2005 e della correlata procedura di infrazione aperta dalla Commissione. Tale comunicazione, infatti, andava richiesta prima che il progetto di acquisizione fosse deliberato dal consiglio di amministrazione, quindi prima che la volontà dell’ente si fosse in realtà formata. M. Monti, La rivoluzione in tre righe della Banca d’Italia, in Mercato Concorrenza Regole, 2006, 315 e ss., sottolinea il valore epocale del provvedimento. La

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Fa peraltro da contraltare una rete più estesa di tutela del risparmio, nell’ottica dell’attuazione dell’art. 47 Cost., lungo tre direttrici principali.

Da un lato il paradigma della vigilanza prudenziale fa perno su un diverso ruolo dell’autorità di vigilanza sulla stabilità: da co-gestione dell’attività a definizione di regole “condizionali”9 che l’intermediario deve rispettare per operare in maniera tale da poter assorbire le conseguenze economiche dei rischi assunti senza porre in pericolo il sistema finanziario stesso.

Dall’altro hanno assunto sempre maggiore rilevanza la tutela della correttezza e la trasparenza dei mercati, in cui l’accresciuta autonomia imprenditoriale degli intermediari opera. Questa tutela si articola in regole di comportamento finalizzate a ridurre le asimmetrie informative, in primo luogo, ma non solo, nei mercati mobiliari (D. Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di seguito TUF)

A queste funzioni, poi, si aggiunge la gestione delle crisi e soprattutto della safety net nelle ipotesi di rischio sistemico, in cui la socializzazione del rischio, o meglio delle perdite derivanti dall’assunzione di rischi eccessivi, subentra come strumento eccezionale per evitare effetti ancora più destabilizzanti sull’intero sistema economico.

Fra queste tre dimensioni della tutela del risparmio, tuttavia, è necessario tracciare una distinzione fra le prime due, rientranti nella vigilanza day by day nelle sue diverse forme (regolamentare, informativa, ispettiva, “correttiva”, sanzionatoria), e l’intervento in caso di crisi.

disciplina sulle partecipazioni, inoltre, è stata interessata dal trasferimento delle competenze in materia antitrust all’AGCM e, da ultimo, dovrà essere adeguata alle nuove disposizioni previste dalla Direttiva 2007/44/CE. Con quest’ultima direttiva dovrebbe aprirsi il percorso di armonizzazione massima anche nel settore della vigilanza prudenziale, con la contestuale eliminazione del regime autorizzatorio come attualmente strutturato ai sensi dell’art.. 19 TUB; quest’ultimo sarebbe sostituito da un sistema di notificazione cui corrisponde la possibilità, per l’autorità, di vietare l’operazione entro un termine determinato e sulla base di una lista chiusa di criteri, definiti nella direttiva. Per un primo commento della direttiva si rimanda a A. de Aldisio, Nuove regole comunitarie sulle acquisizioni di banche: verso il tramonto della separatezza banca-industria?, in Banca Impresa Società, 2008, 3 e ss.

9 Ovvero norme che contengono definizione di standard qualitativi, misurabili e non, il cui soddisfacimento o meno produce determinate conseguenze, definite anch’esse dalla norma attributiva del potere, cfr. L. Torchia, Il controllo pubblico della finanza privata, Milano, Giuffrè 1992. Tali regole si contrapporrebbero, secondo l’autrice, a quelle di tipo finalistico che caratterizzavano il regime precedente, ovvero regole che “indica[no] e prefigura[no] […]le priorità e […]i modi di composizione fra i diversi interessi afferenti alla materia disciplinata” (ibidem, 175-176).

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Nel primo caso l’attività di controllo dei rischi si risolve nell’attuazione di finalità predeterminate mediante i poteri attribuiti nelle leggi di settore. Nonostante l’eterogeneità ed ampiezza delle finalità della vigilanza10, la natura dei poteri attribuiti alle autorità di vigilanza può a pieno titolo ricondursi alla funzione amministrativa. Si può poi discutere sulla diversa natura dei vari atti posti in essere nell’esercizio di tale funzione, ovvero se siano caratterizzati da discrezionalità tecnica, in quanto applicativi di una scienza, quella economica ed in particolare della vigilanza, inesatta (vedi supra)11, oppure se, effettuando un contemperamento fra le diverse finalità definite dalle leggi istitutive, comportino anche una discrezionalità di tipo amministrativo in senso stretto12. In entrambi i casi i relativi atti possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, con una latitudine naturalmente diversa a seconda degli atti impugnati.

La gestione delle crisi, al contrario, sembra aprire scenari più complessi. In questa ipotesi la scelta che il decisore pubblico si trova a compiere non sempre è mera attuazione della legge. Gli istituti di gestione delle crisi previsti nel TUB, pur rientrando ancora nella funzione amministrativa, offrono profili di discrezionalità amministrativa molto accentuati, che si accompagnano all’attribuzione della competenza decisionale ad un soggetto, il Ministro dell’Economia, dotato di legittimazione politica13. Ma oltre alla disciplina

10 Sul punto può richiamarsi il recente intervento di R. Costi alla Tavola Rotonda

organizzata in occasione del XXIII Convegno su I nuovi equilibri mondiali: imprese, banche, risparmiatori, Courmayeur, 26-27 settembre 2008.

11 In particolare nelle ipotesi di atti individuali, come per l’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni in società bancarie, cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 6157/05, con commento di E. L. Camilli, Verso un modello generalizzato di sindacato sui poteri neutrali?, in Foro Amministrativo – TAR, 2005, p. 3564.

12 In particolare nell’esercizio del potere normativo, in cui la Banca d’Italia si trova a dover contemperare le diverse finalità pubbliche definite all’art. 5 TUB, oltre alla minimizzazione “del sacrificio degli interessi dei destinatari”, ex art. 23 comma 2 della l. 262/05. Non rientrerebbe dunque nella fisiologia del sistema, così come delineato nel Teso Unico Bancario, la possibilità del perseguimento, ad opera dell’autorità, di finalità diverse da quelle indicate dalla legge, in quanto sarebbe preclusa qualsiasi opzione politica all’autorità, tra l’altro priva di legittimazione in questo senso. Se ciò è avvenuto, mediante il perseguimento dell’obiettivo della “italianità” (ci si riferisce agli scandali del 2005), non può essere considerato un tratto caratterizzante del sistema (come sembra fare D. Siclari, Costituzione ed autorità di vigilanza, Padova, CEDAM, 2008), ma piuttosto una degenerazione, tra l’altro censurata dalla Commissione Europea e dalla giurisprudenza amministrativa.

13 Ci si riferisce ai poteri in materia di amministrazione straordinaria (art. 70 e ss. TUB) e di liquidazione coatta amministrativa (art. 80 e ss. TUB). Sulla discrezionalità amministrativa e tecnica che caratterizza tali poteri, cfr G. Boccuzzi, La crisi dell’impresa bancaria

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sistematica prevista dal TUB14 va tenuto conto anche della gestione degli strumenti di liquidità offerti dalla Banca Centrale15 (c.d. Emergency Liquidity Assistance - ELA) nonché degli interventi di salvataggio.

Questi ultimi due aspetti, infatti, sono stati oggetto di una complessiva riorganizzazione con il recentissimo D.L. 155/0816 , con cui si è cercato di riorganizzare il sistema di intervento statale nelle ipotesi di crisi sistemica, abbandonando il modello di intervento puntuale che aveva caratterizzato le crisi precedenti, di natura più limitata17. Su entrambi gli aspetti l’intervento

– Profili economici e giuridici, Milano, Giuffrè, 1998, 141 e ss., e bibliografia ivi richiamata e, per la giurisprudenza, la decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 145 del 19 marzo 2002, in particolare par. 4.2., che estende l’insindacabilità in merito (in quanto discrezionale) anche alla valutazione sulla rilevanza e gravità dei fatti posti alla base del provvedimento di amministrazione straordinaria (quindi anche alla fase di accertamento dei requisiti). Sull’ampiezza del potere decisionale del Ministero, tuttavia, pesa in maniera fortemente limitativa l’impossibilità dell’organo decidente (nel caso di specie però l’assessorato regionale al bilancio, stante la differente disciplina per la regione siciliana) di effettuare un’istruttoria autonoma.

14 Fra cui, naturalmente, deve considerarsi, con la novella del d.lgs 4 dicembre 1996 n. 659, anche il sistema del Fondo di Tutela dei depositanti disciplinato agli artt. 96 e ss. del TUB.

15 Le Banche Centrali nazionali hanno conservato la possibilità di fornire liquidità per la tutela della stabilità del sistema finanziario nei limiti tuttavia del coordinamento all’interno del SEBC (si veda Banca Centrale Europea, Rapporto annuale – 1999, 2000, Francoforte, 102) e senza la possibilità di finanziare il salvataggio mediante l’emissione di base monetaria, di competenza esclusiva della BCE. L’intervento come prestatore di ultima istanza si caratterizza rispetto al salvataggio vero e proprio in quanto la Banca Centrale nel primo caso pone rimedio solo ad uno squilibrio delle scadenze dell’intermediario, che possono creare problemi di liquidità ma che non coinvolgono la solvibilità dell’istituto, assicurata da attivi di buona qualità. Per una definizione del rischio di liquidità, distinta dalla situazione di insolvenza, si può rimandare alle osservazioni della Financial Services Authority, Review of the Liquidity Requirements for Banks and Building Societies, Discussion Paper n. 7, 2007, 8. Come però ha dimostrato la stessa crisi di Northern Rock, distinguere le due situazioni (illiquidità ed insolvenza) ed evitare soprattutto che la prima conduca alla seconda può risultare molto difficile.

16 Decreto Legge 9 ottobre 2008, n. 155 intitolato Misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n. 237 del 9 ottobre 2008. Oltre a tale strumento legislativo, di portata più generale, il governo ha anche varato un ulteriore intervento, in attuazione delle decisioni straordinarie adottate dall’Eurogruppo il 12 ottobre 2008. Il Decreto Legge 13 ottobre 2008 , n. 157 Ulteriori misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n. 240 del 13 ottobre 2008, contiene misure transitorie per facilitare la ripresa del mercato dei prestiti interbancari e l’accesso delle banche alla provvista di liquidità fornita dai singoli stati membri e dalla Banca Centrale Europea.

17Sottolinea la sovrapposizione di strumenti straordinari e di istituti previsti nel TUB o comunque con portata generale A. Antonucci, Il diritto delle banche, Milano, Giuffrè, 2007, 324. Un esempio di intervento straordinario ad hoc è rappresentato dalla complessa vicenda che ha

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normativo chiarisce meglio il ruolo dell’autorità tecnica e quello dell’autorità politica. Sul fronte della liquidità, si è fatta chiarezza sulle attribuzioni della Banca d’Italia come fornitrice del credito di ultima istanza18. Gli interventi di salvataggio19, invece, trovano una cornice regolamentare generale, con

accompagnato la crisi del Banco di Napoli, con l’emanazione del decreto legge 24 settembre 1996, n. 497. In questo caso fu prevista la diretta partecipazione del Tesoro al capitale azionario del Banco con un atto legislativo ad hoc.

18 Nel nostro sistema la fornitura dell’ELA da parte della Banca Centrale è stata a lungo regolata dal Decreto Ministeriale del Tesoro del 27 settembre 1974 (c.d. decreto Sindona), che permetteva l’erogazione alle banche che concorrono al salvataggio di una banca in stato di crisi di un’anticipazione sui buoni del Tesoro a lunga scadenza a tasso agevolato da parte della Banca d’Italia. Rispetto ad altri sistemi (ad esempio quello inglese), dunque, la fornitura della liquidità non veniva concessa ad un tesso penalizzante, che tenesse conto della maggiore rischiosità dell’operazione. I criteri in base ai quali la Banca d’Italia poteva fornire la facilitazione creditizia prevista dal decreto furono resi più stringenti con la delibera CICR 12 dicembre 1986, in cui si limitò la possibilità di concedere credito alle banche solo in casi eccezionali. Tale limitazione coincise con l’introduzione del Fondo di Garanzia dei depositi, che avrebbe dovuto essere la struttura portante della safety net nel nostro sistema. Tuttavia il prestito di ultima istanza a condizioni di favore, come sottolinea anche M. Porzio, Note sulla responsabilità civile della Banca d’Italia come prestatore di ultima istanza, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1999, 209-210, non può essere perfettamente sostituito dall’intervento successivo all’insolvenza che caratterizza l’intervento del Fondo: il prestito di ultima istanza interviene in una fase immediatamente precedente al collasso dell’intermediario e può evitare l’apertura formale della crisi, oppure, nel caso di amministrazione controllata, scongiurare la liquidazione. Questa precisazione è oggi confermata dalle disposizioni del Decreto legge 155/08, con il quale, oltre alle disposizioni sulla garanzia statale sul Fondo di tutela del depositi(art. 4), viene comunque riaffermata la possibilità della Banca d’Italia di erogare finanziamenti garantiti con cessione del credito o su pegno, al fine di soddisfare esigenze di liquidità (art. 3 comma 1): tale disposizione potrebbe aver implicitamente abrogato il Decreto Sindona, stabilendo un vincolo legislativo all’esercizio di tale attribuzione da parte della Banca (l’esigenza di liquidità, escludendo quindi casi di insolvenza). Tale erogazione assumerà carattere di facilitazione a condizioni agevolate solo se il finanziamento viene garantito dal Ministero dell’Economia, ai sensi del successivo comma 2 dell’art. 3 del D.L. 155/08, subentrando però in questo caso la decisione “politica” che permette di “sollevare” la Banca d’Italia dalla responsabilità sulla valutazione del rischio e permettendo la fissazione di un tasso ridotto, in quanto giustificato dalla garanzia statale. Una facilitazione simile riguarda la garanzia che il Ministero dell’Economia può concedere ai sensi del D. L. 157/08 sulle passività bancarie emesse successivamente al decreto e fino al 31 dicembre 2009. Tuttavia per avere ulteriori conferme sugli aspetti applicativi dell’istituto, sarà necessario attendere i decreti attuativi previsti all’art. 5 comma 1 del D.L. 155/08 e dell’art. 2 comma 1 del D. L. 157/08.

19 A metà strada fra la mera concessione di liquidità e il salvataggio vero e proprio, inoltre, si situano le agevolazioni nell’accesso al credito di ultima istanza, mediante la concessione della garanzia statale ai sensi dell’art. 3 comma 2 del D.L. 155/08. e quelle ulteriormente previste, in via transitoria, agli art. 1 commi 1,2,3, del D. L. 157/08. La concessione della garanzia da parte dell’organo ministeriale sulle nuove passività o l’acquisizione di obbligazioni statali in cambio di passività che il mercato interbancario o la stessa Banca Centrale non reputa sufficienti per offrire liquidità, infatti, rappresentano una agevolazione rispetto alle condizioni presenti sul mercato interbancario per evitare che la crisi di liquidità si trasformi in una crisi di insolvenza. Tuttavia tali facilitazioni, a differenza dei

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l’attribuzione della decisione finale all’autorità politica (il Ministero dell’Economia), sulla base delle valutazioni istruttorie della Banca d’Italia. Da un punto di vista sostanziale l’intervento in caso di crisi è caratterizzato dall’intrinseca politicità della scelta e dalla sua eccezionalità rispetto al modello ordinario di vigilanza sul credito20. La libertà di scelta se intervenire o meno, per determinati operatori invece che per altri, quindi l’impossibilità di predeterminare l’esito, permette di inverare nel nostro ordinamento quella che gli economisti chiamano “ambiguità costruttiva”21. Tale ambiguità (di cui il recente fallimento della banca di investimento Lehmann Brothers rappresenta il più recente esempio) sarebbe necessaria, per parte del pensiero economico, al fine di segnalare agli operatori la possibilità, ma non la certezza, dell’intervento, al fine di evitare effetti sistemici ma senza ingenerare la certezza di un salvataggio per qualsiasi gestione fallimentare22. Dal punto di vista giuridico

salvataggi veri e propri, possono essere concesse a tutti gli operatori bancari, senza la necessità di predisposizione ed approvazione di un programma di rafforzamento patrimoniale (con i relativi poteri), ma, almeno per le misure straordinarie di cui al D. L. 157/08, solo sulla base della valutazione di adeguatezza patrimoniale effettuata dalla Banca d’Italia (art. 1 comma 5 D. L. 157/08). In considerazione del carattere agevolato (e dei relativi rischi per il bilancio pubblico), però, il legislatore ha giustamente attribuito la relativa competenza all’organo politico, di modo che anche per queste decisioni può essere affermata la natura intrinsecamente politica che caratterizza le decisioni sul salvataggio vero e proprio.

20 Tale scelta infatti comporta l’utilizzo delle risorse scarse della comunità per il ripianamento della crisi di un operatore, in potenziale contrasto con i principi stessi della sana e prudente gestione degli intermediari (che potranno essere incentivati in futuro ad assumere rischi ancora maggiori), con l’ordinario statuto dell’impresa e con i principi concorrenziali in materia di aiuti di stato. Su quest’ultimo punto, infatti, è stato necessario un consenso comune da parte degli Stati per rimodulare l’incisività della disciplina comunitaria, di modo che N. Kroes ha pubblicamente affermato che la disciplina degli aiuti di stato, piuttosto che concentrarsi sull’applicazione del divieto, cercherà di concentrarsi sulla regolamentazione degli interventi dei singoli stati, si veda il comunicato stampa del 6 ottobre 2008.

21 Tale termine si riferisce ad una tecnica di negoziazione in cui l’opacità delle intenzioni di una delle parti serve per costruire un accordo altrimenti irraggiungibile in presenza di totale trasparenza. In riferimento al prestito di ultima istanza, esso comporta che le banche non possano sapere quali siano le condizioni in base alle quali l’autorità monetaria, per evitare effetti sistemici, interverrà fornendo la liquidità necessaria. L’utilità della constructive ambiguity è, in realtà, piuttosto controversa nella letteratura economica, in quanto potrebbe rafforzare anche la sfiducia nel mercato dei prestiti interbancari e quindi aggravare ipotesi di credit crunch. Vedi, per una prospettiva a favore della constructive ambiguity, C. A. Goodarth - H. Huang, The lender of last resort, in Journal of banking and finance, 2005, 1059 e ss. Per un approccio critico si veda, invece, X. Freixas, Optimal Bail Out Policy, Conditionality and Constructive Ambiguity. Working Paper No. 400, 1999, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=199054 or DOI: 10.2139/ssrn.10.2139/ssrn.199054

22 Limitando così il rischio di moral hazard degli operatori, che non hanno certezza sull’effettivo intervento di aiuto.

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essa si riflette nella natura di atto politico del provvedimento di concessione della facilitazione, come tale non sindacabile davanti al giudice amministrativo23.

Ma la diversità dei poteri esercitati nella vigilanza day by day e negli interventi eccezionali in caso di crisi si riflette anche nella diversa rilevanza dell’autonomia imprenditoriale. Nelle ipotesi di crisi si è davanti ad un fallimento della gestione da parte dell’intermediario, cui subentra direttamente o indirettamente quella pubblica, come è chiaramente visibile nella nuova disciplina nazionale dettata dal D.L. 155/08 ma anche nelle dichiarazioni a livello comunitario24. Nel caso della vigilanza day by day, invece, l’attività di controllo non si sostituisce all’autonomia imprenditoriale dell’impresa, ma è finalizzata a regolare il grado di assunzione di rischio da parte dell’intermediario, in combinazione con gli strumenti di natura privatistica (controllo interno, revisione, agenzie di rating) finalizzati al monitoraggio dei rischi ad opera del mercato (il c.d terzo pilastro, vedi infra).

Il paradigma della vigilanza prudenziale ha dunque mutato i rapporti fra autonomia imprenditoriale e controllo pubblico. Peraltro le turbolenze che già avevano caratterizzato la fine dello scorso secolo e l’inizio dell’attuale avevano già reso necessario un adattamento degli strumenti pubblicistici di vigilanza in un nuovo contesto caratterizzato da almeno due fenomeni: l’internazionalizzazione dei mercati finanziari, reso possibile dalla rimozione

23 Ovvero atti in cui si “estrinseca l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e

l’attività di coordinamento e di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca”, cfr. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1984, 14, e per i quali l’art. 31 del R. D. 26 giugno 1924 n. 1054 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) sancisce l’insindacabilità.

24 Il recentissimo D. L. 155/08 prevede che il Ministero dell’Economia, laddove intervenga mediante la sottoscrizione del capitale azionario delle banche in crisi (opzione obbligata nelle ipotesi di sottocapitalizzazione a fini prudenziali), disponga di un amplissimo potere di controllo sulle scelte gestionali fondamentali dell’intermediario, mediante l’approvazione del “programma di stabilizzazione e rafforzamento” e della valutazione delle “politiche dei dividendi” (Art. 1 comma 2). Tale controllo non si esaurisce al momento della sottoscrizione, ma si estende lungo tutta la durata del periodo di partecipazione del Ministero nella banca, in quanto qualsiasi “variazione sostanziale” del programma deve essere preventivamente approvato dal Ministero. Dunque, la banca viene ad essere sottoposta ad un controllo dai confini molto ampi e difficilmente predeterminabili in base alle scarne disposizioni del decreto, tutto ciò a prescindere dalla consistenza della partecipazione, con un evidente rischio di non proporzionalità. Dal punto di vista comunitario, in base alle recenti dichiarazioni dei componenti dell’Eurogruppo a seguito della riunione del 12 ottobre 2008 sull’approvazione di un maxifondo europeo, si dovrebbe prevedere la sostituzione del management delle banche che faranno ricorso alle facilitazioni previste.

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delle barriere regolatorie nazionali e dalle accresciute potenzialità tecnologiche; il ruolo dei mercati dei capitali quale strumento per la gestione del rischio finanziario25, con la diffusione degli strumenti della finanza innovativa, in particolare le cartolarizzazioni e i derivati di credito che permettono la separazione dei rischi correlati agli investimenti effettuati e rendono possibile la loro commerciabilità sul mercato dei capitali, alla stregua di ogni altro strumento finanziario.

Il primo fenomeno richiede soprattutto un’armonizzazione delle forme della vigilanza, la definizione di criteri in base ai quali radicare la competenza delle diverse autorità nazionali coinvolte e la definizione di forme di coordinamento.

Quanto al secondo fenomeno, dal punto di vista pubblicistico rilevano soprattutto gli effetti dell’integrazione fra il mercato creditizio e quello mobiliare sul modello della vigilanza. Infatti, il crescente ricorso degli intermediari creditizi al mercato dei capitali come fonte di approvvigionamento della liquidità, oltre che di investimento, ha reso il settore bancario sensibile ai rischi di mercato e agli shock finanziari. Questo a sua volta ha accresciuto l’importanza della vigilanza sui mercati finanziari anche per la stabilità del sistema bancario. Il perimetro della vigilanza prudenziale si è dunque esteso anche agli intermediari finanziari e mobiliari, in considerazione dell’impatto che il loro fallimento può avere sul funzionamento del mercato dei capitali e, di conseguenza, sulla stabilità dell’intermediario creditizio26. A sua volta il controllo sulla trasparenza e correttezza risulta necessario per la corretta “circolazione” del rischio nei mercati finanziari.

Come risulta evidente dall’attuale crisi, la gestione di tali macrofenomeni è risultata, finora, fallimentare. Prima di giungere a soluzioni radicali, di smantellamento dei modelli pubblici di controllo fin qui delineatisi, può tuttavia essere utile sia un’analisi sulla configurazione dei poteri e sulla loro

25 Riconduce a questo fenomeno buona parte delle trasformazioni che hanno

caratterizzato l’evoluzione del sistema finanziario americano ed, in parte, quello europeo, H. Bernard – J. Bisignano, Financial intermediary trasformation. Risk absorption, transfer and trading in the US financial system, in M. De Cecco – G. Nardozzi (a cura di), Banche e finanza nel futuro: Europa, Stati Uniti, Asia, Roma, Bancaria, 2006.

26 Gli eventi della crisi dei sub-prime hanno mostrato le carenze del perimetro della vigilanza nel sistema americano, che ha poi comportato la necessità di interventi di salvataggio anche per intermediari diversi dalle banche commerciali. Sugli effetti della crisi dei subprime sul perimetro di vigilanza si veda F. Vella, Fannie, Freddie e i Fratelli Lehman, in lavoce.info, 15 settembre 2008.

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idoneità a gestire l’innovazione finanziaria, sia una riflessione sulle forme di coordinamento fra le autorità, in un’ottica geografica (fra autorità competenti su diverse giurisdizioni) e funzionale (fra autorità competenti per diversi profili della vigilanza). Va infatti considerato che la crisi è intervenuta in un momento di transizione della regolamentazione prudenziale (da Basilea 1 a Basilea 2) ed affonda le proprie radici nel precedente sistema27. Essa quindi potrebbe fornire gli spunti e le motivazioni necessarie per migliorare, piuttosto che smantellare, il progetto già intrapreso nel decennio passato.

4. L’evoluzione della regolamentazione sul controllo dei rischi

Ricostruire l’evoluzione normativa in tema di controllo dei rischi ad opera delle autorità pubbliche richiede un esame delle interrelazioni fra diversi corpus normativi. Inoltre, in attesa di una riforma organica della autorità di regolazione di settore sul modello di quella impostata nella precedente legislatura, l’attuale struttura di vigilanza a livello nazionale continua a essere articolata secondo il modello funzionale “imperfetto”28 di ripartizione delle funzioni, con la vigilanza sulla stabilità attribuita alla Banca d’Italia e quella sulla trasparenza e correttezza svolta dalla Consob. In breve, da un lato alla Banca d’Italia è affidato un controllo per così dire “diretto” sul grado di rischio assunto dagli intermediari, con un’esplicita prevalenza degli strumenti patrimoniali per assorbirne le conseguenze pregiudizievoli. Dall’altro la Consob incide in maniera “indiretta” sul controllo dei rischi, vigilando sul comportamento degli intermediari per evitare che tali rischi vengano scaricati sulla collettività di risparmiatori non informati.

27 Ad esempio, una delle cause più importanti della crisi, ovvero lo scarso controllo

sulle banche di investimento americane, ben potrebbe essere considerato un riflesso della passata segmentazione dei mercati che caratterizzava la vigilanza strutturale e che nella fase di transizione alla vigilanza prudenziale non aveva ancora trovato adeguata regolamentazione.

28 Imperfetto in un duplice senso: in quanto alcuni settori seguono ancora una regolamentazione per soggetti (Assicurazioni e Fondi pensione) ma anche perché la ripartizione delle competenze fra TUB e TUF non effettua una netta ripartizione fra la vigilanza su soggetti (tutti gli intermediari), di tipo prudenziale, ed una vigilanza su attività (di tutti gli intermediari) di tutela della trasparenza e correttezza. Ad esempio le competenze in materia autorizzatoria (vigilanza su soggetti) sono ancora in parte affidati alla Consob, per quel che riguarda le SIM. Per un modello di perfetta ripartizione delle competenze su base funzionale si può invece citare il sistema olandese. Si veda E. L. Camilli, Le variabili della dell’architettura della regolamentazione finanziaria nell’area Euro e in Gran Bretagna, disponibile al sito http://www.side-isle.it/ocs/viewpaper.php?id=32&cf=1

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Entrambe le autorità, in ogni caso, sono chiamate a esercitare le loro funzioni anche allo scopo di prevenire rischi sistemici, accresciutisi in relazione ai fenomeni dell’innovazione finanziaria. Di questa circostanza il legislatore italiano ha preso atto, tanto che, in occasione del recepimento della Direttiva 2004/39/CE (MiFid), ha esteso le finalità della vigilanza, nella nuova formulazione dell’art. 5 del TUF, anche alla “salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario”29.

La trama normativa, almeno nelle sue linee principali, è composta da un insieme di normative verticali, che definiscono il contenuto dei poteri delle autorità di vigilanza, e da una disciplina generale orizzontale sull’esercizio dei poteri amministrativi come definita dalla dagli artt. 19 e ss. della legge a tutela del risparmio (Legge 28 dicembre 2005, n. 262).

Sul primo aspetto, quello della disciplina verticale, le linee evolutive sono segnate dall’elaborazione dei fora internazionali e dall’attività di recepimento a livello comunitario, con la quale sempre più si è cercato di dare una risposta quando più armonizzata alle sfide rappresentate dall’internazionalizzazione dei mercati.

La legge sul risparmio, invece, rappresenta la risposta nazionale a problemi specifici emersi in relazione al sistema italiano di vigilanza finanziaria ed in particolare al sistema di ripartizione delle competenze su base funzionale fra diverse autorità indipendenti dal governo. Da un punto di vista pubblicistico, la legge cerca di rispondere ai problemi relativi al coordinamento fra autorità e al recupero della legalità procedimentale, rafforzando l’accountability delle autorità nei confronti delle altre autorità di settore (peer review) e, soprattutto, dei destinatari diretti ed indiretti della loro azione30.

29 La modifica apportata all’art 5 dal D. Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 ha anche

comportato l’eliminazione della sana e prudente gestione dal novero degli obiettivi generali del TUF, per trasferirlo fra le competenze della sola Banca d’Italia (art. 5 comma 2 TUF). I primi commenti hanno tuttavia dubitato di un reale impatto del cambiamento sul sistema della vigilanza (cfr. F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, Giappichelli, 2008, in particolare 52).

30 Per un commento sulle risposte offerte dalla legge a tutela del risparmio, ad un anno dalla sua approvazione, si rimanda a Convegno di studi organizzato dall’Associazione Europea per il Diritto bancario e Finanziario e il Centro di Ricerca per la Formazione in Campo Finanziario su: “Legge per la tutela del risparmio. Un anno dopo”, Milano, 16 febbraio 2007, ed in particolare, per gli aspetti di più stretta attinenza ai profili pubblicistici, alla relazione di M. Clarich, I procedimenti e le forme di collaborazione tra Autorità di vigilanza

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4.1. La vigilanza prudenziale e le competenze della Banca d’Italia

Per quel che riguarda la vigilanza prudenziale, il parametro di riferimento è rappresentato dall’Accordo di Basilea 2 e dalla sua articolazione degli strumenti di vigilanza sul rischio sulla base dei tre pilastri dell’adeguatezza patrimoniale, del processo di controllo prudenziale (interno all’intermediario e da parte del supervisore) e del controllo di mercato reso possibile dall’informativa al pubblico. Se l’accordo rappresenta la matrice che informa la struttura della vigilanza prudenziale di tutte le principali aree finanziarie mondiali (Unione Europea, USA, Giappone), più complessa è l’articolazione del recepimento dei contenuti dell’accordo all’interno del sistema comunitario e, ancor di più, nazionale.

Al livello comunitario, infatti, l’inizio del nuovo secolo ha comportato una rilevante novità dal punto di vista istituzionale, mediante l’adozione di un nuovo modello di produzione normativa, il c.d. modello Lamfalussy, nato in origine per la regolamentazione dei mercati finanziari ed esteso successivamente anche ai settori della vigilanza bancaria ed assicurativa31. Questo modello prevede un aggiornamento del classico modello di comitologia32 caratterizzante l’adozione delle norme comunitarie di attuazione, in maniera da rendere possibile la definizione anche della normativa tecnica finanziaria di dettaglio a livello comunitario33. Per quel che riguarda il

31 Si veda, per la decisione che ha comportato l’estensione di tale modello anche ai settori bancari e finanziari, la risoluzione del Consiglio adottata nella 2471a riunione dell’ECOFIN tenutasi il 3 dicembre 2002.

32 Con il termine comitologia o comitatologia (comitology nel gergo comunitario) si intende il particolare processo di formazione delle norme di dettaglio la cui definizione è delegata alla Commissione. Attraverso tale procedura gli Stati Membri mantengono un controllo sulla funzione delegata mediante “comitati” composti da funzionari delle amministrazioni nazionali che intervengono nella fase di redazione ed approvazione delle norme a vario titolo, a seconda della sub-procedura adottata (comitati consultivi, di gestione, regolatori). La procedura è regolata dalla decisione del Consiglio 1999/468/CE, come recentemente modificata dalla decisione 2006/512/CE.

33 Il metodo Lamflaussy prevede una struttura del processo regolamentare organizzata su quattro livelli. Il primo livello è rappresentato dalla definizione dei principi e della struttura della disciplina mediante direttive o regolamenti quadro adottati a seguito di un processo legislativo di co-decisione cui partecipano Parlamento e Consiglio. Il secondo livello riguarda le forme di controllo sull’esercizio della delega riguardante la definizione della disciplina dettagliata da parte della Commissione: quest’ultima deve avvalersi del supporto di due comitati, uno composto da membri nominati dai governi nazionali con funzione di approvazione delle proposte, l’altro composto dai rappresentanti delle autorità di regolazione nazionali, con funzione consultiva. Il terzo livello coinvolge le forme per perseguire l’uniforme attuazione della disciplina comunitaria e la convergenza dei sistemi nazionali, in quanto prevede che in seno al comitato dei regolatori vengano emanate linee guida per favorire

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recepimento di Basilea 2, la disciplina normativa è tuttora contenuta solamente in direttive di primo livello, ma accanto ad esse opera la soft law prodotta in sede di coordinamento nell’attuazione (c.d. livello 3) dal Comitato Europeo delle autorità di vigilanza bancaria (CEBS), con il quale vengono fissate le linee guida che poi le singole autorità nazionali seguiranno nella definizione della disciplina di dettaglio.

A livello nazionale la fonte della disciplina è rappresentata, per gli intermediari creditizi, dall’art. 53 del TUB34, in cui trova fondamento sia la potestà normativa della Banca d’Italia che il potere di intervento puntuale nei confronti dei soggetti vigilati.

I commi 1 e 4 dell’art. 53, infatti, definiscono una serie di oggetti per i quali la Banca d’Italia è abilitata ad emanare disposizioni di carattere generale nei confronti degli intermediari creditizi soggetti a vigilanza, in conformità alle delibere del CICR. Il comma 3, invece, definisce le misure prudenziali individuali adottabili dalla Banca d’Italia nei confronti dei soggetti vigilati.

E’ nota l’estrema latitudine della discrezionalità della Banca nell’emanazione della disciplina generale ed individuale, con la possibilità, fra l’altro, di usufruire di una delega pressoché in bianco nel definire le operazioni degli intermediari che possono essere sottoposte ad un regime autorizzatorio (art. 53 comma 2). Tuttavia questa discrezionalità, soprattutto da un punto di vista normativo, risulta ridotta sia per l’accresciuto “spessore” della disciplina vincolante di rango comunitario sia in seguito al coordinamento attuato a livello internazionale (con l’Accordo di Basilea e i numerosi allegati tecnici) e soprattutto comunitario, attraverso le Linee Guida del CEBS35. Inoltre la legge 262/05, all’art. 23, ha accresciuto il livello di accountability dell’autorità nella fase di definizione degli strumenti normativi, prevedendo l’obbligo di consultazione

l’attuazione armonica del quadro comunitario a livello nazionale e si provveda ad un costante dialogo e confronto fra i diversi modelli di recepimento. Il quarto livello, infine, riguarda il controllo da parte della Commissione circa l’effettiva attuazione ed applicazione della disciplina comunitaria da parte delle autorità nazionali

34 E dall’omologo art. 67 TUB nel caso della vigilanza consolidata. Per le società finanziarie con operatività elevata, poi, i poteri di vigilanza della Banca, in tutto simili a quelli relativi agli enti creditizi, sono contenuti all’art. 107 TUB.

35 Ad esempio, l’esercizio delle discrezionalità nazionali concesse dalla nuova disciplina prudenziale in materia di metodi IRB (vedi infra) è stato oggetto di revisione ad opera dell’Expert Group on capital requirements costituito all’interno del CEBS.

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e l’estensione dell’obbligo di motivazione anche a tali atti (in deroga all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241).

Anche per quel che riguarda gli intermediari mobiliari, la loro rilevanza per la stabilità dell’intero sistema finanziario ha richiesto il loro assoggettamento alla disciplina prudenziale.

L’approccio comunitario è quello di una considerazione unitaria dei principi relativi ai requisiti prudenziali per tutti gli intermediari finanziari, anche in considerazione della notevole variabilità del perimetro dell’attività bancaria nelle diverse tradizioni nazionali e dell’operatività di banche ed intermediari mobiliari nel medesimo mercato dei servizi di investimento. Da un lato la direttiva 2006/48/CE definisce il modello generale di vigilanza prudenziale, in attuazione dei principi di Basilea 2. La direttiva 2006/49/CE, a sua volta, contiene misure finalizzate all’armonizzazione (minima) della disciplina sull’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi per i rischi presenti nel trading book36. Include dunque le norme per la copertura dei rischi attinenti all’attività di investimento nei mercati mobiliari, a prescindere dal soggetto coinvolto.

Le due direttive, dunque, operano in stretta connessione. La Direttiva 2006/48/CE (ed i suoi allegati) delinea infatti la struttura generale della vigilanza prudenziale e definisce i livelli quantitativi per determinati rischi che indefettibilmente coinvolgono lo svolgimento dell’attività creditizia, ovvero il rischio di credito, di mercato, quello operativo e quelli di concentrazione (grandi fidi); la Direttiva 2006/49/CE disciplina i requisiti patrimoniali rispetto agli ulteriori rischi derivanti dallo svolgimento dell’attività di investimento37, a prescindere dall’accoppiamento della stessa all’attività creditizia (che comporterà anche il rispetto dei requisiti della direttiva 2006/48).

L’approccio unitario che caratterizza l’impostazione comunitaria subisce una scomposizione a livello di recepimento interno a seconda che si tratti di requisiti patrimoniali delle SIM, delle banche e delle società finanziarie. Infatti, per il potere normativo relativo agli intermediari mobiliari, la norma di

36 Ed a sua volta la direttiva 2004/39 (MiFid) rimanda a tali disposizioni per la definizione dei requisiti patrimoniali in sede di autorizzazione e successivamente, durante l’operatività dell’impresa di investimento, cfr art. 12.

37 Ovvero il rischio di posizione in titoli (all. 1), rischio di regolamento e di credito di controparte (all. 2), rischio di cambi (all. 3), rischio di posizione in merci (all. 4) e rischio di concentrazione derivante dal superamento del limite per i grandi fidi previsto nella direttiva 2006/48 (all. VI).

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riferimento è l’art. 6 comma 1 lett. a) del TUF38 e, per i poteri di intervento individuale, l’art. 7.

Tale scomposizione ha alcuni effetti in primo luogo per quel che riguarda la ripartizione delle competenze, nonostante gli sforzi operati, da ultimo con il D. Lgs. 164/07, per la loro razionalizzazione e coordinamento. Nel caso dei requisiti patrimoniali la vigilanza regolamentare è attribuita alla Banca d’Italia, ma per gli intermediari mobiliari non è previsto l’intervento del CICR (richiesto invece nel caso degli istituti di credito dall’art. 53 TUB), mentre è necessaria la consultazione della Consob. In secondo luogo si produce una moltiplicazione delle fonti di rango sub-primario, tra l’altro differenziate anche in relazione al loro nomen iuris. In relazione alle banche, infatti, operano le Istruzioni di vigilanza39. Per quel che riguarda le SIM, invece, opera un regolamento, in conformità all’art. 6 del TUF40. Infine per quegli aspetti dell’adeguatezza organizzativa rilevanti sia ai fini della vigilanza prudenziale che della trasparenza e correttezza (enumerati all’art. 6 comma 2bis TUF) opera un’originale ipotesi di competenza congiunta, che sarà analizzata infra (par. 5.2).

4.1.1. L’adeguatezza patrimoniale

Quanto al primo pilastro di Basilea 2, quello cioè dell’adeguatezza patrimoniale, la disciplina prevede la copertura obbligatoria di determinati profili di rischio mediante adeguati livelli di “fondi propri”, limitando in questo modo l’entità del “leveraggio” che la banca può effettuare sulla base del patrimonio che ha a disposizione.

Nonostante sia stata mantenuta l’impostazione dell’armonizzazione minima (rendendo quindi possibile l’adozione di misure più stringenti da parte delle autorità nazionali), emerge una differente impostazione rispetto alle direttive bancarie di prima generazione (rifuse poi nel “codice” del 2000): il perimetro e la profondità dell’armonizzazione è molto esteso e coinvolge non

38 Per quel che riguarda la possibilità di utilizzare rating esterni o modelli interni di

misurazione del rischio, il comma 1bis del medesimo articolo. 39 Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006, in particolare il Titolo II 40 In particolare, per quel che riguarda l’adeguatezza patrimoniale, si veda il Reg. BI

del 24 ottobre 2007

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solo i principi ma anche le specifiche tecniche (mediante gli allegati), nonché le forme di attuazione (mediante le linee guida del CEBS).

La disciplina sull’adeguatezza patrimoniale fa leva su due aspetti fondamentali: la definizione del novero dei “fondi propri”, idonei a rappresentare un cuscinetto capace di far fronte ad impegni non previsti; la valutazione del rischio delle attività possedute dall’intermediario e la corrispondente copertura patrimoniale da mantenere.

L’approccio patrimoniale, in effetti, non rappresenta una novità assoluta rispetto al procedente accordo di Basilea del 1988. Il profilo di maggiore novità nell’attuazione del primo pilastro risiede invece nella diversa determinazione dei valori che vengono a determinare il grado di rischio assunto dall’intermediario e, di conseguenza, la relativa copertura patrimoniale. La rischiosità degli impieghi, infatti, può essere determinata anche sulla base delle autonome valutazioni operate dalla banca nell’utilizzo dei propri sistemi di rating interno (Internal Ratings Based models – IRB) oppure, in mancanza, dalla valutazione di rischio effettuata da agenzie di rating esterne riconosciute (art. 53 comma 2bis TUB, art. 6 comma 1bis TUF), mentre il precedente accordo prevedeva fattori di ponderazione del rischio fissi per predeterminate categorie di attività.

Da un punto di vista dei poteri pubblicistici il nuovo regime viene a modificare in maniera significativa sia il perimetro di vigilanza della Banca d’Italia, sia il ruolo dell’autorità di vigilanza.

Per quel che riguarda il primo profilo, due sono gli aspetti di maggiore interesse. In primo luogo, nel nuovo scenario, qualsiasi intermediario, se non adotta un modello personalizzato interno di valutazione dei rischi, può calcolare il requisito patrimoniale sulla base della valutazione del rischio delle sue attività effettuata da società di rating esterne (art. 53 comma 2bis lett. a TUB e 6 comma 1 bis TUF)41. In secondo luogo, nel caso di utilizzo di

41 L’utilizzo del rating rilasciato da una ECAI può risultare particolarmente conveniente per l’intermediario, in quanto in mancanza di tale valutazione il rischio è, in genere, ponderato al 100%, mentre l’assegnazione di una classe di merito elevata permette “risparmi” nella dotazione patrimoniale derivante dalla riduzione del fattore di ponderazione (fino all’80% nel caso delle classi più elevate). Tuttavia questo incentivo vale solo per i crediti di migliore qualità, mentre per quelli più incerti la valutazione negativa di una ECAI può comportare un aggravamento del fattore di ponderazione (fino al 50%). Poiché la banca, se decide di utilizzare un rating di una ECAI per una categoria di crediti, deve utilizzarla per tutti i crediti rientranti in quella classe (Circolare Banca d’Italia n. 263/06, Titolo II, Capitolo 1, Sez. II, par. 2.2., contenente il divieto di utilizzo selettivo), è presumibile che per le classi di migliore qualità le banche utilizzino tali valutazioni, mentre se detengono classi di credito di qualità

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tecniche di mitigazione del rischio, ed in particolare in relazione ai derivati di credito, i soggetti verso i quali la banca può trasferire il rischio di credito (e quindi diminuire i propri requisiti patrimoniali) sono limitati: oltre a Stati ed altri soggetti sottoposti a vigilanza, infatti, sono ammessi solo soggetti che dispongano una adeguata valutazione del merito di credito da parte di società di rating riconosciute42. Ciò ha comportato un’estensione del perimetro dei soggetti sottoposti a vigilanza da parte della Banca d’Italia, in quanto l’autorità deve individuare quali siano le società di rating che offrano garanzie di affidabilità, in considerazione del rilevante effetto che tale valutazione ha sul grado di patrimonializzazione della banca (e di conseguenza sui suoi costi). La base legale per questa competenza è rappresentata dal secondo periodo dell’art. 53 comma 2bis lett. a) ed è stata implementata con le istruzioni di vigilanza, che fissano i requisiti ed il procedimento di validazione perché una società di rating possa svolgere il ruolo di External Credit Assessment Institution (ECAI) riconosciuta43. Tale potere, tuttavia, si limita ad autorizzare la valenza “legale” del rating svolto dall’ECAI, ma non comporta un potere di vigilanza continuo sull’agenzia, né poteri sanzionatori.

Per quel che riguarda il ruolo dell’autorità di vigilanza, dalla definizione ex ante di modelli di valutazione del rischio uguali per tutti l’autorità passa al ruolo di “validatrice” ex post dei modelli di valutazione proposti dall’intermediario44, diminuendo in maniera significativa il suo ruolo nella gestione diretta dei rischi. Mano a mano che diminuisce il contenuto degli elementi di valutazione del rischio predeterminato dall’autorità (dal modello IRB di base a quello IRB avanzato) aumenta l’importanza del provvedimento

peggiore si asterranno. Questo potrebbe però portare ad una tendenziale sottopatrimonializzazione.

42 Circolare Banca d’Italia n. 263/06, Titolo II,, capitolo 2, sez. III, sottosez. II, par. 5.3. e 6.1.

43 Circolare Banca d’Italia n. 263/06, Titolo II, capitolo 1, parte prima, sezione VIII. In particolare il controllo si appunta sia sugli aspetti relativi all’attività di rating ed alle metodologie utilizzate (oggettività della metodologia, verifica periodica dei giudizi, trasparenza della metodologia e dei giudizi) che sulla struttura organizzativa della società (in particolare la sua indipendenza) che sulla sua posizione nel mercato (reputazione). Oltre ai requisiti soggettivi, poi, la Banca verifica la corrispondenza delle classi di ponderazione di rischio definite dall’ECAI con quelle previste nelle Istruzioni (c.d. mapping).

44 Questo in realtà avviene nelle ipotesi di applicazione del modelli interni, perché per il modello standardizzato non è necessaria specifica autorizzazione. Ma anche in quest’ultima ipotesi, la valutazione del grado di rischio non è sempre predeterminata, ma si basa sul rating delle ECAI.

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puntuale con cui viene autorizzato il modello di calcolo della copertura patrimoniale del singolo intermediario.

Da questo punto di vista, rispetto all’approccio standardizzato che caratterizzava il primo accordo sul capitale, può individuarsi un aumento della discrezionalità dell’autorità, anche se non si può dimenticare che sia la direttiva 2006/48/CE (art. 144) che la soft law del CEBS richiedono la pubblicazione dei criteri in base ai quali si esercitano le opzioni discrezionali dell’Accordo. Si passa infatti da una definizione ex ante delle regole che l’intermediario è tenuto a rispettare per minimizzare l’impatto della sua attività sul rischio sistemico, ad una definizione caso per caso della validità dello stesso modello di business adottato dall’impresa45. Quello che tuttavia non muta (e che continua a differenziare il paradigma della vigilanza prudenziale rispetto a quello della vigilanza strutturale) dovrebbe essere la natura delle regole, sempre di tipo condizionale piuttosto che finalistiche46.

Su questo punto, dunque, assumerà importanza il rafforzamento delle garanzie procedurali dei provvedimenti individuali operato dall’art. 24 della l. 262/05, ed in particolare il ruolo della motivazione47.

Tuttavia c’è anche da chiedersi se tale provvedimento, che regola in realtà profili rilevantissimi per l’operatività in regime di concorrenza dell’intermediario, possa essere oggetto di accesso ed impugnazione da parte degli altri intermediari, nella misura in cui un esercizio distorto del potere di validazione possa alterare gli equilibri concorrenziali48. Se è vero che le

45 La valutazione dei rischi, dopotutto, rappresenta il nocciolo duro dell’attività bancaria e il processo di convalida non pone sotto scrutinio un modello di valutazione dei rischi a meri scopi regolatori, quanto piuttosto il modello di valutazione dei rischi che caratterizza quel determinato imprenditore. E’ infatti stabilità che il modello, per poter essere convalidato, deve essere quello effettivamente utilizzato dall’intermediario per lo svolgimento del proprio business (Circolare 263/06, Titolo II, Cap. I, Sez. III, Par. 4). Il salto qualitativo che caratterizza il passaggio dal modello standardizzato a quello interno è anche rappresentato dall’impossibilità, una volta approvato il secondo, di tornare ad una valutazione dell’adeguatezza patrimoniale sulla base del modello standardizzato (Circolare 263/06, Titolo II, Cap. I, Sez. VI, Par. 1).

46 Cfr. L. Torchia, op. cit. supra, nota 9. 47 Il ruolo della motivazione è sottolineato anche dal CEBS, il comitato dei

supervisori bancari, nelle sue Guidelines sulla validazione degli approcci IRB, in particolare para. 87 e 88.

48 La possibilità di impugnare un procedimento autorizzatorio in materia bancaria da parte di un concorrente è stata ammessa dal giudice amministrativo nella sentenza TAR Lazio 6157/05, cit. Nel caso di specie, tuttavia, la possibilità è stata ammessa in quanto i due procedimenti autorizza tori incidevano sul medesimo oggetto (l’acquisizione di Antonveneta).

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Guidelines del CEBS sulla Supervisory disclosure sottolineano l’importanza della trasparenza nel nuovo regime, è anche raccomandato che “…no individual decision regarding specific supervised institutions should be disclosed.”49. Pur trattandosi di una norma non vincolante, essa fa emergere una frizione con la disciplina sull’accesso contenuta nella legge 241/90 (ed in particolare il comma 7 dell’art. 24) e col principio di trasparenza, espressamente richiamati dall’art. 19 comma 4 e 24 comma 1 della legge 262/05.

Ancora, un profilo di possibile frizione fra la disciplina prudenziale e le tendenze ad una maggiore trasparenza dell’attività di vigilanza potrebbe essere rappresentata dal rafforzamento, operato dalla legge 262/05, della formalizzazione dell’attività dell’autorità. In un moto di reazione alla pervasività che la c.d. moral suasion aveva assunto nella (etero)determinazione delle dinamiche concorrenziali del settore bancario, la legge 262/05 era intervenuta cercando di ridurre al minimo la possibilità, per le autorità di vigilanza, ed in particolare la Banca d’Italia, di influenzare le scelte degli operatori in maniera informale. Anche l’eliminazione dell’informativa preventiva sulle operazioni di acquisizione bancarie50 rientrava in questo ordine di idee. Tuttavia, il confronto fra autorità e intermediario all’interno della nuova disciplina prudenziale, ed in particolare nel processo di convalida dei modelli interni, si svolge in gran parte in maniera informale. Prima dell’apertura del procedimento di convalida vero e proprio, c’è una lunga ed intensa fase di “pre-convalida”, di modo che con l’istanza di convalida si giunge più che altro a “collaudare” le risultanze già emerse nel confronto fra operatore e autorità nei contatti precedenti51.

Ciò aveva anche facilitato la possibilità, nel merito, di valutare la disparità di trattamento nei termini di violazione del principio di imparzialità (E. L. Camilli, cit., 3068) Un problema simile può riguardare gli operatori cross-borders, che si troverebbero assoggettati a diversi regimi regolatori (ad esempio uno per il gruppo e diversi regimi per le controllate). In questo caso il problema del levelling the playing field si pone soprattutto con riguardo alla neutralità della dimensione cross-border sulle scelte strategiche del gruppo: la presenza di diversi stili di vigilanza e diversi opzioni discrezionali, infatti, potrebbe influenzare le scelte di espansione territoriale del gruppo, sul punto si veda A. Pilati, Post-fazione, in F. Cannata (a cura di), Il metodo dei rating interni, Bancaria, Roma, 2007, 293.

49 Par. 12 delle CEBS Guidelines on supervisory discolsure. 50 Vedi supra nota 8. 51 In cui si verifica “preliminarmente la complessiva qualità del progetto in termini di

adeguatezza dell’impianto di internal governance e delle risorse deputate allo sviluppo dei sistemi IRB, la comparabilità degli approcci metodologici e dei dati all’interno del gruppo bancario, la qualità delle infrastrutture tecnologiche di supporto, i tempi di attuazione delle iniziative programmate”, oltre ad operare un coinvolgimento delle diverse autorità coinvolte nella regolazione del gruppo, cfr F. Cannata, G. Donato, D. Guadalupi, Verso l’attuazione del modelli

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Semmai, se può sottolinearsi una differenza fra l’informalità della moral suasion e quella del dialogo regolatorio, essa può individuarsi nel diverso livello pubblico coinvolto nel contatto con l’intermediario. Nel caso dell’informativa preventiva, ad esempio, era coinvolto direttamente il livello decisionale finale (il Governatore), mentre nel caso della pre-convalida si tratta di un dialogo fra l’intermediario ed un gruppo tecnico costituito ad hoc per definire un adeguato modello interno di valutazione.

4.1.2. Adeguatezza patrimoniale e trasferimento del rischio

Come si è accennato, le forme di gestione del rischio, in particolare gli strumenti dei derivati di credito, le cartolarizzazioni o combinazione dei due, possono avere un impatto notevole sull’operatività dell’intermediario. Entrambi gli strumenti permettono di trasferire il rischio legato a determinate operazioni di credito o a gruppi omogenei di attività detenute dalle banche. Nel primo caso il trasferimento riguarda un soggetto ben determinato (il protection seller), mentre con le cartolarizzazioni l’incorporazione del rischio in un titolo (c.d. securitization) permette di trasferire il rischio sul mercato. Mitigando il rischio attraverso il trasferimento esse permettono di liberare risorse patrimoniali e consentono l’ampliamento dell’operatività dell’impresa.

Ai fini prudenziali l’aspetto più rilevante è la verifica dell’effettivo trasferimento del rischio52. Le tecniche di risk mitigation sono prese in considerazione dall’Accordo di Basilea 2, dalla direttiva 2006/48/CE (artt. 90-101) e nel nostro ordinamento dalle Istruzioni della Banca d’Italia (Circ. 263/06, Titolo II, cap. 2), basate sull’art. 53 TUB. L’approccio comunitario, tuttavia, riguarda solo la definizione delle condizioni in base alle quali tali strumenti possono essere riconosciuti ai fini patrimoniali, ma non prevede una regolamentazione dell’emissione. Quest’ultima, per le sole cartolarizzazioni, è

IRB: la convalida di vigilanza, 2008, in in F. Cannata (a cura di), Il metodo dei rating interni, Bancaria, Roma, 2007, 276-277

52 Dall’altra parte l’intermediario può anche operare come acquirente del titolo oppure come protection seller (nel caso di derivati), quindi è necessario verificare il grado di rischio assunto con tale operazione. In tal caso, ai fini del calcolo del rischio assunto dalla banca, sarà determinate nuovamente il rating dello strumento acquistato oppure, in assenza di quest’ultimo, si analizzerà il rischio di credito associato allo strumento, quindi la probabilità che l’evento che fa scattare l’obbligo di protezione possa verificarsi (si veda Circolare 263/06, Titolo II, Cap. 2, parte seconda, sez. III).

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contenuta nella disciplina nazionale (Legge 30 aprile 1999 n. 130), che si applica, tuttavia, solo alle operazioni emesse in Italia.

La disciplina regolamentare ex ante illustra le condizioni in base alle quali alle operazioni di mitigazione del credito (derivati o cartolarizzazioni) possa essere riconosciuta una riduzione dei requisiti patrimoniali dell’ente creditizio. Su tali forme di gestione del rischio, dunque, la Banca d’Italia interviene valutando la loro conformità alla disciplina prudenziale ed in particolare il grado di esposizione o di garanzie concesse dalla banca allo Special Purpose Vehicle (SPV), tali da far ritenere che il rischio non sia stato trasferito in maniera significativa.

Laddove la Banca d’Italia rilevi scostamenti, gli strumenti di intervento di tipo amministrativo sono contenuti nell’art. 53 comma 3 TUB53, anche se in queste ipotesi le Istruzioni stabiliscono che la cartolarizzazione non è riconoscibile ai fini prudenziali54. Di conseguenza è ridotta la discrezionalità dell’autorità circa le misure da adottare, ovvero la predisposizione di una dotazione patrimoniale equivalente a quella necessaria nel caso in cui le attività non fossero state oggetto di cartolarizzazione55. Le istruzioni, inoltre, stabiliscono la medesima sanzione nell’ipotesi, non infrequente e spesso verificatasi nelle vicende finanziarie recenti, in cui la banca cedente (c.d. originator) garantisca un supporto anche implicito nei confronti del SPV, stabilendo tra l’altro l’obbligo per la banca di rilasciare un’apposita informativa al mercato (vedi infra)56.

La possibilità di valutare l’effettivo rispetto delle disposizioni prudenziali ed in particolare il grado di supporto, anche implicito, garantito dal cedente all’SPV con sede in Italia è rafforzato dalla applicabilità, a quest’ultimo, delle norme del Titolo V del TUB (artt. 106 e ss.) e di conseguenza la

53 L’articolo del TUB enumera una serie di poteri “correttivi” che la Banca d’Italia

può esercitare nei confronti dell’intermediario per porre rimedio ad eventuali scostamenti dai requisiti prudenziali (convocazione degli amministratori, convocazione e fissazione dell’ordine del giorno dell’organo collegiale delle banche, adozione di decisioni specifiche, tra cui limitazioni all’operatività alla distribuzione degli utili). Oltre a tali poteri di natura amministrativi, poi, potrebbero anche essere configurabili responsabilità di tipo penale, per esempio in caso di ostacolo alla vigilanza, ex art. 2638 c.c.

54 Circolare 263/06, Titolo II, capitolo 2, Sezione II, par. 4. 55 Si veda l’art. 101 par. 2 della direttiva 2006/48/CE e le Guidelines del CEBS sullo

SREP, Principle 4.2. Measure 2, lett. e. 56 Circolare 263/06, Titolo II, capitolo 2, Sezione II, par. 5.

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possibilità di esercitare i poteri di vigilanza esercitabili nei confronti delle società finanziarie.

Oltre a tale controllo prudenziale relativo all’impatto sui requisiti patrimoniali derivanti dal trasferimento del rischio, la legge 130/99, come modificata dal D.L. 35/05, ha previsto anche una ulteriore disciplina sulle obbligazioni bancarie garantite (c.d. covered bonds) attraverso le quali le banche possono effettuare la cartolarizzazione del proprio attivo (art. 7bis). La disciplina rimanda sia ad un regolamento del Ministero dell’Economia, che fissa il rapporto massimo fra gli attivi cartolarizzati e le obbligazioni emesse, sia alle disposizioni prudenziali ex art. 53 TUB. In questo caso le disposizioni della Banca d’Italia sono finalizzate a garantire che l’emissione dell’obbligazione, sottraendo attivi alla banca, non incida negativamente sugli altri creditori dell’istituto, ovvero i depositanti. Per questo sono fissati limiti massimi agli attivi cartolarizzabili e la banca, in quanto garante delle obbligazioni emesse dal SPV, è comunque tenuta a mantenere un requisito patrimoniale uguale a quello delle attività cedute57.

La Banca d’Italia, inoltre, poteva svolgere un ulteriore controllo sulle emissioni che caratterizzano le operazioni di cartolarizzazioni, a prescindere dall’ipotesi in cui l’originator fosse stato una banca o meno. La legge 130/99 prevede, ai sensi dell’art. 5 comma 1, l’applicabilità alle emissioni di titoli derivanti da operazioni di cartolarizzazioni dei controlli ex art. 129 TUB. Tale disposizione sottoponeva a comunicazione preventiva determinate emissioni di valori mobiliari, superiori a soglie predeterminate oppure aventi caratteristiche diverse da quelle predefinite dalla Banca d’Italia58. La Banca d’Italia poteva pronunciarsi sul differimento o sul divieto dell’operazione. Nel primo caso si trattava soprattutto di un controllo di tipo quantitativo sugli effetti dell’ordinato succedersi delle emissioni sulla liquidità del sistema. Nel caso di divieto dell’operazione, i criteri definiti dal CICR per esercitare tale potere ammettevano un controllo della Banca d’Italia anche su alcuni profili di legittimità dell’operazione, fino ad investire la corrispondenza del titolo ad uno schema generale e l’oggettività delle formule di indicizzazione, configurando

57 Si veda il Provvedimento Banca d’Italia del 15 maggio 2007, n. 501981. 58 Si vedano, in particolare, le Istruzioni del 1999, Titolo IX, capitolo I, Circolare

229/99.

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quindi quasi un potere di controllo sulla chiarezza del titolo59. A seguito del d. lgs. 303/0660 tale controllo preventivo è stato eliminato, sostituito con la facoltà di imporre obblighi di comunicazioni periodiche consuntive da parte degli emittenti. Ci si potrebbe però chiedere se il mantenimento (o la restaurazione) di un controllo di questo tipo sulle cartolarizzazioni non sia giustificato. Le cartolarizzazioni multiple stanno dimostrando come le operazioni di ingegneria finanziaria hanno reso difficile se non impossibile valutare il rischio effettivo di tali titoli anche per gli operatori professionali, con un aumento che ha minato la fiducia sui bilanci delle banche e, di conseguenza, l’operatività del mercato dei prestiti interbancari (c.d. credit crunch). Oltre all’obbligo del prospetto61, l’etero-valutazione da parte delle autorità pubbliche avrebbe limitato la possibilità che circolassero i famigerati toxic assets, almeno nella misura in cui non risultasse comprensibile l’indice di riferimento del rendimento. Certo è che un tale potere, per poter risultare efficace, avrebbe dovuto essere stato esercitato in tutte le giurisdizioni in cui si fosse dato luogo ad operazioni di cartolarizzazione, quindi dovrebbe essere adottato su scala globale.

4.1.3. Il processo di controllo prudenziale

Il secondo pilastro di Basilea 2, costituito dal processo di controllo prudenziale, rappresenta uno degli aspetti più innovativi della riforma, in cui l’autonomia imprenditoriale nella gestione del rischio trova la più compiuta affermazione.

In aggiunta ai requisiti prudenziali del primo pilastro, infatti, la banca è tenuta ad effettuare una valutazione interna di adeguatezza del capitale (Principio 1 – Internal Capital Adequacy Assessment Process - ICAAP) in relazione a tutti i rischi affrontati dall’impresa (non solo quelli per i quali è prevista

59 Delibera CICR del 12 gennaio 1994. Per la distinzione fra valutazione quantitativa e qualitativa nelle diverse ipotesi di differimento o divieto, si veda G. Artale, Profili pubblicisitici della cartolarizzazione, in D. Siclari – C. Rossano (a cura di), Interesse pubblico e controllo della finanza innovativa, CEDAM, Padova, 2006, 378-382.

60 D. Lgs. 29 dicembre 2006 n. 303, Coordinamento con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.) e del testo unico delle

disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.)”. 61 Nella forma semplificata, prevista all’art. 2 della legge 130/99, nel caso di

collocamento presso investitori qualificati, o in quella completa nel caso di collocamento presso il pubblico.

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un’apposita copertura patrimoniale nel Primo Pilastro62). Lo svolgimento di tale valutazione, inoltre, comporta anche una valutazione sull’adeguatezza organizzativa dell’ente circa la sua capacità di gestione del rischio. La valutazione interna, poi, è sottoposta a verifica da parte dell’autorità di vigilanza (Principio 2 – Supervisory Review and Evaluation Process - SREP), da cui deriva la possibilità di imporre ulteriori misure patrimoniali in relazione al complessivo profilo di rischio dell’intermediario (Principio 3) oltre alla possibilità di adottare pronte misure correttive, laddove il profilo di rischio assunto superi il livello di compatibilità con la dotazione patrimoniale dell’intermediario (Principio 4).

Anche in relazione al secondo pilastro l’approccio della disciplina comunitaria appare unitario per banche ed imprese di investimento. L’art. 123 della Dir. 2006/48/CE e l’art. 34 della Dir. 2006/49/CE impongono l’adozione, da parte di tutti gli intermediari finanziari, di adeguati processi di valutazione interna del rischio (l’ICAAP). Allo stesso modo il capo 4 del Titolo V della Dir. 2006/48/CE, richiamato dall’art. 37 della Dir. 2006/49/CE prescrive e regola lo svolgimento dello SREP63.

La disciplina nazionale, come notato già in precedenza, prevede due diversi atti normativi per banche e società di investimento, con una graduazione, nel secondo caso, dell’intensità dell’ICAAP a seconda della tipologia di SIM, in conformità al principio di proporzionalità che deve guidare l’autorità di vigilanza64.

62 Oltre al rischio di credito (e quello collegato di controparte), operativo e di

mercato, quindi, le istruzioni indicano gli ulteriori rischi da tenere in considerazione, quali il rischio di concentrazione, di tasso di interesse, di liquidità, il rischio residuo derivante dall’inefficacia delle misure di attenuazione del rischio prese ai sensi del primo pilastro, il rischio derivante da cartolarizzazioni, rischio strategico, rischio di reputazione, cfr Titolo III, cap. 1 all. A della Circolare 263/06.

63 Anche se la disciplina, più che sul contenuto del processo di controllo, si appunta sulle modalità dello stesso (la frequenza) e sull’oggetto minimo (i rischi valutati dalla direttiva). Solo ai sensi dell’art. 144 è prevista una limitazione alla discrezionalità dello stato membro, che deve rendere pubblico anche gli orientamenti generali in tema di controllo prudenziale. Preoccupandosi in misura particolarmente dettagliata delle ipotesi di gruppi multinazionali, in maniera da rendere possibile per l’autorità che svolge la vigilanza consolidata di poter esercitare un controllo prudenziale capace di avere la effettiva esposizione al rischio del gruppo.

64 Il principio di minimizzazione del sacrificio degli interessi dei destinatari in relazione all’esercizio dei poteri necessari per il raggiungimento del fine è stabilito nella l. 262/05, art. 23 comma 2. D-U. Galletta, Autorità di vigilanza, disciplina procedimentale e ruolo del giudice: le indicazioni contenute nel testo unico sulla tutela del risparmio e nel disegno di legge di riforma delle autorità amministrative indipendenti, in Diritto dell’economia, 2008, 67, sottolinea come il principio di

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Rispetto alla disciplina dei requisiti patrimoniali, tuttavia, sussiste un diverso spazio di manovra lasciato alla disciplina nazionale. La direttiva comunitaria non disciplina in maniera dettagliata i criteri che possono guidare l’autorità di vigilanza nello svolgimento del controllo prudenziale, in particolare nello stabilire la relazione fra la non adeguatezza dei risultati dello SREP e l’adozione di misure di intervento di vigilanza. In altri termini la scelta circa il livello di sensibilità e di reazione della vigilanza ad eventuali disarmonie riscontrate in sede controllo rimane, ancora oggi, una scelta affidata alle sensibilità dei singoli sistemi ed andrà risolta sulla base dei principi che guidano in generale l’attività dell’autorità di vigilanza.

In definitiva, da una prospettiva pubblicistica, il secondo pilastro appare connotato da una rilevante discrezionalità tecnica, anche considerando il fatto che la reazione può essere personalizzata per ciascuna banca, in relazione alle risultanze del dialogo instaurato in sede di processo di controllo prudenziale.

Ci si potrebbe chiedere, peraltro, se almeno alcune strade, ed in particolare quelle relative all’automaticità delle risposte di vigilanza (c.d. prompt corrective action - PCA) siano percorribili nel nostro sistema65.

È infatti vero che l’Accordo di Basilea 2 prevede che le autorità intervengano in una fase precoce, prima che si scenda sotto i livelli di patrimonializzazione minimi derivanti dal primo pilastro66 e che siano resi trasparenti i criteri seguiti nello svolgimento del controllo prudenziale67. Ma va comunque considerato che l’Accordo è un atto di soft law e che tali aspetti non sono regolati dalla disciplina comunitaria68, né dalla disciplina di rango

proporzionalità definito nella legge 262/05, non importerebbe la differente comparazione dell’interesse pubblico sotteso alla valutazione con quello degli interessi privati ad esso sacrificati, quindi la comparazione fra l’opzione zero e quella regolamentare in un ottica di cost-benefits analysis. In effetti anche la formulazione del principio di proporzionalità sancito all’art. 5 comma 5 del TUF non sembra mettere in gioco questo tipo di valutazione, ma solo quella, successiva, di scelta della misura meno onerosa per i destinatari.

65 Si vedano le osservazioni sul punto svolte da M. Luberti, Secondo e terzo pilastro di Basilea 2: un’opportunità di cambiamento per il sistema di vigilanza bancaria in Italia, in Banca Impresa Società, 2007, in particolare 267 e ss.

66 Principio 4, che prescrive anche l’adozione di pronte misure correttive. 67 Par. 779 dell’Accordo. 68 Come notato anche da M. J. Nieto – L. D. Wall, pre-conditions for a successful

implementation of supervisors’ prompt corrective action: is there a case for a banking standard in the EU?, Banco de España Working Paper n. 702/07, 20, l’articolo 124 della direttiva 2006/48, pur

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primario (l’art. 53, comma 3, TUB infatti definisce solo il novero delle misure che la Banca può adottare).

Al contrario, le finalità della vigilanza prudenziale definite all’art. 5 del TUB (ed ancor più la formulazione in termini sistemici del nuovo art. 6 TUF), ed in particolare l’enfasi posta sulla stabilità complessiva del sistema, potrebbero rendere inapplicabili nel nostro sistema stili di vigilanza che comportino un’automaticità degli interventi in relazione a determinati livelli di patrimonializzazione (la PCA statunitense69), al fine di ridurre l’opacità dell’azione di vigilanza e limitare il rischio di forbearance. Tale modello, infatti, trova il suo fondamento in un approccio delle finalità della vigilanza sensibilmente diverso da quello nazionale, ovvero quello della minimizzazione delle perdite per il fondo di tutela dei depositanti70. Tuttavia, ai fini della stabilità complessiva del sistema potrebbe talvolta risultare necessario astenersi dall’adozione di misure radicali (ad esempio il divieto di intraprendere nuove operazioni), se queste possono compromettere la situazione precaria ma recuperabile di un intermediario71. Nel nostro sistema, poi, l’intervento del

ponendosi nella prospettiva di una graduale riduzione della discrezionalità nello SREP, “[it] fall[s] short of a structured early intervention mechanism in the EU”. Anzi, visto che la pronta azione correttiva comporta l’adozione di una determinata impostazione sulle finalità della vigilanza e poiché le direttive non hanno comportato alcuna armonizzazione delle stesse (come confermato nella sentenza della Corte di Giustizia nel caso Paul et al., causa C-222/04), può affermarsi che l’adozione o meno di tale modello non è ancora stato oggetto di reale armonizzazione.

69 Per l’elaborazione dell’approccio PCA nel sistema statunitense a seguito della proposta formulata da , Benston e Kaufman nel 1988 si rimanda a M. J. Nieto – L. D. Wall, cit., 2007 e M. Luberti, cit, 2007, 268.

70 L’approccio della PCA caratterizza il sistema statunitense, in quanto la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) è abilitata ad intervenire con un grado crescente di incisività sull’intermediario in relazione allo sforamento di determinati livelli di patrimonializzazione, superiori a quelli minimi risultanti dalla somma dei requisiti previsti al primo pilastro. In questa maniera si intende intervenire quando ancora l’intermediario, se liquidato, è in grado di ripagare il la FDIC per le anticipazioni prestate nei confronti dei depositanti.

71 Ed in realtà si sta vedendo come anche nel sistema americano la recente crisi sia gestita prescindendo in parte dalla predeterminazione operata dal Federal Deposit Insurance Corporation Act, anche e soprattutto per il fatto che diversi soggetti finora coinvolti non erano sottoposti a tale disciplina (se si eccettua il caso della banca Washington Mutual).

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Fondo di Garanzia dei Depositi è conseguenza dell’apertura formale dello stato di crisi e non il contrario72.

Piuttosto, se si vuole rintracciare un qualche indice di predeterminazione della discrezionalità della Banca, le Istruzioni di vigilanza mostrerebbero una predilezione, fra le misure correttive, per quelle di tipo patrimoniale, quali possibili misure compensatrici di immediata attuazione rispetto a carenze nella gestione del rischio73.

4.1.4. L’informativa al mercato

Il terzo pilastro di Basilea II prevede, come già accennato, la previsione di obblighi di disclosure da parte degli enti sottoposti a vigilanza. L’idea sottostante tale pilastro è quella di permettere al mercato, attraverso le informazioni comunicate dagli stessi intermediari , la possibilità di valutare, autonomamente dall’autorità di vigilanza, l’adeguatezza patrimoniale dell’ente in relazione ai rischi assunti. La disciplina è regolata dal capo 5 del titolo IV della direttiva 2006/48 e, a livello interno, dall’art. 53 comma 1 lett. d) bis e dalle Istruzioni di vigilanza, con il quale viene attribuito alla Banca d’Italia il potere di definire le informative che devono essere rese pubbliche sulla base della matrice comunitaria e dell’accordo74. L’esperienza recente sta mostrando, tuttavia, la difficoltà del mercato di valutare correttamente il grado di rischio dell’intermediario, senza dare sfogo agli animal spirits speculativi, suscettibili al contrario di minare la stabilità del sistema creditizio, piuttosto che rappresentare un segnale credibile della qualità degli attivi.

Questo profilo, anzi, potrebbe mostrare profili di interrelazione con la disciplina in materia di trasparenza e correttezza attribuiti alla Consob (vedi infra). Tuttavia, già a livello regolamentare, mentre per le SIM il richiamo all’art. 6 comma 1 lett. b) del TUF comporta la consultazione fra Consob e Banca d’Italia, per quel che riguarda le banche un analogo raccordo non è previsto,

72 L’art. 96bis comma 1 del TUB prevede che i sistemi di garanzia rimborsino i

depositanti degli enti sottoposti a liquidazione coatta, quindi l’intervento è subordinato alla decisione da parte del Ministero ell’Economia.

73 Vedi Circolare 263/06, in particolare Titolo III, cap. I, par. 5. 74 Rispetto allo schema informativo predisposto dall’autorità, gli intermediari hanno

la possibilità di adattare le informazioni pubblicate in base al criterio della rilevanza e della confidenzialità, salvo nel caso in cui facciano riscorso a modelli IRB per la determinazione del rischio ed a tecniche di attenuazione del rischio.

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nonostante la competenza della Banca possa incidere sul grado di trasparenza del mercato75.

4.2. La vigilanza sulla trasparenza e correttezza e le competenze della Consob

Dopo aver analizzato i profili di competenza della Banca d’Italia in funzione di controllo sul grado di rischio assunto dagli intermediari, è utile analizzare il ruolo della Consob.

Anche con riferimento alla disciplina sulla trasparenza e correttezza76 è intervenuta in maniera decisa la disciplina comunitaria, per cercare di rafforzare ed armonizzare il grado di tutela dell’investitore europeo. Anzi, su tale materia la normazione comunitaria ha già abbracciato il principio dell’armonizzazione massima, con il divieto generale per i singoli Stati Membri di emanare discipline più restrittive rispetto a quelle definite nelle direttive (c.d. gold plating)77. Ma oltre alla disciplina comunitaria ed al suo recepimento78, anche in relazione ai poteri della Consob si intersecano gli interventi normativi di matrice nazionali apportati con la legge n. 262/05 ed il decreto legislativo correttivo n. 303/06.

Gli aspetti della disciplina sui mercati dei capitali di maggiore interesse per il controllo dei rischi degli intermediari riguardano sicuramente i profili della regolamentazione delle informazioni sugli intermediari e sui prodotti finanziari distribuiti. In entrambi i casi il ruolo della Consob sui rischi assunti dall’intermediario è, per così dire, indiretto, in quanto coinvolge l’impatto che determinate informazioni possono avere sul rischio reputazionale dell’intermediario e la possibilità che il rischio sia trasferito, in maniera

75 Ad esempio la validazione di un metodo IRB da parte della Banca d’Italia

comporterà, di necessità, la divulgazione di determinate informazioni al mercato. 76 Che rappresentano i profili di competenza della Consob, ai sensi dell’art. 5 comma

3 del TUF. 77 Nonostante il perseguimento della piena armonizzazione, tuttavia, si può

sottolineare come le direttive non effettuino una scelta precisa in relazione alla finalità della disciplina (tutela dell’investitore o garanzia della parità concorrenziale per le società di investimento operanti nel mercato unico)

78 Riguardante la disciplina in materia di prospetto (Dir. 2003/71/CE), recepita con il D. Lgs. 28 marzo 2007, n. 51; in materia di disciplina dei mercati finanziari (Dir. 2004/39, c.d. MiFid), recepita con il D Lgs. 164/07; in materia di informazioni degli emittenti (Dir. 2004/109/CE), recepita con il D. Lgs. 6 novembre 2007, n. 195; in materia di OPA (Dir. 2004/25/CE), recepita con il D Lgs. 19 novembre 2007, n. 229.

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scorretta o non trasparente, ad investitori non in grado di discernere l’effettivo grado di rischiosità dello strumento finanziario.

Un primo profilo di interrelazione, dunque, riguarda le c.d. informazioni regolamentate, ovvero quelle che ogni emittente, ai sensi dell’art. 113ter TUF e del relativo regolamento Consob, deve rendere pubbliche. Su questo aspetto la disciplina relativa all’informativa al mercato del Terzo Pilastro dovrebbe rappresentare un set informativo aggiuntivo e non sostitutivo della disciplina generale; quindi non dovrebbero sorgere contrasti fra le due normative. Semmai potrebbe essere utile un’attività di coordinamento per minimizzare gli obblighi informativi a carico dei destinatari.

Oltre alla definizione ex ante delle informazioni da rendere periodicamente pubbliche, poi, la Consob è dotata di un ulteriore incisivo potere sul grado di trasparenza degli intermediari. Ai sensi dell’art. 114 TUF, infatti, la Consob può chiedere agli emittenti quotati di rendere pubbliche le informazioni privilegiate79 di cui dispongono. In proposito si pone la questione se tale potere possa incidere sulla discrezionalità dell’impresa, che comunque la disciplina prudenziale relativa al terzo pilastro riconosce, circa la possibilità di non divulgare informazioni riservate. Il dubbio è cioè se l’ambito di esenzione previsto dal Terzo Pilastro per le informazioni confidenziali possa essere sovrapponibile all’ipotesi, prevista all’art. 114 comma 6 TUF, di opposizione alla pubblicazione di informazioni che possano recare grave danno all’impresa. Considerando la portata supplementare delle informazioni da rilasciare ai sensi del Terzo Pilastro, appare improbabile una qualche limitazione del potere ex art. 114 sulla base della specialità della disciplina prudenziale. Semmai il potere della Consob rafforza la disciplina di mercato nei confronti degli intermediari e può quindi comportare la richiesta di pubblicazioni ulteriori, qualora possano influire sulla valutazione degli strumenti finanziari emessi dall’intermediario stesso. Al tempo stesso l’esercizio di questo potere, soprattutto in una situazione di crisi, dovrebbe essere oggetto di coordinamento, per lo meno informale, con l’autorità prudenziale, per evitare di aggravare operazioni speculative sull’intermediario.

Un secondo profilo di interrelazione fra le due autorità nel controllo dei rischi riguarda la disciplina dell’adeguatezza organizzativa dell’intermediario mobiliare. Tale disciplina, infatti, rileva sia ai fini dell’attuazione della direttiva 2004/39/CE (MiFid) e 2006/73/CE (di livello 2 rispetto alla Mifid) sia in

79 Definite all’art. 181 TUF.

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relazione alla competenza in materia di adeguatezza dei controlli interni ai fini prudenziali (in particolare art. 123 della Dir. 2006/48/CE).

Senza addentrarsi nei dettagli della disciplina dei controlli interni degli intermediari, si può riscontrare come la regolazione della struttura organizzativa dell’intermediario assuma una importanza ambivalente nel contesto della vigilanza finanziaria. Essa diventa centrale per la vigilanza prudenziale nel momento in cui si decide di riattribuire all’intermediario la sua sfera di autonomia decisionale nella gestione del rischio. Non potendo più incidere sui contenuti nelle decisioni imprenditoriali dell’intermediario, la vigilanza prudenziale si sposta sulla regolazione dell’infrastruttura decisionale, come si è visto per il Secondo Pilastro80. Ma la struttura organizzativa dell’intermediario influisce anche sul grado di correttezza dello stesso nel suo relazionarsi con i clienti81.

Proprio in considerazione della strettissima interrelazione fra i due profili, le recenti modifiche apportate al TUF dal decreto n. 164/07 hanno introdotto una rilevante ipotesi di coordinamento “forte” fra le due Autorità, ovvero quella del regolamento congiunto82. (vedi anche infra)

Alla competenza regolamentare congiunta ex art. 6 comma 2bis, poi, si affiancano competenze di vigilanza individuale disgiunte, sulla base del criterio delle finalità, ex art. 6 comma 2ter TUF. Tali competenze di enforcement, tuttavia, hanno operato finora con modalità differenti. Nel caso in cui l’esito del controllo prudenziale riveli carenze di tipo organizzativo, l’intervento della Banca d’Italia, come si è visto, è soprattutto di tipo preventivo e può prevedere

80 Sottolinea la centralità della vigilanza prudenziale relativa alla regolazione della

funzione di compliance nell’economia dell’Accordo di Basilea e nella implementazione ad opera delle istruzioni della Banca d’Italia, F. Capriglione, I “prodotti” di un sistema bancario evoluto. Quali regole per le banche?, in Banca Borsa Titoli di credito, 2008, 57 e ss. in particolare.

81 Oltre al fatto che sia le società di investimento che gli intermediari creditizi ed assicurativi sono tenuti al rispetto della disciplina delineata dal Regolamento Consob intermediari sulla prestazione dei servizi di investimento, ai sensi dell’art. 25bis TUF (introdotto dalla legge a tutela del risparmio) che dichiara applicabili a banche ed assicurazioni le disposizioni di cui all’art. 21 e 23 del TUF.

82 La novità non deriva direttamente dalla disciplina comunitaria recepita, ma è legata alla specifica situazione italiana di ripartizione delle competenze. Tuttavia anche nella direttiva MiFid, all’art. 49, è previsto che, nel caso di una molteplicità di autorità nazionali, le rispettive competenze siano definite “chiaramente” (ed a questo sono funzionali l’art. 5 comma 2 e 3 e l’art. 6 TUF) e che tali autorità collaborino “strettamente”. Il dovere di collaborazione, dunque, individuato all’art. 21 della legge 262/05 e all’art. 5bis TUF, trova riconoscimento anche a livello comunitario.

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la prescrizione di misure specifiche di gestione oppure un incremento della dotazione patrimoniale dell’intermediario (vedi supra). La Consob, invece, sebbene sia dotata comunque di poteri di vigilanza “correttiva”83, ha preferito utilizzare i propri poteri sanzionatori sia nei confronti della società che degli esponenti aziendali84. Va difatti considerato che mentre la Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 8 comma 5bis TUF, può esercitare solo il potere di audizione, fra quelli previsti dall’art. 187octies TUF (oltre alla vigilanza ispettiva ed informativa), la Consob nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza dispone del potente strumentario istruttorio previsto dall’intero art. 187octies.

Passando a considerare il tema del trasferimento dei rischi, come si è visto, l’evoluzione delle forme di gestione del rischio ha innovato i modelli di business delle banche, favorendo il c.d. fenomeno della securitization, ovvero l’incorporazione del rischio legato a determinate attività in titoli negoziabili. L’aspetto di maggiore interesse in relazione all’azione svolta dalla Consob riguarda l’effettiva consapevolezza degli operatori di mercato sulla consistenza dei rischi incorporati. Le operazioni di finanza strutturata, infatti, rendono meno trasparente l’effettivo grado di rischio incorporato nello strumento, anche per gli stessi operatori qualificati.

Per questo la legge 130/99, all’art. 2, ha confermato l’applicabilità della disciplina sul prospetto a tali emissioni Tuttavia, e questa è una peculiarità della disciplina sulle cartolarizzazioni italiana, l’emanazione di un prospetto, sebbene in forma semplificata, si impone anche nell’ipotesi di collocamento presso investitori professionali e rappresenta una salvaguardia contro la graduale perdita di informazioni che può caratterizzare tali strumenti, anche fra operatori qualificati85.

83 Di vigilanza correttiva, quale forma ulteriore rispetto a quella regolamentare,

ispettiva e informativa, parla S. Amorosino, Funzioni e poteri della CONSOB “nouvelle”, in Banca Borsa titoli di credito, 2008 in particolare 141

84 Per un caso di procedimento sanzionatorio in materia di carenze organizzative, proprio con riferimento alla negoziazione di derivati, si veda la Delibera Consob n. 16070 del 1° agosto 2007. In tal caso sono stati sanzionati alcuni dipendenti ed esponenti di due banche del gruppo Unicredito per non aver predisposto forme di controllo interno relative all’operatività su derivati. Le sanzioni sono poi state confermate in sede di opposizione, cfr Corte d’Appello di Venezia, decreto 17 luglio 2008, disponibile sul sito www.consob.it.

85 Nel recente Report dello IOSCO preparato in occasione della Conferenza Annuale tenutasi a Parigi nel maggio 2008 sulle recenti crisi finanziarie, infatti, la disciplina italiana viene menzionata fra quelle che, stabilendo un contenuto minimo informativo da allegare alla cartolarizzazione, hanno permesso un incremento del grado di trasparenza di tali

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Il presidio del prospetto, a sua volta, risulta rafforzato a seguito dell’intervento di recepimento della disciplina comunitaria e della legge a tutela del risparmio. In primo luogo si è sostituito il precedente sistema di notificazione con un sistema di autorizzazione preventiva del prospetto86. Per quel che riguarda la dimensione soggettiva dell’obbligo, poi, sono drasticamente ridotti i casi di esclusione. L’art. 11 comma 2 lett. b) della legge 262/05 ha abolito l’esenzione dall’obbligo per i prodotti emessi da banche e assicurazioni87. La nuova disciplina comunitaria, poi, ha previsto una rimodulazione della categoria degli investitori qualificati (in precedenza definiti professionali), nei cui confronti non è necessaria la pubblicazione del prospetto ai sensi dell’art. 100 lett. a) TUF: nel nuovo sistema l’inserimento fra gli investitori qualificati delle Piccole e medie imprese, nonché delle persone fisiche, opera solo sulla base dell’espressa richiesta di inserimento in un apposito registro88. Infine, dal punto di vista oggettivo, la legge 262/05 ha introdotto l’art. 100bis, che ha esteso l’obbligo del prospetto anche alle ipotesi di rivendita al pubblico di strumenti finanziari che in origine erano stati esentati dall’obbligo. In questo modo la tutela per l’investitore derivante dal prospetto e dal controllo della Consob si esercita anche a valle delle diverse fasi di “impacchettamento” del prodotto da parte degli intermediari a seguito della sua emissione originaria. E’ tuttavia lecito dubitare dell’efficacia di tale controllo, perché spesso le informazioni analitiche del prospetto vengono sottovalutate rispetto alle informazioni sintetiche derivanti dal giudizio di rating, di immediata e facile lettura.

emissioni. Anche in questo caso, tuttavia, l’adozione frammentata da parte di singoli stati non ha permesso di svolgere un controllo efficace sulle cartolarizzazioni originate in altri stati.

86 L’art. 94bis comma 2 del TUF, introdotto dal d. lgs 51/07 in attuazione della direttiva c.d. prospetti, prevede che “la Consob approva il prospetto nei termini da essa stabiliti con regolamento conformemente alle disposizioni comunitarie. La mancata decisione da parte della Consob nei termini previsti non costituisce approvazione del prospetto.” In virtù del richiamo operato dall’art. 2 comma 1 della legge 130/99 alla disciplina del TUF e del fatto che il comma 3 del medesimo articolo richiama genericamente la nozione di prospetto informativo, sebbene semplificato, anche nel caso di collocamento presso investitori qualificati, appare ragionevole sostenere che il nuovo sistema di approvazione preventiva del prospetto si applichi anche per tali soggetti.

87 Per i quali vigeva un obbligo di trasparenza leggermente diverso, gestito dalle autorità di settore, Banca d’Italia e ISVAP.

88 Si veda l’art. 2, par. 3, della Direttiva 2003/71/CE, che dovrebbe comportare l’inserimento di un apposito articolo (art. 33bis) nel Regolamento emittenti della Consob n. 11971/99, sulla base del documento di consultazione disponibile al sito http://www.consob.it/main/documenti/Regolamentazione/lavori_preparatori/consultazione_emittenti_20071228.htm?hkeywords=&docid=10&page=0&hits=74 .

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Sempre sull’aspetto del collocamento, infatti, la legge 130/99 prevede che laddove l’emissione riguardi la platea degli investitori non professionali, l’operazione sia sottoposta a valutazione del merito del credito da parte di agenzie di rating esterne (art. 2 comma 5 l. 130/99). Come nell’ipotesi, già vista, dell’art. 53 comma 2bis lett. a) TUB, il legislatore ha introdotto un’ipotesi di “valore legale” dell’attività di valutazione dei rischi svolta da soggetti privati, cui si correla un potere regolamentare. Questo potere regolamentare relativo alle società di rating, che svolgono una funzione essenziale sul fronte della corretta formazione dei prezzi nel mercato, soprattutto per strumenti complessi, è stato attuato nel caso di specie con il Regolamento Consob 12175 del 2 novembre 1999. La succinta disciplina si concentra sulla definizione di criteri minimi di tipo organizzativo, relativi in particolare alla competenza degli operatori (art. 2) e alla presenza di conflitti di interessi con gli emittenti (art. 3). Tuttavia, anche in tal caso, non è previsto alcun potere generale di vigilanza continua su tali soggetti, né sottoposto a controllo il metodo utilizzato dalla società e comunque esso ha portata limitata alle cartolarizzazioni. Un potere di vigilanza sulle società di rating di portata generale, invece, era stato previsto dalla legge 62/05, che aveva esteso a tali società la disciplina ex art. 114 comma 8 TUF prevista per le società che producono o diffondono valutazioni sui prodotti finanziari. Nella legge 262/05, tuttavia, questa estensione è stata espressamente eliminata, sebbene le ultime vicende abbiano reso evidente l’esigenza, a livello internazionale e comunitario, di una progressiva regolamentazione di tale funzione. Va infatti considerato che la regolamentazione analitica definita a livello prudenziale (vedi supra) coinvolge solo le agenzie che, attraverso la loro valutazione, intervengono nella valutazione dei rischi (in particolare quelli di credito) assunti dall’intermediario. Ma tale disciplina non si estende alle valutazioni svolte nel più generale mercato degli strumenti finanziari. Nell’ottica di una graduale estensione del perimetro della vigilanza a tutti i soggetti che direttamente o indirettamente possono concorrere alla gestione dei rischi assunti dagli operatori, un controllo anche sulle metodologie di rating adottate al di fuori del contesto prudenziale e l’esercizio di una vigilanza continua, dotata di poteri regolamentari e sanzionatori, potrebbe rappresentare un utile elemento per rafforzare la fiducia nei mercati.

5. Il coordinamento fra i poteri pubblici

I fenomeni che hanno interessato l’evoluzione finanziaria recente, come si è detto, riguardano l’internazionalizzazione e l’integrazione dei mercati finanziari e creditizi. Tali fenomeni tuttavia si devono scontrare con la

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permanenza di una molteplicità di giurisdizioni e finanche di sistemi di vigilanza all’interno della medesima giurisdizione (come nel caso italiano). Se i rischi sono in grado di essere trasferiti con estrema facilità da una giurisdizione all’altra, in effetti si pone il problema di come mantenere una copertura efficace sul controllo dei rischi pur in un contesto caratterizzato da una molteplicità di autorità competenti. Il problema si pone a livello globale, ma, per i profili che qui interessano, anche comunitario, in considerazione della creazione del mercato interno, e nazionale, ed è di importanza cruciale: anche il migliore dei sistemi normativi di vigilanza è destinato a fallire se sono assenti le misure organizzative necessarie per rendere efficace la vigilanza in uno scenario multi-giurisdizionale. In altri termini, parlare dei poteri di Banca d’Italia e Consob rischia di risultare inutile nel momento in cui è possibile “importare” rischi sui quali il potere di vigilanza delle autorità nazionali risulti inefficace. E tale assenza di coordinamento nella fase applicativa risulta essere ancora più determinante nelle situazioni di crisi. Per tale motivo può essere utile analizzare brevemente alcuni sistemi che permettono il coordinamento fra i diversi poteri pubblici coinvolti nel controllo dei rischi.

5.1. Il livello comunitario

Il coordinamento delle autorità di vigilanza prudenziale a livello comunitario ruota attorno a due principi, in parte confliggenti. Da un lato opera il principio dell’home country supervision, ovvero l’attrazione della vigilanza su ciascun ente in capo all’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività89. Dall’altro lato la nascita di gruppi cross-border accentua sempre più il ruolo dell’autorità di vigilanza competente su base consolidata, in considerazione del fatto che la direzione strategica nel gruppo sempre più viene sottoposta a gestione unitaria da parte della società madre. Il rischio di discordanze fra l’autorità competente per il singolo intermediario e quella del gruppo è accentuato dagli ostacoli che incontra il processo di creazione del Mercato Interno a causa dell’allocazione delle competenze riguardanti la safety net. L’implementazione di quest’ultima, infatti, (ed i relativi costi) sono tuttora di competenza dei singoli stati, Il risultato più evidente di tale allocazione delle competenze può essere quello di influire negativamente sugli incentivi dei singoli Stati Membri ad accettare limitazioni sulle loro prerogative regolatorie,

89 Tale principio, stabilito in generale all’art. 40 della Direttiva 2006/48/CE, trova

alcuni contemperamenti appunto in relazione alla vigilanza consolidata e, nel caso delle succursali, in relazione alla vigilanza sulla liquidità dell’ente creditizio.

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ovvero sui poteri conformativi sulle imprese bancarie. Infatti, ad una perdita di controllo non sarebbe associata un contestuale alleggerimento delle responsabilità in caso di crisi90.

La tensione fra le due sfere di competenza in sede di applicazione del controllo sui rischi (quella individuale basata sull’home supervision e quella consolidata) viene gestita dalla legislazione comunitaria mediante due modelli di coordinamento. Il modello generale, che coinvolge l’esercizio di gran parte dei poteri puntuali sulle singole società del gruppo, è quello del coordinamento per così dire “adespota”, rinvenibile ad esempio all’art. 132 della Direttiva 2006/48/CE. Questo modello conferma l’autonomia delle diverse sfere di competenza che intervengono nella vigilanza delle diverse società appartenenti al gruppo bancario, ma prevede un continuo scambio di informazioni fra le autorità coinvolte (art. 139), un obbligo di comunicazione delle informazioni più rilevanti (art. 132 par. 1) ed un obbligo di consultazione prima dell’adozione delle decisioni più importanti per l’ente creditizio (art. 132 par. 3). Che ciò non comporti alcuna co-gestione dei poteri di vigilanza è confermato, tuttavia, dalla possibilità di saltare la fase di consultazione nelle ipotesi di esercizio di poteri in situazioni di emergenza (art. 132, par. 3), ovvero proprio le ipotesi in cui potrebbe essere necessario un maggiore coordinamento.

Il secondo modello di coordinamento che emerge nella direttiva è quello gestito dall’autorità di vigilanza consolidata, sulla base delle disposizioni dell’art. 129 della Direttiva 2006/48/CE. Tale soggetto opera come organizzatore della struttura informativa fra le autorità competenti per le singole società del gruppo (si veda art. 129 par. 1 della Direttiva 2006/48/CE) e come catalizzatore delle informazioni (art. 130). Inoltre, proprio in sede di recepimento di Basilea 2, l’art. 129 ha delineato un ruolo anche decisorio dell’autorità competente sulla vigilanza consolidata. Infatti nel caso in cui l’impresa creditizia madre e le filiazioni decidano di adottare un modello IRB per la valutazione del rischio di credito91, le diverse autorità competenti sono

90 Si veda ad esempio C. A. E. Goodhart – D. Schoenmaker, Burden sharing in a

banking crisis in Europe, in London School of Economics Financial Markets Group Special Paper Series, n. 164, 2006 ..

91 L’art. 129 della Direttiva è caratterizzato purtroppo da un’ambiguità letterale che non permette di definire in maniera certa l’ambito di applicazione del meccanismo: dal tenore letterale, infatti, sembrerebbe che esso si attivi solo se la convalida dei modelli interni venga richiesta contestualmente dalla società madre e dalle filiazioni estere, mentre non opererebbe nel caso in cui le due entità operino in momenti successivi o quando solo alcune delle filiazioni o solo la società madre optino per l’adozione dei modelli interni. Il problema si è posto in

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chiamate a consultarsi per giungere ad una decisione comune sulla convalida del modello; tuttavia, se entro 6 mesi non si giunge ad una decisione comune sulla convalida, l’autorità competente sulla vigilanza consolidata può adottare autonomamente la decisione, sulla falsariga del modello adottato, nel nostro ordinamento, per la conferenza di servizi.

Mentre il primo modello è ancora quello generale per l’esercizio dei poteri puntuali di vigilanza, il secondo rappresenta allo stato attuale solo l’embrione di un possibile sviluppo della struttura di vigilanza comunitaria, peraltro avversato da diversi Stati Membri che mantengono fermo il principio dell’home supervision. La tensione che caratterizza tali modelli, in considerazione dell’assenza di un consenso per la definizione di un’autorità di vigilanza comunitaria, ha spinto quindi verso la graduale emersione di un modello di vigilanza “a geometria variabile”, che si adattasse a ciascun gruppo bancario cross-border sulla base del consenso di tutte le autorità coinvolte, ma con la possibilità di prevedere un ruolo accresciuto dell’autorità di vigilanza consolidata. Infatti l’art. 131 della Direttiva 2006/48/CE ha previsto la possibilità di attribuire, sulla base di un accordo sottoscritto dalle autorità competenti, ulteriori funzioni all’autorità di vigilanza consolidata. Tale accordo può prevedere una vera e propria delega di funzioni ed anche una ridefinizione dei processi decisionali all’interno dell’insieme dei supervisori competenti a vigilare i diversi elementi del gruppo bancario. Tale disposizione trae ispirazione dagli accordi che già in via informale le autorità di diversi Stati Membri avevano adottato per coordinare l’esercizio dei poteri di vigilanza sui gruppi cross-border, sia su base bilaterale92 che multilaterale (i veri e propri collegi di supervisori)93.

occasione del caso Deutsche Bank, che ha dichiarato di voler adottare i modelli interni solo per la società madre, lasciando che le filiazioni cotinuino ad adottare i modelli standardizzati. Il caso e i profili critici derivanti da un’interpretazioni restrittiva dell’ambito di applicazione del meccanismo di consolidamento della vigilanza previsto all’art. 129 sono ben illustrati da F. Cannata, G. Donato, D. Guadalupi, Verso l’attuazione del modelli IRB: la convalida di vigilanza, in F. Cannata (a cura di), Il metodo dei rating interni, Bancaria, Roma, 2007, 272 e ss.

92 Si pensi ad esempio al Memorandum of understanding del 16 agosto 1993 fra Banca d’Italia e BaFin; tale accordo quadro con l’acquisizione della banca tedesca HBV da parte di Unicredit è stato aggiornato con una side letter stipulata il 1° dicembre 2005 per gestire la supervisione del gruppo.

93 Ad esempio per la vigilanza del gruppo scandinavo Nordea e del Gruppo Unicredito.

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L’esperienza dei collegi dei supervisori è infine oggetto di ulteriore considerazione in sede di revisione della Direttiva 2006/48/CE, attualmente al vaglio della Commissione. Per rafforzare il coordinamento, l’istituzione dei Collegi di Supervisori nelle ipotesi dei gruppi cross-border sarebbe reso obbligatorio e dovrebbe essere strutturato sulla base di linee guide elaborate dal CEBS. Tale collegio non comporterebbe un superamento del principio dell’home supervision, in quanto ciascuna autorità rimarrebbe competente per l’esercizio dei propri poteri di vigilanza (che non sarebbero attribuiti al collegio) e le decisioni del collegio continuerebbero ad essere adottate all’unanimità. Nell’ultima versione della proposta di modifica della Direttiva 2006/48/CE94, tuttavia, la Commissione ha deciso di rafforzare anche il modello di “consolidamento della supervisione” definito dall’art. 129. Il meccanismo della decisione congiunta con l’ultima parola all’autorità di vigilanza consolidata, infatti, dovrebbe riguardare anche poteri, come l’imposizione di livelli minimi di patrimonializzazione più elevati in considerazione delle risultanze dello SREP (art. 136 par. 2 della Direttiva 2006/48/CE), che sono essenziali per effettuare correzioni sulla capacità dell’intermediario di assorbire il rischio assunto95. Sotto la spinta dell’emergenza e dell’inadeguatezza dell’attuale modello di coordinamento, dunque, la mediazione fra il principio dell’home supervision e la forza attrattiva della vigilanza consolidata, sta lentamente comportando un rafforzamento della seconda96.

Il compromesso dell’organizzazione a geometria variabile nella on-going supervision, comunque, rischia di collassare davanti a poteri di intervento puramente nazionali in caso di crisi sistemica: nessuno Stato può permettersi di

94 Si veda la Proposta della Commissione del 1° ottobre 2008, ancora ufficiosa,

disponibile al sito http://ec.europa.eu/internal_market/bank/docs/regcapital/comitology_crd%202006-48_en.pdf e approvata dal Consiglio ECOFIN del 7 ottobre 2008. Il cambiamento, netto, rispetto alla proposta originaria ha tenuto conto sia delle risposte negative espresse in sede di consultazione che della crisi in atto.

95 Si veda il nuovo art. 129 par. 3 come risulterebbe dalla Proposta. Oltre all’imposizione di misure patrimoniali ulteriori, il modello dovrebbe applicarsi anche sulle modalità di effettuazione dello SREP. A differenza delle decisioni in materia di convalida dei modelli IRB, tuttavia, il nuovo paragrafo 3 dell’art 129 prevedrebbe la possibilità di richiedere la mediazione del CEBS per il raggiungimento dell’accordo, con l’emanazione di un parere di cui l’autorità competente sulla vigilanza consolidata dovrebbe tener conto.

96 Un correttivo, ma solo parziale, sarebbe rappresentato dalla necessità che ciascun home supervisor tenga in conto, nell’esercizio

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rinunciare al controllo sui rischi, se è destinato a subire le conseguenze economiche di un suo fallimento.

Il nodo vero, infatti, rimane quello della gestione delle crisi (e soprattutto dei salvataggi) nella misura in cui il controllo preventivo sui rischi, come dimostra l’attuale fase, si dimostri insufficiente. Il modello consensualistico a geometria variabile, infatti, caratterizza anche il coordinamento nella gestione delle crisi sistemiche, come risulta dal Memorandum of Understanding on Cooperation between the Financial Supervisory Authorities, Central Banks and Finance Ministries of the European Union on cross-border financial crisis situations97. Nel Memorandum è previsto che i paesi in cui è presente un gruppo finanziario con rilevanza sistemica predispongano ciascuno un National coordinator fra le diverse autorità competenti a livello nazionale (Banca Centrale, Autorità di vigilanza, Ministero delle finanze) ed un Cross-Border coordinator che opera il coordinamento fra le diverse autorità coinvolte a livello comunitario. Il soggetto che opera come coordinatore, a sua volta, può variare a seconda dello tipo e del grado della crisi98 ed è competente a definire le modalità di intervento delle altre parti coinvolte (e quindi il burden sharing). Tuttavia, anche in questo caso il memorandum non ha efficacia vincolante99, di modo che le parti coinvolte possono agire anche autonomamente o non seguire le indicazioni del coordinatore. Ed è probabile che in sede di effettiva determinazione degli esborsi che ciascuno stato deve sostenere per gestire la crisi sistemica, soprattutto se di dimensione comunitaria, il raggiungimento di un consenso effettivo risulti particolarmente difficile, come dimostra l’attuale situazione. Se è vero che questa mediazione “politica” può dar luogo a quella “ambiguità costruttiva” che per parte della dottrina economica dovrebbe caratterizzare l’intervento in caso di crisi, c’è anche da chiedersi se la mediazione fra i diversi Stati Membri non conduca all’inazione o a soluzioni solamente parziali della crisi.

5.2. Il livello nazionale

97 La nuova versione memorandum del 4 aprile 2008 è aperta alla firma, ma necessita

poi per l’attuazione concreta della stipula degli accordi specifici (Voluntary Specific Cooperation Arrangements) fra i paesi che possono subire gli effetti sistemici di almeno un gruppo finanziario.

98 Banca centrale o ministero, per esempio, a seconda che la crisi coinvolga solo la liquidità sistemica oppure coinvolga la solvibilità e quindi la necessità di un salvataggio, cfr par. 4.3. del Memorandum.

99 Par. 10 del Memorandum.

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Il coordinamento a livello nazionale fra le autorità competenti nella gestione del rischio (in particolare Banca d’Italia e Consob, ma anche Ministero dell’Economia ed ISVAP) è un aspetto cruciale per la effettiva funzionalità di un sistema di ripartizione delle competenze misto, per finalità e per settore, come quello italiano. Il coordinamento opera a più livelli: quello informativo, quello regolamentare, quello attuativo.

La cornice generale è offerta dall’art. 20 della legge 262/05, senza dimenticare che la stessa disciplina comunitaria richiede una stretta collaborazione fra le diverse autorità nazionali competenti a vigilare sul gruppo creditizio100. A questa disciplina generalissima101 vanno aggiunte le discipline speciali che prevedono diversi strumenti di coordinamento102.

In linea con l’integrazione sempre più forte fra mercati finanziari ed attività creditizia, le forme più avanzate di coordinamento riguardano le competenze in materia di vigilanza sui servizi di investimento. Tutte le competenze di vigilanza regolamentare sui servizi di investimento sono esercitate dalla Consob o dalla Banca d’Italia previa consultazione dell’altra autorità103. A questo coordinamento debole, poi, il recepimento della MiFid operato con il D. Lgs. 164/07 ha introdotto un’innovativa forma di competenza regolamentare congiunta104. Sulla base di questa base legale è stato emanato il Regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio105, con cui si è provveduto a

100 Art. 140 par. 1 della direttiva 2006/48/CE. 101 Ed anche dalla scarsa portata innovativa rispetto al generale potere di concludere

accordi fra le Pubbliche Amministrazioni, ai sensi dell’art 15 della L. 241/90. 102 Si veda anche il riparto di competenze che i recentissimi D. L. 155/08 e 157/08

hanno definito fra Banca d’Italia e Ministero dell’Economia nella gestione delle crisi, con l’attribuzione dei compiti istruttori all’autorità tecnica e quelli decisionali all’autorità politica.

103 Cfr. art. 6 TUF. 104 Dopo lo sfortunato precedente dell’atto individuale congiunto Banca d’Italia -

AGCM originariamente previsto all’art. 19 comma 12 della l. 262/05. L’obbligo di collaborare “strettamente” è previsto del resto dall’art. 48 della Direttiva Mifid nel caso in cui lo Stato membro designi più di un’autorità competente per l’applicazione della direttiva.

105 Provvedimento del 29 ottobre 2007. Ciascuna parte del regolamento, in particolare, reca la base legale di riferimento, in maniera da agevolare anche i profili di competenza di ciascuna autorità in sede di vigilanza operativa.

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disciplinare le norme organizzative, nonché la disciplina in tema di conflitti di interesse e dei controlli interni per tutti gli intermediari106.

L’utilità di tale forma forte di coordinamento ex ante (nella fase di definizione delle norme) è poi confermata dal fatto che le due autorità hanno emanato congiuntamente anche un altro provvedimento107, in una materia in cui tale competenza non è espressamente prevista dal TUF108. Questo secondo caso di atto congiunto, tuttavia, dovrebbe essere valutato in maniera differente dall’ipotesi prevista dall’art. 6 comma 2bis: se è possibile considerare come legittima la forma di coordinamento autonomamente assunta dai due enti109, va però considerato che in origine le due competenze regolamentari risultano distinte, salvo la necessità, per alcune materie regolate dal provvedimento in oggetto, dell’intesa con l’altra autorità. Dunque, se per operare qualsiasi modifica al regolamento ex art. 6 comma 2bis TUF dovrebbe essere necessaria un’iniziativa ed intesa comune, nel secondo caso dovrebbe, a rigor di logica, mantenersi l’originaria competenza regolamentare, di modo che, ad esempio, ciascuna autorità potrebbe intervenire per modificare la disciplina di propria competenza, salvo le ipotesi in cui è prescritta l’intesa.

Per quel che riguarda le forme di coordinamento nella fase di enforcement individuale, l’esercizio disgiunto dei poteri di vigilanza puntuale, sulla base della ripartizione delle competenze delineate all’art 5 commi 2 e 3 TUF, trova comunque un raccordo attraverso il protocollo di intesa Banca d’Italia - Consob. Il flusso di informazioni fra le due autorità nell’adozione dei provvedimenti puntuali, infatti, è garantito dagli obblighi assunti dalla Banca

106 Tuttavia, per le banche e società finanziarie, in relazione ai profili organizzativi, si

applicano anche le disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia sulla base dell’art. 53 (e 107) del TUB, in particolare lett. d), per quanto non disciplinato dal regolamento congiunto, si veda art. 3 del Regolamento 29 ottobre 2007

107 Regolamento recante la disciplina dei servizi di gestione accentrata, di liquidazione, dei sistemi di garanzia e delle relative società di gestione, Provv. Consob - Banca d’Italia del 22 febbraio 2008.

108 La Parte III titolo I del TUF, di cui il provvedimento è attuazione, prevede ipotesi di regolamentazione comune mediante lo strumento dell’intesa (si veda, ad esempio, gli articoli 69, 70, 70ter…), ma anche ipotesi di competenza “solitaria” (ad es. l’art. 64 in materia di organizzazione delle società di gestione del mercato).

109 In attuazione del principio dell’art. 6 comma 01 TUF sulla proporzionalità degli interventi, richiamato esplicitamente dall’art. 60ter, ma soprattutto sul principio di collaborazione statuito all’art. 20 comma 1 della l. 262/05. Su quest’ultimo profilo valuta legittimo il regolamento S. Amorosino, op. cit, 2008, 158.

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d’Italia e dalla Consob in base al protocollo di intesa del 31 ottobre 2007 (in particolare l’art. 8), stipulato sulla base dell’art. 5 comma 5bis TUF110.

Una ulteriore forma di coordinamento che richiama il modello comunitario della vigilanza a geometria variabile modellata sui singoli gruppi riguarda la vigilanza sui conglomerati finanziari111. La disciplina comunitaria richiede in questo caso il coordinamento fra le diverse autorità nazionali che possono essere competenti sulla supervisione dei vari elementi del singolo conglomerato, con l’individuazione di un’autorità coordinatrice, che è tenuta ad effettuare una vigilanza globale sui possibili rischi ulteriori derivanti dalla compresenza di rischi di natura bancaria, derivanti dall’attività di investimento e quelli propri dell’attività assicurativa. In questo caso le autorità competenti, Banca d’Italia, Consob ed ISVAP, hanno stipulato un protocollo per la definizione di criteri comuni per la definizione del conglomerato e dell’adeguatezza patrimoniale supplementare che il conglomerato è tenuto ad osservare in virtù della sua particolare struttura112.

Oltre al coordinamento nell’esercizio dei poteri di vigilanza, sussistono anche sedi stabili di confronto fra le autorità coinvolte nel controllo dei rischi assunti dal sistema finanziario nel suo complesso. Il Protocollo del 7 marzo 2008 che istituisce il Comitato per la salvaguardia della Stabilità Finanziaria ha previsto una sede di consultazione stabile fra Banca d’Italia, Consob, ISVAP e

110 Oltre al protocollo di cui all’art. 5 comma 5bis TUF, la Banca d’Italia e la Consob

hanno altresì stipulato un ulteriore protocollo disciplinante l’accesso della Consob alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, cfr Protocollo di Intesa tra la Banca d’Italia e la Consob per la consultazione dei dati contenuti nella Centrale dei Rischi della Banca d’Italia stipulato il 31 ottobre 2007 e disponibile alla pagina http://www.bancaditalia.it/vigilanza/accordi/protocollo_cr_consob.pdf. L’accesso, previsto dall’art. 187-octies comma 4 lett. e), è limitato dal protocollo alle sole informazioni necessarie per il perseguimento degli abusi di mercato (art. 3 del protocollo, che richiama solo le finalità dei commi 1 e 2 dell’art. 187-octies e l’art 115), ma c’è tuttavia da chiedersi se non dovrebbe essere accessibile anche per l’esercizio della vigilanza sugli intermediari e sui servizi di investimento. Infatti l’art. 8 comma 5bis TUF prevede che la Consob nei confronti dei soggetti vigilati possa esercitare tutti i poteri istruttori di cui all’art. 187-octies, quindi in teoria anche la possibilità di accedere alla Centrale Rischi. (lo stesso discorso potrebbe valere per altre disposizioni che richiamano i poteri istruttori della Consob ex art. 187-octies)

111 Ovvero gruppi operanti in via principale nel settore finanziario (bancario, assicurativo, dei servizi di investimento) in cui operano in maniera significativa sia imprese bancarie o di investimento, sia imprese assicurative, cfr. art. 3 D. Lgs 142/05.

112 Si veda l’Accordo di coordinamento in materia di identificazione ed adeguatezza patrimoniale dei conglomerati finanziari, sottoscritto dal Banca d’Italia, Consob e ISVAP il 31 marzo 2006, disponibile al sito http://www.bancaditalia.it/vigilanza/accordi/accordo_BI_ISVAP_CONSOB_310306.pdf.

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Ministero dell’Economia113. Nelle fasi dell’attuale turbolenza finanziaria il Comitato ha operato come strumento per svolgere il confronto fra la situazione rilevata dalle autorità tecniche e le possibili misure adottabili in sede politica e di gestione della liquidità.

6. Brevi considerazioni conclusive

La fine della vigilanza strutturale avrebbe dovuto comportare la fine della co-gestione, da parte delle autorità di vigilanza, del rischio assunto dal sistema finanziario. Si passa ad un monitoraggio del livello di rischio assumibile e ad una supervisione sulle modalità con cui è trasferito. Eppure gli eventi dell’ultimo anno, degli ultimi giorni, mostrano come in realtà, in assenza di co-gestione, il settore pubblico, nel cuore del capitalismo mondiale, è dovuto intervenire ex post pesantemente per ridurre i danni derivanti dal fallimento dei mercati finanziari.

Come si è visto il nuovo paradigma della vigilanza prudenziale ha cercato di tenere il passo rispetto all’innovazione finanziaria. Il tentativo è quello di “inseguire” il rischio, ovvero estendere la portata del controllo pubblico a tutti quei soggetti che intervengono nella creazione e gestione dei rischi. Fra di essi vi sono in primo luogo le banche, in cui il rischio ha origine, gli intermediari (le società mobiliari e le società finanziarie, al cui interno vi sono i SPV), ma anche sempre più, in un’ottica futura, le società di rating. Nella misura in cui si è cercato di dare maggiore spazio all’autonomia decisionale dell’intermediario, si è esteso il perimetro del controllo. Anche il modello delle autorizzazioni per singole operazioni, di cui l’art. 53 TUB ancora reca traccia, è sostituito da un controllo continuativo sul processo di valutazione e decisionale dell’intermediario: il processo di convalida dei metodi interni di valutazione del rischio si distacca dal classico modello dell’autorizzazione amministrativa, per assumere più le forme di una relazione fluida, i cui termini sono destinati a mutare al mutare delle condizioni interne ed esterne dell’intermediario e dei soggetti che intervengono nel processo di validazione114. Lo stesso può dirsi

113 Rispetto alle forme di coordinamento previste dall’art. 20 della legge 262/05, il Comitato per la stabilità finanziaria non coinvolge l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato né la COVIP, mentre include il Ministero dell’Economia, a sottolineare la maggiore attitudine ad operare il coordinamento nelle situazioni di turbolenza del mercati.

114 Principio n. 3 del Update on work of the Accord Implementation Group related to validation under the Basel II Framework, Basel Committee Newsletter (gennaio 2005). La durata del processo di pre-convalia convalida dei modelli interni, infatti si può estendere su un periodo di tempo considerevole: Unicredit, il primo gruppo autorizzato ad utilizzare i modelli IRB in Italia nella primavera del 2008, aveva iniziato i contatti con la Banca già nel 2004..

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per lo SREP, che deve dare luogo ad un dialogo con il regolatore caratterizzato da: a) un continuo aggiornamento delle condizioni patrimoniali cui l’intermediario deve attenersi, in relazione all’aggiornamento delle prove di stress e della variabilità dei relativi risultati, b) un immediato intervento correttivo in caso di scostamenti imprevisti.

Oltre ai contenuti, anche le stesse modalità di formazione delle regole sono in fase di transizione, in primo luogo a livello comunitario. L’adozione del metodo Lamfalussy è solo la prima tappa verso un rafforzamento del ruolo dei comitati di regolatori nella fase di regolazione ed in generale verso un “inspessimento” della matrice regolamentare comunitaria115. All’aumento della rilevanza comunitaria nella definizione delle regole fa da contraltare un sistema di ripartizione delle competenze per l’esercizio dei poteri puntuali di controllo ancora frammentata, che stenta ad abbandonare il modello originario dell’home supervision.

Anche il sistema italiano, caratterizzato da una articolazione delle competenze su base funzionale, ha cercato di adattarsi all’evoluzione delle forme di creazione e circolazione del rischio: il cammino ha mostrato una notevole accelerazione con la legge n. 262/05, le modifiche apportate dal decreto MiFid e con il rafforzamento della cooperazione. Si potrebbe cogliere, anzi, una tendenza verso una gestione congiunta della funzione normativa, secondo un sistema di livelli minimi crescenti di cooperazione (dal parere all’intesa al regolamento congiunto) cui si sovrappone un livello ulteriore di collaborazione volontaria, a partire dal protocollo previsto al comma 5bis dell’art. 5 TUF. Rimane una differenzazione delle modalità di intervento, sebbene non predefinita dal legislatore, quantomeno scolpita nel DNA delle due autorità, Banca d’Italia e Consob. La prima ha gli strumenti necessari per poter intervenire puntualmente nella fase di generazione dei rischi, la seconda controlla ex post il rispetto della disciplina generale, se del caso sanzionando il comportamento dell’intermediario. Ma non mancano, ed anzi la MiFid li ha rafforzati, i poteri di intervento preventivo anche in mano anche alla Consob, ad esempio in materia di prospetti o di interventi di vigilanza “correttiva”.

Eppure, nonostante l’evoluzione e gli sforzi del legislatore comunitario e nazionale, il sistema non ha retto. Non è in realtà ancora possibile capire se la

115 Le proposte più recenti, in sede comunitaria, puntano verso un deciso

rafforzamento del ruolo dei Comitati, fino ad un possibile superamento della regola dell’unanimità, cfr Banca d’Italia, Relazione annuale per il 2007, 31 maggio 2008, 269-270.

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crisi sia legata ai nuovi paradigmi della vigilanza di Basilea 2 o meno: l’origine della perdita di controllo dei rischi risale ad un periodo antecedente all’adozione dell’Accordo. Negli USA poi l’epicentro della crisi ha riguardato proprio soggetti esenti dall’applicazione della disciplina prudenziale. Probabilmente Basilea 2 potrebbe favorire l’amplificazione degli effetti, dovuta alla pro-ciclicità del primo pilastro, che in periodo di recessione comporta un automatico innalzamento dei requisiti patrimoniali per coprire l’accresciuto livello di rischi. Ad ogni modo gli eventi di questi giorni hanno dimostrato come il controllo preventivo dei rischi non sia stato sufficiente e si sia passati allo stadio successivo (e più costoso), ovvero quello della gestione della crisi sistemica. E’ vero che l’esposizione delle banche italiane sembra minore116, ma non va dimenticato come l’incertezza non permetta di fare ad oggi stime eccessivamente ottimistiche.

Offrire una spiegazione, e quindi una ricetta, della crisi non è, naturalmente, possibile in questa sede. Eppure, da una prospettiva pubblicistica, di forme del potere, c’è da interrogarsi su un punto. La razionalità del sistema di vigilanza venutosi a delineare in seguito alla fine della vigilanza strutturale forse è ancora legata all’idea di una compiutezza della sfera di controllo dei rischi , al cui interno questi ultimi svolgono tutto il loro ciclo di vita (nascita, trasferimento, copertura). Sulla base di questa presunta compiutezza si è potuta giustificare la perfetta sostituibilità, postulata nel nuovo paradigma, dei controlli sulle singole operazioni e sulla struttura del mercato con i controlli sulle modalità di valutazione ed assunzione dei rischi, in generale, da parte degli operatori.

Tale compiutezza, tuttavia, non è ancora un dato acquisito. Si consideri, ad esempio, il tentativo, da parte della disciplina comunitaria, di definire un sistema compiuto di vigilanza all’interno di un panorama istituzionale frammentato. Piuttosto che perseguire un’unificazione istituzionale, questo tentativo è stato condotto mediante la regolamentazione delle relazioni fra le autorità coinvolte nella vigilanza di un determinato soggetto, non sempre però con risultati ottimali117.

116 Si vedano, ad esempio, le osservazioni contenute in Banca d’Italia, Relazione

annuale per il 2007, 31 maggio 2008, 240 e ss. 117 Si veda ad esempio il rischio di un approccio differenziato nella valutazione dei

rischi su base consolidata (in base a modelli IRB) e individuale (con metodo standardizzato), sorto in relazione al gruppo Deutsche Bank e di cui da conto, in termini problematici, F. Cannata, G. Donato, D. Guadalupi, cit., 272.

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Solo se si postula una compiutezza della vigilanza, capace di scovare il rischio in ogni sua forma presso qualsiasi soggetto operante in qualsiasi angolo del mercato finanziario globale, si può ammettere questa “tendenziale” sostituibilità dei poteri sulle singole operazioni e sulla struttura del mercato con il monitoraggio sul processo valutativo del grado di rischio complessivo dell’intermediario. Ma se il sistema è aperto, perché i rischi sono in grado di transitare da un soggetto sottoposto a vigilanza ad uno che non lo è (o lo è in misura minore), per poi essere re-immessi in circolo, la razionalità del sistema di vigilanza prudenziale rischia di incrinarsi, a meno che non vengano rafforzati i poteri, anche di tipo puntuale, sulle porte di ingresso e sui gatekeepers che rendono possibile la mobilità del rischio all’interno ed all’esterno della sfera di vigilanza.