bn16 dark moon

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BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 16 del 28/5/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 1 5 6 7 8 9 10 11

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Poison Study LUNA Books

© 2005 Maria V. Snyder Traduzione di Gigliola Foglia

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Fantaluna

novembre 2006 Seconda edizione Bluenocturne

maggio 2010

Questo volume è stato impresso nell'aprile 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 16 del 28/5/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Rinchiusa nel buio che mi circondava come un sepolcro, non avevo nulla che potesse distrarmi dai ricordi. Vivide memorie erano in agguato, pronte ad assalirmi ogni volta che la mia mente vagava. Incorniciate dall'oscurità, rammentavo fiamme al calor bianco che mi dardeggiavano sul viso. Anche se le mani mi erano state legate a un pilastro che mi affondava tagliente nella schiena, ero riuscita a sfuggire all'assalto. Il fuoco si era allontanato appena prima di ustionarmi la pelle, ma ciglia e sopracciglia ormai erano irrimediabilmente bruciate. «Spegni le fiamme!» aveva ordinato la voce rude di un uomo. Io soffiavo sulla vampa tra le labbra screpolate. Prosciuga-ta dal fuoco e dalla paura, la saliva era scomparsa dalla mia bocca e sentivo i denti irradiare calore come se fossero stati cotti in forno. «Idiota» imprecava lui. «Non con la bocca. Usa la mente. Estingui le fiamme con la mente.» Chiudendo gli occhi, cercavo di focalizzare i pensieri per far scomparire quell'inferno. Ero disposta a fare qualunque cosa, per quanto irrazionale potesse essere, pur di convincere quell'individuo a fermarsi. «Sforzati di più.» Un'altra volta il calore mi era passato

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vicino al viso, la viva luce delle fiamme che mi accecava mal-grado le palpebre chiuse. «Dalle fuoco ai capelli» suggeriva una voce differente. Suonava più giovane e più impaziente di quella dell'altro uomo. «Quello dovrebbe sollecitarla. Qua, Padre, lascia fare a me.» Il mio corpo tremava di paura non appena riconoscevo la voce. Mi contorcevo nel tentativo di allentare i legami che mi trattenevano, mentre i miei pensieri si disperdevano in un brusio intontito. Poi un suono ronzante era scaturito dalla mia gola, aumentando fino a pervadere la stanza e a soffoca-re le fiamme. Il cigolio metallico della serratura mi strappò a quei ricordi da incubo. Un cuneo di pallida luce gialla tagliò il buio, poi avanzò lungo la parete di pietra a mano a mano che la pe-sante porta della cella si apriva. Colpiti dalla luce della lanter-na, gli occhi mi bruciarono per il bagliore. Li chiusi forte, rannicchiandomi nell'angolo. «Muoviti, pezzo di merda, o useremo la frusta!» Due guardie della prigione attaccarono una catena al collare me-tallico che portavo al collo e mi strattonarono per tirarmi in piedi. Inciampai in avanti, e il dolore mi fiammeggiò attorno alla gola. Mentre stavo ritta su gambe tremanti, le guardie mi incatenarono le mani dietro la schiena e mi misero i ferri ai piedi. Distolsi lo sguardo dalla luce tremolante mentre mi con-ducevano giù per il corridoio principale della segreta. Aria pe-sante, rancida, mi soffiò sul viso. I miei piedi nudi si trasci-navano attraverso pozzanghere di sudiciume non identifica-bile. Ignorando i richiami e i gemiti degli altri prigionieri, le guardie non rallentarono di un passo, ma a me il cuore sob-balzava a ogni parola. «Oh, oh, oh... Qualcuno presto dondolerà dalla corda.»

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«Snap! Crac! E poi il tuo ultimo pasto ti cola giù per le gambe!» «Un sorcio in meno da nutrire.» «Prendete me! Prendete me! Voglio morire anch'io!» Ci fermammo. Attraverso le palpebre socchiuse vidi una rampa di scale. Nello sforzo di posare il piede sul primo gra-dino, incespicai nelle catene e caddi. Le guardie mi tirarono su. Gli spigoli taglienti dei gradini di pietra mi affondarono nella pelle, sbucciandomi la carne esposta delle braccia e del-le gambe. Dopo essere stata trascinata due volte attraverso i battenti di pesanti porte metalliche, fui lasciata cadere sul pavimento. La luce del sole mi trapassò gli occhi. Li serrai con forza men-tre le lacrime mi colavano sulle guance. Era la prima volta che vedevo la luce del giorno da molte stagioni. Ci siamo, pensai, sull'orlo del panico. Poi però la consa-pevolezza che l'esecuzione avrebbe posto fine alla mia mise-revole esistenza nella prigione mi calmò. Strattonata di nuovo in piedi, seguii ciecamente le guardie. Il corpo mi prudeva, un po' per le punture di insetti e un po' per la paglia sudicia del mio giaciglio. Puzzavo di topo. Mi veniva elargita solo una piccola razione di acqua, e non la sprecavo certo in abluzioni. Quando gli occhi si abituarono alla luce, mi guardai attor-no. Le pareti erano spoglie, senza i favoleggiati portatorce d'oro e gli elaborati arazzi che, mi era stato raccontato, un tempo decoravano i passaggi principali del castello. Il freddo pavimento di pietra era levigato dall'uso al centro. Probabil-mente ci stavamo muovendo lungo corridoi nascosti usati unicamente dai servitori e dalle guardie. Mentre oltrepassa-vamo due finestre aperte, lanciai un'occhiata all'esterno con una brama che nessun cibo poteva soddisfare. Il colore smeraldo brillante dell'erba mi fece dolere gli oc-chi. Gli alberi erano ammantati di fogliame. Fiori orlavano i

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sentieri e traboccavano dai barili. La fresca brezza odorava come un profumo costoso, e io la respirai avidamente. Dopo gli effluvi acidi di escrementi e di odori corporali, il gusto del-l'aria era paragonabile a quello di un vino pregiato. Il calore mi accarezzò la pelle. Un tocco consolante, paragonato alla segreta costantemente umida e fredda. Ritenni fosse l'inizio della stagione più calda, il che signi-ficava che ero rimasta chiusa in cella per cinque stagioni, una meno di un anno intero. Sembrava un tempo eccessivamente lungo per un candidato all'esecuzione capitale. Senza fiato per lo sforzo di marciare spedita con i piedi incatenati, fui condotta in uno spazioso ufficio. Mappe del Territorio di Ixia e delle regioni limitrofe coprivano le pareti. Pile di libri sul pavimento rendevano difficile camminarvi in linea retta. Candele a vari stadi di utilizzo erano sparpagliate qua e là nella stanza, e segni di bruciature erano evidenti su vari carteggi che erano finiti troppo vicini alla loro fiamma. Un grande tavolo di legno, ricoperto di documenti e circon-dato da una mezza dozzina di sedie, occupava il centro del-l'ufficio. Sul fondo, un uomo sedeva a uno scrittoio. La brez-za che entrava dalla finestra quadrata alle sue spalle gli scompigliava i capelli lunghi fino alle spalle. Rabbrividii, facendo tintinnare le catene. Dalle conversa-zioni bisbigliate da una cella all'altra della prigione, avevo dedotto che i prigionieri condannati venivano condotti da un ufficiale per confessare i propri crimini prima di essere impic-cati. L'uomo allo scrittoio indossava l'uniforme di consigliere del Comandante: calzoni neri e una camicia nera con due diamanti rossi ricamati sul colletto. Il suo volto pallido non aveva espressione. Mentre i suoi occhi blu zaffiro mi esami-navano, si spalancarono per la sorpresa. Improvvisamente consapevole del mio aspetto, chinai lo sguardo sulla cenciosa divisa rossa della prigione che avevo

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indosso e sui sudici piedi nudi induriti da callosità giallastre. Pelle striata di sudiciume trapelava dagli strappi della tela sot-tile. I miei lunghi capelli neri pendevano in grovigli untuosi. Madida di sudore, barcollai sotto il peso delle catene. «Una donna? Il prossimo prigioniero ad essere giustiziato è una donna?» La sua voce era di ghiaccio. Il mio corpo tre-mò nel sentir pronunciare la parola giustiziato. La calma che avevo raggiunto in precedenza mi abbandonò. Sarei piomba-ta singhiozzando sul pavimento se non ci fossero state con me le guardie. Le guardie tormentavano chiunque mostrasse una qualsiasi debolezza. L'uomo giocherellò con i neri riccioli dei suoi capelli. «A-vrei dovuto prendermi il tempo di rileggere il tuo fascicolo» borbottò. Poi congedò le guardie con un gesto brusco. «Pote-te andare.» Quando se ne furono andati, mi indicò una sedia davanti allo scrittoio. Le catene tintinnarono mentre mi sedevo in bi-lico sull'orlo. L'uomo aprì un raccoglitore sulla scrivania e ne scorse ra-pidamente le pagine. «Yelena, oggi potrebbe essere il tuo giorno fortunato» disse infine. Inghiottii una risposta sarcastica. Una lezione importante che avevo imparato durante la permanenza nella segreta era di non replicare mai. Invece chinai la testa, evitando di in-contrare i suoi occhi. L'uomo restò in silenzio per un po'. «Beneducata e rispet-tosa. Inizi ad apparire come un buon candidato.» Malgrado la baraonda della stanza, la scrivania era in ordi-ne. Oltre al mio fascicolo e all'occorrente per scrivere, gli u-nici altri oggetti sullo scrittoio erano due piccole statue nere scintillanti di striature d'argento: una coppia di pantere scol-pite, perfette come fossero vive. «Sei stata giudicata e riconosciuta colpevole di aver assas-sinato l'unico figlio del Generale Brazell, Reyad.» Fece una

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pausa, massaggiandosi le tempie con le dita. «Questo spiega perché Brazell è qui questa settimana, e perché si sia insoli-tamente interessato al calendario delle esecuzioni.» L'uomo parlava più a se stesso che a me. Nell'udire il nome di Brazell, la paura mi serpeggiò nello stomaco. Mi feci forza, rammentando a me stessa che presto sarei stata fuori della sua portata per sempre. I militari del Territorio di Ixia erano saliti al potere solo una generazione prima, ma il regime aveva prodotto severe leggi chiamate Codice di Comportamento. In tempo di pace (la maggior parte, cosa abbastanza insolita per un regime milita-re) una condotta adeguata non ammetteva la possibilità di togliere una vita umana. Se qualcuno commetteva omicidio, la pena era l'esecuzione. L'autodifesa o una morte accidenta-le non erano considerate scusanti accettabili. Una volta rico-nosciuto colpevole, l'assassino era inviato alle segrete del Comandante in attesa della pubblica impiccagione. «Immagino tu stia per contestare il verdetto. Per dire che sei stata incastrata o che hai ucciso per legittima difesa.» Si appoggiò allo schienale della sedia, aspettando con stanca pazienza. «No, signore» bisbigliai, tutto ciò che riuscii a ricavare da corde vocali poco usate. «L'ho ucciso io.» L'uomo in nero si raddrizzò sulla sedia, scoccandomi uno sguardo duro. Poi rise forte. «La cosa può funzionare meglio di quanto avessi progettato. Yelena, ti sto offrendo un'alter-nativa. Puoi essere giustiziata, oppure puoi diventare il nuovo assaggiatore del Comandante Ambrose. L'ultimo è morto di recente, e abbiamo bisogno di riempire il posto vacante.» Lo fissai a bocca aperta, con il cuore che danzava. Di certo stava scherzando. Probabilmente si stava divertendo. Un modo grandioso di farsi una risata, osservare speranza e gioia brillare sul volto dei prigionieri, per poi infrangerle mandando l'accusato al patibolo.

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Decisi di stare al gioco. «Solo uno sciocco rifiuterebbe il lavoro.» Questa volta la mia voce gracchiò più forte. «Ebbene, è una sistemazione per tutta la vita. L'addestra-mento può essere letale. Dopotutto, come puoi identificare veleni nel cibo del Comandante se non sai che sapore han-no?» Sistemò le carte nel raccoglitore. «Avrai una stanza nel castello per dormire, ma per la mag-gior parte della giornata starai con il Comandante. Niente giorni liberi. Niente marito né figli. Alcuni prigionieri hanno preferito l'esecuzione: se non altro sanno esattamente quan-do stanno per morire, anziché chiedersi se la fine stia per ar-rivare con il prossimo morso.» Batté insieme i denti, un ghi-gno ferale sul viso. Diceva sul serio. Tremavo in tutto il corpo. Un'occasione per vivere! Il servizio al Comandante era meglio della segreta e infinitamente meglio del patibolo. Le domande si accavalla-vano nella mia mente: sono un'assassina rea confessa e già condannata, come possono fidarsi di me? Che cosa mi im-pedirebbe di uccidere il Comandante o di fuggire? «Chi assaggia il cibo del Comandante, al momento?» do-mandai invece, temendo che se avessi posto le altre doman-de lui si sarebbe reso conto del proprio errore e mi avrebbe mandato sulla forca. «Lo faccio io. Ecco perché sono ansioso di trovare un rim-piazzo. Inoltre il Codice di Comportamento afferma che il lavoro dev'essere offerto a qualcuno la cui vita sia spendibi-le.» Non più in grado di stare seduta, mi alzai e camminai per la stanza, trascinando con me le catene. Le mappe sulle pare-ti mostravano posizioni militari strategiche. I titoli dei libri avevano a che fare con la sicurezza e le tecniche di spionag-gio. Lo stato della stanza e la quantità di candele suggeriva che qualcuno vi lavorava fino a tarda notte. Guardai di nuovo l'uomo in uniforme da consigliere. Do-

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veva essere Valek, il capo della sicurezza personale del Co-mandante nonché vertice dell'ampia rete di servizi informati-vi del Territorio di Ixia. «Che cosa devo dire al boia?» domandò Valek. «Non sono una stupida.»

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Strip Clubdi Shayla Black

Mark Sullivan si tuffa nelle notti bollenti di Las Vegas per inca-strare un mafioso con cui ha un conto in sospeso. La sua co-pertura? Lavorare come spogliarellista in un locale notturno per sole donne la cui proprietaria, Nicki, è una seducente bellezza esotica dai penetranti occhi a mandorla e dal corpo mozzafiato.Ben presto Nicki irretisce Mark con il suo fascino e si trova a sua volta conquistata dai muscoli possenti, dalle movenze feline e dal sorriso ammaliatore del suo ultimo acquisto. Ma i due fanno a gara a chi nasconde più segreti. Nella caccia a un pericoloso delinquente, tra colpi di scena ad alto tasso adre-nalinico e incontri piccanti, l’attrazione che divampa tra loro è ancora più incandescente dell’atmosfera torrida dello strip club, più esplosiva delle armi puntate sulla coppia...

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