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Non c’è più acqua da perdere E’ opinione diffusa che l’acqua possa trasformarsi nel petrolio del futuro, in un prodotto, cioè, capace di generare enormi profitti in ragione del suo cre- scente utilizzo - soprattutto in agricol- tura, nell’industria e nella produzione di energia elettrica - e di una disponi- bilità che va riducendosi a causa dei cambiamenti climatici e del riscalda- mento globale, oltre che dell’aumento delle attività umane. Ogni discussione sull’opportunità o meno di privatizza- re questo bene essenziale alla vita, nostra e del nostro pianeta, dovreb- be tener conto della limitatezza di una risorsa che va via via riducendo- si. Basti pensare che l’acqua dolce rappresenta solo il 2,5% del volume totale presente sulla Terra e per più dei 2⁄3 si trova in pochi ghiacciai (An- tartide e Groenlandia in particolare), che peraltro si stanno pericolosamen- te assottigliando. Mentre nel mondo la negazione del diritto all’acqua sta producendo conseguenze disastrose - nel 2006 circa 30mila persone al giorno sono morte per cause ricondu- cibili alla mancanza d’acqua (dati Iisd, Istituto Internazionale per lo Svilup- po Sostenibile) - in Italia il processo di privatizzazione del servizio idrico è in corso ormai da metà degli anni ’90 con la conseguenza per i cittadi- ni di un aumento costante negli anni delle tariffe. Inoltre tutti i dati sono concordi sul fatto che, da allora, gli investimenti per rendere più efficien- te e ristrutturare la nostra rete idrica sono diminuiti notevolmente. Non ba- stasse, l’obiettivo dei soggetti privati, a fronte di costi di gestione notevoli, sarà quello di incentivare la domanda e quindi il consumo d’acqua (i ‘piani d’ambito’ prevedono nei prossimi anni un aumento dei consumi pari al 18%). Uno scenario assolutamente da scon- giurare, dato che ormai non c’è più acqua da perdere e bisognerebbe, al contrario, approntare vere politiche di risparmio idrico e di uso sostenibile della risorsa. Ragionando, magari, su come rendere la sua distribuzione un servizio universale anche a beneficio delle aree del mondo più svantaggia- te. Ma per questo ancora molta acqua dovrà passare sotto i ponti. Birdwatching, foto con le ALI a pag. 8 L’anguilla che ci sfugge a pag. 7 Acqua azzurra, acqua cara a pag. 15 Bentornato Lupo a pag. 11 SALUTE in marcia a pag. 13 Oggi cucina il SOLE a pag. 3 L’insetto “succhia foreste” a pag. 5

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Non c'è più acqua da perdere

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Non c’è più acqua da perdereE’ opinione diffusa che l’acqua possa

trasformarsi nel petrolio del futuro, in un prodotto, cioè, capace di generare enormi profitti in ragione del suo cre-scente utilizzo - soprattutto in agricol-tura, nell’industria e nella produzione di energia elettrica - e di una disponi-bilità che va riducendosi a causa dei cambiamenti climatici e del riscalda-mento globale, oltre che dell’aumento delle attività umane. Ogni discussione sull’opportunità o meno di privatizza-re questo bene essenziale alla vita, nostra e del nostro pianeta, dovreb-

be tener conto della limitatezza di una risorsa che va via via riducendo-si. Basti pensare che l’acqua dolce rappresenta solo il 2,5% del volume totale presente sulla Terra e per più dei 2⁄3 si trova in pochi ghiacciai (An-tartide e Groenlandia in particolare), che peraltro si stanno pericolosamen-te assottigliando. Mentre nel mondo la negazione del diritto all’acqua sta producendo conseguenze disastrose - nel 2006 circa 30mila persone al giorno sono morte per cause ricondu-cibili alla mancanza d’acqua (dati Iisd,

Istituto Internazionale per lo Svilup-po Sostenibile) - in Italia il processo di privatizzazione del servizio idrico è in corso ormai da metà degli anni ’90 con la conseguenza per i cittadi-ni di un aumento costante negli anni delle tariffe. Inoltre tutti i dati sono concordi sul fatto che, da allora, gli investimenti per rendere più efficien-te e ristrutturare la nostra rete idrica sono diminuiti notevolmente. Non ba-stasse, l’obiettivo dei soggetti privati, a fronte di costi di gestione notevoli, sarà quello di incentivare la domanda

e quindi il consumo d’acqua (i ‘piani d’ambito’ prevedono nei prossimi anni un aumento dei consumi pari al 18%). Uno scenario assolutamente da scon-giurare, dato che ormai non c’è più acqua da perdere e bisognerebbe, al contrario, approntare vere politiche di risparmio idrico e di uso sostenibile della risorsa. Ragionando, magari, su come rendere la sua distribuzione un servizio universale anche a beneficio delle aree del mondo più svantaggia-te. Ma per questo ancora molta acqua dovrà passare sotto i ponti.

Birdwatching, foto con le ALI a pag. 8

L’anguilla che ci sfugge a pag. 7

Acqua azzurra, acqua cara a pag. 15

Bentornato Lupo a pag. 11

SALUTE in marcia a pag. 13

Oggi cucina il SOLE a pag. 3

L’insetto “succhia foreste” a pag. 5

CELIACHIA? NO PROBLEM

Nell’ultimo decennio chi soffre di celiachia ha trovato tra farmacie, supermercati e

negozi specializzati una gamma vastissima di prodotti che pian

piano hanno fatto sentire gli intolleranti al glutine meno isolati

dal resto della popolazione. Per non parlare dell’informazione

che ruota attorno a questo deficit genetico: convegni, momenti di degustazione collettiva, spot televisivi e

campagne di sensibilizzazione fino all’istituzione di un Registro

nazionale di prodotti ad hoc. E negli ultimi anni stanno

nascendo ristoranti dedicati: a Ferrara, ad esempio, lo scorso 15 aprile in via Fondobanchetto ha aperto il “Ristorante Zafferano”.

I pasti? Giudicate voi qualche voce dal menu: sformatino di

asparagi verdi con crema di Reggiano, insalatine novelle,

mimosa d’uovo e pinoli; risotto con verdure primaverili e

zafferano; rosette di vitello con spinaci croccanti e fonduta di

Asiago; semifreddo al ribes nero con insalata di fragole. Ancora. A

Modena ecco una gelateria con prodotti senza glutine e, sempre

sotto la Ghirlandina celebrata recentemente la... Messa del celiaco.

Le cucine che sfruttano i raggi solari

sono già realtàMetodo di conservazione naturale? Di

più. Pietra refrattaria naturale? Di più. Riciclo di energia per migliorare l’effi-cienza energetica? Ancora più natural. Un’invenzione, all’apparenza semplice e scontata - ma che in realtà non lo è - che coniuga cucina, eco compati-bilità e rispetto per l’ambiente in ma-niera sopraffina: la pentola… solare. L’universo dei campeggiatori e dei boy scout ci ha proposto la lampada ad olio, utilissima in caso di mancan-za di energia elettrica; in certe zone d’Italia il pic nic e l’immancabile bar-becue ripropongono nient’altro che l’affumicatura della carne, rito la cui origine si perde nella notte dei tempi; ma l’invenzione del sistema più naturale che esista – la cottura sfruttando l’energia solare – potreb-be diventare manna per alcune zone svantaggiate del pianeta, con elemen-ti facilmente reperibili, a bassissimo costo e ad impatto ambientale nullo. Vediamo come è composta la cucina solare portatile, la struttura più con-tenuta in commercio. Il modello più conosciuto e di cui sono già state valutate le prestazioni è un brevetto argentino, la Cocina Solar Portatil, ot-tenuta assemblando semplicemente sei strati di sottilissimo di alluminio, di cui è arcinota la capacità di condurre calore, disposti in maniera da far con-vergere i raggi solari sulla pentola con-tenente il rancho; il semplice ma ge-niale sistema è rivestito esternamente di uno strato iso-lante, per non di-sperdere nell’am-biente circostante il calore prodotto che ovviamen-

te non è quantitativamente tanto, mentre un telo di plastica sovrastan-te trattiene l’aria calda, che per na-tura tende ad andare verso l’alto. Risultato: questo mini-fornello può svi-luppare fino a 175 w, giusti giusti per preparare il pasto per due persone. Il passo successivo è stato adattare la cucina solare a quantitativi di cibo maggiori, uscendo dall’ottica di cam-peggio o turismo verde. Ad esempio, pensiamo a zone desertiche nei paesi del Terzo Mondo in cui il reperimento di legno può es-sere difficoltoso, la foresta più vici-na a chilometri di distanza, o posti dove la carbonel-la non è elemento così diffuso. Ebbene, esiste un “pen-tolone” solare che assomiglia ad una grande parabola che può produrre fino a 700 w, già testato nello Zim-babwe, prodotto Eg Solar, società tedesca che ha realizzato struttu-re che arrivano fino ad un metro e mezzo per convergere i raggi solari. In sintesi: a latitudini ottimali (e l’Africa come può non esserlo, se pensiamo a questa invenzione in chiave di svilup-po sostenibile a costi ridottissimi e di facile assemblaggio) una cucina del diametro di 1 metro porta ad ebolli-zione 1 litro d’acqua in 18 minuti gra-zie ai 300 w sviluppati; una parabola leggermente più grande (1,4 m) per-mette di buttare la pasta in 9 minuti. Ma non solo acqua calda: l’utilizzo ot-timale della struttura permette di svi-luppare fino a 200° C, temperatura

idonea per friggere o cuocere al forno. Sulla scia della eco sostenibilità, è stato inventato an-che uno strumento

utile e affiancabile alla cucina so-lare: un oggetto che conservi i cibi, magari dove frigorifero o scaldavivande non sono mai arrivati. Ecco Chico-olet, un contenitore ter-mostatico che, sfruttan-do sempre l’energia del sole, permette di man-tenere i cibi alla mede-sima temperatura in cui li abbiamo riposti in due

scom-p a r t i separati, uno refri-gerante ed uno riscaldato. Davanti ad in-venzioni simili, che suscitano

inevitabilmente lo stranimento di chi abita in zone industrializza-te dove gli oggetti futili crescono come funghi dopo la pioggia, viene da sorridere, ma anche da pensare. Nei paesi civilizzati, dove la tragedia maggiore può consistere nella coda in autostrada nelle giornate da bolli-no rosso di agosto, invece di inveire contro la società Autostrade, ecco che la cucina solare - in situazioni in cui il solo asfalto raggiunge i 50° C - po-trebbe diventare un momento di ag-gregazione per non pensare alla situa-zione. A dimostrazione del fatto che l’applicazione sta (molto lentamente) prendendo piede anche in Italia, esi-stono numerosi siti web dedicati alle ricette ottenibili con una cucina sola-re: tempi di cottura, utilizzo o meno dell’acqua durante la preparazione, pentole idonee per questo o quell’ali-mento, consigli per ottenere un pane friabile… il ritorno alle origini è parti-to! Ottimo allenamento per chi sostie-ne che la prossima Guerra Mondiale si combatterà con clave e pietre.

Butta in pentola un po’ di ...sole

Forni e tegami eco sostenibili per cuocere senza combustibile

Inventàti utensili a parabola che sviluppano 700 W

I bio-pesticidi fatti in casaPomodori, aglio, olio, un pizzico

di peperoncino e un calice di birra. Non sono gli ingredienti per

un pranzo mediterraneo, ma la ricetta per allontanare dai nostri

orti e giardini ospiti sgraditi, quali insetti, parassiti e lumache, in

modo assolutamente naturale. I pesticidi fai-da-te rispettosi

dell'ambiente sono semplici ed efficienti, e sfruttano prodotti

alla portata di tutti: per esempio, basta sminuzzare 3-4 spicchi di aglio e farli macerare una notte in 2 cucchiaini di olio.

L'indomani, eliminato l'aglio, si aggiunge all'olio un bicchiere

di acqua e un cucchiaino di sapone biodegradabile: è un mix

micidiale per quasi tutti i parassiti, da applicare alle piante infestate

nelle ore più fresche della giornata.

Se invece ci siamo ricordati troppo tardi dei pomodori nella

cassetta del frigo, e non sono più adatti per preparare un buon

sughetto, questi risultano perfetti come pesticidi: basta frullarli e

mescolarli con dell'acqua. Infatti i parassiti hanno nasi sensibili: non sopportano l'odore di un particolare derivato genetico

del pomodoro. Basta spruzzare il cocktail sulle piante, e gli insetti

non avranno altra scelta che migrare verso altri lidi.

Ci troviamo a contendere l'insalata alle lumache?

Offriamogli da bere: rigorosamente birra. Questi molluschi non sanno infatti

resistere al luppolo. Poniamo allora un contenitore con la

bevanda ad un centimetro sotto il livello del terreno: deve essere profondo quanto basta per farle

scivolare dentro. Daremo così loro un ultimo ebbro addio, e la

nostra insalata sarà salva sia dalle loro fameliche grinfie, che dai più dannosi e diffusi pesticidi chimici.

Gli entomologi corrono ai ripari

contro gli “insetti vampiri”

Affondano i denti e succhiano la linfa vitale fino ad aver ragione delle pro-prie vittime, lasciando dietro ai loro passi macchie di rosso. I pronipoti del Conte Dracula del Terzo Millennio non hanno mantelli nè canini oblunghi, ma sei zampe e dimensioni appena per-cettibili. Ma di guai ne combinano di ben peggiori del loro illustre antenato.

Decine di milioni di ettari di foreste del nord America, dal Canada fino al Messico, si sono tinte di rosso: ma non per l’arrivo della stagione autun-nale. Il motivo è, al contrario, il sur-riscaldamento terrestre: la maggior parte delle larve di uno scarabeo, il Dendroctonus ponderosae, non muo-iono più come avveniva fino a pochi anni fa durante l’inverno. Crescono allora ampie popolazioni di Mountain Pine Beetle sotto la corteccia dei pini: le larve scavano canali lunghi fino a un metro, e distruggono l’intero sistema linfatico degli al-beri, conducendoli alla morte in appe-na due settimane, come spiega il ri-cercatore Maurizio Teobaldelli.

Minuscoli insetti migrano in stormi neri da un albero all’altro, appestan-do immense distese di foreste secola-ri. Gli ultimi polmoni verdi della terra smettono di respirare. E diventano rossi: questa colorazione è dovuta all’infestazione fungina trasmessa

dall’insetto che, nel deporre le uova, porta con sé due funghi, ponendo il legno fuori mercato. Si pensa allora di riciclarlo come fonte di bioetano-lo, come propone il servizio forestale canadese, anche per compensare il mancato apporto di ossigeno.

L’eventuale intervento dell’uomo al fine di tutelare i boschi dagli incendi inoltre appare un’arma a doppio ta-glio: gli incendi contribuivano un tem-po a mantenere sotto controllo il nu-mero di questi coleotteri. Oggi, grazie alle politiche forestali canadesi, i roghi si sono ridotti considerevolmente: se nel 2003 erano stati 107 per ettaro, 4 anni dopo se ne contavano appena 8.

In Italia la presenza di questo sca-rabeo non è mai stato segnalata, ma esistono tre parassiti simili a questo, che costituiscono vere armate di killer seriali che non conoscono antagonisti naturali e non lasciano scampo alle indifese vittime arboree: il Matsucoc-cus feytaudi, una cocciniglia originaria dell’Europa occidentale e del Maroc-co che, come un vampiro assetato di linfa, insieme alla cosiddetta “cimicio-na americana”, il Leptoglossus Occi-

dentalis, uccide i pini marittimi della costa toscana – a rischio ci sono circa 216 ettari di pinete infestate, che contano circa 10 mila pini -, e il pun-teruolo rosso, il cui nome scientifico è Rhyncophorus ferru-gines, che fa soccom-

bere le palme del sud della penisola, colonizzandone il fusto a partire dalla chioma.

Questi insetti mettono a rischio scor-ci caratteristici del paesaggio costiero

italiano, ma anche la produzione dei pinoli: nel 2008, 40 aziende del set-tore sono entrate in crisi per un calo del 70% dei pinoli maremmani, che rappresentano i due terzi della produ-zione nazionale.

In Emilia-Romagna, per il momento, non sembra esserci pericolo: Piero Cravedi, direttore dell’Istituto di ento-mologia e patologia vegetale dell’uni-versità cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, ricorda che “non sono mai state segnalate le presenze di tali pa-rassiti”, poiché nella regione è presen-te un ecosistema diverso da quello dell’Italia centro-meridionale, come anche dell’America del nord.

Le soluzioni proposte dagli studiosi sono principalmente l’abbattimento degli esemplari malati, e il conseguen-te rimboschimento, necessario anche per contenere le acque e mantenere le falde acquifere più pulite. Ma oc-corre attuare progetti di prevenzione, aumentando i controlli sul commercio del legno, che potrebbe veicolare la diffusione dei parassiti, e promuoven-do un sistema di lotta biotecnica.

Ma c’è anche chi parla di “den-drochirurgia”: un nome complesso che sta a indicare la via per salvare dall’abbattimento le palme aggredite dal punteruolo rosso. Tale strategia, che ha successo nel 95% dei casi, è stata messa a punto grazie alla spe-rimentazione di un ricercatore spa-gnolo dell’Istituto scientifico di ricerca agronomica, Michel Ferry, che sostie-ne che tagliando i germogli attaccati dal coleottero, si possano eliminare le larve, che non possono più colonizza-re la pianta, perché protetta con ma-stice da innesto e insetticidi chimici.

Mal che vada, come tradizione, ci si può sempre armare aglio e paletto di frassino…

Il serial killer che si aggira per le foreste

Anche in Italia minuscoli esseri attaccano gli alberi

Anguilla, se la conosci la salviLa speranza è nel

progetto “Med” da presentare alla

Commissione europea

La chiamavano anguilla. Rischia di essere il titolo, forse un po’ macabro, del film che potrebbe essere proietta-to nel maxi schermo del Delta del Po. Questa specie che caratterizza in par-ticolare le valli di Comacchio rischia infatti di scomparire se non verranno adottate al più presto misure di pro-tezione.

“Le popolazioni complessive di an-guilla stanno gradualmente uscendo dai limiti biologici che ne possono garantire la soprav-vivenza”: è infatti quanto è emerso, qualche tempo fa, dalla ricerche svol-te dall’Icies - Consi-glio internazionale per l’esplorazione dei mari - che negli ultimi dieci anni ha evidenziato una ri-duzione degli stock naturali mondiali di anguilla di oltre il 90% soprattutto a causa della diminuzione dello stock europeo, scientificamente classificato come “Anguilla anguilla”.

“Per questo motivo – spiega Fer-nando Gelli, collaboratore tecnico Arpa dell’Emilia-Romagna - con il re-golamento 1100 del 2007, la Com-missione europea aveva affermato la necessità di definire con urgenza un piano d’azione per il ripristino delle popolazioni di anguilla europee, non-ché di supportare le attività di ricerca al riguardo. In particolare – continua il tecnico - tale regolamento obbliga-va gli Stati membri a definire piani di gestione per gli stock entro il 31 di-cembre 2008, attraverso una forte cooperazione tra i vari Paesi europei”.

Di conseguenza, due anni fa, il labo-ratorio ittiologico Arpa di Ferrara ha presentato, a Bruxelles, il progetto “Med” col quale si puntava da un lato a promuovere la tutela dell’ambiente e dello sviluppo territoriale sostenibi-le e dall’altra a valorizzare e tutelare le risorse naturali e del patrimonio.

Titolo del progetto - respinto dalla Commissione europea solo alla fine dell’iter burocratico, per un vizio di forma - “Iniziativa mediterranea di gui-da per la promozione dell’acquacoltu-ra locale integrata e sostenibile per la conservazione e la ricostituzione della popolazione di anguilla”.

Partner del “Med” le Regioni Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia; l’amministrazione provinciale di Ferrara; Icram e Uniprom - partner scientifici e istituzionali dell’area del mediterraneo.

“Il progetto – si legge nelle pagine del documento presentato alla Com-missione europea che, come fanno sapere i tecnici del laboratorio Arpa, debitamente modificato e corretto sarà ripresentato a Bruxelles alla fine di quest’anno - intendeva affronta-re l’emergenza ambientale, a livello europeo, legata all’impoverimento degli stock di anguilla, attraverso la realizzazione di azioni pilota con il coinvolgimento di attori pubblici e

privati interessati alla conservazione dell’ ambiente Me-diterraneo”.

Tra gli obiettivi – come ha spiegato lo stesso Gelli – quello di “incorag-giare un sapere

comune transnazionale, creare azioni comuni per la protezione degli stock di anguilla nel Mediterraneo secondo un approccio bottom-up (dal basso) e rilanciare la vallicoltura come stru-mento di salvaguardia della specie”.

“La vallicoltura infatti – ha ricordato Federico Brunelli, dottorando di ricer-ca dell’Università di Bologna – basan-dosi sui tempi di apertura e chiusura delle chiaviche tra le valli e il mare e su tutta una serie di accorgimenti, come i sistemi di cattura e la gestione dei livelli idrici, svolge un’importante funzione di protezione di una specie bersaglio. Inoltre – ha proseguito il ricercatore- la vallicoltura sfrutta il comportamento migratorio delle spe-cie ittiche naturalmente pre-senti nell’area in cui è pra-ticata e lì le trattie-ne fino al periodo di migraz ione. Nelle regioni dell’Alto Adriati-co - ha sottoline-ato – la vallicoltura sfrutta la rimonta naturale delle ceche che - come spiega il ri-cercatore- sono le anguil-le nel loro secondo stadio di metamorfosi; nel primo stadio, quello nel quale inco-mincia il loro viaggio dal mare

dei Sargassi verso le coste europee, prendono il nome di leptocefali, poi, dopo circa due anni, divengono raga-ne ed infine anguille”.

Nelle valli di Comacchio, dunque, le anguille entrano naturalmente e lì ri-mangono fino a che non raggiungono la maturazione sessuale che le fa mi-grare di nuovo verso il mare dei Sar-gassi dove, dopo l’accoppiamento, le femmine andranno a deporre le uova che schiudono solo a temperature su-periori ai 20°C.

Del processo di ricerca del compa-gno e di accoppiamento non si co-nosce quasi nulla; quello che si sa è che, dopo la riproduzione, gli individui adulti muoiono mentre le larve vengo-no trasportate dalla corrente del Gol-fo e del Nord Atlantico verso le coste dell’Europa e Nord Africa.

Tra i tanti obiettivi del progetto “Med”, infatti, si parla anche di “azio-ni pilota per l’acquacoltura sosteni-bile dell’anguilla”, un traguardo che sarà possibile raggiungere solo at-traverso la realizzazione della ripro-duzione artificiale in cattività degli esemplari adulti per i quali, diver-samente dalla maggior parte delle specie, in cui deve essere stimolata solo l’ultima fase della gametoge-nesi, deve essere indotto artificial-mente l’intero ciclo di riproduzione. “Negli ultimi tre decenni – come si legge nelle pagine del progetto - sono stati intrapresi molti sforzi per otte-nere il protocollo di successo per la produzione di gameti e larve vitali. I primi risultati sono stati ottenuti da trattamenti ormonali sull’anguilla giapponese e recentemente sono stati ottenuti gameti vitali anche per l’anguilla europea e - come ha spie-gato Fernando Gelli - proprio in questi mesi, a Cesenatico, Oliviero Mordenti, ricercatore dell’università di Bologna, sta lavorando ad un primo tentativo di riproduzione dell’anguilla a condizioni

controllate”.“Il problema della scomparsa dell’anguilla è reale e c’è bi-

sogno di porselo – preci-sa Gelli - anche a livello

europeo. I giovani scienziati hanno

bisogno di ri-conquistare

la specie – ha sotto-

lineato il tec-

n i -

co Arpa – ed è necessario – prosegue il tecnico – formare una squadra di tecnici che sia in grado di gestire lo stock di anguilla che arriva nelle val-li. La nuova linea del progetto– dice Gelli –consisterà nel confronto tra una semina diretta, nelle acque co-stiere o della Provincia di Ferrara, di ceche pescate in natura e una semina di ceche preventivamente svezzate in condizioni controllate mediante una catena alimentare costituita da fito-zooplancton marino”.

“La nostra idea – ha continuato Gelli – è quindi quella di candidare nuovamente il progetto insieme con l’amministrazione provinciale, il Parco del Delta, l’Arpa, l’Ispra e l’Università. A dare sostegno al progetto – precisa il tecnico – ci sono già alcuni assessori di Comacchio e il Servizio economia ittica della Provincia di Ferrara”.

Wwf tasta il polso del Po con le “vene blu”

Ad un mese di distanza dall’emergenza Lambro-Po

provocata, lo ricordiamo, dallo sversamento di tonnellate di

petrolio fuoriuscito da un'azienda petrolifera del monzese su cui

la Procura di Monza sta ancora indagando, il Delta del Po è di

nuovo al centro dell’attenzione dei media per l’allarme lanciato da un gruppo di pescatori che hanno

osservato, in diversi litorali, una evidente moria di vongole.

Il Wwf – si legge in un comunicato apparso pochi giorni fa sul proprio

sito internet – sottolinea che “si è ancora in attesa dell’ordinanza che avrebbe dovuto sbloccare e

avviare un piano di monitoraggio per valutare le conseguenze,

sull’intero ecosistema, dell’inquinamento di idrocarburi

di marzo e che si è perso un mese che poteva essere

importantissimo per verificare la situazione di alcune popolazioni

di pesci, anfibi o molluschi, importanti indicatori per capire

cosa è realmente successo”.Nel frattempo, il prossimo 2 maggio, il Wwf organizza la

Campagna “Liberafiumi” 2010, un grande censimento che

consentirà di verificare lo stato di salute delle sponde delle

principali ‘vene blu’ del nostro paese.

Un migliaio di volontari verranno coinvolti per setacciare 25 fiumi

italiani lungo l’intera penisola, grandi isole comprese, dal

Piave al Tagliamento, dall’Arno al Tevere, dal Sarno alle fiumare

Calabresi fino all’Adda in Lombardia.

Un’iniziativa mediterranea per ricostituirne la popolazione

Quinta edizione per la fiera internazionale

dedicata al turismo ambientale

Si apre giovedì, 29 aprile, alle 9, nel-la Sala Polivalente di Palazzo Bellini a Comacchio, la quinta edizione della “Fiera Internazionale del Birdwatching e del Turismo Naturalistico” con un appuntamento di eccellenza: il con-vegno internazionale “Una finestra sul birdwatching” - a cura del Parco del Delta del Po Emilia-Romagna- al quale prenderanno parte giornalisti europei, biologi, geografi, fotografi naturalisti e rappresentanti di Lipu (Lega italiana protezione uccelli) ed Ebn Italia, associazione culturale che

si occupa della diffusione dell’attività di osservazione e di riconoscimento in natura degli uccelli con l’intento di acquisire conoscenze utili per la tute-la, valorizzazione e protezione della natura, dell’ambiente e dell’avifauna.

Il convegno si concluderà con un aperitivo e con la degustazione di prodotti tipici del Parco del Delta e a seguire, nelle prime ore del pome-riggio, ci sarà il taglio del nastro della Stazione Ornitologica “Cà Romanet-te” di Val Campotto, un’area per le attività di ricerca, monitoraggio, for-mazione e divulgazione.

Evento “clou” della Primavera Slow 2010 - dal 30 aprile al 2 maggio - la quin-ta edizione della

“Fiera Internazionale del Birdwatching e del Turismo Naturalistico” rappre-senta un momento d’incontro per esperti di fotografia e birdwatching e anche per chi si vorrà accostare a queste esperienze per la prima volta.

In calendario escursioni, degusta-zioni, mostre di fotografia, convegni e seminari, proiezioni e aperitivi musi-cali, oltre a lezioni di birdwatching e laboratori di didattica ambientale per bambini e ragazzi a cura di Lipu ed Ebn Italia.

Il programma di quest’anno è vera-mente ricco e adatto a tutte le tipo-

logie di turista. Un villaggio espositivo rinnovato e di qua-lità - lungo l’argine Valle Fattibello - ve-drà la

presenza delle migliori aziende del settore dell’ottica e della fotografia, strumentazioni ed

equipaggiamenti di supporto per il birdwatching e la fotografia naturali-stica, editoria specializzata,

abbigliamento, didattica ed educa-zione ambientale.

Un vastissimo calendario di eventi collaterali renderà il weekend del 1° maggio davvero imperdibile. I visita-tori della fiera potranno scegliere tra tantissime attività diverse e vivere tre giorni completamente immersi nella natura.

Novità assoluta di questa edizione, il concorso “Digiscoping nel Delta” a cura di Ebn, dedicato a tutti i fotografi che utilizzano la particolare tecnica fotografica che associa una fotocame-ra digitale - compatta o reflex - ad un

Birdwatching, la natura da

Occasione di incontro per appassionati di fotografianaturalistica

telescopio da osser-vazione.

All’interno del Festi-val sarà poi possibile frequentare, dal 29 aprile all’1 maggio, il “Primo Laboratorio Italiano del Documen-tario Naturalistico”, un corso specializzato di produzione cinematografica e televisiva che avrà come soggetto argomenti di carattere scientifico, ambientale e naturalistico, oppure partecipare al “Festival del Do-cumentario Naturalistico” (realizzato in

collaborazione con il noto naturalista Francesco Petretti), un concorso aper-to alle produzioni

professionali e alle produzioni ama-toriali che verranno selezionate da una prestigiosa giuria

composta da personalità del mondo televisivo, della scienza e della comunica-zione e premiate a

C o m a c c h i o il 1° maggio.

“La natura ha grandi numeri – ha detto Massimo Gottifredi, presidente Apt Ser-vizi Emilia-Romagna – la natura è forza comunicativa e offre tante opportunità ed eccellenze perché non basta offrire turismo, bisogna offrire anche qualità”. La “Fiera Internazionale del Bir-dwatching e del Turismo Naturalistico” si conferma dunque, a detta degli or-ganizzatori, come il “country event” più importante dell’Europa continentale.

NATURA da guardare e fotografare:Palazzo Bellini dal 30 aprile al 2 maggio, dalle 10 alle 19

MOSTRA DEL CONCORSO NAZIONALE DI FOTOGRAFIA NATURALISTICAa cura di ASFERICO.

Argine Valle Fattibello dal 30 aprile al 2 maggio, dalle 10 alle 19AZIONE IN NATURA, MOSTRA DI FOTOGRAFIA NATURALISTICA

a cura dei Delta In Focus Photographers presso il villaggio espositivo

Partenza da Comacchio, 30 aprile, ore 14.30.ESCURSIONE FOTOGRAFICA PER FAMIGLIE CON BAMBINI A PUNTE ALBERETE a cura del fotografo Silvano Foschini

Partenza da Comacchio, 1 maggio, ore 9.30ESCURSIONE FOTOGRAFICA NELLE VALLI DI ARGENTA E CAMPOTTO

con eco bus a cura dei fotografi Sergio Stignani e Milko Marchetti.

Partenza da Comacchio, 2 maggio, ore 10.00ESCURSIONE FOTOGRAFICA NELLE VALLI DI COMACCHIO IN BARCA

a cura dei fotografi Luciano Piazza e Roberto Zaffi.

NATURA da osservare:villaggio espositivo – 30 aprile e 1 maggio, ore 17.00

LEZIONI DI BIRDWATCHING TEORICHE PER ADULTI a cura di LIPU

30 aprile e 1 maggio, ore 17.00CORSO DI BIRDWATCHING TEORICO E PRATICO nei luoghi più suggestivi

a cura di EBN

NATURA da gustare:Comacchio – cortile di Palazzo Bellini – dal 30 aprile al 2 maggio

IL CORTILE DEI SAPORI Rassegna enogastronomica dei prodotti tipici del Delta del Po con scuola e lezioni di cucina.

Centro Visite Manifattura dei Marinati - dal 30 aprile al 2 maggioDEGUSTAZIONI GUIDATE “SAPOR DI VALLE” E “ANGUILLA & CO”

NATURA da visitare:dal 30 aprile al 2 maggio, ore 21.00

ESCURSIONI LUNGO I CANALI DI COMACCHIO IN “BATANA” tipica imbarcazione comacchiese a cura dell’associazione di volontariato locale

1 maggioCOMACCHIO FRA TERRA E ACQUA.

Visita al museo della nave romana e della cittadina di Comacchio

SPORT IN... NATURA:2 maggio, dalle 9.30 alle 18.00

6^ PEDALATA NEL CUORE DEL PARCO DEL DELTA organizzata dall’Unione dei Comuni della Bassa Romagna

Tre giorni intensi tra convegni esposizioni ed escursioni

PROGRAMMA

‘catturare’ al volo

La penuria di risorse è la ma-dre dell’innovazione. La stessa povertà di risorse e di tecnolo-gie che ci ha regalato i borghi medievali: esteticamente unita-ri, aggregati sociali autonoma-mente strutturati, “sostenibili” dall’ambiente.

L’autore si fa carico del pre-zioso compito di insegnarci un linguaggio architettonico uni-versalmente riconosciuto e ac-cettato; un linguaggio capace di emancipare ogni cittadino a critico consapevole del luogo in cui vive. La figura dell’archi-tetto è ridefinita, spogliata del potere demiurgico, e riportata al ruolo di consulenza tecnica. L’architetto accompagna così un gruppo di persone nell’im-presa di definire il loro habitat, di prendere decisioni fonda-mentali, con coscienza, attorno alla fondamentale questione dell’abitare. Una profonda le-zione di rispetto sociale e am-bientale, un invito alla rifles-sione, alla moderazione e alla sensibilità per ogni parte che si trova a condividere la presenza su questo pianeta.

Yona FriedmanL’architettura di sopravvivenza.

Una filosofia della povertàEd. Bollati Boringhieri, 167 pagine

il libro

Torna a popolare l’Appennino un

animale bistrattato dalla storia

Sta tornando: è l’antagonista per antonomasia, il “cattivo” che popola le leggende medievali e le favole clas-siche che sono giunte fino a noi, da Esopo fino a Perrault.

È il lupo, il Canis lupus: la belva fa-melica dagli occhi gialli - presenza notturna dei boschi, che affascina e mette paura - sta tornando ad abita-re l’Appennino tosco-emiliano. In quei boschi dove ha scorrazzato per mil-lenni. Non che sia mai scomparso per davvero, ma la vera e propria perse-cuzione attuata dall’uomo – dai cosid-detti “lupari”, cacciatori specializzati che furono istituiti dall’autorità cen-trale intorno all’anno Mille, e in parti-colare dagli allevatori di ovini -, l’ave-va messo a dura prova, ponendolo, a fine anni ‘60, tra le specie animali a rischio di estinzione. In alcune zone era addirittura scomparso: “nell’Ap-pennino settentrionale – ricorda Willy Reggioni, coordinatore di “Life lupo”, progetto di monitoraggio del canide in regione -, il lupo si era estinto intorno ai primi anni ‘50, a seguito – spiega il ricercatore - di deliberate e persisten-ti azioni di eradicazione della specie, considerata nociva”.

Ecco che nel 1971 fu approvato il primo divieto temporaneo di caccia al lupo, che 5 anni più tardi divenne definitivo, con l’abolizione di bocconi avvelenati e il riconoscimento del lupo quale specie protetta. I primi censi-menti, avviati negli anni ‘80, stimava-no una presenza di circa 200 animali in tutto il Paese. Oggi invece, si parla ottimisticamente di circa 600 esem-plari, che risiedono per lo più in modo continuo sull’intera dorsale appenni-nica e in parte dell’arco alpino.

È infatti da circa 15 anni che, grazie a una serie di fattori socio-economi-ci - dall’abbandono delle montagne in favore delle città, all’istituzione di aree protette da parte della legisla-zione italiana – il vecchio ospite delle montagne della nostra regione si sta spontaneamente riappropriando in modo stabile dei boschi appenni-nici, soprattutto di quell’area al di sopra degli 800m di quota.

Attualmente, nei parchi della regione – Parco del Frignano (Mo), del Gigan-te (Re) e dei 100 laghi (Pr) - , si stima la presenza di “5

unità produttive, composte da circa 3-4 animali”, riferisce Reggioni. Ogni branco è strutturato gerarchicamen-te: ci sono un maschio e una femmina dominanti, e al loro seguito ci sono i cuccioli appena nati, alcuni degli anni precedenti ed eventualmente qualche esemplare di altre unità.

Sono circa venti gli esemplari tosco-emiliani, che si muovono continua-mente, a seconda della disponibilità di cibo, “percorrendo anche 50 km in una notte, e spingendosi anche verso la Liguria e oltre”, spiega Reggioni, in un territorio di circa 650 m quadri.

Questi esemplari non sono molti, data la presenza ridotta di ungulati selvatici - come cinghiali, caprioli e cervi -, e piccoli mammiferi - come marmotte, lepri e volpi -, loro prede selvatiche, che ne-gli ultimi anni sono comunque cre-sciute di numero grazie ai ripopola-menti effettuati a scopo venatorio.

Inoltre, si confermano animali non pericolosi per l’uomo, dato che accor-gimenti come una buona recinzione, insieme all’addestramento ad hoc di molossi, sono sufficienti per la difesa delle greggi.

Ma occorre scoprire davvero che tipo di animale sia il lupo, e sfatare al-cuni luoghi comuni che lo hanno come protagonista, per poter promuovere una convivenza il più possibile serena con l’uomo. È con questo obiettivo che è stato avviato il Progetto Life Na-tura 2000, promosso dalla Regione e avallato dai responsabili dei parchi to-sco-emiliani, nell’ambito di Life Natu-ra, strumento finanziario che l’Unione Europea mette a disposizione dal ‘92 per sostenere progetti finalizzati alla conservazione della natu-ra. Sulle tracce del re dei nostri bo- s c h i si sono messi cir-ca venti tecni-ci e studenti, che attra-v e r s o tec-

niche di monitoraggio indirette, han-no raccolto e continuano a raccogliere sistematicamente e in modo coordi-nato, informazioni utili alla sua con-servazione. Per esempio, informazio-ni sugli spostamenti degli esemplari. I branchi sono monitorati a seconda della stagione: in inverno, attraverso la tecnica di tracciatura su neve, detta “snow-tracking”, d’estate, attraverso la tecnica dell’ululato indotto, “wolf-howling”, che permette la localizzazio-ne di eventuali cucciolate. La dieta è invece analizzata attraverso la raccol-ta e l’analisi degli escrementi, realiz-zata presso l’Istituto nazionale per la fauna selvatica di Bologna.

Tutela del lupo significa anche tute-la della pastorizia: occorre, sostiene Reggioni, sviluppare “un efficiente

sistema di risarci-mento dei danni subiti” da parte degli allevatori, e promuovere “inter-venti di prevenzio-ne dei danni, come

recinti anti-lupo (fissi e mobili elettrifi-cati)”, che il parco, ricorda il responsa-bile, “ha realizzato nel recente passa-to”: il fine è quello di “prevenire forme di persecuzione, e non costringere gli allevatori a subire da soli il costo della conservazione di una specie, il cui va-lore è riconosciuto dall’intera comuni-tà internazionale”.

Infine, il direttore del progetto si dice convinto della necessità di una co-stante “opera di sensibilizzazione e di informazione degli stakeholder e della popolazione”, poiché il rischio brac-conaggio è ancora alto. Per questo è tuttora “fondamentale monitorare la presenza dei branchi e gli eventi di predazione”, conclude Reggioni.

Attenuare i conflitti tra il lupo e gli allevatori sembra dunque avere rica-dute dirette sullo sviluppo dell’area dell’Appennino tosco-emiliano, che si configura come cornice di un’interes-sante attività turistica e divulgativa in-torno alla presenza di un animale, che

si pone quale immagine turistica forte, simbolo di un ritorno ad

un ambiente incontaminato, e per questo ricercato, da par-te dei sempre più numerosi amanti della natura.

Il lupo, altro che favole

Attorno all’anno Mille era perseguitato dai “lupari”

Il moto riduce l’incidenza di alcune malattie. Il progetto

pilota di FerraraLo sport ha sempre fatto par-

te della vita dell’uomo: dalle pri-me Olimpiadi, disputate in Grecia e databili al 776 a.C. all’esplosione nell’ultimo decennio di veri e propri templi per la forma fisica, le pale-stre, i binomi sport-bellezza e sport-benessere sono da sempre attuali. Che lo sport susciti competizione e porti ad un miglioramento della qua-lità della vita di chi lo pratica è inne-gabile. Ma ora le discipline applicate allo sport stanno per fare uno stori-co passo in avanti: “quanto” lo sport fa bene? Ovvero, per la prima volta le arcinote informazioni sulla bon-tà dello sport diventano operative. Fino ad oggi, e chi abita nella città del-le Mura e dell’Ippodromo come Ferra-ra lo sa bene, migliaia di persone ogni giorno praticano attività amatoriale (e non) perché evidentemente tro-vano beneficio o ne hanno bisogno. Ma entro l’estate si scoprirà anche in quale misura l’attività sportiva aiuta nel mantenere una buona condizio-ne fisica, quanto aiuta nel prevenire malattie croniche e come migliora la qualità della vita nelle persone che già sono soggette a patologie quali diabete di tipo II, ipertensione etc. A determinarlo “Il movimento come farmaco”, strumento che permetterà di quantificare quanto lo sport arriva in aiuto, sia in fase di prevenzione che di cura, coordinato da Asl e Azienda Ospedaliera di Ferrara, Regione Emi-lia Romagna ed Università di Ferrara. Ferrara progetto pilota. Perché Ferra-ra? Le radici vanno ricercate nella presenza del professor Fran-cesco Conconi, attuale direttore del Centro di Studi Biomedici appli-cati allo sport, e della sua decen-nale esperienza

applicata allo sport ad altissimi livel-li; inoltre la città estense è sempre stata dotata di un Centro di medici-na dello Sport, punto di riferimento dell’attività nazionale (è da poco stata inaugurata la nuova struttura, 800 mq di avanguardia tecnologica pura). Secondo motivo, i report sullo stato di salute dei ferraresi del 2008, anno prima che partisse in maniera fattiva lo studio: sedentarietà e patologie croniche erano a livelli allarmanti, con-statazione che per il progetto si è rive-lato ottimo substrato di partenza per valutare in futuro l’efficacia della sperimentazione. “Vogliamo fare camminare – spie-ga il Professo Conconi - sog-getti diabetici, ipertesi e anzia-ni fragili per farli stare meglio. Se si ha pazienza di camminare tutti i giorni si bruciano i grassi, diminui-sce l’adipe, diminuiscono le malattie da grasso ed anche alcune tipolo-gie di tumori: è provato ne insorga-no alcuni conseguenti all’inattività”. Sette per uno. Sono sette i vantaggi che la sperimentazione vuole con-statare inducendo semplicemente ad una camminata quotidiana, sup-portata da una corretta alimenta-zione. Inizialmente vennero schedati 7.500 diabetici e 2.500 ipertesi, ma col passare dei mesi il progetto, cui sono stati aggiunti anche mille anziani fragili, potrà potenzialmente analizzare i risultati di 13mila sogget-ti, monitorati da 310 medici di base. Ai volontari viene fornito un conta-passi e rilevati all’inizio dell’avven-t u r a i parametri biologici e

fisici (peso, pressione, emoglobina glicosila-ta per i diabetici etc.);

ogni due mesi ven-gono aggiornati e trascritti i para-metri. Al termine del progetto, si potranno valutare

tutte le statistiche utili, e quantifica-re “quanto” il movimento fa bene. Lo staff medico si attende dopo un anno di applica-zione vantaggi moltiplica-ti per sette: riduzione del peso corporeo, dell’indice di massa corporea, della cir-conferenza addominale, della pressione sistolica e diastolica, della frequenza cardiaca a riposo, del cole-sterolo totale e LDL (quello ‘cattivo’) e dei trigliceridi con aumento del colesterolo HDL (quello ‘buono’); nei

soggetti diabetici è inoltre preventi-vata la riduzione della glicemia di base e della emo-globina glicosilata. In sostanza, una riduzione del ri-schio di contrar-re malattie car-diovascolari e

altre malattie da inattività. Movimento positivo anche per i con-ti. E’ intuibile che, dato il costo nullo del “farmaco” movimento, ed una vol-ta che verrà certificata nero su bian-co la bontà del progetto, il ruolo del movimento nella prevenzione o il suo affiancamento nelle terapie tradizio-nali porterà ad un naturale abbas-samento della spesa farmaceutica. Non a caso il direttore generale dell’Azienda Usl di Ferrara, Fosco Foglietta, ha definito l’attività moto-ria “assolutamente non alternativa alla cura ma un surrogato del far-maco, da trasformare in una par-te dell’offerta sanitaria globale”. Sempre in questa direzione anche alcuni dati sottolineati dal Ministro della salute Ferruccio Fazio in sede di presentazione nella capitale del pro-getto: attualmente in Italia il 20% del-la popolazione è ‘over 65’, nel 2050 la cifra salirà al 40%. Se aggiungiamo che il 35% degli over 65 soffrono di malattie croniche (di cui sono intuibili i costi), capiamo bene quanto a livello nazionale si presti attenzione ai risul-tato del progetto pilota di Ferrara. Il movimento costa nulla, ma vale tanto.

Un medico chiamato movimento

I datiUn ferrarese su quattro sedentario,

iperteso e con il colesterolo alto(indagine relativa all’anno 2008

curata dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara)

Movimento

- il 67% delle persone intervistate effettua un lavoro pesante o

aderisce alle raccomandazioni sull’attività fisica

- il 7% non effettua un lavoro pesante e pratica attività fisica in quantità inferiore a quanto

raccomandato - il 27% è completamente

sedentario (nella fascia di età 18-69 anni i sedentari sono il 25,3%)

Pressione

- il 24,6% ha una diagnosi di ipertensione e l’88% segue una

terapia - solo il 15% degli ipertesi svolge

regolare attività fisica

Colesterolo - il 23,9% ha una diagnosi di

ipercolesterolemia da parte di un medico ed il 40% segue una terapia ipocolesterolemizzante

- solo il 17% dei soggetti con colesterolemia alta svolge regolare

attività fisica

Diabete - il 5,5 % della popolazione risulta

diabetica di tipo IIPrime sperimentazioni su diabetici, ipertesi e anziani fragili

L’attività fisica costante riduce il ricorso ai farmaci

Da quando le municipalizzate sono

diventate spa le tariffe sono salite del 62% in 10 anni

L’acqua è un diritto universale, da cui dipendono gli ecosistemi terrestri, eppure sta subendo un processo di spreco e di mercificazione senza pre-cedenti, che ha già riguardato altre ri-sorse naturali. L’acqua è un business: il fatturato delle multinazionali idriche supera il Pil di 114 Paesi.IL CONSUMO IN ITALIA. Contra-

riamente a quanto sta accadendo in altri Paesi, dal 1980 al 1995, nel set-tore civile italiano, dai 211 litri consu-mati al giorno pro capite si è passati a 249. Un quadro aggravato dal pro-trarsi di condizioni climatiche avverse, come la siccità nel sud. Occorre ricor-dare inoltre che il consumo idrico va di pari passo a quello energetico: ri-sparmiare acqua calda permette non solo di avere bollette meno costose, ma soprattutto di ridurre le emissioni clima-alteranti. È bene dunque aver presente che l’acqua non è infinita e la sua disponibilità dipende da piccoli accorgimenti, come chiudere il rubi-netto mentre ci si lava i denti (permet-te di consumare 2 litri d’acqua invece che 30).PRIVATIZZAZIONE. Per Luigi Maz-

zillo della Corte dei Conti, la privatiz-zazione dei beni comuni ha permesso di aumentare i profitti dei privati: non per il recupero di efficienza, bensì per l’aumento delle tariffe definito “un autentico saccheggio” da Adusbef

e Federconsumatori, consistente a “9.270 euro di rincari a famiglia, per oltre 170 miliardi di euro”. Secondo Andrea Cirelli, Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici, questa trasformazione del mercato dei ser-vizi pubblici ambientali, e in partico-lare del ciclo dell’acqua, dovrebbe garantire “forti principi di regolazione per favorire la prevalenza del sistema integrato e della gestione unitaria”. Cirelli sostiene che tali imprese “devo-no rispondere ad una utilità sociale e garantire la congruenza delle presta-zioni, le condizioni di sviluppo tecno-logico, la verifica continua della qua-lità attesa ed erogata, la sostenibilità ambientale. In sintesi ben vengano le gare, solo se il principio da perseguire sarà il miglior servizio per il cittadino ed il maggiore rispetto dell’ambiente (e della preziosa risorsa idrica bene di tutti)”. Da quando le municipalizza-te hanno iniziato a divenire Spa, “gli investimenti – ricorda Marco Bersani del Forum italiano dei movimenti per l’acqua – sono crollati a un terzo (da 2 mld a 700 milioni l’anno), l’occupazio-ne è caduta del 30 %, le tariffe sono salite del 62% nell’arco degli ultimi 10 anni e gli sprechi aumentano del 20%”: centinaia di comitati popola-ri chiedono allora la modifica degli statuti degli enti locali, in modo che il servizio idrico integrato sia ricono-sciuto quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica.

MINERALE. Un giro d´affari di oltre 25 mld di euro all’anno. Gli italiani sono primi per tale consumo di ac-qua in bottiglia al mondo: nel 2002, ne sono stati bevuti 11 miliardi di litri, e sono in costante aumento. Questo

si traduce in danni all’ambiente: pro-durre e smaltire bottiglie, implica un consumo energeti-co; trasportarle ai luoghi di consumo, inquina. Per questo, al fine di promuo-vere il consumo di questo “oro blu” a km zero, i sindaci dei 225 Comuni, in cui Hera gestisce il servizio idri-co, hanno sottoscritto il Manifesto dell’acqua. Poiché le acque della buona informazio-ne risultano piutto-sto inquinate: oc-corre spiegare che l’acqua di rubinet-to è oligominerale, o che la quantità di sodio e calcare, come documenta una ricerca di Altroconsumo, non è preoc-cupante.

VIRTUALE. Nell’era del virtuale, an-che un bene naturale come l’acqua lo diventa. E si dice che una pizza costi 1150 litri di acqua. Questa tariffa si chiama “impronta d’acqua” - concetto ideato dallo studioso Arjen Y. Hoek-stra -, che si calcola, in questo caso, considerando quanti litri di acqua sia-no serviti a preparare la farina, come la mozzarella. E non sono visibile nel prodotto concreto: per questo si chiama “acqua virtuale”, un concetto sviluppato da John Anthony Allan, Stockholm Water Prize 2008, che pone l’attenzione sul consumo idrico connesso alla catena produttiva di un qualsiasi bene.

Acqua salata

In Italia si registra un consumo pro capite di 249 litri al giorno

ACQUA MINERALE50 euro – costo

medio annuo pro capite per bere

acqua minerale: l'Italia è il primo

Paese nella classifica dei consumatori di acqua minerale in

tutto il mondoOgni italiano consuma circa

160 litri di acqua minerale in un anno e vuol dire che consuma

in media 90 bottiglie di plastica e 30 di vetro.

Per 55 milioni di abitanti significa

quasi 5 miliardi di bottiglie

di plastica da smaltire ogni

anno1,5 euro – il costo per 6 litri di acqua minerale, ma anche per oltre 1.100

litri di acqua del rubinettobeve acqua minerale l'87% della

popolazione sopra i 14 anniconsumi di minerale il 70% del totale

beve di più fuori dai pasti. il 13% delle donne - il 9% degli uomini

beve di più durante i pasti: il 14% delle donne - il 18% degli uomini

distribuisce l'acqua nel tempo: il 31% delle donne - il 22% degli uomini

produzione d'acqua minerale 2001: 10.650 milioni di litri

produzione d'acqua minerale 2002: 10.700 milioni di litri

esportazioni di acqua minerale 2001: 750 milioni di litri

esportazioni gennaio-settembre 2002: 795 milioni di litri

ACQUA VIRTUALE90 litri di acqua - servono per

produrre una teiera (0.75 l)150 litri di acqua - servono per

produrre una bottiglia di birra (0,5 l)720 litri di acqua - servono per

produrre una bottiglia di vino (0.75 l)840 litri di acqua - servono per

produrre una caffettiera (0.75 l)1000 litri di acqua – servono per

produrre un litro di latte