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n. 11 – novembre 2018 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno x NOVECENTO Nelle pagine di un libro, fra ricette e misteri di piero meldini BIBLIOFILIA DEL GUSTO Un pastasciuttesco libro di Prezzolini di massimo gatta EDITORIA Tra i torchi di Luciano Ragozzino di sandro montalto FONDO D’IMPRESA Giani Stuparich e la Smolars di Trieste di massimo gatta IL LIBRO DEL MESE Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher di luca orlandini SCAFFALE BIBLIOFILO Fra i classici: Boccaccio, Bembo e Ariosto di giancarlo petrella BIBLIOFILIA Gli incunaboli della raccolta Tiezzi Maestri di giancarlo petrella ISSN 2036-1394

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Page 1: Biblioteca di via Senato...Anatomia di un’in comprensione di massimo carloni L’accusatore e il pornograf o di antonio castronuovo SPECIALE 150 BAUDELAIRE n. 7/8 – luglio/agosto

n. 11 – novembre 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

NOVECENTONelle pagine di un libro, fra ricette e misteridi piero meldini

BIBLIOFILIA DEL GUSTOUn pastasciuttesco libro di Prezzolinidi massimo gatta

EDITORIA Tra i torchi di Luciano Ragozzinodi sandro montalto

FONDO D’IMPRESAGiani Stuparich e la Smolars di Triestedi massimo gatta

IL LIBRO DEL MESEGiuseppe Rensi e Adriano Tilgherdi luca orlandini

SCAFFALE BIBLIOFILOFra i classici:Boccaccio, Bembo e Ariostodi giancarlo petrella

BIBLIOFILIAGli incunaboli della raccolta Tiezzi Maestridi giancarlo petrella

ISSN 2036-1394

Page 2: Biblioteca di via Senato...Anatomia di un’in comprensione di massimo carloni L’accusatore e il pornograf o di antonio castronuovo SPECIALE 150 BAUDELAIRE n. 7/8 – luglio/agosto

n. 7/8– luglio/agosto 2016

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno viii

ISSN 2036-1394

SPECIALE“ORLANDO FURIOSO”

Orlando furioso 2016:canto e disincantodi giuseppe sangirardi

Nel Cinquecento tuttipazzi per Ariostodi giancarlo petrella

Senso e pazzia nell’Orlando furiosodi gianluca montinaro

Ludovico Ariostocome Raffaello Sanziodi adolfo tura

«D’ogni legge nemicoe d’ogni fede»di guido del giudice

Orlando e la metaforadella fragilità umanadi marco cimmino

La dorata ottava dell’Orlando furiosodi antonio castronuovo

Ricchi scaffali ariosteschi a Ferraradi massimo gatta

Aspettando LudovicoAriosto a Ferraradi luca pietro nicoletti

Ariosto alla Biblioteca di via Senatodi giancarlo petrella

SPECIALE V CENTENARIO “ORLANDO FURIOSO” (1516-2016)

n. 9 – settembre 2016

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno viii

ISSN 2036-1394

LIBRI ENUMISMATICASpiccioli sonanti di storia dell’artedi luca piva

IL LIBRO DEL MESEOssa, cervelli, mummie e capellidi antonio castronuovo

BVS: FONDO BORGESIl rarissimo “yogurt” di Borgesdi massimo gatta

LETTERATURAMorselli, la vacanzadi Cesare e i piratidi linda terziroli

BVS: BIBLIOFILIALibri ritrovati(anche in via Senato)di giancarlo petrella

n. 10 – ottobre 2016

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno viii

ISSN 2036-1394

RARITÀBenedetto Croce: autobibliografia di massimo gatta

BIBLIOFILIAAlla ricerca di quelche resta dei codici di giancarlo petrella

I LIBRI DEL MESEPercorsi alternativi al presente: archi,clave e razzi spaziali di andrea scarabelli

PERSONAGGIStorie di un editore filologo e di un libraioantiquario di massimo gatta

MOVIMENTIL’eterna vitalità del Futurismo e i manifesti della Donna di vitaldo conte

NOVECENTOAntonio Beltramelli:il successo e l’obliodi antonio castronuovo

n. 12 – dicembre 2016

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno viii

ISSN 2036-1394

Nel cuore dell’uomo,il senso dell’utopiadi claudio bonvecchio

Moro: utopista, santo e «parlamentarista»di carlo gambescia

L’utopia del possibile e dell’impossibiledi teodoro k. de la grange

Il regime del tempoe l’idea dell’utopiadi diego fusaro

Si nondum legisti fac requiras di giancarlo petrella

L’Utopia di Luigi Firpo,bibliofilo illuminatodi massimo gatta

L’Utopia cattolica di Jean Le Blonddi antonio castronuovo

Tommaso Moro: l’eresia della coscienzadi guido del giudice

Fra Moro e Ariosto: sogno e utopiadi gianluca montinaro

Tommaso Moroe la città ‘perfetta’di silvio berlusconi

Il XX secolo e la morte dell’utopiadi gianfranco de turris

Senza libertà. Utopia e distopiadi antonio castronuovo

Fra pagine e versi: utopia e letteraturadi marco cimmino

Additional Location for More’s Utopiadi giancarlo petrella

SPECIALE V CENTENARIO ‘UTOPIA’ (1516-2016)

n. 11 – novembre 2016

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno viii

ISSN 2036-1394

V CENTENARIO UTOPIA (1516-2016)Speciale “Bibliotecadell’Utopia”

La prestigiosa ‘Utopia’di via SenatoLa Collana “Bibliotecadell’Utopia” 1990-2012di massimo gatta

L’utopia di Moro: il percorso di un’ideaFra perfezione e libertà dell’uomodi gianluca montinaro

Un viaggio nell’utopia: 1990–2012Il catalogo della“Biblioteca dell’Utopia”di massimo gatta

V CENTENARIO ‘UTOPIA’ (1516-2016) • SPECIALE “BIBLIOTECA DELL’UTOPIA”

n. 1 – gennaio 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

BIBLIOFILIAAvventure di libri:l’Ariosto Cavalieridi giancarlo petrella

NOVECENTOLe lettere dellaSarfatti a Panzinidi piero meldini

LA RIFLESSIONELe riformedell’istruzione el’educazione mancatadi claudio bonvecchio

LIBRO DEL MESEL’iconologia del libronelle edizioni dei secoli XV e XVIdi ugo rozzo

LIBRI D’IMPRESACaffè meccanici,ingranaggi del gusto, leve del piaceredi massimo gatta

VOLUMI MISTERIOSI‘Istruzioni letterarie’sull’uso dell’ombradi massimo gatta

n. 2 – febbraio 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

BIBLIOFILIALibrai e collezionistiall’asta Brunschwigdi giancarlo petrella

SUL NOLANO«Titano della tuapreziosa Nola»di guido del giudice

NOVECENTOCopertine in giallo, tra Parigi, Catania, Milano e Marradidi stefano drei

COLLEZIONISMORaffaello Salari‘fiorentino’ e l’infinito amore per i libridi massimo gatta

DANNUNZIANAIl vate, il libraioe lo stampatoredi massimo gatta

n. 3 – marzo 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

MEMORIAIl bibliografo e lo storico del librodi giancarlo petrella

EDITORIA“La memoria” e la «sirena dei libri»di massimo gatta

LIBRI/ARCHEOLOGIAUna dolorosavicenda: Pompeirisorta, Pompeisaccheggiatadi luca piva

STORIE DI STAMPAVittorio Alfieri,elegante e ‘privatissimo’tipografodi massimo gatta

LETTERATURADoppia lesbo. Le dueAmiche di Verlainedi antonio castronuovo

n. 4 – aprile 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

NOVECENTO«Oggi, il Belli, è fuori tempo!»di giancarlo petrella

EDITORIATorchi letterari: i libri e la stampadi massimo gatta

LIBRII Dictionnairesdi un ‘collezionista’di piero meldini

LA RIFLESSIONEIl lavoro e la Costituzione della Repubblicadi claudio bonvecchio

LETTERATURAUn Gatto a Napoli nella“Libreria del 900”di massimo gatta

SUL NOLANOUna rara traduzionedello Spaccio de la bestia trionfantedi guido del giudice

n. 5 – maggio 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

ANTICHE EDIZIONILa tortuosa storiaeditoriale di Rabelaisdi antonio castronuovo

LIBRI DI PREGIOI cataloghi di Alberto Tallone di massimo gatta

IL LIBRO DEL MESESistemi tachigrafici dall’antichità a Twitterdi alessandro tedesco

COLLEZIONISMOAppunti culinari di Orazio Bagnascodi massimo gatta

BIBLIOFILIAIl catalogo dei tesorimantovanidi giancarlo petrella

n. 6 – giugno 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

SPECIALE 150° BAUDELAIRE«L’orrore della vita e l’estasi della vita»di giuseppe scaraffia

Il grande poeta e il raffinato bibliofilodi massimo carloni

Il poeta bibliofilo e i suoi rilegatoridi antonio castronuovo

Un’edizione ‘unica’di Baudelairedi massimo gatta

Baudelaire ovvero dell’ordine del caosdi marco cimmino

Il poeta, lo scrittore e il critico d’artedi antonio castronuovo

Anatomia diun’incomprensione di massimo carloni

L’accusatore e il pornografodi antonio castronuovo

SPECIALE 150° BAUDELAIRE

n. 7/8 – luglio/agosto 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

RINASCIMENTO ESOTERICOSpeciale V centenario “De arte cabalistica” (1517-2017)

Gli intellettuali cristiani e la qabbalàdi fabrizio lelli

Reuchlin prima di Reuchlindi giancarlo petrella

I Reuchlinianadi Amsterdamdi cis van heertum

Il fondamento magicodell’universo di massimo donà

Cornelio Agrippa e la vanità delle scienzedi guido del giudice

L’astrologia e il ‘Diluvio Universale’di leandro cantamessa arpinati

Esoterismo e grafomaniadi antonio castronuovo

Il ‘Gruppo di Ur’ e la tradizione esotericadi giovanni sessa

La fantasia esoterica di Gustav Meyrinkdi gianfranco de turris

L’esoterica di Umberto Ecodi frans a. janssen

Gli scaffali ermetici del Professoredi massimo gatta

Alla ricerca di Reuchlindi giancarlo petrella

RINASCIMENTO ESOTERICO • SPECIALE V CENTENARIO “DE ARTE CABALISTICA”

n. 9 – settembre 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

BIBLIOFILIAFrancescoSansovino e PieroCalamandreidi giancarlo petrella

LIBRIUn ‘volume’ tra Ravenna e Uppsaladi antonio castronuovo

LIBRO DEL MESELa bibliotecaperduta: i libri di Leonardodi carlo vecce

COLLEZIONISTIPiero Camporesi, fra ricercabibliofila e studi storicidi piero meldini

EDITORIAAchille Bertarelli e l’ex libris italianodi massimo gatta

n. 10 – ottobre 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

BIBLIOFILIAI libri della Crusca e le loro vicendedi giancarlo petrella

NOVECENTOLa libreriaantiquariadi Umberto Sabadi massimo gatta

IL LIBRO DEL MESEComino Ventura: un editore tra lettere e libri di letteredi roberta frigeni

EDITORIAYourcenar‘multilingue’: fralibri e traduzionidi antonio castronuovo

LETTERATURAEchi letterari di unatragedia minerariadi luca piva

n. 11 – novembre 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

ISSN 2036-1394

SPECIALE BIBLIOTECA VIGANÒ

«Ne’ miei dolcistudi m’acqueto»di giancarlo petrella

Una raccolta trapassato e futurodi pierangelo goffi

SPEC IALE B IBL IOTECA V IGANÒ

n. 12 – dicembre 2017

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno ix

Martin Lutero tra forma ed eventodi giovanni puglisi

Requiem per Martin Luterodi claudio bonvecchio

Martin Lutero e la mistica medievaledi marco vannini

La pala di Wittenberg e la teologia luteranadi silvana nitti

Martin Lutero e i Discorsi a tavoladi gianluca montinaro

Fichte lettore della Riforma protestantedi diego fusaro

Lutero e alcune storie sociologichedi carlo gambescia

Martin Lutero e l’obbedienza al poteredi teodoro klitsche de la grange

‘Edizioni contro’: fra Erasmo e Luterodi antonio castronuovo

Esuli di religione: Olimpia Fulvia Moratadi lucia felici

Lutero, Bruno e Pomponio Algieridi guido del giudice

El Summario de la Sancta Scripturadi ugo rozzo

Johann Eberlin polemista luteranodi lorenzo di lenardo

La “Libreria ReligiosaGuicciardini” di giancarlo petrella

Giuseppe Rensi e Andrea Emodi giovanni sessa

La “Libreria Religiosa di via Senato”di giancarlo petrella IS

SN 2

036-

1394

SPECIALE V CENTENARIO “95 TESI” (1517–2017)

n. 1 – gennaio 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

EDITORIAIl ‘futurlibro’ diFortunato Deperodi massimo gatta

LIBRI ANTICHIIncunaboli perduti.Incunaboli ritrovatidi giancarlo petrella

LEGATURELibri che ti levano la pelledi sandro montalto

LIBRO DEL MESEDue spiriti della terra:Šestov e Fondanedi luca siniscalco

LETTERATURAZola e L’Argent.Genesi di uncapolavorodi giuseppe scaraffia

VICENDE«Non s’odora altro col naso che quello che s’ha nella mente»di piero meldini

SCOPERTEDino Campana al Caffè Orfeo: un ‘piccolo’enigma svelatodi stefano drei

n. 2 – febbraio 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

BIBLIOFILIAUna ‘santa’ raccolta e il suo catalogodi giancarlo petrella

PERSONAGGIIl fascino di uno scrittore analfabetadi antonio castronuovo

LA RIFLESSIONEEuropa: burocrazie e responsabilità della politicadi claudio bonvecchio

I LIBRI DEL MESEGli Imperdonabili: oltre il tramonto della Modernitàdi giovanni sessa

SUL NOLANOGiordano Bruno: lavera storia dell’arrestodi guido del giudice

LIBRILa raccolta impossibile:collezionare Pseudobibliadi gianfranco de turris

NOVECENTOVenezia dannunziana:fuoco e ceneredi luca piva

n. 4 – aprile 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

OTTOCENTOWilliam Beckford: la letteratura e la vitadi giuseppe scaraffia

BIBLIOFILIAIl cavalier Buovo d’Antonadi giancarlo petrella

LA RIFLESSIONELa necessità delle élites e il benedella democraziadi claudio bonvecchio

IL LIBRO DEL MESELe epistole latine di Giordano Brunodi gianluca montinaro

PUBBLICAZIONII colori della terra: «La Piê» e la xilografiadi antonio castronuovo

BIBLIOFILIA DEL GUSTOFilippo Tommaso Marinetti, cucinieredi massimo gatta

n. 3 – marzo 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

BIBLIOFILIAI Sermones di MicheleDurazzini da Empolidi giancarlo petrella

EDITORIALa sovraccoperta: un’opera d’artista!di massimo gatta

NOVECENTOPrimo Levi e il granrifiuto di Einaudidi sandro montalto

LA RIFLESSIONEMarcello Dell’Utri e la ‘Giustizia’: un caso esemplaredi claudio bonvecchio

PERSONAGGIDino Buzzati, scrittore fantastico e «doverista»gianfranco de turris

L’INEDITOWystan H. Audenlettore de La caduta nel tempo di Ciorandi luca orlandini

LIBRO DEL MESE«L’Illustrazione. Rivista del libro a stampa illustrato»di giancarlo petrella

n. 5 – maggio 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

NOVECENTOViaggio fra i libri della contestazionedi piero meldini

SCRITTORILibri e articoli su una vita studentescadi antonio castronuovo

BIBLIOFILIAGli incunaboli dellaBiblioteca Nazionaledi giancarlo petrella

IL LIBRO DEL MESEIn morte di una civiltà. Saggi quasi politicidi massimo carloni

GRAFICA E EDITORIAL’arte al serviziodell’Idea: Mario Sironie il fascismodi mario bernardi guardi

SUL NOLANOIl fascino ingannevole della dotta citazionedi guido del giudice

BIBLIOFILIA DEL GUSTOAi tavoli di Bagutta,«ritrovo di galantuomini»di massimo gatta

n. 6 – giugno 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

PERSONAGGI«Scrivo la sera, a tempo perso»di massimo gatta

BIBLIOFILIALa biblioteca Pasolini al Vieusseuxdi giancarlo petrella

LA RIFLESSIONEL’esistenza dello Statoe la necessità di sicurezzadi claudio bonvecchio

IL LIBRO DEL MESEFra le carte dell’archivio di Giuseppe Martinidi giancarlo petrella

ANEDDOTICAVox Piscis: il libro ingoiato da un merluzzodi antonio castronuovo

BIBLIOFILIA DEL GUSTOMarino Parenti al ristorante Sabatinidi massimo gatta

GRAFICAI canti di Faunus diBeltramelli e Nonnidi edoardo fontana

n. 7/8 – luglio/agosto 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

GABRIELED’ANNUNZIO Ottanta anni dopo

Contributi diGiordano Bruno GuerriAnnamaria AndreoliFrancesco PerfettiGiuseppe ScaraffiaMarcello VenezianiPietro GibelliniGianluca MontinaroAngelo Piero CappelloMaria Rosa GiaconAndrea LombardiniloCarlo SantoliLuca PivaCarlo Gambescia Sandro MontaltoAntonio CastronuovoMassimo GattaLorenzo BraccesiMario Bernardi GuardiVitaldo ConteFranco Di Tizio

SPECIALE 80° GABRIELE D’ANNUNZIO (1863–1938)

ISSN

203

6-13

94

n. 10 – ottobre 2018

la Biblioteca di via SenatoMilano

La filosofia ‘attiva’ di Julius Evoladi gianfranco de turris

«Dall’abisso più fondo, la vetta più alta»di michele ricciotti

L’immensa vertigine della realtà originariadi luca siniscalco

Evola: pensatore della Tradizionedi giovanni sessa

Civiltà del tempo e civiltà dello spaziodi stefano arcella

Il Barone Evola e le dottrine orientalidi nuccio d’anna

Le vicende editoriali di «Ur» e «Krur»di fabrizio giorgio

La parola oscura era illuminantedi vitaldo conte

Julius Evola promotore culturaledi gianfranco de turris

Costruire una nuova civiltà tradizionaledi guido andrea pautasso

Il Barone all’insegna del Pesce d’Orodi andrea scarabelli

Evola nell’editoria di Laterzadi stefano e. bona

Evola e Pound: un incontro impossibiledi andrea scarabelli

ISSN

203

6-13

94

mensile, anno x

SPECIALE JULIUS EVOLA (1898–1974)

n. 9 – settembre 2018

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno x

ISSN 2036-1394

ILLUSTRAZIONEMax tra i mostri selvaggi di Sendakdi edoardo fontana

BIBLIOFILIA DEL GUSTOBenedetto Croce e laSocietà dei Nove Musi di massimo gatta

BIBLIOFILIAI bibliofili della Bernardino Misintadi giancarlo petrella

EDITORIAI ‘librini imolesi’ di Babbomorto Editoredi massimo gatta

IL LIBRO DEL MESEOltre la realtà: le visioni di Célinedi luca siniscalco

SCAFFALEDEL BIBLIOFILOL’unicorno e Tullia d’Aragonadi giancarlo petrella

LINGUA E IDENTITÀL’«altissima tragedia»di un’isola contesadi luca piva

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lunedì 3 dicembre 2018 – ore 18Biblioteca di via SenatoVia Senato, 14 – Milano

la Fondazione Biblioteca di via Senatoha il piacere di invitarLa

alla presentazione del fascicolo monografico di dicembre de

«la Biblioteca di via Senato»

intervengonoGiancarlo Petrella

Enrico Tallone

introduceGianluca Montinaro

dedicato aJohannes Gutenberg

(1400-1468)nella ricorrenza

dei 550 anni

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Sommario6

14

24

32

38

NovecentoNELLE PAGINE DI UN LIBRO,FRA RICETTE E MISTERIdi Piero Meldini

BibliofiliaGLI INCUNABOLI DELLARACCOLTA TIEZZI MAESTRIdi Giancarlo Petrella

Bibliofilia del GustoUN PASTASCIUTTESCO LIBRO DI PREZZOLINIdi Massimo Gatta

Editoria TRA I TORCHI DI LUCIANO RAGOZZINOdi Sandro Montalto

BvS: Fondo d’ImpresaGIANI STUPARICH E LA SMOLARS DI TRIESTEdi Massimo Gatta

46

52

57

Il Libro del MeseGIUSEPPE RENSI E ADRIANO TILGHERdi Luca Orlandini

Lo Scaffale del BibliofiloFRA I CLASSICI: BOCCACCIO,BEMBO E ARIOSTOdi Giancarlo Petrella

IN SEDICESIMO – Le rubricheLO SCAFFALE – LE MOSTRE – IL LIBRO D’ARTE –IN APPENDICE/FEUILLETON –COLLABORATORIdi Luca Pietro Nicoletti e Errico Passaro

la Biblioteca di via Senato – MilanoMENSILE DI BIBLIOFILIA E STORIA DELLE IDEE

anno X – n.11/99 – Milano, novembre 2018

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Biblioteca di via Senato

Via Senato 14 - 20121 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 [email protected]@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.it

PresidenteMarcello Dell’Utri

Direttore responsabileGianluca Montinaro

Coordinamento pubblicitàMargherita Savarese

Progetto graficoElena Buffa

Servizi GeneraliGaudio Saracino

Fotolito e stampaGalli Thierry, Milano

Immagine di copertinaParticolare tratto dai Quaderni delroseto 1, con un’acquaforte originale a due lastre di Luciano Ragozzino(2017)

Stampato in Italia© 2018 – Biblioteca di via SenatoEdizioni – Tutti i diritti riservati

Reg. Trib. di Milano n. 104 del11/03/2009

Per ricevere a domicilio (con il solo rimborso delle spese di spedizione, pari a 27 euro) gli undici numeri annuali della rivista «la Biblioteca di via Senato» scrivere a:[email protected]

L’Editore si dichiara disponibile a regolareeventuali diritti per immagini o testi di cuinon sia stato possibile reperire la fonte

Tutti i contributi, prima di esserepubblicati, sono rivisti in forma anonima.«la Biblioteca di via Senato» è un mensileche utilizza il metodo della valutazione trapari (peer review)

Ringraziamo le Aziende che ci sostengono con la loro comunicazione

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I l 2018 si concluderà, per la Biblioteca divia Senato, e nello specifico per la suarivista, con un monografico dedicato

all’inventore della stampa a caratteri mobili,Johannes Gutenberg, del quale, quest’annoricorre il 550° anniversario della morte.

Il fascicolo, che sarà ricco di interventiche racconteranno della nascita dell’artetipografica, sarà soprattutto l’occasione per riflettere su quanto un oggetto – in

apparenza ‘innocuo’ – come un insieme di fogli di carta impressi e rilegati, abbiainfluito sulle vicende della Storia.

Questo numero speciale sarà presentatonei locali della Biblioteca, il prossimo lunedì3 dicembre, alle ore 18. Un’occasione, quindi,da non mancare: per conoscere più e megliocolui che ha reso possibile la ‘magia’ dellastampa e la diffusione del libro.

Gianluca Montinaro

Editoriale

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novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 7

Novecento

Nel 1948 le neonate Edizioni d’Italia diPerledo avviarono la pubblicazione diuna collana di piccoli e raffinati volumi

in 32esimo, “Raggi di Sole”. La serie, che si inter-ruppe dopo il decimo numero, comprendeva, fragli altri titoli, Le astuzie sottilissime di Bertoldo eBertoldino di Giulio Cesare Croce, I Fioretti di SanFrancesco, La fisiologia del gusto di Brillat-Savarine due romanzi di Umberto Notari, I tre ladri e Ilgiardino delle delizie, e non per caso. Le Edizionid’Italia erano infatti l’ultima delle sue tante im-prese editoriali. Giornalista, scrittore ed editore,di origine bolognese, Notari nel dopoguerra - ce-dute la casa editrice Istituto Editoriale Italiano ela tipografia - si era ritirato con la seconda moglienella sua villa di Perledo, sul lago di Como, dovemorirà di lì a breve, nel 1950.

Il titolo più interessante (e anche il più intri-gante, per le ragioni che vedremo) è il n. 3 dellacollana, Gli intellettuali in cucina,1 una raccolta,firmata Mascotte, non già di aneddoti e divaga-zioni letterarie sul cibo, ma di «ricette originali» -poco meno di un centinaio - fornite da altrettantiscrittori, poeti, drammaturghi, giornalisti, pittorie attori italiani.

La curatrice si premura nella breve prefazio-ne di sfatare il pregiudizio che «vi sia un’antitesifra cervello e stomaco», «vita dello spirito e amo-re della tavola», e che «le persone di eletti senti-menti e di gusti sofisticati abbiano a sdegnare lecompiacenze del gusto». Preoccupazione del tut-to superflua, come dimostra la risposta corale edentusiastica delle personalità interpellate, fra lepiù note delle lettere, del giornalismo, del teatro edelle arti: da Bacchelli a Bontempelli, da Ada Ne-gri a Panzini, da Marinetti a Folgore, da Govoni aVillaroel, da Lucio d’Ambra a Mura, da Barzini aVergani, da Petrolini a Dina Galli, da Bragaglia aCarrà. C’è perfino il premio Nobel Grazia Deled-da. È presente, insomma, larga parte dell’élite cul-turale degli anni Trenta.

�Questo fatto pone un primo problema: il li-

bro non è datato, ma la sua pubblicazione non puòessere anteriore al 1948, anno di nascita della col-lana “Raggi di Sole”. I profili biografici che intro-ducono le ricette, tuttavia, non riportano una solanotizia successiva al 1932. Nel 1948, oltre tutto,più d’un intellettuale che aveva contribuito al li-bro era morto: Petrolini e la Deledda nel ’36, Pan-zini e Lucio d’Ambra nel ’39, Marinetti nel ’44,Ada Negri nel ’45. Anche la scelta dei personaggie delle informazioni, il clima politico-culturale eil linguaggio, seppure cautamente depurati, sonoquelli dei primi anni Trenta, culmine della para-

NELLE PAGINE DI UN LIBRO,FRA RICETTE E MISTERI

Gli intellettuali in cucina

di PIERO MELDINI

Nella pagina accanto: «La Cucina Italiana», anno VIII,

n. 12, dicembre 1936. In copertina un editoriale firmato da

Fanny Dini

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bola ascendente del fascismo. Se ne conclude cheil lavoro, o almeno i materiali che lo compongono,dovrebbero risalire a quel periodo.

Le ricette che il libro ospita sono molto varie.Un buon numero riguarda piatti regionali di stret-ta tradizione: il piemontese Carlo Carrà forniscela ricetta della bagna cauda, che «deve essere sem-pre bollente, e si mangia col cardo e anche coi pe-peroni, ma è preferibile il cardo»; il romano Pe-trolini propone quella della panzanella; il comme-diografo bolognese Guglielmo Zorzi invia la ri-cetta delle sfrappole carnevalesche; il bellarieseAlfredo Panzini ruba ai pescatori del suo paese ilrecipe delle fragranti seppioline ripiene in gratico-la; il grande attore catanese Angelo Musco detta lasemplicissima, quasi monastica ricetta di un «anti-pasto siciliano» costituito da olive nere bollite cin-que minuti e poi fritte per altri cinque minuti con

aglio, alloro e una spruzzata di vino bianco; la sar-da Deledda, dopo aver umilmente premesso che lasua «fama, in materia di cucina, è perfettamenteusurpata», contribuisce con la ricetta di uno spez-zatino di capretto, «appreso a fare nella patriarca-le cucina di Nuoro». È rigorosamente filologica,va da sé, la versione dell’«autentica polenta tara-gna» trasmessa dall’insigne filologo valtellinesePio Rajna.

Non mancano però ricette di piatti più inno-vativi e anche - diremmo oggi - più creativi, comequella delle «triglie del buongustaio», proposta daBacchelli (triglie cotte al forno con un trito di sca-logni, servite con una salsa di pomodoro e fegati ditriglia passati al setaccio), o quella del raffinatoquanto complesso «pasticcio di piccioni», fornitadal popolare attore teatrale Antonio Gandusio; oquella, infine, del «gelato grattacielo in undicipiani», benevolmente concessa dal romanziere disuccesso Lucio D’Ambra.

�Sicuramente innovative sono le ricette, o me-

glio le ‘formule’, della pattuglia futurista guidatada Marinetti, che proprio nel 1932 aveva pubbli-cato il libro La cucina futurista, scritto a quattromani con Fillìa. E, in effetti, le ‘formule’ di PaoloBuzzi («risotto all’alchechingio»), di LucianoFolgore («antipasto folgorante») e dello stessoMarinetti («tavola parolibera marina» e «vivandasimultanea») sono tratte di peso dal libro citato(che la curatrice, però, non menziona). Sono ine-dite, ma anche molto più banali, solo le ricette del-la pittrice Benedetta (Cappa), moglie di Marinetti(insalata russa) e del giornalista Armando Mazza,futurista della prima ora (arancine di riso).

Non sono poche le ricette di preparazionieconomiche, accompagnate talvolta da accentipolemici verso la dispendiosa ‘cucina borghese’.L’elogio della vita rurale e gli inviti all’autarchiaalimentare, alla frugalità e al risparmio sono, delresto, tra le parole d’ordine del regime fascista. Al-

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fredo Baccelli, poeta e senatore del Regno, propo-ne perciò la ricetta di «un semplice uovo» (bollitotre minuti e frullato con sale e poche gocce di li-mone); il giornalista Roberto Forges Davanzatipresenta quella della bruschetta, «un cibo che fa

bene al corpo e all’anima»; il prolifico SalvatorGotta se la sbriga con quella delle «uova in agro-dolce» (uova sode ripassate in padella con burro ecipolla).

Completamente fuori linea è invece Marghe-

Nella pagina accanto: «La Cucina Italiana», anno VII, n. 12, dicembre 1935. In copertina un editoriale firmato da Fanny

Dini. Qui sopra da sinistra, in senso orario: frontespizio de Le astuzie sottilissime di Bertoldo e Bertoldino (Perledo, Edizioni

d’Italia, 1948) di Giulio Cesare Croce; Fanny Dini, Lettera d’amore, Palermo, Novecento, 2002 (copertina); Filippo

Tommaso Marinetti e Fillia, La cucina futurista, Milano, Sonzogno, 1932 (si noti la fascetta editoriale pubblicitaria, che

riporta anche il prezzo del volume, «5 lire»); frontespizio e controfrontespizio de Gli intellettuali in cucina (Perledo,

Edizioni d’Italia, 1948) di Mascotte; frontespizio della prima edizione del romanzo Il giardino delle delizie (Perledo,

Edizioni d’Italia, 1948) di Umberto Notari

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rita Sarfatti, madrina di Novecento, direttrice di«Gerarchia» e biografa (oltre che ex amante) diMussolini, che detta la ricetta della complicataquanto costosa zuppa d’aragosta. Agli inizi deglianni Trenta la Sarfatti è ancora una donna poten-te, né sono alle viste quelle leggi razziali che co-stringeranno lei, ebrea, a rifugiarsi in Argentina. Ilsuo piatto non è solo caro, è anche scandalosa-

mente in contrasto con i dettami della kasherut,che vieta tassativamente il consumo di crostacei. Èinvece perfettamente kasher il «cuscussù», la ver-sione del cous cous cucinata dagli israeliti livornesi,di cui il poeta Angiolo Orvieto fornisce la ricettain versi.

�Non è la sola ricetta in poesia: anche Giusep-

pe Lipparini, Clarice Tartufari e il drammaturgoCarlo Veneziani sciolgono inni rispettivamente aifagioli alla toscana, alla frittata col guanciale e allatorta di semolino. Alla varietà dei piatti corrispon-de infatti quella dello stile delle ricette: ce n’è discritte con eleganza e di trasandate; di chiare e diconfuse; di sintetiche e di dettagliate fino alla pe-danteria; di laconiche e di colloquiali. Non pochesono corredate da piacevoli ‘cappelli’ aneddoticiall’Artusi.

Resta da sciogliere il mistero dell’identitàdella curatrice degli Intellettuali in cucina. Con lopseudonimo di Mascotte sono firmati, a mia cono-scenza, sette libri, cinque prima e due dopo laguerra: Tavola della celebrità (1932), I dolci (1932),Paste asciutte e altre minestre (1933), Cucina piemon-tese, lombarda, ligure e toscana (1934) e Cucina roma-

Da sinistra in alto, in senso orario: Ettore Petrolini (1884-

1936), in uno delle sue più note immagini; Orio Vergani

(1898-1960); Ada Negri (1870-1945); Margherita Sarfatti

(1880-1961), in una foto della fine degli anni Venti

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SALACCHE [SARDE O ARINGHE] ALLA MOTTA VISCONTISi prendono due salacche piuttosto grosse, se ne raspa-no via le scaglie più dure, si pongono, sulla estremitàd’un paio di molle, a rosolare su un fuoco di brace.Quando sieno ben rosolate da una parte e dall’altra, simangiano con la polenta, bevendoci sopra un bicchieredi vinello. Piatto indicatissimo per la salute del corpo e lavigoria e limpidezza dello spirito.Ricetta di Ada Negri

PANZANELLAQuando si mangia la gallina s’ha da essere in due: io e lagallina. Ma, lasciando gli scherzi, ecco, come buon ro-mano, la ricetta vera che vi posso dare: da una pagnottacasareccia un po’ mollicosa si tagliano fette non tantopiccole. S’inzuppano nell’acqua fredda e si mettono, ap-pena un po’ zuppe, una accanto all’altra in un piatto unpo’ fondo. Si condiscono con sale, olio, aceto e pepe econ qualche foglietta di basilico fresco. Rivoltarle sotto-sopra dopo un cinque minuti e ricondirle perché così ciresta un po’ di sughetto.Ricetta di Ettore Petrolini

RICOTTA DOLCESi prende un chilo di ricotta freschissima, mezzo etto dicaffè macinato finissimo, un etto e mezzo di zuccheroin polvere lievemente profumato alla vaniglia. Si me-scoli con una forchetta, impastando in modo da forma-re un tutto omogeneo. Si ottiene così un dolce di facilefattura e di gusto soave, adatto a qualsiasi età e in qual-siasi stagione. La medesima composizione si può farecon 40 grammi di cacao in polvere e 200 di zucchero.Ricetta di Orio Vergani

TRAMEZZO ALLA SICILIANASi prendano i tuorli di sei uova ben assodate e si impa-stino con un ettogrammo di burro, uno di zucchero eun bicchierino di Marsala. Si bagnino con Maraschinole pareti di uno stampo, che si copriranno con biscottisavoiardi, alternatamente inzuppati di Marsala e diMaraschino. Vi si rovesci dentro l’impasto preparato elo si ricopra di nuovi biscotti inzuppati. Si metta lostampo in ghiaccio e se ne toglierà un dolce squisito.Ricetta di Giuseppe Villaroel

ZUPPA D’ARAGOSTAUn chilogrammo di funghi di pioppo. Dopo averli sot-toposti alla solita “toletta”, affettarli e con burro farlisaltare al fuoco per alcuni minuti. Intanto buttare inacqua bollente e salata un’aragosta viva (del peso dicirca un chilogrammo) e lasciarvela cuocere circamezz’ora. Cotta che sia, va tagliata in senso longitudi-nale; e si tolgono le due mezze code, che si metteran-no in caldo. Il guscio o scheletro si pesti nel mortaio edopo tale operazione lo si getti nella stessa acqua oveprese il colore rosso; vi si lasci un’oretta a bollire consedano, prezzemolo, carota, alloro, pomidori a pezzi,un po’ di pepe e di cannella e un 250 grammi di burro.Tutto questo si farà passare allo staccio. Il brodo spe-ciale che ne deriva va messo in casseruola perché tor-ni caldo. Fette di pane arrostito, o fritte al burro, ver-ranno finalmente disposte nella zuppiera insieme afettine di quelle due mezze code che abbiamo tenutein caldo e a quei funghi che abbiamo preparato a par-te. Versatevi il descritto brodo ben bollente: si avràl’ottima zuppa di aragosta.Ricetta di Margherita Sarfatti

na, emiliana, veneta, romagnola, marchigiana e um-bra (1934), tutti questi pubblicati dall’Istituto Edi-toriale Italiano di Umberto Notari, fondatore ededitore del mensile «La cucina Italiana»; inoltre,per le Edizioni d’Italia, Il vino nelle vivande. Reper-torio di ricette (s.d.), n. 4 della collana “Raggi di So-

le”. Nonché, ovviamente, Gli intellettuali in cucina.Sono convinto che sotto lo pseudonimo di

Mascotte si celi la toscana Fanny Dini,2 che della«Cucina Italiana» fu prima redattrice e poi, dal1934 al 1943, direttrice; si deve a lei, oltre al cam-bio di formato e ad altre innovazioni tecniche, la

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progressiva politicizzazione del periodico, che siallineerà sempre più entusiasticamente con le pa-role d’ordine del regime.

La Dini non era una semplice esperta di cuci-na, e nemmeno una redattrice generica e tuttofa-re, ma un personaggio di ben altro spessore. Nataa Pistoia nel 1895, nel 1916 si trasferì a Firenze perragioni di studio. Qui aderì al movimento futuri-sta e si legò sentimentalmente con il poeta paroli-bero Mario Nannini, che morirà di spagnola nel1918, a ventitré anni, mentre si accingeva a partireper il fronte interno. Al pittore Primo Conti, di cuinon aveva gradito le avances (la «vampata calda deldesiderio»), indirizzò una singolare Lettera d’amo-re, recentemente edita (Palermo, Novecento,2002), con la quale gli notificò che non avrebbemai potuto essere la sua amante. Nel ’17 e nel ’18collaborò con brevi articoli a «L’Italia Futurista».Il più noto è, sul n. 35, la lettera aperta a FilippoTommaso Marinetti dopo la pubblicazione del li-bro Come si seducono le donne (Firenze, Edizioni dacentomila copie, 1917), dove gli assicurò che erariuscito a vedere le donne «come sono: come lecreature più felinamente e più voluttuosamenteanimali che esistano: che amano su tutte le cose leaudacie più folli: di cui ogni gesto, verso se stesse oaltri, non è che un’incitazione verso un pericolomaggiore». Fascista della prima ora, partecipò ascontri di piazza, in camicia nera e al fianco deglisquadristi, e poi alla marcia su Roma, e il nomi-gnolo «Mascotte» è - io credo - un retaggio diquella stagione.

NOTE1 Il titolo per esteso è Gli intellettuali in cucina. Repertorio di

ricette originali redatte dai più illustri scrittori italiani.2 Su Fanny Dini si veda: Paola Sica, Futurist Women. Florence,

Feminism and the New Sciences, Londra, Palgrave Macmillan,

2016, che contiene per altro cenni biografici quasi irrilevanti.

PIZZA AL PROSCIUTTOPrendi mezzo chilo di pasta lievitata per panini, un ettodi burro, una buona presa di pepe; impasta insieme lun-gamente e del blocco fa’ due parti uguali, che spianeraiper la grandezza della teglia. Una ne adagerai sul fondo,e su quella distribuirai un pavimento di prosciutto dimontagna, e su quel primo pavimento un altro pavi-mento di mozzarella. Metti il tutto nel forno per unaventina di minuti. Tutto questo per aiutarsi a bere, inquattro, un fiasco di Chianti o di Sangiovese.Ricetta di Antonio Baldini

SPEZZATINO DI CAPRETTOLa mia fama, in materia di cucina, è perfettamente usur-pata. Infatti, io non so, all’occasione, preparare che po-che elementari pietanze, apprese a fare nella patriarcalecucina di Nuoro. Una di esse, buona per le disappetenze,sarebbe questa: rosolare lo spezzatino di capretto tene-ro in un soffritto di poco olio di oliva e cipolline tagliatefinissime; a giusto punto di cottura mescolare un uovosbattuto nell’aceto bianco.Ricetta di Grazia Deledda

PASTICCIO DI PICCIONIFate rosolare lentamente in una casseruola, con un pez-zetto di burro ed un po’ di sale, tre piccioni; colorati chesiano, versateci un poco di Marsala, indi, a consumazio-ne di questo, aggiungete un cucchiaio di salsa di pomo-doro ed un poco di brodo, facendoli cuocere per circamezz’ora. Quindi tagliateli a piccoli quarti e sistemateliin una fondina di porcellana pirofila, con tutto il sugoche avrete ricavato più 80 grammi di piccole fettine diprosciutto crudo e due uova sode tagliate a piccoli pez-zi. Quando il tutto sarà freddo, preparate un disco di pa-sta sfoglia (si trova pronta dal pasticcere) di circa 200grammi e dopo aver dorato gli orli della fondina con uo-vo sbattuto, sistemate sopra la sfoglia, premendo benesopra gli orli; doratela ancora con uovo e sovrapponete-vi un nuovo strato di sfoglia. Indi cuocete al forno bencaldo per 15 minuti.Ricetta di Antonio Gandusio

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15novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

Bibliofilia

Il collezionismo è un mestiere silenzioso, chesi pratica in penombra. Per suo natura schivo,nient’affatto incline ad aprire la propria rac-

colta se non a pochi intimi che ne condividano gu-sti, inclinazioni e, se possibile, rituali, il collezio-nista di norma rifugge dal rendere pubblico tra-mite un catalogo a stampa ciò che allinea sui pro-pri scaffali. Succede così che l’occasione, dal-l’esterno, per venire a conoscenza di una collezio-ne privata concida con l’improvvisa decisione daparte del proprietario di privarsi dell’amata rac-colta - è questo il caso della stupefacente collezio-ne futurista di Giampiero Mughini messa sor-prendentemente in vendita nel dicembre 2014 e,in tempi ancora più recenti, di un altro vertice delcollezionismo italiano, l’ineguagliabile raccoltadantesca dismessa dal torinese Livio Ambrogio -o la scomparsa del suo artefice. La storia del colle-zionismo privato, per quanto episodica e ancoraterribilmente frammentaria, è scandita da silenziprolungati e fulminee riapparizioni. Ricorda ilcorso di certi fiumi carsici, che si riaffacciano insuperficie dopo lunghi tratti in anfratti sotterra-nei. Si pensi alla vicenda, riportata solo da poco aconoscenza dell’opinione pubblica, della straor-dinaria collezione a matrice ariostesco-cavallere-

sca allestita nell’immediato dopoguerra dal ferra-rese Renzo Bonfiglioli, andata tacitamente di-spersa negli anni Settanta per riemergere, peral-tro solo in parte, decenni più tardi presso la Bei-necke Library.1 Una spessa coltre di nebbia dasempre avvolge una delle più ricche collezioniprivate milanesi, ormai prossima al dissolvimentodopo la scomparsa, nell’agosto di un anno fa, delproprietario, noto giurista e collezionista raffina-to quanto appartato. Poco trapela di ciò che è cu-stodito in quella magnifica raccolta nel cuore diMilano, se non che lì ha trovato rifugio, dopoun’eclissi durata quasi un secolo, l’edizione incu-nabola forse più importante passata sul mercatoantiquario negli ultimi cinquant’anni, vale a direla plaquette cavalleresca illustrata dal titolo La Ve-nuta del re di Franza stampata a Brescia da BattistaFarfengo c. 1495.2 Non ci si allontana da Milanoricordando il caso dell’altrettanto pregevole col-lezione quattro-cinquecentesca allestita sin daglianni Cinquanta del Novecento dall’avvocato Ce-sare Grassetti (1909-1990), rimasta pressochésconosciuta per decenni, e che solo ora, dopo es-sere stata ceduta alla Fondazione Cini di Venezia,torna alla luce grazie a un meritorio catalogo -comprensivo di circa 180 incunaboli - di prossimapubblicazione. Questo è peraltro un caso benevo-lo e statisticamente minoritario. La sorte dellamaggior parte delle collezioni private è infatti as-sai più avversa, essendo fatalmente oggetto di irri-mediabili dispersioni, non sempre, peraltro, alla

GLI INCUNABOLI DELLARACCOLTA TIEZZI MAESTRI

Edizioni da collezione

Nella pagina accanto: Santa Caterina, Epistolae, Venezia,

Aldo Manuzio, 1499, silografia acquarellata

di GIANCARLO PETRELLA

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luce del sole. Nel migliore dei casi si viene dunquea conoscenza dell’esistenza di una collezione - e,in second’ordine, della sua consistenza - solo tra-mite il catalogo d’asta che rappresenta, a distanzadi tempo, l’unico strumento, benchè talvolta par-ziale, di accertamento bibliografico. Vicenda re-centissima è la dispersione per Christie’s di una so-stanziosa porzione (solo alcuni pregevoli mano-scritti ed edizioni italiane sono invece discesi allaBertoliana di Vicenza) della portentosa raccoltaastronomico-scientifica appartenuta al bibliofilovicentino Giancarlo Beltrame, industriale dell’ac-ciaio scomparso nel 2011, e rimasta, finché questi

era in vita, sostanzialmente inavvicinabile.3 Sortedel tutto analoga, volendo andare indietro di oltreun secolo, a quella della bellissima collezione delbibliofilo napoletano Benedetto Maglione, l’unicacui traccia resta oggi il misconosciuto catalogodell’asta battuta a Parigi nel 1894.4

�È dunque in palese controtendenza rispetto

alle ‘regole’ del collezionismo - e agli illustriesempi sinora squadernati - che l’avvocato PaoloTiezzi Maestri, appassionato e colto collezionistasenese nonché Presidente della Società bibliogra-

Da sinistra: Regulae monasticorum, Venezia, Johannes Emericus de Spira per Lucantonio Giunta, 13 aprile 1500;

Ex libris del barone Horace Landau (1824-1903) al risguardo anteriore dell’edizione san Antonino, Confessionale, Venezia,

C. Arnold, 1473. Nella pagina accanto, da sinistra: Ex libris di Giuseppe Martini sull’esemplare del De interpretandis

Romanorum litteris di Probo; legatura alle armi di Domenico Marzio Pacecco Carafa (1706-1748) dell’Asconio Pediano

(Commentarii in orationes Ciceronis, Venezia, Johannes de Colonia e Johannes Manthen, 1477)

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fica toscana, senza attendere nessuna delle due fu-neste occasioni cui si è fatto cenno in apertura, hascelto di disvelare alla comunità degli studiosi edegli amanti del libro la propria raccolta quattro-centesca, porzione senza dubbio ‘minoritaria’ ri-spetto all’intera sua collezione a vocazione preva-lentemente tosco-romana, ma di indubbio fascinoper vetustà e pregio delle edizioni. La raccolta in-cunabolistica si compone di quaranta edizioni,una cifra di per sé già nient’affatto trascurabile peruna biblioteca pubblica, ma che, evidentemente,assume un significato ancora più importante trat-tandosi di una collezione privata. Se osservata piùda vicino, come ora consente l’apprezzabile cata-logo redatto da Alessandra Panzanelli Fratoni ap-pena pubblicato dalla Società Bibliografica Tosca-na (Edizioni del XV secolo nella collezione TiezziMazzoni della Stella Maestri, Sinalunga, TipografiaRossi, 2018), tale raccolta per certi versi rappre-senta un interessante spaccato della tipografia ita-

liana quattrocentesca. Non che questo, probabil-mente, fosse l’intento di chi l’ha formata e vistacrescere negli anni. Ma è indubbio che, pur nellesue dimensioni contenute, oggi bene vi si rifletta ilpolicentrismo tipografico quattrocentesco. A ri-gore la raccolta sarebbe potuta crescere anche inaltre direzioni, approfittando di impulsi occasio-nali e fors’anche di suggestioni locali, che l’avreb-bero però portata ad essere qualcosa di diverso daquella che è. Nel contesto del collezionismo pri-vato è facile infatti che si imbocchi la strada di unrigido monocromatismo e che la collezione siapertanto impostata su un ordito preordinato cheporta ad escludere tutto quanto non rientra in pa-rametri precostituiti. È questo il caso, piuttostofrequente, di raccolte monotematiche, sia dalpunto di vista contenutistico che formale. PaoloTiezzi Maestri ha saputo invece schivare questorischio, allestendo una raccolta di efficace etero-geneità, scandita da interessi nient’affatto angusti,

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che spaziano dal libro devoto a quello giuridico,dai classici della letteratura greco-latina alla lette-ratura trecentesca, dai testi per la scuola alle edi-zioni umanistiche. Senza farsi attrarre, come in al-tri casi, dalle facili sirene del mercato. Il che vuoldire che il lettore - almeno per ora - non vi troverài nomi altisonanti del Polifilo o del Liber chronica-rum di Hartmann Schedel, per intenderci. Ma siimbatte in edizioni di più spiccata caratura cultu-rale, a cominciare dall’edizione (1499) delle Epi-stole di santa Caterina - unica edizione manuzianaquattrocentesca - peraltro in un esemplare con la

celebre silografia delicatamente acquarellata forseda mano ancora coeva. Quindi, la seconda edizio-ne della Commedia col commento del Landino(Venezia, Ottaviano Scoto, 1484) dopo la princepsfiorentina del 1481; l’importante edizione illu-strata, ancora veneziana (Boneto Locatello perOttaviano Scoto, 23 febbraio 1494/95), delle Ge-nealogiae deorum di Boccaccio, anch’essa in unesemplare che tradisce interventi decorativi chene ingentiliscono la stampa; l’edizione del Fascicu-lus temporum di Werner Rolewinck sottoscrittaVenezia, Erhard Ratdolt, 28 maggio 1484, preco-ce esempio dell’illustrazione libraria quattrocen-tesca. Altrettanto importante la miscellanea, veri-similmente ancora coeva, che cuce assieme i tretrattati De trinitate di san Agostino, sant’Ilario eBoezio stampati da Paganino Paganini nel 1489;nonché le edizioni fiorentine, rispettivamente1494 e 1499, del Pungi lingua di Domenico Caval-ca e dell’Expositio in Psalmum Miserere mei Deus diSavonarola, e la rara edizione bresciana, per i tipidi Angelo Britannico (1498), dell’Ars moriendi.

�Nella raccolta incunabolistica Tiezzi il libro

devoto, come si è detto, convive con quello scola-stico, il classico latino con l’autore tardo-medie-vale, quasi a ricalcare ciò che un lettore del tardoQuattrocento avrebbe realmente trovato sui ban-chi di una bottega libraria. Per cui, oltre a quantogià si è intravisto, si segnalano un paio di edizionidel Confessionale di sant’Antonino, la Disciplina de-gli spirituali del Cavalca (oltre al Pungi lingua giàevocato), gli Opuscula e i Sermones in volgare di s.Bernardo, l’Imitatio Christi; i trattati giuridici diAntonio Roselli (tra cui il fondamentale De pote-state imperatoris ac pape); un manipolo di autoriclassici (i Commentarii in orationes Ciceronis diAsconio Pediano, Marziale col commento delCalderini, Catullo col commento di Fosco Palla-dio, l’Epitome rerum Romanarum di Floro, il De in-terpretandis Romanorum litteris di Probo, l’Historia

Sopra: Valerius Probus, De interpretandis Romanorum

litteris, silografia. Nella pagina accanto: Boccaccio,

Genealogiae deorum, Venezia, Boneto Locatello per

Ottaviano Scoto, 23 febbraio 1494/95, tavola acquarellata

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adversus paganos di Paolo Orosio); sino ad allunga-re lo sguardo allo scaffale umanistico, sul qualetrovano posto gli Erotemata del Crisolora, la sillo-ge pedagogica aperta dal De ingenuis moribus delVergerio, la versione in volgare delle Historiae Flo-rentini populi di Leonardo Bruni, la Silva Nutriciadi Poliziano.

�Altrettanto eterogenea e rappresentativa è la

mappa tipografica sottesa alla raccolta. Provandoad allestire un rapido grafico per città il risultatoche se ne ricava, pur con inevitabili limiti, non sidiscosta troppo dal quadro complessivo della tipo-grafia italiana quattrocentesca. La fetta maggiore,pari esattamente al 50% dell’intera raccolta incu-nabolistica, è rappresentata dalle edizioni vene-ziane: 20 sulle 40 complessive. Il peso delle edizio-ni toscane, alle quali è comprensibile che guardicon particolare affetto il collezionista, corrispon-de al 30% della raccolta: due soltanto conduconoalla tipografia senese delle origini, tra cui la piut-tosto rara edizione giuridica (ISTC ne censiscesolo altri quattro esemplari in Italia) GiovanniBattista Caccialupi, Repetitio legis, sottoscritta daHenricus de Colonia il 21 marzo 1488/89. Unadecina, esemplificative delle officine di AntonioMiscomini, Bartolomeo de’ Libri, Francesco diDino, Lorenzo Morgiani e Johannes Petri, benetestimoniano della tipografia fiorentina del secolodecimoquinto. Ma al nucleo fiorentino può asse-gnarsi anche la Controversia de nobilitate di Buo-naccorso da Montemagno, edizione priva di espli-cita sottoscrizione ma oggi ragionevolmente asse-gnata da BMC alla tipografia del convento di SanJacopo di Ripoli. L’editoria romana quattrocente-sca è rappresentata da tre edizioni: rispettivamen-te due sottoscritte o riconducibili a StephanPlannck e una (l’Historia s. Monicae) attribuita(1479) alla tipografia di Francesco Cinquini. De-cisamente minoritario, rispetto alla raccolta Tiez-zi, pare il contributo offerto da altri centri: due

edizioni recano la data topica di Brescia (e sotto-scrizione, rispettivamente, di Bernardino Misintae Angelo Britannico), una soltanto Vicenza (Dio-nigi Bertocchi), Bologna (l’edizione dell’Historiade imperio di Herodianus stampata da BazalieroBazalieri nel 1493) e Milano (una delle numeroseedizioni del Lucidarium, sottoscritta da FilippoMantegazza nel 1493). L’arco cronologico, an-ch’esso piuttosto ampio, si estende dal 1473 (at-tuale incipit della raccolta fissato dal Confessionaledi sant’Antonino stampato a Venezia da ChristophArnold) al 13 aprile 1500 (sottoscrizione dell’ulti-mo, recentissimo, ingresso, avvenuto quasi nellemore di stampa del catalogo, perché una collezio-ne privata è in perenne divenire: le Regulae mona-sticorum, Venezia, Johannes Emericus de Spira perLucantonio Giunta, 13 aprile 1500). A queste van-

19novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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no poi aggiunte alcune altre edizioni cosiddettepost-incunabole, ossia edite poco oltre il fatidicogiro di boa del 31 dicembre 1500, di cui Alessan-dra Panzanelli dà conto nella seconda parte, che,pur bibliograficamente estranee alla raccolta in-cunabolistica, a essa materialmente pertengono,in quanto rilegate ab antiquo in miscellanee fattizieche contengono edizioni quattrocentesche. Si ve-da, a esempio, l’interessante caso del Catullo (Ve-

nezia, Giovanni Tacuino, 1496) chiuso tra Clau-dianus, De raptu Proserpinae, Milano, GuillaumeLe Signerre & Guillaume Le Signerre, 1501 e Pe-trarca, Bucolicum carmen, Venezia, post 1500.

�C’è però una domanda che pulsa dietro ogni

collezione, tanto più se privata. In seguito a qualipercorsi, fortuiti e accidentati, questi esemplarisono giunti nell’alveo della raccolta Tiezzi Mae-stri? Pochi in realtà acconsentono a rivelare detta-gli della loro storia pregressa. La maggior parte èpiuttosto reticente. L’ex libris cartaceo con il mo-nogramma HL a doppio incrocio assicura che ilpezzo cronologicamente più ‘alto’ della raccoltaincunabolistica (Antonino, Confessionale, Venezia,C. Arnold, 1473) apparteneva alla prestigiosa col-lezione fiorentina del barone Horace Landau(1824-1903). Ma andando a ritroso, una serie difitti marginalia di mano cinquecentesca e una notadi possesso, probabilmente ancora cinquecentescadi un misconosciuto «Antonius Bentesius Car-pensis», tradiscono forse il volto di uno dei primifruitori del volume. Poco sappiamo di questo e dialtri lettori che lasciarono il proprio nome su alcu-ni di questi esemplari. Come la suor Maria Angio-la che si firma alle ultime carte dell’edizione fio-rentina della Disciplina degli spirituali del Cavalca(Firenze, Aantonio Miscomini, c. 1485) consen-tendo oggi di restituire l’esemplare, evidentemen-te, a una comunità femminile, forse toscana, manon meglio identificata. Al momento ignoto restaanche l’antico proprietario delle citate Geneaolo-giae deorum di Boccaccio che recano al frontespi-zio stemma araldico con iniziali ‘I Z’. La nota cin-quecentesca «Di Piero … Carlo Strozzi», pur im-pescrutabile, non può che ricondurre l’esemplaredelle Historiae Florentini populi (Venezia, JacobusRubeus, 1476) a un membro di una delle più glo-riose famiglie fiorentine. Così come la nota sette-centesca «ex libris Octavj de Ferrarinis» vergatasull’Ars moriendi bresciana è verisimile rimandi al-

Sopra: Giovanni Crastone, Lexicon, [Vicenza, Dionigi

Bertocchi, 1483], c. a3r. Nella pagina accanto: nota di

possesso forse attribuibile al vicerè di Napoli Antonio

Alvarez de Toledo (1569-1639) al frontespizio del Liber

divinae doctrinae di s. Caterina (Brescia, Bernardino

Misinta, 1496)

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l’accademico reggiano Ottavio Ferrarini e l’esem-plare dell’Historia adversus paganos di Orosio pro-venga da un contesto senese, come suggerisce l’exlibris sei-settecentesco al risguardo identificabilecon quello di un membro della famiglia Bichi diSiena - forse il cardinale Vincenzo Bichi (1668-1750) come ipotizza la curatrice del catalogo - e unsecondo ex libris più esplicito con intestazione«Petri Buoninsegni Senis 1802». Quanto aquest’ultimo vale la pena segnalare che briciole diquesta biblioteca privata senese primo-ottocente-sca ancora si raggranellano spigolando sul mer-canto antiquario. A esempio, lo stesso inequivoca-bile ex libris datato contraddistingue l’esemplaredello Studio Bibliografico Orfeo dell’edizionelucchese settecentesca (Marescandoli, 1743) diDominique de Colonia, De arte rhetorica libri quin-que; un manoscritto degli Statuti senesi c. 1650presso lo Studio Bibliografico Apuleio; e un esileGuerino detto il Meschino trevigiano secentesco(Trevigi, appresso Francesco Righettini, 1663)con identica provenienza è stato battuto (lotto 9)non più di un anno fa dalla casa d’aste Forum Auc-tions (asta del 25 marzo 2017 in cui andò dispersaun’importante collezione privata europea di Futu-rismo italiano).

�A tutt’altra area geografica conduce invece

l’antico possessore dell’Asconio Pediano (Vene-zia, Johannes de Colonia e Johannes Manthen,1477): l’esemplare presenta legatura alle armi diDomenico Marzio Pacecco Carafa (1706-1748),duca di Maddaloni, della cui biblioteca riaffioranooccasionali frammenti, anch’essi con identica le-gatura ad personam, presso la Houghton Library diHarvard (un Appianus, Historia Romana, Venezia,Bernhard Maler, Erhard Ratdolt e Peter Löslein,1477) e Princeton (Eutropius, Breviarium historiaeRomanae, Roma, [Georgius Lauer], 20 maggio1471). Così come, pur con un residuo di cautela,sembra rimandare alla Napoli del Seicento anche

il Liber divinae doctrinae di s. Caterina (Brescia, B.Misinta, 1496), la cui nota di possesso in spagnolo«es de antonio aluarez de toledo» potrebbe identi-ficarsi con quella del vicerè di Napoli Antonio Al-varez de Toledo (1569-1639). Apparteneva allacollezione di Lord Eric Hyde Sexton (1902-1980), battuta da Christies’s nel 1981, la copia conlegatura inglese novecentesca da amatore dell’edi-zione senese c. 1486/87 di Floro. Conserva invecelegatura monastica originale su assi il Confessionaledi sant’Antonino [Firenze, Bartolomeo de’ Libri,c. 1488/90], ma nulla dice della sua probabile pro-venienza da biblioteca ecclesiastica. Resta altret-tanto insoddisfatta la nostra curiosità circa la pro-venienza della bella miscellanea ‘paganiniana’ conlegatura originale in piena pelle con impressioni asecco che riunisce i tre trattati De trinitate. Tutto il

21novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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contrario del Lucidarium sottoscritto dal milaneseFilippo Mantegazza, che tradisce alla prima cartadichiarazione di proprietà, forse ancora cinque-

centesca, del convento romano dei Domenicani diS. Maria sopra Minerva. Provenienza ecclesiasticadenunciano gli Opuscula di s. Bernardo, a giudica-re dalla nota non meglio decifrabile «ad usum fra-tris Vincentii … 1692»; il Confessionale di sant’An-tonino (Firenze, L. Morgiani e J. Petri per P. Paci-ni, 1496) che conserva nota di appartenenza alconvento di S. Maria delle Grazie di Livorno; e al-meno anche l’edizione veneziana di Catullo, cheda un possessore laico settecentesco («1770 Ioan-nis Baptistae Villi Decani Opitergis») deve essereconfluito, come da timbro parzialmente cassato,alla biblioteca del Seminario di Bergamo, per poiuscirne con tempi e modi che rimangono indefini-ti. Almeno in un caso dietro la raccolta TiezziMaestri si intravede uno dei nomi altisonantidell’antiquariato italiano novecentesco: il De in-terpretandis Romanorum litteris di Probo, già redu-ce da un soggiorno in area tedesca nel Settecento,ostenta infatti ex libris del bibliografo e libraio diorigini lucchesi Giuseppe Martini il cui archiviobibliografico è depositato proprio presso la Bi-blioteca di via Senato.

Se non un unicum, il catalogo, completo o so-lo di una porzione, di una collezione privata è cer-tamente una rarità. Una generosa, colta rarità, daaccogliere dunque con viva soddisfazione e nonsenza l’augurio che possa fare da apripista ad altreanaloghe iniziative, nella direzione di un’auspica-bile conoscenza e valorizzazione anche del patri-monio librario privato.

Il catalogo degli incunaboli della collezione dell’avvocato

Paolo Tiezzi Maestri

NOTE1 GIANCARLO PETRELLA, À la chasse au

bonheur. I libri ritrovati di Renzo Bonfi-glioli e altri episodi di storia del collezioni-smo italiano del Novecento, Firenze, Ol-

schki, 2016.2 GIANCARLO PETRELLA, Questioni aperte

di incunabolistica. La venuta del re di

Franza, La guerra del Moro e alcuni incu-naboli perduti o riattribuiti, «La Bibliofi-

lia», CXIII, 2011, pp. 117-154 (ora, final-

mente nel più ampio contesto della pro-

duzione farfenghiana, in GIANCARLO PE-

TRELLA, L’impresa tipografica di BattistaFarfengo a Brescia fra cultura umanisticaed editoria popolare (1489-1500), Firen-

ze, Olschki, 2018).3 CHRISTIE’S, The Giancarlo Beltrame Li-

brary of Scientific Books, Part I-III, 13 July

2016-30 November 2016-26 April 2017,

London, King Street.4 Catalogue de la bibliothèque de feu

M. Benedetto Maglione de Naples, Paris

1894.

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Crescere è un gioco bellissimo!

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25novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

Bibliofilia del gusto

Uno dei bersagli preferiti contro cui si sca-gliava Effe Ti Marinetti, nel Manifestodella cucina futurista del 1930, era niente-

meno che sua eccellenza la ‘pastasciutta’, conside-rata da sempre un must della cucina nazional-po-polare. Scriveva, senza tanti fronzoli, il boss del fu-turismo nel capitolo dirompente Contro la pasta-sciutta, che essa «contrasta collo spirito vivace ecoll’anima appassionata generosa intuitiva dei na-poletani» - i quali - «nel mangiarla sviluppano il ti-pico scetticismo ironico e sentimentale che troncaspesso il loro entusiasmo».1 La scomunica del ‘ca-po’ cadde però come un macigno nello stagnotranquillo delle secolari abitudini alimentari deipoveri italiani, compresi gli esagitati futuristi o fu-turisteggianti che dovevano, da una parte, appro-vare ogni proclama del boss, finanche i più stralu-nati, dall’altra fare i conti con la propria pancia econ la tradizione atavica di chi vedeva nella pastaun alimento sano, popolare e completo. La pasta-sciutta, nelle innumerevoli declinazioni di tipi eformati, rappresentava secondo Effe Ti il principa-le ostacolo al sogno, infatti «si pensa si sogna e siagisce secondo quel che si beve e si mangia», scri-veva.2 La pasta sarebbe invece elemento disturban-

te, tale da impedire al pensiero di librarsi al di sopradelle cose e della realtà. Meglio il riso e il pane, sug-gerisce Marinetti, che mutua il consiglio da altri:«Un intelligentissimo professore napoletano, ildott. Signorelli, scrive: “A differenza del pane e delriso la pastasciutta è un alimento che si ingozza,non si mastica. Questo alimento amidaceo viene ingran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavorodi trasformazione è disimpegnato dal pancreas edal fegato. Ciò porta a uno squilibrio con disturbidi questi organi. Ne derivano: fiacchezza, pessimi-smo, inattività nostalgica e neutralismo”».3 Cosapoi significhino «inattività nostalgica» e «neutra-lismo» applicati al cibo resta un mistero! Ma la pa-stasciutta no, per carità.

�Leggendo però la recente indagine sulle abi-

tudini alimentari degli europei e apprendendo chegli italiani sono all’ultimo posto per quanto riguar-da la voglia di modificare le consolidate abitudinigastronomiche (ai primi posti la Danimarca, laNorvegia e tutti i Paesi del Nord Europa), la batta-glia marinettiana sembra aver perso su tutti i fronti,se non altro riguardo proprio alla pastasciutta, re-gina incontrastata della tavola, e non solo meridio-nale. Sembrano essersi curiosamente avverate lesuppliche, e gli scongiuri, dei tanti regionalisti (an-che in ambito futurista) che all’epoca auspicavanoche Marinetti risparmiasse, dalla sua ‘crociata anti-pastasciutta’, almeno le amate fettuccine romane, o

UN PASTASCIUTTESCOLIBRO DI PREZZOLINI

Spaghetti-Dinner

Nella pagina accanto: l’edizione americana, pubblicata nel

1955 a New York da Abelard-Schuman

di MASSIMO GATTA

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i prelibati cappelletti modenesi, le deliziose trenet-te e le tante paste ripiene liguri.4 Già, e i classicimaccheroni? Ma «gastronomicamente parlando,quella del 1930 era ancora l’Italia di Pellegrino Ar-tusi. L’Italia dello ‘sformato della signora Adele’nelle cucine borghesi. […] Su questa Italia il Mani-festo della cucina futurista […] piombò come un ful-mine, sconvolgendo tranquillli desinari allo squil-llo di un invito alla ‘anarchia più rivoluzionaria’ frale pentole».5 In fondo l’eredità della marinettiana‘cucina futurista’ «è qualcosa che con la gastrono-mia ha in fondo poco a che fare e molto con l’utopiadi rendere bella e intelligente la quotidianità, con lafede nel potere liberatorio della risata (ai pranzi fu-turisti era previsto lo ‘sganasciatore’) e l’ingenua fi-ducia nel futuro che la catastrofe degli anni Qua-ranta avrebbe di lì a non molto cancellato».6

Giuseppe Prezzolini,7 al contrario e dall’altodei suoi cento anni tondi tondi, non condivideva af-fatto la posizione critica di Effe Ti Marinetti ri-

guardo alla pasta («Crediamo anzitutto necessaria:a) L’abolizione della pastasciutta, assurda religionegastronomica italiana […] agli italiani la pastasciut-ta non giova»),8 del quale ben conosceva il Manife-sto del ’30. In un capitolo del bel libro che dedicòall’italico piatto - A History of Spaghetti Eating andCooking for Spaghetti-Dinner - si espresse infatti, findal titolo, in maniera critica nei confronti di Mari-netti: «Anche in Italia c’eran state leggi sui fabbri-canti di vermicelli e di fidelini, e Marinetti volevaaddirittura proibirli». Cercherò quindi, in pocospazio, di raccontare la storia di questo libro che,nel panorama assai vasto della bibliografia prezzo-liniana, appare come una meravigliosa e lucida pa-rentesi, un’indagine sommamente acuta, articola-ta, un divertissement arioso e dotto, che a oltre ses-santa anni dalla prima edizione italiana appare an-cora di algida modernità, oltre che essere un dove-roso omaggio alla memoria di questo grande irre-golare del Novecento.

Sopra da sinistra: la prima edizione italiana pubblicata da Leo Longanesi nel 1957, sovraccoperta; disegno di un venditore

di maccheroni; l’edizione Soliani (Modena, senza data) del poema eroico di Francesco de Lemene. Nella pagina accanto

dall’alto: disegno di vari Pulcinella intenti a mangiare gli spaghetti (1800 circa); frontespizio del libro di Malouin del

1787; vignetta satirica di Richter

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L’idea di dedicare un libro alla ‘ideologia mac-cheroniana’ nasce in Prezzolini durante il lungosoggiorno negli Stati Uniti.9 Partendo dalle diversesollecitazioni e stimoli che la scritta Spaghetti-Din-ner gli suscitavano viaggiando da un oceano all’al-tro degli States, sempre uguale quasi fosse un sim-bolo del matrimonio riuscito tra l’Italia e il Paeseche lo ospitava, Prezzolini esplora e coglie con oc-chio critico, colto ma anche ironico divertito e cau-stico, il mondo e la cultura delle paste alimentari,descrivendone la storia e gli aneddoti, la poesia, lemolteplici ricette, il gergo, la letteratura che intor-no a esse ruotava. La sintesi culturale che Prezzoli-ni sembrava cogliere in quella semplice scrittacommerciale era davvero degna di un acrobata del-la critica. Ricordava, ad esempio, ciò che l’abateFerdinando Galiani («spiritoso e colto ‘Pulcinelladi genio’») diceva dei maccheroni: che ad esempionon sono mai mancati in nessun banchettonuziale.10 Il passo successivo era invece di carattereantropologico: Prezzolini ricordava, infatti, di averletto in un libro di Giuseppe Marotta che gli spa-ghetti si mangiavano a Napoli «per le morti e per lenascite»; se a ciò si aggiunge una dotta parentesilinguistica secondo la quale una varietà di macche-roni si chiama ‘ziti’, ‘zite’, ‘zitoni’ e poichè la ‘zita’ aNapoli è termine uato per ‘sposa’, naturaliter lascritta Spaghetti-Dinner (con il doppio termine ita-lo-americano, che gli appariva «una pietra miliaredell’Italia») diventava ai suoi occhi simbolo del ma-trimonio tra Italia e America e, più in generale, ad-dirittura sinonimo di ‘equilibrio internazionale’.Non a caso Prezzolini, nel capitolo prima ricorda-to, scriveva: «Quando Marinetti lanciò la sua cam-pagna contro la pastasciutta e scrisse: “bisogna unabuona volta annientare la pasta che è simbolo pas-satista di pesantezza, di ponderatezza, di tronfiezzapanciuta”, la National Macaroni Manifactures Asso-ciation si sentì commossa e telegrafò al Duce prote-stando (marzo 1931); tanto un avvenimento italia-no nel campo delle paste pareva scuotere l’equili-brio internazionale».11

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Non si può che restare stupiti da questo suoelegante e vorticoso ricamo storico-gastronomico-antropologico-linguistico-politico. Resta il fattoche il libro che scaturì è tra i più bei saggi dedicatialla cultura della pastasciutta, anche se non ebbe ilsuccesso che forse meritava, restando confinato neilimiti di una conoscenza specialistica o dei prezzo-liniani doc.12 I tanti capitoli che lo compongonospaziano dalla storia all’aneddoto, dalla culinariaalla linguistica, dalla politica alla satira, senza maiconcedere nulla alla vuota retorica o al tromboni-

smo accademico (contro cui Prezzolini lottò sem-pre), rendendo in tal modo il libro di piacevolissimalettura.13 Perfino il povero Leopardi o Dante subi-scono gli strali prezzoliniani, dovendosi inchinareallo strapotere ‘maccheronico’: «che cos’è la gloriadi Dante appresso a quella degli spaghetti? Gli spa-ghetti sono penetrati in moltissime case americanedove il nome di Dante non viene mai pronunciato.Inoltre l’opera di Dante è il prodotto d’un singolareuomo di genio, mentre gli spaghetti son l’espres-sione del genio collettivo del popolo italiano, il

NOTE1 Filippo Tommaso Marinetti, Contro la

pastasciutta, in Il Manifesto della cucinafuturista, «Gazzetta del Popolo», 28 dicem-

bre, 1930, quindi ristampato in volume in

F.T. Marinetti, Fillia (Luigi Colombo), La cu-cina futurista, Milano, Sonzogno, 1932,

pp. 25-34: 26-29. Di recente il Manifestoè stato ristampato in Luigi Scrivo, Sintesidel futurismo: storia e documenti, Roma,

Bulzoni, 1968, pp. 188-189 e in Claudia

Salaris, Cibo futurista. Dalla cucina nell’arte

all’arte in cucina, Roma, Stampa Alterna-

tiva, 2000, pp. 124-125. Due le ristampe

anastatiche: la prima, con uno scritto in-

troduttivo non firmato, Roma, Tipografia

Lacroix, maggio 1990, edizione a tiratura

limitata e f.c. pubblicata per la Banca Ti-

berina di Mutuo Soccorso in occasione

della riapertura della storica tipografia La-

croix, il Manifesto è alle pp. 19-24; la se-

conda, con introduzione di Pietro Frassica,

Milano, Viennepierre edizioni, 2007, qui il

Manifesto è alle pp. 25-34.

2 Filippo Tommaso Marinetti, Contro lapastasciutta, in F.T. Marinetti, Fillia (Luigi

Colombo), La cucina futurista, cit., p. 27.3 Ibid., pp. 28-29.4 Cfr. Supplica dei futuristi liguri a F.T.

Marinetti, «Oggi e Domani», 19 gennaio

1931; vedi anche Carlo Petrini, Metti oggiMarinetti a tavola. A proposito della “ce-nafuturistapassatista” svoltasi all’OperaGhiotta di Mantova, «La Stampa-TTL», 2002

e anche Claudia Salaris, Filippo TommasoMarinetti, con interventi di Maurizio Cal-

Sopra da sinistra: mangiatori di maccheroni a Napoli; articoli su giornali americani dell’epoca. Nella pagina accanto: Napoli,

mangiatore di spaghetti, disegno (fine Ottocento circa)

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quale ne ha fatto un piatto nazio-nale, ma non mostra d’aver inve-ce adottato le idee politiche e ilcontegno del grande poeta».14

Di certo sappiamo che nel1957 il grande scrittore peruginodonava una copia con dedica,dell’appena pubblicata edizioneitaliana, al sor Giulio, il deus exmachina del cenacolo gastrono-mico-letterario fiorentino del-l’Antico Fattore. Un libro che aisuoi occhi rappresentava il tenta-tivo di integrare due culture tan-to distanti. Due culture con le quali Prezzolini ave-va cercato di instaurare per tutta la vita un corpo acorpo fatto di odio e amore, dialetticamente sem-pre presenti nel suo orizzonte culturale. Non a ca-so il libro nacque e venne pubblicato negli StatiUniti ma, dopo soli due anni, è tradotto e pubblica-to in Italia da un altro geniaccio come Leo Longa-nesi. Il libro esce, con il titolo Maccheroni & C., nel-l’aprile del ’57; cinque mesi dopo, il 27 settembre,Longanesi muore a Milano per un infarto.15 Èquindi tra gli ultimi titoli da lui pubblicati in vita.

Nel libro traspare anche, in filigrana, una sortadi orgoglio nazionale che Prezzolini tenderà, neltempo, a sminuire. Del resto nel suo volume di ri-

cordi del 1953 così scrisse a pro-posito del libro: «Buitoni è l’ulti-ma mia scoperta umana. Mi cison trovato bene avendomi il ca-so portato da lui, e ho finito perrestarci vicino. […] Ho scrittoper lui un libretto semiserio sullastoria degli spaghetti in Italia e inAmerica, che si chiama Spaghetti-Dinner, da quelle scritte che si ve-don sovente da costa a costa negliStati Uniti, su quei ristoranti abuon mercato che hanno la for-ma di vagoni abbandonati lungo

le autostrade, e son davvero un contributo italianoalla civiltà americana. L’ho scritto anche per dimo-strare che ormai tutto mi sembra eguale, gli spa-ghetti o la filosofia di Machiavelli, su cui ho purescritto un altro libro. È una dichiarazione filosofica,per chi lo vuol sapere. E anche di gusti umani. Certiuomini d’affari mi piacciono più di certi letterati,forse direi di molti di noi letterati».16

Quel paesaggio così peculiare di quegli anni,quelle distese deserte, solitarie e assolate intervalla-te, appunto, da schegge di vita come ristoranti o sta-zioni di servizio, quelle che un grande fotografo eartista come Ed Ruscha riuscirà, quasi negli stessianni, a documentare nel suo capolavoro Twentysix

vesi e Luce Marinetti, Firenze, La Nuova

Italia, 1988, p. 229.5 Domizia Carafòli, Cucina futurista. Uc-

cidiamo la pastasciutta, «Il Giornale», ve-

nerdì, 21 settembre 2007, p. 32.6 Ibid.7 Giuseppe Prezzolini, Perugia, 1882 -

Lugano, 1982. Purtroppo il «caleidoscopico

letterato» diventa «Giacomo» Prezzolini

nell’articolo di Camilla Baresani, Nella reg-gia della bufala, «Il Sole 24 Ore-Domenica»,

dove all’inizio la giornalsita e scrittrice

gastronomica cita proprio il «curioso li-

briccino del 1955», Spaghetti-Dinner, dello

scrittore e giornalista perugino, un «saggio

di tono scherzoso sulle origini storiche

della pasta», vedi nota 9.8 Filippo Tommaso Marinetti, Contro la

pastasciutta, in F.T. Marinetti, Fillia (Luigi

Colombo), La cucina futurista, cit., p. 28.9 Giuseppe Prezzolini, A History of

Spaghetti Eating and Cooking for Spaghetti-Dinner, New York, Abelard-Schuman, 1955.

Questa prima edizione è abbastanza rara,

l’indice ICCU-SBN ne localizza cinque copie

alla Biblioteca Nazionale Centrale e alla Bi-

blioteca Marucelliana di Firenze, alla Biblio-

teca della Fondazione Carlo e Marise Bo di

Urbino, alla Biblioteca Nazionale Centrale

e alla Biblioteca statale Antonio Baldini di

Roma. Su questa editio princeps americana

rimando a Francesca Pino Pongolini, Prez-zolini: un secolo di attività. Lettere inedite ebibliografia di tutte le opere, a cura di Mar-

gherita Marchione, Milano, Rusconi, 1982,

pp. 104-105 [scheda I. 37]; ma vedi anche I

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Gasoline Stations.17

Concludo scegliendo tra i tanti passaggi bril-lanti, quello dedicato alla modalità di mangiare glispaghetti: «Dal modo con quale mangi gli spa-ghetti un italiano ti conoscerà per straniero, o peruno straniero che ha imparato; e una persona acutascoprirà anche qualche tratto del tuo carattere,avido, avaro, frettoloso, timoroso, impetuoso, me-ticoloso, cauto, disordinato, distratto vedendo il

modo col quale tratterai gli spaghetti che il came-riere o l’ospite ti ha portato. Ci sono molti modi in-fatti di risolvere il problema d’un piatto di spaghet-ti, quello d’aggredirli a forchettate, quello di gio-cherellarci colla punta della forchetta, quello diiniziarli dalla parte destra, o dalla sinistra, o dallacima, quello di lasciarli raffreddare (una colpa gra-vissima agli occhi d’un buongustaio). E son sicuroche un giorno o l’altro i dottori di psicoanalisi non

cento anni di Giuseppe Prezzolini, catalogo

della mostra bio-bibliografica, a cura di

Francesca Pino Pongolini, Lugano, Biblioteca

Cantonale, 1982, p. 44, scheda n. 164.10 Cfr. Ferdinando Galiani, Del dialetto

napoletano, Napoli, per Vincenzo Mazzola-

Vocola, 1779; seconda ediz. corretta e ac-

cresciuta, Napoli, presso Giuseppe Maria

Porcelli, 1789.11 Giuseppe Prezzolini, Anche in Italia

c’eran state leggi sui fabbricanti di vermicellie di fidelini, e Marinetti voleva addiritturaproibirli, in Id., Maccheroni & C., Milano,

Longanesi, 1957, [Il Cammeo, 112], con 9

tavole fuori testo e 23 illustrazioni, pp. 247-

251: 249-250.12 Di questo volume ne venne stampata

anche una tiratura limitata a mille copie

numerate per la S.p.A. Gio. e F.lli Buitoni, in

onore del Cav. del Lavoro Marco Buitoni:

«che nella nativa Sansepolcro fece risorgere

dalle ceneri della guerra l’avito pastificio

meccanico, il primo che fosse nel mondo,

nel 130° anniversario della fondazione del-

l’azienda Buitoni» (dalla dedica a stampa).

Questa edizione è abbastanza rara e ricer-

cata, l’ICCU-SBN ne localizza solo 4 esem-

plari: Biblioteca dell’Accademia Italiana della

Cucina di Milano, Biblioteca civica di Monza,

Biblioteca provinciale di Salerno e Biblioteca

civica di Lecce (codice identificativo

LO1/1067630); più comune è l’edizione non

numerata (codice identificativo

RAV/0781819). Tutte le citazioni sono tratte

da questa edizione limitata, copia n. 311. Il

volume ebbe una seconda edizione nel 1958

(codice identificativo NAP/0116347), mentre

nel 1998 venne ristampato dall’editore Ru-

sconi, nella Collana “Opere di Prezzolini”,

Sopra da sinistra: una incisione di Achille Vianelli; un disegno con mangiatori di maccheroni. Nella pagina accanto

dall’alto: disegni e foto d’epoca con ritratti di mangiatori di spaghetti

30 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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si contenteranno d’interrogareil paziente disteso sopra un sofà,ma vorran vederlo a tavola collaforchetta in mano davanti a unpiatto di spaghetti, e stabiliran-no delle categorie e fisserannodelle differenze di comporta-mento».18 Certo quest’ultimopassaggio avrebbe creato nonpochi problemi all’estetica culi-naria marinettiana che, al punto4 del suo Manifesto, prescriveva:«l’abolizione della forchetta e

del coltello per i complessi pla-stici che possono dare un piaceretattile prelabiale».19

Ma pastasciutta o non pa-stasciutta, maccheroni o riso,pane o altro, su un punto almenonon possiamo non essere pro-fondamente d’accordo con EffeTi Marinetti, quando imponeva:«l’abolizione dell’eloquenza edella politica a tavola».20 E quìPrezzolini, ne siamo certi,avrebbe sottoscritto in pieno.

seguendo l’edizione originale italiana del

1957 (codice identificativo RAV/0320609).13 Qualche esempio dall’indice: Napoli

paradiso dei maccheroni, Anche La Guar-dia, Le preoccupazioni igieniche, I vermicellie Byron, Nel Goldoni, I nomi delle paste, Ilmondo degli spaghetti, Esotismo e verismo,Che cosa s’impara dalle ricette, Spaghettiè una parola recente, Maccherone è parolad’origine latina, Il contributo americano,La letteratura maccheronica, Gli americanipreferisono fare leggi, Anche in Italia c’eranleggi, Filosofia degli spaghetti.

14 Giuseppe Prezzolini, Gli spaghettihanno diritto d’appartenere alla civiltà ita-lica come e più di Dante, in Id., Maccheroni& C., cit, p. 15.

15 Indro Montanelli, Marcello Staglieno,

Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1985; se-

gnalo anche Beppe Benvenuto, GiuseppePrezzolini, Palermo, Sellerio, 2003.

16 Giuseppe Prezzolini, L’italiano inutile,

Milano, Longanesi, 1953. Cito dalla seconda

edizione, Firenze, Vallecchi, 1964, pp. 430-

431, corsivo mio; cfr. Francesca Pino Pon-

golini, Prezzolini: un secolo di attività. Lettere

inedite e bibliografia di tutte le opere, cit., p.

103.17 Ed Ruscha, Twentysix Gasoline Sta-

tions, Hollywood, Heavy Industry Publica-

tions, 1962.18 Giuseppe Prezzolini, Maccheroni &

C., cit., pp. 17-18.19 Filippo Tommaso Marinetti, Equatore

+ Polo Nord, in Id., Il Manifesto della cucinafuturista, cit., p. 190 [edizione Scrivo].

20 Ibid., punto 6.

31novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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33novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

Editoria

Nel cuore di Milano, in una piccola oasi dibellezza e quiete che un tempo ospitavauna gelateria, tra via Guinizelli e via Pa-

steur, nel 2004 è nata una piccola stamperia da su-bito diventata un punto di incontro per scrittori,artisti, appassionati di arte e di tipografia. Il mar-chio è Il ragazzo innocuo, anagramma del nomedel padrone di casa Luciano Ragozzino. Un per-sonaggio curioso e intrigante, elegante e cordialema anche deliziosamente dotato di senso pratico;biologo, entomologo, oltre che stampatore è unabile, estroso e prolifico incisore e acquarellistache ha collaborato per anni con Alberto Casira-ghy e le sue mitiche edizioni Pulcinoelefante (so-no oltre 170 i libretti pubblicati dal tipografo-ar-tista-violinista di Osnago con illustrazioni di Ra-gozzino).1 Essendosi radicata la passione per lastampa manuale decide quindi di mettersi in pro-prio, compra un tirabozze tipografico (marcaFag) da affiancare al suo torchio calcografico einizia a stampare alcuni libretti.

L’inaugurazione nel 2004 della nuova impre-sa tipografica celebrava, peraltro, anche il sodali-zio di Ragozzino con il poeta Roberto Dossi, allie-vo di Casiraghy per quanto riguarda l’arte del tor-chio e fondatore delle edizioni Quaderni di Orfeo2

(l’anno precedente, 2003, Dossi aveva chiesto aRagozzino un’acquaforte per accompagnare unatraduzione da Rilke fatta da Dario Borso, e da lìnacque un rapporto di collaborazione e amicizia).C’è dunque un notevole fermento, in area lombar-da, per quanto riguarda quelle che si chiamano co-munemente ‘stamperie private’!3

�Nella homepage del sito di Il ragazzo innocuo4

campeggia una foto tanto bizzarra quanto signifi-cativa: Ragozzino osserva uno scheletro che tienein mano una lisca di pesce. Questo personaggio -mi disse in occasione di una delle mie visite nel suoantro - era il suo ‘Beach Boy’. Divertito dalla miaperplessità mi spiegò che anni prima, in vacanza aPatmos (isola nella quale l’apostolo Giovanniavrebbe scritto l’Apocalisse), trovò sulla spiaggia unlegno che gli ricordava la testa di un femore, e daallora iniziò a raccogliere nella sabbia altri legni (esassi per i denti) con i quali, dopo un paziente e di-vertito lavoro, riuscì a creare questa autentica ope-ra d’arte. Che non è solo una bizzarria, bensì l’en-nesima dimostrazione di come in Ragozzino arte,immaginazione e perizia tecnica convivano.

Uno dei punti forti di queste edizioni è il dia-logo stretto tra testo e immagine (cosa non semprescontata nel caso di altre stamperie). Ne sono unesempio le due curiose collane chiamate “Scrip-sit/Sculpsit” e “Sculpsit/Scripsit”. Nel caso dellaprima il testo e l’immagine sono eseguite dal me-

TRA I TORCHI DI LUCIANO RAGOZZINO

Il ragazzo innocuo

Nella pagina accanto: Quaderni del roseto 1, con un’acquaforte

originale a due lastre di Luciano Ragozzino (2017)

di SANDRO MONTALTO

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desimo autore, uno scrittore che si cimenta (spessoper la prima volta) anche con l’incisione utilizzan-do un kit apposito preparato dall’editore: una la-strina di rame o zinco incerata e una punta che l’au-tore utilizza con libertà mentre Ragozzino forni-sce qualche prezioso suggerimento. Tra i librettiapparsi in questa collana l’editore ricorda con par-ticolare piacere Two poems of desire di LawrenceFerlinghetti, che contiene forse l’unica incisioneconosciuta del ‘Beat Generation man’. Il fotografoEnzo Eric Toccaceli curò il libretto e facilitò le co-municazioni tra l’editore e il poeta, poi da lui rag-

giunto in Campidoglio (dove era ospite) per la fir-ma dell’edizione. Un ricordo particolare va anchea Stanze della mente invasa, con poesie di GiancarloPontiggia che si cimentò nella realizzazione diun’opera utilizzando ben tre tecniche diverse: ac-quaforte, acquatinta e cera molle. Chi scrive vor-rebbe però citare anche, almeno, In un giorno diRoberto Elia Bernasconi nel quale il testo dell’au-tore è stato prima stampato e poi sovrastampatocon le righe rovesciate, così da renderlo illeggibile(ricordiamo che Bernasconi è il coautore di moltiPulcinoelefante originali, e non raramente diver-

Sopra da sinistra: Il ragazzo innocuo, cassettiera dei caratteri e, alle pareti, alcune delle opere di Ragozzino (foto di

Alessia Bottaccio); Luciano Ragozzino al lavoro con il tirabozze (foto di Alessia Bottaccio). Nella pagina accanto dall’alto:

Ips typographus (sonetto stampato tipograficamente a mano con caratteri Bodoni su carta Graphia in 77 esemplari

numerati e firmati; settembre 2010); Emilio Isgrò, Carabus Cancellatus (opera stampata in 77 esemplari numerati e

firmati, più 7 prove d’autore; febbraio 2012)

34 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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tenti, realizzati con Casiraghy).

�Nell’altra collana la situazione è ovviamente

contraria: si parte dall’incisione per poi abbinarleun testo scritto dall’incisore stesso. Tra gli artistiospitati si possono citare Stefano Turrini, GiacomoBenevelli, Piermario Dorigatti, Luiso Sturla, Al-berto Rebori. L’editore ricorda con particolare pia-cere, di Rebori, il volume Mucca pazza: un monolo-go affidato a una delle ‘persone’ di una triade moltoamata dall’estroso e compianto artista: Mucca paz-za - Pecora Dolly - Pollo con l’aviaria. Assoluta-mente da citare anche Carabus cancellatus di EmilioIsgrò: accolto nella cerchia dell’artista sia in virtù diun progetto ideato con Marco Rota e Roberto Dos-si, sia grazie alla comune passione per gli insetti diRagozzino e della signora Scilla (moglie di Isgrò),l’editore-entomologo informò l’artista dell’esi-stenza di un insetto (Coleottero della famiglia deiCarabidi) il cui nome scientifico è Carabus cancel-latus, dovuto al fatto che la sua livrea presenta lineeinterrotte, come da cancellature (si veda il linoleumpresente in copertina). Immediatamente nacque ilprogetto di uno dei famosi testi ‘cancellati’ di Isgrò,accompagnato da una incisione che rappresenta uninsetto anch’esso ‘cancellato’ in lastra utilizzandola tecnica dell’acido diretto.

�Il formato di queste due collane è 16x16, il ca-

rattere solitamente usato è un Garamond o un Bo-doni. Ma, soprattutto negli anni più recenti, nonmancano alcune eccezioni: volumetti stampati concaratteri Magister, Futura, Monza, Cairoli, Formao Linea, più i casi particolari rappresentati da Um-bra picta di Stefano Turrini e Legno in testa di Mari-na Bindella stampati con caratteri di legno, o anco-ra L’estasi della foresta di Alberto Casiraghy per ilquale sono stati usati più caratteri (Monza, Micro-gramma, Normanno, Garamond, Narciso e Bodo-ni). La carta prediletta è la Hahnemühle, tranne al-

35novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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cuni volumetti stampati su carta Graphia o Ma-gnani. La tiratura solitamente è compresa tra le 50e le 77 copie, numerate e firmate. Le copertine so-no realizzate da Ragozzino, xilografie o linoleo-grafie, e nel tempo sono diventate sempre più ori-ginali e curiose, talvolta vere e proprie opere d’arteche vanno ad aggiungersi al resto.

�Il catalogo accoglie poi una collana chiamata

“Fuoricollana” nella quale spesso le illustrazioni(incisioni, acquaforti, anche acquerelli) sono delpadrone di casa. In questo caso i volumi hanno for-mato e importazione grafica sempre diversi, men-tre per quanto riguarda i caratteri e la carta valequanto detto per le altre collane (con l’eccezionedel volumetto Una storia naturale di GiampieroNeri stampato su carta Amatruda di Amalfi). Cer-cando di limitarci a due soli esempi (cosa molto dif-ficile), sono assolutamente da citare il libretto Ipstypographus (ancora insetti!) che celebra un insettocosì chiamato perché la femmina scava sotto la cor-teccia degli alberi morti o moribondi (l’insetto è unutile ‘demolitore’ di vegetali morti) una galleriadove depone uova a intervalli regolari (la linoleo-grafia di copertina ne mostra l’aspetto) dalle qualinascono larve che si nutrono del legno. Molti scavivicini tra loro formano sotto la corteccia un intricodi fini gallerie che ricordano una scrittura, un ge-roglifico, da cui alcuni fantasiosi entomologi pre-sero spunto per dare il nome all’insetto. Ragozzinoha dunque scritto un sonetto in cui l’insetto riven-dica la primogenitura nell’invenzione della stamparispetto a Gutenberg («Milioni d’anni prima del-l’avvento / del bipede arrogante»), e l’immagineall’interno mostra la forma dell’insetto adulto rea-lizzata utilizzando vecchi caratteri tipografici as-semblati e incollati su legno. Il secondo volumettoche citeremo è più giocoso: si tratta di Piedigita - Illibro digitale, e reca all’interno un vero e proprio te-sto, con tanto di segni d’interpunzione, formato daquaranta impronte digitali dell’editore, di sua mo-

Dall’alto: Roberto Roversi, La mosca (acquaforte più

linoleografia di Luciano Ragozzino); Ragozzino intento a

creare una nuova illustrazione (foto di Alessia Bottaccio).

Nella pagina accanto: Luciano Ragozzino in compagnia

del Beach Boy (foto di Vittorio Calore)

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glie e dei suoi figli, più un’impronta sempre digita-le del piede ragozziniano.

�Realizzare una plaquette, seppur di poche pa-

gine e in bassa tiratura, richiede un grande, pazien-te e anche faticoso lavoro che porta via settimane, avolte mesi. Richiede allo stesso tempo immagina-zione, gusto, senso pratico, abilità tecnica e quellacapacità di perseguire un risultato semplice, effica-ce e lineare che si sta perdendo. Come scrivevaBeatrice Warde5 per essere un buon tipografo oc-corre «un’umiltà di atteggiamento, della cui man-canza soffre ancora oggi l’arte, perdendosi in espe-rimenti impacciati e patetici. Non c’è nulla di sem-plice né di noioso nell’arrivare a una pagina traspa-rente». Ragozzino ha saputo ricercare questa maiscontata trasparenza senza escludere l’ironia (lacosa che forse più manca, di solito, in questo mon-do) e mescolando in maniera armoniosa le sue pas-sioni. Dice ancora l’Ips Typographus parlandodell’idea, a lui ‘rubata’, della stampa: «la grandeidea diffuse la Cultura / (a me basta diffondere laprole) / […] Sarà, ma mentre vi nutrite a fole / iomangio legno e libro, finché dura, / a me non piaceviver di parole». E non di sole parole, saggiamente,vive Ragozzino, che ci riporta alla mente l’iniziodel racconto Suoni di Thoreau: «Se ci limitiamo ailibri, siano pure i più scelti e i più classici, leggiamosolo certe lingue scritte che non sono, poi, che dia-

letti o lingue di una determinata provincia, corria-mo il pericolo di dimenticare il linguaggio che par-lano tutte le cose e gli eventi - senza metafora».6

NOTE1 Il volume Le emozioni delle mosche

(Bologna, Pendragon, 2016) raccoglie

parte di questa produzione. Per altri libri

regolarmente in commercio che raccol-

gono opere di Ragozzino si vedano Veni,vidi, mici. Il gatto nella storia, Milano, La

Vita Felice, 2013 (spiritosi acquerelli dedi-

cati ai gatti) ed Ex libris (Milano, La Vita

Felice, 2012) che raccoglie alcuni dei mol-

ti e bellissimi ex libris creati dall’incisore. 2 Cfr. www.quadernidiorfeo.it.3 Derivo il termine, che riprende il tra-

dizionale private presses (un fenomeno la

cui nascita ufficiale si può collocare alla

fine dell’Ottocento), dallo studio di Clau-

dia Tavella Stamperie private in Italia fratradizione e modernità (www.claudiata-

vella.it/stamperie_private.pdf).4 Cfr. www.ilragazzoinnocuo.it.5 In: Massimo Gatta, Dalle parti di Al-

do, Macerata, Biblohaus, 2012, p. 226.6 Pietre, piume e insetti, a c. di M. Stu-

riani, Torino, Einaudi, 2013, p. 146.

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39novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

BvS: Fondo d’Impresa

Consultando l’inventario dattiloscrittodelle Carte Stuparich, conservato pressola Biblioteca Civica di Trieste, si incontra

a un certo punto il faldone denominato «D2 -Carte relative alla pubblicazione “L. Smolars &Nipote”», contenente una nutrita documentazio-ne: il fascicolo relativo alla Cronaca della giornatagiubilare della ditta ‘L. Smolars & nipote 1872-1947;1 una lettera di Gigetta Slataper a Giani Stu-parich; la cartella con menabò per la pubblicazio-ne L. Smolars & Nipote. Una ditta che è un’istituzio-ne cittadina; la cartella con un’altra lettera di Gi-getta Slataper,2 il dattiloscritto (copia definitiva)di Una ditta che è un’istituzione cittadina; ancora trelettere di Gigetta Slataper (datate 1945); bozze distampa; il manoscritto Una ditta ecc.; il dattilo-scritto Trieste 1972 (firmato Icio Carniel);3 e infi-ne Cronistoria (manoscritto di Stuparich).4 Que-sto insieme di carte, manoscritti e lettere ha con-sentito di poter riannodare i fili di una preziosa vi-cenda letterario-editoriale, nonché familiare, fi-nora rimasta completamente sepolta sotto la pol-vere della Storia. Una vicenda intorno alla quale sidipana sia la raffinata scrittura di un celebre lette-

rato sia la lunga avventura di una storica, e oggipurtroppo scomparsa, azienda legata alla cartole-ria e all’editoria triestina tra Otto e Novecento.

�Frutto di questo ricco intreccio di memorie

familiari e aziendali è proprio il raro opuscolo delquale parlerò, intorno al quale si sono sedimentateuna serie di memorie e storie personali, familiari,alcune delle quali ombrate dalle fosche tinte dellatragedia, tipiche di un certo tipo di sensibilità esa-sperata legata a doppio filo a questa straordinariacittà di confine che Giampiero Mughini, in un suoassai intenso volume, opportunamente indicavacome «atta agli eroi e ai suicidi».5

Infatti una delle tre amiche,6 insieme a Giget-ta (Luisa) Carniel Slataper ed Elody Oblath, la piùintellettuale del gruppo, è Anna Pulitzer (la Gio-ietta del romanzo di Slapater Il mio Carso, 7 la qua-le, nel 1910, si suiciderà con un colpo di pistola,astata davanti allo specchio «in un atto vibrante difolle esaltazione eroica». Insomma non saremmovenuti a capo di questo intreccio di vite e destini,memorie aziendali ed economiche, di amori, tra-gedie, amicizie indissolubili e grande scrittura let-teraria senza la testimonianza autografa di una de-dica manoscritta apposta sull’esemplare di cuiparlerò, conservato nel ricchissimo Fondo Impre-sa della Biblioteca di via Senato, che recita testual-mente: «Al nostro amico Giani con molta affet-

GIANI STUPARICH E LA SMOLARS DI TRIESTE

Lo scrittore in cartoleria

di MASSIMO GATTA

Nella pagina accanto: la vetrina della Smolars in una foto

d’epoca

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tuosa riconoscenza le prime copie uscite dalla tipo-grafia. Gigetta e Dante. Trieste, ultimi ottobre1947».8 Gigetta è, come abbiamo detto, Luisa Car-niel, Dante è suo fratello e Giani è ovviamente Gia-ni Stuparich (1891-1961). Il cerchio sembra cosìstringersi attorno a questa esile pubblicazione, so-bria, essenziale ma assai raffinata, tipica di un gustotipografico fin de siècle, che riemerso dai preziosi ar-chivi della Biblioteca di via Senato è stato in seguito

reperito anche da chi scrive. Ed è un vero peccatoche nella scheda in SBN9 non si faccia alcun riferi-mento all’autore del testo dell’opuscolo, Una dittach’è un’istituzione cittadina, appunto Giani Stupa-rich, che non compare neppure in una secondapubblicazione, coeva, che riguarda la Cronaca dellagiornata giubilare della ditta L. Smolars & Nipote[1872-1947].10 Eppure alla fine dello scritto com-pare a stampa la bella firma, in facsimile di autogra-

In alto da sinistra: Dante Carniel; Lodovico Smolars; Nino Carniel. Qui sopra da sinistra: Luisa Carniel, Slataper Elody

Oblath, Anna Pulitzer, 1910 disegni della Carniel; la pagina a stampa con la firma di Stuparich in facsimile.

Nella pagina accanto dall’alto: vetrine della Smolars in diverse foto d’epoca e interno della tipografia Smolars

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fo, dello scrittore triestino, nato e morto nel «piùcrudele dei mesi».11

�Lo scritto di Stuparich, che ricordiamo cele-

brava i 75 anni di attività dell’azienda, principiarievocando soffuse, tipiche atmosfere triestine ot-tocentesche che si sarebbero respirate nei localidella storica cartoleria Smolars, dov’erano in ven-dita, tra gli altri prodotti, i rinomati quaderni cheStuparich - qui in vena deamicisiana - rievoca neldialogo tra un vecchio nonno e suo nipote. Ricor-diamo, inoltre, che clienti di Smolars furono an-che, nei primi del Novecento, Virgilio Giotti eUmberto Saba che lì si rifornivano della carta perle loro plaquette (Simone Volpato). Così - segnalalo scrittore triestino, da qui il titolo del suo scritto -si è passato da una semplice ‘azienda’ a una ‘istitu-zione cittadina’, luogo fortemente simbolico, cen-trale della vita culturale ma anche sociale della cit-tà. In vendita penne, matite, gomme, cartoline il-lustrate, inchiostri, quaderni appunto, ma anchefogli da disegno, cancelleria varia, carte, registri,fogli filigranati, cartelle, biglietti da visita, un vastoe composito «mondo della carta» (Stuparich). Ful-cro della vita scolastica e giovanile, la Smolars ven-ne fondata il 1° ottobre del 1872 da Lodovico Smo-lars, al pianoterra di Casa Gagliardo, in via Wau-xhall (Lodovico aveva fatto l’apprendistato comegarzone, come d’uso all’epoca, nella cartoleriaMoscheni), non lontano dal palazzo delle Postedella città già all’epoca cosmopolita (contava più di120.000 abitanti). Dopo soli quattro anni il nego-zio si spostava, ingrandendosi, nei locali della CasaLuzzato in via della Dogana all’angolo della piazzacon lo stesso nome, e la memoria già andava impre-gnandosi dell’indicazione, tra toponomastica esentimento, «el canton de Smolars» e dove «la bo-ra soffiava con grande violenza, ma non impedivache anche in quelle giornate di ‘refoli’ si desseun’occhiata alle vetrine e si entrasse nel negozio»(Stuparich). E vengono alla memoria, in questa

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rievocazione di un’attività commerciale che oggi igiovani ignorano completamente, le bellissime pa-gine che alla cartoleria, come luogo insieme magi-co e arcano, dedicò alcuni fa Giampaolo Dossenanell’aureo libretto Abbasso la pedagogia.12

Nel 1895 il cognato Luigi Carniel, che avevasposato Costanza13 (sorella di Lodovico), prende inmano l’azienda rendendola in poco tempo la più im-portante cartoleria della città. E accanto al cuorepulsante dell’azienda, la cartoleria, viene a poco apoco delineandosi anche una seconda attività azien-dale, questa tipografica, dovuta all’intraprendenzadi Antonio (Nino) Carniel, figlio di Luigi e nipoteprediletto di Lodovico,14 frutto di una lunga espe-rienza all’estero del giovane. Anche la tipografia, edi conseguenza l’editoria, diventerà in breve una

NOTE1 Cronaca della giornata giubilare del-

la Ditta L. Smolars & Nipote [1872-1947],Trieste, Stab. Arti Grafiche L. Smolars & Ni-

pote, 1948, in SBN codice identificativo:

TSA/1371600, con solo 2 localizzazioni.2 Gigetta (Luisa) Carniel era la moglie

di Scipio Slataper, sposato nel settembre

del 1913; ebbero un figlio che portava lo

stesso nome del padre. Gigetta era sorella

di Dante, Icio e Antonio, i figli di Luigi Car-

niel.3 Icio Carniel era figlio di Luigi Carniel

che nel 1895 aveva assunto la direzione

della ditta Smolars, subentrando al co-

gnato Lodovico Smolars, del quale aveva

sposato la sorella Costanza. Alla donna si

deve l’incarico all’architetto Romeo De-

paoli per la costruzione di Casa Smolars,

situata tra via Mazzini e via Dante, consi-

derata già all’epoca una delle più belle re-

sidenze triestine, fulgido esempio di liber-

ty italiano.4 L’inventario dattiloscritto è consul-

tabile online al seguente link: www.sa-

fvg.archivi.beniculturali.it/fileadmin/in-

ventari/archivi_privati/Stuparich__Gia-

ni._Inventario__G._Carlosi_.pdf. Una

nota manoscritta indicava che le carte

erano contenute in 10 scatoloni, per un

totale di 139 pezzi, mentre il dattiloscritto

indicava che esse erano contenute «in 7

colli già depositati provvisoriamente

presso la Biblioteca Civica di Trieste e ora

giacenti presso la famiglia Stuparich in

via Monte Cengio n. 19».5 Cfr. Giampiero Mughini, In una città

atta agli eroi e ai suicidi. Trieste e il “caso

Svevo”, Milano, Bompiani, 2011.6 Alle quali Scipio Slataper dedicherà

l’epistolario Alle tre amiche, pubblicato

postumo a Torino nel 1931 dai Fratelli Bu-

ratti.7 Cfr. Scipio Slataper Il mio Carso, Fi-

renze, Libreria della Voce, 1912.8 Cfr. Matteo Noja, Celebrazione grif-

fata. Giani Stuparich in omaggio ai 75 an-ni della tipografia Smolars, «la Biblioteca

di via Senato», I, n. 2, maggio 2009, p. 47.9 L. Smolars & Nipote 1872-1947, Trie-

ste, Stabilimento d’arti grafiche L. Smo-

lars & Nipote, 25 ottobre 1947, codice

identificativo: IT\ICCU\TSA\0026518, che

tra l’altro sbaglia nel numero delle tavole

fuori testo, che sono 11 e non 9 come indi-

cato e anche nella misura, cm. 23,5 e non

cm. 25; lo scritto di Stuparich occupa le

Qui a sinistra: vetrina ad angolo della Smolars in una foto

dei primi del ‘900. Nella pagina accanto dall’alto: copertina

dell’opuscolo celebrativo per i 75 anni della Smolars, edito

dalla stessa Ditta a Trieste nel 1947

42 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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delle più importanti aziende cittadine. Figura polie-drica quella di Nino Carniel, innervata di forte e in-novativo spirito imprenditoriale ma anche di unavariegata indole sportiva: scalatore, schermitore,sciatore, pilota d’auto sportive; così come sarà an-che per i suoi fratelli Icio e Dante, che insieme a Ni-no porteranno in alto, anche in campo sportivo, ilnome degli Smolars.

�Dopo la tragedia della guerra, nel 1919, sa-

ranno ancora Nino, col fratello Dante, a operareuna ricostruzione quasi totale dell’intera attivitàaziendale, sia della cartoleria che dello stabilimen-to tipografico e cartotecnico di via Media 42,15 ilquale viene ora fornito di macchinari più moderni(come la rotativa Formrot) anche per venire in-contro alle nuove esigenze della clientela.16

E proprio alla tipografia Smolars è legata la«figura gentile di donna» di Luisa (Gigetta) Car-niel, sorella di Nino, che - come abbiamo visto -

pp. 7-42, intercalato da fotografie nel te-

sto e anticipa la Cronistoria 1872-1946,sempre redatta da Stuparich (vedi le sopra

menzionate Carte Stuparich).10 Trieste, Stabilimento d’arti grafiche

Smolars & Nipote, 1947, in SBN codice

identificativo: IT\ICCU\TSA\1371600.11 Stuparich nacque a Trieste il 4 aprile

1891 e morì a Roma il 7 aprile 1961. Il rife-

rimento è ovviamente a La sepoltura deimorti da La terra desolata di T.S. Eliot:

Aprile è il più crudele dei mesi, genera / Lil-là da terra morta, confondendo / Memoriae desiderio, risvegliando / Le radici sopitecon la pioggia della primavera.

12 Milano, Garzanti, 1993.13 «Donna sensibile ed energica, colei

che formerà in ogni occasione come il

ponte di intesa e d’accordo fra i due co-

gnati e, senza parere, avrà anche lei parte

importante nella vita dell’azienda», come

scrive Stuparich a p. 22 di L. Smolars & Ni-pote 1872-1947, cit.

14 Da questo binomio nacque l’esigen-

za della modifica della ragione commer-

ciale in “L. Smolars & Nipote”.15 Su progetto dell’ingegner Giacomo

Zammattio.16 Stuparich ricordava che la tipogra-

fia non stampava solamente registri com-

merciali o biglietti da visita ma anche

giornali settimanali, riviste e libri di vario

genere, anche di complessa fattura come

quello dei Dati sull’inquadramento sinda-cale e territoriale delle categorie dei Lavo-ratori dell’industria al 31 dicembre 1938 di

quasi 800 pagine, così come della celebre

rivista «Archeografo triestino», la «vene-

randa e accurata rivista di storia patria

della Venezia Giulia» (Stuparich). Ma

Smolars stampava anche libri scolastici,

grammatiche straniere, trattati scientifi-

ci, romanzi, monografie artistiche. Pur-

troppo non fu mai realizzato un catalogo

delle pubblicazioni in quanto, come molti

tipografi dell’epoca, la loro era essenzial-

mente un’attività tipografica e non edito-

riale.17 Scipio Secondo era il figlio; la lettera

è in Matteo Noja, Celebrazione griffata.Giani Stuparich in omaggio ai 75 anni del-la tipografia Smolars, cit.

18 [Cesare Pagnini], Centenario Smo-lars Trieste 1872-1972, Trieste, Arti Grafi-

che Smolars, 1972, in SBN codice identifi-

cativo: IT\ICCU\SBL\0463247.19 Pranzo del Centenario - Smolars,

43novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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sposerà lo scrittore Scipio Slataper «il grande poe-ta del Mio Carso, che aveva aperto una nuova eraall’arte triestina» (Stuparich). Ricordiamo che lo

scrittore era prematuramente scomparso al fronte,colpito mortalmente alla gola, proprio ai piedi diquel Carso che tanto aveva cantato. Nell’ultimalettera alla moglie del 3 dicembre 1915, vergatapoche ore prima di morire, così scriveva: «Ti douno, due e tanti baci. Saluta e bacia i cari e salutatutti. E il Secondo Scipio come sta? P.S. Ci offria-mo volontari con Guido e Martelli. Sono sicuroche tutto andrà bene. Un bacio a ScipioSecondo».17 Dopo la prematura morte di Nino, ela tragica morte di Slataper, sarà proprio Luisa,con la sua forza e insieme al fratello Dante, a porta-re avanti le varie aziende di famiglia. Le vicendedella ditta seguiranno poi quelle del fascismo, dellaguerra e del difficile dopoguerra. Nel 1972 vennepubblicato un secondo giubilare in occasione delcentenario, con un testo di Cesare Pagnini,18 e perl’occasione venne anche organizzato un pranzo, il1° ottobre dello stesso anno, del quale resta l’ele-gante menù stampato per l’occasione.19

In tempi recenti il nome Smolars era ancorasinonimo di qualità, serietà e prestigio ma, lenta-mente, scontrandosi con una concorrenza semprepiù agguerrita, ha dovuto progressivamente cede-re fino alla dolorosa chiusura.20 Oggi l’attività èstata rilevata dai cinesi di AZ Carta che, negli anti-chi e prestigiosi locali, continuano l’attività di car-toleria, avendo però stravolto quella che fu la‘creatura’ di Lodovico Smolars e di tutti i triestini.

Trieste, 1872-1972.20 Sulla chiusura e sul passaggio ad AZ

Carta rimando a: www.ilpiccolo.gelocal.it

/trieste/cronaca/2017/04/15/news/trie-

ste-la-storica-cartoleria-smolars-ora-

parla-cinese-1.15200420; www.ilpicco-

lo.gelocal.it/trieste/cronaca/2016/06/12/

news/chiude-la-storica-cartoleria-smo-

lars-1.13649718; www.triesteprima.it/

cronaca/smolars-rinasce-cinese-az-car-

ta-al-posto-dello-storico-negozio-di-

via-roma.html; www.triesteprima.it/cro-

naca/chiude-negozio-storico-smolars-

via-roma-centro-commerciale-torri-eu-

ropa-11-giugno-2016.html.

Copertina del giubilare edito nel 1972 in occasione del

centenario

44 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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V.le del Mulino, 4 – Ed. U15 – 20090 Milanofiori – Assago (MI) – Tel. 02 33644.1 Via Cristoforo Colombo 173 - 00147 Roma – Tel. 06 488888.1

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47novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

Il Libro del Mese

Si narra che la presenza rivelatrice e straordi-naria di Giacomo Leopardi, nel Novecentoitaliano, sia stata meglio colta dagli irrego-

lari e gli anti-accademici; da coloro che, se da unlato furono ingiustamente trascurati, dall’altro,per nostra fortuna, vennero confinati ai marginidelle accademie, in una no man’s land che li preser-vò dalla camicia di forza del ‘sistema’.

�Mai pensatore fu più intimo a quel ‘teppista

letterario’ e irregolare di Giorgio Manganelli, co-me lo è stato Giacomo Leopardi. Eppure il Man-ga non scrisse mai nulla di organico sulle profon-de affinità e decisive coincidenze ideali che lo le-gavano al poeta di Recanati, eccetto scritti occa-sionali, pensieri frammentari, prefazioni, inter-

venti in radio, articoli di giornali, alcuni dei qualipoi confluiti, in anni successivi, nelle sillogi discritti Laboriose inezie (Milano, Garzanti, 1986) eAntologia privata (Milano, Rizzoli, 1989). E altroillustre, solitario precedente, l’eretico GiuseppeRensi (1871-1941) - più citato, e solo in parte let-to, che studiato realmente dal grande pubblico -non fu da meno. In vita non pubblicò mai un librosu Leopardi, ma solo sparsa fragmenta. «Il pensie-ro spezzato, frammentario, ha tutta l’incongruen-za della vita, mentre l’altro, quello coerente, nonacconsentirebbe mai a riflettere la vita, e ancormeno a scendere a patti con lei». Il filosofo vero-nese avrebbe potuto sottoscrivere questa meteoralirica di Emil Cioran, a tal punto egli tenne inonore, assegnando loro un supremo valore specu-lativo, la rapsodia, il frammento, l’asistematico,contro la sterile omologia tra rigore e coerenza. Ilsuo enigmatico ‘leopardismo’ avant la lettre pene-tra da parte a parte tutta la sua opera, e non avreb-be potuto essere altrimenti, poiché, al contrariodei Croce e dei Gentile, che non riconobbero alloZibaldone alcun valore filosofico - se si pensa al ce-lebre saggio leopardiano, rivelatosi una clamoro-sa stroncatura, dell’allora egemone Croce -, ecce-zione pressoché unica all’epoca, Rensi considera-va Leopardi non solo il sommo filosofo d’Italia,ma anche un grande filosofo politico, e il nostromaggiore poeta. Se, dunque, nella vita le impreseche si basano su una tenacia interiore non tollera-no i mezzi termini, e non si può che essere genero-

GIUSEPPE RENSI E ADRIANO TILGHER

I precursori del leopardismo filosofico

Nella pagina accanto: A. Ferrazzi, Giacomo Leopardi, 1820

circa, olio su tela, Recanati, Casa Leopardi

di LUCA ORLANDINI

� Giuseppe Rensi, «Su Leopardi», a c. di R. Bruni, Torino, Nino Aragno, 2018, pp. 109, 13 euro

� Adriano Tilgher, «La filosofia di Leopardi», a c. di R. Bruni, Torino, Nino Aragno, 2018, pp. 205, 15 euro

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si e coraggiosi o avari e pavidi, impossibile non ri-conoscere a Rensi tutta la sua audacia, pressochéinaudita all’epoca, e quasi scontata oggi, di averdifeso in solitudine - benché non senza platealicontraddizioni, a cui lo indusse la congiunta e de-cisiva influenza del trio Spinoza-Kant-Schopen-hauer - la reale estensione della ‘poetante filosofia’leopardiana, la sua voragine di pensiero. Difesache allora gli valse l’emarginazione accademica eintellettuale, e la fama, oggi rivelatasi un titolod’onore, di essere un pensatore anomalo, un ec-centrico e un dilettante… l’analogia con l’ostraci-smo che subì lo stesso Leopardi, è sorprendente.

Poteva essere altrimenti, per colui che ebbe lalucidità di non farsi abbagliare dalla dittatura delneo-idealismo? Solo un irregolare - un «filosofodalle ali certamente più grandi dei nostri idealistitanto celebrati», ebbe a dire Guido Ceronetti suRensi - poteva gettare la giusta luce sul pensiero diun altro irregolare. Non possiamo dunque che sa-lutare con favore, oggi, l’edizione che, per la pri-ma volta in Italia, raccoglie tutti gli scritti rensianidedicati al suo autentico nume tutelare, Su Leopar-di (Torino, Nino Aragno, 2018), finemente curatada Raoul Bruni, a cui va il merito di aver pensato e

proposto l’iniziativa, e di aver introdotto il librocon una densa prefazione dal rigore amico dellabellezza.

Nel volume si trovano il saggio Leopardi(1906) e, rispettivamente, gli unici due saggi diRensi di una certa estensione: La filosofia del dirittodel Leopardi (testo compreso nel Lineamenti di filo-sofia scettica) e Lo scetticismo estetico del Leopardi(compreso ne La scepsi estetica), a cui vanno aggiun-ti i testi contenuti nell’appendice (sempre com-presi nei volumi poc’anzi citati) La filosofia come li-rica e Intuizione e concetto. Metafisica e lirica, dedica-ti al rapporto tra poesia e filosofia. Fatto degno dinota, infine, per quanto riguarda La filosofia del di-ritto del Leopardi: il curatore compie una scelta filo-logica quanto mai opportuna, rifacendosi alla IIedizione (1921) dei Lineamenti di filosofia scettica,riveduta e ampliata, rispetto alla Idel 1919 (l’unicarecente edizione, di Castelvecchi, si basa inspiega-bilmente sulla prima edizione), e questo perchél’edizione del ’21: «introduce notevoli aggiunterispetto alla prima edizione […] per quanto ri-guarda più specificatamente il testo di La filosofiadel diritto del Leopardi, nella versione del 1921 tro-viamo significative integrazioni e nuove citazioni,

48 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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soprattutto da Simmel, non presenti nell’edizionedel 1919».

�Per il piacere del lettore, Bruni non si è fer-

mato qui e, in contemporanea al libro di Rensi, hacurato con analoga perizia un altro libro capitale,latitante sul mercato librario da decenni, La filoso-

fia di Leopardi (Torino, Nino Aragno, 2018) diAdriano Tilgher (1887-1941). Amico e sodale in-tellettuale di Rensi - negli anni Trenta, Tilgherconsiderava il filosofo veronese il miglior scrittoredi filosofia che l’Italia potesse vantare - e altropensatore controcorrente, sciolto dalle correntiintellettuali dell’epoca (in quanto anti-crociano eanti-gentiliano, nonché anti-fascista), egli fu im-

Nella pagina accanto, da sinistra: Il filosofo Adriano Tilgher (1887-1941); Adriano Tilgher, La filosofia di Leopardi, Roma,

Edizioni di Religio, 1940 (copertina della prima edizione); Giuseppe Rensi (1871-1941), in un disegno contemporaneo.

Qui sopra, da sinistra: Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Firenze, Le Monnier, 1899

(frontespizio del IV volume dello Zibaldone leopardiano); Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura,

Firenze, Le Monnier, 1900 (copertina della prima edizione del VI volume dello Zibaldone leopardiano, uscito fra il 1898 e

il 1900)

49novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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pegnato, al pari di Rensi, a esal-tare l’alto valore filosofico diLeopardi, per subire, di conse-guenza, analoga emarginazione.Dopo la sua morte, la svaluta-zione e l’oblio segnarono infattila ricezione della sua opera; ilmondo della cultura lo ha igno-rato, la grande editoria, comple-tamente rimosso; fatto inaudito,se pensiamo all’estremo interes-se e stringente attualità del suopensiero, e che egli, come ci in-forma lo stesso Bruni: «ci ha la-sciato una mole vastissima discritti, ancora in gran parte dainventariare (non esiste una bi-bliografia completa delle operedi Tilgher) o addirittura inediti,che toccano gli ambiti più diver-si: dall’estetica alla critica lette-raria e teatrale, dalla morale allapolitica». In particolare, La filo-sofia di Leopardi, opera del 1940,rappresenta non solo «un con-tributo fondamentale alla conoscenza del pensieroleopardiano», ahimè quasi sempre «ignorato otrascurato dai manuali di storia letteraria», ma an-che una delle sue opere migliori, in cui - come af-ferma Augusto Del Noce - «la filosofia viene con-sapevolmente usata per illuminare e per ordinarequel che nello Zibaldone resta frammento»; al sag-gio di Tilgher, la presente edizione unisce una se-

rie di importanti articoli leopar-diani, in gran parte successivi al-la Filosofia di Leopardi, mai riuni-ti finora in volume.

�Insomma, Rensi e Tilgher,

pensatori dalla caratura euro-pea? Sì, se si pensa che, a moltidecenni dalla loro scomparsa,agli inizi del XXI secolo, il quo-tidiano francese «Le Monde»,su Rensi, pubblicherà un appel-lo a riscoprire un «grande di-menticato della cultura italia-na». Sulla scia del costante inte-resse che la francofona casa edi-trice Allia dedica dal 1996 alleopere di Rensi (ma anche, e so-prattutto, alle opere di Leopardie, di conseguenza, ai saggi leo-pardiani di Sergio Solmi, o al fa-moso saggio di Sainte-Beuve,Portrait de Leopardi), la Franciasembra iniziare a tributare lo

stesso genere di attenzione anche ad Adriano Til-gher, con la pubblicazione, nel 2016, presso leÉditions de la Revue Conférence, proprio del suofamoso saggio del ’40, La Philosophie de Leopardi. Ècosì che il circuito culturale prima o poi si piegasempre alla sensibilità e allo sforzo di zelanti eostinati estimatori: e oggi è toccato agli alfieri delpiù autentico leopardismo filosofico.

Sopra: Giorgio Manganelli, Laboriose

inezie, Milano, Garzanti, 1986

(copertina della prima edizione).

Nella pagina accanto nel box:

Domenico Morelli (1823-1901),

Giacomo Leopardi (1845),

collezione privata

50 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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RENSI E TILGHER: DUE ‘LEOPARDISTI IRREGOLARI’Raoul Bruni

D a qualche anno a questa parte l’interesse per ilpensiero filosofico di Leopardi è in continua cre-scita. Tant’è che molti dei filosofi italiani con-

temporanei più noti - da Emanuele Severino a MassimoCacciari, da Antonio Negri a Massimo Donà - hanno de-dicato, e continuano a dedicare a Leopardi articoli, saggio interi libri. Non tutti però ricordano che, prima di emer-gere così vistosamente alla luce dell’attualità, il leopardi-smo filosofico ha avuto una storia per lungo tempoosteggiata, semiclandestina, sotterranea. Di questa sto-ria si trovano pochissime tracce tanto nei manuali di filo-sofia quanto in quelli di letteratura, ma se ci mettessimofinalmente a ripercorrerla ci accorgeremmo di quantol’attuale dibattito filosofico sul nostro massimo poetamoderno debba a Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, duepensatori ingiustamente trascurati, e confinati ai margi-ni delle accademie.

Per Rensi Leopardi fu «uno dei più grandi filosofi ita-liani (forse il sommo)»; «il nostro maggiore poeta e, insie-me, […] il nostro maggiore filosofo»; «il sommo filosofod’Italia»; «la più grande figura che la storia del pensieroitaliano presenti»; e si potrebbero citare altre afferma-zioni analoghe. Oggi giudizi del genere sarebbero sotto-scritti o accettati da molti, ma nel contesto culturaledell’Italia primo-novecentesca, egemonizzato dal neo-idealismo, il solo fatto di considerare Leopardi un filoso-fo rappresentava di per sé una sovversiva eresia critica.

Come Rensi, così anche Tilgher dedicò grande atten-zione al Leopardi pensatore. Con La filosofia di Leopardi,del 1940, fornì un contributo fondamentale alla cono-scenza del pensiero leopardiano. Eppure questo saggioviene quasi sempre ignorato o trascurato nei manuali distoria letteraria, che attribuiscono il merito di aver sco-perto il valore filosofico dell’opera di Leopardi a CesareLuporini, e al suo fortunatissimo saggio Leopardi pro-

gressivo. Tuttavia, molti altri autori, ben prima di Lupori-ni, avevano rivendicato l’importanza del Leopardi filoso-fo (riconosciuto come tale, del resto, già nell’Ottocento,non solo dal maestro e amico Giordani, ma anche, tra glialtri, da Nietzsche). Intanto, all’indomani dell’uscita delloZibaldone, pubblicato sintomaticamente proprio all’ini-zio del Novecento, uscirono una serie di studi, seppureun po’ approssimativi, sul pensiero di Leopardi; successi-vamente, in contrasto con il graduale consolidarsi del-l’egemonia idealistica, l’intrinseco valore filosofico del-l’opera leopardiana venne più persuasivamente messoin risalto da studiosi e saggisti come Giulio Augusto Levi,Lorenzo Giusso, Giovanni Amelotti, lo stesso Rensi, chevide in Leopardi niente meno che il massimo filosofo ita-liano. Ma tra le pubblicazioni antecedenti a quella di Lu-porini, il libro di Tilgher, ultimato nel 1939, e pubblicatonel 1940 (dunque sette anni prima dell’uscita del Leo-pardi progressivo) occupa una posizione di tutto riguar-do, come prima, convincente trattazione organicamenteconsacrata alla filosofia leopardiana.

51novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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Lo Scaffale del Bibliofilo

Il collezionismo può declinarsi a diversi livelli.Forse non esiste neppure ‘il collezionista’, in-teso come figura tipologica ideale, ma soltan-

to ‘i collezionisti’, ognuno con interessi, gusti, in-clinazioni e, non da ultimo, possibilità economi-che differenti. A quella categoria di collezionisticolti, ma altrettanto attenti a non dilapidare un

patrimonio, sono perciò rivolti i suggerimenti diquesto mese, tratti dal recente catalogo dall’allet-tante titolo 110 libri antichi di letteratura allestitodallo Studio Bibliografico Apuleio di Trento ([email protected]). Nell’impossibilità diun acquisto en bloc, si potrà arricchire il proprioscaffale con alcune singole mirate edizioni, alcunedelle quali di grandissimo interesse sulle quali va-le la pena soffermarsi. Un buon collezionista non

FRA I CLASSICI: BOCCACCIO,BEMBO E ARIOSTO

Consigli di collezionismo antiquario

di GIANCARLO PETRELLA

53novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

Qui sotto da sinistra: Giovanni Boccaccio, Corbaccio, Toscolano, Alessandro Paganino, [1527-1533], frontespizio; Orlando

furioso tutto ricorretto et di nuove figure adornato, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1568, c. H1r; Orlando furioso tutto ricorretto et

di nuove figure adornato, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1568, frontespizio. Nella pagina accanto: una delle incisioni a piena

pagina che corredano l’edizione ariostesca Valgrisi

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dovrebbe innanzitutto farsi sfuggire l’esemplarein legatura antica in piena pergamena rigida delladeliziosa edizione del Corbaccio di Boccaccio sot-toscritta, ma non datata (c. 1527-1533), da Ales-sandro Paganini, uno dei più geniali tipografi ita-liani del primo Cinquecento, forse inferiore sol-tanto ad Aldo Manuzio. Figlio d’arte, il padre Pa-ganino Paganini iniziò l’attività tipografica a Ve-nezia negli anni Ottanta del XV secolo, Alessan-dro nel volgere di pochi anni raggiunse una gra-duale autonomia rispetto alle scelte editoriali pa-terne, arrivando alla fine a licenziare, nell’arco diuna trentina d’anni, un centinaio di edizioni,stampate dapprima a Venezia e poi, dal 1517, sullesponde del Garda. Esordì nel 1509 incidendo

l’elegantissimo carattere impiegato in due auten-tici capolavori della tipografia rinascimentale,l’Euclide volgare curato dal matematico Luca Pa-cioli e la Divina proportione dello stesso Pacioli.

Poi, nel 1515, il salto di qualità, compiutoprogettando e realizzando una rivoluzionaria col-lana di classici volgari e latini nel minuscolo for-mato in ventiquattresimo (ciò vuol dire specchiodi stampa pari a circa mm 85x40) per cui disegnòappositamente un minutissimo carattere (meno di2 mm e mezzo per linea di testo!) ibrido tra roma-no e corsivo. La serie di libretti da mano si aprenell’aprile del 1515 col Petrarca volgare dedicatoalla marchesa Isabella d’Este, presto seguito, nelfecondissimo biennio 1515-1516, dall’Arcadia del

Sopra: incipit e incisione a piena pagina del canto XX del Furioso nell’edizione Valgrisi. Nella pagina accanto: dedica,

incipit e ritratto del Bembo dall’edizione delle Prose della volgar lingua, Venezia, G. Giolito, 1556

54 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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Sannazaro, gli Asolani del Bembo, la Divina com-media, il Corbaccio, e una schiera di autori latini.Poi, senza alcuna evidente motivazione, nel 1517,i Paganini scelsero di trasferire i torchi dalla Lagu-na alle sponde del Garda: dapprima a Salò, poi aToscolano.

L’edizione del Corbaccio rintracciata nella rac-colta dello Studio Apuleio risale proprio al perio-do toscolanense e ripresenta l’opera del Boccaccionel formato in ottavo rispetto all’edizione vene-ziana precedente nel ben più minuto in 24°.Edit16 CNCE 6251 ne censisce una ventina diesemplari in biblioteche italiane. Ma il discorsodella rarità o meno, lascia qui il tempo che trova.Bello è averla sullo scaffale, magari a fianco diun’edizione aldina, a testimonianza di quell’irri-petibile stagione della tipografia rinascimentale.

Altrettanto interessante la seconda proposta,con una dovuta precisazione. Chi non potesse per-mettersi la gloriosa prima edizione di uno dei testifondanti la questione della lingua, le Prose dellavolgar lingua di Pietro Bembo (1525), ha però co-

munque la possibilità di far entrare l’opera nellapropria collezione grazie a una delle più abborda-bili edizioni successive. Tra queste, l’edizione rivi-sta dal poligrafo Lodovico Dolce e sottoscritta dalcelebre Gabriele Giolito («In Vinegia, appressoGabriel Giolito de’ Ferrari, 1556»: Edit16 CNCE5050), in un esemplare con bella legatura sette-centesca in piena pelle con tagli rossi, tassello inmarocchino e fregi in oro al dorso. E così facendo,la collezione si arricchirebbe dopo il Paganino an-che del Giolito, procedendo sia sul fronte degliautori della letteratura italiana sia su quello deiprotagonisti della tipografia italiana. A questopunto il terzo suggerimento non può che allinearsia quanto sinora detto. Ancora un classico della let-teratura italiana offerto nell’edizione di uno deiprotagonisti dell’editoria del Cinquecento, per dipiù illustrata: l’Orlando furioso tutto ricorretto et dinuove figure adornato, nell’edizione «Venetia, Vin-cenzo Valgrisi, 1568», adorna di una cinquantinadi splendide silografie a piena pagina (Edit16CNCE 2758).

55novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano

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La qualità delle migliori nocciole e il cacao più buono danno vita ad una consistenza

e ad un bouquet di sapori inimitabile.

Ferrero Rocher è quel dolce invito che ti regala un momento prezioso,

perfetto da condividere

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novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 57

Borghesi, Firenze, Olschki, 2018,pp. 204, 26 euroSino a ora alcun volume avevaraccolto e proposto, in edizionecritica, l’intero corpus epistolare diuno dei protagonisti assoluti delRinascimento: il conte Giovanni Picodella Mirandola (1463-1494).Finalmente, a colmare la lacuna, èquesto volume - ben curato daFrancesco Borghesi (attualmentericercatore presso l’università diSydney) - che, utilizzando tutte le‘armi’ della filologia, proponeall’attenzione dei lettori, in modosistematico, tutte le settantaquattrolettere del celebre filosofo a noigiunte, e da lui inviate a personaggidel calibro di Angelo Poliziano,Marsilio Ficino, Lorenzo de’ Medici,Ermolao Barbaro, Federico Gonzaga…La raccolta vera e propria è precedutada un’ampia introduzione (in parteopera di Maria Agata Pincelli) chepassa in rassegna svariate questioniinerenti il corpus epistolare pichiano,a partire dallo studio della prima,parziale, edizione a stampa, allestitanel 1496 da Giovan Francesco Pico

Alessandro Cecchi, «In difesa delladolce libertà. L’assedio di Firenze(1529-1530)», Firenze, Olschki,2018, pp. 320, 29 euro

Attorno alle mura di Firenze, nell’anno1530, ci porta In difesa della dolcelibertà, volume di Alessandro Cecchi(direttore della Fondazione CasaBuonarroti), che narra - con dovizia diparticolari e ampio e saggio uso dellefonti - i fatti dell’assedio alla cittàtoscana portato dall’esercito imperialedi Carlo V d’Asburgo. Nonostante lastrenua difesa dei fiorentini, portataavanti con sempre maggiore difficoltànel corso di ben dieci mesi costellatidi fatti di sangue e gesta di eroismo,l’epilogo fu tragico e segnò per la finedei sogni repubblicani di Firenze e ilritorno del governo mediceo. Il pregiodel libro di Cecchi risiede (oltre che

LO SCAFFALEPubblicazioni di pregio più o meno recenti,fra libri e tomi di piccoli e grandi editori

LO SCAFFALE – LE MOSTRE – IL LIBRO D’ARTE – FEUILLETON

inSEDICESIMO

nella ottima chiarezza espositiva)anche nel vasto utilizzo di documenticonservati presso l’Archivio di Statodella città toscana e rimasti per lamaggior parte inediti sino a oggi.Attraverso di essi - e in particolaregrazie alle minute dei dispacci inviatidai Dieci di Balia a commissari eambasciatori fiorentini - è statopossibile per l’autore ricostruire,giorno per giorno, lo svolgersi deglieventi, in un crescendo concitato disperanze e delusioni. Di grandebellezza, infine, l’apparato iconograficoche adorna il volume, così come, difine interesse, la puntuale appendicedocumentaria.

Giovanni Pico della Mirandola,«Lettere», a cura di Francesco

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 57

Borghesi, Firenze, Olschki, 2018,pp. 204, 26 euroSino a ora alcun volume avevaraccolto e proposto, in edizionecritica, l’intero corpus epistolare diuno dei protagonisti assoluti delRinascimento: il conte Giovanni Picodella Mirandola (1463-1494).Finalmente, a colmare la lacuna, èquesto volume - ben curato daFrancesco Borghesi (attualmentericercatore presso l’università diSydney) - che, utilizzando tutte le‘armi’ della filologia, proponeall’attenzione dei lettori, in modosistematico, tutte le settantaquattrolettere del celebre filosofo a noigiunte, e da lui inviate a personaggidel calibro di Angelo Poliziano,Marsilio Ficino, Lorenzo de’ Medici,Ermolao Barbaro, Federico Gonzaga…La raccolta vera e propria è precedutada un’ampia introduzione (in parteopera di Maria Agata Pincelli) chepassa in rassegna svariate questioniinerenti il corpus epistolare pichiano,a partire dallo studio della prima,parziale, edizione a stampa, allestitanel 1496 da Giovan Francesco Pico

Alessandro Cecchi, «In difesa delladolce libertà. L’assedio di Firenze(1529-1530)», Firenze, Olschki,2018, pp. 320, 29 euro

Attorno alle mura di Firenze, nell’anno1530, ci porta In difesa della dolcelibertà, volume di Alessandro Cecchi(direttore della Fondazione CasaBuonarroti), che narra - con dovizia diparticolari e ampio e saggio uso dellefonti - i fatti dell’assedio alla cittàtoscana portato dall’esercito imperialedi Carlo V d’Asburgo. Nonostante lastrenua difesa dei fiorentini, portataavanti con sempre maggiore difficoltànel corso di ben dieci mesi costellatidi fatti di sangue e gesta di eroismo,l’epilogo fu tragico e segnò per la finedei sogni repubblicani di Firenze e ilritorno del governo mediceo. Il pregiodel libro di Cecchi risiede (oltre che

LO SCAFFALEPubblicazioni di pregio più o meno recenti,fra libri e tomi di piccoli e grandi editori

LO SCAFFALE – LE MOSTRE – IL LIBRO D’ARTE – FEUILLETON

inSEDICESIMO

nella ottima chiarezza espositiva)anche nel vasto utilizzo di documenticonservati presso l’Archivio di Statodella città toscana e rimasti per lamaggior parte inediti sino a oggi.Attraverso di essi - e in particolaregrazie alle minute dei dispacci inviatidai Dieci di Balia a commissari eambasciatori fiorentini - è statopossibile per l’autore ricostruire,giorno per giorno, lo svolgersi deglieventi, in un crescendo concitato disperanze e delusioni. Di grandebellezza, infine, l’apparato iconograficoche adorna il volume, così come, difine interesse, la puntuale appendicedocumentaria.

Giovanni Pico della Mirandola,«Lettere», a cura di Francesco

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(nipote di Giovanni) e impressa aBologna da Benedetto Faelli, allaquale hanno poi fatto seguito edizionisuccessive, alcune delle qualicontraffatte.

Il volume, corredato da appendici,riporta anche la descrizione e lostudio del manoscritto vaticanoCapponi 235 (sul quale sono presentimolte lettere del conte di Concordia eMirandola) così come la puntualelocalizzazione e illustrazione di tuttigli altri manoscritti contenenti lerimanenti epistole. Purtroppo (ed èquesta l’unica pecca del volume) ilcuratore ha scelto di non affiancare aimolti testi vergati in latino unatraduzione in italiano che certoavrebbe agevolato la lettura ai più.

Andrea Mirabile, «Ezra Pound el’arte italiana. Fra le Avanguardiee d’Annunzio», Firenze, Olschki,2018, pp. 150, 20 euro

Con questo volume, dedicato aEzra Pound (1885-1972), il più grande(e controverso) poeta americano delNovecento, Andrea Mirabile(professore associato presso laVanderbilt University di Nashville)indaga i rapporti fra la produzioneartistica del Belpaese, ricca disuggestioni, e le pagine del celebre

scrittore. Come è noto Poundtrascorse la maggior parte della suavita fra Rapallo e Venezia: nonsorprende quindi che la lingua e lacultura italiana punteggino tutto ilcorpus e, in particolare, il suomonumentale poema, i Cantos, unasorta di Divina Commedia per lamodernità. Protagonista dell’interessedell’autore per l’Italia è soprattuttol’arte del Quattrocento: BeatoAngelico, Botticelli, Bellini, Carpaccio,Mantegna, e molti altri pittori, ancheminori. Gli artisti, l’architettura, ilpaesaggio della Serenissima, poi,costituiranno le sorgenti stesse dellafase ‘paradisiaca’ del magnum opusdello statunitense.

Qui Pound esibisce, in modosimultaneo, i suoi debiti versol’estetismo decadente e l’anelito alrinnovamento modernista, ed èd’Annunzio, a sua volta in bilico fraModernismo e Decadenza, ainfluenzare profondamente «UncleEz», nonostante la critica abbia finoradedicato poca attenzione al rapportofra i due scrittori.

Celio Secondo Curione, «Pasquillusextaticus» e «Pasquino in estasi»,a cura di Giovanna Cordibella eStefano Prandi, Firenze, Olschki,2018, pp. 330, 38 euro

Nel panorama della dissidenzareligiosa del Cinquecento, un posto dirilievo spetta a Celio Secondo Curione(1503-1569), letterato e umanista che,abbracciando la Riforma, dedicò lasua vita a diffondere - non senzaatteggiamenti nicodemici - posizionivicine al luteranesino e

all’anabattismo (posizioni pericoloseche lo costrinsero, già nel 1542, alasciare la Penisola e a riparare inSvizzera). Nell’ampio dialogoPasquillus extaticus (la cui primaedizione, i due curatori - GiovannaCordibella e Stefano Prandi -retrodatano al 1541, e attribuiscono aitipi di Johannes Oporinus), Curione‘fustiga’ la corruzione della Chiesacattolica e tutte le sue pratiche, vuotisimulacri di ignoranza e ipocrisia.

Dal punto di vista bibliologico,questo volume è uno strumentoimportante per fare luce su unavicenda editoriale oltremodo intricata(basti pensare che, nel corso dellericognizione preparatorie, i duecuratori hanno rintracciato ben settecodici apocrifi contenenti l’opera iquali testimoniano la sua vastacircolazione). Inoltre, pregio ulterioredel volume, i due curatori non si sonolimitati a riproporre, in edizionecritica, la prima redazione latina e laprima volgare del Pasquillus extaticus,ma a essi affiancano un riccoapparato di varianti e un puntualecommento (senza il quale,oggettivamente, sarebbe assai difficileavvicinarsi a questo scritto).

58 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

(nipote di Giovanni) e impressa aBologna da Benedetto Faelli, allaquale hanno poi fatto seguito edizionisuccessive, alcune delle qualicontraffatte.

Il volume, corredato da appendici,riporta anche la descrizione e lostudio del manoscritto vaticanoCapponi 235 (sul quale sono presentimolte lettere del conte di Concordia eMirandola) così come la puntualelocalizzazione e illustrazione di tuttigli altri manoscritti contenenti lerimanenti epistole. Purtroppo (ed èquesta l’unica pecca del volume) ilcuratore ha scelto di non affiancare aimolti testi vergati in latino unatraduzione in italiano che certoavrebbe agevolato la lettura ai più.

Andrea Mirabile, «Ezra Pound el’arte italiana. Fra le Avanguardiee d’Annunzio», Firenze, Olschki,2018, pp. 150, 20 euro

Con questo volume, dedicato aEzra Pound (1885-1972), il più grande(e controverso) poeta americano delNovecento, Andrea Mirabile(professore associato presso laVanderbilt University di Nashville)indaga i rapporti fra la produzioneartistica del Belpaese, ricca disuggestioni, e le pagine del celebre

scrittore. Come è noto Poundtrascorse la maggior parte della suavita fra Rapallo e Venezia: nonsorprende quindi che la lingua e lacultura italiana punteggino tutto ilcorpus e, in particolare, il suomonumentale poema, i Cantos, unasorta di Divina Commedia per lamodernità. Protagonista dell’interessedell’autore per l’Italia è soprattuttol’arte del Quattrocento: BeatoAngelico, Botticelli, Bellini, Carpaccio,Mantegna, e molti altri pittori, ancheminori. Gli artisti, l’architettura, ilpaesaggio della Serenissima, poi,costituiranno le sorgenti stesse dellafase ‘paradisiaca’ del magnum opusdello statunitense.

Qui Pound esibisce, in modosimultaneo, i suoi debiti versol’estetismo decadente e l’anelito alrinnovamento modernista, ed èd’Annunzio, a sua volta in bilico fraModernismo e Decadenza, ainfluenzare profondamente «UncleEz», nonostante la critica abbia finoradedicato poca attenzione al rapportofra i due scrittori.

Celio Secondo Curione, «Pasquillusextaticus» e «Pasquino in estasi»,a cura di Giovanna Cordibella eStefano Prandi, Firenze, Olschki,2018, pp. 330, 38 euro

Nel panorama della dissidenzareligiosa del Cinquecento, un posto dirilievo spetta a Celio Secondo Curione(1503-1569), letterato e umanista che,abbracciando la Riforma, dedicò lasua vita a diffondere - non senzaatteggiamenti nicodemici - posizionivicine al luteranesino e

all’anabattismo (posizioni pericoloseche lo costrinsero, già nel 1542, alasciare la Penisola e a riparare inSvizzera). Nell’ampio dialogoPasquillus extaticus (la cui primaedizione, i due curatori - GiovannaCordibella e Stefano Prandi -retrodatano al 1541, e attribuiscono aitipi di Johannes Oporinus), Curione‘fustiga’ la corruzione della Chiesacattolica e tutte le sue pratiche, vuotisimulacri di ignoranza e ipocrisia.

Dal punto di vista bibliologico,questo volume è uno strumentoimportante per fare luce su unavicenda editoriale oltremodo intricata(basti pensare che, nel corso dellericognizione preparatorie, i duecuratori hanno rintracciato ben settecodici apocrifi contenenti l’opera iquali testimoniano la sua vastacircolazione). Inoltre, pregio ulterioredel volume, i due curatori non si sonolimitati a riproporre, in edizionecritica, la prima redazione latina e laprima volgare del Pasquillus extaticus,ma a essi affiancano un riccoapparato di varianti e un puntualecommento (senza il quale,oggettivamente, sarebbe assai difficileavvicinarsi a questo scritto).

58 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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H a sempre più l’impronta diuna sintesi autobiografica (omeglio di autobiografia

critica) il percorso proposto da EnricoCrispolti per la seconda mostra delMusia, lo spazio espositivo voluto daOvidio Jacorossi e inaugurato alla finedel 2017 con la prima tappa di unpercorso volto a restituire,trascegliendo fra le opere dellacollezione “d’impresa” di Jacorossistesso, la fisionomia dell’arte a Romanel corso del Novecento.

Un percorso atipico, fuori daglischemi di una storiografia consolidata,che già nella prima occasione,gettando uno sguardo sulla primametà del secolo, puntava a faremergere una lettura non canonica efortemente militante delle ricerchevisive all’interno di una più ampiaprospettiva storica.

È questo, infatti, il senso di quellache insistentemente Crispolti, quasi acompendio della propria battaglia dicritico militante e a conclusione delsenso generale di quell’esperienza,chiama «deriva storico-critica»:riguardo alla prima metà del secolo,quella definizione andava intesasoprattutto in un’accezione«criticamente liberatoria» comevolontà di agire fuori dalle rotte piùbattute della storiografia; approdandoal secondo Novecento, con Colore,

immagine, segno, oggetto,comportamento. Il secondo Novecentoa Roma nella collezione Jacorossi (DeLuca editore) il critico romano intendequesta “deriva” con «un diverso e altroe più impellente e cruciale compitorestitutivo», ovvero di suggerire«l’ovvia e incontestabile esistenzastorica di ben altre realtà operanticontestualmente» (p. 16).

Bisogna dunque guardare inprospettiva alcune delle curatoriali(Titina Maselli, Nedda Guidi, CorradoCagli, Piero Dorazio e Nino Franchina,fra gli altri) e soprattutto leggerequeste pagine, fra cui si insinuanoinaspettati motivi nuovi della criticacrispoltiana, come un colpo di codaalle consuetudini al fine di risarciredalla censura istituzionale della criticauna storia dell’arte contemporaneaalternativa al canone ufficializzato:«rovesciamento necessario erivelatorio di una prospettivaaltrimenti storicamente subito,impropriamente, d’evidenza asfittica»(p. 18).

Sin dagli esordi giovanili negli anniCinquanta, infatti, Crispolti si erabattuto per una linea espressionistadell’avanguardia, di cui ripercorre lavicenda evidenziando lo strettorapporto di queste istanze figurativecon la città di Roma e con un circuitodi gallerie di cui erano protagonisti

MOSTRA/1DERIVE E APPRODI DELL’AVANGUARDIAIl secondo Novecento di Crispolti a Roma

Dall’alto: Renato Guttuso, Europa e disarmo,

1958; Mario Ceroli, La casa di Germano

Lombardi, 1965

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 59

COLORE, IMMAGINE, SEGNO,OGGETTO, COMPORTAMENTO.IL SECONDO NOVECENTO A ROMA NELLA COLLEZIONEJACOROSSIa cura di Enrico Crispolti incollaborazione con Giulia Tulino

ROMA, MUSIA

4 ottobre 201812 gennaio 2019

di luca pietro nicoletti

H a sempre più l’impronta diuna sintesi autobiografica (omeglio di autobiografia

critica) il percorso proposto da EnricoCrispolti per la seconda mostra delMusia, lo spazio espositivo voluto daOvidio Jacorossi e inaugurato alla finedel 2017 con la prima tappa di unpercorso volto a restituire,trascegliendo fra le opere dellacollezione “d’impresa” di Jacorossistesso, la fisionomia dell’arte a Romanel corso del Novecento.

Un percorso atipico, fuori daglischemi di una storiografia consolidata,che già nella prima occasione,gettando uno sguardo sulla primametà del secolo, puntava a faremergere una lettura non canonica efortemente militante delle ricerchevisive all’interno di una più ampiaprospettiva storica.

È questo, infatti, il senso di quellache insistentemente Crispolti, quasi acompendio della propria battaglia dicritico militante e a conclusione delsenso generale di quell’esperienza,chiama «deriva storico-critica»:riguardo alla prima metà del secolo,quella definizione andava intesasoprattutto in un’accezione«criticamente liberatoria» comevolontà di agire fuori dalle rotte piùbattute della storiografia; approdandoal secondo Novecento, con Colore,

immagine, segno, oggetto,comportamento. Il secondo Novecentoa Roma nella collezione Jacorossi (DeLuca editore) il critico romano intendequesta “deriva” con «un diverso e altroe più impellente e cruciale compitorestitutivo», ovvero di suggerire«l’ovvia e incontestabile esistenzastorica di ben altre realtà operanticontestualmente» (p. 16).

Bisogna dunque guardare inprospettiva alcune delle curatoriali(Titina Maselli, Nedda Guidi, CorradoCagli, Piero Dorazio e Nino Franchina,fra gli altri) e soprattutto leggerequeste pagine, fra cui si insinuanoinaspettati motivi nuovi della criticacrispoltiana, come un colpo di codaalle consuetudini al fine di risarciredalla censura istituzionale della criticauna storia dell’arte contemporaneaalternativa al canone ufficializzato:«rovesciamento necessario erivelatorio di una prospettivaaltrimenti storicamente subito,impropriamente, d’evidenza asfittica»(p. 18).

Sin dagli esordi giovanili negli anniCinquanta, infatti, Crispolti si erabattuto per una linea espressionistadell’avanguardia, di cui ripercorre lavicenda evidenziando lo strettorapporto di queste istanze figurativecon la città di Roma e con un circuitodi gallerie di cui erano protagonisti

MOSTRA/1DERIVE E APPRODI DELL’AVANGUARDIAIl secondo Novecento di Crispolti a Roma

DDaallll’’aallttoo: RReennaattoo GGuuttttuussoo,, Europa e disarmo,

1958; MMaarriioo CCeerroollii,, La casa di Germano

Lombardi, 1965i

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 59

COLORE, IMMAGINE, SEGNO,OGGETTO, COMPORTAMENTO.IL SECONDO NOVECENTOA ROMA NELLA COLLEZIONEJACOROSSIa cura di Enrico Crispolti incollaborazione con Giulia Tulino

ROMA, MUSIA

4 ottobre 201812 gennaio 2019

di luca pietro nicoletti

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contatto con l’avventuracollezionistica Jacorossi, che si trova aoscillare fra quelle istanze in cui ilcritico maggiormente si riconosce equegli esempi, dalla Scuola di Piazzadel Popolo a quella di San Lorenzo,che Crispolti riconduce a un’arte«rassicurante appiattimentovagamente formalistico,sostanzialmente aproblematico, eimpenitentemente contemplativa edistratta» (p. 20). Proprio qui, infatti, sicollocano per esempio l’esperienza diRenato Guttuso fa anni Cinquanta eSessanta, fuori dall’orbita neorealista emirato a una nuova restituzioneiconica ben documentata in mostra daun piccolo collage del 1958 (Europa edisarmo) che testimonia l’utilizzo diquesta tecnica da parte del pittore diBagheria non con intenti formali manarrativi, come se la frammentazionepotesse essere uno strumento per

l’Attico di Bruno Sargentini - che afine anni Cinquanta comincia asondare sistematicamente l’areatedesca dell’Informale - la galleriaCondotti 85 dove è operativa LauraDrudi Gambillo (sua prima moglie), o

la Medusa e la Schneider, senzadimenticare Odyssia Skouras, che nellapropria galleria aveva ospitato un cicloviolento ed eversivo come Il Concilio diSergio Vacchi. Questa vicenda correparallela e in certi punti entra in

Sopra da sinistra, in senso orario: Franco Piruca, Dedalus 1978; Cesare Tacchi, Taxi, 1962;

Giuseppe Uncini, Cemento armato n. 25, 1961; Pino Pascali; Claudio Abate, Lo zodiaco, 1970

60 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

contatto con l’avventuracollezionistica Jacorossi, che si trova aoscillare fra quelle istanze in cui ilcritico maggiormente si riconosce equegli esempi, dalla Scuola di Piazzadel Popolo a quella di San Lorenzo,che Crispolti riconduce a un’arte«rassicurante appiattimentovagamente formalistico,sostanzialmente aproblematico, eimpenitentemente contemplativa edistratta» (p. 20). Proprio qui, infatti, sicollocano per esempio l’esperienza diRenato Guttuso fa anni Cinquanta eSessanta, fuori dall’orbita neorealista emirato a una nuova restituzioneiconica ben documentata in mostra daun piccolo collage del 1958 (Europa edisarmo) che testimonia l’utilizzo diquesta tecnica da parte del pittore diBagheria non con intenti formali manarrativi, come se la frammentazionepotesse essere uno strumento per

l’Attico di Bruno Sargentini - che afine anni Cinquanta comincia asondare sistematicamente l’areatedesca dell’Informale - la galleriaCondotti 85 dove è operativa LauraDrudi Gambillo (sua prima moglie), o

la Medusa e la Schneider, senzadimenticare Odyssia Skouras, che nellapropria galleria aveva ospitato un cicloviolento ed eversivo come Il Concilio diSergio Vacchi. Questa vicenda correparallela e in certi punti entra in

Sopra da sinistra, in senso orario: Franco Piruca, Dedalus 1978; CCeessaarree TTaTacccchhii,, Taxi, 1962;

GGiiuusseeppppee UUnncciinnii,, Cemento armato n. 25, 1961; 5 PPiinnoo PPaassccaallii; CCllaauuddiioo AAbbaattee, Lo zodiaco, 1970

60 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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mostrare la sincronia fra narrazionedistanti e separate fra loro.Inaspettata, invece, è l’attenzione diCrispolti nei confronti di PieroDorazio, a cui riconosce un ruolodialettico in seno all’avanguardia e,soprattutto, volto a unosvecchiamento non solo linguisticoma problematico e contenutistico.

È il Dorazio dei “reticoli”, uscitodalla fase fra pittura “concreta” e“astratto-concreta”, a sollecitare unasvolta, che avviene come «conquistadefinitiva della superficie comespazialità orizzontalmente accogliente,impenetrabile, mero possibile ambitodi svariate soluzioni possibili,ritmicamente» (p. 66). La minaccia cheil critico individua nelle scelte correnti,infatti, procede verso istanze creativerassicuranti, che nel corso degli anniOttanta si sarebbero chiarite come«serpeggiante mafaismo pittorico diritorno» con una evidente impressionedi restaurazione artistica e, diconseguenza, ideologica. D’altra parte,ricorda Crispolti, la lineadell’avanguardia non può entraresenza tradirsi nella costellazione delcanone ufficiale. Quando lo ha fatto,seguendo spesso le derive di unainnovazione formale ma noncontenutistica, è andata incontro aun’«unilaterale teatralizzazioneambientale dell’opera». È quasi unacontraddizione di termini, e per questaragione e ad essa che si rivolgono isuoi strali, mettendo in guardia da untraguardo di impalmanteufficializzazione dell’avanguardia,anziché al sostegno di prospettivereali di ricerca» (p. 104). [lpn]

D ei pittori della suagenerazione attivi a Milano,Gianfranco Ferroni (1927-

2001) è una delle voci più feroci eimpietose, analitiche nel far emergeresenza nulla concedere all’osservatoreil lato più violento e grottesco delpresente, come un vero e propriomonito di protesta muta ma nonindifferente.

È questa la sensazione principale

che si ricava rivedendo pressoMontrasio Arte a Milano alcune delletele con cui Ferroni si era presentatoalla Biennale del 1968 (e che inquell’occasione aveva girato perprotesta contro il muro), checostituiscono il nucleo fondamentaledella mostra curata da Chiara Gatti eaccompagnata in catalogo da unsaggio di Jacopo Galimberti.

Una mostra da collocarsi sulla sciadi una precedente manifestazioneespositiva presso il Museo FlorianoBodini di Gemonio, che nell’autunno2017 si concentrava su Politic’sriconoscendo nell’istanza politica enell’impegno in prima persona ilmotivo conduttore del gruppo storicodel cosiddetto Realismo Esistenziale, eche andava ben oltre gli anni a cuiquesta etichetta era stata attribuita.

È bene ripartire da quella data eda quei dipinti per evitare di esseresviati da una vulgata un po’ troppoletteraria che ha attorniato laproduzione più recente di Ferronileggendolo come un “pittore delsilenzio”, col rischio di unaconnotazione rassicurante a un sensodi solitudine che invece aveva unaradice esistenziale più lacerante, e cheforse nella minuzia, nell’acribiadescrittiva della produzione maturatrovava uno strumento diautodisciplina capace di placare unmalessere esistenziale profondo.

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 61

MOSTRA/2IL MONITO DI FERRONIImpegno e silenzio

GIANFRANCO FERRONIa cura di Chiara Gatti

MILANO, MONTRASIO ARTE

dal 10 ottobre al 6 dicembre 2018

Gianfranco Ferroni, L'arabo ferito, 1967, olio

su tela

mostrare la sincronia fra narrazionedistanti e separate fra loro.Inaspettata, invece, è l’attenzione diCrispolti nei confronti di PieroDorazio, a cui riconosce un ruolodialettico in seno all’avanguardia e,soprattutto, volto a unosvecchiamento non solo linguisticoma problematico e contenutistico.

È il Dorazio dei “reticoli”, uscitodalla fase fra pittura “concreta” e“astratto-concreta”, a sollecitare unasvolta, che avviene come «conquistadefinitiva della superficie comespazialità orizzontalmente accogliente,impenetrabile, mero possibile ambitodi svariate soluzioni possibili,ritmicamente» (p. 66). La minaccia cheil critico individua nelle scelte correnti,infatti, procede verso istanze creativerassicuranti, che nel corso degli anniOttanta si sarebbero chiarite come«serpeggiante mafaismo pittorico diritorno» con una evidente impressionedi restaurazione artistica e, diconseguenza, ideologica. D’altra parte,ricorda Crispolti, la lineadell’avanguardia non può entraresenza tradirsi nella costellazione delcanone ufficiale. Quando lo ha fatto,seguendo spesso le derive di unainnovazione formale ma noncontenutistica, è andata incontro aun’«unilaterale teatralizzazioneambientale dell’opera». È quasi unacontraddizione di termini, e per questaragione e ad essa che si rivolgono isuoi strali, mettendo in guardia da untraguardo di impalmanteufficializzazione dell’avanguardia,anziché al sostegno di prospettivereali di ricerca» (p. 104). [lpn]

D ei pittori della suagenerazione attivi a Milano,Gianfranco Ferroni (1927-

2001) è una delle voci più feroci eimpietose, analitiche nel far emergeresenza nulla concedere all’osservatoreil lato più violento e grottesco delpresente, come un vero e propriomonito di protesta muta ma nonindifferente.

È questa la sensazione principale

che si ricava rivedendo pressoMontrasio Arte a Milano alcune delletele con cui Ferroni si era presentatoalla Biennale del 1968 (e che inquell’occasione aveva girato perprotesta contro il muro), checostituiscono il nucleo fondamentaledella mostra curata da Chiara Gatti eaccompagnata in catalogo da unsaggio di Jacopo Galimberti.

Una mostra da collocarsi sulla sciadi una precedente manifestazioneespositiva presso il Museo FlorianoBodini di Gemonio, che nell’autunno2017 si concentrava su Politic’sriconoscendo nell’istanza politica enell’impegno in prima persona ilmotivo conduttore del gruppo storicodel cosiddetto Realismo Esistenziale, eche andava ben oltre gli anni a cuiquesta etichetta era stata attribuita.

È bene ripartire da quella data eda quei dipinti per evitare di esseresviati da una vulgata un po’ troppoletteraria che ha attorniato laproduzione più recente di Ferronileggendolo come un “pittore delsilenzio”, col rischio di unaconnotazione rassicurante a un sensodi solitudine che invece aveva unaradice esistenziale più lacerante, e cheforse nella minuzia, nell’acribiadescrittiva della produzione maturatrovava uno strumento diautodisciplina capace di placare unmalessere esistenziale profondo.

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 61

MOSTRA/2IL MONITO DI FERRONIImpegno e silenzio

GIANFRANCO FERRONIa cura di Chiara Gatti

MILANO, MONTRASIO ARTE

dal 10 ottobreal 6 dicembre 2018

GGiiaannffrraannccoo FFeerrrroonnii,, L'arabo ferito, 1967, olio

su tela

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Questo non mette in discussione,naturalmente, il suo ruolo di capofila,all’inizio degli anni Ottanta, delmovimento della “Metacosa”, ma èfondamentale inquadrare secondo ipropri principi quella inclinazioneapparentemente iperrealista per nonfraintenderne le intenzioni: a quella

luce così diafana, ai piani inclinatirestituiti con occhio grandangolare,infatti, arriva alla fine di un lungoperiodo di sedimentazione, come se laluce e la polvere che si sono posaticon tanta minuzia sugli oggettifossero la conclusione raggelante diuna tensione mai sopita che aveva

percorso i suoi ani giovanili e chenel tempo si era chiusa in unaforma silenziosa, che poteva essereequivocata con una vocazioneiperrealista, ma che in realtà volevasuggerire il lucido spaesamento diun luogo chiuso e familiare come lostudio dell’artista stesso.

A questo punto, tutto si fondavasulla minuzia del rigatino e lapazienza del disegno, al limite deldisfacimento delle cose bruciate dauna luce netta e quasi brutale.

Eppure si era andati al limitedella solarizzazione, del gioco frapositivo e negativo, mettendo allaprova i limiti stessi della visione.

Del resto, quel lavoro su quadridi formato sempre più ridotte e conuna cura da miniatore, dalla tavolaal cartone fino alla stampacalcografica, riconduce a unadimensione “da camera” con unapproccio accostante e con unaconcentrazione in uno spazio cosìlimitato, come a suo tempo fu perla minuta e raffinatissima pittura diVermeer: icone piccole epiccolissime, ma con una presenzache si impone allo sguardo erichiede molta aria intorno a sé,come se il bianco zenitale dellaparete fosse il necessariocontrappunto alla compattarestituzione luminosa deichiaroscuri.

Per questo è importante tornareai dipinti di fine anni Sessanta,laddove i nervi sono più scoperti e isoggetti più espliciti econtenutisticamente violenti senzatrattenersi.

62 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

Questo non mette in discussione,naturalmente, il suo ruolo di capofila,all’inizio degli anni Ottanta, delmovimento della “Metacosa”, ma èfondamentale inquadrare secondo ipropri principi quella inclinazioneapparentemente iperrealista per nonfraintenderne le intenzioni: a quella

luce così diafana, ai piani inclinatirestituiti con occhio grandangolare,infatti, arriva alla fine di un lungoperiodo di sedimentazione, come se laluce e la polvere che si sono posaticon tanta minuzia sugli oggettifossero la conclusione raggelante diuna tensione mai sopita che aveva

percorso i suoi ani giovanili e chenel tempo si era chiusa in unaforma silenziosa, che poteva essereequivocata con una vocazioneiperrealista, ma che in realtà volevasuggerire il lucido spaesamento diun luogo chiuso e familiare come lostudio dell’artista stesso.

A questo punto, tutto si fondavasulla minuzia del rigatino e lapazienza del disegno, al limite deldisfacimento delle cose bruciate dauna luce netta e quasi brutale.

Eppure si era andati al limitedella solarizzazione, del gioco frapositivo e negativo, mettendo allaprova i limiti stessi della visione.

Del resto, quel lavoro su quadridi formato sempre più ridotte e conuna cura da miniatore, dalla tavolaal cartone fino alla stampacalcografica, riconduce a unadimensione “da camera” con unapproccio accostante e con unaconcentrazione in uno spazio cosìlimitato, come a suo tempo fu perla minuta e raffinatissima pittura diVermeer: icone piccole epiccolissime, ma con una presenzache si impone allo sguardo erichiede molta aria intorno a sé,come se il bianco zenitale dellaparete fosse il necessariocontrappunto alla compattarestituzione luminosa deichiaroscuri.

Per questo è importante tornareai dipinti di fine anni Sessanta,laddove i nervi sono più scoperti e isoggetti più espliciti econtenutisticamente violenti senzatrattenersi.

62 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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È qui, infatti, che ci si rendeconto che per Ferroni il quadro è unpalinsesto nel quale ha rimesso alcentro il “soggetto” con la suaidentità negata, anziché limitarsiall’elaborazione linguistica di unmotivo figurativo.

Ferroni, in quegli anni, immaginail quadro come un struttura multipla,strutturando la tela come un camposuddiviso in piani a scorrimentol’uno sull’altro: ombre, bendaggi,piani inclinati e assi di legno chepartizionano la composizione,delimitano aree e dichiarano lanatura stessa del palinsesto visivo.

È dentro questa cornice chel’artista colloca il proprio soggetto,concentrandosi su un’identitàmultipla dello stesso,scomponendolo in modo darestituire più impressioni simultaneesecondo un principio di costruzionedell’immagine per giustapposizione.

Tutto diventa più chiaro nelmomento in cui risulta chiarol’utilizzo intensivo da parte di Ferronidella pratica dell’autoscatto nontanto come momento di autoanalisiattraverso l’obiettivo della fotografia,quanto come abitudine di costruirefisicamente nel proprio studiol’ambiente che si andrà a riprodurre.Con questi egli produce una serie dimateriali volti ad arricchirel’iconografia.

Ecco quindi l’artista in primapersona ma anche la sua ombraproiettata sul muro, con calibratasfocatura che ha immediateripercussioni nella stesura pittorica;oppure ecco sbucare gli specchi che

Dall’alto, in senso orario: A mosca-cieca, 1967,

olio su tela; Autobiografia. Intenzionalità della

coscienza n.4, 1968, olio su tela; Sequenza fine

di una piccola storia, 1966, olio su tela;

Cognizione della colpa, 1965, olio su tela;

Nella pagina accanto: La Stanza vuota,

1976, olio su tela

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 63

È qui, infatti, che ci si rendeconto che per Ferroni il quadro è unpalinsesto nel quale ha rimesso alcentro il “soggetto” con la suaidentità negata, anziché limitarsiall’elaborazione linguistica di unmotivo figurativo.

Ferroni, in quegli anni, immaginail quadro come un struttura multipla,strutturando la tela come un camposuddiviso in piani a scorrimentol’uno sull’altro: ombre, bendaggi,piani inclinati e assi di legno chepartizionano la composizione,delimitano aree e dichiarano lanatura stessa del palinsesto visivo.

È dentro questa cornice chel’artista colloca il proprio soggetto,concentrandosi su un’identitàmultipla dello stesso,scomponendolo in modo darestituire più impressioni simultaneesecondo un principio di costruzionedell’immagine per giustapposizione.

Tutto diventa più chiaro nelmomento in cui risulta chiarol’utilizzo intensivo da parte di Ferronidella pratica dell’autoscatto nontanto come momento di autoanalisiattraverso l’obiettivo della fotografia,quanto come abitudine di costruirefisicamente nel proprio studiol’ambiente che si andrà a riprodurre.Con questi egli produce una serie dimateriali volti ad arricchirel’iconografia.

Ecco quindi l’artista in primapersona ma anche la sua ombraproiettata sul muro, con calibratasfocatura che ha immediateripercussioni nella stesura pittorica;oppure ecco sbucare gli specchi che

DDaallll’’aallttoo,, iinn sseennssoo oorraarriioo: A mosca-cieca, 1967,

olio su tela; Autobiografia. Intenzionalità della

coscienza n.4, 1968, olio su tela; Sequenza fine

di una piccola storia, 1966, olio su tela;

Cognizione della colpa, 1965, olio su tela;

Nella pagina accanto: La Stanza vuota,

1976, olio su tela

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 63

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I n un Interno nello studio del 1965,più volte pubblicato e carico distoria espositiva, Carlo Mattioli ha

isolato su un’ampia e spessa campituradi ocra, gessosa come se fosse un murointonacato, la sagoma incisa di unpiccolo tavolo in prospettiva, su cui poi

ha adagiato degli oggetti non piùleggibili, trasformandoli in un grovigliodi materia animata. Si sarebbe tentatidi vedervi un preludio di certe naturemorte nate per assemblaggio che quasivent’anni più tardi Alberto Ghinzaniavrebbe realizzato in ferro e resina

MOSTRA/3L’ALBERO DI MATTIOLILa natura e la materia

costituiranno delle cornici da “quadronel quadro” complicando nelcomplesso l’aspetto fenomenologicodella rappresentazione.

Questo, allo stesso tempo,restituisce colore a quelle immagini,con un effetto di fotografia coloratache attutisce i toni.

Eppure, c’è un dato di fondoimspiegabile, al limite dell’indicibile,che si può tradurre solo con le paroledello stesso Ferroni, prendendo unodei passaggi de La luce dell’ateo, la

raccolta di scritti suoi collazionati daGnoli per Bompiani nel primodecennio degli anni Duemila.

In testi brevi e pungenti sulquotidiano e sulle esperienze di vita,Ferroni confessa la necessità da partesua di «[…] dipingere le cosecredendo esclusivamente nelle cose»:una dichiarazione di laicismo che nonstona quando, poche pagine prima, sileggeva che «l’artista è un uomo conla scintilla di un dio». [lpn]

Gianfranco Ferroni, Angolo di cucina - notte,

1978, olio su tela

64 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

I n un Interno nello studio del 1965,più volte pubblicato e carico distoria espositiva, Carlo Mattioli ha

isolato su un’ampia e spessa campituradi ocra, gessosa come se fosse un murointonacato, la sagoma incisa di unpiccolo tavolo in prospettiva, su cui poi

ha adagiato degli oggetti non piùleggibili, trasformandoli in un grovigliodi materia animata. Si sarebbe tentatidi vedervi un preludio di certe naturemorte nate per assemblaggio che quasivent’anni più tardi Alberto Ghinzaniavrebbe realizzato in ferro e resina

MOSTRA/3L’ALBERO DI MATTIOLILa natura e la materia

costituiranno delle cornici da “quadronel quadro” complicando nelcomplesso l’aspetto fenomenologicodella rappresentazione.

Questo, allo stesso tempo,restituisce colore a quelle immagini,con un effetto di fotografia coloratache attutisce i toni.

Eppure, c’è un dato di fondoimspiegabile, al limite dell’indicibile,che si può tradurre solo con le paroledello stesso Ferroni, prendendo unodei passaggi de La luce dell’ateo, la

raccolta di scritti suoi collazionati daGnoli per Bompiani nel primodecennio degli anni Duemila.

In testi brevi e pungenti sulquotidiano e sulle esperienze di vita,Ferroni confessa la necessità da partesua di «[…] dipingere le cosecredendo esclusivamente nelle cose»:una dichiarazione di laicismo che nonstona quando, poche pagine prima, sileggeva che «l’artista è un uomo conla scintilla di un dio». [lpn]

Gianfranco Ferroni, Angolo di cucina - notte,

1978, olio su tela

64 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

Page 67: Biblioteca di via Senato...Anatomia di un’in comprensione di massimo carloni L’accusatore e il pornograf o di antonio castronuovo SPECIALE 150 BAUDELAIRE n. 7/8 – luglio/agosto

dipinta. Resta forte l’impressione chequesto quadro di Mattioli, fra i più bellipresenti nella piccola ma come diconsueto preziosa mostra retrospettivadella milanese Galleria Marinipresentata da Stefano Crespi, abbiaavuto un ruolo seminale per più di unartista, come se da qui fossero partitequelle ricerche su una figurazionesognante, evocata più che narrata,capace di un sentimento romantico chenon contraddice lo slancio dirinnovamento linguistico. Mattioli, intal senso, si colloca pienamente in quelsolco, almeno per il fatto di aver sceltodi lavorare più sul “motivo” che sul“soggetto”, identificando quei pochielementi iconici che nel tempo sisarebbero affermati come emblemibasilari del suo discorso. Da sempreattento alla natura e alla suatraduzione nei termini dell’Informale,con il tempo Carlo Mattioli si sarebbediretto verso una pittura sempre piùprecisa nella determinazione di grigliecompositive e nella collocazione dialcuni elementi come i frondosialberelli che popoleranno quasi tutte lesue tele di allora e degli anni a seguire.Egli, come molti artisti della bassapadana, rimane infatti di fondo unpittore romantico, intendendo questaetichetta come inflessione sentimentalebasata su un senso di radicamento e diappartenenza al territorio su cui si èdeciso di concentrare la propriaattenzione. La campagna puntinata dialberi, le cui chiome sono modellate nelcolore fresco con pennello di punta inmodo da provocare l’epidermide dellatela, creano un effetto increspato chereagisce alla luce, ma si tratta

soprattutto di una tessitura pittoricarispetto ad esempio alla plastica esontuosa matericità del più vecchioMorlotti. «La solitudine dell’albero diMattioli, come una punta diparadosso», scrive Crespi in catalogo,«mi ha richiamato la scultura diGiacometti che, entro il paesaggiodesolante della contemporaneità, vienea innalzarsi nella originarietà della vita,nell’essenza, nella magia dell’universo».

Al pari di questi, però, Mattioli èpittore che piace ai poeti e gli scrittori,da Testori a Tassi, che vi riconoscono

probabilmente una risposta alla loronecessità di luoghi ameni, isolati esilenziosi, in cui il colore brucia le cosenello stesso momento in cui applica lamateria pittorica necessaria adelinearla. Un paesaggio fatto di tonipieni e corposi, che saturano lasuperficie. «Un inconscio tinto di nero edi rosso» scriveva Maurizio Calvesi inun eloquente testo intitolato Bagliori dinero, «come, allora, in Burri». E comenel pittore Umbro, Calvesi ravvisava delpessimismo di fondo nell’opera diMattioli. «Affoga la visione, le toglie il

Nella pagina accanto: Papaveri, 1980, olio su tela. Qui sopra: Paesaggio (bianco), 1984, olio su

tela

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 65

dipinta. Resta forte l’impressione chequesto quadro di Mattioli, fra i più bellipresenti nella piccola ma come diconsueto preziosa mostra retrospettivadella milanese Galleria Marinipresentata da Stefano Crespi, abbiaavuto un ruolo seminale per più di unartista, come se da qui fossero partitequelle ricerche su una figurazionesognante, evocata più che narrata,capace di un sentimento romantico chenon contraddice lo slancio dirinnovamento linguistico. Mattioli, intal senso, si colloca pienamente in quelsolco, almeno per il fatto di aver sceltodi lavorare più sul “motivo” che sul“soggetto”, identificando quei pochielementi iconici che nel tempo sisarebbero affermati come emblemibasilari del suo discorso. Da sempreattento alla natura e alla suatraduzione nei termini dell’Informale,con il tempo Carlo Mattioli si sarebbediretto verso una pittura sempre piùprecisa nella determinazione di grigliecompositive e nella collocazione dialcuni elementi come i frondosialberelli che popoleranno quasi tutte lesue tele di allora e degli anni a seguire.Egli, come molti artisti della bassapadana, rimane infatti di fondo unpittore romantico, intendendo questaetichetta come inflessione sentimentalebasata su un senso di radicamento e diappartenenza al territorio su cui si èdeciso di concentrare la propriaattenzione. La campagna puntinata dialberi, le cui chiome sono modellate nelcolore fresco con pennello di punta inmodo da provocare l’epidermide dellatela, creano un effetto increspato chereagisce alla luce, ma si tratta

soprattutto di una tessitura pittoricarispetto ad esempio alla plastica esontuosa matericità del più vecchioMorlotti. «La solitudine dell’albero diMattioli, come una punta diparadosso», scrive Crespi in catalogo,«mi ha richiamato la scultura diGiacometti che, entro il paesaggiodesolante della contemporaneità, vienea innalzarsi nella originarietà della vita,nell’essenza, nella magia dell’universo».

Al pari di questi, però, Mattioli èpittore che piace ai poeti e gli scrittori,da Testori a Tassi, che vi riconoscono

probabilmente una risposta alla loronecessità di luoghi ameni, isolati esilenziosi, in cui il colore brucia le cosenello stesso momento in cui applica lamateria pittorica necessaria adelinearla. Un paesaggio fatto di tonipieni e corposi, che saturano lasuperficie. «Un inconscio tinto di nero edi rosso» scriveva Maurizio Calvesi inun eloquente testo intitolato Bagliori dinero, «come, allora, in Burri». E comenel pittore Umbro, Calvesi ravvisava delpessimismo di fondo nell’opera diMattioli. «Affoga la visione, le toglie il

NNeellllaa ppaaggiinnaa aaccccaannttoo:: Papaveri, 1980, olio su tela. i QQuuii ssoopprraa:: Paesaggio (bianco), 1984, olio su

tela

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 65

Page 68: Biblioteca di via Senato...Anatomia di un’in comprensione di massimo carloni L’accusatore e il pornograf o di antonio castronuovo SPECIALE 150 BAUDELAIRE n. 7/8 – luglio/agosto

respiro e poi glielo rende», scrive«accostando un tono eccitato come ilrosso, consentendo al nero di sfogare,di espandersi, di dialogare, di lambirecon i contorni frastagliati zone piùossigenate». Eppure, accanto a unMattioli che guarda al paesaggio,concentrandosi su pochi elementi diun immaginario mentale e simbolico,quasi delle notazioni sulla superfice, c’èun Mattioli del ritratto edell’illustrazione che sembra talvoltavoler cedere alla caricatura. Nel corsodella sua carriera illustra i grandiclassici della letteratura, ma allo stessotempo ritrae colleghi e maestri più

anziani: nel suo museo privato, in unagalleria di illustri volti, da Morandi aCarrà e Manzù, Mattioli raffiguradentro una materia a volte pastosa e avolte più liquida e corsiva, le fisionomiepiù impietose, senza voler concederenulla all’ingentilimento, preferendoanzi un acuto commento al propriotempo e al proprio mondo.

Eppure il Mattioli più genuino èquello di certe carte piccole e preziose,dove la grana accoglie con minuziauna materia preziosa e sfuggente; èl’occhio di luna cucito come uno spilloin una notte buia fatta tutta dimateria; è la barca che si riflette nel Pocon una linea continua che sembral’inizio di uan scrittura, fra due ombredi paesaggio, sullo sfondo, chemantengono il respiro profondo esoave di una silenziosa poesia. [lpn]

CARLO MATTIOLITesto di Stefano Crespi

MILANO, GALLERIA MARINI

4 ottobre 2018 - 10 gennaio 2019

Sopra da sinistra: Paesaggio d'estate, 1974,

olio su tela; Paesaggio verde, 1978, olio su

tela. Qui a destra: Papaveri, 1980, olio su tela

66 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

respiro e poi glielo rende», scrive«accostando un tono eccitato come ilrosso, consentendo al nero di sfogare,di espandersi, di dialogare, di lambirecon i contorni frastagliati zone piùossigenate». Eppure, accanto a unMattioli che guarda al paesaggio,concentrandosi su pochi elementi diun immaginario mentale e simbolico,quasi delle notazioni sulla superfice, c’èun Mattioli del ritratto edell’illustrazione che sembra talvoltavoler cedere alla caricatura. Nel corsodella sua carriera illustra i grandiclassici della letteratura, ma allo stessotempo ritrae colleghi e maestri più

anziani: nel suo museo privato, in unagalleria di illustri volti, da Morandi aCarrà e Manzù, Mattioli raffiguradentro una materia a volte pastosa e avolte più liquida e corsiva, le fisionomiepiù impietose, senza voler concederenulla all’ingentilimento, preferendoanzi un acuto commento al propriotempo e al proprio mondo.

Eppure il Mattioli più genuino èquello di certe carte piccole e preziose,dove la grana accoglie con minuziauna materia preziosa e sfuggente; èl’occhio di luna cucito come uno spilloin una notte buia fatta tutta dimateria; è la barca che si riflette nel Pocon una linea continua che sembral’inizio di uan scrittura, fra due ombredi paesaggio, sullo sfondo, chemantengono il respiro profondo esoave di una silenziosa poesia. [lpn]

CCAARRLLOO MMAATATATATAA TTTTIIOOLLIITesto di Stefano Crespi

MILANO, GALLERIA MARINI

44 oottttoobbrree 22001188 -- 1100 ggeennnnaaiioo 22001199

SSoopprraa ddaa ssiinniissttrraa:: Paesaggio d'estate, 1974,

olio su tela; Paesaggio verde, 1978, olio su

tela. QQuuii aa ddeessttrraa:: Papaveri, 1980, olio su telaii

66 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

Page 69: Biblioteca di via Senato...Anatomia di un’in comprensione di massimo carloni L’accusatore e il pornograf o di antonio castronuovo SPECIALE 150 BAUDELAIRE n. 7/8 – luglio/agosto

«R itornare a New York»,scriveva Gillo Dorfles(1910-2018) su “Civiltà

delle macchine” nel 1956, «significaritrovare delle scarpe comode che sierano dimenticate in un armadio: unastruttura organizzativa funzionante aperfezione (i telefoni, la posta, i treni,gli aerei) e il tutto sovrappostoall’immensità cristallina d’un territoriosolo in parte umanizzato» (p. 127). Conquesto incipit, seguito da unadescrizione dello studio dell’amicoarchitetto Kiesler, il critico restituiva allettore italiano l’impressione di unacittà e lo spirito che la informa contoni inaspettatamente enfatici che sisoffermano con liriche descrizioni edichiarano la necessità di fornire«nuovi orizzonti alla nostra seted’immagini e d’emozioni» (p. 128). Lasituazione che gli si presentava, delresto, aveva più di un carattere dieccezionalità dovuto sia al fermentocostruttivo, sia ai grandi spazi, sia auna congiuntura particolare: glibastava attraversare Manhattan perlasciare lo studio di Kiesler e trovarsi inquello di James Johnson Sweeney,«poeta più che funzionario», e in moltielementi anche minuti e minutissimipoteva cogliere il germe di tempi nuovie una distanza di spirito e di concettodallo stile di vita della vecchia Europa.

È questa, infatti, l’impressioneprincipale che si trae da La mia

America, la raccolta di scritti di GilloDorfles sui suoi incontri con la culturaamericana radunati per Skira da LuigiSansone e usciti di tipografia nellostesso mese di marzo 2018 in cui il piùlongevo dei critici d’arte italiani sispegneva nella sua casa milanese. Perragioni di anagrafe, ma soprattutto perestensione di interessi, egli era statofra i primi intellettuali italiani aintessere precocemente un rapportostretto e duraturo con gli States e congli intelettuali ivi residenti: in un’Italiain cui era ancora corrente studiare ilfrancese, Dorfles era fra i pochi amaneggiare con dimestichezza, oltre al

IL LIBRO D’ARTEL’AMERICA DI DORFLESLe sponde dell’Oceano

tedesco della natia Trieste, l’inglesescritto e parlato, che gli avevano datoaccesso alle fonti di una cultura nuovache a molti intellettuali italianirisultava ovviamente preclusa.

A colpirlo, in particolare, era statala convivenza di anime molto diversenelle stesse città americane, la presenzanel medesimo luogo di realtàdialetticamente contrastanti eapparentemente inconciliabili, in cui èfrequente l’oscillazione fra «l’impulsomeccanicistico al dominio sul caos,l’impulso oganicistico alla ribellione dalcosmos» (p. 132). New York, infatti, simostra come una città che si trasformadi continuo, piena di demolizioni incorso volte a far spazio ai grattacieli,spostando di anno in anno il cuoredella città nella sua «perennitàdinamica» (p. 130). Ed è proprio questa,ai suoi occhi, la spiegazione alle ragioni

Luigi Sansone e Gillo Dorfles, Photo credit Matteo Zarbo

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 67

«R itornare a New York»,scriveva Gillo Dorfles(1910-2018) su “Civiltà

delle macchine” nel 1956, «significaritrovare delle scarpe comode che sierano dimenticate in un armadio: unastruttura organizzativa funzionante aperfezione (i telefoni, la posta, i treni,gli aerei) e il tutto sovrappostoall’immensità cristallina d’un territoriosolo in parte umanizzato» (p. 127). Conquesto incipit, seguito da unadescrizione dello studio dell’amicoarchitetto Kiesler, il critico restituiva allettore italiano l’impressione di unacittà e lo spirito che la informa contoni inaspettatamente enfatici che sisoffermano con liriche descrizioni edichiarano la necessità di fornire«nuovi orizzonti alla nostra seted’immagini e d’emozioni» (p. 128). Lasituazione che gli si presentava, delresto, aveva più di un carattere dieccezionalità dovuto sia al fermentocostruttivo, sia ai grandi spazi, sia auna congiuntura particolare: glibastava attraversare Manhattan perlasciare lo studio di Kiesler e trovarsi inquello di James Johnson Sweeney,«poeta più che funzionario», e in moltielementi anche minuti e minutissimipoteva cogliere il germe di tempi nuovie una distanza di spirito e di concettodallo stile di vita della vecchia Europa.

È questa, infatti, l’impressioneprincipale che si trae da La mia

America, la raccolta di scritti di GilloDorfles sui suoi incontri con la culturaamericana radunati per Skira da LuigiSansone e usciti di tipografia nellostesso mese di marzo 2018 in cui il piùlongevo dei critici d’arte italiani sispegneva nella sua casa milanese. Perragioni di anagrafe, ma soprattutto perestensione di interessi, egli era statofra i primi intellettuali italiani aintessere precocemente un rapportostretto e duraturo con gli States e congli intelettuali ivi residenti: in un’Italiain cui era ancora corrente studiare ilfrancese, Dorfles era fra i pochi amaneggiare con dimestichezza, oltre al

IL LIBRO D’ARTEL’AMERICA DI DORFLESLe sponde dell’Oceano

tedesco della natia Trieste, l’inglesescritto e parlato, che gli avevano datoaccesso alle fonti di una cultura nuovache a molti intellettuali italianirisultava ovviamente preclusa.

A colpirlo, in particolare, era statala convivenza di anime molto diversenelle stesse città americane, la presenzanel medesimo luogo di realtàdialetticamente contrastanti eapparentemente inconciliabili, in cui èfrequente l’oscillazione fra «l’impulsomeccanicistico al dominio sul caos,l’impulso oganicistico alla ribellione dalcosmos» (p. 132). New York, infatti, sissmostra come una città che si trasformadi continuo, piena di demolizioni incorso volte a far spazio ai grattacieli,spostando di anno in anno il cuoredella città nella sua «perennitàdinamica» (p. 130). Ed è proprio questa,ai suoi occhi, la spiegazione alle ragioni

Luigi Sansone e Gillo Dorfles, Photo credit Matteo Zarbo

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 67

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della coeva pittura americana: «lavolontà antistrutturale di moltamoderna pittura americana, questovorticoso cozzo di magmaincandescente che dilaga su tante tele,si può forse spiegare come una rivoltaall’arginatura che le strutturemeccaniche e metalliche hannoimposto alla natura. La pittura e lascultura si sono sostituite alla naturanella loro volontà di ribellione» (pp.131-132).

Non era la prima volta che sirecava negli Stati Uniti. Nel 1954, adesempio, sempre sulla stessa rivistariportava la proprio esperienza degliIstituti espressamente dedicati aldesign presenti in America, e sisoffermava in particolare sul caso diChicago che più di altri aveva raccoltol’eredità del Bauhaus e aveva ospitatoMies van der Rohe, «artistapericolosamente individualista maanche liricamente fantasioso». Non eraper nulla ovvio, a quelle date, cheesistessero luoghi d’istruzione cosìspecializzati con l’obiettivo prefisso difar crescere e incanalare un potenzialecreativo mettendolo poi al serviziodell’industria.

La raccolta radunata da Sansone,del resto, si mostra di particolareinteresse proprio per un suofondamentale strabismo nel presentareuna doppia prospettiva da un unicopunto di vista: quello di Dorfles cheracconta ai lettori italiani la sostanzadei suoi viaggi americani e dellacultura che vi ha incontrato (peresempio un lungo saggio del 1958,compendiario del pensiero esteticoamericano, poi confluito in Simbolo

Comunicazione Consumo del 1962),ma anche Dorfles che scrive e tieneconferenze in inglese in cui raccontaagli americani i fondamenti del suopensiero e, soprattutto, offre loro unquadro “da dentro” della situazioneitaliani. Nel mezzo, poi, fra testi moltolunghi e frammenti di scritti più ampio notazioni brevi e brevissime, siincontra lo sguardo sulle ricercheamericane presentate in occasionedella Biennale di Venezia: il padiglioneamericano è un appuntamento fissodelle sue cronache, magari con unosguardo attento al confronto con lasituazione italiana, e restando colpitodi quanto questo possa stupire uneuropeo, «infarcito di spiriti umoriumanistici» (p. 121).

Con questi presupposti, oltretutto,Dorfles è fra i primi a recensire

tempestivamente, nel 1956, Progettareper sopravvivere, il libro di RichardNeutra che Argan aveva fatto tradurrein italiano per le Edizioni di Comunità.

Il critico, però, non si nasconde cheun mondo così nuovo e così vitalepossiede le sue ombre: su“Letteratura”, infatti, pubblica nel 1954una riflessione su L’America tra Orientee Occidente, in cui non manca dirilevare una “umanizzazione”superficiale, nel senso di un’improntalasciata dall’uomo che non riesce adentrare in profondità nel tessuto e nelterritorio, tanto che anche la piùelevata punta di modernità invecchiarapidamente senza integrarsi: inqualche modo, pensando al modelloamericano, egli aveva già preconizzatoil futuro di un sistema. L’impressionemaggiore, però, era data dalledimensioni. In un mondo di cui siconosce tutto tramite riproduzioni,infatti le «proporzioni autentiche»restano un dato non trasmissibile dicui si può fare solo esperienzaconcreta: «esiste una componentestorico-temporale, ossia costituitadalla somma dei momenti attuali conla somma dei momenti storicamentevissuti nel passato». Passandodall’Europa all’America, oltretutto,questo risultato appariva lampante,facendo sembrare il vecchio continentedi «un’incredibile minuzia» (p. 95).

Una minuzia tuttavia da cui potevatrapelare anche qualche segnale dicrisi: New York, scriveva, «è un tumoreproliferato al di là dell’oceano dacellule europee patologicamentedegenerate nel tessuto attorno delnuovo terreno culturale».

GILLO DORFLES,«LA MIA AMERICA»a cura di Luigi SansoneSkira, Milano 2018

68 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

della coeva pittura americana: «lavolontà antistrutturale di moltamoderna pittura americana, questovorticoso cozzo di magmaincandescente che dilaga su tante tele,si può forse spiegare come una rivoltaall’arginatura che le strutturemeccaniche e metalliche hannoimposto alla natura. La pittura e lascultura si sono sostituite alla naturanella loro volontà di ribellione» (pp.131-132).

Non era la prima volta che sirecava negli Stati Uniti. Nel 1954, adesempio, sempre sulla stessa rivistariportava la proprio esperienza degliIstituti espressamente dedicati aldesign presenti in America, e sisoffermava in particolare sul caso diChicago che più di altri aveva raccoltol’eredità del Bauhaus e aveva ospitatoMies van der Rohe, «artistapericolosamente individualista maanche liricamente fantasioso». Non eraper nulla ovvio, a quelle date, cheesistessero luoghi d’istruzione cosìspecializzati con l’obiettivo prefisso difar crescere e incanalare un potenzialecreativo mettendolo poi al serviziodell’industria.

La raccolta radunata da Sansone,del resto, si mostra di particolareinteresse proprio per un suofondamentale strabismo nel presentareuna doppia prospettiva da un unicopunto di vista: quello di Dorfles cheracconta ai lettori italiani la sostanzadei suoi viaggi americani e dellacultura che vi ha incontrato (peresempio un lungo saggio del 1958,compendiario del pensiero esteticoamericano, poi confluito in Simbolo

Comunicazione Consumo del 1962),ma anche Dorfles che scrive e tieneconferenze in inglese in cui raccontaagli americani i fondamenti del suopensiero e, soprattutto, offre loro unquadro “da dentro” della situazioneitaliani. Nel mezzo, poi, fra testi moltolunghi e frammenti di scritti più ampio notazioni brevi e brevissime, siincontra lo sguardo sulle ricercheamericane presentate in occasionedella Biennale di Venezia: il padiglioneamericano è un appuntamento fissodelle sue cronache, magari con unosguardo attento al confronto con lasituazione italiana, e restando colpitodi quanto questo possa stupire uneuropeo, «infarcito di spiriti umoriumanistici» (p. 121).

Con questi presupposti, oltretutto,Dorfles è fra i primi a recensire

tempestivamente, nel 1956, Progettareper sopravvivere, il libro di RichardNeutra che Argan aveva fatto tradurrein italiano per le Edizioni di Comunità.

Il critico, però, non si nasconde cheun mondo così nuovo e così vitalepossiede le sue ombre: su“Letteratura”, infatti, pubblica nel 1954una riflessione su L’America tra Orientee Occidente, in cui non manca dirilevare una “umanizzazione”superficiale, nel senso di un’improntalasciata dall’uomo che non riesce adentrare in profondità nel tessuto e nelterritorio, tanto che anche la piùelevata punta di modernità invecchiarapidamente senza integrarsi: inqualche modo, pensando al modelloamericano, egli aveva già preconizzatoil futuro di un sistema. L’impressionemaggiore, però, era data dalledimensioni. In un mondo di cui siconosce tutto tramite riproduzioni,infatti le «proporzioni autentiche»restano un dato non trasmissibile dicui si può fare solo esperienzaconcreta: «esiste una componentestorico-temporale, ossia costituitadalla somma dei momenti attuali conla somma dei momenti storicamentevissuti nel passato». Passandodall’Europa all’America, oltretutto,questo risultato appariva lampante,facendo sembrare il vecchio continentedi «un’incredibile minuzia» (p. 95).

Una minuzia tuttavia da cui potevatrapelare anche qualche segnale dicrisi: New York, scriveva, «è un tumoreproliferato al di là dell’oceano dacellule europee patologicamentedegenerate nel tessuto attorno delnuovo terreno culturale».

GILLO DORFLES,«LA MIA AMERICA»a cura di Luigi SansoneSkira, Milano 2018

68 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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del suo progetto criminale.Siamo al palo.Tornava a casa dall’ufficio,

camminando sotto un viale alberato,dipinto nei colori caldi dell’autunno.L’aria di quel tardo pomeriggio dinovembre si faceva via via più fredda:la brezza piacevole che spiravaleggera all’uscita da Forte Bocceaaveva lasciato il posto a un ventoteso, che con repentine folate gelidespazzava le foglie ammassate lungo imarciapiedi. Victor alzò il bavero delsuo cappotto e incassò la testa nellespalle. Percorse il viale di fretta, chinosui suoi passi, le mani in tasca, conmille pensieri che vorticavano nellamente come le foglie sollevate dalsuolo.

Da quanto tempo manco da casa? Aveva perso il conto dei giorni, o

erano settimane?Sarebbe bello tornare a casa e

trovare l’atmosfera calda e accoglientedi una famiglia, aprire la porta evedere il caminetto acceso, la tavolaapparecchiata, l’odore di cibo appenacucinato e una donna pronta abuttarmi le braccia al collo.

Scacciò via quei pensieri melensi eun po’ imbarazzanti. Aveva scelto luidi fare quella vita. Aveva deciso dinon legarsi a nessuno. Il lavoro era lasua famiglia e il suo rifugio.

Sono un duro, io, si prese in giro.Senza accorgersi, era arrivato a

destinazione. Salutò il portiere dellostabile, fece a piedi le due rampe discale che conducevano al suopianerottolo e tirò fuori le chiavi dallatasca. Aspettò alcuni secondi davantialla porta del suo appartamento,immobile, osservando il mazzo tra lemani come lo vedesse la prima volta.Ancora un attimo di esitazione, e poile inserì nella toppa. Apri la porta conlentezza infinita, prestando attenzioneal rumore metallico proveniente dallaserratura… uno, due, tre, quattromandate, che risuonarono nelsilenzio… poi entrò e chiuse ilbattente alle sue spalle. Il buio loavvolse.

Nessun caminetto acceso, nessunodore di cibo, nessuna donna ad

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTIVictor Stasi è un agente di L.E.X. Il suoavversario è Kane, uomo della Loggia.Kane uccide un informatore di Stasi eminaccia la collega Livia ad Atene, perpoi sfuggire alla cattura. Stasi ritrovaKane a Roma, dove, nell’ordine, locoinvolge in uno scontro a fuoco,elimina un killer pagato dalla Loggiaper ucciderlo e si dilegua ancora conl’aiuto di un diplomatico kazako,mentre Livia cerca le sue tracce nelDeep Web.

A bel Kane era sparito. Si erapagato un passaggio fuoriconfine, con l’aiuto del

kazako Idrisov, e ora doveva essere inqualche nazione amica, riparato inuna località ignota sia a L.E.X. che(forse) alla Loggia.

Ma, pensò Stasi, la scomparsa diKane viene a proposito.

«Dobbiamo arrivare a Kane, in unmodo o nell’altro», aveva decretato ilgenerale Bonera, il suo capo. E purel’approccio diretto si era rivelatofallimentare.

La ricerca febbrile del piratainformatico, fino a quel momento,non aveva dato risultati. Certo, Stasiaveva intralciato i suoi piani, ma nonera riuscito ad assicurarlo allagiustizia, né a mettere insieme i pezzi

IN APPENDICE – FEUILLETONL.E.X. LE BIBLIOTECHE PROFONDEXXVI capitolodi errico passaro

70 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

del suo progetto criminale.Siamo al palo.Tornava a casa dall’ufficio,

camminando sotto un viale alberato,dipinto nei colori caldi dell’autunno.L’aria di quel tardo pomeriggio dinovembre si faceva via via più fredda:la brezza piacevole che spiravaleggera all’uscita da Forte Bocceaaveva lasciato il posto a un ventoteso, che con repentine folate gelidespazzava le foglie ammassate lungo imarciapiedi. Victor alzò il bavero delsuo cappotto e incassò la testa nellespalle. Percorse il viale di fretta, chinosui suoi passi, le mani in tasca, conmille pensieri che vorticavano nellamente come le foglie sollevate dalsuolo.

Da quanto tempo manco da casa? Aveva perso il conto dei giorni, o

erano settimane?Sarebbe bello tornare a casa e

trovare l’atmosfera calda e accoglientedi una famiglia, aprire la porta evedere il caminetto acceso, la tavolaapparecchiata, l’odore di cibo appenacucinato e una donna pronta abuttarmi le braccia al collo.

Scacciò via quei pensieri melensi eun po’ imbarazzanti. Aveva scelto luidi fare quella vita. Aveva deciso dinon legarsi a nessuno. Il lavoro era lasua famiglia e il suo rifugio.

Sono un duro, io, si prese in giro.Senza accorgersi, era arrivato a

destinazione. Salutò il portiere dellostabile, fece a piedi le due rampe discale che conducevano al suopianerottolo e tirò fuori le chiavi dallatasca. Aspettò alcuni secondi davantialla porta del suo appartamento,immobile, osservando il mazzo tra lemani come lo vedesse la prima volta.Ancora un attimo di esitazione, e poile inserì nella toppa. Apri la porta conlentezza infinita, prestando attenzioneal rumore metallico proveniente dallaserratura… uno, due, tre, quattromandate, che risuonarono nelsilenzio… poi entrò e chiuse ilbattente alle sue spalle. Il buio loavvolse.

Nessun caminetto acceso, nessunodore di cibo, nessuna donna ad

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTIVictor Stasi è un agente di L.E.X. Il suoavversario è Kane, uomo della Loggia.Kane uccide un informatore di Stasi eminaccia la collega Livia ad Atene, perpoi sfuggire alla cattura. Stasi ritrovaKane a Roma, dove, nell’ordine, locoinvolge in uno scontro a fuoco,elimina un killer pagato dalla Loggiaper ucciderlo e si dilegua ancora conl’aiuto di un diplomatico kazako,mentre Livia cerca le sue tracce nelDeep Web.

A bel Kane era sparito. Si erapagato un passaggio fuoriconfine, con l’aiuto del

kazako Idrisov, e ora doveva essere inqualche nazione amica, riparato inuna località ignota sia a L.E.X. che(forse) alla Loggia.

Ma, pensò Stasi, la scomparsa diKane viene a proposito.

«Dobbiamo arrivare a Kane, in unmodo o nell’altro», aveva decretato ilgenerale Bonera, il suo capo. E purel’approccio diretto si era rivelatofallimentare.

La ricerca febbrile del piratainformatico, fino a quel momento,non aveva dato risultati. Certo, Stasiaveva intralciato i suoi piani, ma nonera riuscito ad assicurarlo allagiustizia, né a mettere insieme i pezzi

IN APPENDICE – FEUILLETONL.E.X. LE BIBLIOTECHE PROFONDEXXVI capitolodi errico passaro

70 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

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accogliermi…Solo un uomo stanco, riflesso

nello specchio posto all’ingresso, chelo guardava con occhi cerchiati dinero.

Un uomo solo, se non fosse statoper la palla di pelo che rispondeva alnome di Giuli. La gatta dei vicini, nonnuova a incursioni a casa Stasi, fece ilsuo verso strascicato e camminò incerchio intorno a lui, per poi buttarsia terra e mostrargli la pancia.L’animale si fece accarezzare per unpo’, quindi sgusciò fra le sue gambe emiagolò per la fame. Stasi l’accudì conun piatto di croccantini e una ciotolad’acqua, dopodiché si sedette inpoltrona, con Giuli che gli siaccomodò in grembo.

Ci somigliamo, rifletté. Andiamo etorniamo senza dire nulla a nessuno.

Era in casa sua, per la prima voltada molto tempo. Era la tana dovespariva fra un incarico e l’altro, dovestaccava da una vita privata fatta difratture e vuoti sentimentali. Era ilposto dove decomprimersi dopo unamissione portata a termine, mastavolta il suo compito non era statoassolto.

Kane è ancora lì fuori…Non gli accadeva spesso di

provare la sensazione di aver fallito ela voglia di abbandonare tutto.

Tasto CANC, e la mia vita da spiafinisce.

Qualcosa franava dentro di lui. Inpassato, aveva superato simili crisigettandosi nella mischia con vigore erigore, ardore e ardimento, volontàd’acciaio e trance agonistica; o, alcontrario, rilassandosi nel tempolibero e facendo raccolta di

ammiratrici.Oggi era diverso. Gli sembrava di

retrocedere ai primi tempi della suacarriera, quando tutto gli riuscivadifficile. Avrebbe dovuto confidarsicon Livia, o mettersi a rapporto daBonera.

Forse è tempo che consideri l’idea

di cambiare mestiere…Poi, quando l’onda montante della

depressione sembrava sommergerlo,s’illuminò. Il suo scatto dalla poltronafece saltar via e appiattire al suoloGiuli, che sonnecchiava sulleginocchia.

Ho un’idea…

Illustrazioni originali di Roberto Baldazzi (nella pagina accanto in basso) e di Anna Emilia Falcone

(qui sopra) per la Biblioteca di via Senato

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 71

accogliermi…Solo un uomo stanco, riflesso

nello specchio posto all’ingresso, chelo guardava con occhi cerchiati dinero.

Un uomo solo, se non fosse statoper la palla di pelo che rispondeva alnome di Giuli. La gatta dei vicini, nonnuova a incursioni a casa Stasi, fece ilsuo verso strascicato e camminò incerchio intorno a lui, per poi buttarsia terra e mostrargli la pancia.L’animale si fece accarezzare per unpo’, quindi sgusciò fra le sue gambe emiagolò per la fame. Stasi l’accudì conun piatto di croccantini e una ciotolad’acqua, dopodiché si sedette inpoltrona, con Giuli che gli siaccomodò in grembo.

Ci somigliamo, rifletté. Andiamo etorniamo senza dire nulla a nessuno.

Era in casa sua, per la prima voltada molto tempo. Era la tana dovespariva fra un incarico e l’altro, dovestaccava da una vita privata fatta difratture e vuoti sentimentali. Era ilposto dove decomprimersi dopo unamissione portata a termine, mastavolta il suo compito non era statoassolto.

Kane è ancora lì fuori…Non gli accadeva spesso di

provare la sensazione di aver fallito ela voglia di abbandonare tutto.

Tasto CANC, e la mia vita da spiafinisce.

Qualcosa franava dentro di lui. Inpassato, aveva superato simili crisigettandosi nella mischia con vigore erigore, ardore e ardimento, volontàd’acciaio e trance agonistica; o, alcontrario, rilassandosi nel tempolibero e facendo raccolta di

ammiratrici.Oggi era diverso. Gli sembrava di

retrocedere ai primi tempi della suacarriera, quando tutto gli riuscivadifficile. Avrebbe dovuto confidarsicon Livia, o mettersi a rapporto daBonera.

Forse è tempo che consideri l’idea

di cambiare mestiere…Poi, quando l’onda montante della

depressione sembrava sommergerlo,s’illuminò. Il suo scatto dalla poltronafece saltar via e appiattire al suoloGiuli, che sonnecchiava sulleginocchia.

Ho un’idea…

Illustrazioni originali di Roberto Baldazzi (nella pagina accanto in basso) e di Anna Emilia Falcone

(qui sopra) per la Biblioteca di via Senato

novembre 2018 – la Biblioteca di via Senato Milano 71

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72 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

PIERO MELDINIPiero Meldini è nato e vivea Rimini. Già direttore della biblio-teca riminese intitolata adAlessandro Gambalunga eautore di numerosi saggidi storia contemporanea estoria dell’alimentazione edella cucina, ha scrittocinque romanzi, i primi trepubblicati da Adelphi e glialtri da Mondadori: L’av-vocata delle vertigini(1994), L’antidoto dellamalinconia (1996), Lune(1999), La falce dell’ultimoquarto (2004) e Italia. Unastoria d’amore (2012). I romanzi sono stati tra-dotti in francese, spagno-lo, tedesco, polacco, grecoe turco.

SANDRO MONTALTOSandro Montalto (Biella,1978), di professione bi-bliotecario, si occupa dieditoria e dirige due rivi-ste, fra cui «Cortocircuito.Rivista di letteratura ludi-ca, cacopedica e potenzia-le». Ha pubblicato volumidi poesia, prosa, teatro,aforismi, saggistica lette-raria e traduzioni, ideatolibri-oggetto (fra cui Afo-rismario da gioco) e curatocataloghi d’arte. È tra i fondatori dell’Asso-ciazione Italiana per l’Afo-risma e del Premio inter-nazionale di aforistica “To-rino in Sintesi”. Come mu-sicista ha pubblicato studisu importanti autori ed èattivo come compositore eorchestratore.

LUCA P. NICOLETTILuca Pietro Nicoletti, dotto-re di ricerca PhD in storiadell’arte, ha studiato pressole Università di Milano eUdine. Si è occupato di artedel Novecento, di storia del-la critica e di cultura edito-riale. Dopo aver insegnatostoria dell’arte all’Accade-mia di Belle Arti ACME diNovara ha collaborato conla Civica Galleria d’Arte Mo-derna di Torino. Ha vintouna borsa di studio pressola Fondazione Giorgio Cinidi Venezia. Cura per Quodli-bet la collana “BibliotecaPassaré. Studi di arte con-temporanea e arti primarie”.Ha scritto: Gualtieri di SanLazzaro (Quodlibet 2014) ecurato l’edizione di scritti diEnrico Crispolti (Burri “esi-stenziale”, Quodlibet 2015)e Gualtieri di San Lazzaro(Parigi era viva, 2011; Modi-gliani. I ritratti, 2013).

LUCA ORLANDINILuca Orlandini (1971), sag-gista e traduttore dal fran-cese e dall’inglese, ha cu-rato e tradotto in Italia lemaggiori opere di Benja-min Fondane: Baudelaire el’esperienza dell’abisso(2013); Il Falso Trattato diestetica. Saggio sulla crisidel reale (2014); La co-scienza infelice (2016); Indialogo con Lev Šestov.Conversazioni e carteggio(2017); e, infine, di L.Šestov: La filosofia dellatragedia. Dostoevskij eNietzsche (2017). Comesaggista ha pubblicato: Lavita involontaria. In margi-ne al “Baudelaire e l’espe-rienza dell’abisso” di B.Fondane (2014) e Velleitàdella materia (2016). Col-labora anche con svariateriviste.

ERRICO PASSAROErrico Passaro è nato nel1966 a Roma, dove lavoracome colonnello dell’Ae-ronautica Militare espertoin materie giuridiche. Vivead Anzio, circondato daisuoi 5000 libri. Ha pubbli-cato circa 1800 articoli, unsaggio in volume, 12 ro-manzi, 130 racconti. Ulti-me uscite La Guerra delleMaschere (Mondadori),Mondo Fabbrica (HomoScrivens), L.E.X. - InvernoArabo (Mondadori), L.E.X. -Bomba Umana (Monda-dori), L.E.X. - Tolleranza Ze-ro (Mondadori).

GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella (1974),bibliografo e storico del li-bro, è dal 2002 docente acontratto presso l’Universi-tà Cattolica di Milano-Bre-scia. Ha insegnato pressol’Università di Sassari e diBergamo. Nel 2013 ha con-seguito l’abilitazione scien-tifica per la I fascia (Prof.Ordinario). È autore di un centinaio dicontributi e di una decina dimonografie (tra le più re-centi L’oro di Dongo ovveroper una storia del patrimo-nio librario del convento deiFrati Minori di Santa Mariadel Fiume, Olschki 2012; I li-bri nella torre. La bibliotecadi Castel Thun: una colle-zione nobiliare tra XV e XXsecolo, Olschki 2015; À lachasse au bonheur. I libri ri-trovati di Renzo Bonfigliolie altri episodi di storia delcollezionismo italiano delNovecento, Olschki 2016).

GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro (Mi-lano, 1979) è docente acontratto presso l’Univer-sità IULM di Milano. Storico delle idee, si inte-ressa ai rapporti fra pen-siero politico e utopia le-gati alla nascita del mondomoderno. Collabora alle pagine cul-turali del quotidiano «ilGiornale». Fra le sue monografie si ri-cordano: Lettere di Guido-baldo II della Rovere(2000); Il carteggio di Gui-dobaldo II della Rovere eFabio Barignani (2006);L’epistolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Urbi-no e Firenze: politica e di-plomazia nel tramonto deidella Rovere (2009); Ludo-vico Agostini, lettere inedi-te (2012); Martin Lutero(2013); L’utopia di Polifilo(2015).

MASSIMO GATTAMassimo Gatta (1959) ri-copre l’incarico, dal 2001,di bibliotecario presso laBiblioteca d’Ateneo del-l’Università degli Studi delMolise dove ha organizza-to diverse mostre biblio-grafiche dedicate a editori,editoria aziendale e aspettiparatestuali del libro (ex li-bris). Collabora alla pagina do-menicale de «Il Sole 24Ore» e al periodico «Char-ta». È direttore editorialedella casa editrice Biblo-haus di Macerata specia-lizzata in bibliografia, bi-bliofilia e “libri sui libri” (books about books), e faparte del comitato diretti-vo del periodico «Cantieri».Numerose sono le suepubblicazioni e i suoi arti-coli.

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

72 la Biblioteca di via Senato Milano – novembre 2018

PIERO MELDINIPiero Meldini è nato e vivea Rimini.Già direttore della biblio-teca riminese intitolata adAlessandro Gambalunga eautore di numerosi saggidi storia contemporanea estoria dell’alimentazione edella cucina, ha scrittocinque romanzi, i primi trepubblicati da Adelphi e glialtri da Mondadori: L’av-vocata delle vertigini(1994), L’antidoto dellamalinconia (1996), Lune(1999), La falce dell’ultimoquarto (2004) e Italia. Unastoria d’amore (2012).I romanzi sono stati tra-dotti in francese, spagno-lo, tedesco, polacco, grecoe turco.

SANDRO MONTALTOSandro Montalto (Biella,1978), di professione bi-bliotecario, si occupa dieditoria e dirige due rivi-ste, fra cui «Cortocircuito.Rivista di letteratura ludi-ca, cacopedica e potenzia-le». Ha pubblicato volumidi poesia, prosa, teatro,aforismi, saggistica lette-raria e traduzioni, ideatolibri-oggetto (fra cui Afo-rismario da gioco) e curatocataloghi d’arte. È tra i fondatori dell’Asso-ciazione Italiana per l’Afo-risma e del Premio inter-nazionale di aforistica “To-rino in Sintesi”. Come mu-sicista ha pubblicato studisu importanti autori ed èattivo come compositore eorchestratore.

LUCA P. NICOLETTILuca Pietro Nicoletti, dotto-re di ricerca PhD in storiadell’arte, ha studiato pressole Università di Milano eUdine. Si è occupato di artedel Novecento, di storia del-la critica e di cultura edito-riale. Dopo aver insegnatostoria dell’arte all’Accade-mia di Belle Arti ACME diNovara ha collaborato conla Civica Galleria d’Arte Mo-derna di Torino. Ha vintouna borsa di studio pressola Fondazione Giorgio Cinidi Venezia. Cura per Quodli-bet la collana “BibliotecaPassaré. Studi di arte con-temporanea e arti primarie”.Ha scritto: Gualtieri di SanLazzaro (Quodlibet 2014) ecurato l’edizione di scritti diEnrico Crispolti (Burri “esi-stenziale”, Quodlibet 2015)e Gualtieri di San Lazzaro(Parigi era viva, 2011; Modi-gliani. I ritratti, 2013). ii

LUCA ORLANDINILuca Orlandini (1971), sag-gista e traduttore dal fran-cese e dall’inglese, ha cu-rato e tradotto in Italia lemaggiori opere di Benja-min Fondane: Baudelaire el’esperienza dell’abisso(2013); Il Falso Trattato diestetica. Saggio sulla crisidel reale (2014); La co-scienza infelice (2016); Indialogo con Lev Šestov.vvConversazioni e carteggio(2017); e, infine, di L.Šestov: La filosofia dellatragedia. Dostoevskij eNietzsche (2017). Comesaggista ha pubblicato: Lavita involontaria. In margi-ne al “Baudelaire e l’espe-rienza dell’abisso” di B.Fondane (2014) e Velleitàdella materia (2016). Col-labora anche con svariateriviste.

ERRICO PASSAROErrico Passaro è nato nel1966 a Roma, dove lavoracome colonnello dell’Ae-ronautica Militare espertoin materie giuridiche. Vivead Anzio, circondato daisuoi 5000 libri. Ha pubbli-cato circa 1800 articoli, unsaggio in volume, 12 ro-manzi, 130 racconti. Ulti-me uscite La Guerra delleMaschere (Mondadori),Mondo Fabbrica (HomoScrivens), L.E.X. - InvernoArabo (Mondadori), L.E.X. -Bomba Umana (Monda-dori), L.E.X. - Tolleranza Ze-ro (Mondadori).

GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella (1974),bibliografo e storico del li-bro, è dal 2002 docente acontratto presso l’Universi-tà Cattolica di Milano-Bre-scia. Ha insegnato pressol’Università di Sassari e diBergamo. Nel 2013 ha con-seguito l’abilitazione scien-tifica per la I fascia (Prof.Ordinario). È autore di un centinaio dicontributi e di una decina dimonografie (tra le più re-centi L’oro di Dongo ovveroper una storia del patrimo-nio librario del convento deiFrati Minori di Santa Mariadel Fiume, Olschki 2012; I li-bri nella torre. La bibliotecadi Castel Thun: una colle-zione nobiliare tra XV e XXsecolo, Olschki 2015; À lachasse au bonheur. I libri ri-trovati di Renzo Bonfigliolie altri episodi di storia delcollezionismo italiano delNovecento, Olschki 2016).

GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro (Mi-lano, 1979) è docente acontratto presso l’Univer-sità IULM di Milano. Storico delle idee, si inte-ressa ai rapporti fra pen-siero politico e utopia le-gati alla nascita del mondomoderno.Collabora alle pagine cul-turali del quotidiano «ilGiornale».Fra le sue monografie si ri-cordano: Lettere di Guido-baldo II della Rovere(2000); Il carteggio di Gui-dobaldo II della Rovere eFabio Barignani (2006);L’epistolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Urbi-no e Firenze: politica e di-plomazia nel tramonto deidella Rovere (2009); Ludo-vico Agostini, lettere inedi-te (2012); Martin Lutero(2013); L’utopia di Polifilo(2015).

MASSIMO GATTAMassimo Gatta (1959) ri-copre l’incarico, dal 2001,di bibliotecario presso laBiblioteca d’Ateneo del-l’Università degli Studi delMolise dove ha organizza-to diverse mostre biblio-grafiche dedicate a editori,editoria aziendale e aspettiparatestuali del libro (ex li-bris).Collabora alla pagina do-menicale de «Il Sole 24Ore» e al periodico «Char-ta». È direttore editorialedella casa editrice Biblo-haus di Macerata specia-lizzata in bibliografia, bi-bliofilia e “libri sui libri” (books about books), e faparte del comitato diretti-vo del periodico «Cantieri».Numerose sono le suepubblicazioni e i suoi arti-coli.

HANNO COLLABORATOA QUESTONUMERO

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