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P. Tarcisio Agostoni B B R R E E V V E E S S T T O O R R I I A A d d e e i i M M I I S S S S I I O O N N A A R R I I C C O O M M B B O O N N I I A A N N I I D D E E L L C C U U O O R R E E D D I I G G E E S S U U S S e e c c o o n n d d a a P P a a r r t t e e 1 1 9 9 7 7 9 9 - - 2 2 0 0 0 0 3 3

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BREVE STORIA

DEI MISSIONARI COMBONIANI DEL CUORE DI GESÙ

P. TARCISIO AGOSTONI

SECONDA PARTE

1979 - 2003

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CAPITOLO SEDICESIMO

Dodicesimo Capitolo Generale - periodo dal 1979 al 1985

DODICESIMO CAPITOLO GENERALE (ROMA 1979)

Questo Capitolo ebbe luogo a Roma e fu diviso in due sessioni:

I Sessione: 22 giugno al 3 agosto

II Sessione: 20 agosto al 5 ottobre

I membri del Capitolo erano 79.

Per i membri dell’Istituto dobbiamo distinguere:

Prima della riunione

Vescovi Preti Fratelli Scolastici Totale

FSCJ 12 1.123 296 132 1.565

MFSC 3 120 72 8 203

Dopo la riunione

15 1. 243 368 140 1.768

Atti del Capitolo

La Riunione: vedere Capitolo 15,2

Relazioni: Si riferiscono al periodo 1975-1979. abbiamo già descritto quanto successo allora.

Dibattito ed approvazione della “ Regola di Vita” 1979. La bozza fu preparata da una

commissione appositamente nominata. Questa Regola di Vita fu aggiornata dopo la

pubblicazione del diritto Canonico del 1983. Questa è la Regola di Vita del 1988

Elezioni

P. Salvatore Calvia. Superiore Generale

P. Alois Eder, Vicario Generale

Fratel Enrico Massignani (rieletto)

P. Francesco Pierli

P. Gianfranco Masserdoti

P. SALVATORE CALVIA - Berchidda (Sardegna) 1924.

Fu ordinato il 6 aprile a Roma dove prese la Licenza in Teologia presso l’Università Urbaniana.

Destinato allo studio dell’arabo, visse a Zahle nel Libano per 6 anni dove aiutò i nostri

confratelli a studiare quella lingua. (1949-1955). In seguito, dopo essersi recato in Inghilterra

ad imparare l’inglese e fatta esperienza nel Sud Sudan (1955-1958) andò in Egitto (1958-

1969). Gli egiziani ammiravano il modo in cui parlava l’arabo classico.

Nel 1969 dopo aver partecipato al Capitolo come Delegato dell’Egitto, fu nominato Segretario

Generale e poi, due anni più tardi, fu anche nominato Assistente Generale fino al 1975 quando

tornò in Egitto come Superiore della Delegazione. Fra le sue mansioni vi era la gestione della

grossa scuola di Helouan e in seguito fu direttore delle Pontificie Opere Missionarie (POM) fino

al 1979 quando divenne Superiore Generale fino al 1985. Durante questo periodo la causa per

la Beatificazione del Beato Daniele Comboni fece passi da gigante. Ebbe anche un ruolo

importante nelle celebrazioni del 1981 per la commemorazione dei cento anni dalla morte del

nostro Fondatore. La sua umiltà e mitezza furono d’aiuto nel consolidamento della Riunione

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con il MFSC che era stata approvata e conclusa, proprio all’inizio del suo mandato. Tornò poi in

Egitto ad Helouan e in seguito al Cairo. Oltre a conoscere l’inglese e l’arabo, parla

fluentemente anche il francese e lo spagnolo.

Attività e commenti sul periodo 1979-1985

In generale, se confrontato con gli anni precedenti (1965-1979) questo fu un periodo relativa-

mente calmo, come è normale in tutti i corpi viventi, però, nuovi problemi erano in agguato:

La Riunione con la Provincia di lingua tedesca, stava procedendo bene. In questo periodo solo un

membro del MFSC lasciò l’Istituto perché non approvava il modo in cui era avvenuta la riunione.

All’interno dell’Istituto, la tendenza a diventare intercontinentale è in aumento, con tutti i vantaggi

e svantaggi che comporta; alcuni sembrano ignorare questa tendenza fino a farla diventare un

elemento di spaccatura (vedere relazione del Consiglio Generale al Capitolo del 1985).

Vi sono segni positivi di una crescente identità all’interno dell’Istituto, principalmente attorno

alla personalità deli Comboni. Vengono promossi corsi e diverse pubblicazioni: ciò nonostante

alcuni membri dell’Istituto rimangono indifferenti:

L’individualismo nelle comunità e di conseguenza anche nell’apostolato è piuttosto comune.

Per alcuni gruppi, la dovuta importanza data alle Chiese locali significa marginalizzare l’identità

Comboniana.

La Regola di Vita che è struttura portante per potersi identificare con l’Istituto non viene letta né

meditata a sufficienza, specialmente a livello di comunità locale. Nei ritiri annuali, ci si sofferma

solo marginalmente su questo argomento, con il risultato che la Regola di Vita non è di aiuto nel

nutrire la spiritualità dei nostri membri. Ciò non di meno, un certo numero dei nostri confratelli

individualmente la leggono, la meditano e si attengono a quanto in essa esposta.

Non sempre è capito il significato del nostro Carisma. La spiritualità è parte essenziale del

Carisma, della nostra identità. Dire che il nostro Carisma è ‘ad gentes‘ senza includervi la

spiritualità è una visione parziale e riduttiva del Carisma.

L’individualismo e l’inesperienza provocano una confusione poco salutare sul significato

dell’evangelizzazione, la promozione umana e l’animazione missionaria.

Ci sono stati segni positivi riguardanti il crescente interesse per la preghiera comunitaria:

alcuni confratelli hanno provato altre esperienze di preghiera, anche con l’aiuto di movimenti

ecclesiali. Nonostante ciò la stragrande maggioranza non presta ancora abbastanza attenzione

alla preghiera personale con tutte le conseguenze che ne derivano per la vita consacrata.

Il Consiglio generale ha fatto del suo meglio per rimediare a tale situazione con corsi di

formazione permanente.

Nel 1984 si pubblica la seconda edizione del Direttorio Generale della Curia.

Apertura della promozione vocazionale in Polonia negli anni 1984-1985, in Cile nel 1984.

Formazione di base

Le case di formazione hanno i loro direttori e la carta della comunità. Si continuano a tenere

numerose assemblee a vari livelli, anche per l’animazione missionaria. Quello che è difficile è la

selezione e la preparazione dei formatori, soprattutto per il fatto che ne servono un gran numero.

Le assemblee non sempre valutano le decisioni prese in precedenza, spesso non prendono

decisioni che migliorano la situazione, anzi, agiscono in deroga a quanto già stabilito. La relazione

del Consiglio Generale al Capitolo del 1985 afferma: “ Ci sembra, tuttavia, che il follow-up non sia

stato sufficiente, forse a causa di mancanza di conclusioni realistiche e concrete, nonché per

mancanza di supporto e continuità. Mancavano intermediari a livello provinciale.”

Nuovi Postulati vengono aperti nelle missioni: Ecuador nel 1982, Togo e Kenia nel 1983,

Malawi nel 1985.

Scolasticati per Fratelli o CIF a Nairobi nel 1982 e Kinshasa nel 1984.

Ciò sembra indicare la necessità di fare animazione missionaria su scala più grande nei territori

missionari.

I Seminari Minori in Brasile, Italia, Spagna vengono chiusi a poco a poco.

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La Formazione permanente

Le specializzazioni in questo periodo, furono pianificate più efficacemente in vista delle reali

necessità della Congregazione e delle missioni. Così in questo sessennio vi furono: 6 tesi di

dottorato; 10 Licenze; 4 Diplomi Universitari; 12 corsi che portano a Diplomi di diverso tipo.

Fin’ora la formazione permanente funziona bene a livello strutturale, ma vi sono dei problemi a

livello personale specialmente per alcuni Superiori locali.

Il Centenario del Comboni e il progresso nella Causa della sua Beatificazione, nonché i due

corsi monografici del 1979 e del 1984 aumentano l’interesse sul significato del Carisma del

Comboni e della Congregazione.

Si guarda alla spiritualità del Cuore di Gesù da diversi punti di vista (vedere “ Il Cuore Trafitto

del Buon Pastore “ di p.Pierli, EMI 1985).

La continuazione della crisi

Nella relazione del Consiglio Generale al capitolo del 1985 leggiamo:

“Il fenomeno dei confratelli che lasciano la Congregazione esiste ed è serio. Forse, illudendoci

che si sarebbe arginata, non le abbiamo dato la dovuta attenzione, specialmente per quanto

riguarda la formazione permanente.”

Riportiamo qui una tabella, separando gli anni 1986 e 1987 per poter confrontare le percentuali di

coloro che lasciano la Congregazione con i nuovi professi:

Prof. Totale

Uscite

Differenza Padri Scolastici Fratelli %

1980 - 85 265 94 +164 26 52 16 39%

1986 40 17 +13 2 12 4 43%

1987 34 14 +13 - 12 1 41%

TOTALI 339 125 +205 28 75 27

Annotazione: Mentre nel periodo 1970-1979 sia le richieste che le concessioni di laicizzazione da

parte dei sacerdoti erano di numero maggiore, 57 su 84, dal 1980 prevalse l’incardinazione, 34 su

65, che indicherebbe la mancanza dell’identità Comboniana.

La politica della Santa Sede è difatti cambiata; durante il Pontificato di Papa Paolo VI le dispense

venivano concesse soprattutto a fatto compiuto, cioè una volta che convivessero. Però, verso la

fine del suo pontificato il Papa stesso ebbe dei dubbi a proposito di questa politica. Fu fatto notare

che non vi erano dispense per il Matrimonio se si eccettua l’annullamento (in caso della non

esistenza di un valido matrimonio); si doveva seguire lo stesso criterio per quanto riguardava il

sacerdozio, cioè accordare la dispensa solo a coloro che dimostravano che la loro Ordinazione, per

qualsiasi motivo, non fosse valida. Comunque, la dispensa viene concessa anche a sacerdoti di una

certa età (50 anni) che si siano accollati le responsabilità di una famiglia ed in particolare debbano

educare eventuali figli.

Oltre a coloro che se ne andarono, ci furono diversi confratelli che si trovavano al di fuori della

comunità: nel 1987 ce ne erano 40; nel 1990, 46; nel 1994,56; nel 2000, 134. Questi casi sono

aperti a diverse soluzioni, incluso un eventuale rientro nella comunità, il che, a dire il vero, accade

molto di rado..

Sviluppi nell’Animazione Missionaria

Vengono aperti dei centri in Polonia e in Cile nel 1984 e nel 1985.

Nel 1981 a Roma si tiene un Congresso internazionale di Studi Africani, “ L’Africa all’epoca di

Comboni” per ricordare il centenario della sua morte ed il 150° anniversario della sua nascita.

Fu pubblicato un numero unico “Daniele Comboni nel Centenario dalla sua morte” contenente

messaggi del Papa, della Conferenza Episcopale, dei nostri confratelli esperti in materia, e di

altre personalità di spicco.

Nel suo discorso d’apertura alla Conferenza Episcopale del Sudan il 30 settembre 1981 Papa

Giovanni Paolo II disse:

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“ Il centenario della morte del Comboni è diventato di per se, un “ simbolo di speranza” nel

Sudan. Quello stesso giorno, il 10 ottobre, tre settimane fa, la speranza missionaria ha trovato

la sua realizzazione nella persona dell’Arcivescovo Zubeir che segue il suo benamato

predecessore, l’Arcivescovo Baroni, nella veste di metropolitano di Khartoum”.

Nel suo discorso, l’Arcivescovo replicò:

“ Aspettiamo con ansia il giorno in cui questo grande apostolo sarà elevato agli onori dell’Altare

così che la sua vita possa fungere da ispirazione per tutti gli sforzi missionari della Chiesa”.

Particolari situazioni socio-politiche in Africa

Mozambico

Nel Mozambico la situazione per i missionari sta migliorando, vengono concessi alcuni permessi

e vi è meno controllo sulle attività missionarie; la vita della gente, però, sta diventando

sempre più difficile. I nostri missionari condividono le loro sofferenze. L’emigrazione di massa

esige assistenza religiosa e l’Istituto invia sacerdoti, fratelli senza dimenticare le Suore

Comboniane, a dare una mano tra i rifugiati nel Malawi.

Uganda

In alcune parti dell’Uganda la guerriglia contro il governo ha portato alla completa violazione dei

diritti umani. Nessuno è sicuro: furti e saccheggi nelle missioni sono all’ordine del giorno. In questo

periodo, il Signore chiama a sè due martiri: padre Osmundo Bilbao e suor Liliana Rivetta.

Sud Sudan

In questa regione la guerriglia del SPLA continua ad impoverire la popolazione e aumentano le

persecuzioni dei Cristiani. Le relazioni fra i musulmani ed i cristiani deteriorano drasticamente.

I nostri missionari hanno difficoltà a muoversi, in alcuni posti è praticamente impossibile farlo,

specialmente nei casi in cui si rende necessario lasciare il paese.

L’Amministratore Apostolico, mons. Pellegrino e p. Cefalo vengono sequestrati nel 1987 e

devono sopportare un lungo viaggio verso l’Etiopia dove saranno poi rilasciati.

Ricorrenti carestie e siccità in diversi paesi africani e latino americani impoveriscono ulteriormente

quei popoli già altamente provati, creando miseria e migrazioni di massa all’interno e al di fuori dei

loro paesi.

Il Periodo Post-Indipendenza in Africa e l’Assemblea Generale SECAM del 1981

Dopo circa 20 o 30 anni di indipendenza di molti paesi in Africa possiamo vedere e giudicare la

situazione attuale. Dico “paesi” e non “nazioni” in quanto nella maggioranza dei casi

l’indipendenza non dà vita a Nazioni unificate, bensì a singoli Governi centrali e singoli Stati.

In molti paesi nazionalità differenti si trovano unificate da un singolo Governo. Possiamo chiamarle

“tribù “se parliamo di gente ancora primitiva che sta lentamente sviluppandosi come i Karamoja in

Uganda e i Turkana in Kenya. Allo stesso tempo possiamo chiamare “ Nazionalità “ quei gruppi

etnici i quali, oltre ai valori della loro cultura originale inclusa la lingua, abbiano acquisito un

migliore standard di vita e possono avvalersi di tutti i prodotti della moderna tecnologia inclusa la

telefonia mobile, televisori a colori, computer ecc. (non sono molto comuni fuori delle città, ma

sono tuttavia presenti e disponibili). Il valore più grande acquisito dopo l’ indipendenza, io credo,

sia che la gente locale è in grado di essere padrone del proprio destino e protagonista della sua

storia. Dico in grado, perché non sempre ci riescono, a causa di fattori interni ed esterni.

Un proverbio cinese afferma che il viaggio più lungo inizia con il primo passo. Le Nazioni africane

indipendenti hanno fatto il primo passo. Il viaggio è lungo e pieno di imprevisti, come lo fu per le

nazioni europee dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Probabilmente commetteranno degli

errori, come ne commettono anche le nazioni altamente sviluppate. Né gli individui né le nazioni

imparano dagli errori che hanno commesso. Si dice che l’esperienza sia la somma dei nostri errori.

Una valutazione piuttosto critica dei passati 20-30 anni di indipendenza africana si riscontra in

un documento sottoscritto dall’ASSEMBLEA GENERALE SECAM nel 1981 intitolato “La giustizia e

l’Evangelizzazione in Africa” Cito:

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La realtà odierna

Gravi situazioni continuano a proporci una sfida. Come ai tempi dei profeti, dobbiamo prendere

atto che sotto ogni cielo ci sono individui, gruppi, ed anche nazioni che continuano, con cinica

freddezza a calpestare i diritti degli altri. Pensate alle migliaia di vittime innocenti il cui grido di

dolore ci giunge quasi giornalmente.

Fattori esterni

Dobbiamo prendere atto del dominio straniero politico, sociale e culturale. Quanti dei così detti

interventi stranieri armati “ liberatori” in realtà creano soltanto nuove dipendenze e un intero

bagaglio di miseria, violenza e oppressione fisica, morale e religiosa. Pensate all’ingiusta

distribuzione delle proprietà della terra fra i ricchi ed i poveri; ai discorsi dei debiti fra il Nord

ed il Sud del mondo; all’immenso potere nelle mani delle multinazionali; alle ruberie delle

materie prime dal Terzo Mondo; al crescente deterioramento negli scambi commerciali ed i

debiti nazionali.

Tutti questi fattori nel campo internazionale pesano gravemente sul continente africano,

perpetuano situazioni di ingiustizia e creano quelli che spesso sono ostacoli insormontabili per

lo sviluppo ed il progresso socio-economico.

Fattori interni

Ma se, ci soffermiamo per alcuni momenti sull’Africa, dobbiamo altresì ammettere, ahimè che

gli stessi figli di questo continente sono lontani dall’essere redenti dal peccato del secolo.

Violazioni dei diritti umani vengono perpetrate in migliaia di modi differenti ad ogni livello, ma

in maniera particolare da coloro che possiedono il potere economico e politico.

Per molti politici la politica non è diventata forse la strada propizia per le dittature, il

totalitarismo, l’oppressione dei più deboli e i rivali vinti nelle campagne elettorali? La libertà

d’espressione e il diritto all’informazione sono diventati attributi che la gente gode solo in modo

parziale, se non per niente. Quante sono le nazioni dove la costituzione viene totalmente

ignorata? In questo modo la persona diventa soltanto il giocattolo di un potere sfrenato che

con il suo peso comprime i corpi e le menti; il bene comune è sostituito dagli interessi di

individui o di singoli gruppi.

La corruzione dilaga distruggendo gli standard morali. Per esempio, l’appropriazione indebita di

fondi pubblici, o il rifiuto di dare gratuitamente quei servizi che sono dovuti negli ospedali e

altrove. Vediamo anche la compravendita di coscienze e perfino delle conversioni.

Vediamo i patrimoni nazionali sperperati per ragioni di prestigio, o la cattiva amministrazione

di fondi pubblici che a volte porta allo sfascio dell’economia in paesi altrimenti ben forniti dalla

natura, o anche la disorganizzazione dei servizi amministrativi che sono stati privati dello

spirito che dovrebbe animarli, cioè la coscienza professionale e la dedizione al proprio dovere.

E chi raccoglierà gli amari frutti? Le classe più basse delle aree rurali, o il normale lavoratore

governativo il cui potere d’acquisto perde potere di giorno in giorno, al cospetto della

prosperità della ricca minoranza. In questo mondo così sfigurato dalle ingiustizie, i Cristiani

non hanno capito che la loro fede richiede un comportamento differente? Hanno afferrato il

concetto che le opere di giustizia sono sinonimie dell’etica Cristiana che professano?

Il documento continua suggerendo dei rimedi a questa realtà: una chiamata all’amore ed

all’impegno, alla sincera conversione a Cristo, alla parsimonia per condividere i nostri averi,

all’educazione alla giustizia e la denuncia delle ingiustizie.

L’assemblea formò un “ Comitato per gli Affari Interni Africani” (CAIA) per ispirare e coordinare

le attività delle Commissioni Giustizia e Pace Nazionali delle Conferenze Episcopali di tutte le

nazioni africane.

Il seguente passaggio è di particolare interesse ai missionari espatriati:

Vorremmo qui ricordare che parlare per la causa della giustizia non è necessariamente un atto

pubblico. Prima di fare un intervento aperto per la giustizia, prima di rettificare alcune situazioni o

di condannare abusi, è normale, ogni qual volta si possa, innanzi tutto, mettersi in contatto con

coloro che sono responsabili o persino colpevoli di tali situazioni. L’efficacia dell’intervento non

viene necessariamente misurata dal grado di violenza verbale o dalla sensazione scaturita dal

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discorso. Secondo le nostre tradizioni, la priorità deve essere data ad un dialogo faccia a faccia.

Questo è inoltre, quanto ci viene chiesto nel Vangelo di S. Matteo (18, 15-17)

Una nota di speranza conclude questo ardimentoso documento:

Lo Spirito Santo con la sua luce sarà la nostra guida mentre ci addentriamo più profondamente

in queste riflessioni a favore della giustizia, la libertà, l’uguaglianza, il progresso di tutti gli

uomini e i popoli del nostro continente africano, del Madagascar e le Isole. Lo Spirito Santo

sarà la nostra forza quando ci sforziamo di mettere in pratica tutto ciò.

Lo stesso Spirito sveglierà un senso di collaborazione e cooperazione fra voi che siete apostoli, e vi

darà il coraggio di testimoniare, educare e impegnarvi energicamente ad agire per la giustizia.

Commenti sul significato all’analisi esposta sopra

Essa manca di una esplicita analisi culturale, almeno per quanto mi riguarda, di come valori

tradizionali positivi si mantengano davanti all’invasione dei valori e non valori dello stile di vita

delle nazioni occidentali. Questa invasione, tramite espatriati, giunge alle nazioni africane

attraverso la stampa, la televisione e i video. I target immediati sono le scuole medie inferiori

e superiori, le università e coloro che vivono nelle città. Tuttavia, indirettamente anche chi vive

nei villaggi ne è contagiato. Sta perciò nascendo una cultura mista.

I giovani, le donne e gli uomini, si trovano ad un bivio e che via sceglieranno? Normalmente la

più facile, la più piacevole, quella alla moda, quella scelta dalla maggioranza, preferibilmente

quella lungo la quale viaggia l’occidente moderno. Non scelgono quella meno battuta, quella

più accidentata del Vangelo, a meno che essa non sia presentata dal Santo Spirito e dalla

testimonianza Cristiana degli agenti pastorali.

Un’osservazione

Mentre si danno innumerevoli direttive per la causa della giustizia, non si fa nessun cenno ad

un problema pastorale: è moralmente corretto dare ed accettare compensi sottobanco quando

i salari, specialmente quelli dei funzionari governativi, pubblici ufficiali, ragionieri, ecc. non

sono sufficienti per mantenere le loro famiglie? Sarà imposta la restituzione prima di dare

l’assoluzione per danaro e ricchezze ottenuti con la corruzione e l’appropriazione indebita?

Sì, è vero che ci sono regole comuni nei testi di Teologia Morale, ma si deve fare una riflessione

per un fronte comune fra gli agenti pastorali. In Uganda, un “rinato” o membro della “ Setta dei

Salvati” denunciò e rese il danaro del quale si era appropriato proveniente da un ufficio pubblico:

fu mandato in prigione. Attraverso l’intercessione della moglie del presidente Museveni, lei stessa

una delle “salvate”, l’uomo fu rilasciato!

Nel periodo coloniale, certi valori venivano imposti. Adesso vengono soltanto proposti. Gli africani

devono prendersi le loro responsabilità, e anche le colpe se sono colpevoli incluse le proprie.

Nuovi Martiri

SUOR LILIANA RIVETTA (37 anni) La prima vittima della Suore Comboniane fu uccisa in un

agguato in una strada di Karamoja il 10 agosto 1981. Molto dedita al suo lavoro e in sincera

comunione con la gente con la quale lavorava.

P. OSMUNDO BILBAO (37 anni) fu ucciso non lontano da Kampala il 20 aprile del 1982 mentre

stava cercando di fuggire da coloro che volevano impossessarsi dell’auto che stava guidando.

Era molto amato dalla tribù dei Madi della Diocesi di Arua.

P. EZECHIELE RAMIN (32 anni) fu ucciso in un agguato a Cacoal (Nord Brasile) il 24 luglio 1985

per il suo coinvolgimento nella causa dei campesinos nella loro lotta per la giustizia. Egli voleva

insegnare la giustizia e la non violenza – difatti, quando fu colpito dalle pallottole che lo

uccisero, stava ritornando da una fazenda dove era andato per avvisare i contadini di

abbandonare certi locali che stavano occupando per evitare ulteriori spargimenti di sangue.

Morì testimone della carità per gli Indiani e i contadini senza terra.

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SUOR TERESA DALLE PEZZE (1939 –1985) andò in Mozambico nel 1968. Dedita principalmente

all’insegnamento. Sotto il regime comunista di quegli anni per poter avere il permesso di

restare in paese e lavorare, i missionari dovevano mettersi a disposizione del governo come

insegnati, infermieri ecc. Fu uccisa in un agguato che fece 20 vittime il 3 gennaio 1985. La sua

ultima azione fu un atto di carità verso un soldato, l’ultimo di una lunga lista.

P. EGIDIO FERRACIN (50 anni) fu ucciso il 4 agosto 1987 mentre stava andando in visita ad

alcuni villaggi. Si imbatté in una banda di malviventi che si portavano dietro tre ragazze. Il

Padre cercò amichevolmente di persuaderli a lasciare andare le ragazze, ma non ci riuscì. Non

accettarono il consiglio di p. Egidio, anzi, lo legarono ad un albero e lo uccisero a fucilate.

P. EGIDIO BISCARO (1929-1990) – un fratello specializzato in meccanica, chiese ai Superiori di

poter diventare sacerdote e fu ordinato all’età di 46 anni. Fu inviato in Uganda, dapprima nella

Diocesi di Lira in seguito in quella di Gulu.

Il 29 gennaio, 1990, mentre portava un paziente in auto all’ospedale assieme a p. Pieragostini,

furono ambedue feriti in un agguato. Perse molto sangue e morì dopo due ore là per strada,

aspettando che qualcuno li aiutasse. P. Pieragostini fu portato in ospedale appena in tempo per

salvarlo. Sapevano che la strada per Kitgun non era sicura. Il Padre morì mentre stava facendo

un atto di carità.

P. WILLIAM NYADRU (31 anni) stava recandosi da Morulem a Moroto in Karamoja quando

s’imbatté nei suoi assassini. Lo fecero sdraiare per terra a faccia in giù e lo uccisero con un

solo colpo alla nuca. Il modo in cui fu ucciso dimostra chiaramente che fu un rituale: fu vittima

di un atto di stregoneria propiziatoria per il raid che era stato pianificato da ladri di bestiame.

Era i 25 ottobre 1991.

P. William è il secondo dei padri Comboniani africani a diventate martire, il primo fu p.

Barnabas Deng, ucciso il 23 agosto 1965 nel Sudan. La sua morte fu un grave perdita per

l’Istituto che nutriva grandi speranze nella sua intelligenza e nel suo comportamento

esemplare.

FRATEL ALFREDO FIORINI (1956-1992) divenne medico nel 1980 con l’intenzione di aiutare i più

poveri ed abbandonati del terzo mondo. Voleva, però diventare missionario come sacerdote

per cui si mise a studiare teologia presso il nostro Scolasticato di Nairobi. Più avanti cambiò

idea pensando che poteva dedicarsi alla professione medica in modo migliore come Fratello.

Destinato alla provincia del Mozambico (1991) egli praticò la sua professione in un centro a

Namapa per soli due anni. Fu brutalmente ucciso dai ribelli (RENAMO) i quali non sapevano di

uccidere un medico e missionario. Era il 24 agosto 1992.

Testimoni

FRATEl GIUSEPPE FARINA: la santità ad ogni costo: la preghiera, il lavoro, la povertà,

l’apostolato. Vicenza 21/06/1906 – Warr (Uganda) 16/07/1981)

Egli metteva in pratica questo programma quando era ancora al suo paese: era già un apostolo

e dava l’impressione di essere un giovane santo. Nella sua lettera di introduzione al Superiore

a Verona, il suo parroco scrive:

“ Farina è sempre stato come S. Luigi Gonzaga. E fu sempre un apostolo sia dentro che fuori

casa. E’ pieno di buon senso e volontà, ed è molto pio… E’ la perla della mia parrocchia ed è

ben voluto da tutti…”

La sua vita religiosa fu la consumazione di quel apostolato e quella santità. All’età di 25 anni

fece richiesta di entrare nel nostro Istituto. Descrisse il suo programma al quale si attenne fino

alla morte:

“E vorrei sapere cosa potrò fare nella missione. Dio farà di me ciò che desidera: spero nella grazia

della Sua luce per essere in grado di accettare tutto di modo che io possa diventare un uomo pio

per la Sua maggior gloria e per la salvezza di quelle anime alle quali ho votato la mia vita.”

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Come il Beato Comboni, egli non solo portava croci ma le agognava e volontariamente le

accettava secondo l’invito di Cristo.

“ Se qualcuno vuole essere mio seguace, rinuncia a se stesso e porti la sua croce ogni

giorno”(Luca 9:23-24)

Fu estremamente povero in tutto. Viveva in uno sgabuzzino della piantagione di caffè dove

lavorava come contadino.

Negli ultimi dieci anni della sua vita, si astenne completamente dal mangiare carne. Dormiva

su un’asse che non aveva nessuna somiglianza con un letto. Uomo di poche parole, a volte

sorprendeva per il suo umorismo e sorrisi che rivelavano la sua serenità nascosta

dall’ascetismo e, a volte, dal suo aspetto esterno duro. Era estremamente sobrio in tutto.

Una settimana prima della sua morte, era uscito, come al solito in motocicletta a far visita ad

un poveretto. Un giorni al suo ritorno, uno di quei forti temporali africani gli fece venire la

polmonite. ‘E’ solo una brutta tosse ’ disse, ‘ devo solo riposare per un po’ e starò bene’.

Sembrava in imbarazzo quando qualcuno si interessava di lui, perché era lui che si interessava

degli altri accontentandosi del minimo per se stesso.

La mattina del 16 luglio, il giorno della sua morte, un Padre lo trovò riverso a terra svenuto in

attesa della morte con semplicità francescana. Coloro che lo conoscevano dicevano che viveva

come un Trappista.

Ogni domenica andava in giro per la varie cappelle ad amministrare l’Eucaristia e a guidare le

preghiere. Predicava in lingua Alur che conosceva bene.

I poveri, i malati, gli anziani, persero, con la sua morte, un consigliere ed un amico. Quasi

quotidianamente, di sua iniziativa, egli faceva i suoi giri in risposta a richieste di aiuto. Aveva

sempre qualche frase di conforto per tutti ed oltre alla parole, egli portava medicinali, cibo e

indumenti. Nelle sue visite,favoriva i non Cattolici dicendo: “ I Cattolici hanno la Società di S.

Vincenzo, io vado dai protestanti, i musulmani ed i pagani”.

Il segreto della sua estrema povertà e del suo apostolato si trova nelle sue preghiere: ogni

giorno per quattro ore, dalle 5.30 alle 7.30 del mattino e dalle 5.30 alle 7.30 del pomeriggio.

Egli disse ad un formatore: “ Se volete avere buoni missionari Comboniani africani, dite ai

formatori di formare gli aspiranti ad un grande amore per Gesù attraverso la devozione

dell’Eucaristia, e di averLo come grande amico.”

P. BERNARDO SARTORI – Falzé di Trevignano (Treviso) 20/5/1897 – Ombaci (Uganda)

3/4/1983.

Di buon mattino, era Pasqua, com’era suo solito, padre Bernardo Sartori si recò in cappella a

pregare...e qui fu trovato da Fratel Giovanni Bonafini verso le 8 del mattino. Fu una visita

casuale, quella del fratello nella cappella del collegio di Ombaci, perché tutti i missionari erano

in procinto di partire per il safari, o per la preghiere nella chiesa parrocchiale, essendo quello il

giorno di Pasqua.

Padre Bernardo giaceva davanti al tabernacolo, con le braccia allargate e la lanterna ancora

accesa. Ma era morto.

Nessuna meraviglia per quella scoperta. Dagli anni della giovinezza, padre Sartori era abituato

a recarsi in chiesa prima dell’alba, “ tutti i santi giorni che Dio ha creato”, è pronto a giurare

fratel Antonio Biasin, suo intimo amico. E padre John Troy: “Per quanto riguarda la sua

preghiera, la maggior parte si svolgeva nel segreto della sua stanza. Si ritirava alle 9.00-9.30

ma difficilmente dormiva oltre le 2 del mattino”. “Un altro ‘tempo sacro’ era poco prima di

ritirarsi nella sua camera. Penso che andasse a raccontare cosa era successo durante la

giornata alla Madonna. Non posso dire più su questo e rispetto il suo desiderio”.

Davanti all’altare della chiesa di Ombali si erano incontrate tre direttrici sulle quali aveva

camminato la spiritualità di padre Sartori: grande amore per l’Eucaristia, tenera devozione alla

Madonna, e un amore sconfinato per il prossimo (confratelli, africani e conoscenti).

L’amore all ’Eucarista si concretizzava in tre ore di adorazione. Non cominciava la giornata

senza avere premesso almeno quattro ore di preghiera senza contare le visite nei ritagli di

tempo durante il giorno.

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L’amore per il prossimo… migliaia di lettere scritte ad amici e parenti benefattori, confratelli,

religiosi… E tutte per incoraggiare, sostenere, dare forza per camminare nelle vie di Dio;

colloqui con confratelli stanchi e scoraggiati. “Nessuno tornava dall’incontro con padre Sartori

con l’animo amareggiato: e sempre, se prima aveva delle pene, il padre gliele aveva alleviate

infondendogli coraggio, speranza, ottimismo e tanta fede in Dio”. (Fratel Biasin) “ Ogni

incontro con lui era per me un risveglio spirituale e morale” (Padre Marchetti).

A proposito dell’amore per il prossimo, ecco cosa dice padre Troy:

“ La santità di padre Sartori, riconosciuta da tutti, era pienamente <umana>. Non fu quel genere

di martire che fa martiri tutti nella comunità. Mentre praticava la penitenza per quanto riguarda il

cibo ed il riposo, fu sempre sollecito che io mangiassi bene e dormissi a sufficienza. A tal punto che

lui avrebbe obbedito all’invito di mangiare e dormire un po’ di più. Non fu mai ostentatamente

mortificato, e di tanto in tanto condivideva una sigaretta o un bicchiere di birra.”

Quando arrivavano notizie della morte di confratelli, spesso più giovani di lui, egli chiedeva a

Dio a voce alta a quando il suo turno. Fu particolarmente addolorato quando un giovane e

vigoroso missionario (p. Del pero, 46 anni) morì, e supplicò il Signore di prendere “questo

povero relitto”, la prossima volta.

La Vocazione missionaria

Bernardo Sartori studiava teologia nel seminario diocesano di Treviso, quando fu chiamato

sotto la naja. Fu inviato a Verona, nel reparto Sanità, presso l’ospedale militare. Qui ebbe

modo di venire in contato con i Comboniani.

La sua partenza per l’Istituto fu particolarmente ostacolata dal papà. I superiori acconsentirono

a non inviare in Africa padre Bernardo finché il papà era in vita.

Questi venne a morire mentre padre Bernardo si trovava a Troia come superiore. Il figlio corse

al capezzale del babbo che fece in tempo a chiedergli perdono per averlo tanto ostacolato e a

chiedere la sua benedizione. Il 31 marzo 1923 venne ordinato sacerdote.

Verso la fine del 1927 i superiori lo inviarono in Puglia in cerca di un seminario per futuri

missionari. Senza conoscenze, andò prima a Bovino e poi a Troia dove trasformò un fatiscente

convento in un gioiello di seminario dal quale uscirono una ventina di ottimi missionari. Quegli

anni rappresentarono una “grande avventura. Resta il fatto che per i Troiani padre Sartori

divenne un’istituzione, tanto che alla sua morte ne richiesero (inutilmente) il corpo.

In Africa. Nel 1934 arrivò il permesso di partire per l’Africa.

“ Arrivai ad Arua in Uganda -scrisse padre Bernardo- nel 1934. Fui da vescovo mandato a

sostituire il vecchio padre Valcavi a Lodonga. Questi mi consegnò la missione dicendo: “Padre,

qui non c’è che da pregare. La tribù è già tutta musulmana. Chi si fa musulmano è esente dalla

tasse e gode di un mese di ferie.

Padre Bernardo, si diede alla preghiere. A Troia aveva fondato, annesso al seminario

Comboniano un santuario alla Madonna Mediatrice.

In Uganda consacrò tutta la zona alla Mediatrice. “Santuario ti sarà questo meraviglioso cielo,

colonne queste splendide piante secolari”.

Padre Bernardo cominciò a contrattare con la Madonna. Lui poteva darle del tu. “Per la tal data

ti chiedo la conversione di 50 musulmani”. Nel giro di qualche anno al posto della grande

moschea, sorse il santuario dedicato alla Mediatrice, sultana dell’Africa. Nel 1961 il Papa

eleverà questo santuario al grado di basilica, la prima basilica dell’Africa dedicata alla

Mediatrice.

Ormai tra i pagani, chi si faceva musulmano veniva deriso. Sul sentiero che portava dalla casa

dei missionari alla chiesa (sentiero che padre Bernardo percorreva alla mattina presto quando

faceva ancora buio) vennero messe più volte delle asticelle con punte avvelenate. Mai una

volta che il missionario vi fosse inciampato, eppure si era abituato a camminare scalzo. Il

ritorno in vita di una giovanetta che i genitori e parenti avevano dato per morta, finì per

convogliare alla missione anche i più ritrosi.

Dopo Lodonga fu la volta di Koboko tra la tribù dei Kakua e anche lì sorse un grande santuario.

La conversione del gran capo musulmano Mussa, e il martirio di un giovane di Azione Cattolica

furono due gemme sulla corona della Madonna di Fatima.

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Nel 1960 fu la volta di Otumbari con il santuario alla Regina del Mondo. In meno di 20 anni la

missione registrò la cifra di 30 mila cattolici. Nel 1968 venne aperta la missione di Arivu nella

roccaforte dei protestanti con un santuario a Maria Madre della Chiesa.

Nel 1979 le missioni di Koboko, Otumbari e Lodonga si trovarono in pieno territorio di guerra.

Saccheggi, vendette, odii tribali con le conseguenze di distruzione, di profughi, di fame, di

malattie. Una fucilata sparata vicinissima all’orecchio di padre Bernardo gli fece saltare i

timpani ed egli diventò improvvisamente sordo. “Meglio - disse – così non sarò disturbato da

altre sparatorie”.

Nel giugno dell’80 il vescovo impone di autorità ai missionari di abbandonare le missioni in

zona di guerra. La gente, era tutta scappata per cui non c’era più il motivo di restare. Il

vandalismo della soldataglia diventò regola di vita e principio di azione.

A questo punto padre Bernardo ebbe una visione profetica. Un mattino, prestissimo, mentre si

recava in chiesa vide una immensa croce di nubi che si adagiava su quella zona d’Uganda

travagliata dalla guerra. Guardò per alcuni minuti quello strano ‘gioco’ formato dal vento

mentre un pensiero martellante gli diceva: “ L’Uganda è arrivata al suo Calvario. La Passione

sta per finire”. Stava per correre in casa a chiamare qualche confratello perché fosse testimone

del fenomeno, quando le nubi precipitosamente si unirono e si elevarono verso il cielo fino a

raggiungere un raggio di sole che le fece brillare in uno sfolgorio di luce a forma di Cristo

risorto. La stessa voce gli disse: “Il tempo della gloriosa resurrezione è vicino”. Poi tutto si

dissolse.

Le virtù

“ In un grande spirito di obbedienza – dice padre Troy – mi chiedeva permesso ad intervalli

regolari per attività che erano abituali. Ha dimostrato un tale rispetto per me come superiore

che spesso mi sono sentito molto imbarazzato”

In quanto ad umiltà, è veramente simpatica una testimonianza di padre Marchetti:

“ Al mio primo incontro con lui dopo che ero stato nominato Superiore Regionale ne approfittai

per confessarmi. Dopo la confessione mi disse: Caro padre, le devo dire una cosa in

confidenza, perché possa regolarsi andando fra i confratelli di questa zona. Qualcuno ha sparso

la voce che io sono un santo; invece la posso assicurare che è tutto un imbroglio, una falsità.

Lei tenga presente…”.

Padre Marchetti rispose che lo avrebbe fatto senz’altro “per acquietare la sua umiltà”:

Le riforme liturgiche potevano urtare un anziano come padre Sartori, invece trovarono sempre

un sostenitore entusiasta. Per lui, ciò che veniva dal Papa veniva da Cristo in persona.

L’ospitalità. Virtù fondamentale per chi si trova in missione, fu vissuta dal padre in maniera

eminente.

“Era sempre accogliente – dice padre Marchetti – sempre misericordioso, sempre ottimista. Le

sue personali sofferenze sembravano non esistere. Pareva ignorasse gli sbagli degli altri, lui

che riceveva le confidenze di tutti. Tutto scusava, in tutto vedeva il lato buono, tutti animava,

tutti amava. Si leggeva nella sua vita l’inno della carità di San Paolo”.

Il giovedì santo celebrò il 60° di ordinazione sacerdotale. Durante il Triduo Pasquale fu sempre

in chiesa a pregare e confessare. Il giorno dopo, lo aveva predetto a due chierichetti, venne la

morte che per lui fu vera Pasqua.

Noi missionari, soprattutto i giovani, quando passavamo vicino alla sua missione ci fermavamo

per confessarci. Durante i ritiri annuali, p. Sartori era sempre nel confessionale a disposizione

di tutti, e molti ne approfittavano.

La sua causa di beatificazione è già a Roma.

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LE SUORE COMBONIANE

XIV° Capitolo Generale: 1980

Elezioni

Madre Emilia Grassi - Superiora Generale

Suor Liliana Sommacampagna - Vicaria Generale

Suor Franca Fusato - Assistente

Suor Giuseppina Tresoldi - Assistente

Suor Donata Pacini - Assistente

Questo Capitolo fu anticipato di due anni a causa della prematura morte della Superiora

Generale, Madre Fiorentina (1980).

Nella relazione del Consiglio Generale del 1986, ci si può rendere conto delle difficoltà che le

suore trovavano nell’aggiornamento.

Troviamo una risposta positiva alla domanda formulata da alcune suore nella relazione del

Consiglio Generale, e cioè se l’Istituto nel suo insieme fosse ancora dominato dal tradizionale “

Buon Spirito”. La relazione racconta del martirio di Suor Liliana Rivetta in Uganda e Suor

Teresa Dalle Pezze nel Mozambico.

Questo capitolo non poteva ignorare i dibattiti del 1976. Le Capitolari, tuttavia fecero notare

all’Istituto la sempre valida spiritualità del Fondatore ed il suo piano d’azione, la sua

metodologia di evangelizzazione integrale e la necessità della santità personale. Per quanto

riguarda le innovazioni, alcune delle quali sono ormai pacificamente state accettate, si può dire

che questo capitolo rappresentasse una sintesi delle differenti tendenze degli anni che

andarono dal 1970 al 1980.

Il numero delle suore al 30 giugno 1986 era:

Totale 2071: 108 V. T. e 1963 V.P. le italiane erano di gran lunga la maggioranza con 1963,

seguite dalle eritree con 101 suore. Nel 1980 le suore erano 2145.

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CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Tredicesimo Capitolo Generale 1985 - il periodo dal 1985 al 1991

TREDICESIMO CAPITOLO GENERALE (ROMA 1985)

Membri dell’Istituto: Prelati 16, Padri 1.284, Fratelli 342, Scolastici 135, Totale 1.777.

Elezioni:

P. Francesco Pierli, Superiore Generale

P. Erigojen Angel Lafita, Vicario Generale

P. Otto Fuchs, Fratel Giuseppe Menegotto, p. Venanzio Milani, Assistenti.

P. FRANCESCO PIERLI: S. Giustino, Prov. Di Perugia 2/3/1942.

Fu ordinato sacerdote nel 1966 e ricevette il dottorato in teologia dogmatica che insegnò nel

nostro scolasticato di Venegono (1968-1970).

Dal 1970 al 1973 fu responsabile dello scolasticato in Roma. Dal 1974 al 1979 fu responsabile

dello scolasticato e dell’insegnamento della teologia dogmatica del seminario nazionale a

Ggaba in Uganda. Nel 1979 fu eletto Assistente Generale con responsabilità per i problemi

della formazione. Fu eletto Superiore Generale al Capitolo del 1985.

Dopo il capitolo del 1991 andò a Nairobi dove insegna alla Facoltà di Tangaza scrivendo anche

diversi saggi ed articoli su diversi e a volte controversi argomenti. Fu anche formatore nel

nostro scolasticato di Nairobi e nel centro internazionale per Fratelli (CIF).

Nel rielaborare la formazione di base dei fratelli, egli introdusse lo studio della Dottrina Sociale

della Chiesa per dare supporto filosofico e teologico per qualsiasi delle professioni tecniche i

fratelli volessero scegliere di fare, nonché l’eventuale apostolato fra i poveri.

Durante ambedue i periodi dei suoi mandati come Assistente e Superiore Generale, si dedicò

alla formazione continua dei nostri confratelli con ritiri e scritti. Le sue prediche erano, e sono

ancora molto apprezzate da coloro che le ascoltano. Incoraggiò studi superiori e lauree.

Questo, però portò alcuni confratelli a munirsi di lauree utili ma non strettamente necessarie

alle programmazioni dell’Istituto e delle missioni.

Atti del Capitolo

Abbiamo già parlato delle attività della precedente amministrazione come contenute nella

Realazione della Direzione Generale.

Sono disponibili anche gli atti di questo Capitolo. Trattano della formazione continua, la

rotazione, i segretariati generali, i missionari laici, i missionari Comboniani associati, limiti di

spese, l’apertura in Asia., i fratelli missionari Comboniani, gli scolasticati ed i centri

internazionali (CIF), Movimenti ecclesiatici e Neo-catecumenali. Questi documenti, in generale,

confermano le decisioni prese in precedenza.

I seguenti punti contengono nuove direttive:

Decisione di aprire in Asia

Il Capitolo acconsente ad aprire comunità in Asia nel corso di questo sessennio.

Il movente primario di questa apertura è la prima evangelizzazione. Ciò non esclude

l’animazione missionaria né la promozione vocazionale che sono parte integrale del nostro

carisma.

La scelta dei campi di lavoro e le formalità annesse sono affidate alla Direzione Generale.

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Segretariati

Ogni segretariato sarà composto da un ufficio con un Segretario e, se necessario, un Sotto

Segretario con un Consiglio di almeno tre membri scelti con criterio di competenza. Il Consiglio

si riunirà una volta all’anno. La mansione di Sotto Segretario non fu messa in pratica fino al

1991, forse le sue mansioni non furono sufficientemente chiare.

Missionari Laici

Il capitolo enfatizza che il servizio missionario oggi necessita di missionari laici che:

siano ispirati da motivazioni missionarie,

siano disposti ad essere testimoni Cristiani,

siano aperti al dialogo ed alla inculturazione,

siano disposti a cooperare con altri agenti pastorali,

abbiano qualifiche appropriate per poter fare lavori specifici,

siano in grado di parlare la lingua del paese in modo adeguato.

Missionari associati

Missionari associati sono quei Cristiani impegnati che si mettono al servizio delle missioni per

un periodo di tempo che va dai tre ai cinque anni.

Il Capitolo:

Approva l’esperienza dei membri associati che ebbe inizio nella Provincia di lingua tedesca,

come autorizzata dall’Amministrazione Generale e incoraggiata dall’Assemblea Intercapitolare

del 1982.

Invita le Province dell’Africa e dell’America Latina ad includere questa nuova forma di servizio

missionario nelle loro attività, integrando i missionari associati nelle loro comunità. Si spera

che questa esperienza sia sperimentata anche in altre province.

Le richieste per missionari associati devono essere fatte tramite l’Amministrazione provinciale

al Segretariato Generale per l’evangelizzazione che fornirà un servizio di coordinamento.

Catechisti itineranti

Tenendo conto della fondamentale importanza della vita comunitaria nel nostro Istituto (RV

40) il Capitolo non concede la possibilità di diventare “ Catechisti Itineranti” a quei confratelli

che ne faranno richiesta.

Priorità

Il Capitolo si prefigge le seguenti priorità:

Rivedere e ridefinire gli impegni attuali

Fedeltà al carisma di Comboni

Siccome siamo stati mandati, attraverso la Chiesa, presso quei popoli o gruppi di persone non

ancora o inadeguatamente evangelizzati (RV 13): crediamo sia necessario rivedere i nostri

impegni tenendo conto delle seguenti linee guida:

Dare la preferenza ai più poveri e più trascurati dal punto di vista del Regno, specialmente

coloro che si trovano in situazioni missionarie di prima evangelizzazione.

Scegliere le masse non cristiane dell’Africa, Asia islamica, gli afro-americani, i gruppi

minoritari, i sobborghi delle grandi città, le situazioni di ingiustizia e di oppressione, i giovani

del mondo.

Si deve prendere in considerazione l’evoluzione della missione in ogni nazione

Gli sviluppi più significativi sono probabilmente i seguenti:

una consapevolezza più ampia delle relazioni fra la Missione e il Regno del quale la Chiesa “

diventa la forza iniziale germinale sulla terra “ (LG 5);

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la crescita delle chiese locali;

l’abbandono del punto di vista territoriale di una missione a favore di “ situazioni missionarie”

(RV 14.2);

l’importanza primaria data all’evangelizzazione delle culture” (EN 20);

un impegno più esplicito alla totale liberazione umana (RV 60) e l’abbandono

dell’assistenzialismo non necessario;

la realizzazione che i poveri, invece di essere soltanto l’oggetto della missione, acquisiscano un

ruolo determinante nella stessa evangelizzazione e nell’evangelizzazione dei missionari stessi;

l’aumentato coinvolgimento dei laici;

la crescita di un tipo di metodologia missionaria che porta alla ribalta la fede nell’assistenza

dello Spirito Santo, la promozione dei ministeri, la semplicità dei mezzi e la formazione di

piccole comunità cristiane.

La comunità missionaria Comboniana

Il capitolo prende atto dei progressi fatti nella vita comunitaria negli ultimi sei anni. Allo stesso

tempo si rende conto che resta ancora molto da fare per poter capire appieno e vivere

quell’ideale rappresentato dalla Regola di Vita.

Ci sono ancora molte comunità che sono incomplete dal punto di vista numerico, o che sono

poco aperte all’internazionalità. In modo specifico si notano: l’individualismo, l’orario di

preghiera personale irregolare, la mancanza di incisività da parte del Superiore; la scarsa

attenzione alle qualità dei membri della comunità ed uno stile di vita che non corrisponde a

quello della gente (22).

Alla luce del nostro carisma e facendo fronte a quelle sfide che provengono dalle situazioni che

viviamo, la comunità Missionaria Comboniana deve adottare un atteggiamento di conversione

continua, e permettere di essere evangelizzata dai valori che sono inerenti alle dette situazioni.

Ciò facendo, infatti diventiamo un segno profetico della nuova umanità nata dallo Spirito (RV

36) e siamo il lievito dell’animazione missionaria nella Chiesa Locale (23).

I valori del Regno e la liberazione totale dell’uomo

Il Consiglio Generale considera “ far emergere i valori del Regno di Dio con l’intenzione di

raggiungere la liberazione totale dell’uomo” una priorità del nostro servizio missionario oggi.

Il mistero del Regno si estende oltre le situazioni, le strutture e le ideologie. E’ la stessa

persona di Cristo nella quale l’intero universo viene “chiamato” a unirsi per diventare il Regno

della completa salvezza che il Padre desidera (Eph.1:10). Far emergere i valori del Regno

implica mostrare e stimolare i segni di questa lenta e a volte dolorosa ma decisiva

trasformazione progressiva di tutti in Cristo (Rm.8:19).

Un’analisi delle situazioni in cui si trovano i popoli fra i quali lavoriamo (in Africa, Europa i le

Americhe) rivela che molti dei nostri confratelli non sono stati in grado lottare contro le

ingiustizie, contro l’oppressione e la miseria che sfigurano il volto di Cristo.

Queste situazioni ci presentano una sfida che dobbiamo accogliere secondo il nostro carisma.

Se accettiamo la sfida, la nostra sequela Cristi diventerà più radicale così la nostra

proclamazione del Vangelo e il nostro impegno per i poveri e i più trascurati saranno più

evangelici.

Questa priorità fu molto controversa al Capitolo, non per se stessa, ma a causa delle

interpretazioni differenti date da alcuni capitolari. Siccome alcune tendenze nella teologia

moderna, dovute principalmente al dovere di stimolare l’ecumenismo, focalizzano i valori

generali comuni a tutte le religioni, sorsero alcuni malintesi, anche fra di noi, sulla falsa riga

che Cristo fosse uguale al Buddha o Maometto. L’esplicito annuncio di Cristo, non solo in

alcune circostanze, ma come politica, viene lasciato in disparte da alcune teologie. A scanso di

equivoci, il Consiglio generale scrisse una lettera chiarificatrice nel 1989 che fu molto

apprezzata. “ Redemptoris Missio” focalizza ottimamente il problema quando Giovanni Paolo II

fra l’altro scrive:

“ Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera

elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth,

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immagine di Dio invisibile. Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui

rivelato, e si finisce per distorcere sia il senso del regno, che rischia di trasformarsi in un

obiettivo puramente umano o ideologico, sia l’identità di Cristo, che non appare più il Signore,

a cui tutto deve essere sottomesso (cf. 1 Cor 15, 27).

Parimenti, non si può distinguere il Regno dalla Chiesa. Certo, questa non è fine a se stessa,

essendo ordinata al regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue

dalRegno e dal Cristo, ha dotato la chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di

salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica, guida

e rinnova continuamente (RM 18)”.

L’intervento del Papa è un chiaro segno che “ i valori del Regno” dovevano essere chiariti.

Questo non significa che il documento del nostro Capitolo non sia stato chiaro, necessitava,

però di essere ulteriormente sviluppato nei dettagli.

Nota: La relazione del Consiglio Generale del 1991 è piuttosto positiva sull’implementazione

delle priorità sopra stabilite.

“ Le tre priorità del capitolo del 1985 sono profondamente collegate fra loro. Come abbiamo

scritto nella lettera del Natale 1985 (Cfr n. 6-14), la priorità che unifica tutte è la terza, quella

dei “valori del Regno e liberazione integrale dell’uomo”. Il Regno di Dio in Cristo, infatti,

costituisce l’obiettivo finale della missione. Le altre due priorità sulla RRI e sulla comunità

missionaria comboniana, sono per rendere il nostro stile di vita segno della presenza reale,

anche se ancora incompleta, del Regno (seconda priorità) e la nostra attività missionaria

strumento sempre più efficace della crescita del Regno nel mondo (prima priorità.) “.

La relazione sottolinea che il primo valore del Regno è la Sequela Christi (n. 35,2). Un Regno

senza un Re è una nazione generica. Qualora avesse dei contenuti, i suoi valori sarebbero

meramente umani che potrebbero significare una dimensione orizzontale e non verticale.

Comunque, essi offrono un punto di partenza comune per l’armonia e la cooperazione con le

altre religioni e con uno stato laico.

ATTIVITA’ PRINCIPALEI DELL’ISTITUTO DAL 1985 AL 1991

Revisione della regola di Vita

Revisione della Regola di Vita secondo il nuovo diritto Canonico (1983) e il Capitolo del 1985.

Il capitolo approvò circa quaranta emendamenti alla Costituzione come anche la parte inerente

al direttorio della RV. Furono poi passate allo SCEP per approvazione (cf. Boll. N. 1253). La

riposta dello SCEP giunse il 7 luglio 1987 con annotazioni e modifiche da apportare prima di

poter dare l’approvazione finale. Il CG nominò quindi, tre commissioni una dopo l’altra per

apportare le modifiche. Il testo revisionato dovette essere mandato allo SCEP due volte prima

che fosse definitivamente approvato il 3 dicembre 1987. La Regola di Vita fu successivamente

pubblicata in sette lingue.

La relazione al Capitolo del 1985 aveva affermato come, dopo l’entusiasmo iniziale la RV fosse

vissuta in modo inadeguato sia personalmente sia nelle attività apostoliche dei nostri

confratelli.

Il CG nell’occasione del centenario delle prime professioni religiose (1887)propose delle

iniziative che avrebbero portato ad una conoscenza approfondita della Regola:

riunione di tutti i provinciali, aprile 1987, due settimane passate sulle RV;

tre settimane per i Maestri dei Novizi, che si accinsero a studiare la RV per far si che

diventasse l’asse unificatrice della formazione nei noviziati;

tutte le assemblee relative alla formazione e all’animazione missionaria passarono diverso

tempo a studiare attentamente la RV;

durante l’anno del centenario furono tenuti corsi di ritiro spirituale con contenuto e prospettive

comboniani, secondo lo schema approvato a Pesaro, dicembre del 1986 - gennaio 1987

quando la Regola di Vita fu utilizzata per la meditazione e come libro di preghiera;

le intenzioni mensili delle preghiere furono tutte incentrate sulla RV, con aiuto per spiegare i

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punti fondamentali;

ci piace qui ricordare la prassi adottata dai Consigli Provinciali di iniziare le loro sessioni con

una riflessione sulla RV come facevano anche quelle comunità che ne fanno uso regolare nelle

loro letture, preghiere e consigli comunitari. Deve essere fatto qualcosa che abbia uno scopo

più ampio e sistematico per far sì che la RV diventi la vera sorgente della spiritualità e

metodologia missionaria. Alcuni confratelli, purtroppo, consultano la RV soltanto per risolvere

problemi giuridici.

“ Ratio Fundamentalis Istitutionis et Studiorum”

Il capitolo del 1985 aveva chiesto di portare a termine la “Ratio”. Il lavoro fu coordinato e

perfezionato dal Segretario della Formazione nel seguente modo:

Furono tenute assemblee settoriali e continentali fra il 1986 ed il 1988. Le conclusioni furono

presentate ad una Commissione nominata nel 1989 che preparò la prima stesura che fu

mandata alle Province ed ai confratelli esperti in materia.

Dopo le assemblee continentali del 1990 assieme ad altri contributi, molti suggerimenti e

proposte furono inserite e la commissione finalizzò il testo che fu, successivamente sottoposto

al Consiglio generale nel dicembre del 1990.

Specializzazioni

Le specializzazioni furono quasi raddoppiate in questo periodo, 72 in tutto: 11 dottorati, 48

lauree, 13 corsi per diploma.

Vi è una crescente necessità di specializzazioni per far fronte alle richieste delle missioni e per

le necessità interne dell’Istituto. Potrebbero essere meglio definite le responsabilità della

Direzione Generale e delle province per evidenziare il valore delle specializzazioni e utilizzarle

nel migliore dei modi. Secondo il piano di salvare l’Africa con gli africani, una laurea come un

dottorato non dovrebbe essere fine a se stesso, o solo sete di prestigio.

Eventi speciali ed ordinari

Assemblee settoriali, speciali, continentali intercontinentali continuarono a crescere: notiamo

inoltre la significativa partecipazione dell’Istituto ad eventi ecclesiastici e incontri vari.

La pubblicazione degli Scritti del Fondatore in volume singolo (1991).

Due corsi continentali sul carisma di Comboni: in America nel 1990 ed in Africa nel 1991.

Celebrazioni ed eventi:

100 anni dalla prima professione religiosa (1887)

100 anni dall’apertura di Helouan (Egitto 1898)

75 anni dal nostro arrivo nell’Uganda del Nord (1910)

50 anni delle Province del Perù e del Nord America (1938)

L’istituzione della Delegazione dell’America Centrale (1988).

La fondazione di nuove Riviste:

in Africa: New People (Nairobi) Worldwide (sud Africa) e Zikomo (Malawi);

in America Latina: Alo Mundo (Ecuador);

in Asia: World Mission (Filippine);

in Europa: Comboni Missions (Inghilterra).

L’apertura dei seguenti Postulati:

per candidati sacerdoti: Centrafica – Tchad, Filippine, Khartoum (con l’Egitto, Mozambico,

Polonia, Sud Africa, Sud Sudan.

Per candidati fratelli: CIF di Quito; Postulati: Togo – Uganda – Etiopia.

Trasferimento di case di formazione: Da Gilgit a Naironi (CIF); da quito a Bogota (CIF); da

Kampala a Nairobi (scolasticato).

La Fondazione del Centro Sakakini (Cairo) per la lingua araba e studi islamici (1984). Fu

trasferito a Zamelek nel 1995. E’ inoltre centro per gli studenti africani in Egitto.

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Il Museum Combonianum inizia una nuova serie della “ Bibliotheca Comboniana” le tre

suddivisioni sono: Antropologia e linguistica, Fonti/ Sorgenti e Storia, Missioni e Spiritualità.

Vademecum dei Provinciali e il Direttorio Generale della Curia (1991 alla sua terza edizione).

Revisione e qualifica degli impegni (1988): un documento del Consiglio Generale che sviluppa

e aggiorna i suggerimenti e consigli dell’assemblea intercapitolare del 1982.

Non si può dimenticare la Riunione del provinciali del 1990 dove furono discussi a fondo la crisi

delle defezioni e la perseveranza dei membri dell’Istituto.

Crisi generale e defezioni

In questo periodo 88 confratelli lasciarono l’Istituto.

Nella sua relazione al Capitolo del 1991, il Segretario per la Formazione e la promozione

vocazionale esprime la sua personale opinione sulle defezioni degli scolastici nel seguente

modo:

“Questa percentuale di fughe è nella media, particolarmente se guardiamo alle ragioni delle

defezione.

Senza paura di essere smentito, posso affermare che il 90% degli abbandoni durante il loro

periodo di formazione è il risultato di un processo di discernimento vocazionale, quindi

piuttosto che chiamarla defezione essa è la scoperta della propria vocazione. Normalmente il

candidato ed il formatore valutano assieme la presenza di una maturità umana e cristiana, la

capacità intellettuale, e l’idoneità a conformarsi alla vita comunitaria e la capacità concreta di

vivere una vita consacrata. Questo è il modo in cui arrivano alla conclusione che non hanno la

vocazione missionaria Comboniana anche se in molti casi possono avere una vocazione

sacerdotale ed anche missionaria.

Sarebbe, ovviamente, molto meglio se si potesse arrivare a questo discernimento durante il

periodo di Postulato o prima della prima professione. Ci sono, però, dei fattori che rendono

questo difficile, fra i quali la complessità del processo di riconoscere una vocazione missionaria

consacrata, la situazione giovanile al giorno d’oggi, il modo precario in cui viene fatta la

promozione vocazionale ed anche la stessa formazione a causa della mancanza di formatori

specializzati.”

Ad ogni modo, il Consiglio Generale ad una riunione dei Superiori provinciali del 1990, sentì

l’urgente bisogno di discutere la questione della perseveranza di tutti i professi dell’istituto

come “questione vitale”

La riunione ebbe luogo dopo che un questionario era stato fatto pervenire a tutti i provinciali.

Lo scopo della ricerca fu proposto nel seguente modo:

“Nonostante le strutture della formazione di base, negli ultimi anni nel nostro istituto abbiamo

raggiunto una certa stabilità, ma la crisi e le conseguenti defezioni dei confratelli anche quelli

giovani, non sono finite. Ci sono diversi casi di crisi personale; la crisi d’identità con l’istituto e

la crisi di identità con la vita sacerdotale consacrata.”

Riportando le risposte al questionario, p. Lafita disse:

“ Tutte le relazioni confermano che il problema sussiste in ogni provincia, e che deve essere

affrontato con urgenza e con azione armonica nei vari settori: discernimento vocazionale,

formazione di base e soprattutto a livello di comunità locale. “

N.B. A me sembra che all’analisi del Segretario della Formazione sulla valutazione degli

elementi che possano identificare la vocazione è da insistere su un elemento fondamentale e

cioè la motivazione della scelta vocazionale. Perché un candidato vuole diventare comboniano?

E’ l’elemento più importante e più difficile da scoprire soprattutto nel mondo preindustriale e

generalmente povero.

L’ASSEMBLEA INTERCAPITOLARE - ELLWANGEN, 1988

Come di consuetudine questa assemblea fu principalmente una revisione delle decisioni del

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Capitolo 1985. Lo scopo quindi fu di vedere in che modo le tre priorità erano state rispettate. Il

giudizio dell’assemblea fu più o meno simile a quello già descritto al Capitolo del 1991.

Un argomento molto discusso fu la promozione vocazionale dei fratelli. Riportiamo qui di

seguito i punti salienti:

L’Istituto ha compiuto notevoli sforzi per iniziare e strutturare la formazione dei Fratelli. Fra le

altre iniziative possiamo ricordare le seguenti:

un apposto comitato per il direttorio dei fratelli e ratio studiorum;

la creazione di postulati per fratelli in varie province;

l’apertura di centri internazionali per fratelli;

un crescente interesse da parte delle province per la promozione vocazionale e la formazione

dei fratelli;

un questionario sulla situazione dei fratelli all’assemblea tenutasi sulla loro formazione.

Ciò nonostante, non fu possibile superare tutte le difficoltà che rimanevano. I punti sottolineati

dalle province furono:

la mancanza di fratelli nella formazione e promozione vocazionale;

pochi candidati e di conseguenza la mancanza di relative comunità di formazione;

troppa differenza nell’età fra i candidati: ciò ostacola la formazione comune dal punto di vista

di contenuti uguali per tutti.

Altre difficoltà:

differenze organizzative nelle scuole professionali alcune delle quali davano qualifiche senza

una seria ed adeguata preparazione ad una professione;

la molteplicità di servizi per i quali i fratelli dovrebbero essere preparati;

la mancanza di interesse ed esperienza in alcune province.

L’assemblea formativa per fratelli tenutasi nel mese di agosto dello stesso anno, fece in seguito

una proposta che l’assemblea intercapitolare sottolineò nel seguente modo:

in questo momento è necessario il coinvolgimento di tutti i confratelli, per la promozione

vocazionale, la formazione di base e la formazione continua dei fratelli;

si deve continuare a eseguire ricerche storiche e teologiche per avere un orientamento in linea

con gli Atti Capitolari (AC 85, 113);

avere un fratello nel Segretariato per la formazione o stabilire una commissione permanente

che collabori con il Segretariato.

Il Consiglio Generale s’impegna ad attuare le richieste. Per la prima volta quattro fratelli furono

presenti all’Assemblea intercapitolare.

I più significativi sviluppi nelle missioni

Erezione delle nostre missioni nel Ciad a Regione (1988)

Il Ciad fu uno dei territori che furono affidati al nostro Fondatore. E’ fra le nazioni più povere

del mondo anche dal punto di vista del numero della popolazione cattolica che è solo il 6 % del

totale. La Conferenza Episcopale del Ciad insisté per avere uno dei nostri confratelli come

Vescovo di Doba, il Vescovo Michele Russo fu consacrato il 21 maggio 1989.

Il “Nuovo Sudan”

Nel 1990 una grande fetta del territorio del Sud Sudan era controllato dalla Sudan Peoples

Liberation Army (SPLA). La diocesi di Torit, di conseguenza era tagliata fuori da qualsiasi

assistenza da parte dei nostri missionari. Si decise quindi di aprire due missioni Torit e Loa, dove i

nostri missionari entrarono senza il permesso del governo di Khartoum, dopo esserci consultati con

la Santa Sede ed avuto il suo benestare. La zona fu rappresentata al Capitolo del 1991.

Apertura nelle Filippine

il 4 gennaio 1988 il primo gruppo composto da tre missionari Comboniani guidati da p. Mario

Marchetti arrivò nelle Filippine. Mentre si prendevano un po’ di tempo per familiarizzarsi con la

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realtà del luogo, focalizzarono le loro riflessioni su di un programma di conscientizzazione

missionaria che avrebbe incluso la promozione vocazionale fra i giovani e la pubblicazione di

una rivista missionaria.

I padri stabilirono vari contatti e lavorarono alla promozione vocazionale dei giovani

principalmente nella Università di Manila dove si potevano trovare giovani provenienti dalle

diverse province.

Prima della fine dello stesso anno, il gruppo aveva stilato la prima parte del piano di lavoro:

la continuazione della promozione fra i giovani;

la pubblicazione di una rivista a marzo del 1989;

la fondazione del Postulato Comboniano nel 1990;

di conseguenza l’apertura di un noviziato nel 1992;

l’impegno alla prima evangelizzazione.

Il piano fu attuato più o meno nei tempi previsti. La rivista WORLD MISSION, in particolare

ebbe grande successo nella chiesa locale e fra i fedeli.

Un gruppo di cinque giovani laureati iniziarono il loro Postulato a giugno del 1990. Il nuovo

edificio chiamato ”Daniel Comboni Seminary” fu ufficialmente inaugurato il 12 gennaio 1991. A

giugno del 1991 un secondo gruppo di dieci giovani si unirono al postulato portando il numero

di postulanti a 14. (La prima professione di 6 filippini ebbe luogo il 6 maggio 1995).

A dicembre del 1990 la Direzione Generale scelse di fare PRIMA EVANGELIZZAZIONE fra la

popolazione cinese di MACAO. Un sacerdote Comboniano fu dapprima nominato a quel territorio

nel 1990 seguito da altri due nominati dalla Consulta del marzo del 1991. A gennaio 1991 uno

di loro iniziò ad imparare il cinese a Hong Kong, e a luglio fu affittato un appartamento dove

essi potevano alloggiare.

Nuova residenza provinciale in Sud Africa

Dopo la chiusura di High Over, p. Franz Koch trasferì la residenza a Maria Trost (1968- 1973).

I suoi successori p. Konrad Metzger (1974 –1977), p. Alois Weiss (1978 – 1980), p. Gebhard

Smith (1980-1986) vissero anch’essi a Maria Trost. P. Meier, Superiore provinciale (1986-

1992) inizialmente acquistò la residenza a Bronkhorstspruit nella Diocesi di Pretoria ma poi,

molto saggiamente spostò la residenza a Johannesburg dove si trova tutt’ora.

Testimoni

P. GIUSEPPE AMBROSOLI: servo di Dio. Ronago (Como) 1923 – Lira Uganda 27/03/1987.

Molto si è detto ed ancora più, forse, si dirà. P. Giuseppe, infatti è una di quelle figure di

missionario che hanno lasciato il segno. Il segno del passaggio di Dio. Tra le tantissime

testimonianze arrivate-dice il Postulatore p. Arnaldo Baritussio- non ce n’è una, dico una, che si

discosti dal riconoscere la genuina santità di questo nostro confratello. Perfino chi gli è vissuto

accanto per 23 anni di seguito come è capitato al medico e sacerdote don Palmiro Donini: egli è

fermamente convinto dell’esercizio eroico di alcune virtù come la povertà, la disponibilità, lo spirito

di servizio, la fortezza, la carità, la purezza, l’obbedienza…da parte di p. Giuseppe.

L’abbondanza del suo amore per Dio si riversava al suo vicino senza esclusione. Non criticava

mai nessuno, neanche il governo Ugandese quando gli fu ordinato di evacuare l’ospedale. Non

gli piaceva neanche che altri criticassero. Era appena arrivato al seminario di Gulu quando, un

giorno a tavola, i professori fecero delle critiche a proposito di certe attività di certi altri

missionari. Il nuovo arrivato ebbe il coraggio di dire, con una certa riluttanza: “ Sono arrivato

ad una comunità di malevoli religiosi” (Conventus Maligantium) “. Trovava sempre un modo

per scusare gli altri mettendo in luce le loro buone qualità.

P. Giuseppe visse il suo sacerdozio appieno e la sua professione di medico con eccezionale

dedizione. Queste sue qualità sono sottolineate da mons. Renato Conti, Vicario generale della

diocesi di Milano, e viene descritta nella sua biografia a causa dei suoi profondi contenuti teologici.

Credo, comunque che sia il caso di riportala qui. E’ intitolata “ Il Gesù Cristo di p. Ambrosoli ”.

“ Aggiungerei un’osservazione - scrive Monsignore Renato Conti - che è relativa a ciò che è

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stato chiamato “ il Gesù Cristo di p. Ambrodsoli”. Il segreto è stato indicato nella scoperta,

avvenuta nella sua vita, di Dio, di Gesù, del Vangelo, del Regno a cui ogni uomo è chiamato.

Dobbiamo riconoscere che tutta l’esistenza di p. Giuseppe è stata un potente segno di un Altro,

di Dio-amore. Ora a me pare valga la pena riflettere un istante sulle modalità fondamentali

attraverso le quali la Chiesa rivela Dio partendo dal principio che la vocazione e la missione

della chiesa consistono proprio in questo: svelare il volto di Dio-amore.

E’ decisivo riconoscere che Cristo vive la missione nella passione e nella morte. Anche per p.

Ambrosoli la missione raggiunge il culmine quando gli è domandato di sacrificare tutto.

La distruzione dell’ospedale non è stata per p. Ambrosoli un problema, perché lavorava solo

per Dio e per la sua gente. Il suo atteggiamento nei confronti di Dio è stato espresso con le

parole: “ Quello che Dio vuole non è mai troppo”.

Se si aggiunge poi il riferimento al Comboni e al suo senso della croce, ai martiri dell’Uganda di

cui si era appena celebrato il primo centenario, siamo in pieno nell’espressione più viva della

testimonianza. E’ a questo livello che p. Ambrosoli somiglia a Gesù, al Fondatore del suo

Istituto, ai martiri e che la sua esperienza di fede si realizza al sommo grado. I santi sono

l’esegesi più viva del vangelo, Ambrosoli lo ha dimostrato. P. Giuseppe, perciò, ci inserisce in

una nuova realtà di vita di Chiesa. Egli ci costringe ad uscire dai nostri schemi e dalle nostre

autodifese per riflettere sulla nostra vita in rapporto al Vangelo. P. Giuseppe è una

testimonianza, un sentiero percorso, una dimostrazione che le Beatitudini sono possibili, tanto

è vero che egli le ha vissute.

Vorrei dire ai giovani di non guardarsi allo specchio facendo di se stessi la misura, ma di

specchiarsi in coloro che probabilmente hanno fatto un po’ di strada più lunga o sono andati

più a fondo nel Vangelo per comprendere in quale maniera, come e dove Dio chiama.”

Vengo a cercare Dio. Giuseppe Ambrosoli aveva parlato della sua vocazione con p. Simone

Zanoner, che si trovava a Rebbio, e poi con p. Antonio Todesco, generale dei comboniani al

quale scrisse: “ vengo a cercare Dio”. La ricerca di Dio sarà l’impegno costante durante il

noviziato e in tutto il resto della sua vita. A Gozzano, Giuseppe si rese conto che la vita del

missionario era piuttosto dura. La sede del noviziato ne era un antipasto.

Medico in Uganda. Il 9 settembre 1953 emise i voti temporanei e andò a Venegono Superiore

per la teologia. Dovunque si è fatto notare per la squisita carità nei confronti degli ammalati

per i quali aveva sentimenti delicatissimi. Sfruttava i tempi liberi per frequentare gli ospedali

onde imparare l’arte chirurgica. Previa dispensa, il 9 settembre 1955, emise i voti perpetui, e

con un’altra dispensa, poté essere ordinato sacerdote all’inizio del quarto anno di teologia (17

dicembre 1955). Il motivo di tanta fretta: l’urgenza di avere un medico in Uganda per

l’ospedale che mons. Cesana intendeva fondare a Gulu. Egli completò il suo quarto anno di

teologia con un corso privato nel Seminario Maggiore della diocesi di Gulu in località Lacor.

Quello che Dio vuole non è mai troppo. Nessuno avrebbe immaginato che i quasi 23 anni di

vita missionaria a Kalongo, caratterizzati dalla più completa dedizione e grande amore per gli

africani, sarebbero terminati con lo sgombero dell’ospedale e con l’apparente distruzione di un

lavoro lungo e laborioso.

A questo punto il lettore apprezzerà la testimonianza di chi scrive.

Nella cappella del Noviziato di Namugongo ci sono delle finestre con le immagini dei padri

uccisi in Uganda. Fra di loro c’è anche p. Ambrosoli. Gli altri furono uccisi dai soldati ribelli, p.

Ambrosoli fu ucciso dalla sua generosità ed amore per gli africani.

Io mi trovavo in Italia, a Venegono vicino a Ronago per trattamenti medici e fu lì che incontrai

p. Ambrosoli, il quale mi suggerì di recarmi presso il suo medico, Dott. Teruzzi, per le cure

mediche del caso. Il medico mi disse che il padre aveva solo un rene che funzionava solo a

metà. Lo lasciò tornare a Kalongo a malincuore. Dopo la morte di p. Giuseppe, molti medici e

missionari rimproverarono il dr. Teruzzi dicendo che egli non avrebbe dovuto permettere che

tornasse in Africa, ma il medico replicò che p. Giuseppe insisté così tanto che se non gli fosse

stato permesso di tornare la sua fibra morale ne avrebbe risentito tanto da rendere inutili le

cure. Comunque, gli aveva permesso il rientro a certe condizioni: lavorare in piedi solo quattro

ore al giorno, restare a letto per 10 ore, evitare di affaticarsi, e se doveva spostarsi avrebbe

dovuto usare l’ambulanza dell’ospedale.

Il governo ordinò di chiudere l’ospedale per evitare che i ribelli ne potessero usufruire. P.

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Ambrosoli dovette raccogliere quello che poté, sia dall’ospedale che dalla missione. Lavorò per

tre giorni poi si mise in cammino verso la missione di Lira distante 80 chilometri su strade

dissestate. Durante il viaggio furono presi di mira dai ribelli che sparavano a tutti. Il vescovo

Cesana ebbe un attacco cardiaco ed una donna partorì sotto un camion. Da Lira, dove lasciò

tutto quanto aveva salvato dell’ospedale, andò a Kampala con altri sacerdoti e fratelli che

partirono per l’Italia. Noi insistemmo che anche lui se ne dovesse andare. Egli rispose che il

corso per ostetriche non era ancora finito e dovevano finirlo entro maggio altrimenti non

avrebbero potuto sostenere gli esami finali. Andò ad Arua con l’aereo e da lì in auto fino a

Angal e poi di nuovo ad Arua (150 Km). Da Kampala andò a Lira in camion per altri 340 km,

senza contare lo stress al quale fu sottoposto.

Domenica 22 marzo andò a letto con la febbre. A causa delle attività dei ribelli, le strade non

erano sicure così il Dott. Corti da Gulu gli dava consigli via radio, aveva forse la Malaria? Il

lunedì sera le Suore infermiere di Lira mandarono un messaggio a Kampala chiedendo di

essere pronti a mandare un elicottero che avrebbero confermato il giorno successivo. Il

martedì p. Ambrosoli migliorò ma il giovedì sera le suore chiesero che fosse mandato

l’elicottero. Riuscimmo ad avere un elicottero militare solo il venerdì. Quando la mattina del

venerdì le suore dissero al Padre che stava arrivando l’elicottero egli disse “ Tropo tardi”.

Era il prezzo della guerra. P. Ambrosoli accettò quel calice amaro con la sua caratteristica fede:

“ Dobbiamo tutti essere convinti che tutto questo sta succedendo per il nostro bene”.Era

pronto per il paradiso: Molti hanno paura del passare degli anni, disse. Per noi deve essere

causa di gioia perché saremo più vicino alla Casa del Padre”.

Poi chiese a p. Marchetti di impartirgli l’estrema unzione e la Santa Comunione. Dopo di che

espresse il suo desiderio di essere sepolto in terra africana nel modo africano, avvolto soltanto

da un semplice lenzuolo. Il suo desiderio fu esaudito.

Morì serenamente. Le parole che colpirono coloro che gli si trovavano vicino furono quelle che

ripeteva continuamente nei momenti critici della sua vita: “Quello che Dio vuole non è mai

troppo”.

Fu sepolto nel cimitero di Lira. Sulla sua tomba non sono infrequenti rappacificazioni e perdoni.

Quando fu riaperta la missione, il suo corpo fu trasferito al cimitero di Kalongo vicino

all’ospedale. Un monumento commemora questo nostro confratello e l’ospedale porta il suo

nome.

FRATEL MATIAS OBERPARLEITER: una perla preziosa: incarnava la pazienza. Tesselberg

(Bolzano) 6/8/1936 – Ellwangen 2/3/90.

I medici scoprirono che era malato di cancro al pancreas nel 1989. La chirurgia fu inutile.

Sopportò il dolore della malattia con pazienza e fortitudine. Il modo in cui portava la croce che

il Signore gli aveva dato, fu un esempio per tutti. Come nostro Signore sul Calvario, egli

dovette lottare per dire: “ Signore che sia fatta la tua volontà”. Ritenne di avere avuto una

particolare grazia in quanto poteva prepararsi alla morte con intensa preparazione.

Lavorò nella fattoria in Spagna per 15 anni. Naturalmente era la personificazione della

pazienza. Nel 1976 andò a Moshi in Tanzania per aiutare gli Apostoli di Gesù responsabile della

fattoria di questo giovane Istituto africano. Vi lavorò per quattro anni con i postulanti ed i

novizi. Coloro che hanno lavorato con questi giovani sanno che occorre avere molta pazienza.

Riscosse l’ammirazione dei padri e dei fratelli per la sua dedizione ed il duro lavoro che svolgeva.

Capivano quanto egli amava quei giovani e come loro ricambiavano con rispetto e simpatia.

Nel 1980 fu trasferito alla Procura inter-provinciale di Nairobi, responsabile per l’acquisto e le

spedizioni di cibo, utensili, indumenti, pezzi di ricambio e quant’altro fosse necessario per le

missioni del Kenya, Uganda e Sud Sudan. Cercava pazientemente di esaudire tutte le richieste

dei confratelli con la massima sollecitudine. I confratelli che dovevano fare affidamento sulla

procura di Nairobi per i loro approvvigionamenti lo stimavano molto.

Anche se era a conoscenza delle grandi difficoltà e pericoli del Sud Sudan, egli avrebbe voluto

tornarci una seconda volta, ma questo, purtroppo non poté avverarsi.

I confratelli di Josefstal dicevano di lui: “ La nostra casa è stata benedetta con una perla preziosa,

un tesoro.”. mentre lo accompagnavano nella sua malattia con quanta carità possibile.

Fratel Mathias era una persona equilibrata e serena. Nella comunità egli era colui che

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pacificava tutti. Chiunque si trovasse vicino a lui si sentiva meglio. Visse con gioia e con pieno

coinvolgimento nella sua vocazione missionaria. Il suo sorriso incoraggiante e sempre presente

aiutò molte persone. Era un uomo di principi e di poche parole. Faceva il suo dovere

diligentemente e responsabilmente. Possa riposare in pace.

LE SUORE COMBONIANE

XV Capitolo Generale: Roma 1986

Elezioni:

Madre Giuseppina Tresoldi - Superiora

Suor Bianca Maria Dughi - Vicaria generale

Suor Maria Rosaria Gallo - Assistente

Suor M. Filomena Di Nello - Assistente

Suor Teresa Irene Yago April - Assistente

Due eventi segnarono il Capitolo.

Primo: Una Santa messa con il Papa nella sua Cappella privata; un momento di rara emozione.

Secondo: La liberazione di due Suore, le quali cinque mesi prima erano state rapite dai ribelli

nel Mozambico: Suor M. da Piedade de Jesus Figuera e Suor Alma Lomboni.

Una decisione importante presa durante questo capitolo fu la revisione delle regole.

In seguito fu istituita una commissione per rivedere il testo e lo stile del Capitolo, cosicché nel

periodo ’86-’92 la Regola di Vita fu vissuta serenamente.

In questo spirito, fu approntato un libro “ Guida alla Preghiera” che non sostituiva la Liturgia

delle Ore era piuttosto diretto a celebrazioni tradizionali conformi alla spiritualità dell’Istituto e

che erano state messe da parte nel periodo reazionario post-Vaticano.

A giugno del 1992, le suore erano, in totale, 1969: 106 VT e 1863 VP. L’Istituto operava in 27

nazioni. Il 27° essendo Costa Rica che aprì nel 1991 per l’animazione missionaria.

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CAPITOLO DICIOTTESIMO

Quattordicesimo Capitolo Generale 1991

QUATTORDICESMO CAPITOLO GENERALE (ROMA 1991)

Membri dell’Istituto: 1.818; 14 prelati; 1.301 sacerdoti; 345 fratelli; 158 scolastici

Elezioni

P. David Glenday, Superiore Generale;

P: Vittorio Moretto, Vicario Generale;

Fratel Casar R. Guillermo; p. Casilllas H. Manuel; p. Giuseppe Filippi

P. DAVID KINNEAR GLENDAY. Bombay (India) 25/9/1949.

Suo padre, Thomas Kinnear Glenday era un ingegnere marino scozzese. Sua madre Anne

Josephine Breen, era infermiera presso l’ospedale Queen Alexandra Royal Army Navy Corp. Ha

un fratello, Michael nato a Bombay il 9 marzo 1952.

Si stabilì nella sua città di Dundee in Scozia; il suo primo contatto con i missionari Comboniani fu

nel 1958 in risposta ad una loro inserzione su “The Universe”, un giornale cattolico a diffusione

nazionale. Si tenne in contatto ed entrò nel St. Peter Claver College di Mirfield il 17 settembre

1962.

Prese i voti il 23 maggio 1972. Durante il suo scolasticato ad Elstree, nel 1974, gli fu permesso

di recarsi in Uganda per un anno di esperienza pastorale durante il quale insegnò religione

nella nostra scuola a Layibi.

A settembre del 1975 tornò ad Elstree e al Missionary Institute London (MIL) per completare il

corso di teologia. In questo periodo pubblicò diversi articoli su svariati argomenti su riviste bibliche,

liturgiche e antropologiche. Vinse anche un premio per la migliore composizione in inglese.

Fu ordinato sacerdote il 16 aprile del 1977 a Dundee. Il suo primo incarico fu come formatore

dei postulanti della provincia di Londra studiando, nel contempo, per un Master in teologia

sistematica presso l’Heythrop College University of London, laureandosi in teologia generale

due anni dopo.

Nel 1982 fu mandato in Uganda e dopo un anno di lavoro pastorale a Gulu fu nominato Editore

della rivista “ Leadership” a Kampala. Nel 1987 fu nominato Superiore Provinciale per la

Provincia di Londra dove rimase fino al 1991 quando fu eletto Superiore Generale. Durante il

suo mandato fu nominato membro de Consiglio Supremo dello SCEP (ex propaganda Fide).

Il 2 marzo 1994 fu nominato membro dell’Assemblea Speciale e del Sinodo per l’Africa. Il 1

gennaio 1998, alla fine del suo mandato fu destinato alla delegazione dell’Asia. Attualmente

egli è Vice Delegato.

Un uomo determinato e con idee chiare; può dare l’impressione di evitare il dialogo. Prese le

sue responsabilità come Superiore Generale molto seriamente ma questo non gli impedì di

creare una rilevante e lodevole solidarietà fra i membri della sua Consulta.

Conserva un’ottima reputazione fra i Superiori Generali di diversi Istituti e i suoi collaboratori

più stretti.

Relazione del Consiglio Generale

E’ una relazione molto esauriente e obiettiva divisa in tre parti introdotta da un preambolo.

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Preambolo – lo Spirito Santo

Il preambolo sottolinea come lo Spirito Santo sia il protagonista della missione e come il Regno

di Dio sia prima di tutto un dono dell’amore misericordioso e liberale del Padre, che

gradatamente penetra e trasforma la storia. Noi non siamo i protagonisti della venuta del

Regno, e della missione ma solo “ co-operatori” (RV 56). Questa visone di fede è necessaria

per comprendere le dinamiche interiori della missione.

Parte Prima – Eventi Storici

L’Istituto non è un corpo isolato, esso condivide la storia del mondo e della Chiesa. Perciò, la

prima parte racconta gli eventi storici che hanno caratterizzato ed hanno influito su questo

sessennio nelle nostre missioni e nella nostra vita, in particolare nei continenti e nelle nazioni

dove siamo presenti e dove lavoriamo. Dobbiamo qui ricordare i molti aspetti socio-politici che

influenzano il terzo mondo in generale e le relazioni fra il nord ed il sud, i ricchi ed i poveri…

Avvenimenti importanti nella chiesa che hanno influenzato la vita della comunità cristiana,

come l’aumento di gruppi di persone non ancora evangelizzate e i mutamenti avvenuti nelle

missioni a causa di rapidi cambiamenti socio-politici e culturali.

I movimenti ecclesiali, la crescita dei laici missionari, la rapida espansione delle sette, i

ministeri ecclesiali sono anch’essi fattori che apportano cambiamenti sostanziali nella nostra

metodologia e che dettano l’aggiornamento della nostra formazione sia di base che continua.

Parte Seconda – Il Carisma del Fondatore

La seconda parte si sofferma sulla qualità della vita e servizio missionario dei missionari

Comboniani, con particolare attenzione sul modo in cui il Carisma del Fondatore viene

attualizzato. Questo è lo scopo principale del capitolo (RV 146). Perciò, questa parte

presenterà la vita di preghiera, la vita comunitaria, la vita consacrata e il servizio missionario.

Presenterà anche informazioni sul personale: età, umori, la collaborazione e complementarietà

fra i fratelli e i sacerdoti, il delicato e complesso problema della perseveranza. La crescente

consapevolezza del carisma di Comboni è giudicato positivamente, benché la teologia del

carisma non sia ancora penetrato in molti di noi. Due sessioni congiunte a livello continentale,

America (1990) ed Africa (1991) hanno dato del materiale sul quale poter lavorare, a coloro

che vogliano approfondire le problematiche.

La pubblicazione in diverse lingue di “ La Spiritualità del Comboni” da parte di un padre non

Comboniano, p. Lozano, professore di Spiritualità ha contribuito notevolmente alla conoscenza

del Comboni. Nel novembre del 1966, i Maestri dei Novizi tennero una riunione a Roma durata

dieci giorni sulla RV e come testo fondamentale per il cammino di identificazione spirituale con

l’Istituto durante il Noviziato. Non è stato possibile finire il commento sulla RV ma è stato

raccolto molto materiale utile.

I ritiri spirituali con contenuti comboniani sono moltiplicati. Quei confratelli che possono gestire

i contenuti dei ritiri specificamente comboniani e sulla RV hanno approfittato del corso per

predicatori dei ritiri comboniani tenuto a Pesaro dal 28 dicembre 1986 al 6 gennaio 1987.

Questo tipo di ritiri fu ben ricevuto e furono tenuti corsi in quasi tutte le Province.

Le Suore Comboniane, le Missionarie secolari Comboniane e gruppi laici che chiedono di vivere il

nostro spirito missionario e spiritualità, sono anch’essi una sfida che non dobbiamo sottovalutare.

Un importante contributo alla spiritualità di Comboni è stato dato dall’appoggio attivo alla

teologia e il culto dal Cuore trafitto del Buon Pastore attraverso studi specifici come lauree, tesi

e licenze, nonché pubblicazioni popolari. Siamo anche attivamente impegnati nella promozione

di incontri di spiritualità fra gli istituti consacrati al Sacro Cuore di Cristo per incoraggiare la

formazione di base e quella continua dei membri degli Istituti.

Un aspetto negativo

Si parla di un aspetto negativo che ricompare in tutti i Capitoli e assemblee intercapitolari:

Per un buon numero dei nostri confratelli gli scritti del Comboni sono solo un punto di

riferimento marginale; non contribuiscono in modo significativo alle loro attività missionarie e

la loro spiritualità.

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Molti considerano la RV soltanto uno strumento giuridico e non la via concreta della nostra

“sequela Cristi “come seguaci di Comboni (sequela).

Un altro punto che viene discusso ad ogni Capitolo è la preghiera personale. Ci sono stati,

nell’insieme, dei miglioramenti, ma ci sono ancora segni che la preghiera personale è vissuta in

modo inadeguato.

La vita consacrata

Per quanto riguarda la vita consacrata, la relazione individua aspetti sia positivi che negativi

comuni, comunque, ad altri Capitoli ed assemblee.

L’OBBEDIENZA merita una riflessione speciale. Riportiamo, qui, l’intera pagina in quanto

l’obbedienza ben vissuta è garanzia per il mantenimento degli altri voti, in quanto tutte le

violazioni fatte contro di esse vanno contro l’uno o l’altro dei precetti dell’obbedienza al

Vangelo, alla RV ed ai Superiori. E’ anche il segreto che rende positiva la vita comunitaria

come descritta nella relazione in questione.

Qui di seguito una lunga citazione circa l’obbedienza:

Aspetti positivi:

E’ spesso edificante la disponibilità della grande maggioranza dei confratelli all’obbedienza, alla

rotazione, a lavorare in situazioni missionarie veramente difficili. Sta crescendo la disponibilità

ad accettare il discernimento comunitario e a integrare e rivedere i propri punti di vista con

quelli degli altri, anche se l’individualismo resta ancora un problema. La “missione” sta

diventando sempre meno progetto di un individuo e sempre più il risultato di un’azione

comunitaria.

Maggiore sensibilità a leggere i segni dei tempi, come conseguenza della terza priorità sulla

presenza e assenza dei valori del Regno del Dio, Gesù Cristo.

Maggiore regolarità nei consigli di comunità, per discernere, valutare, orientare la comunità.

Si è sviluppato anche il senso della programmazione.

E’ migliorata la capacità di inserirsi nei piani diocesani (Obbedienza ecclesiale RV 66).

E’ migliorata l’accettazione del ruolo del superiore nella vita comunitaria e nel discernimento.

Si è diffusa la pratica della carta della comunità.

Aspetti negativi

E’ abbastanza forte in alcuni la mentalità, sostenuta anche dalla cultura corrente, di vedere la

missione come “ andare a fare un’esperienza” secondo i propri gusti e criteri, con attenzione

più a se stessi che agli effettivi bisogni della gente e dell’evangelizzazione.

Difficoltà ad accettare la metodologia e le linee programmatiche dell’Istituto e della Provincia.

Alcune incardinazioni sono dovute alla mancanza di obbedienza. Alcuni hanno cercato il

Vescovo che permetteva di realizzare quello che desideravano.

Una certa “disaffezione” e “sospetto” verso ciò che viene da Roma, sia dal “ Vaticano” che dalla

Direzione Generale.

La privacy come diritto assoluto: questo pone problemi alla vita religiosa: alcuni si risentono di

fronte al dover informare o rendere conto di cosa uno fa, dove va…; si pensa che il profondo

del cuore e le relazioni con la gente siano di competenza esclusivamente personale.

La tecnica del discernimento comunitario non è sufficientemente conosciuta e praticata.

Servizio Missionario

La relazione fa due importanti osservazioni:

“1. Sotto la spinta della crescente scoperta del Fondatore si è andata focalizzando la coscienza

della nostra specificità ad gentes, secondo il n. 5 e 13 della RV, ora accentuato anche

dall’enciclica Redemptoris Missio (cap.IV).

La nostra priorità per i gruppi umani non ancora evangelizzati; ciò ha portato alla consegna di

diverse opere, ove l’aspetto “ad gentes” era in fase di superamento, e all’apertura di altre con

tale caratteristica. L’apertura in Asia ne è l’espressione più chiara. In tale ricerca di fedeltà ai

gruppi umani non ancora evangelizzati non bisogna dimenticare che a volte il discernimento

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non è facile, non ci sono sempre linee di demarcazione chiare, come la stessa enciclica RM

sottolinea. A volte poi, il nostro criterio di discernimento e la nostra sensibilità differiscono

molto da quella dei vescovi e della gente locale, suscitando dolorose tensioni e incomprensioni.

2. E’ maturata notevolmente, come indicano le due assemblee continentali, l’attenzione alla

metodologia missionaria, anche se resta ancora molto da fare. L’impegno crescente dei consigli

provinciali nel seguire l’evangelizzazione e la promozione umana è garanzia di sviluppo positivo

(Cfr VSC 71-80)”.

Questo crescente impegno dovrebbe porre fine alla dicotomia spesso creata da alcuni

missionari fra la vita religiosa e l’impegno pastorale; tale comportamento è spesso un

incoraggiamento per alcuni missionari a lasciare l’Istituto per cercare l’incardinazione in una

diocesi. La consacrazione religiosa è, contrariamente a quanto si possa pensare, una magnifica

sorgente e strumento di evangelizzazione.

“ Situazioni martirio”

Siamo grati al Consiglio generale per la seguente dichiarazione:

“ E’ importante sottolineare l’enorme valore missionario della presenza di confratelli in zone ad

alto rischio, situazioni di totale isolamento, con assenza quasi totale di servizi medici, di

corrispondenza. Per condividere la vita della gente e con la gente i confratelli sono esposti ad

un logoramento fisico, psicologico e spirituale di autentico martirio. Sono presenze in “

situazioni martirio”. Un grazie profondo a Dio e ai confratelli per tale esempio” (p. 35).

Inculturazione

La seguente dichiarazione della Relazione necessita di un commento:

“ Non possiamo approvare l’atteggiamento dei missionari che dicono che l’inculturazione è

qualcosa che deve essere fatta dagli agenti pastorali locali e che non può venire dall’esterno.”

Se è vero, e siamo d’accordo, che l’inculturazione non può venire dall’esterno, è altrettanto

vero che un missionario che abbia lavorato e vissuto fra un popolo di una data cultura non può

essere definito un estraneo a tale cultura, non è un esterno. Il ruolo di questo missionario è di

importanza vitale nell’aiutare gli agenti pastorali locali a prendere consapevolezza della loro

cultura. Una persona attenta è capace di rilevare ed identificare elementi della cultura dove

vive e lavora. Aiuterà gli agenti pastorali ad analizzare gli elementi appartenenti alla cultura

locale ed a identificarne i valori sia positivi che negativi, giudicandolo non solo dal punto di

vista umano ma anche dal punto di vista del Vangelo. Tale missionario potrebbe essere di

grande utilità nel processo di inculturazione.

Il lavoro di inculturazione per quanto riguarda i valori umani dovrebbe essere il risultato di una

sincera cooperazione, disponibilità e fiducia reciproca fra i missionari e i sacerdoti locali. Agenti

pastorali locali che non tengono in considerazione le esperienze maturate dai missionari, e quei

missionari che da soli decidono cosa devono fare gli agenti pastorali, sono ambedue fuoristrada.

Il seguente fatto potrà chiarire quanto detto. Un ugandese, Joseph Kyagambiddwa, il cui

talento musicale fu scoperto dai missionari, fu mandato negli Stati Uniti per seguire corsi di

musica. Una volta approfondita la sua conoscenza della musica occidentale e orientale, egli

poté rendersi conto della differenza che c’era fra quella musica e quella del suo paese. Quando

tornò in patria scrisse un libro sulla musica Kiganda.

Compose l’ORATORIO per i martiri ugandesi che fu eseguito diverse volte a Roma con grande

successo e che fu descritto da esperti come un pezzo di autentica musica Bantu Kiganda.

Lo stesso principio vale per la cultura: si comprende la propria cultura e stile di vita quando

s’incontra e si comincia a capire un’altra.

Settore educativo

Un’altra affermazione chiarificatrice è la seguente:

“ Il nostro impegno nel settore educativo è non solo valido ma è un modo pratico e concreto per

portare avanti la promozione umana (Cfr. RV 61.4) profondamente radicata nella tradizione

dell’Istituto. Non dovrebbe essere messo da parte, particolarmente ai livelli più alti di formazione.”

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Ci fu un periodo allorché in alcune nazioni i missionari lasciarono in massa l’amministrazione

delle scuole cattoliche senza discriminare fra scuole elementari o secondarie. Per molti

missionari questo significò abbandonare le scuole. Molti le abbandonarono perché esse non

offrivano le opportunità di lavoro pastorale che pensavano.

Invece, tutte le scuole, specialmente quelle secondarie ed i collegi convitti, sono parrocchie

privilegiate dove la cura pastorale può arrivare ai singoli individui in modo molto più efficace di

quanto non lo faccia nei villaggi, dove ci si impiega più tempo e l’assistenza pastorale è più

sporadica, quello che conta è la continuità, non le visite brevi e sporadiche. Il personale deve

essere veramente preparato sia pastoralmente che professionalmente di modo che la sua

presenza nelle scuole sia una presenza significativa come il lievito nel pane.

Quanto sopra esposto si inserisce perfettamente con la seguente affermazione della relazione:

“ La RM, inoltre, facendo proprie le indicazioni già da tempo circolanti tra i missionari,

comboniani inclusi, scrive: “ Oggi, l’immagine della missione -ad gentes- sta forse cambiando:

luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove nascono i nuovi costumi e modelli di

vita. E’ vero che ‘ la scelta degli ultimi’ deve portare a non trascurare i gruppi umani più

emarginati e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccolo

gruppi trascurando i centri dove nasce, si può dire, una nuova umanità, con nuovi modelli di

sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città“.(RM p. 43)

Ed è nelle città, in particolare nelle scuole secondarie, dove si formano i nuovi e futuri leader.

Relazioni continentali

Per la rima volta i capitolari approntarono relazioni esaustive sull’Africa, l’America, l’Asia e

l’Europa. Qui di seguito trascrivo i punti salienti, eccettuata l’Asia già menzionata prima.

Africa

Segni di speranza

Nonostante grandi problemi possiamo ringraziare Dio per i segni positivi:

Il grido per avere strutture democratiche, sperando che, lentamente ciò aumenti la mentalità

democratica che si basa sul pieno rispetto dei diritti umani.

Il desiderio di, e l’attenzione data, ai valori culturali nella società e nelle chiese locali; qui

troviamo tendenze che mirano alla comunità di base e alla ricerca teologica.

L’aspetto della croce realizzatosi tramite il martirio di missionari comboniani ed altri missionari,

di catechisti e laici.

Possiamo aggiungere alla beatificazione di Isidore Bakaja (1994) la canonizzazione di

Josephine Bakhita (2000), del nostro Fondatore il vescovo Comboni (2003) e la beatificazione

di Daudi Okelo e di Jildo Irwa, ambedue ugandesi (2002).

Documenti originali e rilevanti a livello continentale (due SECAM-SCEAM) e a livello di

conferenza episcopali.

Problemi

I problemi sono troppi e per la maggior parte troppo difficili da risolvere; per altri ci vorrà del

tempo. Fra di essi:

La povertà della gente comune e il fenomeno universale dei periodi di crisi economica quando i

poveri diventano ancora più poveri e i ricchi ancora più ricchi, ambedue all’interno della società

nazionale e all’interno delle stesse nazioni; da qui pure le stridenti differenze fra il nord ed il

sud del mondo.

La povertà che cresce a causa dell’ analfabetismo, la corruzione, l’appropriazione indebita di

fondi pubblici, la disoccupazione, le guerriglie, le spese militari e quant’altro.

L’interferenza delle grandi potenze a livello sociale e economico, nella vita culturale che sprona

le giovani generazioni a prendere una strada senza ritorno alla ricerca della felicità che non

troverà mai e l’aumento della criminalità armata.

Il fondamentalismo islamico e settoriale che disturbano le società e sono spesso gli strumenti

usati per ambizioni politiche.

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Problemi di salute: nuovi tipi di malaria persistente, AIDS ecc.

La struttura delle Chiese Particolari è molto solida, ma il viaggio verso una Chiesa di

Comunione, di interiorizzazione, di valori ecclesiastici e soprannaturali, è appena iniziato.

Esiste ancora l’autoritarismo e il clericalismo. Il training in alcuni seminari e noviziati e le strutture

per la formazione continua lasciano ancora molto da desiderare. Alcune chiese non hanno un

testimone personale ed ecclesiastico di autentica vita cristiana, religiosa e sacerdotale.

Suggerimenti

Ai Consigli Generale Provinciali ed ai Consigli di Comunità vengono dati i seguenti suggerimenti:

Si esortano a compiere, in modo particolare, il loro dovere come richiesto dalla RV e i cinque

documenti del Capitolo.

Si esortano le comunità ad assomigliare di più a cenacoli di apostoli che comunità di lavoro che

spesso diventa attivismo; perciò servono più preghiere e fede nella presenza del Signore nelle

comunità religiose ed ecclesiastiche.

Concentrarsi di più sull’idea di “salvare l’Africa con l’Africa” per incoraggiare una Chiesa che sia

autosufficiente e che si possa amministrare e propagare da sola iniziando dalla base.

Si enfatizza l’importanza della formazione degli agenti pastorali e dei leader non soltanto nel

campo religioso ma anche in quello sociale, economico e politico.

L’opzione preferenziale per i poveri per la prima evangelizzazione.

Non è adesso l’ora dell’Africa?

Aggiunte

A completamento delle affermazioni sopra esposte vorrei aggiungere i seguenti punti:

LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA. Alcune nazioni africane seguirono tendenze socio-politiche

comuniste. Alcune le abbandonarono quasi subito come il Senegal e la Costa d’Avorio. Altre le

abbandonarono quando l’Unione Sovietica cessò di esistere.

Alcune di esse, però, stanno andando verso un capitalismo selvaggio.

La chiesa deve urgentemente occuparsi delle questioni sociali utilizzando l’insegnamento e la

pratica della Dottrina Sociale Cattolica.

Dopo tutto Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Centesimus Annus (1991) scrive:

“La ‘nuova evangelizzazione’ di cui ha urgentemente bisogno il mondo e che io stesso ho

spesso enfatizzato molte volte, deve includere fra i suoi elementi essenziali una proclamazione

della dottrina sociale della Chiesa. Come ai tempi di Papa Leone XIII, questa dottrina è ancora

valida a indicare il modo giusto per rispondere alle grandi sfide odierne, nel momento in cui le

ideologie vengono continuamente screditate. Adesso come allora, dobbiamo ripetere che non ci

potrà essere una genuina soluzione della “questione sociale” se non con il Vangelo, e che le

“cose nuove “ possono trovare nel Vangelo il contesto per essere capite e la giusta prospettiva

morale per giudicarle.” (n. 5)

“Perciò gli insegnamenti sociali della Chiesa sono di per sé un valido strumento di evangeliz-

zazione. Come tale proclamano Dio e il Suo mistero di salvezza in Cristo ad ogni essere umano e

per questa ragione rivelano l’uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa, si occupa di tutto

il resto: i diritti umani dell’individuo, ed in particolare delle “classi lavoratrici”, la famiglia e

l’istruzione, i doveri dello stato, l’organizzazione della società nazionale ed internazionale, la vita

economica, la cultura, la guerra e la pace, ed il rispetto per la vita dal momento del concepimento

fino alla morte.” (n. 54)

Troppi cattolici nella vita politica e sociale, ed anche professori di Scienze politiche alle

Università ignorano l’insegnamento sociale della Chiesa: colpa del clero?

LA POVERTÀ. La realtà della povertà in Africa è allarmante, questo stato di cose è espresso in un

articolo dell’African American Institute del dicembre 1994 pubblicato in “Africa Report “ dello

stesso mese ed anno.

“ Nel 1993 il sottosegretario del Tesoro del Governo USA presentò e evidenziò alla House of

Representatives (USA) che la povertà in Africa stava aumentando rapidamente. Il numero di

poveri è in ascesa e quelli che erano già indigenti stanno diventando ancora più poveri. Chiese

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che fosse fatto un cambiamento di rotta da parte delle istituzioni finanziare internazionali

(IFIS). Da quel momento gli USA stanno, con calma, discutendo la necessità di un

cambiamento nella loro politica africana.”

Nello stesso articolo l’UNICEF è citata perchè esprime la sua preoccupazione circa:

i milioni di poveri contadini che hanno pochissimo terreno da coltivare e che, negli ultimi anni

sono stati duramente colpiti da una politica creditizia molto restrittiva, con tagli all’estensione

di servizi, sottrazioni di sussidi sull’agricoltura, il deterioramento delle strade ed altre

infrastrutture; le paghe rurali che sono in genere stagnanti e il potere d’acquisto che è stato

ridotto dall’aumento del costo del cibo;

la sicurezza del raccolto dei campi e la produzione che sono diminuiti sensibilmente;

gli eventi che hanno portato all’importazione di cibo a buon mercato, hanno fatto in modo che

ne risentisse negativamente la produzione rurale locale; questo è avvenuto a causa della

liberalizzazione dei sistemi d’importazione;

tagli sulle spese reali pro capite nell’istruzione, risultante in un declino delle iscrizioni

scolastiche e la qualità della stessa istruzione, per esempio, nell’Africa sub sahariana, le

iscrizioni scolastiche erano dell’80% nel 1980 e del 69% nel 1990;

tagli sulle spese reali pro capite per la salute risultante in un aumento delle morti, per esempio,

Oxfam cita lo Zimbawe dove si paga un ticket per usufruire dei servizi sanitari,il numero delle

mamme che morirono dando alla luce i bimbi fu triplicato all’ospedale Harare Central Hospital. C’è

anche stata una fuga di cervelli per via dei salari troppo bassi. Tutto questo senza parlare

dell’assenteismo, dell’inefficienza, la corruzione e chi più ne ha più ne metta. Cosa dire poi del

ritorno delle malattie infettive come la febbre gialla, la malaria, il colera.

Stranamente quest’articolo non parla dell’AIDS come malattia infettiva, la quale, in poco tempo

ha infettato milioni di africani.

America

Segni di speranza

Le organizzazioni popolari hanno incoraggiato la fraternità e la solidarietà nel campo socio-

politico e economico; questo fenomeno è di notevole aiuto per la gente comune nel loro

cammino per diventare protagonisti responsabili del loro destino.

Sia il clero che i laici, uomini e donne, vivono nella Chiesa responsabilmente; le vocazioni e lo

spirito missionario sono il podio dal quale la Chiesa proclama e denuncia l’aumento delle

ingiustizie.

Problemi

Economici e politici, problemi sociali, la dipendenza dalle situazioni internazionali sono più o

meno come quelli africani.

Problemi specifici sono: grandi estese di terreni in mano a pochi di modo che la servitù dei

poveri è sempre la stessa.

L’urbanizzazione: in alcune nazioni il 70 o 80 % della popolazione vive in grandi città spesso in

quartiere di baracche in condizioni disumane.

In alcuni casi vige la violenza delle forze armate, la polizia ed unità locali aggiungono la paura

all’angoscia dei “ disaparecidos”, il terrorismo della droga, le esecuzioni extragiudiziali ecc.

stanno aumentando.

Il problema delle sette è molto più acuto che in Africa data la vicinanza delle sorgenti, cioè gli

Stati Uniti e i mezzi finanziari disponibili.

Suggerimenti

L’approccio ai problemi sopra esposti da parte dei Capitolari provenienti dall’America è simile a

quello dei Capitolari africani. Viene, però, sottolineato un problema, e cioè come vivere l’internazio-

nalità, la globalizzazione nell’Istituto e nelle nostre comunità: è una sfida da considerare non dal

punto di vista dei numeri, ma dal punto di vista di mentalità, di franchezza e di vero amore verso

tutti senza discriminazioni.

Suggerimenti ricorrenti sono la necessità di:

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approfondire la relazione fra la spiritualità di Comboni e la metodologia missionaria con quella

latino americana;

approfondire il significato di liberazione totale o integrale della persona umana nel contesto

ben definito del significato dell’evangelizzazione: non tutti i confratelli hanno le idee chiare su

questo argomento, “Evangelii Nuntiandi” è sempre una valida risposta.

L’Europa

I problemi dell’Europa sono differenti da quelli dell’Africa o dell’America, anche da nazione a

nazione. Ciò nonostante, ci sono delle questioni comuni a tutta l’Europa occidentale.

Segni di speranza

Segni di speranza vengono da gruppi impegnati. La maggioranza dei giovani abbandona la

Chiesa, le pratiche religiose e i Sacramenti. Molti che ancora li praticano forse lo fanno più sul

piano culturale che spirituale.

C’è però il lievito come dimostra l’aumento dell’interesse nella persona di Cristo nei membri dei

movimenti ecclesiali, nell’aumento dell’impegno di missionari laici e nell’interesse di alcune

diocesi nel personale e nelle finanze di alcune missioni (gemellaggi con le diocesi d’Africa e

d’America con tutti i pro ed i contro di tali iniziative).

Problemi

Scarso successo nella promozione vocazionale e di conseguenza nelle professioni e ordinazioni.

Immigranti provenienti dal sud: problemi connessi con alloggi ed assistenza; qualche specifica

nostra responsabilità?

la rotazione con i relativi vantaggi e svantaggi.

I Fratelli Comboniani: numerosi problemi inerenti alla loro formazione specie nei CIF.

Membri associati (DSP)e vocazioni dei missionari laici.

Assistenza agli anziani ed ammalati.

In alcune province la cura di casi particolari di membri eccentrici.

Suggerimenti

Approfondire l’Enciclica “ Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II.

Studiare l’insegnamento sociale della Chiesa per far sì che i cristiani si rendano conto delle

ingiustizie del mondo vis-à-vis il Vangelo.

L’incoraggiamento dei missionari laici comboniani.

Gli scolasticati devono continuare ad essere intercontinentali, senza esagerare: cioè evitare

che siano presenti troppe nazionalità.

I sacerdoti ed i fratelli dovrebbero partire per le missioni appena possibile dopo la loro

ordinazione o professione.

Atti capitolari

In un certo senso questi atti sono più importanti delle relazioni, nel senso che sono un programma

per tutti i membri dell’Istituto ed in particolare per i sei anni a venire.

La commissione preparatoria aveva preparato 8 bozze per tre argomenti:

La revisione degli impegni.

L’internazionalità.

La metodologia missionaria.

Il capitolo, però, decise di trattare argomenti differenti.

Prima di tutti i capitolari identificarono il PUNTO FOCALE dal quale tutti gli altri argomenti

derivano, cioè: “ Con Daniele Comboni Oggi” e descritto con: MISSIONE/CARISMA –

CARISMA/MISSIONE.

Missione/Carisma focalizza sul SERVIZIO che diamo alla Chiesa. Carisma/ Missione focalizza

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sulla SORGENTE del servizio missionario.

Il Carisma difatti ci viene donato nello stesso momento in cui ci è data la vita: questa è la

chiamata. La missione è prima di tutto nella intenzione di Dio che ci dà il Carisma per rendere

un servizio, per una missione.

Linee d’azione

Come linee d’AZIONE abbiamo l’esperienza del nostro Fondatore che ci indica la luce e la via, e

di conseguenza le linee d’azione da seguire:

la Spiritualità Comboniana.

La comunità missionaria Comboniana.

La formazione di base e continua.

I campi di lavoro

La metodologia missionaria Comboniana.

Consigli pratici

Le cinque vie dovettero essere scritte senza avere prima una bozza a parte quella riguardante

la metodologia. Forse l’attenzione dei Capitolari era venuta meno.

Se si eccettua la prima via sulla “ Spiritualità Comboniana”, le altre non vanno oltre il

contenuto della RV. Ciò nonostante, offrono tutte grandi vantaggi con i“CONSIGLI “,

suggerimenti per azioni da intraprendere. Un ottimo ed illuminante suggerimento viene dato

sulla prima via ai n. 25-27 che riportiamo qui di seguito:

“ Per vivere la dimensione missionaria che deriva dal Cuore di Cristo, esortiamo le Province e le

comunità a promuovere iniziative che siano testimoni della solidarietà con “ i più poveri e più

abbandonati”: giorni di digiuno, preghiere per la giustizia, un maggiore componente

missionario nelle celebrazioni tradizionali del Cuore di Gesù.

Eventi politici ed economici, la violenza, la sofferenza che affliggono i poveri devono diventare

oggetto di discernimento alla luce del Vangelo, e sorgente di preghiere per i missionari.

Si devono aiutare quei confratelli i quali optano, come comunità per uno stile di vita più

contemplativa al servizio della missione.”

Formazione

Ai provinciali ed al Consiglio generale vengono date indicazioni sul programma di attività da

svolgere. Degni di attenzione sono quelli per la FORMAZIONE DI BASE E CONTINUA.

A proposito della formazione; alcuni capitolari volevano discutere le strutture ed i contenuti

dell’intero sistema di formazione, mentre altri erano di parere opposto: questi ultime

pensavano che i primi volessero mettere in discussione l’intero contenuto del sistema e delle

strutture della formazione, ma non era così. Dopo tutto il Segretario Generale per la

formazione si era lamentato del:

“ … il modo precario con cui si pratica la promozione vocazionale, ed a volte anche la stessa

formazione e la mancanza di formatori preparati.”

Campi di lavoro

Nel documento relativo ai CAMPI D’AZIONE si rilevano i seguenti punti:

ASIA – Le Filippine:

Consolidare e rafforzare l’animazione missionaria e la formazione di base (per es. i Noviziati).

Sostenere il progetto di evangelizzazione a Macao seguendo le linee guida per la prima

evangelizzazione. Fare particolare attenzione alle culture e al dialogo inter-religioso.

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EUROPA

Investigare le possibilità di fare animazione missionaria “ ad gentes” nell’Europa orientale,

incoraggiando le province europee, specialmente il DSP, di seguirne gli sviluppi.

La presenza in Polonia: La progressiva consolidazione della nostra presenza.

“ La Nuova era missionaria”

Riportiamo inoltre, le CONCLUSIONI del documento principale “ LA NUOVA ERA MISSIONARIA”:

“ Mai come adesso, la Chiesa ha avuto la possibilità di portare il Vangelo, con la testimonianza

e la parola, a tutti i popoli ed a tutte le nazioni. Vediamo l’alba di una nuova era missionaria

(Cfr. RM 92)

Lodiamo il Signore per questo periodi di grazia per la realtà odierna e per il carisma che ha

concesso a Comboni.

La presenza viva del Fondatore ci viene rivelata attraverso la vita dei confratelli che svolgono il

loro lavoro, dai vecchi ed i malati, da tutti coloro che sono coinvolti in situazioni d’emergenza

nella storia di sofferenza dei popoli, e ci impone di proclamare il vangelo con franchezza ed

entusiasmo.”

SUORE COMBONIANE

XVI Capitolo generale 1992

Elezioni:

Madre Mariangela Sardi - Superiora Generale

Suore Pilar Justo y Bragado - Vicaria generale

Suor M. Libanos Ayele - Assistente

Suor Franca Fusato - Assistente

Suor Giovanna Sguazza - Assistente

Come di consueto il Capitolo iniziò con la relazione del Consiglio Generale eletto nel 1986. Uno

dei punti mi ha particolarmente colpito e voglio, qui, portarlo all’attenzione dei lettori. Riguarda

la povertà. Mentre la relazione loda molte suore per la loro fedeltà ai voti, specie a quello della

povertà, la relazione sottolinea l’inizio di un comportamento non corrispondente all’osservanza

di questo voto:

Troppe e ripetute assenza dalla comunità senza averne valide ragioni.

Desiderio smodato di oggetti personali e comunitari.

Richieste ed uso delle offerte contrariamente a quanto stabilito nelle priorità della RV e dalla

comunità.

Alla fine dei sei anni di servizio (1998), la situazione riguardante il personale era la seguente:

Suore Professe: 1815; Voti perpetui: 1707; Voti temporanei: 108.

Alla fine del 1992 le suore professe erano 1969. Nel 2000: 1793.

La loro presenza in 31 nazioni:

Africa 793 suore in 13 nazioni

America 176 suore in 7 nazioni

Asia 72 suore in 5 nazioni

Europa 771 suore in 6 nazioni

Nel 1998 ci furono 99 nuove professe, 25 lasciarono l’Istituto, 229 morirono.

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L’alto numero di suore che si riscontra in Europa è dovuto, per la maggior parte a coloro che

sono in pensione, sia per quanto riguarda l’età sia per malattie varie, che ci ricorda il detto

latino: “Senectus ipsa morbus est” (essere anziani è come essere ammalati).

Il numero maggiore di suore in case di riposo o di cura lo troviamo in Italia, come si può

vedere dalle seguenti statistiche:

Arco : 55

S. Pietro Incariano : 58

Centro Verona Cesiolo : 66

Bergamo : 40

Buccinigo d’Erba : 40

Pescara : 38

Totale : 297

Questa cifra include un buon numero di suore efficienti presenti nella casa dedite all’assistenza

dei malati e all’animazione missionaria.

Le statistiche per età sono le seguenti:

Età numero

20-40: : 193

41-60 : 537

61-70 : 417

71-80 : 454

81 ed oltre : 214

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CAPITOLO DICIANNOVESIMO

Attività del periodo dal 1991 al 1997

LA BEATIFICAZIONE DEL NOSTRO FONDATORE DANIELE COMBONI

Il Grande Avvenimento

Si può dire che per i seguaci di Comboni, la sua Beatificazione fu l’avvenimento del XX° secolo.

Ci furono molti Missionari Comboniani che volevano partecipare all’avvenimento, ma non

poterono presenziare. Quelli che poterono furono veramente fortunati e rinfrescati nello spirito.

Questo avvenimento viene qui descritto perché influisce nella vita dello stesso Istituto e le sue

missioni.

La preparazione

In attesa della beatificazione, il 23 febbraio 1996 i Superiori generali dei tre Istituti Comboniani

scrissero una lettera dove confermavano che la beatificazione segnava “l’ora della gioia” ma

anche di “conversione”.

Carissimi Fratelli e Sorelle,

Pace e Gioia nel Signore

“Siamo ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo, in

nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!

1.L’ora della gioia e della conversione Nel nostro messaggio “Guardando alla Roccia dalla quale

siamo stati tagliati” abbiamo condiviso con voi la convinzione che la Beatificazione di Mons.

Daniele Comboni è, per la nostra famiglia missionaria, l’ora della Gioia e della conversione.

“ La Gioia di ogni Giubileo - abbiamo scritto - è in particolare modo una gioia per la remissione

delle colpe, la gioia della conversione… Riconosciamo i limiti della fragile nostra umanità: i

peccati che hanno pregiudicato l’unità, l’incomprensione dei popoli che abbiamo evangelizzato.

Persone e comunità si riconciliano nella gioia della conversione.”

Vi scriviamo ora, mentre insieme viviamo la vigilia della beatificazione, per inviarvi, e per

invitare tramite voi le comunità e i/le singoli missionari/e affidati/e alla vostra cura pastorale, a

trovare un modo per esprimere il desiderio di questa grazia della conversione e della

riconciliazione, come parte essenziale della celebrazione della santità del nostro Fondatore.

2.Giornata della riconciliazione. Abbiamo, perciò, pensato di indire una Giornata della

Riconciliazione il 23 febbraio, primo venerdì di Quaresima. Questa giornata si contrassegnerà

da gesti e momenti liturgici di riconciliazione, individuali e comunitari, secondo quanto le

vostre circostanze locali e la vostra creatività missionaria rendono possibili. Naturalmente,

momento importante di tale giornata dovrebbe essere la celebrazione comunitaria ed

individuale del Sacramento stesso della Riconciliazione.

I Superiori generali, i loro assistenti e membri della Curia dettero il loro esempio con un ritiro

di otto giorni con il Cardinale Silvano Piovanelli, Vescovo di Firenze.

Altre manifestazioni sia spirituali che storiche ebbero luogo ovunque nei nostri Istituti.

Le celebrazioni

Molti figli del Comboni vennero a Roma, centinaia di loro, in questa occasione, accompagnando

i loro fedeli: dal Sudan, l’Uganda, il Kenya, il Sud Africa…, dall’America del nord, sud, e

l’America Centrale, e ultimo, ma non meno importante, da ovunque in Europa.

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A Roma

La vigilia di preghiera ebbe luogo sabato 16 marzo nella Cattedrale di S. Paolo. I tre Superiori

Generali si alternarono nel guidare le preghiere ed i canti. Canzoni come origine e stile

provenienti da paesi molto differenti fra di loro. Danze religiose in molti ritmi e lingue del

mondo si susseguirono in una litania di lode a Dio per il dono di Comboni alla Chiesa in Africa e

nel mondo intero.

Il giorno vero e proprio, il 17 marzo 1996. Per un po’ di tempo si ebbe paura che il Papa

personalmente non potesse venire a S. Pietro. Ma egli fece di tutto per essere presente a

leggere la dichiarazione della beatificazione del Vescovo Daniele Comboni e del vescovo Guido

Maria Conforti, Fondatore della Pia Società di S.Francesco di Xavier ma venne e lesse.

La sua omelia fu letta dal cardinale Sodano, Segretario di Stato. Fra le molte buone

impressioni a favore di Comboni, il Papa sottolineò il suo pionierismo e vita esemplare nel

campo missionario.

“ La modernità e l’audacia della sua opera si espressero nella preparazione e nella formazione

dei futuri presbiteri, nell’instancabile animazione missionaria anche attraverso scritti e

pubblicazioni, nella fondazione di due Istituti – maschile e femminile – esclusivamente dediti

alla missione “ ad gentes”, lottando per l’abolizione della terribile tratta degli schiavi, ed

operando attivamente “ per la rigenerazione dell’Africa mediante se stessa”. Queste intuizioni

del nuovo beato hanno portato grandi frutti per l’evangelizzazione del continente africano,

preparando la strada all’attuale consolante sviluppo della Chiesa in Africa (cfr Esortazione “

Ecclesia in Africa” nn. 33-38).

“ Portare l’umanità alla luce della vita eterna”: l’ideale di Daniele Comboni prosegua ancora

oggi nell’apostolato dei suoi figli e delle sue figlie spirituali. Essi continuano a mantenere forti

legami in Africa e, in particolare con il Sudan, dove il loro Fondatore ha speso gran parte delle

sue energie di infaticabile evangelizzatore e dove si è spento ancora in giovane età, consumato

dalle fatiche e dalla malattia.

Ma qual era la sorgente da cui traevano vigore il suo instancabile zelo e la sua totale dedizione

alla missione “ ad gentes”? Era la Croce di Cristo, fonte di amore inesauribile in chi fa dono di

se stesso ai fratelli vicini e lontani. Questo nuovo Beato costituisce così, un luminoso esempio

di spiritualità sacerdotale, animata sempre da fede viva e da indomito spirito missionario.

Modello di autentica carità pastorale che seppe invitare i credenti ad aprire il cuore ai lontani,

pur senza dimenticare le necessità delle Comunità locali, perché a tutti sia annunciato Cristo

redentore dell’uomo.”

18 marzo,. Lunedì: Giorno di Ringraziamento. L’eucarestia fu tenuta in San Pietro dove i figli e le

figlie di Comboni erano riuniti pieni di gratitudine ed entusiasmo. La S.Messa fu celebrata alll’Altare

della Confessione, dove Comboni, vicino alla tomba di San Pietro ebbe l’idea del suo Piano.

La Messa fu presenziata da Sua Eccellenza Mons. Gabriel Zubeir Wako, Arcivescovo di Kartoum

il settimo successore del Beato Comboni. La sua omelia fu semplice ma toccante. Ne diamo dei

passaggi:

“Sì, noi abbiamo delle ragioni per celebrare questa messa di ringraziamento; specialmente noi

che siamo venuti da quel paese d’Africa per cui Comboni diede la sua vita; e dopo di lui tanti

altri missionari si sono sacrificati per portarci il Vangelo.

Se oggi le nostre Chiese in Africa innalzano la lode a Dio, è perché il Signore ha usato il

Comboni per aprirci le porte della salvezza, e per noi il ringraziamento non è soltanto al

Signore ma a tutte le persone che lui ha usato per portarci il Vangelo, per farci credere al

Vangelo. In tal modo, che siamo diventati anche noi degli evangelizzatori per i nostri e forse

anche per il mondo. Noi ringraziamo il Signore perché è stato lungo il processo della

Beatificazione del Comboni, e questo è stato provvidenziale perché io penso che se avessimo

beatificato il Comboni all’inizio di questo secolo, l’avemmo fatto senza pensare a ciò che

facevamo. Ma il Signore ci ha dato il tempo di meditare e di capire la missione di questo

grande missionario. Non l’abbiamo ancora capito è vero e credo che neppure i Comboniani

l’abbiano capito che il Signore sta preparando per noi e perciò la Chiesa intera in questo

momento. E io penso che fra le cose che sta preparando per noi tutti, cominciando dai

missionari, è dirci che abbiamo un tesoro grande nella fede cattolica, nella fede cristiana.

Perché noi predichiamo e portiamo nel mondo la persona più preziosa: Gesù Cristo figlio di

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Dio; noi portiamo nel mondo un amore il più grande amore che c’è stato. E il Signore ha

consegnato questo tesoro a noi, perché noi lo portiamo agli altri.

L’umiltà era una delle virtù esercitate da Comboni. Egli non si credeva più grande dei neri, ma

si è considerato come un servo usato dal Signore: “ Ecco prendi questo dono e portalo a questi

neri perché nessuno ha il coraggio di andare da loro”. E’ solo con questa umiltà che noi

possiamo portare avanti il lavoro di salvezza nel mondo. Non è facile trovare un bianco così

umile da mettersi al servizio dei neri, perché c’è sempre questo complesso di superioritè; ora,

la superiorità non sta nella persona del missionario, ma nel dono che sta portando: sei grande,

bianco o nero che sia. Sei grande perché stati portando la vita eterna a tante persone.

Il Comboni ci ha parlato tanto della Croce. Lo stesso Gesù, dandoci la croce ci ha dato se

stesso perché noi mostriamo al mondo il suo amore. Solevo dire alla gente che la croce non è

un posto per morire adesso, il Cristo è già morto sulla croce non c’è posto per due sulla Croce,

noi dobbiamo contemplare la croce del Signore e vedere e cercare di capire quest’amore.

Per noi del Sudan questa parola: Croce, è diventata una cosa quotidiana ma abbiamo bisogno

dei profeti che ci dicano che la croce che stiamo portando non è per la morte ma per la vita.

Non è ancora finito il cammino di Comboni: è beato il Comboni, ora deve essere canonizzato. Ma

come dico sempre ai missionari: il Comboni non sarà canonizzato se noi prima non siamo

canonizzati su questa terra; sarà la nostra testimonianza, la serietà con cui noi seguiamo la nostra

vocazione cristiana e missionaria che porterà Comboni alla canonizzazione. Non è per la gloria dei

comboniani ma per la gloria di Dio e la gloria della Chiesa e la gloria della croce di Gesù.

Chiudo con un saluto ai fratelli e alle sorelle che sono venuti con me e con gli altri vescovi del

Sudan.”

A Limone sul Garda 22-23 marzo 1996

I Vescovi e i pellegrini provenienti dal Sudan, i Superiori delle famiglie Comboniane, pensarono

che fosse importante recarsi sul luogo di nascita del beato Comboni. Furono fatti alcuni

discorsi; cito soltanto qualche brano dal discorso della Superiora Generale delle Suore

Comboniane, Suor Mariangela Sardi:

“Contemplando qui, in questa Parrocchia di Limone, Daniele Comboni beato, il mio pensiero va

spontaneamente ai suoi genitori, in particolare a mamma Domenica, l’umile donna che ha

saputo trasmettergli fin dai più teneri anni quei valori umani e cristiani che hanno fatto di lui

l’uomo innamorato di Dio e della Nigrizia, un grande missionario ed un santo.

Mamma Domenica ha collaborato con Dio, perché Daniele vivesse in pienezza la sua vita.

Consapevole del valore di quanto aveva ricevuto da sua madre, Comboni scrisse: Sì, cara

mamma, voi siete sommamente cara a Dio; ed io mi glorio di avervi per madre, e se non mi

sforzassi di lavorare per consumare tutta la mia vita per la gloria di Dio, seguirei molto male i

generosi esempi dei miei genitori, che mi hanno preceduto nella gloriosa impresa di sacrificare

tutto per l’amore di Gesù Cristo. “

Dal discorso del Vicario Generale delle Missionarie Secolari Comboniane che fece questa

esortazione:

“ Comunità cristiana della Diocesi di Brescia, apri le tue porte per incontrare nuovi popoli,

arricchirti delle loro ricchezze, condividere le loro angosce, ansie e speranze, la loro fame e

sete di Cristo, di fraternità, di solidarietà e di pane, porta al mondo intero il dono inestimabile

della fede in Gesù Cristo e così, la tua fede si rafforza donandola!”

A Brescia, 13 aprile 1996

Limone apparteneva alla Diocesi di Brescia, così anche lì si celebrò la Beatificazione. Come a

Limone, i discorsi furono pochi. Cito soltanto alcuni brani dall’Omelia di Mons. Bruno Foresti,

Vescovo di Brescia. Egli lodò l’affetto mostrato da Comboni alla sia diocesi nativa.

”Brescia, dunque rimase nel cuore del Beato Comboni e ciò egli attestò manifestamente al

Vescovo Verzeri il 10 marzo 1874 quando scrisse: - Non ho mai lasciato un solo giorno di

pregare e di far pregare nel cuore della nigrizia per tutta la cara diocesi natale di Brescia-“.

Dopo di che fa una originale osservazione:

“ Passi l’analogia, sia pur lontana. Come la resurrezione di Gesù, collocata in un punto centrale

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della storia influisce su tutto il suo corso, così la beatificazione di Comboni, datata nel tempo,

può e deve trasfondere grazia su tutto il futuro della nostra diocesi. E’ necessario che, come

fece la prima comunità cristiana nei rapporti dei frutti della Risurrezione, così anche noi

abbiamo ad assimilare alcuni tipici aspetti della spiritualità del Beato Comboni. Intendo

sottolineare la sua venerazione per la Verità rivelata, la sua condivisione della vita di Gesù

Cristo e la sua passione per la fraternità universale.”

Il Vescovo concluse con questo rimarchevole ringraziamento:

“ Per questo affetto e per l’attività che i missionari Comboniani e le Pie Madri della Nigrizia, da

lui fondati, hanno svolto e svolgono fra noi, la Chiesa Bresciana ringrazia il Signore e auspica

che l’amore alla “ Verità”, la passione per la santità a prezzo della Croce, lo spirito di fraternità

universale di questo grande suo figlio possa incarnarsi nella gente della sua diocesi.”

A Verona, 21 aprile 1996

Le Celebrazioni a Verona non potevano mancare per diverse ragioni:

Fu a Verona che Comboni si rese conto della sua vocazione.

In questo luogo imparò la spiritualità del Sacro Cuore.

Partì per l’Africa dall’Istituto Mazza, ed allo stesso Istituto ritornò.

Ambedue gli Istituti Missionari furono fondati a Verona.

Le case madri dei due Istituti si trovano là.

Citerò dei brani dai discorsi del Vescovo di Verona, Mons. Attilio Nicora, del Superiore Generale

p.David Kinnear Glenday e p. Ugo Ghini, Superiore della Pia Società Don Nicola Mazza.

Mons. Attilio Nicora loda il coraggio e la franchezza di Comboni meravigliosamente abbinati alla

sua umiltà:

“ C’è un’espressione in una lettera scritta dal Comboni nel febbraio 1881, a pochi mesi dalla sua

morte, dalla quale traspare la sua proverbiale franchezza e della quale vorrei che tutti - a comin-

ciare da me – ci lasciassimo oggi giudicare. Qualcuno aveva preteso interferire nella nomina del

Vicario Generale del Comboni, criticando la scelta da lui fatta; egli, rimastone contrariato, e ama-

reggiato, scrive “ E’ vero che nell’ Africa Centrale saremmo tutti asini, e io capo degli asini; ma ella

mi concederà che io, caput asinorum non potea far meglio che scegliere fra i miei asini a vicario

generale uno che fosse meno asino degli altri. Non si capì – dice con amarezza – che l’Africa è la

missione più difficile del mondo, e che fra i sapienti dell’Europa e di Verona non si trovò chi assu-

messe di venire a morire in Africa. Ma si fa presto a giudicare e a sputar sentenze…ma a venire in

Africa a morire per Cristo, questi sputasentenze non se la sentono “ (Scritti, n. 6461-6462).

Il Beato Daniel va rudemente al cuore del problema: si tratta di sapere se la vita cristiana, se

la missione cristiana è una questione di sapienza e di opinioni o un andare a morire per Cristo”.

Il Superiore Generale dei comboniani, p. David Glenday dopo aver ricordato il legame fra il

Beato Comboni e la Diocesi di Verona aggiunge:

”Ora, per la grazia particolare della beatificazione il rapporto di Daniele Comboni con la vostra

diocesi e con la vostra città diventa quanto mai reale, concreta ed efficace. Difatti lui vi vuole

bene, e nella meravigliosa realtà della comunità dei santi, si renderà presente con grande

affetto in mezzo a voi; tanto più che è qui, a Verona, che continueranno a riposare le poche

sue ossa che la Provvidenza ci ha lasciato.

Attraverso questo segno, così piccolo nella sua consistenza materiale, ma così grande nel suo

significato, risuonerà quella forte voce che una volta riempiva le vostre chiese e le vostre case.

Voce che parlerà del legame intimissimo tra la vostra Chiesa e quella di Khartoum e del Sudan,

tra la vostra missionarietà e la missione universale ad gentes. Voce che testimonierà la verità

dell’annunzio pasquale, dell’abbondante frutto portato dal chicco di grano che cade nella terra

e muore. Voce che chiamerà costantemente a tenere gli occhi fissi su Gesù, amandolo

teneramente e cercando sempre meglio di comprendere ciò che significa per ognuno il suo

cammino di abbassamento, di passione, di morte e di gloriosa risurrezione.

Di nuovo, dunque, grazie, Verona, per averci aiutato ad ascoltare la voce del Fondatore in questo

tempo benedetto; con l’augurio che possiamo continuare insieme ad accogliere il suo messaggio

negli anni futuri.”

La testimonianza di p. Ghini per l’Istituto Mazza:

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“Mi pare importante, anzi, fondamentale precisare questo fatto. La vocazione missionaria del

Comboni, come ogni vocazione, è sì un fatto personale, è la chiamata che Dio rivolge ad un

singolo uomo per una strada ben precisa che lo colloca nella direzione del regno di Dio. Ma Dio

si serve degli uomini e certamente allora possiamo dire che il Comboni missionario, il Comboni

africano, è nato all’interno dell’Istituto Mazza non solo in senso materiale ma all’interno di quel

clima apostolico di cui il Mazza era grande protagonista. Non è certo possibile e, tutto

sommato, non sarebbe nemmeno interessante sapere quanto il Mazza abbia direttamente

influito sul Comboni e quanto, Comboni sia autonomo riguardo alla sua vocazione. Sono

misteri di Dio, che pretesa è la nostra? Ma l’importante non è il quanto, bensì il fatto,

umanamente e storicamente certo, che il Comboni è veramente discepolo del Mazza, non tanto

come semplice alunno del suo Istituto, ma proprio come missionario e missionario innamorato

dell’Africa. Sorvolo sulle eccessive vicende storiche che tutti conosciamo, la spedizione

missionaria dei primi cinque sacerdoti nel 1857 con Comboni nel centro dell’Africa, le febbri, le

morti, il repentino ritorno del Comboni malato a Verona. E’ una “ fiammata eroica”, come fu

detto, questa breve ma intensa impresa mazziana che con alterne vicende si trascinerà fino

alla morte del Fondatore nel 1865.”

Ellwangen (Germania) 5 maggio 1996

La testimonianza di Sua Eminenza. Walter Kasper di Rottenburg – Stuttgart:

“L’ora di Comboni fu l’ora per la Luce del Vangelo di sorgere sull’Africa Centrale. La

Beatificazione di Daniele Combini è di nuovo l’ora dell’Africa. Il Sinodo per l’Africa nel 1995

parlò di un momento storico, di un momento di grazia nel passare dal secondo al terzo

millennio.

Dal punto di vista umano e politico, una grande parte dell’Africa si affonda nel caos. L’Africa è

come un continente abbandonato, un continente, come molti pensano, senza speranza. Il

flagello della fame, conflitti razziali e tribali, guerre civili, rifugiati, Aids, problemi demografici e

debito estero da un lato; il lusso dei pochi ricchi, corruzione e pessima amministrazione

dall’altro. La schiavitù e la violazione dei diritti umani sono problemi di ogni giorno anche oggi

in molto paesi africani, e in modo particolare nel paese dove Comboni fu vescovo, a Khartoum,

nel Sudan, dove un regime di terrore e fondamentalisti cercano di opprimere con violenza e

brutalità il sud del Sudan.

Da questa situazione una nuova chiamata viene rivolta alla Chiesa per l’evangelizzazione di

questo continente, una chiamata ad annunziare il Messaggio dell’affabilità del nostro Dio che si

manifesta nel Buon Pastore, che passa per i poveri, per giungere ai più poveri, ai perduti.

Questa è una novella buona e liberatrice, che non vuole penetrare soltanto nella profondità del

cuore. Si tratta di tutta la Persona. “ Dove è proclamato il Vangelo, là la persona si trasforma”,

disse Comboni. Tutta la persona è chiamata alla salvezza. Per questo, nell’annuncio del

Vangelo, c’è anche il messaggio dei diritti, dei diritti divini dati a ciascuno, e con un ruolo molto

importante. Si tratta della giustizia sociale, che è molto importante per l’Africa, e della

promozione della donna. Questo Vangelo deve penetrare negli usi e costumi, nella sensibilità di

tutta una cultura. Chi è stato in Africa sa molto bene come questo continente abbia una grande

eredità culturale. La missione vuole che i popoli dell’Africa non si lascino traviare dalle

seduzioni e tentazioni del nostro stile europeo di vita. L’Africa, tramite il Vangelo, deve scoprire

la propria identità.

Così Daniele Comboni ci grida oggi: “ Non dimenticate l’Africa e gli africani. Non dimenticate il

Sudan e i sudanesi!”

Comboni scrisse: “ Bisognerà patire grandi cose per amore di Cristo, combattere coi potentati,

coi Turchi, cogli atei coi framassoni, coi barbari, cogli elementi, coi preti, coi frati, con il mondo

e con l’inferno… Tutta la nostra fiducia è in Colui che morì per noi” (Scritti n. 2459)

E’ proprio così, l’Africa e il mondo di oggi, e in modo particolare la Chiesa del nostro tempo, ha

bisogno di Santi, di testimoni di martiri che mettano mano all’opera. E’ soltanto tramite lo

spirito di Dio e la forza che arriva dalla Croce che possiamo rinnovare la Chiesa. Non vi è altra

strada.”

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Il difficile viaggio verso la beatificazione

Essere santo significa essere in paradiso. Se si conosce qualcuno che era tra di noi, e si è

convinti che alla sua morte quella persona sia andata in paradiso, questo significa che egli fu

un grande santo in terra.

Questa fu l’opinione di P. Francesco Pimazzoni (+1883): egli aveva già descritto le virtù eroiche del

Comboni nel seguente modo:

“ Dalla sua tomba ci parla dell’amore per le missioni, di generosità, pazienza e fede nelle

avversità; ricordo i suoi suggerimenti riguardanti l’obbedienza, il rispetto e la fiducia in coloro

che la Provvidenza ci ha dato come leader”.

Madre Bollezzoli, già citata, era convinta che Comboni continuasse a guidare le sue Suore dal

Paradiso.

P. Federico Vianello, Superiore Generale (1909-1919) attribuisce a Comboni quella forza

spirituale che fu ereditata dai suoi seguaci per poter sopportare e vincere le difficoltà

incontrate all’inizio della vita dell’Istituto Religioso.

P. Antonio Bouchard che assisté Comboni durante i suoi ultimi attimi di vita, gli disse che egli

avrebbe ricevuto la corona promessa a coloro che abbandonano tutto per Gesù.

La vita di Comboni scritta da mons. F.X. Geyer era il segno che la sua memoria doveva essere

un esempio per tutti i suoi seguaci.

Fasi preparatorie

P. Vianello incaricò p. Francesco Saverio Bini a raccogliere il materiale per poter scrivere la vita

di Comboni. Ma fu soltanto uno storico, Mons. Grancelli, che la scrisse nel 1923. Dopo la sua

pubblicazione, alcuni membri dell’Ordine di San Camillo tirarono fuori tutte le accuse dei loro

membri che erano stati nelle missioni con Comboni. Mons. Grancelli rispose alle accuse

disperdendo qualsiasi dubbio sulla integrità del Beato Comboni.

Il Superiore Generale, p. Paolo Meroni (1919-1931) in una lettera datata 19 marzo 1928

annunciò l’introduzione del procedimento diocesano per la “ Beatificazione del Servo di Dio,

Vescovo Daniele Comboni, il nostro primo fondatore”.

P. Meroni usò le parole “Servo di Dio “ perché la richiesta era già stata avviata il 17 novembre

1927 postulata da P. Bini sopra citato.

Il Vescovo di Verona fu nominato Promotore della Fede, cioè colui che cerca di trovare colpe e

obiezioni alla solenne beatificazione del santo in questione.

Il processo canonico a Verona, cioè quando vengono sentiti i testimoni e le loro deposizioni

vengono firmate come assolutamente veritiere con giuramento sulla S. Bibbia, ebbe inizio il 14

febbraio 1928, e terminò il 21 novembre 1929.

Il Postulatore con un “libellus “ (documento) chiese al vescovo di Khartoum di dare inizio

all’inchiesta in quella città.

Il quinto successore del Beato Comboni, Mons. Tranquillo Silvestri, dette il via all’inchiesta il 1

gennaio 1929 affidandola a p. Roberto Zanini (+ 1976) che raccolse informazioni sia a

Khartoum dove morì Comboni che ad Assouan dove furono trasferite le sue ossa da Khartoum.

Ascoltarono anche testimonianze dal Cairo, e finirono l’inchiesta il 7 giugno dello stesso anno.

Il Processo a Roma: i primi passi

Le risposte all’inchiesta, tutti gli scritti e le lettere di Comboni, documenti vari e rapporti furono

mandati a Roma e aperti il 16 dicembre 1929.

Due teologi dovevano leggerli tutti e dare le loro opzioni: il loro scopo era di scoprire se negli

scritti ci fosse qualcosa che potesse essere mal interpretato con riferimento agli insegnamenti

cattolici e di conseguenza della morale.

Fra il 1937 ed il 1943, ed in diverse altre occasioni, essi dettero le loro risposte al Promotore

Generale della Fede della Santa Sede.

Le risposte dei due teologi

Ambedue proclamarono che in quegli scritti non vi si trovava niente che fosse contro la fede o

la morale cattolica. Trovarono molti valori, e secondo loro anche molti non valori.

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I Valori

Il servo di Dio “ sembra essere di temperamento esuberante, allegro, entusiasta, ed ottimista,

dotato di cuore generoso ed animato da nobili ambizioni”.

Come missionario, “egli fu molto equilibrato e pieno di spirito di sacrificio per la causa dei neri

dell’Africa Centrale”.

Negli scritti del servo di Dio, si vedono chiaramente lo spirito sovrannaturale, la sua totale

sottomissione alla volontà divina, il suo ardente amore per Gesù e la sua illimitata fiducia nella

provvidenza di Dio.”

Ebbe un grande amore per la croce e per i sacrifici per la sua personale santificazione: questo

emerge molto spesso dai suoi scritti.

Nelle situazioni più difficili, quando vedeva l’estrema povertà della sua gente, le malattie dei

suoi missionari, la pericolosità dei viaggi, egli trovava sempre rifugio in Dio e nei Santi.

Ebbe un amore sconfinato per Gesù e un profondo amore per gli africani.

I non Valori

Durante le sue campagne in Europa egli chiaramente esagerava la miseria della gente e le

necessità del suo Vicariato.

Mons. Knoblecker, durante i sette anni passati come leader del gruppo, riuscì a compiere tanto

quanto Comboni aveva fatto in vent’anni e senza tutto il trambusto che fece Comboni.

Nei suoi scritti ci sono segni di devozioni nebulose, mancanza di discrezione, segni esagerati di

autostima e vanagloria.

Dava l’impressione di essere un goloso, sicuramente sapeva riconoscere i buoni vini.

Dava l’impressione di non apprezzare gli Ordini religiosi.

Di norma era piuttosto aggressivo, querulo e rude.

Si dovrebbero approfondire le sue relazioni con la cugina Erminia e con Virginia Mansur.

I suoi litigi con i Camilliani lasciarono molto a desiderare.

Dette dei giudizi sfavorevoli su una santa persona, p. Ludovico da Casoria.

Le risposte ai commenti dei due teologi.

Il 19 luglio 1943, il Promotore Generale della Fede affidò i commenti al Postulatore, p. Agostino

Capovilla (+ 1975)

Le risposte si ebbero dopo nove anni di investigazioni e documentazioni, e cioè dal 1943 al

1952.

Il Beato Comboni fu scagionato dalle accuse maggiori in quanto le risposte mettevano Comboni

nel contesto dei suoi tempi, del personale e missionari che aveva attorno, delle frustrazioni del

suo zelo e il suo carattere e temperamento personali.

I commenti di Roma all’intera faccenda

Il primo REPONATUR: un vicolo cieco

Il Cardinale incaricato di presentare la “Positio “ alla riunione dei Cardinali fu il cardinale Verde.

La vera risposta era che l’intero incartamento e procedimento doveva essere riesaminato da un

terzo teologo.

Ciò non di meno, le minute della riunione dicevano altrimenti: “ non si va avanti”, in latino, “

Reponatur”.

Il fatto che l’assemblea dei Cardinali chiedesse il parere di un terzo teologo significa che non vi

fu una vera e profonda discussione della faccenda.

Sembra che il cardinale Verde, di sua iniziativa o su suggerimento di alcuni membri

dell’assemblea, avesse taciuto la decisione dell’assemblea e proposto il “ Reponatur” al Papa

Pio XII che lo accettò, il 25 giugno 1953.

Secondo REPONATUR: Un vicolo cieco

Il 25 febbraio 1959, fu fatto una richiesta a Papa Giovanni XXIII affinché, il “Reponatur” fosse

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tolto per sua iniziativa.

Sembra che l’approccio al Papa fu fatto da una sua nipote, una Suora Comboniana. Il Postulatore

prese nota di questo approccio informale e chiese al Cardinale per la Congregazione dei Santi di

rendere possibile una riapertura della discussione sui documenti inerenti al processo di Comboni.

Ciò fu una BENEDIZIONE, non percepita perché convinse i nostri Superiori a istituire lo “ Studium

Combonianum” per approfondire le conoscenze della vita di Comboni e portare alla luce

ulteriori fatti ed evidenza delle sue virtù eroiche per poter rispondere ai presunti difetti e

mancanze del Beato Comboni.

In questo contesto, il secondo “ Reponatur” fu una benedizione per l’Istituto, benché al

momento sembrava un totale fallimento senza via di sbocco. Fu la fede di p. Gaetano Briani, il

Superiore generale eletto nel 1959 che dette il via allo “ Studium” (8 settembre 1959) e la

testardaggine dei padri Pietro Chiocchetta e il defunto Aldo Gilli che portarono l’Istituto al

successo nella causa del Beato Comboni.

Una nuova apertura nel 1972

Il Consiglio generale eletto nel 1969 voleva fare una visita di cortesia a Papa Paolo VI; p.

Agostoni, il Superiore generale era conosciuto dal Papa per il ruolo da lui avuto nell’unico

pellegrinaggio fatto dal Papa in Africa nel 1969.

Dopo aver consultato il Postulatore, p. Chiocchetta, il Consiglio Generale presentò un

memorandum a Papa Paolo Vi per chiedergli di interessarsi della causa del nostro fondatore. Il

Cardinale Villot, l’allora Segretario di Stato, trasmise il memorandum al Cardinale Bertoli della

Congregazione per le cause dei Santi, chiedendo di prenderlo in considerazione e dare

relazione al Papa a proposito della causa stessa.

Il Cardinale rispose dichiarando che:

“La causa di Comboni non merita di essere discussa finché tutte le accuse non siano state

dovutamente chiarite. Perciò la decisione del “ Reponatur” deve rimanere come deciso sia nel

1953 che nel 1959”

Il Santo Padre ricevette copia della relazione, ma il Consiglio Generale non ricevette nessun

riscontro al memorandum.

Più avanti, Carlo Snider, il primo avvocato nella causa di Comboni, commentò questo fatto

dicendo che era sempre più convinto della validità della causa di Daniele Comboni. Era

comunque sorpreso del modo in cui era stata sospesa. Ecco la sua opinione in breve:

“ La causa di Mons. Comboni fu sospesa senza mai essere discussa; il fatto che non fosse

discussa significa che fu bloccata per cause che ancora sono sconosciute.”

A conferma della sua affermazione aggiunse:

“ Se la causa fosse stata discussa, anche se le risposte ai quesiti preparati da me stesso non

fossero stati presi in considerazione, ci si potevano aspettare delle ulteriori affermazioni,

invece non ce ne furono”

Egli era comunque convinto che la causa di Comboni dovesse essere studiata a fondo e

seriamente; fu molto positivo.

Una nuova strategia 1975-1981

Il Postulatore della causa, p. Chiocchetta, un esperto dei processi per la beatificazione dei

Santi, voleva riaprire la causa; chiese ufficialmente le ragioni del “Reponatur “, e questa volta i

membri per la Congregazione dei Santi furono più comprensivi.

Gli fu fatta una domanda a bruciapelo: “ Che cosa ne fece Comboni del danaro?” Questo era un

buon auspicio. Egli, immediatamente, si fece dare un resoconto minuzioso dal nostro Economo

Generale, p. G.Z. Piccotti. Per il centenario della morte di Comboni (1881-1981), p. Chiocchetta

suggerì a p. S. Calvia, il Superiore generale, di mandare una lettera chiedendo ufficialmente ai

membri della Congregazione di mettere per iscritto le ragioni per il “Reponatur”.

Le ragioni che il Postulatore addusse per questa richiesta erano che dal 1961 ulteriori studi

erano stati fatti che spiegavano e chiarivano gli scritti e le attività del Comboni.

Il primo passo da fare per poter riesaminare la causa era quello di rimuovere il “ Reponatur”.

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Con molte difficoltà ed impedimenti e tramite conoscenti e simpatizzanti di Comboni, fu fatto

quanto possibile per far sì che il “Reponatur” che era stato scritto sull’incartamento potesse

essere rimosso.

Questo accadde il 5 dicembre 1981, il primo sabato del mese. Tuttavia, la decisione ufficiale fu

presa alla riunione dei membri della Congregazione il 26 febbraio 1982. Il Santo Padre, papa

Giovanni Paolo II, informò il Superiore generale che il “ Reponatur “ era stato rimosso (2 aprile

1982).

La strada era aperta per dar via alla procedura per la beatificazione ma c’era un ostacolo.

Secondo il Diritto Canonico, can. 2039.2, dopo 30 anni, dall’inizio del processo diocesano, tutta

l’inchiesta inerente la reputazione permanente della santità del santo da beatificare, la “ Fama

Sanctitatis” doveva essere ripetuta.

Anche questo ostacolo fu, però, rimosso, a causa dell’intervento del Vescovo di Verona presso

la Santa Sede (19 giugno 1982).

La Commissione Storica

I nostri Padri, Pietro Chiocchetta e Aldo Gilli lavorarono sodo per più di vent’anni per mettere

assieme tutti gli scritti di Comboni, di qualsivoglia tipo, sia privati che pubblici che ufficiali.

Fecero stampare due grossi volumi. Un comitato di esperti in storia, scelti come consulenti

appositamente per questo scopo, dovevano leggere i libri e rispondere a tre quesiti:

Era stato fatto tutto il possibile con accuratezza e onestà per far sì che la ricerca dei documenti

fosse la più completa possibile onde poter conoscere e giudicare la vita e le attività del

Comboni?

Da un punto di vista storico, i documenti erano completamente attendibili?

Tutti i documenti a disposizione danno un quadro storico pienamente attendibile per poter

giudicare Comboni, la sua fama, la sua santità, e la pratica eroica di tutte le virtù?

Tutti e sei i consulenti, ognuno di loro dette risposte positive a tutte e tre le domande (21

febbraio 1989).

IL Miracolo

Per beatificare i martiri non serve nessun segno miracoloso; questo è necessario solo per la

loro canonizzazione. Questo perché, la certezza necessaria per la canonizzazione è di

importanza fondamentale. Difatti, quando il Papa, nel caso di una Beatificazione, dichiara che

qualcuno si trova in paradiso, tale giudizio si basa su una certezza morale.

Invece, nei casi di canonizzazione, il giudizio risiede nel dono della infallibilità della Chiesa: il

giudizio viene pronunciato “ ex cathedra”. Questa è la ragione per cui, le cerimonie per la

beatificazione possono tenersi in qualsiasi nazione, mentre quelle per la Canonizzazione

avvengono solo nella Cattedrale di San Pietro in Vaticano. Il Papa può fare eccezione.

Nel caso di Comboni, il miracolo necessario avvenne in Brasile, nello stato dell’ “Espìritu Santo”

nella diocesi di São Mateus (San Matteo), nell’ottobre del 1970 nell’ospedale della città di São

Mateus, dove le Suore Comboniane lavoravano con dedizione ed amore. Il chirurgo, Prof.

Cassiano dos Santos aprì l’addome di una bambina di dieci anni, Maria José Oliveira Paixâo,

una discendente di schiavi africani. Il chirurgo fece quello che poté, ma dichiarò che la

medicina e la chirurgia non potevano fare altro. Solo l’intervento di Dio tramite un miracolo

avrebbe salvato la vita della bimba.

Il Professore ripeté quanto sopra esposto sotto giuramento davanti alla commissione medica

nominata dalla congregazione per la canonizzazione dei santi (23 ottobre 1970.

LE PREGHIERE A COMBONI. Una suora Comboniana, assistente alla sala di chirurgia, Suor Maria

Luigia Poli, mise un santino ed una reliquia di Comboni sotto il guanciale della piccola e tutte le

Suore si unirono per chiedere in preghiera, che avvenisse un miracolo. Il giorno seguente, il 23

ottobre, la bimba non aveva più la febbre come prima. Il 25 contro le direttive del medico,

mangiò cibo solido, ebbe terribili dolori per i due giorni seguenti e le suore pensarono che fosse

la fine, ma il 26 tutto ciò che la faceva soffrire sparì; non aveva più dolori, mangiava

normalmente, si alzò dal letto e si recò nella cappella per la Santa Comunione.

La diocesi di São Mateus dovette presentare la documentazione inerente al miracolo alla Santa

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Sede. La raccolta della documentazione fu lunga. Tuttavia, una cosa mancava: la

testimonianza di Maria José colei che era stata miracolata.

Accaddero quattro cose che aiutarono definitivamente il processoDiocesano:

Primo: né il vescovo né i sacerdoti di Săo Mateus furono in grado di rintracciare Maria Josè.

Mentre l’ansia di ritrovarla cresceva, Maria José si fece viva senza sapere che tutti la stavano

cercando. Il Vescovo mons. Aldo Gerna gridò: “ Questo è un altro miracolo!” Egli aveva

affidato la cosa al vescovo Comboni dicendogli: “ Se Vuoi la tua Beatificazione, arrangiati ”.

Secondo: la donna era in perfetta salute. Questo è della massima importanza per la

dichiarazione di in fatto miracoloso.

Terzo: la cosa ancora più importante è questa: mentre era in ospedale le fu detto che anche se

fosse guarita non avrebbe potuto avere figli. Ebbe due bei bambini sani.

Quarto: mentre tutta la sua famiglia aveva abbandonato la fede cattolica per i Pentecostali,

ella rimase cocciutamente cattolica.

Il 30 aprile 1993 la Congregazione accettò la validità del processo Diocesano.

Il 13 luglio 1994 la guarigione fu dichiarata un miracolo dalla Commissione medica. La

Commissione teologica della Congregazione dei Santi approvò all’unanimità il miracolo di

origine sovrannaturale e divino il 22 novembre 1994.

L’approvazione della Santità della vita: Comboni dichiarato “ Venerabile”

Questo è il significato di “ Virtù eroiche”.

Una virtù è una qualità buona e permanente, che una volta acquisita tramite la ripetizione di

atti aiuta a far sì che un buon comportamento sia più facilmente raggiungibile. E’ difatti una

proprietà comune a tutti gli esseri umani, da sempre, di fare sbagli. Questo è quanto scrive

San Paolo:

“Perché io desidero fare ciò che è buono… Ma quello che faccio non è il buono che io voglio

fare… ma il male che non voglio fare.” (Rom.7: 17-20)

Le Virtù Eroiche: il loro significato

PRIMO: non significa che di norma uno viene dichiarato santo perché durante la vita è stato

strumento di miracoli o partecipe di avvenimenti straordinari. Possono accadere ma non sono

necessari.

SECONDO: non significa che nell’inchiesta non si possono trovare errori o inadempienze varie.

Questo fu l’errore dei teologi che furono responsabili per il “ Reponatur” del Comboni. Essi

guardarono alle manchevolezze del suo carattere e della sua personalità.

LE VIRTÙ EROICHE in Comboni IMPLICANO che egli ebbe una fede, carità e speranza straordinari. Di

norma egli era prudente, giusto, forte, possiamo dire anche testardo nell’affrontare le difficoltà

e seppe controllarsi nel corso della sua vita.

In altre parole. Comboni era ansioso di scoprire cosa Dio aveva in serbo per lui, cioè il progetto

che Dio aveva preparato per lui nell’Eternità (Eph. 1:4).

Egli cercava il volere di Dio nelle preghiere e nel dialogo con i suoi superiori. Una volta

scoperto, egli andò per la sua strada con gioia, con tutto il suo corpo, il suo cuore e la sua

mente, tutta la sua forza fino alla morte.

Tutto ciò fu pienamente dimostrato nei due libri preparati dai nostri due padri. I membri della

commissione teologica capirono perfettamente e si convinsero, lodando i padri per il modo in

cui avevano approntato i testi. Raccomandarono che tale eroismo fosse dichiarato

pubblicamente e proposero che diventasse il modello di vita dei figli e delle figlie di Comboni e

dell’intera Chiesa.

Il temperamento esuberante di Comboni fu giudicato in modo positivo perché usato per fini

apostolici, anche se a volte esagerasse. Soprattutto i teologi apprezzarono il comportamento e

il desiderio di Comboni di abbandonare tutto ciò che gli era caro, fino al martirio.

La raccomandazione avvenne il 12 ottobre 1993.

Il Decreto Papale che affermava la sue virtù eroiche fu scritto il 26 marzo 1994.

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6 aprile 1995: Il Decreto papale che riconosceva che il miracolo era avvenuto tramite

l’intercessione di Comboni.

20 aprile 1995: IL Superiore Generale viene informato che la data della Solenne Beatificazione

di Comboni in San Pietro a Roma avverrà il 17 marzo 1996.

24 aprile 1995: Il Postulatore generale, p. P. Chiocchetta riceve le stesse informazioni.

Un commento

Si può notare che dal 1982 i passi fatti verso la beatificazione e la canonizzazione furono molto

veloci e onesti. Ci sono diverse ragioni per questo:

PRIMO: il cambiamento del personale della Congregazione per la Canonizzazione dei Santi.

SECONDO: le argomentazioni per la dichiarazione di una vita santa che si basavano

principalmente

sull’esercizio delle virtù eroiche e nella continuità del proprio apostolato attraverso i propri

successori.

TERZO: l’impatto avuto sulla vita della Chiesa. Certamente, l’impatto sulla Chiesa da parte degli

Istituti di Comboni, Padri, Suore e Fratelli, nonché i missionari laici è veramente incalcolabile.

Papa Giovanni Paolo II fece un pellegrinaggio in Africa. Nell’Uganda e nel Sudan egli rimase

molto colpito dai successi ottenuti dai seguaci di Comboni. Fu contentissimo dell’accoglienza

datagli nel Sudan dai sudanesi provenienti dal sud che vivono nell’ambiente musulmano nel

Nord Sudan.

Quando tornò a Roma si dice che egli chiese alla Congregazione dei Santi di sveltire le pratiche

per la Beatificazione di Comboni.

Annotazioni

Alcuni segni straordinari

Il defunto Vescovo Domenico Ferrara scrisse una lettera al Postulatore generale registrando i

seguenti fatti:

Ad un pittore di Limone fu commissionato il ritratto di Comboni ma non riusciva a portarlo a

termine. Questo era dovuto al fatto che non gli era gradita la missione di Comboni in Africa.

Per due o tre giorni vide nel cielo una croce rivolta verso l’Africa. Dopo aver avuto questa

visione fu informato del fatto che Comboni era morto; riuscì a completare il ritratto.

Un giorno una Suora Comboniana ebbe una apparizione che assomigliava ad una persona

gloriosa che entrava in paradiso. Era il 10 ottobre. Alcuni giorni dopo venne a sapere della

morte di Comboni. Ella collegò quella visione alla sua morte.

P. Agostino Capovilla (1898-1975)

P. Capovilla merita di essere qui menzionato per ciò che fece per il Beato Comboni. Egli

occupava una posizione di rilievo all’interno dell’Istituto. Immediatamente dopo il suo ritorno

dalla guerra (1915-18) che gli aveva lasciato una cicatrice sul volto, fu nominato segretario

personale a P. Paolo Meroni, Superiore Generale dal 1919 al 1931. In seguito divenne

Economo Generale, Direttore di Nigrizia, il primo editore del “ Piccolo Missionario”, Procuratore

generale (1947-1953), Superiore regionale dell’Egitto ed Etiopia. Mentre era Vicario Generale

era anche Superiore dello Scolasticato.

Quando ebbe inizio il processo di beatificazione di Comboni nel 1927, toccò a lui tutto il lavoro

di ricerca. Si mise subito al lavoro a Verona, Cairo e Khartoum a nome e con le autorizzazioni

degli Ordinari del luogo. Così facendo gli si aprivano tutte le porte. Fece un lavoro egregio; la

ricerca di documenti, l’ascolto dei testimoni, il dicernimento delle loro deposizioni che poté

valutare con acutezza ed intelligenza.

Nel 1928 egli pubblicò una biografia popolare di Comboni che raggiunse la sua quinta edizione

nel 1947 avendo venduto 27.000 copie.

Il 27 marzo 1929, mentre parlava ad un gruppo Missionario a Roma, il “ Comitato Romano pro

Nigrizia, il Papa Pio XI menzionò la biografia, parlò di Comboni che aveva conosciuto

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personalmente, ed essendo interessato a sapere di più della sua vita, aveva letto il libro di P.

Capovilla.

La mole più grossa di documentazione mandata a Roma nel 1929 per l’inizio del processo di

beatificazione fu il risultato delle ricerche portate a termine dal P. Capovilla fino al “ Reponatur”

del 1953 quando, nonostante tutto il lavoro i documenti non furono discussi nella loro integrità.

CANONIZZAZIONE DI S. DANIELE COMBONI

5 ottobre 2003

Questo libro si ferma al Capitolo del 1997. Dato però che al 10 ottobre 2004, non era ancora

stato stampato, mi sembrerebbe anacronistico non aggiungere una nota su questo

avvenimento così significativo per noi.

Breve cenno sul significato di Beatificazione e Canonizzazione.

I primi fedeli ad essere oggetto di culto nella Chiesa furoni i martiri.

La Chiesa antica considerò il martirio come l’espressione massima della Fede e della Carità,

quindi della perfezione cristiana: perciò venerò i martiri, come i più vicini a Dio e i più potenti

intercessori per noi. Questo culto si basava sul fatto pubblico del martirio.

I “Confessori” vennero pure considerati degni di culto: questi erano i cristiani deferiti

all’autorità civile e che confessavano la loro fede ma che, per una ragione o per l’altra, non

erano stati uccisi o erano sopravvissuti.

Tale titolo si estese anche a coloro che soffrirono a lungo per la proclamazione e la strenua

difesa della Fede nel campo socio-politico.

Per questo, appena morti, si creò subito intorno ad essi una fama di eroi, non dissimile a quella

dei martiri come S. Basilio Magno (379), S. Ambrogio di Milano (397), S. Martino di Tour

(397), S. Agostino (430) senza parlare di tanti altri

Ma c’è di più. Nei primi secoli si andò sviluppando l’ascetismo degli Eremiti: S. Atanasio,

vescovo di Alessandria d’Egitto, scrisse la vita di S. Antonio Abate (+356), da dove tutti

potevano capire il martirio diuturno della conquista della perfezione cristiana.

Altri scrittori parlarono di altri confessori della fede nel martirio prolungato della vita di

sofferenza e solitudine.

All’inizio la dichiarazione di santità veniva fatta dal Vescovo, mentre la Curia Vescovile faceva

le sue indagini.

Lentamente, la Curia Papale prese il sopravvento ed, eventualmente, il Papa emetteva la sua

dichiarazione di Canonizzazione o Beatificazione. Nel Basso Medioevo, l’inchiesta veniva fatta

anche dall’Inquisizione.

Con la riforma della Curia Romana di Papa Sisto V e lo studio storico-critico della vita dei santi,

questa responsabilità fu affidata alla S. Congregazione dei Riti.

Bisogna arrivare a Papa Urbano VIII (1623-1644), perché la Beatificazione venisse distinta

dalla Canonizzazione che è il giudizio definitivo (infallibile) con la quale il Sommo Pontefice

decreta che il Beato venga inscritto nel Catalogo dei Santi e si veneri nella Chiesa Universale,

come presente in Cielo e modello in Terra.

La Beatificazione e Canonizzazione, non solo sono utili perché donano dei modelli cristiano-

umani ai cristiani, ma sono anche necessari perché alla Chiesa non manchi mai la nota della

Santità che ne dimostra l’origine divina.

Papa Paolo VI, eresse la Congregazione delle Cause dei Santi nel 1969, separandola dalla

Congregazione dei Riti e dandole una propria struttura, completamente a sé.

La Canonizzazione del Comboni

I miracoli che i Santi come Padre Pio fanno durante la vita, non contano per la Beatificazione:

ne occorre uno dopo la morte. E il miracolo che ha permesso la Beatificazione non vale per la

Canonizzazione. Ne occorre un altro.

Nel caso del Comboni questo miracolo avvenne subito nel 1997, un anno appena dopo la

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Beatificazione. Altri santi devono attendere molti anni prima di avere il miracolo. Alcuni anche

secoli.

Il Comboni ha mostrato compassione per gli Africani. Il primo miracolo fu per la Beatificazione

di un Afro-Brasiliana, Maria Josè Oliveira Paixao, il secondo per una nera araba e musulmana.

Da notare che ambedue i miracoli furoni chiesti con preghiere da Suore Comboniane.

Ecco la narrazione ufficiale del miracolo in breve e come raccontata da una delle suore

presenti:

Il 12 novembre 1997 Lubna Abdel Aziz si presenta alla maternità St. Mary di Khatoum, servita

dalle suore comboniane. E’ al suo quinto figlio, e al quinto cesareo: Dopo il parto,

un’emmoragia inarrestabile e altre complicazioni conducono la donna in fin di vita. Dopo aver

tentato tutto il possibile, i medici si preparano a perdere la paziente. Ma le suore comboniane

di servizio non si arrendono. Radunano le infermiere, parlano ai parenti. Invitano tutti, cristiani

e musulmani, a pregare. Una suora pone sotto il guanciale della donna un’immagine del

Comboni. Nella cappella della comunità, di fronte ad una icona di Comboni, si prega con fede e

con cuore: “E’ mamma di cinque figli! Come puoi permettere che muoia? Non vorrai fare brutta

figura…Guariscila!”. Inspiegabilmente, l’indomani, Lubna comincia subito a migliorare. E’ salva.

Ora non rimane che ringraziare l’Unico Dio, pregato da musulmani e cristiani, perché per

intercessione del suo servo Daniele Comboni ha voluto compiere il miracolo.

Di fatto, da buoni musulmani, Lubna e il marito vanno in pellegrinaggio di ringraziamento alla

Mecca. Miracolo e circostanze appaiono fuori dal comune per alcuni abituati a certi schemi; per

essi, la scelta della miracolata potrebbe sembrare inopportuna.

E invece è molto opportuna perché il Comboni ha faticato per tutti i neri, è morto ed è stato

sepolto a Khartoum.

La commissione medica diocesana, composta da gente di ogni fede o senza fede e la

commissione teologica, non fecero alcuna obiezione.

I risultati dell’inchiesta ed il giudizio delle commissioni, furono mandati alla S. Congregazione

dei Riti che, a sua volta, li sottomise a tre commissioni: Medica, Storica e Teologica; tutte

acconsentirono all’unanimità.

Passarono alcuni anni per vedere se il male tornasse. Non tornò: la canonizzazione fu

annunciata dal Santo Padre Giovanni Paolo II nel Concistoro Ordinario Pubblico del 7 marzo

2003.

Quando cominciò il processo per la beatificazione del Comboni, i poveri di Khartoum, cristiani e

musulmani, l’avevano già dichiarato “Uomo di Dio”. Un musulmano disse allora: “Era buono

come il profeta Gesù”.

Discorso del Santo Padre dopo la dichiarazione ufficiale in S. Pietro della santità del Comboni:

“-Predicate il Vangelo ad ogni creatura- (Mc 16,15). Con queste parole il Risorto, prima

dell’Ascensione, affidò agli Apostoli l’universale mandato missionario. Subito dopo, li assicurò

che in tale impegnativa missione avrebbe potuto contare sulla sua costante assistenza (cfr. Mc

16,20).

Queste stesse parole sono risuonate, in modo eloquente, nell’odierna solenne celebrazione.

Esse costituiscono il messaggio che ci rinnovano questi tre nuovi Santi: Daniele Comboni,

Vescovo, fondatore della Congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù e delle

Suore missionarie Comboniane Pie Madri della Pigrizia; Arnold Janssen, presbitero, fondatore

della Società del Verbo Divino, della Congregazione delle Suore Missionarie Serve dello Spirito

e della Congregazione delle Suore Serve dello Spirito Santo dell’Adorazione Perpetua; Josef

Freinademetz, presbitero, della Società del Verbo Divino.

La loro esistenza mette in evidenza che l’annuncio del Vangelo “costituisce il primo servizio che

la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità” (Redemptoris missio, 2).

L’evangelizzazione, insegnano questi nuovi Santi, oltre a interventi di promozione umana,

talora persino rischiosi come testimonia l’esperienza di tanti missionari, comporta sempre un

esplicito annuncio di Cristo. Questo è l’esempio e questa è l’eredità preziosa che i tre Santi,

elevati oggi alla gloria degli altari, lasciano specialmente alle loro famiglie religiose. Primo

compito degli Istituti missionari è la missione ad gentes, da non posporre a nessun altro

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impegno, pur necessario, di carattere sociale e umanitario.

-Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore-. Il Salmo responsoriale, che poc’anzi abbiamo

cantato, sottolinea l’urgenza della missione ad gentes anche in questi nostri tempi. Sono

necessari evangelizzatori dall’entusiasmo e dalla passione apostolica del Vescovo Daniele

Comboni, apostolo di Cristo tra gli africani. Egli impiegò le risorse della sua ricca personalità e

della sua solida spiritualità per far conoscere ed accogliere Cristo in Africa, continente che

amava profondamente.

Come non volgere, anche quest’oggi, lo sguardo con affetto e preoccupazione a quelle care

popolazioni?

Terra ricca di risorse umane e spirituali, l’Africa continua ad essere segnata da tante difficoltà e

problemi. Possa la Comunità internazionale aiutarla attivamente a costruire un futuro di

speranza, Affido questo mio appello all’intercessione di S. Daniele Comboni, insigne

evangelizzatore e protettore del Continente Nero.”

Mi sembra opportuno citare alcuni pensieri del Papa, durante la tradizionale udienza ai

pellegrini, il lunedì dopo la canonizzazione: il 6 ottobre 2003.

“Vi rivolgo il mio cordiale saluto e vi ringrazio per la vostra presenza.

Saluto tutti voi, cari Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, che proseguite l’azione

apostolica di S. Daniele Comboni. Egli viene giustamente annoverato fra i promotori del

movimento missionario che ebbe nella Chiesa del diciannovesimo secolo uno straordinario

risveglio. In particolare, saluto il Superiore generale recentemente eletto, P. Teresino Serra, e i

Religiosi partecipanti al Capitolo Generale. Auspico che le riflessioni e le indicazioni scaturite

dall’assemblea capitolare infondano un rinnovato slancio missionario al vostro Istituto.

Saluto poi voi, care Suore Missionarie Comboniane Pie Madri della Pigrizia, e voi, care secolari

Missionarie Comboniane e cari Laici Missionari Comboniani, che vi ispirate al carisma di S.

Daniele Comboni.

Iddio renda fruttuosa ogni vostra iniziativa, sempre tesa a diffondere il Vangelo della speranza.

Benedica, inoltre, gli sforzi che compite nell’ambito della promozione umana, specialmente a

favore della gioventù. A questo riguardo, auspico vivamente che sia ripreso e portato a

compimento il progetto di fonfare un’Università Cattolica in Sudan, terra cara al Comboni.

Sono certo che una così importante istituzione culturale renderà un qualificato servizio

all’intera società sudanese.

Carissimi fratelli e sorelle! Rendiamo grazie a Dio per aver donato alla Chiesa S. Daniele

Comboni, S. Arnold Janssen e S. Josef Freinademetz. Il loro esempio e la loro intercessione ci

incoraggino a rispondere con generosità alla nostra vocazione cristiana.

Ci aiuti la Vergine Maria, che questi nuovi santi amarono come tenera Madre, sperimentandone

la protezione e il conforto. Io vi accompagno con la preghiera, mentre benedico voi, le vostre

comunità e tutti i vostri cari.”

Celebrazioni furono tenute nelle diverse località legate al Comboni con rilevanti discorsi, che si

assomigliano e si accavallano ai discorsi tenuti nelle stesse località in occasione della

Beatificazione.

Lettere Decretali

Con cui sono riconosciuti gli onori dei santi a Daniele Comboni

Giovanni Paolo Vescovo

Servo dei Servi di Dio, a perpetua memoria

“L’Amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti (2 Cor 5,14.17).

Queste parole dell’Apostolo ben si addicono a quell’insigne evangelizzatore che fu il beato

vescovo, missionario e fondatore, Daniele Comboni, la cui esistenza fu mossa da quell’unico

anelito del Signore Gesù: “E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo

condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10,

16). Carità soprannaturale lo spinse a prodigarsi indefessamente per l’evangelizzazione

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dell’Africa e una speranza incrollabile ne guidò le molteplici opere intraprese, certo che la

Chiesa avrebbe finalmente annoverato tra i suoi figli prediletti anche il popolo africano.

Dotato di grande sensibilità umana e di doti non comuni di intelligenza, Daniele Comboni

nacque il 15 marzo 1831 a Limone sul Garda, paese appartenente alla diocesi di Brescia. La

formazione umanistica e teologica e l’indirizzo missionario della sua vita li ricevette tuttavia a

Verona, specialmente nell’Istituto Mazza, dove fu accolto. Il 31 dicembre 1854 venne ordinato

sacerdote a Trento e alcuni anni dopo, nel settembre del 1857, partecipava alla spedizione

mazziana per l’Africa centrale. Più che la brevità e l’apparente insuccesso di questa, potè però

il suo ardente desiderio di additare alla Chiesa una nuova e più sicura via per portare il Vangelo

in Africa.

Dio provvidente, che lo proteggeva con vigile custodia, inaspettatamente gli manifestò la via.

Infatti mentre il giorno 15 settembre 1864 pregava presso il sepolcro dell’Apostolo Pietro,

concepì nella sua mente il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, ispirato dal pensiero di

“Salvare l’Africa con l’Africa”. Il suo piano prevedeva poi di istituire il clero indigeno, le suore

della carità, I catechisti, I maestri, le madri di famiglia, non più in Europa, affinché con le

proprie forze prestassero a vicenda la propria opera per diffondere la fede e il culto cristiano

nelle regioni interne di quel continente. Il nostro predecessore Pio IX incoraggiò il servo di Dio

a portare a compimento tale proposito, dicendogli “Lavora per l’Africa come un buon soldato di

Cristo”.

Da allora la sua attività parve assumere ancora maggiore afflato ecclesiale, oltre naturalmente ad

acquistare in profondità ed efficacia operativa per le nuove fondazioni realizzate e per alcuni gesti

di grande impatto spirituale. Così l’ardente sacerdote Daniele Comboni intraprese numerosi viaggi

di animazione missionaria in tutte le principali diocesi e nazioni europee, culminanti con la

presenza al Concilio Vaticano I e la consegna ai padri ivi convenuti del “Postulatum Pro Nigris

Africae Centralis”. Nel frattempo, con l’appoggio del vescovo di Verona, Mons. Luigi di Canossa,

aveva fondato il 1° giugno 1867 l’Istituto per le missioni della Nigrizia, I cui membri si chiamano

oggi “Missionari Comboniani del Cuore di Gesù” (M.C.C.I.) e il 1° gennaio 1872 fondava l’Istituto

delle Pie Madri della Nigrizia, oggi “Suore Missionarie Comboniane”.

La Sede di Pietro accompagnò e riconobbe tanta e tale dedicazione alla causa missionaria.

Infatti il 26 maggio dello stesso anno, assegnava lo spento Vicariato dell’Africa Centrale

all’Istituto per le missioni della Nigrizia e nominava Daniele Comboni pro-vicario apostolico con

sede nella città di Khartoum. Il 31 luglio 1877 lo nominava infine vescovo e vicario della stessa

sede, con il titolo della Chiesa di Claudiopoli.

Daniele Comboni alimentò tutta la sua azione missionaria alla fonte inesauribile dell’amore

trinitario, espresso nel Cuore trafitto di Gesù e si affidò costantemente alla materna presenza

di Maria, invocata coi nomi più belli di madre e regina della Nigrizia, di Immacolata e di Nostra

Signora del Sacro Cuore, e al provvido soccorso di San Giuseppe. Al Cuore di Gesù e a Nostra

Signora del Sacro Cuore infatti consacrò il suo Vicariato. Agì costantemente per amore e in

comunione con la Chiesa e i suoi legittimi rappresentanti, sempre orientato al fine dell’opera

sua: diffondere il Vangelo, creare i presupposti di un’autentica chiesa locale, coinvolgere tutte

le forze locali nella propria rigenerazione e lottare contro la schiavitù. Su questa via seppe

abbracciare e trovare il significato della croce di Cristo da cui attinse la capacità di donarsi

totalmente a favore dei popoli “i più poveri e abbandonati”, la fortezza per affrontare e

superare le numerose contrarietà e la speranza con cui guardare fiduciosamente al futuro.

A 50 anni aveva donato tutto se stesso: a Dio, alla Chiesa e all’Africa e così il 10 ottobre 1881

esalò a Khartoum l’ultimo respiro, preannunciando una stagione di frutti per gli Istituti da lui

fondati e per la Chiesa del Sudan. La sua fama di santità e il ricordo della sua instancabile

operosità sono ancora oggi motivo di ispirazione missionaria per la Chiesa di Dio e oggetto di

ammirazione per la società civile, oltre che invito a un mondo più equo.

La causa di beatificazione e di canonizzazione fu iniziata dal vescovo di Verona nel 1928. Il 17

marzo 1996 abbiamo proceduto alla beatificazione del Servo di Dio. In vista della

canonizzazione, è stata esaminata un’ulteriore guarigione avvenuta a Khartoum (Sudan) a

favore di una signora musulmana, Lubna Abdel Aziz. Abbiamo in seguito, il 20 dicembre 2002,

promulgato il Decreto sul miracolo. Nel Concistoro del 7 marzo 2003 abbiamo stabilito che il

rito della canonizzazione fosse celebrato il 5 ottobre dello stesso anno.

Oggi, dunque, sulla piazza che si apre davanti alla patriarcale basilica di San pietro, durante la

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solennità della messa abbiamo proclamato la seguente formula: “Ad onore della Santissima

Trinità, per l’esaltazione della fede cattolica e l’incremento della vita cristiana, con l’autorità di

Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente

riflettuto, invocato più volte l’aiuto divino e ascoltato il parere di molti Nostri Fratelli

nell’Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Daniele Comboni, Arnold Janssen

Freinademetz e li iscriviamo nell’Albo dei Santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa essi siano

devotamente onorati tra i Santi.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Abbiamo voluto esaltare davanti a tutti gli uomini le gesta di questo santo che si applicò

indefessamente alla diffusione del Vangelo, affinché la fede cattolica e lo zelo si propagassero

senza interruzione e raggiungessero il maggior numero possibile di persone, così che,

arricchite di ogni protezione del cielo, potessero ottenere con abbondanza i doni salvifici di Dio.

Quanto abbiamo decretato nella presente Lettera, vogliamo che d’ora in poi come in futuro sia

ratificato e tenuto per certo, nonostante qualsiasi opinione contraria.”

Dato presso San Pietro, il giorno 5 del mese di ottobre, nell’anno del Signore 2003, 25° del

Nostro Pontificato. Giovanni Paolo II

I PRINCIPALI SVILUPPI NELL’ISTITUTO

La Formazione: una valutazione storica

Formazione di base

In questo periodo, aumentò l’internazionalizzazione sia dei formatori che dei candidati. Difatti

le cifre per gli Studenti e i Fratelli in Europa, America e le nuove province negli anni fra il 1990

ed il 1997 sono le seguenti:

Anno Europa/America / USA Nuove Province

1990 52 106

1997 26 138

Ciò nonostante, le defezioni dagli scolasticati non erano poche. Per alcuni anni la media era del

25%-30%. Ci sono diverse ragioni per questi abbandoni. Ecco alcune considerazioni:

Molti candidati non avevano la necessaria motivazione e rettitudine di intenzioni.

Quando un candidato onesto si accorge della mancanza di retta intenzione, con sincerità si

confronta con il Superiore ed eventualmente lascia l’Istituto. Chi non è sincero e vuol

continuare, crea dei problemi seri per sé e per gli altri.

Nella maggior parte dei casi di chi abbandona, la domanda non è “ perché se ne vanno “ ma “

perché erano entrati nell’Istituto”. Che alcuni giovani possano unirsi all’Istituto senza una vera

motivazione può essere accettabile, ma ci si aspetterebbe che la motivazione fosse messa in

discussione durante il Postulato, o almeno nei primi mesi del Noviziato.

I Formatori sanno bene che non è facile scoprire le giuste motivazioni. Troppo spesso, però,

coloro che dicono di non avere problemi sia all’interno della vita comunitaria, come con i

Superiori, con l’obbedienza, la preghiera, la carità, la castità e la povertà, né con i loro

genitori, è probabile che mentano e vogliono essere accettati ad ogni costo, idonei o no.

Nel libro di Geremia si legge:

“ Mi fu rivolta la Parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,

prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta della nazioni” “

Questo significa che non si può dire che un postulante abbia una vera vocazione a meno che

tramite la preghiera, ed un dialogo sincero ed aperto con i formatori e Superiori sveli che egli è

chiamato dal Signore.

Se il Superiore accetta i voti di un novizio, non vuol dire che egli abbia la vocazione:

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l’ammissione significa solo che il candidato ha le qualità richieste dall’Istituto, ma queste

qualità di per sé non sono un segno ma solo una conferma della chiamata divina che si rivela

attraverso la preghiera personale e la Direzione Spirituale.

La Superficialità nel Noviziato: alcuni candidati che entrano nel Noviziato credono che

automaticamente essi prenderanno i voti. L’unica loro preoccupazione è come prendere i voti,

e non come capire e mettere in pratica i requisiti della chiamata. Per alcuni di loro il Noviziato

è una parentesi durante il viaggio. Una volta presi i voti, essi desiderano una maggiore libertà

e molto spesso il concetto di libertà è sbagliato. Una volta presi i voti, volontariamente e

ufficialmente ci si limita l’esercizio della propria libertà. Come pure alcuni dei diritti umani,

come quello di sposarsi, di possedere in proprio ecc. vengono limitati.

Fraintendimento del Carisma di Comboni. Un Carisma è inizialmente nient’altro che la

chiamata. E’ la chiamata ad una spiritualità modellata sul Comboni; ricaricati di questa

spiritualità, che è il nucleo del carisma, ci accingiamo a servire la Chiesa “ ad gentes” (l’identità

del servizio missionario) e per i più poveri e più abbandonati (l’identità del servizio

Comboniano).

Colui che identifica il carisma con il servizio lo svilisce e perde la sostanza della chiamata, il

dono, l’identità missionaria Comboniana, cioè la “ consacrazione a Dio per le missioni

nell’Istituto Comboniano”.

Questo si esprime in categorie “professionali”: Sacerdoti, Fratelli, Suore, Missionari Laici.

Queste “professioni” vengono esercitate secondo le necessità della Chiesa Particolare dove

siamo e dove serviamo.

I Formatori

Alcuni formatori hanno avuto diversi anni di preparazione, altri come alcuni formatori dei

postulati soltanto alcuni mesi. I postulati sono le fondamenta della decisione di seguire

Comboni: come le fondamenta di un edificio, la decisione di seguire Cristo nella vita religiosa

missionaria deve avere radici profonde e forti per poter sostenere le avversità di tale vita.

Abbiamo una“ Ratio Studiorum”. Questa è stata preparata dopo molti anni di esperienza.

Purtroppo, però, non tutti i formatori la prendono come ricca risorsa per il loro lavoro di

formazione. Dirò di più; nello stesso scolaticato o noviziato si notano delle discutibili differenze

fra un formatore ed un altro che ne prende il posto. Non voglio qui mettere in discussione la

sensibilità o la personalità dei singoli formatori, ma credo che debba esserci una continuità di

esperienze. Succede che a volte un formatore in una data casa e periodo di formazione prende

il posto di un altro senza approfittare dell’esperienza del precedente.

Sintesi Ho già menzionato altrove che molti formatori non hanno ancora trovato la sintesi fra i

valori positivi del passato e quelli del presente.

Nel Capitolo del 1969 furono introdotti molti cambiamenti nella nostra metodologia formativa.

Questi cambiamenti non intendevano fare tabula rasa della formazione e della vita comunitaria

che nel passato avevano prodotto missionari zelanti, dedicati e pieni di iniziativa. Il nucleo

della formazione del passato dava una forte enfasi sulla preparazione della volontà, sulla

disciplina della vita comunitaria e missionaria, così che il falso dilemma non fu mai discusso da

alcuni missionari “ Siamo prima religiosi o missionari?”

Per “religioso” spesso s’intendeva la prevalenza delle strutture della comunità religiosa

Attualmente la metodologia si basa di più a formare i giovani, gelosi della loro libertà, a

maturare la loro personalità. Questa formazione tende a generare un certo individualismo

incoraggiato dai regimi prevalentemente democratici della società civile e politica. Si deve qui

ricordare che la vera mentalità democratica si basa su due principi: il rispetto della persona e il

rispetto della legge che protegge la libertà di tutti i cittadini. Una formazione genuina alla

democrazia deve mirare ad ottenere l’equilibrio fra questi due principi. La prevalenza di uno

degli elementi crea disarmonia o nella vita del missionario o nelle esigenze della vita

comunitaria o della comunità ecclesiale.

Siccome gli esseri umani sono stati creati per vivere in una società, la formazione all’esercizio

della libertà dei giovani significa aiutarli ad apprendere come usare la propria libertà per vivere

in una società; nel nostro caso in una comunità.

La libertà è una responsabilità: una responsabilità alla propria personalità, ai propri impegni,

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alla comunità dove Dio desidera che si vada.

Questa responsabilità è reciproca, cioè ognuno dei membri deve sentirla. Non si può dire: “

Che cosa mi offre la comunità?”, ma piuttosto: “ Che cosa offro io alla comunità”.

Lessi una volta, in una delle nostre pubblicazioni che la libertà è il più grande valore della

comunità. Nel Vangelo leggo che il più grande valore cristiano è l’amore. Gli esseri umani sono

stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Ma “Dio è amore” (1^ lettera di Giovanni 4:8).

Quindi il comandamento dell’amore è soltanto un invito a noi stessi di trovare la nostra identità

nel vivere in noi l’immagine e la somiglianza di Dio.

Dobbiamo mettere il dono della libertà a disposizione del nostro amore cristiano:

“ Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga, un

pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri.

Tutta la legge infatti, trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo come te

stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggevi del tutto gli

uno gli altri! “ (Gal. 5:13-15)

In questo contesto si può dire che la metodologia moderna nell’educazione dei giovani esige

più sforzi da parte sia dei formatori che dei candidati. Infatti essa, mentre tende ad aiutare i

giovani al retto uso della libertà, non può trascurare la formazione della volontà. Infatti la

libertà è appagata nell’esercizio dell’amore che è l’oggetto proprio della volontà.

La persona, coordina i due elementi amore e libertà. La libertà umana, tuttavia, è limitata dalla

nostra stessa natura e dallo scopo ad essa dato da Dio: libertà di amare. Nelle parole di San

Paolo l’esercizio della libertà può solo essere per il vero amore di se stessi e gli altri. Dato che

noi nelle nostre scelte siamo molto spesso guidati dal nostro istinto egoista, dalle nostre

emozioni, i sentimenti, gli interessi personali, l’esercizio della nostra libertà deve essere

controllato dalla nostra ragione illuminata dalla parola di Dio.

In termini cristiani questo self-control è la Croce di Gesù, che ci piaccia o no questa parola;

cioè:

“ Chi vuol essere un mio seguace, rinunci a se stesso, prenda la sua croce quotidiana e mi

segua” (Luca. 9:23-24)

Gesù non venne per gettarci addosso la sua croce. Venne per insegnarci a portarla perché la

vita degli esseri umani che siano o no cristiani è irta di difficoltà e problemi.

Tutti i fondatori di qualsiasi religione seria, come l’Islam, includono sacrifici: preghiere cinque

volte al giorno, Ramandam, pellegrinaggi alla Mecca, ripetere il credo o formula” Allah è il solo

Dio e Maometto il suo Profeta”

Uno scrittore americano, un laico, scrisse che la più grande tragedia degli esseri umani è quella

di rifiutare la sofferenza.

Ci sono due modi attraverso i quali un essere umano può maturare. Uno è l’esercizio delle

responsabilità come già detto sopra; l’altro è imparare a convivere con gli inevitabili sacrifici e

sofferenze della vita,.

Fidarsi dei giovani significa fidarsi delle loro idee ed energie piene di vitalità. Un laico

americano scrisse che oggi la formazione non deve esigere di meno di quanto chiedeva una

volta. La formazione deve essere esigente; più i formatori chiedono e più i giovani danno. La

differenza con il passato è che allora, facilmente si imponeva, oggi si deve proporre col dialogo

sincero che convinca il giovane o meno giovane. Questa metodologia porta ai giovani la luce di

cui abbisognano nella formazione e li aiuta a formare le loro personali convinzioni.

In questo modo la sintesi delle due metodologie può diventare un fatto acquisito. Nessuna

istituzione può programmare il futuro senza tener conto del passato. Programmare per il futuro

basandosi unicamente sul presente risulterà in ideologie e non in programmi sostenibili e

attuabili.

Le riflessioni esposte sopra fanno parte delle nostra storia dalla quale dobbiamo trarre

insegnamento.

Per analizzare il presente, si deve analizzare il passato. La Conferenza Latino-Americana di

Santo Domingo del 1992 ribadì: “ L’educazione è la memoria del passato, la maestra del

presente, il paradigma del futuro.”

Nel dubbio: fuori! Tutti coloro che sono esperti nella formazione di sacerdoti e religiosi sono

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fermamente convinti che se rimane un dubbio circa l’idoneità di un candidato, principalmente

sulle motivazioni, si deve prendere una decisione e il candidato invitato a lasciare.

Succede frequentemente che i formatori non prendono tale decisione adducendo la ragione che

ci sono ancora molti anni di formazione per il candidato. Questa politica va contro l’opinione di

esperti educatori. Nel subconscio di alcuni formatori vi è il timore di prendersi le proprie

responsabilità.

In certi casi essi sono contenti se tali responsabilità se la prendono i Superiori.

Può certamente succedere che qualcuno creato con la vocazione possa interrompere il suo

cammino. E’ comunque meglio interrompere il cammino di un candidato che rischiare di

accogliere qualcuno privo di vocazione. Esso sarebbe come un pesce fuor d’acqua, mentre il

primo, secondo l’esperienza, potrà farsi un’altra vita pienamente soddisfacente. L’esperienza ci

insegna, inoltre, che non è giustificabile, anzi, è in qualche modo ingiusto, far proseguire

qualcuno e poi fermarlo, per esempio al momento dei voti perpetui se vi erano dei dubbi nei

periodi precedenti. Uno degli errori nella selezione dei candidati, sia all’atto dell’accettazione in

postulato o noviziato che durante la formazione, è di accettare giovani che dichiarano di non

avere problemi come detto sopra.

I Provinciali.

Ad alcuni provinciali piace avere un alto numero di candidati, perciò non accettano volentieri il

giudizio dei formatori. E’ la qualità dei candidati ciò di cui si deve essere fieri, non la quantità.

Alcuni provinciali hanno avuto ed hanno tuttora dei guai a causa di sacerdoti che sono stati

ordinati nonostante ci fossero stati dei dubbi sulla loro vocazione. La selezione deve essere

scrupolosa. I formatori devono avere il coraggio di dire ai provinciali ciò che veramente

pensano dei candidati circa la loro idoneità, non solo, ma se un candidato non fosse idoneo

devono dire al provinciale che esso deve lasciare per il bene della comunità e di se stesso. Se

sono unanimi devono dire “Non lo vogliamo nella nostra comunità”.

I corsi

Sono stati organizzati degli workshop, cioè seminari interattivi sia su base generale che

continentale, in Europa, America ed in Africa.

Il Segretario Generale per la Formazione deve prendersi la responsabilità di visitare le case di

formazione di base e controllare che la “ Ratio Studiorum” e le decisioni dei workshop vengano

implementati. Egli sottoporrà al Consiglio Generale le decisioni eventualmente prese dagli

stessi workshop così che possano essere valutate dalle autorità competenti. I workshop e i

corsi sono consultativi non decisionali. La Direzione Generale si prenderà le sue responsabilità

come ente decisionale definitivo in circostanze ordinarie. I corsi e i seminari sono buona cosa e

sono necessari, ma è il Segretario Generale o continentale della Formazione che deve valutare

come le decisioni e i suggerimenti vengono attuati in ognuna delle case di formazione. Dare

questa responsabilità agli stessi corsi e workshop ha un valore molto limitato e generico.

La Direzione Spirituale.

Durante il periodo di formazione di base la direzione spirituale è fatta regolarmente. Purtroppo,

la maggioranza sia dei Fratelli, dopo aver fatto i voti perpetui, come dei chierici dopo la loro

ordinazione, non continuano ad avere regolari incontri con un padre spirituale.

Perciò i candidati credono che dopo la formazione di base non c’è bisogno di un direttore spirituale.

L’esperienza mi suggerisce che un certo numero di religiosi, dopo la professione o ordinazione

perpetua lasciano l’Istituto perché non sottopongono le loro eventuali difficoltà ad una guida saggia

come un Direttore Spirituale o ad un Confessore con la grazia del Sacramento.

Quando qualcuno ha dei problemi e si trova in una situazione critica, e non riesce ad aprirsi a

qualcuno che lo conosce, spesso si confonde e diventa vittima di se stesso.

Personalmente sono a favore di una formazione integrale senza la separazione dei due aspetti,

formazione e direzione spirituale; inoltre durante la formazione di base si deve dare maggiore

importanza alla confessione che garantisce un aiuto spirituale durante l’arco dell’intera vita.

Un religioso deve imparare a far buon uso della confessione dove potrà anche ricevere una

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direzione spirituale. E’ più facile fare una regolare confessione dopo la formazione di base che

avere regolari incontri con il padre spirituale.

Questa pratica servirebbe a mettere la confessione nella sua giusta prospettiva come

sacramento che dona la grazia sacramentale che rafforza il penitente. Le parole del confessore

non sono soltanto luce, ma attraverso la grazia sacramentale donano forza. Sarà responsabilità

del penitente di scegliere cosa dire al confessore, e, dopo l’assoluzione se il penitente avesse

altre cose da discutere con il confessore, è libero e spesso più propenso a farlo.

Queste riflessioni sono in consonanza con il seguente rapporto del Segretario Generale della

Formazione al Capitolo del 1997.

“La distinzione fra “colloquio formativo” e direzione spirituale” risulta ancora non sufficientemente

compresa da un buon numero di formatori.

Pure il sistema della “ formazione integrale “continua a suscitare qualche perplessità in alcuni e

ritorna regolarmente come oggetto di discussione nei nostri raduni. A livello d’Istituto nelle

risposte al questionario individuale (domanda 27.3) lo scarto tra quelli che approvano questa

prassi e quelli che la criticano è di appena pochi punti (38,5) contro il (33%). I formatori sono

decisamente più ottimisti (59,8% contro il 32,3%), un po’ meno gli scolastici e fratelli VT (46,

4% contro il 36%).

Nei corsi per formatori sono state abbordate queste tematiche. E’ stata riaffermata la validità

dell’attuale prassi formativa, ma è stata anche sottolineata la convenienza di una certa

flessibilità per adattarla alle circostanze.

Tenendo conto dei disagi indicati da una buona percentuale dei confratelli, vedrei opportuno il

promuovere una riflessione a livello d’Istituto su questi aspetti della nostra prassi formativa

per studiare il modo di affrontare, per quanto possibile, gli eventuali limiti.

In una linea di maggiore flessibilità nell’uso dei due mezzi formativi, il colloquio formativo e la

direzione spirituale, secondo le diverse tappe formative, ci si può domandare se durante lo

scolasticato non sarebbe opportuno favorire il più possibile la ‘libertà’ (prevista dalla Ratio) di

scegliere come direttore spirituale una persona diversa dal formatore (dentro o fuori l’istituto).

Questo potrebbe permettere di rivalutare “ il colloquio formativo” e preparare il confratello ad

assumere la direzione spirituale come uno strumento che si utilizza per tutta la vita.

Formazione continua

Come risultato della consapevolezza della necessità di dare la dovuta attenzione a ciò che si è

piuttosto che a ciò che si fa o si ha, sono state prese delle iniziative.

Di particolare importanza è l’anno Comboniano come esigenza della formazione continua per i

confratelli dopo 10 anni circa di esperienza missionaria.

Animazione Missionaria

Assemblee continentali

Si sono tenute delle assemblee continentali in questo periodo, a Quito (Ecuador)per l’America

nel 1996, l’altra in Africa a Maputo (Mozambico) nel gennaio del 1997. Furono prese le

seguenti decisioni:

America: l’istituzione di un centro per l’Animazione Missionaria nel Guatemala.

Africa: il Consiglio generale passò la responsabilità del “New People Media Centre” di Nairobi

alle province di lingua inglese a partire dal gennaio 1999. Fu programmato di istituire un simile

centro di comunicazioni sociali per le province di lingua francese: “Afrique Espoir” a Kinshasa,

già funzionante.

L’Africa

Fu dato particolare rilievo all’apprendimento dell’arabo e dell’Islam. Le province africane furono

esortate dal Capitolo a creare consapevolezza e dare adeguata formazione sull’Islam nelle

comunità cristiane. Il Consiglio Generale appoggia in questo compito le province nei seguenti

modi:

a. attraverso l’animazione delle stesse province.

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b. aiutandole nei loro piani post-capitolari di focalizzare la loro attenzione sulle sfide dell’islam

nell’evangelizzazione.

c. Incoraggiandoli a dare ai confratelli l’opportunità di conoscere l’Islam come veramente è e di

partecipare a corsi organizzati all’uopo. In particolare i corsi estivi di Islamologia del PISAI

(Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamologia) nel 1995, furono seguiti da rappresentanti

delle province di CA, MO, RSA, TC, T, Z; altri corsi brevi sulla islamologia furono tenuti in Africa

centrale, Sud Africa, Ciad, Togo, Zaire, Egitto, nel 1994, nel Kenya nel 1995, nel Mozambico

sempre nel 1995 nel 1996 in Malawi e Zambia e in Uganda nel 1997.

d. Attraverso la collaborazione con altri Istituti.

e. Il trasferimento del Centro per gli Studi Arabi al Cairo (Dar Comboni) dalla casa parrocchiale

di Sakakini a Zamalek, una proprietà Comboniana più idonea, dette l’opportunità di rinnovare

la collaborazione con la Chiesa locale rappresentata dal Vescovo Mons. Sampieri, Vicario

Apostolico di Alessandria d’Egitto e con vari altri Istituti religiosi al Cairo.

La collaborazione fra il PISAI, dei Missionari d’Africa e Dar Comboni che per lungo tempo si

limitava ad uno scambio di personale per corsi brevi, si è sviluppata in un progetto di

formazione comune, i cui dettagli stanno per essere ultimati. Lo scopo del progetto è:

Di offrire alla Chiesa delle Strutture funzionanti per il training di personale nel campo delle

studio dell’arabo e conoscenza dell’Islam;

Di far sì che la Chiesa sia più consapevole della necessità di formare personale qualificato per il

lavoro pastorale fra i cattolici in aree di maggioranza musulmana;

Di creare un rapporto sereno e rispettoso in aree di minoranza musulmana;

Di addestrare al dialogo con l’Islam;

Di condividere le risorse quali personale qualificato e finanze.

f. Attraverso l’aumento di personale: dal Consiglio Generale 15 confratelli in 6 anni sono stati

mandati a studiare l’Arabo e l’Islam. Altri sono stati mandati dalle rispettive province.

Si devono menzionare alcune difficoltà obiettive;

Lo studio dell’arabo non è per niente semplice;

la realtà islamica è molto complessa e spesso presentata in modo negativo dai mass media,

rendendola perciò poco attraente;

I’iter per ottenere un visto ed il clima nel Nord Sudan sono piuttosto difficoltosi.

A causa di una o più combinazione dei suddetti fattori, due confratelli non furono in grado di

completare i loro studi d’arabo e due dovettero lasciare l’Egitto pur continuando a studiare

l’arabo altrove.

L’Europa

Il luogo di nascita del beato Comboni.

In linea con le indicazioni del Capitolo, il Consiglio generale, d’accordo con la Provincia Italiana,

prese le seguenti iniziative:

L’acquisto di un terreno davanti alla “ Limonaia” di Limone.

La conferma che la proprietà legale della casa è della Amministrazione generale, mentre la Provin-

cia Italiana ha la generale responsabilità della gestione giornaliera in dialogo con la Direzione.

La Polonia: L’uscita di una rivista polacca “ Misjonarza Komboniane”. Ci sono già state un certo

numero di vocazioni; fino ad adesso seguono il loro noviziato a Venegono.

PRINCIPALI SVILUPPI NELLE MISSIONI (1991-1997)

La beatificazione di Comboni

Come ci si poteva aspettare, la beatificazione di Comboni a Roma influì sull’intero Istituto. Essa

ebbe, tuttavia, un’eco particolare nelle missioni. Questo fu a causa delle eccellenti preparazioni

fatte per il giorno della beatificazione. Ovunque, furono stampati e distribuiti opuscoli che

parlavano del Beato Comboni e dei suoi seguaci come animazione missionaria, promozione

vocazionale e la formazione di base e continua.

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La Direzione Generale, assieme al Consiglio Generale degli altri due Istituti Comboniani, aveva

diramato due lettere: “ Contemplare la Roccia “ e “ Il coraggio della Speranza”. Le due lettere,

data la vicinanza della beatificazione, furono ben accolte, lette e commentate. I nostri

missionari, inoltre cercarono di attuare i suggerimenti in esse contenute.

Fu così che nel rapporto al Capitolo del 1997 la Direzione generale poté scrivere:

“Attraverso la partecipazione alla Beatificazione e alle numerose iniziative collegate ad essa,

molti confratelli si sono resi conto di essere entrati in una maniera nuova nella vera esperienza

della “sequela Christi” con il Fondatore. In generale le celebrazioni sono state caratterizzate da

un profondo desiderio di renderci missionari migliori e più dedicati, attraverso una riscoperta

della santità del Fondatore condivisa vitalmente con noi oggi, ed in vista del futuro.”

LA BEATIFICAZIONE illuminò anche i modi in cui i confratelli vivono – a volte implicitamente ma

nonostante ciò realmente – l’esperienza del beato Comboni nella loro realtà missionaria: il loro

amore per la loro vocazione missionaria, in molti casi li ha posti in situazioni difficili e dure,

evidenziate da rischi, paura e incertezze (n. 21,1-2).

Nella introduzione alla relazione sul continente africano del Capitolo del 1997 si legge:

“Assieme alla Chiesa in Africa noi fummo profondamente influenzati dalla beatificazione di

Comboni nel 1996. Egli è un esempio unico di evangelizzatore che interpreta la realtà

dell’Africa alla luce della fede, resa causa comune con i poveri e gli emarginati, promosse

comunità evangeliche come “ cenacoli di apostoli” e ispirò sentimenti amorevoli, compassione

e solidarietà con la gente seguendo il modello del Buon Pastore del Cuore Trafitto.

La testimonianza eroica dei santi africani come i martiri ugandesi, Bakhita, Annuarite, Isidore

Bakanja e i martiri di oggi, sia cattolici che non, sono i segni evidenti della vitalità della Chiesa

Africana. Ciò conferma il detto dello scrittore africano Tertulliano: “ Il sangue dei martiri è il

seme di nuovi cristiani”. La vocazione alla santità che i santi africani realizzano, è prova

concreta della inculturazione della Chiesa.”

Oltre, la beatificazione di Comboni, accaddero due cose di grande importanza per i nostri

missionari, una nell’America latina e l’altra in Africa.

Santo Domingo (1992)

La Conferenza Latino Americana è la quarta nella storia moderna della Chiesa nell’America

Latina: Rio de Janiero., Medellin, Puebla, Santo Domingo.

I documenti sono raccolti in un libro di oltre 350 pagine. Di seguito riportiamo dei punti che

furono sottolineati o accentuati.

Un rinnovato sforzo per la nuova evangelizzazione dei popoli dell’America Latina è l’accento

sulla persona e la missione del nostro salvatore Gesù Cristo.

La Cristologia fu alla base dell’Assemblea ed il suo primo frutto non poteva che accentuare il

nome e la persona di Gesù Cristo, nostro Salvatore e Redentore in modo che possa essere

sulle labbra e nei cuori di tutti i popoli Latino Americani.

PARTE PRIMA: Gesù Cristo, il Vangelo del Padre (tre capitoli)

a. I membri della conferenza scrissero una affettuosa e pubblica professione di fede.

b. Un resoconto riguardante i precedenti cinque secoli di evangelizzazione proclamò gli aspetti

positivi dei missionari; la luce di Cristo che fu portata all’America, è il perdono chiesto per le

zone buie.

c. Un caloroso ringraziamento agli innumerevoli missionari e agenti pastorali che dettero anche

il loro sangue per l’evangelizzazione.

PARTE SECONDA: Gesù Cristo, l’Evangelizzatore vive nella Sua Chiesa (3 capitoli)

a. La nuova evangelizzazione: al n. 24 della Dichiarazione Finale, la conferenza descrive la

Nuova Evangelizzazione nel seguente modo:

“ Nel suo complesso la nuova Evangelizzazione intende fare uso di tutti i mezzi, le attività o gli

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accorgimenti che portano il Vangelo all’esercizio del dialogo con la moderna e la post-moderna

cultura del mondo. Lo scopo di questo è di affrontare le sfide di queste culture e di lasciarci

mettere da esse in discussione. La nuova Evangelizzazione richiede pure uno sforzo per portare

la luce della teologia nella vita sociale di ogni giorno da facilitare il nostro incontro con i “segni

dei tempi” e saperli interpretare attraverso i programmi pastorali”

b. La promozione umana: da intendersi secondo la dottrina sociale della Chiesa, cioè, “

Promozione integrale, corpo ed anima”.

In questo contesto l’enfasi della teologia della liberazione non riguarda tanto l’aspetto

sociologico quanto quello teologico senza escludere il primo. La liberazione è innanzi tutto una

dimensione del Mistero Pasquale ed è essenzialmente connesso con la morte redentrice di

Cristo: è la liberazione della persona umana dalla morte e dal peccato. In questo modo l’idea

del peccato entra nella vita sociale. Per poter liberare le strutture del peccato è necessario

liberarle dai peccati di coloro che gestiscono quelle strutture. A loro volta quegli esseri umani

liberati potranno eventualmente liberare quelle strutture da quegli aspetti intrinseci che

costringono gli esseri umani a peccare contro i diritti umani e di conseguenza esercitare

l’amore per il prossimo.

c. La Cultura Cristiana: questo argomento non fu oggetto di particolari considerazioni nelle

precedenti conferenze.

E’ necessario dare un’alternativa alle più diffuse culture moderne come la “ New Age”. E’

una”età” che non ha nessun riferimento a Dio. La cultura alternativa, cioè quella che penetra

attraverso tutti gli aspetti della vita è quella illuminata dalla persona di Cristo, il suo messaggio

di Verità e Vita.

Questa deve essere la risposta della Chiesa alla anti-cultura della morte caratterizzata

dall’aborto, dall’eutanasia, dalle guerriglie, dagli handicap e dal terrorismo.

Il documenti finale non entra nei dettagli ma enfatizza, tuttavia il ruolo della Chiesa

nell’educazione della gente a vari livelli: nelle scuole e al di fuori di esse, nelle scuole primarie

e secondarie fino alle università e oltre. (DC 263).

Siccome l’educazione è l’assimilazione di una cultura, l’educazione cristiana è l’assimilazione

della cultura cristiana che viene impartita nei centri culturali come le scuole.

PARTE TERZA: “Gesù Cristo Vita e Speranza dell’America Latina” Questa parte è una

sintesi del capitolo precedente che aiuta la Conferenza a scegliere le priorità del

lavoro pastorale tra il popolo.

a. Come conclusione di questa analisi è giusto notare l’enfasi quasi totalmente data alla

persona di Gesù Cristo, il più grande valore della Creazione:

“ La connessione fra il Regno di Dio e la persona di Gesù Cristo è molto chiara nel Vangelo, non

si può capire cosa significhi il Regno di Dio, e come venga costruito senza riferimento alla

persona di Gesù Cristo. Tagliar fuori Gesù Cristo dal Regno di Dio ci impedisce di capire le Sue

azioni e le sue parole. Queste mirano sempre a stabilire in modo definitivo il regno di Dio.

Pensare al regno di Dio distaccato da Gesù Cristo è come confinare il regno ad una ideologia

che ha solo una dimensione umana. Questa potrebbe includere un non voluto relativismo che

può differire secondo le varie tendenze storiche e le ideologie di progresso puramente terreno

che di tanto in tanto sono in voga ”

b. Il Documento finale cita l’Enciclica di Giovanni Paolo II “ Redemptoris Missio”, che tratta a

lungo della relazione della persona di Gesù Cristo con la Chiesa ed il Regno di Dio (RM 17-19).

Santo Domingo è un invito ad un buon numero di missionari, i quali nel loro lodevole sforzo di

promuovere l’ecumenesimo ed il dialogo proclamano soltanto i valori del Regno e perfino i

valori generali del Vangelo.

Quando trattiamo con culture primitive od anche differenti sincretismi religiosi, è buona

metodologia missionaria trattare prima i suddetti valori che sono considerati dal Concilio

Vaticano II “ vestigia Verbi”.

Nella missiologia, questa metodologia viene considerata pre-evangelizzazione, cioè una

preparazione all’annuncio dell’unico Salvatore, Gesù Cristo. I “vestigia” sono intesi a portare

alla gente il loro autore “ il Verbo”.

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“ Il buono che si potrà trovare fra i non cristiani è considerato dalla Chiesa una preparazione al

Vangelo e dato da Colui che illumina tutti i popoli che possano alla fine avere la vita”

Nel trattare con altre religioni come l’Islam, si più dialogare e trarne vantaggio per poter creare

un’atmosfera amichevole e quindi lavorare assieme per implementare dei progetti socio-

economici e promuovere le preghiere comuni, come le molte guidate da Giovanni Paolo II. Ma

in un dialogo inter-religioso trasparente, un cattolico non può presentare la sua religione senza

proclamare la Resurrezione, la Divinità di Cristo come centro della sua religione e come

seconda persona della santissima Trinità. Questo fatto non verrà interpretato come un

tentativo di convertire l’altra parte, bensì per aiutare gli altri a capirci. Presentare un Regno

senza Re non ha senso.

San Paolo dice chiaramente che il piano di Dio Padre è quello di rigenerare tutto in Cristo come

leader, sia in terra che in cielo (Eph. 1: 10).

“Alla luce dell’avvento della salvezza la Chiesa non vede alcun conflitto fra la proclamazione di

Cristo e la partecipazione al dialogo inter-religioso. Invece, essa sente il bisogno di unire i due

nel contesto della sua missione ad gentes.” (RM 55, La Chiesa in Africa, n. 67)

La Chiesa in Africa (“Ecclesia in Africa”) Esortazione Apostolica Post Sinodale di Giovanni Paolo II

L’assemblea speciale per l’Africa del sinodo dei Vescovi fu tenuta a Roma nell’aprile del 1994.

Fu un evento pieno di significato e di promesse per la Chiesa in Africa. In alcune diocesi

dell’Africa mancò una seria preparazione, per cui il risultato del Sinodo non fu tanto

entusiasmante quanto l’evento stesso.

Alla fine del Sinodo Ordinario del 1973, con decisione confermata dal Sinodo del 1976, i

Vescovi mandarono tutte le loro risoluzioni al Papa. Perciò quelle di questa assemblea Speciale

furono pure mandate al Papa che pubblicò una esortazione il 14 settembre 1995. In

quest’occasione egli si recò in tre nazioni africane a presentare la lettera e celebrare il grande

evento con la gente.

La lettera è composta da sette capitoli.

Nel primo capitolo (n. 10-29): il Papa descrive come gli incontri erano ben organizzati data la

situazione attuale in Africa. Alcune Nazioni in occidente pensavano effettivamente che l’Africa

non potesse confrontarsi con il progresso degli altri continenti nel campo della produzione

economica. Inoltre l’invasione di nuove sette stava creando problemi per la Chiesa.

Il capitolo chiude incoraggiando i popoli africani e principalmente i vescovi: “ Il piano salvifico

per l’Africa di Dio è all’origine della crescita della Chiesa nel continente africano”.

Il secondo capitolo (n. 30-54) presenta una breve storia dell’evangelizzazione del continente.

Ho scelto un pezzo da prendere in considerazione perchè riguarda i valori positivi della cultura

africana. Il mondo materialistico attuale guarda agli africani solo dal punto di vista della

produzione. I Vescovi dell’Africa, invece, preferiscono guardare agli esseri umani dal punto di

vista di persone e devono avere più di quanto hanno oggi.

“Malgrado le sue grandi ricchezze naturali,l’Africa permane in una situazione economica di

povertà.

Essa possiede, tuttavia, una molteplice varietà di valori culturali di inestimabile qualità umane,

che può offrire alle Chiese e all’intera umanità. I padri sinodali hanno posto in evidenza alcuni

di tali valori culturali, che certamente costituiscono una preparazione provvidenziale alla

trasmissione del Vangelo; sono valori che possono favorire un’evoluzione positiva della

drammatica situazione del continente, ed avviare quella ripresa globale da cui dipende

l’auspicato sviluppo delle singole nazioni.

Gli africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio

creatore e di un mondo spirituale. La realtà del peccato nelle sue forme individuali e sociali è

assai presente alla coscienza di quei popoli, e sentito è pure il bisogno di riti di purificazione e

di espiazione.

Nella cultura e nella tradizione africana, il ruolo della famiglia è universalmente considerato

come fondamentale. Aperto a questo senso della famiglia, dell’amore e del rispetto della vita,

l’africano ama i figli, che sono accolti gioiosamente come dono di Dio. “ I figli e le figlie

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dell’Africa amano la vita” E’ proprio l’amore per la vita a comandare loro di attribuire così

grande importanza alla venerazione degli avi. Credono istintivamente che quei morti continuino

a vivere e rimangono in comunione con loro.

Non è questa, in qualche modo, una preparazione alla fede nelle comunione dei Santi? I popoli

dell’Africa rispettano la vita che viene concepita e nasce. Gioiscono di questa vita. Rifiutano

l’idea che possa essere distrutta, anche quando a questo vorrebbero indurli le cosiddette “

civiltà progredite”, così pure rigettano quelle pratiche ostili alla vita che vengono loro imposte

per mezzo di sistemi economici che sono al servizio dell’egoismo dei ricchi. Gli africani

manifestano rispetto per la vita fino al suo termine naturale e riservano in seno alla famiglia un

posto agli anziani ed ai parenti.

Le culture africane hanno un senso acuto della solidarietà e della vita comunitaria. Non si

concepisce in Africa una festa che non venga condivisa con l’intero villaggio. Di fatto, la vita

comunitaria nelle società africane è espressione della famiglia allargata. Con ardente desiderio

prego e chiedo di pregare perché l’Africa conservi sempre tale preziosa eredità culturale e

perché mai soccomba alla tentazione dell’individualismo, così estraneo alle sue migliori

tradizioni. “ (n.43)

Più avanti (52) i vescovi deprecano la penetrazione dei mass media che sono gestiti

principalmente da centri del nord del mondo, che spesso danno una visione distorta dell’uomo

africano e della sua vita. In questo modo essi mancano di rispondere alle richieste di un vero

sviluppo.

Il terzo capitolo (n. 63) ha come punto focale la Chiesa come famiglia di Dio.

Il concetto di famiglia in Africa generalmente significa una famiglia allargata dove la solidarietà

è altrettanto forte come quello della famiglia ristretta che conosciamo negli altri continenti.

Così i Vescovi africani trovano una terminologia più concreta che quella di descrivere la Chiesa

come Comunione o il Popolo di Dio.

Il quarto capitolo: La Chiesa come famiglia di Dio.

“ Non solo il Sinodo ha parlato dell’inculturazione, ma l’ha anche concretamente applicata,

assumendo come idea-guida per l’evangelizzazione dell’Africa quella Chiesa intesa come

Famiglia di Dio. In essa i padri sinodali hanno riconosciuto un’espressione della natura della

Chiesa particolarmente adatta all’Africa. L’immagine pone, in effetti, l’accento sulla premura

per l’altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni,sull’accoglienza, il dialogo, la fiducia. La

nuova evangelizzazione, tenderà, dunque, ad edificare la Chiesa come famiglia, escludendo

ogni etnocentrismo ed ogni particolarismo eccessivo, cercando invece di promuovere la

riconciliazione e una vera comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la

condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le Chiese particolari, senza

indebite considerazioni di ordine etnico. E’ vivamente auspicabile che i teologi elaborino la

teologia della Chiesa Famiglia in tutta la ricchezza insita in tale concetto, sviluppandone la

complementarietà mediante altre immagini della Chiesa”.

Comunque, il Papa suggerisce la seguente considerazione:

“Tramite la sua relazione con Cristo, la Chiesa è come un sacramento o segno di unione intima

con Dio e dell’unità con tutti gli uomini.” (id.)

Una affermazione allarmante sulla famiglia è:

“Non permettete mai che la famiglia africana venga ridicolizzata nel suo stesso suolo. Non

permettete che l’Anno Internazionale della Famiglia diventi l’anno della distruzione della

famiglia”. (n. 84)

L’allarme è dovuto al seguente fatto: le Nazioni Unite scelsero il Cairo - su suolo africano – per

tenere una conferenza sulla popolazione. Nel documento preparatorio ci fu una vera sfida alle

tradizioni africane. La proposta era di accettare la pratica degli aborti come contraccettivo. Lo

scopo era troppo chiaro: siccome gli africani amano i bambini la proposta, metteva in

discussione molti valori delle famiglie africane.

Inculturazione ed evangelizzazione sono i maggiori argomenti della lettera che è descritta

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come urgente. Si sa, tuttavia, che molte parole sono state spese su questo problema. La

difficoltà di questo processo può essere spiegato dalle seguenti due proposizioni del Sinodo

interamente riportate nella lettera:

“Tenendo presente i rapidi cambiamenti culturali, sociali economici e politici, le nostre Chiese

locali dovranno lavorare ad un processo d’inculturazione sempre rinnovato, rispettando i due

criteri seguenti: la compatibilità con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa

universale; in ogni caso si avrà cura di evitare ogni sincretismo.

Come cammino verso una piena evangelizzazione, l’inculturazione mira a porre l’uomo nella

condizione di inserire Gesù Cristo nell’integrità del proprio essere personale, culturale,

economico e politico, in vista della piena adesione a Dio Padre, e di una vita santa mediante

l’azione dello Spirito Santo”.

Questo può essere interpretato come promemoria a molti sacerdoti che confinano

l’inculturazione alla riforma liturgica.

L’invasione di molti non-valori della cultura occidentale, apprezzati dai giovani, rendono difficile

seguire le idee espresse nelle proposizioni suddette.

La così detta “civilizzazione “ si focalizza principalmente sulle tecnologie e problemi economici

che tendono a distruggere le culture africane che sottolineano lo sviluppo della persona

umana. Purtroppo oggi, anche questo valore sta svanendo lasciando il campo all’ingordigia

finanziaria che è spesso marcata dalla corruzione.

Uno degli aspetti condannati di certe società africane riguarda le donne:

“La Chiesa deplora e condanna il livello di vita in cui si trovano ancorate le donne in alcune

società africane, tutti ‘ gli usi e pratiche che tolgono i loro diritti ed il rispetto che è loro dovuto

’. Si raccomanda che le Conferenze Episcopali stabiliscano delle speciali commissioni per

studiare più a fondo i problemi delle donne in cooperazione con le agenzie governative

interessate, ovunque questo sia possibile.” (n. 121)

Mezzi per le comunicazioni Sociali. Uno dei valori raccomandati delle tradizioni africane

riguarda i mezzi per le Comunicazioni Sociali.

“Le forme tradizionali di comunicazione sociale non devono in nessun modo essere

sottovalutate. In numerosi ambienti africani esse risultano ancora molto utili ed efficaci.

Inoltre, esse sono meno costose e più accessibili.

Comprendono i canti, la musica, le pantomine, il teatro, i proverbi e le favole. In quanto veicoli

di saggezza e dello spirito popolare, essi costituiscono una sorgente preziosa di contenuti e di

ispirazione per i mezzi moderni”. (n. 122)

Conclusione. Molte altre raccomandazioni e risoluzioni fanno della lettera un programma di

Evangelizzazione. L’istruzione nelle scuole cattoliche, la presenza nelle scuole non cattoliche ed

altri centri culturali, miglior uso dei mezzi di comunicazione sociale, la santità dei sacrdoti e dei

religiosi, la testimonianza per la Giustizia e la Pace, sono chiaramente descritte e

coraggiosamente proposte dai Vescovi.

Ogni cultura è differente da una così detta civiltà che è fatta dall’uomo. La cultura africana,

come tutte le culture originali, si basa sulla legge di Dio (i dieci comandamenti) scritta nei cuori

delle persone umane (Rom. 2: 14-16).

Siccome però, viene trasmessa da esseri umani che commettono errori e che sono peccatori,

alcune cattive azioni e comportamenti peccaminosi sono stati introdotti in ogni cultura. Inoltre,

in quanto Cristo ci ha portato un nuovo stile di vita (cultura) imbevuto di valori sovrannaturali

non dovuti alla natura umana, così “ ogni cultura ha bisogno di essere trasformata dai valori

del Vangelo” (n. 61)

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CAPITOLO VENTESIMO

Quindicesimo Capitolo Generale 1997 - Roma 1 Settembre – 13 Ottobre

I Capitolari

Ci furono 66 membri del Capitolo in rappresentanza delle Province e Delegazioni dell’Europa:

28 dall’Africa, 16 dall’America, 1 dall’Asia, e i membri della Direzione Generale.

Elezioni

P. Manuel Augusto Lopez Ferreira Superiore Generale

P. Venanzio Milani Vicario Generale

P. Juan Antonio Gonzàlez Nǔňez Assistente

P. Rafael Gonzàlez Ponce Assistente

Fr. Umberto Martinuzzo Assistente

Tutti gli eletti avevano esperienza missionaria in differenti parti del mondo. Per la prima volta,

la scelta dei nuovi membri fu apertamente discussa, evitando lobby e discussioni di retroscena.

Inizialmente fu sottolineata la continuità, sia rieleggendo il Superiore Generale uscente sia

qualche membro del suo Consiglio. Poi, prevalse l’idea di un cambiamento totale. Comunque la

continuità entrò dalla finestra in quanto p. V. Milani era stato assistente nel periodo 1985-

1991, mentre dal 1991-1997 era stato Superiore della Provincia Italiana.

P. MANUEL AUGUSTO LOPEZ FERREIRA. Il nuovo Superiore generale era nato in Areozelo das

Mayas, diocesi di Viseu, nel Portogallo settentrionale il 20 gennaio 1950. Fece la sua prima

professione il 15 agosto 1969. Dopo aver seguito il corso di teologia a Roma, fu ordinato

sacerdote il 18 luglio 1976. Dal 1976 lavorò in Portogallo come editore di “Além-Mar” e

animatore missionario fino al 1984 quando fu mandato in Kenya incaricato del nuovo Centro

Internazionale per Fratelli.Quando le Filippine aprirono ai missionari comboniani gli fu chiesto

di andare là a fondare la rivista “World Mission” per l’Asia. Nel suo ruolo di Rappresentante del

Superiore Generale egli fu presente al Capitolo del 1991. Tornò nelle Filippine, ma nel 1995 fu

nominato Superiore della Provincia Portoghese. In questo ruolo egli partecipò al Capitolo del

quale fu eletto Segretario Esecutivo e poi Superiore Generale il 30 settembre 1997.

FASI DEL CAPITOLO

Le fasi furono uguale a quelle dei Capitoli precedenti:

VEDERE: i rapporti del Consiglio Generale, dei segretari generali e uffici della Direzione Generale, dei

continentali d’Africa, America, Asia, ed Europa e brevemente delle diverse Province.

GIUDICARE: discussioni di gruppo circa le rispettive relazioni dell’Assemblea Generale.

AGIRE: le proposte approvate dall’Assemblea Generale e contenute in un opuscolo intitolato “

Atti del Capitolo – 1997”.

Prima fase: relazioni

Non è mia intenzione andare a fondo di ogni relazione; ci sono gli opuscoli all’uopo distribuiti a

tutte le comunità. Forse alcuni di loro stanno raccogliendo polvere sui vari scaffali, ma alcuni

verranno letti in occasione dell’Assemblea Intercapitolare del 2000.

Le relazioni seguono l’ordine degli Atti Capitolari del 1991 che parlano della “Focalizzazione”:

“Missione- Carisma – Carisma – Missione e delle cinque vie proposte nel 1991 come punti

particolari per realizzare questa Focalizzazione:

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La Spiritualità Missionaria Comboniana.

La Comunità Missionaria Comboniana.

La formazione di base e permanente.

Campi d’azione nelle missioni.

La metodologia missionaria Comboniana.

Le relazioni del Consiglio generale circa il “Focus” e le cinque vie sembrano ben descrivere la

situazione generale dell’Istituto; le relazione delle province, in generale, sono alquanto simili,

benché molto più dettagliate.

Solo le relazioni continentali furono lette al Capitolo: l’Africa – le Americhe - l’Europa. Le relazioni

dell’Africa e dell’Europa non seguirono, nell’insieme lo schema di focalizzazione delle 5 vie.

Leggendo le relazioni ci si rende conto che l’adempimento delle priorità indicate dal Capitolo

del 1991 sono poche se confrontate con le manchevolezze e le difficoltà che s’incontrano nella

vita di tutti i giorni.

Ciò nonostante, i nostri missionari erano pienamente consapevoli di questi problemi e difficoltà

che è sempre un segno positivo. A volte, comunque, tale consapevolezza emerge soltanto

quando arriva il momento di preparare le relazioni per il Capitolo.

La relazione del Consiglio Generale

Commenterò soltanto quattro punti della relazione e cercherò di evidenziarli dal punto di vista

storico.

Prima Via: La Spiritualità Missionaria Comboniana

“Nonostante i progressi ottenuti, l’interiorizzazione della nostra spiritualità specifica, così da nutrire

e sostenere il nostro impegno missionario ad vitam, è ancora una sfida. Solo un parziale progresso

è stato fatto, per esempio, nella risposta all’invito del Capitolo di permettere che l’attenzione ai

poveri, come anche gli eventi sociali politici ed economici arricchiscano la nostra spiritualità,

specialmente il nostro approccio al Cuore di Gesù. “(AC 25) (relazione n. 248).

Desidero commentare da un punto di vista storico l’opinione sulla nostra spiritualità:

Dopo i cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II (1962-1965), una reazione emotiva al

passato finì per rifiutare molte delle devozioni popolari a causa del fatto che se ne abusava o

perché non interamente capite. E’ vero che molta gente riteneva tali devozioni come preghiere

solo per ottenere grazie. Questa reazione influì anche sulla devozione per la Madonna ed il

Sacro Cuore. Le loro statue vennero relegate in qualche angolo buio come se fosse un ritorno

ai vecchi iconoclasti.

Molti sacerdoti e religiosi non pensarono che le devozioni popolari devono essere purificate e

non abolite. Tale purificazione è intesa ad enfatizzare la necessità di imitare l’oggetto della

devozione; in questo caso la Madonna ed il Sacro Cuore, di modo che una specifica spiritualità,

cioè uno stile di vita, possa emergere.

Per quanto riguarda il Sacro Cuore, un fatto è ben noto: prima della Riunione, un referendum

fu fatto sul nome da dare alla Congregazione riunita. Furono proposti due nomi: CMC –

Congregatio Missionaria Comboniana (604 voti) e CMSC – Congregatio Missionaria Sacri Cordis

(496 voti). La maggioranza volle quindi eliminare questi segni esteriori del Sacro Cuore. Il

nostro nome originale era “ Figli del Sacro Cuore”

Alcuni anni fa negli anni 80, un Gesuita si recò presso una delle nostre province africane e

s’informò dai nostri padri sulla nostra spiritualità. Era un teologo e sorrise nel sentirsi

rispondere “ Siamo missionari, e basta”. Conosco altri casi simili.

Come già detto, il nucleo del nostro carisma è la spiritualità di Comboni, cioè l’imitazione dei tre

amori del Cuore di Gesù: amore per il Padre, amore sovrannaturale, e l’amore umano per i nostri

fratelli. Il cuore di Gesù è il Cuore Trafitto: questo simbolo deve ispirare i missionari ad accogliere

e amare la necessità delle croci che portano i discepoli di Cristo. La spiritualità Comboniana,

inoltre, include la Comunione con la Chiesa, il Corpo di Cristo, la sorgente delle nostra vita e

nutrimento; include anche la Madonna, la Sua e nostra Madre, colei che ha potere su di Lui.

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Non è difficile conoscere questa spiritualità, ne sono stati scritti parecchi volumi. Ma per

interiorizzarne i valori c’è bisogno della preghiera personale. La mancanza di interiorizzazione

non è dovuta all’ignoranza del programma del Capitolo ma alla non rara mancanza della

preghiera personale profonda e lunga.

Seconda Via: La Comunità Missionaria Comboniana

“ A volte la difficoltà è scaturita da una certa resistenza o incapacità alla condivisione fraterna,

specialmente nel rendere la comunità il luogo dove dare e ricevere, un reciproco sostegno

umano, una genuina amicizia e fraternità, un favorire l’apertura al comunitario discernimento

apostolico, alla formazione permanente e all’amministrazione comune dei beni.” (Relazione

27,3)

Osservazioni

La capacità di essere amici e fratelli genuini scaturisce dalla pratica dell’amore Cristiano fra di

noi. Questo amore è la base della nostra vita missionaria, ma ritengo che si debba esprimere

esplicitamente.

Nelle Regole dell’Istituto del Beato Comboni (1871) troviamo un riferimento alla “ Carità che

deve essere praticata principalmente all’interno del collegio, ecc.” (Cap. X, 21).

I nostri Superiori erano soliti insistere sulla carità, in special modo P. Vinello. Nella sua lettera

del 25 maggio 1914, già citata, dice:

“Possa la carità farci vivere con un solo cuore ed una sola anima nel Cuore di Cristo. Io ho un

presentimento, una profonda convinzione che un Istituto nato nel Cuore di Cristo, che è carità,

legherà il suo futuro ed il successo del nostro Apostolato alla carità fra di noi.”

Nell’ultimo Direttorio, valido prima delle Regole attuali c’era un intero capitolo sulla carità.

Quando io fui Superiore generale incontrai alcuni sacerdoti e religiosi che tornavano da visite

presso le nostre comunità nelle missioni. Tutti loro erano rimasti impressionati dalla carità che

i nostri confratelli mostravamo verso gli altri e verso i visitatori.

Nelle nostre Regole, Parte Prima, Sezione 33, troviamo: “ La contemplazione del Cuore Trafitto

di Cristo è una sfida a quella carità fraterna che deve essere un segno distintivo della Comunità

Missionaria Comboniana”.

Dopo tutto, questo è un segno distintivo dei seguaci di Cristo (Giovanni 13:14-15). Inoltre: “

Questo è il mio comandamento, amatevi l’un l’altro come io ho amato voi” (Giovanni 15:12)

Una delle proposte (la quinta) del Capitolo del 1997 è “ Attenzione alle persone”: la sua

importanza è lampante. Fu sottolineata già nel Capitolo del 1975 nella relazione del Consiglio

Generale.

Ne riporto una parte per dimostrare l’importanza che l’Istituto ha dato a questo argomento:

“ Il dono più prezioso che Dio abbia dato alla Congregazione sono le persone, i suoi membri.

In questo periodo 1969-1975, a tutti i livelli, è stato fatto un grande sforzo di rispettarsi l’un

l’altro. Uno sforzo continuo è necessario per accettare le persone per quello che sono più che

per quello che possono dare.

La vita del nostro Istituto sta diventando sempre più internazionale, e richiede, da ognuno di

noi, l’abilità di scoprire le nostre manchevolezze, ma soprattutto le nostre buone qualità, i doni

di Dio, dati a tutti, benché in differenti misure. Talvolta è successo che il Provinciale, senza

previo dialogo con l’interessato, ha insistentemente domandato al Superiore Generale di

richiamare un confratello. Non si può disporre di qualcuno senza che gli sia stato fatto

conoscere il perché. C’è bisogno di trasparenza per il dovuto rispetto alle persone. “

La Terza Via: Formazione di base e permanente

La relazione inizia ringraziando Dio perché ha continuato a ispirare molto giovani dando loro il

desiderio di servirLo come Missionari Comboniani (n. 30)

Più avanti la relazione mostra preoccupazione per la formazione di base e permanente. Il

punto fatto nella relazione sulla formazione permanente è “ la distanza che c’è fra le proposte

formative e la nostra vita” (34,1)

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Come risultato della presa di coscienza della necessità di porre l’attenzione su quello che le

persone sono piuttosto che quello che stanno facendo, sono state prese delle iniziative in merito.

Di particolare importanza è l’anno Comboniano della formazione permanente per quei confratelli

che hanno circa dieci anni di esperienza religiosa missionaria.

Quinta Via: La Metodologia Missionaria Comboniana.

Nel prossimo capitolo, n. 21, darò un excursus storico sulla nostra metodologia missionaria.

La metodologia è un modo di presentare il messaggio ed il suo contenuto in particolari

circostanze con popoli e culture differenti.

Leggiamo nella relazione:

”Nelle drammatiche e costantemente mutevoli situazioni nelle quali viviamo, le nostre missioni

sono state costantemente una sorgente di sfide e stimolo per la nostra metodologia

missionaria.”

L’Animazione Missionaria ha avuto un posto speciale nella nostra maniera caratteristica di

evangelizzare (n. 51).

Lo scopo è quello di “ aprire ogni chiesa locale, anche quelle appena nate, “ ad gentes” e alla

comunione e cooperazione con altre chiese “ (n. 52).

L’aspetto evangelizzatore dell’Animazione Missionaria ha successo nella misura in cui stimola

ulteriormente la conoscenza e l’amore per Gesù Cristo, che è il contenuto essenziale

dell’animazione missionaria. In questo modo l’evangelizzazione darà una base permanente

all’animazione. A volte il modo con cui facciamo l’animazione missionaria può dare delle forti

emozioni di compassione per i poveri, gli ignoranti ed i malati. Questa reazione potrebbe

essere soltanto di consistenza filantropica, poco durevole e probabilmente rimarrà superficiale.

Il Beato Comboni aveva tre fini nell’animazione missionaria: raccogliere preghiere,

finanziamenti e personale. E’ stato detto diverse volte che l’animazione missionaria non può

escludere la proposta di seguire il Cristo missionario.

Missionari Comboniani Laici: sono il risultato della animazione missionaria e parte della nostra

metodologia. Noi speriamo che le diverse esperienze possano far scoprire il giusto modo di

promuovere e far vivere i missionari laici nelle nostre missioni, dove essi possono testimoniare

e proclamare la conoscenza e l’amore di Cristo che è il segreto di un successo permanente.

Rapporto Finanziario

Fra le diverse relazioni ho scelto di dare alcuni brani del rapporto finanziario esposto dal

l’economo generale perché non ne avevo fatto cenno nei precedenti capitoli generali.

Il nostro Istituto deve essere regolarmente registrato in quelle nazioni dove opera per poter

possedere terreni, case e conti pubblici. Una volta registrata la proprietà, è ben difficile cambiare il

titolo registrato per via delle tasse di cambiamento di proprietà che si devono pagare.

Per esempio, la Provincia italiana opera ancora sotto il nome “ Collegio delle Missioni Africane

di Verona” registrata nel 1929. Mentre l’economato generale opera con il nome “ Collegio

Internazionale Daniele Comboni per le Missioni estere con sede in Roma” registrata nel 1957.

Tutto il movimento economico-finanziario dell’Istituto fa capo all’economato generale. Il

Procuratore presso la Santa Sede, è un canale usato per rapporti finanziari tra la Santa Sede, i

Vescovi e gli istituti religiosi per tutto il mondo e che ne desiderano usufruire. E’ un canale

usato per transazioni finanziarie dalla santa Sede per vescovi e Istituti Religiosi del mondo che

ne desiderano usufruire.

A livello di province ci sono due enti finanziari: l’Economato Provinciale e la Procura Provinciale

delle Missioni. In alcune Province l’ufficio finanziario è unico, ma con i conti separati.

La scelta delle politiche finanziare è responsabilità del Consiglio del Segretariato Generale delle

Finanze i cui membri sono scelti dal Consiglio generale che di norma nomina alcuni membri

delle Province specialmente economi provinciali.

A livello di Province, ci sono anche Consigli Provinciali per le Finanze, di norma composti da

confratelli a capo delle Procure (dove possibile, Fratelli).

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I Consigli Finanziari sono responsabili ai Consigli Provinciali. Si possono dare dei suggerimenti,

od offrire idee su iniziative da prendere, ma le decisioni politiche spettano ai Superiori. Il

nostro Capitolo del 1969 escluse l’Economo Generale dal Consiglio Generale per evitare un

influsso puramente finanziario sulle decisioni politiche da prendere.

La relazione del Segretario generale per le Finanze al capitolo del 1997 potrà dare un’idee della

nostra storia.

Visione generale

1. Nel 1991 l’Economo Generale constatava, una situazione finanziaria delle comunità e delle

province buona, anzi, spesso troppo abbondante. Constatando che:

a. non si riusciva ad impiegare in opere dell’Istituto o per l’apostolato o per il servizio dei

poveri le somme che continuamente arrivavano dai benefattori,

b. non si destinavano ad altre opere quelle somme che non si potevano usare per lo scopo per

cui erano date,

c. missionari la cui comunità aveva grossi depositi che non riuscivano a spendere continuavano

a chiedere danaro ai benefattori magari …piangendo miseria,

d. l’amministrazione di capitali da investire non era sempre facile.... si domandava se si

doveva pregare S. Giuseppe per una grazia “ alla rovescia” per non rovinare la vita

dell’Istituto” (Cf. Relazione economica al Capitolo 1991).

Sembra che la grazia sia stata accordata!

Sei anni dopo tutti si lamentavano della “cattiva” situazione economica; le Province del Sud

perché non ce la fanno a sostenere le aumentate spese “ provinciali”, le Province del Nord

perché prevedono un futuro piuttosto “nero”.

2. Alcune considerazioni sulla situazione generale delle province e comunità

Innanzi tutto bisogna tener presente che i dati provengono dai resoconti delle Province.

a. C’è una certa approssimazione nei dati delle Province, per ciò che riguarda la situazione

delle comunità ci si allontana ancor più dalla realtà. I dati comunque rimangono significativi.

b. Nel mondo intero l’Istituto (1800 membri e 344 comunità) ha un patrimonio netto di undici

milioni e mezzo di dollari come Province e più di 11 milioni come comunità. Altro 16 milioni

sono accantonati come Fondi provinciali.

c. Studiando le singole comunità, dal resoconto si osservano alcune contraddizioni: certe

comunità sembrano avere pochissime possibilità finanziarie, mentre altre comunità pur

essendo in Province che sono in crisi stanno mediamente bene.

d. Sono politiche provinciali diverse: in alcuni paesi la Provincia ha una buona consistenza e

una funzione forte, in altri la vita sembra piuttosto svolgersi attraverso la dinamica comunitaria

facendo intervenire la Provincia solo in caso di bisogno.

Da notare invece la situazione contabile della Amministrazione generale: positiva nel 1991

(+445,137,84); chiaramente peggiorata in una situazione deficitaria 1996(-168,550,70).

Movimento economico (all. 2)

Amministrazione ordinaria

L’amministrazione ordinaria era in passivo nel 1991; si è mantenuta attiva e grosso modo sugli

stessi valori negli anni 92-94: la tendenza al peggioramento si manifesta sin dal 1993.

Nel 95 e 96 le spese superano nettamente i proventi, sia per la diminuzione dei contributi

ordinari delle Province, sia per l’aumento di certe spese.

Amministrazione straordinaria

L’amministrazione straordinaria offre grossomodo le stesse tendenze

In sintesi il contributo delle Province è sempre stato necessario, eccetto nel 1994; le eredità

sono state significative nel 92, 93, 94.

Abbiamo avuto lavori straordinari quasi ogni anno di questo sessennio nella Casa Generalizia e,

nelle Filippine stiamo per finire i lavori nello Scolasticato di Kinshasa e presto cominceremo la

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ristrutturazione della Casa di Parigi.

Fondo Scolasticati – CIF

Al Capitolo del 1991 l’Economo Generale constatava che “ la spesa era più che raddoppiata dal

1985 al 1990: ciò è dovuto quasi del tutto al cambio del dollaro.”

Ora possiamo constatare la stessa cosa dal 1991 al 1996: le cause sono probabilmente

molteplici, la svalutazione della Lira Italiana è sta del 30% circa in sei anni, il cambio USD/LIT

è passato dal Lit 1.150 nel 1991 a 1.550 nel 1996 (= + 35%).

Dal 91 al 95 “si faceva pagare alle province che avevano scolasticati, sia come diaria che come

tasse scolastiche, quella cifra che esse dovevano spendere se i loro scolastici o fratelli in

formazione fossero rimasti a studiare in provincia “.

Dato il predominio dei candidati dal Sud del Mondo il fondo non poteva più rimanere

equilibrato, per cui sono cambiati i principi di finanziamento:

Tutte le province, anche quelle che non hanno scolastici, devono collaborare al fondo dato che i

nuovi membri sono una ricchezza per tutti.

Per evitare sperequazioni si sono divise le province in due categorie soltanto: Nord (Europa e

NAP) e Sud (tutte le altre).

Le tasse scolastiche sono pagate agli Scolasticati nella loro effettiva realtà, mentre per la diaria

giornaliera pro-capite è calcolata sulle spese effettive dell’anno precedente.

Gli addebiti alle Province sono così ripartiti:

Contributo fisso per ogni provincia: Nord Lit 50 milioni – Sud Lit 10 milioni;

Retta annuale pro-capite: Nord Lit 15 milioni – Sud Lit 8 milioni.

I confratelli considerano ancora problematica la modalità del finanziamento degli Scolasticati/

CIF

La Spagna si pone il problema dell’appoggio da dare alle Province che hanno più giovani in

formazione e meno mezzi economici (Relazioni p. 117)

Fondo Assistenza Malati

Tutte le Province partecipano al F.A. eccetto la NAP e DSP. Queste due Province sono iscritte

ad una assicurazione. Il loro contributo pratico è quello di non pesare sul F.A. perché le spese

di assistenza medica nei loro rispettivi paesi sono piuttosto elevati.

Nel 1991 le entrate erano più che sufficienti per le spese che avevamo ed erano costituiti dalla

pensioni sociali per il 94,3 %. Il contributo richiesto ai Confratelli (5,1%) era più un contributo

di principio che di necessità.

Nel 1996 la situazione era cambiata radicalmente: le pensioni danno il 59,4% delle entrate; il

contributo dei confratelli è salito al 20,5% avendo portato questa quota a USD 180 annui per

persona. Tuttavia i proventi non hanno coperto le spese.

Delle spese del 1991 il 47,8% erano delle Province; soltanto il 30,1% era speso in Italia.

Oggi le case CAA ed Anziani d’Italia assorbono il 59% delle spese; soltanto il 36,7% è

rimborsato alle Province. Rimane pur vero che quanto le Province contribuiscono al F.A. è

inferiore a quanto esse ricevono dal F.A.

Nel 1991 le pensioni coprivano le spese di assistenza in Italia 4, 62 volte; nel 1996 non sono

sufficienti che al 92%. Questa tendenza si prevede si aggravi.

Fondo Progetti.

Gli aiuti per finanziare progetti sono passati da USD 357.217 del 1991 ai USD 71.880 del 1996

in diminuzione continua.

Le Province aiutate sono state molte ma in modo disuguale. D’altronde l’azione di questo fondo

da sola non è molto incisiva, lavora in collaborazione con gli aiuti della Provincia. Gli aiuti che

riceve provengono sostanzialmente dalle province del Nord. L’azione dell’Economato Generale

si limita a distribuire gli aiuti che riceve direttamemnte secondo l’intenzione degli offerenti e a

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dare informazioni alle Procure/Province che lo richiedono.

Situazione delle Province

Al Capitolo del 1991 l’Economo Generale poteva dire che “ non c’è alcuna provincia che sia in

deficit: tutte sono in attivo, ed alcune hanno anche notevoli depositi ed investimenti”.

Quest’anno, sei anno dopo, la situazione è cambiata almeno quattro Province sono in difficoltà.

Considerando il Patrimonio Netto in relazione alle spese annue, possiamo osservare quanto

segue: nel 1991 il Patrimonio Netto (compresi i fondi di proprietà della Provincia) era in media

141,06% delle spese di un anno. Quest’anno è del 154,2%: la situazione media dell’Istituto

sembra essere praticamente invariata, se non leggermente migliorata.

In media le Province hanno un Patrimonio Netto (senza tener conto dei fondi) corrispondente

al 65,2% delle spese da sostenere nell’anno seguente.

Proposte e suggerimenti

Animazione dei confratelli in materia di Povertà ed uso comunitario dei beni (R.V. 136)

I membri del Consiglio Generale, in dialogo con i superiori provinciali, nelle loro visite ufficiali si

interessino della situazione provinciale anche dal punto di vista economico e dello spirito di

povertà particolarmente secondo la R.V. nn. 29 (povertà comunitaria), 30 (uso dei beni

materiali) e 164 (condivisione e autolimitazione). Ugualmente facciano i Segretariati per

l’Economia generali e provinciali al loro livello.

Forse è a questo che la DSP allude quando dice nella sua relazione: “ le province aspettano

dall’economato generale qualcos’altro che domande di collaborazione finanziaria. (Rel. P. 63)

Solidarietà tra Province e con l’Istituto

Si augura che il capitolo generale dia qualche indicazione maggiore sulla dinamica di

collaborazione tra Direzione Generale e Province: collaborazione ordinaria, costituzione di un

margine che permetta alla D.G. interventi urgenti, modalità di richiesta di collaborazione per

opere ed interventi da programmare in futuro, settori e Fondi in cui alla D.G. è richiesta

un’azione di coordinamento.

La DSP si chiede: com’è che dovrebbe essere il controllo che l’economato generale esercita

sopra l’amministrazione finanziaria delle province? (Rel. P. 63)

Il Kenya vede la possibilità di organizzare un fondo interprovinciale per far fronte alle

emergenze (Rel. p. 151)

La NAP sottolinea la necessità di trattare le conseguenze della disuguaglianza finanziaria tra il

Nord ed il Sud all’interno dell’Istituto. (Rel. p. 228)

Suggerimenti tecnici:

Collaborazione ordinaria: contributo personale (USD 200) alle spese della Direzione Generale,

più il contributo ordinario volontario della provincia stessa.

Costituzione di un margine che permetta alla D.G. interventi urgenti, cioè una risposta

immediata a richieste ricevute da Province o per altre situazioni giudicate “ urgenti”:

Costituzione di un Fondo Impegni Futuri con contributi speciali volontari delle Province.

Modalità per richiesta di collaborazione per opere ed interventi da programmare in futuro:

quando, come ed a chi.

Settori e Fondi per i qiali è richiesto alla D.G. un’azione di coordinamento: sono, Fondo Riviste

– Fondo Scolasticati / CIF – Fondo Ammalati – Fondo Servizio Progetti – Richieste provinciali di

sussidio per spese di Formazione di Base, per costruzioni provinciali Emergenze.

Credo sia da prendere seriamente in considerazione la proposta della DSP di “ pianificare un

progetto di fondi sostenuti dalle province europee” (Rel. p. 63)

Autolimitazione dei beni

Si confermi il richiamo della Regola di Vita di evitare l’accumulazione dei beni (n. 162), e di

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condividere “quanto non è necessario al sostentamento, al lavoro presente o programmato” (n.

164.1).

Fondi Speciali provinciali (R.V. 167)

La costituzione di fondi speciali a copertura parziale di grosse spese certe future è

raccomandata come una “ attenta amministrazione di un buon padre di famiglia”, salvo

restando lo spirito di fiducia nella Divina Provvidenza.

Il Direttorio Provinciale (almeno quello per l’economia) enumeri i fondi decisi dall’ autorità del

Consiglio Provinciale, e indichi se sono fondi di cui si usano gli interessi o il capitale stesso; in

più indichi il tetto massimo, i modi di finanziamento ecc.

Investimenti

Investire prudentemente i capitali che rimangono non utilizzabili entro un certo tempo è

normale amministrazione, anche a livello familiare. La R.V. ricorda di non lasciarsi guidare da

spirito di lucro eccessivo (R.V. 162), di sapersi autolimitare in spirito di povertà (R.V. 164) e

che l’obiettivo primo ed immediato sia l’opera missionaria con partecipazione alla vita dei più

poveri ed abbandonati (CFR, R.V. 164.2)

“ Gli investimenti vanno considerati come complementari”: ciò significa che gli interessi attivi

non possono superare il 50% del totale delle entrate reali. In caso questo accadesse è

necessario intervenga l’autorità superiore.

Conti personali

I conti personali sono espressamente vietati dall’art. 167.3 della Regola di Vita.

Oltre ad essere in contraddizione con lo spirito di povertà e di comunione che ci deve

contraddistinguere nella nostra opera di evangelizzazione, di costruzione del Regno di Dio e di

far sorgere le basi della Chiesa locale, questa pratica è effettivamente dannosa all’azione della

comunità Comboniana verso la quale questi confratelli campano diritti, ma si dissociano dalla

solidarietà.

Sia fortemente raccomandato dal Capitolo Generale di seguire la Regola di Vita nella lettera e

nel suo spirito su quest’argomento.

Amministrazione chiara e distinta (R.V. 167.4)

Sia rinnovato il consiglio di avere sempre presente la prospettiva nel limite del possibile di

passare aiuti finanziari dalle nostre offerte ad altri, clero locale o altri agenti pastorali.

In vista di questo è necessario:

una contabilità chiara, ben tenuta e distinta dei beni “Comboniani”

una base di autosufficienza economica che passi anche ai nuovi amministratori: indirizzi di

organismi e benefattori, una lettera di raccomandazione e di presentazione, mezzi di entrate

locali ecc.

Presentazione e valutazione dei Progetti

I progetti sostenuti dai Comboniani nelle diverse missioni siano sempre espressione del

cammino e della volontà della base.

I progetti facciano parte di un piano d’azione più globale, sia diocesano che provinciale, in modo

che siano inseriti in un contesto più ampio e usufruiscano di una certa coordinazione. In questo

senso ogni Provincia provvederà ad avere un programma di sviluppo sociale ed integrale.

I progetti siano presentati al consiglio provinciale a nome della comunità e non dai singoli per

l’approvazione, che sarà data dopo aver ascoltato il parere del segretariato dell’economia, in

mancanza di una commissione progetti.

La normativa vigente va già nel senso proposto.

Priorità per i prossimo sei anni

NEL CONETESTO DELLA PIANIFICAZIONE POST-CAPITOLARE deve esserci una valutazione globale degli

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321

impegni futuri per poter fare una politica finanziaria che possa prendere in considerazione tutti

gli aspetti della vita delle Province.

FORMAZIONE DI BASE. Durante gli anni di formazione si insegni agli studenti l’essenziale dei

principi finanziari ed economici una contabilità semplice e la conoscenza della struttura

finanziaria dell’Istituto.

SPECIALIZZAZIONE DEGLI ECONOMI. Ogni Provincia deve includere differenti specializzazioni nel

piano sessennale, tra le quali dei corsi speciali per chi avrà in mano l’economia e

l’amministrazione della Provincia. L’Amministrazione Generale dove fare la stessa cosa per

alcuni confratelli.

FONDO MALATI. Questo fondo deve continuare ad essere un’espressione di solidarietà con i

confratelli che soffrono, deve coprire i costi dei medicinali per malattie croniche, operazioni

chirurgiche e ospedalizzazione. Si deve fare una revisione – radicale, se fosse necessario - del

Fondo Malati.

Le varie soluzioni tecnologiche possibili devono avere le caratteristiche di un contributo parziale

a coloro che hanno risorse finanziare come a coloro che non ne hanno. In certi Stati

l’assistenza per malattie ecc. non esiste o solo in modo limitato, mentre in altri un certo neo-

liberalismo tende a ridurre l’impegno dello stato in questo campo.

Coloro che beneficiano del fondo devono mantenere un sentimento di gratitudine per lo spirito

di carità di quelli che sacrificano qualcosa per dar loro la possibilità di avere le cure necessarie.

Anche in questo caso non si deve mai perdere di vista una certa sobrietà di stile di vita.

Il contributo di tutti, secondo le loro possibilità è quindi necessario; forse si devono chiarire le

rispettive responsabilità della Provincia di provenienza e della Provincia nella quale un

comboniano opera.

Alcune normative sono state scritte secondo la normale pratica assicurativa. Per esempio,

stabilire una cifra minima non rimborsabile, alcune spese non rimborsabili, luoghi stabiliti per

trattamenti medici ecc.

Conclusione

Mi sembra che dobbiamo stimolare nella comunità Comboniana una certa inversione di

tendenza della mentalità corrente occidentale, per rapporto:

alla preoccupazione del futuro, i paesi più agiati sono preoccupati del futuro più delle province

in difficoltà da sempre;

alla diminuzione delle forme abituali di solidarietà, dovuta alla preoccupazione sopraindicata;

tra i Comboniani, persone e province, si manifestino nuovi atteggiamenti di solidarietà,

significativi anche per l’ambiente sociale in cui viviamo, che spesso suggeriamo ai cristiani di

buona volontà nella nostra animazione missionaria.

Relazione sul Nuovo Sudan

Qui di seguito la relazione al Capitolo riguardante gli sviluppi del Nuovo Sudan. Ho scelto di

includerlo in quanto è lo sviluppo più interessante delle nostre missioni in questi anni ed è

quello che ci ricorda in modo speciale il Beato Comboni. Molti dei luoghi, inoltre non sono

cambiati né si sono sviluppati sin dai tempi di Daniele Comboni.

La Storia

Il così detto gruppo “Nuovo Sudan” alla fine del 1991 contava 13 confratelli (10 sacerdoti e 3

fratelli) con 4 comunità (Nzara. Loa/Kimatong, Isoke, Yirol). I mesi fra la fine del 1991 e il

luglio del 1992 furono un periodo di angoscia e di problemi per noi, causati principalmente

dalla divisione del Movimento SPLA. Il personale rimasto con il gruppo Nuovo Sudan consisteva

in 7 confratelli (5 sacerdoti e 2 fratelli).

Il periodo fra la fine del 1992 e la fine del 1993 fu caratterizzato dalla ricerca di nuovi luoghi

nel Sud Sudan. Fu un periodo pericoloso ed angosciante quando i confratelli erano obbligati a

scappare senza preavviso da un posto all’altro.

Dalla fine del 1994 al 1997 abbiamo avuto un periodo di relativa calma che ci permise

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l’apertura di diverse altre comunità come Marial Lou, Agang Rial, (Diocesi di Rumbek),

Narus(Diocesi di Torit), Leer (Diocesi di Malakal), Jacaranda (Delegation House di Nairobi) e

l’erezione ufficiale della Delegazione del Sud Sudan.

Attualmente la nostra Delegazione è composta da 26 confratelli nel campo di lavoro (19 preti e

7 fratelli). In formazione abbiamo 4 scolastici, 2 fratelli/CIF; 2 sacerdoti appena ordinati altri

cinque confratelli che sono membri radicali della Delegazione.

b. Apertura alla Parola di Dio

Notiamo una grande sete ed apertura alla Parola di Dio ed alla presenza della Chiesa fra alcuni

gruppi etnici che nel passato avevano mostrato una certa resistenza come, per esempio i

Topossa, i Dinka e i Nuer. In questa situazione facciamo fatica a trovare le giuste linee-guida

per la pastorale e appropriati campi di lavoro in risposta alle richieste degli Ordinari. In questo

vasto territorio e con il grande numero di bisogni, la nostra presenza è quasi simbolica e può

coprire solo una piccola parte delle richieste della Chiesa locale. Non abbiamo nessuno che sia

presente a tempo pieno nei Centri di Catechesi, nei Seminari e nell’Educazione.

Con la nostra metodologia di evangelizzazione cerchiamo di far fronte alle necessità basilari.

Benché non si sia ancora ben organizzati, abbiamo bisogno di sviluppare programmi e

contenuti possibilmente con personale nuovo e qualificato che può dare una mano

specialmente nella formazione dei leader. Nella nostra ultima assemblea abbiamo discusso e

pianificato alcuni nuovi programmi pastorali inclusa la condivisione della Bibbia, Comunità di

Base e in particolare Catecumenati per adulti.

La Promozione Umana.

Abbiamo fatto tutta la promozione che abbiamo potuto: l’istruzione primaria sia nelle scuole

principali nella missione che quelle nell’interno del paese. Si è cercato di avviare la scuola

secondaria per i rifugiati del Nord Uganda; aiuti di tipo materiale sono stati tenuti al minimo e

soltanto per i più vulnerabili come i lebbrosi, i ciechi, gli handicappati, i vecchi ed i più poveri.

Lottiamo per la promozione dell’artigianato di modo che la gente possa, in qualche modo

aiutare se stessa e diventare auto sufficiente. La presenza dei fratelli è stata preziosa nella

costruzione e manutenzione dei fabbricati.

I fratelli sono coinvolti anche nel lavoro pastorale. Quelli più giovani stanno ancora cercando

modi significativi per la loro presenza nella nostra situazione religiosa e sociale.

Valutazione

Per quanto riguarda l’Evangelizzazione: ritenemmo fosse la nostra prima priorità di portare

avanti l’evangelizzazione nelle zone liberate e condividere quella difficile situazione con la

gente. Vogliamo portare la speranza in una situazione che non ne ha, e essere la voce di coloro

che non ne hanno e che sono il popolo abbandonato del Sud Sudan. Questa situazione ci portò

a tenere uno stile di vita che era più prossimo a quella della popolazione.

Siamo convinti che per essere fedeli al carisma del Comboni dobbiamo continuare ad essere

presenti in tale situazione, nonostante le nostre limitazioni. Questo ci obbliga a trovare svariati

modi di essere effettivamente presenti, di sopportare ed accettare l’instabilità, l’isolamento, gli

aiuti che arrivano in modo erratico, le pesanti spese per i viaggi e trasporti aerei e la necessità

di trovare supporti logistici.

Il nostro modo di far fronte alla pressione islamica era di rafforzare la cristianità con la nostra

presenza e nel formare i leader di comunità cristiane mature.

Questa situazione ci rese difficile tenere i contatti con le altre province africane e con i

programmi provenienti dai segretariati generali.

La formazione di base Comboniana: continuiamo a farla. Per quanto riguarda il Postulato,

questo è ancora un punto interrogativo.

La beatificazione del Comboni: fu molto significativa e rese più consapevoli sia noi che la

Chiesa locale della quale egli è Padre e Fondatore. La nostra presenza in una situazione simile

fu di per sè una celebrazione.

Secondo e terzo momento: atti del capitolo

Dopo le relazioni VEDERE, furono organizzate delle discussioni a gruppi. Questo fu il momento

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di GIUDICARE. Quello che potrà essere interessante, con riferimento a questo libro sono i

risultati ed i suggerimenti, i programmi, le priorità e la compilazione degli ATTI.

Ne citerò due:

- Inculturazione e Dialogo

- Giustizia e Pace.

Propongo dei commenti da un punto di vista storico.

Inculturazione e dialogo

Inculturazione

Il problema dell’inculturazione non è ancora stato interamente sviscerato sia dal punto di vista

dei dettagli sia per le sue implicazioni e questo impedisce la realizzazione di tale importante

impegno.

Il Segretario Generale della Formazione fece la seguente relazione sull’ Inculturazione nel

nostro scolasticato e Centro per i Fratelli (CIF):

“Sentita come un’esigenza dell’Internazionalità dell’Istituto l’inculturazione della formazione è

una preoccupazione che ci ha accompagnati in questi ultimi anni (vedi per esempio il tema

delle assemblee continentali nel 1994).

La maggioranza dei formatori ritiene che c’è una sufficiente attenzione a questo valore

(58,5%, contro il 36,8%; gli scolastici ed i fratelli VT un po’ di meno: il 48,3 % contro il 42,5

%, mentre la media globale è di 48,4% contro il 31, 7%). Questo non vuol dire che non ci

siano problemi. Infatti la maggioranza (ed ancora di più i formatori), è del parere che

l’orientamento capitolare di cercare un maggior equilibrio tra l’unità nell’Istituto e la

formazione che tiene presente le diverse culture è ancora poco realizzato.

Nonostante qualche manifestazione d’insofferenza di alcuni confratelli che vorrebbero vedere

più “coraggio” da parte dell’Istituto (vedi anche la sintesi delle risposte degli scolastici/ CIF), in

genere si riconosce che dei passi sono stati compiuti e che c’è la volontà di proseguire su

questa strada. Il principio è stato ormai accettato da tutti, ma rimane la grande sfida di trovare

i modi concreti come portarlo avanti, dato che non ci sono vie già tracciate.”

Vorrei brevemente parlare della “storia” di questa parola che fino ad adesso non ha trovato

posto in qualche dizionario classico di lingue moderne (ad es. l’Inglese).

Durante il Concilio Vaticano II i vescovi ed i sacerdoti del Mondo preindustriale notarono il fatto

che cambiamenti significativi erano possibili nella Chiesa Cattolica a cominciare

dall’introduzione delle lingue locali nella Liturgia. Da qui, si sentì la necessità di trovare una

parola significativa per indicare un nuovo processo.

In antropologia la parola “inculturazione” fu dapprima introdotta per indicare quel

procedimento attraverso il quale un essere umano viene inserito in quella cultura che poi lo

vede crescere fino alla maturità (M.J- Herokovitz, Man and his works), A.A. Knop New York,

1952).

I popoli di culture diverse non solo parlano lingue diverse ma pensano in modo diverso, hanno

stadi diversi di sviluppo nello stile di vita che conducono, simboli differenti, modelli e forme

differenti, differente è l’ ‘etica’ che li caratterizza.

Quindi, i popoli che appartengono ad una cultura possono essere aperti ad introdurre nel loro

stile di vita, pensieri, parole, modelli, forme che possono inserirsi nel loro patrimonio culturale.

Si sono cercate diverse parole per esprimere questa realtà: acculturazione, indigenizzazione,

incarnazione e così via. Alcuni africani suggerirono “africanizzazione”, ma il termine deve

essere applicabile universalmente. Sembra che la parola inculturazione sia stata coniata nella

Congregazione Generale dei Gesuiti nel 1975. Da qui fu introdotta in un Congresso

Internazionale dell’Università di Propaganda che dibatteva il tema “ Valori ed

Evangelizzazione”.

Nel Sinodo Ordinario dei Vescovi sulla Catechesi nel 1977 la parola “Inculturazione “ fu accettata.

“ Siccome la catechesi deve penetrare differenti culture, assicurarle e trasformarle… è quindi

legittimo considerare “l’inculturazione” come mezzo a disposizione della catechesi. In questo

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modo, la parola di Dio si svilupperà e illuminerà dall’interno lo stile di vita delle persone che la

ricevono.” (“Catechesis Tradendae”, n. 5)

Fu accettata da Papa Paolo VI e fu usata nel messaggio dei vescovi pubblicato

immediatamente dopo il Sinodo del 1977.

Papa Paolo VI, però, morì nel 1978 prima della pubblicazione della Esortazione Apostolica Post

Sinodale. Questo lo fece Papa Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1979 che confermò il nuovo

vocabolo e lo chiamò “neologismo”.

“Il termine “acculturazione” o “inculturazione” può essere un” neologismo”, ma esprime molto

bene una delle componenti del grande mistero della Incarnazione. La Catechesi è chiamata a

portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture.” (Catechesis Tradendae, n. 53)

Il nostro Capitolo del 1979 lo fece immediatamente suo nella regola n. 69. Vi troviamo dei

buoni suggerimenti che vennero poi ulteriormente sviluppati dai Capitoli seguenti.

Le seguenti considerazioni devono attirare la nostra attenzione

a. La necessità per il missionario di conoscere la propria cultura. Nel processo di cooperazione

con la Chiesa locale il missionario deve essere consapevole dei propri valori e non valori

nazionali prevalenti.

Così facendo, egli sarà in grado di spogliarsi dei non valori della sua cultura nazionale o

continentale che potrebbero danneggiare la purezza del Vangelo ed i valori della Chiesa. Un paio di

anni fa, lessi in una rivista cattolica che alcuni missionari sono ritenuti gli agenti della prevalente “

secolarizzazione” dei nostri giorni nell’occidente. La secolarizzazione va contro la cultura africana.

La cultura occidentale, mentre ha dei valori, se non viene confrontata con la parola di Cristo e della

sua Chiesa, potrà portare al secolarismo come è successo in Europa dove aumenta di continuo

l’ateismo specialmente nel campo socio-politico ben manifestato da diverse leggi.

b. La necessità di avere un approccio rispettoso alle diverse culture. Tutte le culture hanno sia

valori che non valori. Un vero missionario evita i complessi di superiorità culturali: questo è anche

dimostrato quando si vuole essere protagonisti in altre Chiese. Il vero dialogo accetta le differenze.

Per scoprire i valori di ciascuna cultura tradizionale si deve tener presente che la sostanza della

legge (i Dieci Comandamenti) è “ incisa” (Rom. 2:14-15) nel cuore di ogni essere umano

creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen. 2:26.)

Sin dall’inizio l’uomo ha macchiato l’immagine divina con il suo orgoglio in quanto voleva

essere lui stesso la legge (Gen. 3).

Il viaggio dell’uomo è la storia del conflitto fra queste due leggi, per cui ogni cultura è marcata

da questo conflitto con prevalenza dell’uno o dell’altro.

Cristo venne a mediare fra queste due leggi ed ha introdotto un dono sovrannaturale per il

discernimento dei valori ed i non valori di ogni cultura. Lo Spirito Santo illumina i ricercatori

attraverso la fede dei credenti autentici ed il magistero della Chiesa. Possiamo applicare la

seguente citazione:

“Il vero viaggio di scoperta consiste non nel cercare nuovi territori, ma in ogni territorio

cercare nuovi occhi. “ (Marcel Proust.)

c. La necessità di non perdere la propria cultura. Alcuni confratelli sono confusi in quanto

pensano che inculturazione significhi perdere la propria identità. Questo non è per niente vero.

Se così fosse, un missionario africano con la sua identità africana dovrebbe assumere

un’identità italiana durante il suo scolasticato o esperienza missionaria in Italia. Per poi

riprenderla al suo ritorno in Africa, per assumere un’identità americana o asiatica, dipendendo

da dove si trasferisce!

“ Inculturazione “ significa unicamente l’assunzione dei valori di un’altra cultura senza

rinunciare alla propria: è per questa ragione che si deve essere consci e consapevoli della

propria cultura. Molti valori differenti non sono necessariamente contradditori anzi, possono

essere compatibili o anche complementari.

L’inculturazione e’ composta da due dimensioni:

Una via di uscita: per i non valori che escano dalle culture per permettere l’integrazione dei

valori del Vangelo.

Una via di entrata: l’inserimento del Vangelo nelle varie culture umane.

In questo modo la Buona Novella si incarnerà nelle varie culture. Non si inserisce la cristianità

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quando questa è maturata in una certa cultura; si proclama il Vangelo nella sua purezza ed

integrità. Una Chiesa è locale, non perché si trovi in una certa località, ma perché ha fatto sua

la cultura ed i vari problemi di una certa etnia.

Una autentica “inculturazione “ può anche cambiare il significato delle parole. Per esempio, per

il cristiano la parola “Dio” non indica più un sovrano sconosciuto del mondo ma una Trinità e

l’Incarnazione. La parola “Amore” sarà estesa non solo a coloro che hanno lo stesso sangue ma

a tutti quei fratelli in Dio ed in Cristo: amore fraterno. Queste sono le novità del Vangelo.

I ricercatori nel campo di una normale “inculturazione” devono conoscere le scienze sacre ed

umane, principalmente l’antropologia in profondità. Queste scienze assieme alla psicologia

indicano 28 aree culturali come campo di ricerca per poter penetrare la vita di tutti i giorni di

una famiglia e la vita sociale dei popoli (cfr. Louis J. Luzbetack, “ Chiesa e Cultura” EMI, 1991).

Se non si dà la dovuta attenzione a queste due scienze, si continuerà a dover affrontare

continuamente il problema della “ inculturazione”.

Il Capitolo del 1997 ci incoraggia a condividere il peso di aiutare la Chiesa locale nel processo

di ricerca relativo alla “ inculturazione”.

Difatti:

“Noi Missionari Comboniani facciamo parte delle Chiese Locali con le quali condividiamo con

pazienza il processo di sviluppo e crescita. Dobbiamo sedare la voglia di protagonismo e

paternalismo: dobbiamo, invece, partecipare nel processo di ricerca e discernimento;

dobbiamo essere pronti a sostenere, favorire e sviluppare l’inculturazione nei vari settori della

vita Cristiana;- sviluppare assieme alle Chiese locali, quelle strutture che coincidono con le

situazioni locali e che non sono un peso per loro.” (n. 45)

Questo fu anche un suggerimento da parte della Direzione Generale (1985-1991) nella

relazione al capitolo del 1991:

“ Non possiamo approvare il comportamento dei missionari che dicono che l’inculturazione è

qualcosa che deve essere fatta esclusivamente dagli agenti locali e che non possa arrivare dal

di fuori.”

Aggiungerei, anzi che alcuni missionari non sono “ estranei” ma:

a. hanno vissuto per molti anni in un dato paese;

b. c’è comunque la necessità di esser preparati a fare questo tipo di ricerca avendo fatto

almeno un corso propedeutico di antropologia.

Un secolo fa lo studio dell’antropologia era agli albori, non ci si poneva quindi, neanche il

problema. Tanto che vi erano missionari i quali, benché fossero esperti delle tradizioni africane,

gli idiomi, i proverbi e i costumi, erano soliti dire che “ non si può parlare di una cultura

africana”. Non si rendevano conto che tutti questi elementi messi assieme sono la cultura di un

gruppo etnico.

Così, all’inizio del mio apostolato in Africa la domanda sulla cultura africana che feci ad un

confratello anziano, non ha avuto risposta, un po’ per colpa mia perché allora la mia

conoscenza dell’antropologia era solo teorica non avendo io mai avuto contatti con una cultura

che fosse differente dalla mia. Conoscevo le differenze, ma non le avevo concettualizzate in

termini concreti. Alcuni missionari dicevano “ Non ti curare di lor ma guarda e passa” come

Dante Alighieri nella Divina Commedia (VII Capitolo 3: 53). Il tempo del Dialogo interculturale

come interreligioso non era ancora arrivato (anni 50).

Dialogo

Nelle nostre comunità il dialogo ha sia un aspetto umano che un aspetto evangelico:

L’ASPETTO UMANO È IL CONSENSO. Come miglior modo per dialogare nelle nostre comunità, vorrei

proporre la “ Democrazia del Consenso” (Consensus Democracy), la democrazia tradizionale

nei villaggi e nelle tribù africane:

“Era il consiglio degli anziani che doveva sentire tutti e discutere i differenti punti di vista. Il

valore della solidarietà era così forte che lo scopo principale dei consiglieri era quello di

raggiungere l’unanimità, e parlavano fra di loro finché non l’avessero raggiunta. Alcuni

antropologi hanno identificato questo particolare di parlare finché non si fosse raggiunta

l’unanimità come il principio cardinale della democrazia africana.” K.A. Busia “Gli africani alla

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ricerca della Democrazia” (vedi “Every Citizen’s Handbook” Manuale di ogni cittadino)

La democrazia del consenso è generalmente affermata, non soltanto come una forma di

dibattito consultivo quando la tribù deve prendere delle decisioni, ma anche perché è un

sistema che ha insito una forma di censura e analisi che assicura che nessuno possa abusare

del potere e usarlo per i propri fini.

Questo metodo non può funzionare a livello politico nazionale in quanti gli interessi

contrastanti sono troppi, ma può e dovrebbe funzionare nelle nostre comunità i cui fini sono gli

stessi.

Mentre il modo africano di fare democrazia attraverso il consenso può essere lungo e laborioso,

ha il vantaggio di evitare che si prendano delle decisioni con voto maggioritario. Voto che

spesso lascia la minoranza insoddisfatta. “ La maggioranza ha avuto la meglio e noi rimaniamo

a bocca asciutta”.

C’è da dire comunque che la storia africana ci dimostra che alcuni dittatori sono arrivati al

potere usando questo metodo. Lo scopo e l’ utilità comune del dialogo non deve essere

frustrato. Il dialogo non significa imporre il proprio punto di vista, ma gli interessi comuni che

richiedono dare il proprio punto di vista ed essere convinti della supremazia dell’interesse

comune. “ L’unità fa la forza.”

DEVE PREVALERE L’ASPETTO EVANGELICO:

“ Beati sono i poveri di spirito” (Matteo 5:1-12)

“ Ama il tuo nemico” significando anche coloro che non la pensano come noi.

Reciproca correzione secondo Matteo 18:15

“L’amore è paziente, l’amore è gentile. Non è geloso, non cerca di fare i propri interessi, non si

arrabbia, non rimugina i torti subiti, non gioisce dei mali ma della verità. Sopporta tutto, crede

in tutto, spera in tutto.” (1 Cor. 13:4-7) “Onora tutti, ama la comunità, temi Iddio” (Pietro 2:

17).

Comunità inter-culturali

Il Capitolo da un programma su “ La Missione è Inculturazione e Dialogo “ Questa affermazione

deve essere applicata, prima di tutto alle nostre comunità. Adesso più di prima in quanto i

membri provengono da diverse culture. Nel capitolo della Riunione del 1979, il rev. Geoge

Klose, il Superiore Generale uscente della MFSC dette ai membri del Capitolo un saggio

suggerimento dicendo che dobbiamo imitare i Giochi Olimpici dove emergono i migliori atleti.

Quello che voleva dire è che quando la gente di culture differenti s’incontrano e vivono assieme

in un gruppo internazionale ed interculturale, essi devono riconoscere che molti valori - come

l’ospitalità, i legami con la propria famiglia, l’amicizia, l’uso dei beni, la povertà, la preghiera, le

tradizioni religiose, l’organizzazione del tempo, il modo di relazionarsi con gli altri - possono

essere vissuti in modi differenti alla luce di Cristo. Dobbiamo accettarli e imparare a conviverci.

Certamente vi sono delle difficoltà oggettive in queste comunità. C’è gente di frontiere sia in

Africa che nell’America Latina, essi sono però ad una svolta: i valori tradizionali da un lato e la

Buona Novella dall’altra. L’interferenza grossolana del modello di vita moderno diffuso dalle

organizzazioni internazionali e i mezzi di comunicazione sociale di massa creano difficoltà nel

discernimento dei valori culturali genuini.

La Buona Novella richiede molto, specialmente laddove le comunicazioni sociali favoriscono al

massimo la libertà radicale e l’individualismo.

Attraverso il dialogo le comunità inter-culturali devono fare in modo che i migliori valori di

ognuna emergano, devono apprezzarli, farli propri, e far sì che le manchevolezze che sono

ovunque nella natura umana, anche nella stessa cultura, siano messe da parte.

Nessuno può chiedere che la propria cultura prevalga sulle altre sia quella europea che quella

africana, né gli americani del Nord o del Sud, e neanche gli asiatici. Tutti hanno gli stessi diritti

e gli stessi doveri. L’inculturazione non è a senso unico.

Ci possono essere alcuni modi di vivere che sono propri della gente dove vive questa comunità

come, per esempio il cibo, il bere, l’ospitalità, la lingua ecc. Le differenze devono essere

discusse nelle riunioni comunitarie con sincerità, trasparenza, senza reticenze e senza

complessi di superiorità o inferiorità, anche se questo è che la propria mentalità e sentimenti

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inconsci detterebbero.

Capisco molto bene l’insoddisfazione di molti, sia formatori che candidati. Ho letto il

programma di inculturazione di alcuni scolasticati. Trovo che la maggior parte dei programmi

riguardano più le attività culturali, il folklore che la cultura, cioè che non i valori ed i non valori

appresi attraverso il dialogo nella comunità.

Due aspetti devono emergere:

Giudizio: “ Ognuno di voi deve giudicare se stesso sobriamente secondo la qualità della Fede

che Dio gli ha dato” (Rom. 12:3)

Rispetto: “ Rispettatevi profondamente l’un l’altro” (id. 12:10)

Tali consigli devono, innanzi tutto essere applicati alle nostre comunità, i cui membri

provengono da diverse culture. Imparare la lingua non è sufficiente, serve conoscere il folklore

culturale, o le diverse tipologie di celebrazioni sia civili che religiose, ma anche tutto questo

non è sufficiente. Imparare la lingua è estremamente importante per imparare i proverbi che

sono il nucleo di una cultura, ma anche questo non è sufficiente. Si deve capire che cosa io

considero un valore e cosa considerano un valore coloro che provengono da altre culture.

(Vedere anche “ Comunità interculturali nella Comunità Comboniana”, del Consiglio Generale -

Roma giugno 1999. Vedere pure appendice a questo libro).

Giustizia e Pace

Giustizia

I nostri missionari hanno lavorato per la giustizia in diverse parti del mondo, per esempio:

L’espulsione dal Sud Sudan (1960-1964) fu dovuta alla protezione data ai sudanesi del sud a

causa delle violazioni dei loro diritti umani. Anche dopo essere stati espulsi, si continuò a

denunciare le ingiustizie ed ad aiutare i rifugiati politici per quanto fosse possibile sia in Africa

che in Europa.

L’intervento dei nostri missionari con “ L’Imperativo della Coscienza” nella violazione di diritti

umani dei mozambicani durante la colonizzazione portoghese.

Il supporto dato ai cattolici ugandesi per la lotta contro la discriminazione sociale, economica e

politica introdotta dai britannici.

I diversi interventi, in diversi luoghi e circostanze dei nostri missionari in Brasile che

culminarono con l’uccisione di p. Ezechiel Ramin.

La regola di Vita del 1979, n. 61 indica alcune azioni da intraprendere per la Liberazione Totale

della persona umana dal peccato, la violenza, l’ingiustizia, l’egoismo, le strutture oppressive,

ecc.

Ma il Capitolo del 1997 indica esplicitamente e chiaramente di dover dare una particolare

attenzione alla promozione della Giustizia e della Pace.

Dopo una analisi della situazione attuale i Capitolari danno quattro suggerimenti:

115: Proclamazione e denuncia profetica.

116: La Formazione delle coscienze.

117: La collaborazione con la gente locale e tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali.

118: Priorità.

L’ultimo punto, ma non per questo meno importante delle priorità è di “assecondare e portare

avanti in ogni Provincia, quelle iniziative che portano allo studio e l’approfondita conoscenza

della Dottrina Sociale della Chiesa. ”

VORREI COMMENTARE QUEST’ULTIMO PUNTO:

Primo, Papa Giovanni Paolo II nel Centesimus annus (1991) scrive che:

“L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa fanno parte della missione

evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta

delle persone, ne deriva di conseguenza l’-impegno per la giustizia - secondo il ruolo, la

vocazione, le condizioni di ciascuno.

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All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione

profetica della Chiesa, appartiene pur la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire

che l’annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello

che le offre la vera solidarietà e la forza della motivazione più alta.” (SRS 41)

Secondo: la formazione della coscienza per il lavoro della Giustizia e della Pace non può

avvenire che attraverso lo studio approfondito della Dottrina Sociale della Chiesa.

Ci sono due ragioni di base per questo:

La base teologica per questo lavoro è che tutto quanto va contro la pace, tutte le ingiustizie e

la violenza, sono violazioni di uno o dell’altro dei diritti umani. Tutte le violazioni dei diritti

umani sono contrari al grande comandamento di Dio di amare il nostro prossimo. “ La giustizia

raggiunge la pienezza soltanto con l’amore.” (Sinodo dei Vescovi 1971)

Le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani comprendono anche questioni etiche: il bene ed il

male, le virtù ed il peccato, le basi etiche che sottostanno alla Dichiarazione dei Diritti Umani delle

Nazioni Unite, e simili, solo attraverso l’insegnamento della Chiesa noi cristiani possiamo avere.

Giovanni Paolo II, come Pio XII, ebbe delle riserve sulla Dichiarazione della N.U.. Nel suo

discorso al corpo diplomatico del 1989, mentre lodava la Dichiarazione come riferimento che

non può essere ignorato, egli chiarisce il seguente punto:

“E’ stato giustamente rilevato che la Dichiarazione del 1948 non presenta i fondamenti

antropologici ed etici dei diritti dell’uomo che proclama. E’ oggi evidente che una tale impresa

era all’epoca prematura. Spetta dunque alle diverse comunità di pensiero – in particolare alle

comunità di fedeli – il compito di fornire le basi morali dell’edificio giuridico dei diritti dell’uomo.

In questo campo, la Chiesa Cattolica – e probabilmente altre comunità spirituali - può

contribuire in maniera insostituibile, nel proclamare che la dimensione trascendente della

persona si situa alla fonte della sua dignità e dei suoi diritti inviolabili. E in nessun altro luogo.

Nell’educazione delle coscienze, la Chiesa forma dei cittadini impegnati nella promozione dei

più nobili valori. Benché la nozione di ‘ diritto dell’uomo’, con la sua duplice richiesta

dell’autonomia della persona e dello stato di diritto, sia in qualche modo inerente alla civiltà

occidentale segnata dal cristianesimo, il valore sul quale si basa questa nozione, cioè la dignità

della persona, è una verità universale destinata a essere accolta sempre più esplicitamente in

tutte le aree culturali.

Da parte sua, la chiesa è convinta di servire la causa dei diritti dell’uomo quando, fedele al suo

credo e alla sua missione, proclama che la dignità della persona ha il suo fondamento nella sua

qualità di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Quando i nostri contemporanei

cercano la base sulla quale fondare i diritti dell’uomo, dovrebbe trovare nella fede dei credenti

e nel loro senso morale i fondamenti trascendenti indispensabili perché questi diritti siano al

riparo da tutti i tentativi di manipolazione da parte dei poteri umani.

Chiaramente il diritto dell’uomo, più che norme giuridiche, sono anzitutto dei valori. Questi

valori devono essere sostenuti e coltivati nella società, altrimenti rischiano di sparire anche dai

testi di legge. Anche la dignità della persona deve essere protetta nei costumi prima ancora

che nel diritto. Non posso tacere a questo punto l’inquietudine che suscita il cattivo uso fatto

da alcune società di questa libertà tanto ardentemente desiderata da altre”.

La Pace

Desidero aggiungere alcune considerazioni sulla pace. Il filosofo Boezio (+ 524) definisce la

pace “tranquillas ordinis”. La pace che porta a sentirsi sicuro e felice deve significare molto di

più che soltanto l’assenza della guerra. Deve eliminare la violenza e l’abuso della ricchezza e

del potere. Nel corso dell’ultimo secolo ci si è resi conto che per realizzare una pace stabile a

livello nazionale ed internazionale è necessario fare uno sforzo notevole per eliminare la

povertà e l’ignoranza che opprimono l’uomo della strada.

In molti paesi la criminalità e i colpi di stato sono causati dalla povertà che a sua volta è la

causa di ingiustizie. Da qui l’importanza della promozione umana come parte del processo di

evangelizzazione.

“La cristianità è una sfida; può funzionare soltanto se praticata dalla gente comune con

reciproca fiducia coraggio e creatività. Questo atteggiamento inizia ogni giorno con la preghiera

comune prima e dopo aver svolto il proprio lavoro. La domenica viene arricchita quando la

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liturgia cristiana, incontri e giochi si intersecano per avere ulteriore voglia di continuare.

La chiesa forma le coscienze rivelando alla gente il Dio che cercano ma che ancora non

conoscono, la grandezza dell’uomo creato ad immagine di Dio e da Lui amato. L’uguaglianza di

tutti gli uomini e le donne in quanto figli e figlie di Dio, la supremazia dell’uomo sulla natura

creata da Dio e messa al servizio dell’uomo, e l’obbligo di lavorare per lo sviluppo dell’intera

persona di tutta l’umanità” (RM 58).

TESTIMONE

FRATEL ADOLF ALOIS SAILER: uomo del popolo. Ulm (Germania) 17/05/1939 –Elukwatini

(Sud Africa) 06/08/99.

Il giorno della festa della Trasfigurazione, il 6 agosto, verso mezzogiorno, Fratel Alois rese la

sua vita al Padre dal quale l’aveva ricevuta circa 60 anni prima.

Il suo desiderio di recarsi nelle missioni fu esaudito nel 1968 quando fu mandato nel Sud

Africa. A quei tempi le fattorie erano una importante risorsa finanziaria per le missioni per cui

Fratel Alois diventò un agricoltore partendo da zero conoscenze delle coltivazioni nei campi.

Dovette anche imparare l’Afrikaans, la lingua usata da agricoltori e braccianti che lavoravano i

campi. Fratel Alois passò dei momenti di sconforto quando nei primi anni ottanta ci si rese

conto che le piccole missioni-fattorie non rendevano più e dovevano essere chiuse. Nel 1984 gli

fu chiesto di tornare al DSP per aiutare ad accudire i confratelli anziani ma aveva già dei

problemi con la schiena. Dato che il clima in Germania non avrebbe giovato alla sua salute gli

fu permesso di restare in RSA, ma tutte le fattorie furono chiuse.

Fratello Alois, quindi, dovette iniziare da capo. Fu dapprima mandato alla parrocchia di Glen

Cowiee poco dopo a quella di Gugulethu Elukwatini. Là gli fu dato il compito di lavorare con “

Operation Hunger” (Operazione Fame), una organizzazione non governativa che forniva e

distribuiva cibo alle popolazioni in zone disagiate. Fratello Alois si rese presto conto che non

bastava il solo distribuire da mangiare, vide la necessità di aiutare gli abitanti dei villaggi a

coltivare orti collettivi nei dintorni di Elukwatini. Ciò che aveva iniziato a fare a tempo perso

divenne presto il suo lavoro. Quando “Operation Hunger” ridusse i rifornimenti di cibo, egli dette

vita a piccole imprese collettive che producevano candele, staccionate, senza dimenticare mai di

spronare tutti a continuare a coltivare i loro orti. Negli ultimi anni della sua vita egli disegnò ed

installò delle pompe che necessitavano di poca manutenzione e funzionavano senza elettricità o

gasolio. Si occupò anche di irrigare gli orti con l’acqua dei fiumi che scorrevano poco lontano.

La vita di Fratello Alois non fu per niente facile. Le sue qualità più pregevoli erano la sua abilità

a stabilire relazioni amichevoli con i braccianti e vicini e il suo amore per i dettagli che lo

incoraggiarono a sviluppare una fattoria modello. Sentiva il fardello dell’apartheid

quotidianamente. Chiamato a vivere la sua vocazione come agricoltore si rese conto che non

era facile porre fine allo sfruttamento dei lavoratori nelle fattorie dove guadagnavano quel

tanto che permetteva loro di sopravvivere. I suoi confratelli non condividevano le sue opinioni,

né supportavano le sue sortite in merito. Soffrì molto per questo e per il fatto di sentirsi poco

apprezzato dagli altri.

Durante gli ultimi anni della sua vita il dolore alla schiena aumentò tanto da impedirgli di

sedersi per lungo tempo e di presenziare alle varie riunioni. Ciò nonostante quando riceveva

visite non smetteva mai di parlare tante erano le cose che doveva dire. Quando il visitatore

diceva che era ora che se ne andasse, Fratello Alois era solito porre la sua mano sul braccio del

suo ospite invitandolo a restare ancora un po’.

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LE SUORE COMBONIANE

XVII Capitolo Generale: Settembre 1998

Elezioni

Madre Adele Brambilla Superiora generale

Suor Annunziata Gianotti - Vicaria Generale

Suor Maria Aparecida Gonçalves - Assistente

Suor Margit Forster - Assistente

Suor Luciana Zonta - Assistente

Madre A. Brambilla, professa dal 1979, una infermiera che fece la sua esperienza missionaria

presso l’ospedale di Amman in Giordania dal 1989 al 1996 quando fu nominata Superiora

Provinciale.

Suor Annunziata Gianotti, Vicaria Generale, ebbe esperienze missionarie prima in Egitto e poi

in RCA, nel Ciad, e nel Cameroon dove fu nominata Superiora Provinciale.

Suor Maria Aparecida Gonçalves, proveniente dal Brasile.

Suor Margit Forster, tedesca, eletta al Capitolo dall’Uganda.

Suor Luciana Zonta, esperienze missionarie in Asmara e Nekemte in Etiopia.

All’apertura del Capitolo, la Superiora Generale uscente iniziò con una pregevole citazione che

mostrava un certo distacco dal potere e la sua personale attitudine all’umiltà:

“ Una generazione narra all’altra le Tue opere, annunzia le Tue meraviglie” (Salmo 145:4).

Essa menzionò due significativi anniversari che cadevano nel 1998:

2 settembre 1898, la definitiva sconfitta della Rivoluzione Madhi (1881 – 1898). Fu il periodo in

cui alcune suore Comboniane furono imprigionate, torturate e adesso lasciate libere.

Giugno 1889 la celebrazione del primo Capitolo Generale.

Nel suo primo discorso alle suore presenti al Capitolo, Madre Brambilla ripeté le parole di

Comboni, quando al suo arrivo a Khartoum nel 1872 come Prefetto Apostolico si rivolse alla

sua gente dicendo: “La vostra felicità sarà la mia felicità, e le vostre sofferenze le mie

sofferenze”.

Il Consiglio Generale uscente raccomandò alla nuova direzione di elaborare un significato

comune alle seguente espressioni: “ missio ad gentes”, prima evangelizzazione, le priorità ed i

loro limiti; specifici e generici.

Come di consueto, furono prese molte decisioni. La relazione si concluse con una citazione del

nostro Fondatore:

“Non dobbiamo temere nulla perché Dio che è stato con noi fino ad ora non ci abbandonerà nel

futuro”. (Scritti 3126)

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CAPITOLO VENTUNESIMO

Dal 1997 al 2003

FATTI SALIENTI ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO

L’interculturalità nella comunità comboniana

E’ una lettera del Consiglio Generale in data 9-1-1999. Il sei gennaio era il 150mo anniversario

(1849) del giuramento che il Comboni emise ai piedi di don Nicola Mazza, di consacrarsi per

tutta la sua vita alle missioni dell’Africa Centrale. Per dimostrare questa decisione il Comboni

negli anni di sua permanenza a Santa Croce si era dedicato allo studio della lingua locale e dei

costumi della gente.

La necessità di questa lettera era evidente dato l’afflusso specialmente negli Scolasticati

Internazionali, di candidati di molte culture differenti delle diverse culture sia europee che

dell’America Latina come delle molteplici culture africane.

1) La lettera parte da un’interessante interpretazione della Bibbia:

la Torre di Babele è indicata come simbolo della confusione che può venire dalla diversità delle

lingue, il primo elemento che distingue le diverse culture e che può generare forti malintesi e

permanenti divisione, come tra le genti della Torre di Babele.

Il secondo messaggio della Bibbia, negli Atti degli Apostoli è la predicazione degli Apostoli dopo

aver ricevuto lo Spirito Santo.

Essi predicano in una lingua, ma gli ascoltatori che parlano diverse lingue si trovano uniti nel

riconoscere lo stesso messaggio evangelico, pur conservando la loro identità culturale espressa

da diverse lingue.

2) Il richiamo del Comboni non poteva mancare; sia nella fondazione dell’Istituto già

internazionale, sia nei suoi sforzi di studiare le lingue locali ed i costumi del popolo nel suo

breve tempo passato a St. Croce.

In questo contesto non si poteva tralasciare un accenno alla ferita inflitta a questa volontà del

fondatore con la separazione in due rami nel 1923, fatta a base etnica. La riunione del 1979

dei due gruppi trovò che “era già stato percorso un lungo cammino d’internazionalità e molte

altre culture erano già entrate a condividere il carisma Comboniano”.

Si accentua ancora nella lettera che “la nostra opzione per l’internazionalità – adesso possiamo

già parlare d’intercontinentalità – non solo nell’Istituto come tale, ma anche nelle province e

comunità”.

3-Nella formazione di base: per ogni tappa la lettera suggerisce differenti passi preparatori al

pieno raggiungimento di vita comunitaria nel vissuto dell’interculturalità.

- Il Postulato: si fa nell’ambiente della propria cultura: questo perché è solo prendendo piena

conoscenza della propria cultura che si possono cogliere le differenze nell’incontro con un'altra

cultura ed eventualmente discernere i rispettivi valori delle diverse culture.

- Nel Noviziato si deve approfondire l’elemento comune di convergenza nel vissuto della

spiritualità comboniana e nella comune conoscenza, interpretazione e identificazione del

carisma Comboniano.

- Lo Scolasticato, già membri dell’Istituto, diventa il tempo forte di un cammino serio e

cosciente verso l’interculturalità. La lettera poi fa notare che negli Scolasticati internazionali la

sfida dell’interculturalità è doppia: un nuovo ambiente esterno; una nuova convivenza interna.

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In ambedue i casi, dice la lettera “lo scolastico deve essere capace di aprirsi all’apprezzamento

ed all’assimilazione dei valori degli altri senza imporre i propri punti di vista, ma anche senza

irragionevolmente rinunciarvi”.

La lettera termina richiamandosi all’inizio quando presentò i Re Magi come l’esempio

d’interculturalità nella diversità della loro origine e dei loro doni. Così ciascuno di noi presenti il

suo dono, le sue differenze alla Comunità.

“Il dono che presentiamo a Gesù si trasforma nel dono degli uni agli altri. Ci spinge più in là di

quello che siamo o che sappiamo verso la scoperta di aspetti nuovi e complementari di una

verità che è più ricca degli idoli che costantemente noi siamo venuti a creare attraverso

l’assolutizzazione del nostro punto di vista personale”.

Avanti dunque “con l’audacia del Beato Daniele Comboni con la nostra identità arricchita

dall’incontro con il compagno di viaggio, nella fedeltà alla nostra comune vocazione missionaria

e comboniana, sorretti dalla grazia del Signore e del suo amore diffuso nei nostri cuori dallo

Spirito Santo”.

La giustizia come relazione che genera la vita

Roma 1-1-2000

In occasione della Giornata Mondiale della Pace il 1° Gennaio 2000, i tre Istituti Comboniani

mandarono una lettera a tutte le loro Comunità.

I punti salienti della lettera:

Dopo il Concilio Vaticano II, specialmente per la Costituzione “Gaudium et Spes” l’impegno

della Chiesa per la giustizia e i diritti umani ha avuto e giustamente un impulso decisivo per cui

i Sinodi dei Vescovi ne trattarono molto spesso cominciando da quello del 1971: la lettera

comincia con un richiamo ai pronunciamenti di alcuni Sinodi: penso opportuno accennare a

ciascuno di essi data la loro importanza e brevità.

-Il sinodo dei Vescovi del ’71 ha dato un grande impulso a questo sviluppo col suo ben noto

testo: “L’azione per la Giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mondo, sono una

dimensione costitutiva dell’annuncio evangelico, cioè della missione della Chiesa per la

redenzione dell’umanità e la sua liberazione da qualsiasi situazione oppressiva”.

-Il Sinodo per l’Africa ne deduce un’applicazione concreta: “Se la proclamazione della giustizia

e della pace è parte integrante dell’evangelizzazione, ne segue che la promozione di questi

valori debba essere parte anche del programma pastorale di ogni comunità Cristiana”.

-Il Sinodo per l’America ci invita a lavorare assieme a persone appartenenti ad altre religioni:

“Persone di differenti fedi debbono sentirsi motivate … a lavorare assieme per la pace e la

giustizia”.

-Il Sinodo per l’Asia estende l’invito a tutta l’umanità: “Nel servizio della famiglia umana, la

Chiesa s’interessa di tutti gli uomini e donne senza distinzione, impegnandosi a costruire con

loro una civiltà dell’amore, fondata sui valori universali della pace, giustizia, solidarietà e

libertà che trovino la loro pienezza in Cristo”.

Dio ha bisogno di noi per liberare il suo popolo.

La lettera passa a descrivere le diverse situazioni d’ingiustizia nel mondo, e di alcuni aspetti

positivi nel campo dei diritti umani. Si rivolgono in modo particolare ai nostri campi di missione

e cioè Africa, America, Asia, ed anche Europa ed in ciascuno cercano in modo particolare

l’aspetto di ingiustizie e di violazioni dei Diritti Umani, specialmente in relazione alle persone

più povere. Rivolgono poi un appello ai loro missionari con il titolo “Dio ha bisogno di noi”.

Il signore è determinato a liberare gli oppressi e a porre fine alle sofferenze di questo mondo.

Ma ha bisogno di persone che sono disposte ad investire i propri talenti e doni per aprire nuove

vie attraverso le quali Egli porterà a compimento il suo sogno. Dio ci ha creato per un servizio

specifico che non ha affidato a nessun altro. Il privilegio di essere missionarie e missionari,

consiste nell’essere stati chiamati a condividere in un modo particolare la missione di Cristo per

una trasformazione vitale del mondo nel disegno finale di Dio. (n. 21)

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L’opzione integrale del Comboni

a) Non poteva mancare l’esempio del Comboni pioniere della promozione umana nella sua

completa intensità ed estensione. Tale integralità è basata sulla sua devozione al Cuore di

Cristo, simbolo dell’amore divino ed umano di Gesù per noi.

Egli era sensibile al grido umano, sociale, religioso e cosmico dell’Africa Centrale che aveva

bisogno di essere liberata dall’idolatria e superstizione, ma anche dalla schiavitù, dalla fame,

dalla malattia, dalla carestia e dall’emarginazione. Comboni descriveva il popolo che vive in

queste o simili situazioni come “i più poveri ed abbandonati”. Egli fece un’opzione preferenziale

in loro favore e cercò la collaborazione di altri.

b) Questo metodo integrale di fare missione divenne parte integrante del carisma dei suoi

istituti. Secondo il Comboni è compito dei missionari e delle missionarie aiutare a costruire

comunità cristiane africane che contribuiscano alla formazione dei preti locali e degli agenti

pastorali, ma anche università per la formazione di leader africani nei campi politico, culturale

e scientifico.

Tre appelli:

Aspiriamo a una società basata sulla solidarietà e sull’uguaglianza fondamentale e

complementare di donne e uomini, dove nessuno sia sfruttato a motivo del sesso, dell’età e

della razza. Aspiriamo ad una società dove la globalizzazione è al servizio della persona umana

e non del profitto.

Auspichiamo una società che rispetti le tradizioni culturali di ciascuna nazione, e sia sensibile ai

deboli ed emarginati.

Sogniamo una società democratica che integri anche processi decisionali tradizionali e sia

basata sui valori del Vangelo.

c) Vorrei aggiungere, personalmente che quest’atteggiamento può coinvolgere anche problemi

politici o persone politiche. Infatti ci sono tre campi differenti nelle società odierne: il campo

strettamente religioso, quello politico, quello comune sia alla religione che alla politica, che

sono i diritti umani. La persona umana è soggetta a questi tre campi. Il conflitto tra religione e

politica è sull’esercizio esistenziale dei Diritti Umani: la politica deve interessarsi di questi diritti

legati strettamente alla natura umana, perché deve promuoverli, proclamare e farli osservare.

La religione cristiana pure deve fare ugualmente perché ogni offesa, e violazione e negligenza

dei Diritti Umani è offesa, violazione, omissione dell’amore del prossimo, impegno speciale del

cristiano. Non tutti i missionari hanno questa chiara impostazione del loro apostolato. E’ chiaro

che talvolta si può prudentemente fare in modo che venga denunciato anche qualche politico,

non perché tale, ma perché come membro della comunità ha mancato di aderire e osservare

qualche diritto umano.

Riqualifica

La lettera continua riconoscendo la necessità di riqualificare il nostro apostolato demandando ai

dirigenti dei tre Istituti di preparare alcuni loro membri nei diversi campi dell’economia, della

politica, della comunicazione sociale ecc. per un tipo di presenza e di interventi nei conflitti

sociali, politici, di violenza e guerra.

Nè bisogna dimenticare lo studio di tutti i membri della dottrina Sociale della Chiesa sebbene

questa lettera non lo menziona.

Il messaggio conclude ringraziando tutti i membri che hanno formato un Comitato Giubilare

per aiutare Sudan, Etiopia, Eritrea, Congo etc. per creare una società di pace, basata sulla

giustizia e rispetto dei diritti umani.

La lettera invita poi a guardare al mondo con gli occhi dei poveri ed essere nella Chiesa e nel

mondo la voce di chi non ha voce.

ASSEMBLEA INTERCAPITOLARE

Roma 14 settembre – 4 ottobre 2000

L’assemblea Intercapitolare è stata decisa dal Capitolo del 1969.

E’ radunata dal Consiglio Generale dopo tre anni dal precedente Capitolo. In questo anno dal

Capitolo del 1997.

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Lo scopo di questa Assemblea è di verificare come e quanto sono state messe in pratica le

direttive, le decisioni, i suggerimenti del Capitolo precedente.

Il Consiglio Generale poi può approfittarne per fare dei sondaggi su alcuni problemi. Solo

sondaggi perché l’assemblea a differenza del Capitolo è solo consultiva. L’agenda è più o meno

come quella del Capitolo:

a) Relazione del Consiglio Generale, dei Segretari e degli Uffici. Poi le relazioni delle Missioni

raggruppate per Continente.

Dato che nel prossimo Capitolo (2003), le relazioni accennate comprenderanno tutto il

sessennio 1997-2003, non è necessario che ne dia qui i contenuti che riporterò nei commenti

al Capitolo 2003.

Un oggetto della Riunione fu uno scambio di idee sulle strutture di Governo e preparazione dei

Capitoli.

b) Da notare una conferenza del padre Gabriele Ferrari, emerito Sup. Generale dei Missionari

Saveriani che ha parlato con competenza sulla “Missione oggi: cosa domanda al missionario”.

Risposte:

- La missione oggi deve partire da una rinnovata ecclesiologia, dall’apostolicità della Chiesa e

dalla Sua Santità, dalla missione per irradiazione, dalla sua cattolicità: sia del soggetto, come

del messaggio e dei destinatari.

- Il rinnovamento dei missionari viene dettato dalla interpellazione della Storia, dall’autonomia

della realtà e Chiesa Locali, dall’internazionalizzazione degli Istituti Missionari e dalle tendenze

dei giovani europei e dei missionari dell’Africa e dell’America Latina inclini ad una maniera più

semplice e povera di vivere il carisma missionario.

c) Interessante fu pure il Raduno dei quattro Istituti Missionari di origine Italiana, presente

pure Madre Adele Brambila, Superiora Generale delle Suore Comboniane.

Divisione in gruppi

L’Assemblea si divise in 5 gruppi con diversi soggetti:

Ripartire dalla missione;

Giustizia e pace;

Attenzione alle persone;

Sistema formativo e verifica della formazione.

Proposta di Governo che includeva anche la possibilità della chiusura di uno scolasticato.

Vi fu una relazione di Fr. Umberto Martinuzzo sulla necessità dell’Istituto di iniziare e appoggiare

delle opere significative per i Fratelli, una per continente di promozione umana.

Riduzione delle province e degli impegni – temi di riflessione

Questi problemi è uscito in qualche gruppo ed intendo commentarli personalmente.

a) Riduzione delle Province

Già il Capitolo del 1969 aveva ridotto le Regioni per es. da tre in Italia, ne fece una; da due

Messico e Bassa California ne fece una; e così una da due in Uganda etc..

Lo stesso Capitolo suggerì di aprire un’altra Regione nel Kenya, una seconda di lingua inglese.

Così fu fatto: su due linee: Uganda-Mombasa, Nairobi-Etiopia.

Però si erano già verificate delle espulsioni di missionari: 1964 tutti dal sud Sudan; 1967, 10

dall’Uganda; inizio ’70 di nuovo dall’Uganda rifiuto di nuovi permessi e rifiuto di rinnovo e più

tardi dal Mozambico 11 missionari nel 1874; dall’Uganda 16, 1975.

Il Consiglio Generale 1969-75-79, pensò ad una strategia e cioè: aprire qualche missione nelle

nazioni vicine a dove si parli la stessa lingua o europea o locale.

Però non c’era intenzione di espandere fino a creare Province o delegazioni. Per esempio già da

tempo, i confratelli del Mozambico avevano comandato di aprire delle missioni nel Malawi sia

per appoggio come per alternativa: tale apertura si mostrò provvidenziale quando negli anni

’70, durante la guerra civile, molti mozambicani si rifugiarono nel vicino Malawi e furono

assistiti dai nostri Padri e Suore. Inoltre all’altezza delle nostre missioni nella diocesi di

Nampula e in quella della Diocesi di Tete, il Malawi attraversa il Mozambico.

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b) Riduzione del numero di tematiche proposte

Anche il Consiglio Generale nel suo commento afferma “Forse troppi erano i temi lasciatici dal

Capitolo”. Ad ogni modo l’assemblea sconfinò nel proporre i temi per il Capitolo 2003 (pag.144 del

verbale).

Il prossimo Capitolo dovrebbe offrire una presentazione viva della nostra esperienza e riflessione

sulla “Missione”, secondo la nostra spiritualità missionaria comboniana. Questa dovrebbe essere

una specie di Mosaico.

Questo “Mosaico” dovrebbe offrire, anche se brevemente, diverse dimensioni (o colori)/teologiche,

spirituali, antropologiche, liturgiche e pastorali), così da diventare una fonte completa e organica di

ispirazione.

Questa viva presentazione della nostra spiritualità missionaria e comboniana deve diventare

una base solida per una specie di “Ri-fondazione” e/o risveglio della nostra identità missionaria

come MCCJ. Deve essere attraente ed ispiratrice per tutti i confratelli, giovani e anziani, anche

per i nostri aspiranti e candidati.

Metodologicamente, noi suggeriamo il seguente sviluppo del tema.

Reinterpretando la nostra tradizione missionaria (storia) in maniera creativa, dall’esperienza

dei confratelli raccogliamo quelle caratteristiche tipiche della nostra spiritualità e servizio

missionario vissuti. Ogni provincia deve preparare e presentare uno o più “figure” di uno o più

Missionari comboniani significativi che hanno lavorato in diversi campi e diverse situazioni.

Da queste presentazioni potremo raccogliere alcuni denominatori comuni, valori ispiratori,

attitudini o principi metodologici della nostra spiritualità e servizio.

(L’uso di “Ri-fondazione” può essere interpretato in modo positivo come presa di coscienza di

una situazione o negativo, come segno di fallimento. Una prima rifondazione culturale si fece

nel Capitolo del 1969 che durò più di sei mesi con un’interruzione di più di un mese per un po’

di riposo (si concluse con i Decreti Capitolari). Ed una rifondazione giuridica con la Nuova

Regola di Vita dopo la Riunione).

c) Il consiglio Generale tuttavia, nei suoi commenti all’assemblea, indicò alcune priorità

Il rinnovamento della vita comunitaria secondo le indicazioni del Capitolo (AC ’97, 27-30; 125),

la crescita nella vita spirituale e la fedeltà alla consacrazione sono emerse come priorità

fondamentali.

Tra queste priorità, la promozione della vita spirituale è stata individuata come un’urgenza, con

particolare rilievo alla preghiera personale (RV 49) e all’impegno che favorisce la continua

crescita della persona (programma personale di vita). Allo stesso tempo si è sottolineato il

valore della vita di fraternità e il suo potere di testimonianza (AC ’97, 27-30). E’ necessario

recuperare gli strumenti di animazione della comunità: il consiglio di comunità, le giornate

comunitarie, il progetto comunitario e il progetto pastorale.

(Di fatto però nel Capitolo 2003 si sono esplicitamente stabilite altre priorità che sono più di

carattere amministrativo che culturale (Decreti capitolari, Cap. VI Nn 133, 1-6)

Verifica della Formazione di base (VFB)

Il Capitolo 1997 aveva affidato al Consiglio Generale il compito di verificare la Formazione di

Base dato il numero di uscite durante i voti temporanei e talvolta dopo poco tempo dai voti

perpetui o del sacerdozio.

In questa storia si sono già fatti molti commenti su questa formazione.

I problemi non sono cambiati.

Il consiglio Generale –in Fam. Comboniana dic. 2000- riconosce infatti che:

“Nell’intercapitolare ci siamo resi conto che cambiare non è facile. E’ più facile vedere i limiti del

sistema che proporre un’alternativa realistica. La riflessione in aula ci ha fatto vedere dove sono le

sfide di fondo della FB (la personalizzazione, l’interiorizzazione dei valori) e le sfide più urgenti

(quelle che riguardano la cultura del nostro tempo e l’inculturazione del nostro carisma)”.

Poi ribadisce un punto che si è sempre auspicato in tante assemblee e Capitoli dal 1969 e cioè

che è necessario che tutti i fratelli hanno una professione e questo prima del Noviziato. Questa

difficoltà di cambiamento viene riaffermata dal Consiglio generale per tutti i membri.

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“Ma la svolta di fondo per molti aspetti della nostra vita e per il nostro servizio missionario, nella

direzione auspicata dal Capitolo (AC ’97, 1 –30), rimane ancora davanti a noi come traguardo

verso cui camminare con sollecitudine e costanza nei prossimi tre anni. Occorre, perciò, sostenere

questo sforzo di mettere in pratica il Capitolo particolarmente per ciò che riguarda la qualità della

vita personale, il rinnovamento della vita comunitaria e del servizio missionario”.

Uscite dall’Istituto

Connesso con la formazione di Base, l’assemblea fu illuminata da un documento ben dettagliato e

scrupolosamente redatto dal Segretariato della Formazione sotto la guida di Padre Manuel João

Pereira Correia, Segretario.

Il lavoro è enorme perché parte dal 1887 al 2001. Solo alcune cifre.

Professi 1887 – 2001 Usciti

4.505 1.780

Professi Usciti

697 477

così divisi:

Padri 124

Fratelli 90

Studenti 263

Il decennio più alto: 1960-1970

In questo decennio sono entrati molti dal 1960 al 1965; data la crisi del dopo concilio il

maggior numero uscì dal 1966 al 1969.

La percentuale degli usciti è del 57%, la percentuale più alta di ogni decennio che diventa più

grave dato che praticamente il periodo fu di 4 anni.

Usciti – motivazioni

Ci limitiamo al periodo 1985 – 2001.

COMMENTI E MOTIVAZIONI

La gamma delle motivazioni è ben articolata. aggiungo qualche osservazione particolare secondo la

mia esperienza.

Sacerdoti usciti ed incardinati in diocesi: 1985-2001

Motivazioni Dominanti Secondarie Totale N°

N° % N° % N° % Ordine

Difficoltà nella vita comunitaria 23 27% 22 26% 45 54% 1°

Non identificazione con il fine specifico (missione ad gentes) dell’Istituto

25 30% 11 13% 36 43% 2°

Disaffezione – scarsa identificazione con l’Istituto 10 12% 14 17% 24 29% 3°

Difficoltà relative al voto di Obbedienza 5 6% 13 15% 18 21% 4°

Difficoltà relative al voto di Povertà 1 1% 3 4% 4 5% 8°

Consacrazione religiosa (problemi affettivi) 2 2% 3 4% 5 6% 7°

Ingresso in altro Istituto o movimento:

(neocatecumenali 9+2; vita contemplativa 3+2; altri 2) 14 17% 4 5% 18 21% 5°

Altre: salute e famiglia (salute 2+4; problemi familiari 2+7) 4 5% 11 13% 15 18% 6°

Totale 84 81 165

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Le difficoltà maggiori sono la vita comunitaria e la scarsa identificazione con l’Istituto (29%).

Questo succede soprattutto per chi entra già avanti negli studi: hanno avuto solo pochi anni nella

formazione per cui non sono stati abilitati alla vita comunitaria stile Comboniano ed hanno

conosciuto poco la storia dell’Istituto, le belle figure dei missionari anziani, perciò fanno fatica a

rimanere.

La seconda: non identificarsi con il fine specifico (ad gentes) dell’istituto: questo mi sembra

raro, perché la promozione vocazionale che l’Istituto fa è proprio “ad Gentes”.

Piuttosto: da anni si è diffusa l’opinione che dappertutto si fa missione e vi sono emigrati dall’Africa

anche in Europa. Talvolta può essere sopravvalutata tale opinione. Altre volte invece, tali sacerdoti

diventati Comboniani, s’incardinano nella Diocesi di missione dove vogliono rimanere appunto “ad

Gentes” per cui non accettano il richiamo in Europa per altri servizi. In questo caso è più crisi di

obbedienza che di identificazione con l’Istituto e con il suo fine “ad Gentes”.

Scolastici e fratelli di voti temporanei

Scolastici e Fratelli VT usciti 1985-2001 – quadro delle motivazioni

Motivazioni Dominante Secondaria Totale

Scol. Frat. Tot. Scol. Frat. Tot. Scol. Frat. Tot.

1. Crisi vocazionale (perdita del senso della vocazione, debolezza delle motivazioni vocazionali, dubbi e indecisione, mancanza di impegno ed entusiasmo…)

69 20 89 15 4 19 84 24 108

34% 33% 34% 42% 40% 41%

2. Provabile inconsistenza vocazionale dall’inizio (discernimento vocazionale: non adatto per la vita missionaria, mancanza di alcuni requisiti essenziali…)

63 14 77 4 2 6 67 16 83

31% 23% 29% 33% 27% 32%

3. Difficoltà nella vita comunitaria (disagio nei rapporti interpersonali, aggressività, individualismo, chiusura…)

16 4 20 47 19 66 63 23 86

8% 7% 8% 31% 38% 33%

4. Crisi ed immaturità affettiva (difficoltà relative al celibato consacrato)

32 15 47 26 3 29 58 18 76

16% 25% 18% 29% 30% 29%

5. Difficoltà relative al voto di obbedienza (atteggiamenti d’insofferenza e aggressività verso strutture e autorità, forte senso di autonomia…)

15 2 17 26 8 34 41 10 51

7% 3% 6% 20% 17% 19%

6. Difficoltà relative al voto di povertà (mancanza di trasparenza nella gestione e amministrazione dei beni…)

0 0 0 6 4 10 6 4 10

0% 0% 0% 3% 7% 4%

7. Difficoltà di adattamento a nuovi contesti culturali (difficoltà nell’inserzione, rigidità mentale, intolleranza, esagerato attaccamento alla propria cultura, patria, famiglia…)

0 2 2 13 4 17 13 6 19

0% 3% 1% 6% 10% 7%

8. Limiti intellettuali (lingua, studi, professione…)

2 1 3 4 3 7 6 4 10

1% 2% 1% 3% 7% 4%

9. Altri: 9.1 salute (Sc. 3+2; Fr. 1+0) 9.2 Famiglia (Sc. 2+7; Fr. 1+1) 9.3 Vari(bere..): (Sc..0+2; Fr.0+3)

5 2 7 11 4 15 16 6 22

2% 3% 3% 8% 10% 8%

Totale 202 60 262 152 51 203

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254 Scol. e Frat. VT – usciti 1985-2001 origine anno di uscita

Totale 262 (11 Diaconi + 191 Scolastici + 60 Fratelli VT)

su un totale di 293 (228 Scolastici + 65 Fratelli)

Afr

ica

Am

eri

ca

Euro

pa

Asia

11985-1994

1995-2001

Tota

le

Scolastici 53 93 53 3 83 119 202

Fratelli 21 19 20 0 26 34 60

Totale 74 112 73 3 109 153 262

Le più importanti cause per l’uscita dall’Istituto sono:

La crisi vocazionale (108) e la Vita comunitaria (86). Bisogna tener presente che chi arriva alla

Teologia e ai voti temporanei per i Fratelli, hanno già fatto 5 anni nell’istituto (3 di postulato, 2

di noviziato) e sono tutti tra i 20 e i 30 anni. Qui abbiamo differenti aspetti:

-alcuni non si sono aperti o non sono stati capaci di aprirsi nel qual caso toccava al formatore

stesso fare emergere quanto c’era in essi o chiamare qualche psicologo. Ma non l’hanno fatto,

altri sono stati ipocriti: per loro andava tutto bene, non avevano problemi. In questo caso

bisogna eliminarli subito. E’ impossibile che un giovane tra i 20 e i 30 anni non abbia problemi

e difficoltà sia individuali (preghiera – castità – rapporti col formatore) o di comunità.

-Vi può essere anche probabile inconsistenza vocazionale sin dall’inizio: per alcuni

probabilmente vi erano dei dubbi che il formatore non ha scoperto. Nel caso che il dubbio

persista sino al terzo anno di postulato o addirittura fino al Noviziato, bisogna eliminarli presto

anche per il loro futuro stesso, affinché possano costruirsi una seconda vita. Purtroppo molti

sbagli vengono commessi nel giudicare la consistenza della Vocazione.

-Fondamentale è lo sbaglio di considerare solo le qualità del candidato come segni di

vocazione. Il vero segno della vocazione è la motivazione o rettitudine d’intenzione. Quando un

candidato esprime dei dubbi, bisogna studiarli: è una decisione irresponsabile dire: “Hai tutte

le buone qualità. Preghi, riesci negli studi, buona vita comunitaria, ottimo nella castità. Cosa ti

manca?” “Ma Padre…” “No, no va avanti, mi prendo io la responsabilità. Prega. ecc.”?!?

-E’ vero che la vita comunitaria dal Postulato, al Noviziato, allo Scolasticato, etc. cambia ma se

un candidato è motivato e vuole raggiungere la sua meta, con l’aiuto del Formatore, può

superare le difficoltà E’ necessario soprattutto nel Noviziato abituare i candidati a dire di no a

sé stessi. Oggi i giovani sono abituati ad avere genitori e trovare anche formatori che non

domandano mai sacrifici e rinunzie. Per questo occorre cominciare presto a domandare tale

esercizio che prepari a problemi e rinunce anche impreviste nella vita, alcune possono essere

anche pesanti. Chi rinuncia nel poco, si abitua a rinunciare nel molto.

Sacerdoti laicizzati e Fratelli V.P.

Sacerdoti laicizzati e Fratelli VP usciti (campione di 73+20)

Motivazioni Dominanti Secondarie Totale N°

N° % N° % N° % ordine

Crisi generale dell’identità sacerdotale e missionaria

Perdita progressiva del senso della vocazione 5 5% 14 15% 19 20% 6°

Inconsistenza vocazionale dall’inizio

(Provabile) scelta errata della vocazione 4 4% 24 26% 28 30% 2°

Visione riduttiva della voc. sacerdotale, religiosa o missionaria (motivazione sociofilantropica)

1 1% 8 9% 9 10% 10°

Crisi di fede (Difficoltà ideologiche o contestazione di valori) 8 9% 8 9% 16 17% 8°

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Difficoltà nel celibato (Crisi e immaturità affettiva ) 39 42% 18 19% 57 61% 1°

Grave e reiterato comportamento incoerente con gli impegni della consacrazione (celibato)

9 10% 1 1% 10 11% 9°

Difficoltà nella vita comunitaria

Disagio nei rapporti interpersonali 4 4% 21 23% 25 27% 3°

Difficoltà relative al voto di obbedienza

Atteggiamenti insofferenti verso le strutture e autorità 7 8% 11 12% 18 19% 7°

Condizionamenti sociali – familiari – psicologici

Dipendenza e immaturità psicologica 3 3% 18 19% 21 23% 4°

Senso di stanchezza, di scoraggiamento, d’insoddisfazione, di frustrazione… 9 10% 10 11% 19 20% 5°

Difficoltà relative al voto di povertà 1 1% 5 5% 6 6% 11°

Altre: Principali: 1 ingr. Benedettini; 1 salute; 1 bere Secondarie: 2 bere…

3 3% 2 2% 5 5% 12°

Totale (52 Sacerdoti e 14 Fratelli VP) 93 140 233

Le ragioni sono più o meno le stesse di quelle degli scolastici. Però, mi pare difficile mettere al

secondo e terzo posto le motivazioni che riguardano le diverse crisi vocazionali come

accennato sopra.

E’ mia opinione che le difficoltà dei sacerdoti e fratelli di voti perpetui possono dipendere anche

dai rapporti con i Superiori. Talvolta sono loro stessi che hanno dei problemi dovuti alla

mancanza di vocazione per cui non si trovano bene in comunità. Ma il problema è loro stessi.

Da aggiungere anche che chi esce non sempre dichiara la ragione prioritaria: questo succede

specialmente quando da tempo sono stati in una crisi affettiva, non si sono aperti con il P.

Spirituale o Confessore. Allora facilmente dichiarano una ragione secondaria come primaria,

mentre la vera ragione è la crisi affettiva che rende sia la vita comunitaria come la pastorale e

l’ubbidienza, insopportabili ma dichiarano queste come prioritarie.

In genere dopo lo Scolasticato, pochissimi mantengono contatti col Direttore Spirituale o ne

cercano uno. E’ mia convinzione che l’aprirsi e domandare aiuto e consiglio può salvare un

confratello in crisi, specialmente affettiva.

Erezione di Delegazioni o Province

Vi furono alcuni sondaggi per l’erezione di altre Delegazioni o Province. Furono cinque. Il

Consiglio Generale tenne in considerazione la risposta dell’Assemblea e il 1-1-2002, eresse le

seguenti:

Province: Sud Sudan, Tchad

Delegazioni: Eritrea Colombia.

Il Centroamerica domandava di diventare Provincia, ma dato che l’assemblea non l’approvò il

C.G. non la eresse e rimase Delegazione.

Attenzione alla persona

nella Comunità Comboniana

Roma 25 gennaio 2001

Questo problema viene a galla spesso nei raduni delle nostre Comunità, ma è bene che sia

stato affrontato con competenza in una lettera-messaggio del Consiglio Generale.

L’occasione fu il suggerimento del Capitolo 1997, di mandare un messaggio annuale all’Istituto.

La scelta è indovinata perché c’è sempre bisogno di richiamare questo tema che deve essere

l’espressione dell’amor fraterno: parte essenziale del carisma comboniano simboleggiato dal

Cuore di Cristo.

Nella prima parte troviamo una descrizione della realtà presente nelle nostre comunità, dove vi

sono aspetti positivi e negativi.

Aspetti positivi: sono le testimonianze di vita religiosa e missionaria ai confratelli che hanno

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dato e danno ancora sia nella loro vita personale, che nella comunità e nella Chiesa e meritano

la nostra attenzione e rispetto. Teniamo presente che tante persone hanno talenti ma non

hanno mai l’occasione di metterli in evidenza.

Aspetti negativi: sono dati dalla presenza nelle nostre comunità di confratelli frustrati e infelici,

persone ferite e bloccate, incapaci di rinnovamento umano, teologico e missionario: queste

persone però, se da una parte rendono difficile il rapporto, dall’altra domandano ancor più

attenzione da parte degli altri, anzi se tali persone non sempre rispondono serenamente alle

attenzioni degli altri, può essere dovuto al come e al quando si dava quest’attenzione.

Anche persone normali possono rendere difficile il rapporto comunitario per il loro

individualismo, protagonismo, paternalismo che li rende anche freneticamente attivi.

La lettera ammette pure che i bisogni dell’Istituzione possono sacrificare l’individuo. Però molto

dipende dalla capacità di dialogo da parte dei Superiori e della persona in questione.

2) Nella seconda parte il messaggio fa alcune riflessioni sul tema:

Innanzitutto accenna al pensiero moderno, effetto del Capitalismo che ha insistito sull’individuo

chiuso e sufficiente a se stesso e non sulla persona che dice necessariamente relazione agli

altri. Pensiero assunto anche da religiosi/e e sacerdoti dopo la svolta antropologica del

Vaticano II.

Il vero pensiero del Concilio però, è che la persona ha come perno la sua vocazione che

determina il cammino della vita come dono alla comunità: la persona umana infatti, è creata

per vivere in comunione con gli altri: vocazione alla socialità.

Questo richiede:

- crescere nella reale conoscenza di se stessi, dei propri talenti, del proprio posto nella

comunità. Di conseguenza;

- crescere nella capacità di comunicarsi. Per questo è

- necessario crescere nell’autocontrollo di se stessi per non imporsi agli altri con la lingua e le

maniere che esprimono orgoglio.

Tale atteggiamento viene ulteriormente illuminato con la parola di Dio, secondo la quale la

nostra vocazione, i nostri talenti sono a disposizione di Chi ce li ha dati per adempiere il Suo

progetto per ogni creatura, che sapientemente Egli crea con i necessari talenti e soprattutto

con l’inclinazione irresistibile di amare e amare nel modo che Lui vuole e chi vuole.

b) Né poteva mancare l’esempio del Comboni.

E’ impossibile riassumere in pochi tratti l’attenzione di Comboni verso le persone. E’ noto e

proverbiale il rispetto, la fiducia e la grande carica di amicizia che egli sapeva offrire ai suoi

compagni e compagne di missione, perfino a coloro che gli davano dei ripetuti segni di ostilità. Egli

valorizzava le loro qualità, aveva occhi buoni per vedere il bene che facevano, li incoraggiava e si

lasciava incoraggiare da loro. Nella sua intensa corrispondenza, ufficiale o privata che fosse, con

ogni tipo di persone egli si mostrava sempre affettuoso, sincero e personale.

Tra i comboniani non mancarono esempi eccezionali in questo campo.

Mons. Antonio Roveggio (1859-1902), uno dei primi religiosi dell’Istituto, cordialissimo nel suo

modo di fare, che ebbe un ruolo decisivo nell’intesa tra i Missionari del Comboni e i Comboniani

religiosi;

P.Federico Vianello (1872-1936), che fu l’espressione stessa della paternità e dell’attenzione

durante la difficile storia dello sviluppo dell’Istituto e del dramma della prima guerra mondiale;

P.Andreas Riedl (1903-1974), sempre aperto all’amicizia e alla comprensione dell’altro, che fu

il grande sostenitore della riunificazione dei due rami dell’Istituto;

Fr. Angelo Viviani (1898-1984) e P.Giuseppe Ambrosoli (1924-1987), che in tempi e con ruoli

diversi, hanno incarnato in modo eroico l’attenzione misericordiosa verso gli ammalati.

3) Nella terza parte troviamo una serie di conseguenze di questa attenzione e rispetto della

persona:

a) -Accoglienza cordiale nel rispetto degli altri e dei loro talenti: accoglienza vicendevole,

soprattutto con sincerità, delicatezza, educazione (good manners) che spesso domanda uno

spontaneo sorriso.

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- Accoglienza come stimolo a ricordarci mutuamente le nostre responsabilità personali

- La correzione fraterna che è segno di amichevoli e attenti rapporti

- Attenzione come preghiera e scambio vicendevole di esperienze di fede

- Attenzione come servizio: ciascuno cerchi di essere di aiuto a chi ne ha bisogno anche con

qualche sacrificio, specie con chi non consideriamo a noi amichevole.

b) I benefici dell’attenzione

Noi stessi. Rispettare la nostra dignità di persone consacrate cioè messe da parte come speciali

amici di Gesù ed evitare tutto ciò che può macchiare tale dignità, ricordando che tale macchia

può estendersi alla Comunità.

I giovani nella formazione di base che hanno forse idealizzato i missionari come persone

eccezionali di preghiera, di bontà, di carità, etc.

I giovani missionari in particolare, con le loro differenze sia personali che culturali (africani,

Latino-americani).

Confratelli di mezza età che cercano l’equilibrio tra il nuovo ed il tradizionale e sono i più restii

all’accoglienza di novità.

Confratelli anziani e ammalati: non considerarli inutili, trovare qualche cosa da fare anche per

loro in comunità e nel ministero. Lasciarli in missione perché la loro presenza è apprezzata

dalla gente che li conosce e possano essere elemento di comprensione e unione della e con la

gente.

Confratelli in difficoltà che possono avere problemi d’identità e di equilibrio personale. La

difficoltà è anche per gli altri della comunità che non sempre sanno la causa dei loro problemi

per cui possono dire qualche parola o fare qualche gesto mal interpretato. Eppure questi

confratelli sono i più bisognosi di attenzioni.

c) I responsabili dell’attenzione

L’abuso dell’autorità espresso nel deficiente modo di esercitarla, specialmente dopo il Vaticano

II, ha declassato il suo ruolo al punto da “non ritenerla necessaria per la comunità o da ridurlo

al mero compito di coordinatore delle iniziative dei confratelli” (VFC 48). Le conseguenze

negative di una tale visione dell’autorità si sono viste presto.

Il rinnovamento avvenuto durante questi anni ha contribuito a delineare una nuova immagine

di autorità, mettendola in un più stretto riferimento alle sue radici evangeliche e

privilegiandone diversi aspetti come l’enfasi sulla spiritualità, la creazione di un clima

favorevole al rispetto, la comunicazione e la corresponsabilità, senza compromettere con ciò il

dovere di prendere decisioni e la garanzia che queste vengano attuate (cfr. VFC 47-50).

I superiori locali, Provinciali, Generali, formatori e promotori, il coordinatore della formazione

permanente, devono essere i primi ad esercitare l’autorità come servizio.

Nella lettera si accenna ad alcune problematiche: come persona e comunità: coscienza propria

e coscienza dell’altro: realizzazione personale e obbedienza, che sono praticamente contenuti

nel corpo della lettera che merita di essere ricordata come le altre lettere precedenti nella

Storia dell’Istituto.

La lettera conclude ricordandoci quanto dice il Comboni di essere missionari “santi e capaci”, e

di essere sempre in attesa della missione.

Commenti la lettera è ben coordinata ed esauriente. Ne approfitta per entrare inoltre nelle

situazioni della vita comune. Non accenna però a mancanza di attenzione e rispetto alle

persone specialmente da parte di alcuni provinciali che sarà bene richiamare alla mente:

- Discutere accuse contro un confratello al Consiglio Provinciale in sua assenza e condannarlo

senza dargli la possibilità di esporre la propria versione.

- Aspettare che un confratello ritorni in patria, e intimargli di non più ritornare, senza aver

prima dialogato con lui e scaricare la propria responsabilità sui confratelli dicendo: “Non ti

vogliono”

- Parlare dei difetti di confratelli in pubblico, specialmente con esterni, è condannarlo e cercare

il pelo nell’uovo, per farlo sentire in colpa, mentre il Superiore agisce per ragioni personali, non

escluso l’inconscio senso di vendetta e di risentimento o gelosia.

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Alcuni confratelli così malmenati si sono sentiti discriminati da ammalarsi fisicamente o da

entrare in depressione diventando così quasi inabili al lavoro e di peso alla comunità.

Può succedere che il Superiore o Vicario Generale preferiscano a priori la versione del

Provinciale, a quella del confratello.

Se il Concilio Provinciale, dove i consiglieri sono liberi di esprimere il proprio parere, decidono

per il rientro in patria di un confratello, si combini con la Direzione Generale o la Provincia di

origine perché sia richiamato per un lavoro in patria, cioè esigito dal rispetto della persona.

E’ necessario che il rientro di un confratello in patria non dia l’impressione di un rifiuto della

persona stessa. Tale impressione portò qualcuno al suicidio.

Alcuni Provinciali mancano anche di capacità amministrative sia nella corrispondenza come

nell’archivio delle Province. Sarebbe bene che i Provinciali facessero anche un corso di

amministrazione.

Spesso si fanno conferenze e raduni sul “Missionario oggi”, bisognerebbe farlo anche sul

“Superiore religioso- missionario oggi”.

- Tra i responsabili e nello stesso tempo beneficiari dell’attenzione e rispetto, la lettera non

menziona i Vescovi e le Autorità Civili. E’ più un messaggio ai Comboniani come Religiosi e

meno come missionari che vivono in una società ed in una Chiesa dove lavorano

temporaneamente almeno in linea di principio. Questo è tanto più necessario quando siamo in

un paese straniero per permesso del Governo e siamo a servizi della Chiesa Locale: per

ambedue non possiamo minimizzare o ignorare il rispetto e l’accoglienza dovute.27

CANONIZZAZIONE DEL NOSTRO FONDATORE

La canonizzazione di St. Daniele Comboni è l’evento più importante di questo periodo e forse

per noi, del 2000.

La cerimonia ufficiale fu fatta durante il Capitolo del 2003 dopo l’elezione del nuovo Consiglio

Generale (2003-2009), però il Consiglio Generale precedente (1997-2003) aveva gestito tutta

la preparazione.

Nel riferire il processo e la preparazione della Beatificazione proclamata in St. Pietro da Papa

Giovanni Paolo II (+2005) il 17 marzo 1996 (vedi capitolo 19), sono state largamente illustrate

le difficoltà passate per arrivare alla Beatificazione.

Per la Canonizzazione bastava il miracolo debitamente approvato dalla Santa Sede.

In vista della canonizzazione

Dal 9 al 28 maggio 2001 è stata istituita l’Inchiesta Diocesana presso la Curia ecclesiastica di

Khartoum (Sudan) sulla presunta guarigione miracolosa della musulmana Lubna Abdel Aziz.

La Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi, ha riconosciuto, l’11 aprile

2002, che la guarigione della signora Lubna Abdel Aziz è stata rapida, completa,

scientificamente inspiegabile.

Nel Congresso speciale del 6 settembre 2002, i Consultori Teologi hanno riconosciuto il nesso

tra la guarigione della signora Lubna e l’invocazione del Beato Daniele Comboni riscontrando

nello stesso tempo la preternaturalità della guarigione. Alle medesime conclusioni sono

pervenuti i Cardinali e i Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 ottobre 2002.

Il decreto sul miracolo è stato promulgato il 20 dicembre dello stesso anno, alla presenza del

Santo Padre Giovanni Paolo II.

Il miracolo

Presentando il miracolo al Santo Padre, il Postulatore P. Arnaldo Baritussio, Comboniano, lo

introduce con il seguente commento:

“Guarigione repentina, completa e duratura della sig.ra Lubna Abdel Aziz da -quinto parto

cesareo in paziente già sottoposta a quattro precedenti tagli cesarei; placenta previa “accreta”

con gravissime emorragie del secondamento. Secondo intervento di isterectomia effettuato

tardivamente, con conseguente shock ipovolemico e coagulazione intravasale disseminata

(CID). Terzo intervento laparatomico con svuotamento dell’emoperitoneo e allacciatura

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dell’arteria uterina sinistra sanguinante, seguito da edema polmonare”.

Descrive poi brevemente il fatto miracoloso umanamente e clinicamente assolutamente

inspiegabile.

Lubna Abdel Aziz, nata nel 1965, presenta in anamnesi quattro gravidanze che sono terminate

con un taglio cesareo. La quinta gravidanza ha termine in data 11/11/1997 sempre con taglio

cesareo, avvenuto alle ore 7,30 presso la Maternità del St. Mary’s Maternità Hospital (Villa

Gilda) di Khartoum, diretta dalle Suore Missionarie Comboniane, ivi residenti.

Non è possibile praticare l’asportazione completa della placenta in quanto si tratta di una

“placenta previa accreta”, fortemente aderente alla parete uterina. I medici decidono di

astenersi al momento dall’asportare l’utero, mettendo in atto una terapia medica conservativa.

Alle ore 12 dello stesso giorno iniziano emorragie profuse con conseguente stato di ipotensione

arteriosa. Alle 14 viene eseguita una isterectomia d’urgenza e la paziente sottoposta a ripetute

trasfusioni per eliminare la causa dell’emorragia, così da fronteggiare lo stato di shock

ipovolemico che si era instaurato.

Tuttavia nel pomeriggio, dopo le ore 17, si assiste ad un ulteriore aggravamento della

situazione: fuoriesce sangue dalla ferita operatoria e si constata che il sangue non si coagula.

Si era verificata una CID (coagulazione intravasale disseminata) per deficit di fibrinogeno.

A complicare tale stato di cose, si aggiunge l’impossibilità di reperire sangue fresco da

trasfondere. Si praticano allora trasfusioni con sangue conservato e non controllato per i virus

dell’epatite e dell’AIDS (come si fa di norma). Inoltre vengono iniettate due fiale di fibrinogeno.

La situazione tuttavia non tende a migliorare; per cui la mattina del giorno dopo viene eseguito

un terzo intervento, per la presenza di emoperitoneo dovuto ad emorragia proveniente

dall’arteria uterina sinistra. Le condizioni della donna sono gravissime per il completo collasso

cardiocircolatorio e per la comparsa di un edema polmonare. La situazione del giorno 12

novembre è decisamente definita disperata.

Inaspettatamente dal giorno 13, la paziente si riprende rapidamente; è lucida e presenta i

parametri vitali nella norma. Il miglioramento si completa in pochissimi giorni; viene dimessa il

18/11/97.

I due Periti “ab inspectione” visitano la donna nel maggio 2001 senza riscontrare nessun

postumo.

Il Postulatore aggiunge poi il nome dei medici, specialmente medici ostetrici-ginecologi ed

anche delle Suore Comboniane per il nesso tra la guarigione e le loro preghiere.

Riporto solo la relazione scritta il 18/11/1997 da Suor Bianca Garascia, teste ufficiale nel

processo diocesano di Khartoum e Superiora delle Suore Comboniane della Maternità del St.

Mary Maternity Hospital di Khartoum.

“11 novembre ‘97

Poco dopo mezzogiorno le sorelle infermiere ci hanno comunicato che la donna (Lubna) che era

stata appena operata era ancora in sala operatoria ed era abbastanza grave. Abbiamo

raccomandato subito la donna alla Madonna e a Mons. Comboni con preghiere spontanee di

intercessione: “Madonna aiutala!”, “Comboni intercedi per lei!”.

-6 p.m. Nel pomeriggio eravamo con il cuore sospeso e la nostra preghiera si è fatta più

intensa specialmente verso sera quando vedemmo che la donna era grave.

-6.30 p.m. Telefonai a Sr. Nunzia e comunicai la notizia della gravità della donna e dissi di

unirsi anche loro sorelle a noi a pregare Comboni per intercedere la grazia che la donna non

morisse.

-7.00 p.m. Riunitasi la comunità per le preghiere dei Vespri, tutte assieme abbiamo supplicato

Comboni di intercedere per la donna. “Comboni intercedi per Lubna. Comboni vieni in suo aiuto; è

una sudanese, è una della tua terra amata, intercedi per lei, aiutala, fa che non muoia!”.

8.45 p.m. Tutti i dottori e noi sorelle siamo andati in cappella a pregare per Lubna. Ormai

sembrava che era alla fine. Abbiamo pregato con angoscia e fede alla Madonna e a Mons.

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Comboni. Dopo di che siamo andati alla maternità a veder la donna. Stava malissimo.

9.15 p.m. Tre sorelle ritornarono in cappella e incominciarono la preghiera di intercessione a

Comboni (Triduo o Novena a Comboni dal nostro manuale di preghiera). Abbiamo continuato la

preghiera per tre giorni consecutivi, finchè abbiamo visto che la donna stava meglio e fuori

pericolo. Abbiamo visto (toccato con mano) la bontà del Signore”.

Aggiungo anche una frase della relazione di un’altra teste al processo di Khartoum, Sr. Maria

Bianca Benatelli, infermiera ostetrica, capo governante e responsabile del reparto Maternità del

St. Mary’s Maternity Hospital (Villa Gilda).

“Dopo il secondo intervento, si continuava a dar sangue ma usciva. L’addome si gonfiava e

anche senza premere, dalle ferite il sangue usciva, l’addome era pieno. Le cose precipitavano,

la pressione scendeva e il polso era solo percettibile.

A questo punto noi suore le mettiamo sotto il cuscino l’immagine del Comboni e l’affidammo a

Lui. I parenti hanno visto.

Riporto anche quanto rilevò il professore, dott. Nino Pasetto, già direttore della Clinica

Ostetrica e Ginecologica e della scuola di specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia

dell’Università di Roma, Tor Vergata che è uno dei due periti, ex ufficio, della Consulta Medica

della Congregazione per la Causa dei Santi.

“Mentre tutti i medici si erano ormai rassegnati ad attendersi la morte della paziente, con

grande sorpresa, alla fine dell’intervento si è verificato un improvviso e drammatico

miglioramento con risveglio completo, completa riacquisizione di coscienza e lucidità mentale

ed anche desiderio di colloquiare con le persone che la circondano. E dopo solo cinque giorni

dal terzo intervento, senza alcuna complicazione funzionale ed infettiva a carico della funzione

vescica-urinaria ed intestinale, la paziente è stat dimessa”.

Lo stesso professore, riguardo al nesso tra la guarigione e le preghiere delle Suore, scrive al

nostro Postulatore (24/04/01):

Non c’è nessun errore da parte medica e l’invocazione delle suore è veramente l’elemento di

novità che supera ogni logica umana. A mio avviso, l’invocazione è al momento giusto in

quanto la prognosi era decisamente infausta. Non perde affatto il significato di straordinarietà;

anzi è al momento giusto in quanto, essendo ormai tutto clinicamente compromesso, c’era il

pericolo del decesso prima che avvenisse l’estremo tentativo dei medici cui ha fatto seguito

l’improvvisa ed immediata ripresa, quando i medici “We all expected her to die” (Noi tutti

aspettavamo che morisse).

Sulla rivista “Civiltà Cattolica” (2003, IV 138-152), prestigiosa pubblicazione dei Gesuiti,il

giornalista Piersandro Vanzan, nel commentare il miracolo scrive tra l’altro:

…veniamo alla peculiarità tutta “comboniana” del miracolo: nell’Africa, al cuore della missione di

Comboni, il Sudan. E poi per la miracolata: non una cattolica, ma una islamica. Questo, soprattutto

oggi, con le tensioni antioccidentali e anticristiane che montano nell’islam, ha un significato

fortissimo: il Dio dei cristiani non attende la conversione di un musulmano per beneficarlo col

miracolo, perché lo ama così com’è. E i cristiani sono un bene anche per gli islamici non quando si

convertono al Vangelo, ma semplicemente perché sono loro fratelli. Tutti figli dell’Unico Creatore e

Padre. Lubna l’aveva capito, poiché per la quinta volta si era fatta ricoverare in quell’ospedale

cattolico. Se in precedenza si fosse trovata male, avrebbe scelto diversamente; invece è tornata

perché contenta dell’assistenza ricevuta. Infine nella preghiera d’intercessione sono coinvolti tutti,

non solo le suore. Pregano anche i medici, e prega la mamma di Lubna, benché non cristiana ma

sapendo che Comboni ha amato l’Africa, ha amato la Nigrizia, ha amato il Sudan, ha amato i

malati che incontrava e cercava di curare meglio che poteva. Capisce che Comboni non ha

mandato le suore perché la figlia muoia, ma perché viva. Capisce che il suggerimento di pregarlo è

ragionevole e opportuno. E aderisce. E Dio, davanti alla forza di una preghiera così solidale, si

piega. Non potrebbe altrimenti, perché dagli uomini non desidera più di questo: che si affratellino

nella carità, nella speranza e nella fede. E’ questo affratellamento il miracolo più grande, il vero

miracolo che attende il terzo millennio. E Comboni ci dice che è un miracolo possibile.

Nella note in calce (n. 23), il Gesuita aggiunge:

I ginecologi avvertono che una gravidanza dopo il terzo cesareo, è molto rischiosa. Il motivo –

spiegato alla buona- è questo: il cesareo non lacera semplicemente la muscolatura, ma anche

l’utero, che, una volta cicatrizzato, perde alcune delle sue proprietà.

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Interessante anche l’apprezzamento della Rivista sulla personalità del nostro Santo, nell’occasione

della Canonizzazione, nello stesso articolo di commento al miracolo di Piersandro Vanzan:

Per cogliere l’originale strategia missionaria di San Daniele Comboni(1831-81), giustamente

ritenuto l’”apostolo della Nigrizia”, e la perdurante attualità delle sue intuizioni circa

l’evangelizzazione inculturata, le mutue relazioni tra preti-laici-religiosi, lo scambio tra Chiese

sorelle –pensiamo ai sacerdoti “Fidei donum”, anticipati dal suo postulato al Vaticano I, basterà

ricordare non solo quanto emerso nel Sinodo speciale per l’Africa, svoltosi in Vaticano

nell’aprile 1994, 130 anni dopo il comboniano “Piano per la rigenerazione dell’Africa” (1864),

ma anche quanto recepito nell’Esortazione postsinodale di Giovanni Paolo II, “Ecclesia in

Africa” (14 settembre 1994). Né fu retorico quanto, in occasione di quel Sinodo, affermò il

neocardinale G. Zubeir Wako, successore del Comboni nella sede arcivescovile di Khartoum:

“Senza di lui oggi non ci sarebbero vescovi, sacerdoti, diaconi, fratelli, suore e catechisti

sudanesi. Noi siamo il suo sogno divenuto realtà e siamo impegnati a renderlo più reale

lavorando sodo al servizio dei più abbandonati tra i nostri fratelli e sorelle”.

Da parte sua il card. G. Massaia, apostolo dell’Etiopia, che aveva conosciuto il Comboni durante

un soggiorno parigino (gennaio-aprile 1865) nel convento dei padri cappuccini (e insieme si

ritrovarono per l’ultima volta a Frascati nell’ottobre del 1880), lo considerava «uno dei più

illustri campioni del moderno apostolato». Del resto, già nel 1869 mons. Leo Meurin - un

gesuita di origini prussiane, vicario apostolico di Bombay -, che lo incontrò al Cairo e restò

affascinato dalla sua tempra missionaria, lo definì «il Francesco Saverio dell'Africa». Di fatto,

non soltanto percorre 1'Europa, gridando la tragedia della Nigrizia, ma se ne fa paladino ai

vertici della Chiesa: sollecitando Pio IX, la Curia romana e i vescovi di quasi tutti i Paesi

europei, cui faceva visita e scriveva, a onorare la sollicitudo omnium Ecclesiàrum degli

apostoli. Al Concilio Vaticano I (1870) presentò un Postulatum in favore dell'evangelizzazione

dell'Africa, sottoscritto da 70 padri conciliari, ma rimasto senza esito per 1'improvvisa

interruzione del Concilio.

Schizzi biografici di un personaggio complesso e intrigante

Ben più che nella letteratura agiografica tradizionale, in quella più recente Comboni viene

tratteggiato con una serie di binomi apparentemente contraddittori, ma nei quali, a ben

guardare, è radicato il suo fascino, risultando insieme semplice e complesso, ruvido e

tenerissimo, utopico e realista, tenace fino alla cocciutaggine e insieme totalmente

abbandonato alle mani di Dio. Un personaggio che nella sua intensa vita ha fatto tutto come

se 1'esito dipendesse soltanto da lui, ma che, allo stesso tempo, sapeva che tutto era

guidato da tutt'altro regista! In breve, Comboni rompe le misure del buon senso, anche

dentro la Chiesa - via via egli sconcerta don Mazza, il card. Barnabò e Pio IX -, ma perciò

stesso conquista e sconvolge come pochi altri. Una personalità dirompente, con una volontà

di acciaio e una mistica che lascia meravigliati. La sua attività frenetica, infatti, nasce da una

profonda sorgente interiore: il «Cuore trafitto del Buon Pastore», interpretando a modo suo

la gesuitica devozione che aveva imparato, fin da ragazzo, all'Istituto don Mazza.

Emblematici sono i ritratti che, schizzati da penne non certo omogenee nel taglio, nell'approccio e

nella matrice culturale, si integrano però felicemente. In Pronzato leggiamo: «Santo sì, ma che

teneva un'amante, e non era una cosa segreta. Lui, anzi, faceva di tutto perché si sapesse in giro.

La passione è divampata quando aveva 17 anni e non si è più spenta, anzi cresceva col trascorrere

degli anni. Viaggi disagevoli sul cammello per attraversare il deserto, [...] sete, febbri malariche,

pericoli di ogni genere [...]. Nessun ostacolo riusciva a trattenerlo dal raggiungere la sua amante.

E, pur di restare con lei, faceva il vescovo, il parroco, il sagrestano, il questuante,l'infermiere e

perfino il becchino. Scriveva migliaia e migliaia di lettere, con uno stile incandescente, per attirare

1'attenzione su di essa. Una vita di soli 50 anni, letteralmente bruciata da questa passione

incontenibile. Alla fine mons. Comboni non può esimersi dal rivelare il nome incriminato e

compromettente: "Africa, mia amata"».

Romanato invece sottolinea: «Fisicamente e intellettualmente Comboni visse su un crinale oltre il

quale era difficile anche solo pensare di potersi spingere. L'Africa nella quale si avventurava era un

continente ancora sconosciuto, che ingoiava uno dietro 1'altro missionari ed esploratori. Comboni

scelse di andare a fare il prete in questa terra, pur consapevole che lui e i suoi compagni

difficilmente ne sarebbero tornati vivi. [...] Se fosse stato un avventuriero, un uomo in cerca di

emozioni forti oppure in fuga da se stesso, la sua scelta sarebbe comprensibile. Ma non era nulla di

tutto questo, era solo un prete e un prete integerrimo, ligio a tutte le prescrizioni del suo stato. C’è

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insomma in lui qualcosa che sfugge ai normali criteri di valutazione».

Itinerario spirituale verso la Canonizzazione

Affinché il grande evento fosse vissuto bene e non si limitasse ad una emozionante e festosa

celebrazione, Comboniani e Comboniane furono invitati dai rispettivi Consigli Generali ad un

itinerario spirituale di preparazione per conoscere ed amare di più il Comboni.

Preparazione remota: dopo la notizia ufficiale del 7 marzo 2003, i tre Consigli Generali

esortarono i loro Istituti ad un speciale cammino di preparazione al grande ed unico evento

nella vita dell’Istituto, la Canonizzazione. Una loro lettera comune lanciò subito il messaggio:

15 marzo 2003.

a. Messaggio dei tre Consigli Generali degli Istituti della Famiglia Comboniana

“Dono da accogliere ed approfondire". Con questo messaggio congiunto del 15 marzo 2003, i

Consigli Generali invitano i membri degli Istituti ad accogliere il dono della canonizzazione come

tempo forte di rigenerazione della vocazione missionaria comboniana a livello personale e di

Istituto.

Vengono offerte piste di riflessione proprio sul significato della canonizzazione di Daniele Comboni,

che:

- attesta pubblicamente 1'amore genuino che egli ha avuto per Dio, frutto del rapporto filiale

che costantemente nutriva nel suo cuore (dimensione trinitaria);

- è un avvenimento che appartiene alla Chiesa universale (dimensione ecclesiologica

missionaria). E la Chiesa stessa che lo propone come testimone singolare di Gesù Cristo e

modello di sequela evangelica per tutti i cristiani;

- riaccende 1'urgenza della missione, in particolare verso i popoli più abbandonati in ordine

a11e condizioni di miseria più disumanizzanti (dimensione sociale antropologica);

- mette un sigillo d'autenticità sulla storia missionaria vissuta dai suoi figli e figlie che con la

propria vita hanno testimoniato il Vangelo in mezzo a difficoltà, sofferenze, persecuzioni ed

anche fino allo spargimento del sangue (dimensione storico-martiriale).

Orientamenti.

Vengono poi dati alcuni orientamenti pratici da tenere presenti nelle iniziative che riguardano

questo avvenimento, in cui coinvolgere tutto il popolo di Dio. In appendice al messaggio c'è la

preghiera giornaliera per impetrare da Dio un nuovo slancio nella grazia della vocazione che ci ha

posti/e a1 servizio della Chiesa missionaria.

Come sussidi a questi orientamenti vengono suggeriti, per ogni mese del 2003, studi monografici

su alcuni aspetti importanti della vita del Comboni come:

-Comboni e la preghiera, aprile

-Valori umani in Comboni, maggio

-Un cuore missionario per il terzo millennio, giugno

-Comboni e la consacrazione per la missione, luglio

-Comboni, vita ecclesiale, cenacolo di apostoli, interculturalità e obbedienza consacrata, agosto

-Comboni, promozione umana: nuove schiavitù: trasformazione sociale: povertà consacrate,

settembre

-Daniele Comboni evangelizzatore. Uomini e donne consacrati per lo stesso ideale, ottobre

-Nostra Signora del Sacro Cuore: icona mariana missionaria: comboniane dell’evangelizzazione,

dicembre.

b. Celebrazione penitenziale della Famiglia Comboniana

La commissione preparatoria per la Canonizzazione, invitò le famiglie comboniane a celebrare

comunitariamente una funzione penitenziale.

Così il 27 giugno 2003, festa del Sacro Cuore, la Famiglia Comboniana si è riunita nelle varie

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località dove è presente, per una celebrazione penitenziale della misericordia di Dio che ci chiama a

rinnovare la nostra vita sulla via della santità che Comboni ci ha indicato. La canonizzazione del

nostro fondatore e padre ci sfida a convertirci continuamente a Dio che ci chiama, alla missione

che ci rinnova, alla Chiesa che ci accoglie e alle realtà del mondo che ci chiedono solidarietà. I

partecipanti si sono accostati ad una brocca d'acqua, simbolo del fonte battesimale, facendo il

segno della croce e cantando un canto penitenziale. Con questo segno si è fatto memoria della

nostra consacrazione battesimale e si è rinnovato 1'impegno di fedeltà alla vocazione religiosa

missionaria. Durante la Confessio Vitae ciascun partecipante era invitato a mettere un po' di terra

asciutta a fianco del simbolo dell'acqua. Con questo segno si è riconosciuta 1'aridità della nostra

vita e del nostro servizio missionario quando presumiamo di essere autosufficienti e ci stacchiamo

da Colui che è la fonte della nostra vocazione e missione. Alla Confessio Fidei i partecipanti sono

stati invitati a contemplare la croce di Cristo presentata assieme a dei segni di vita: fiori e frutta.

Preparazione prossima

In prossimità della celebrazione per la canonizzazione, i tre Consigli Generali, con una lettera

chiamano i Comboniani ad intensificare la loro conoscenza ed amore per il nuovo

Santo.Lettera: "Daniele Comboni testimone di santità e maestro di missione". Con questa

lettera del 1° settembre 2003, i Consigli Generali presentano alcuni punti di riflessione sulla

santità di Daniele Comboni e sul significato della sua canonizzazione, che ci accompagnino

durante questo periodo di grazia.

Nella lettera si evidenzia che 1a missione è nel cuore della santità della Chiesa: nei grandi

missionari, tra i quali Comboni, la vocazione alla missione nasce dalla santità, o "perfezione

della carità": è la carità (la passione, in Comboni) che spinge ad andare ad gentes e a

rimanere creativamente fedeli alla chiamata.

Comboni testimone credibile ed affascinante perché le sue parole parlano di fatti: una missione

come la nostra non può vivere di soggetti pieni di egoismo e di se stessi.

Comboni deriva il suo coraggio e la sua forza per la missione da una forte esperienza personale

del Cuore trafitto di Cristo Signore della missione.

Comboni vuole il suo missionario come persona comunitaria ma di una comunione

che parte dalla convinzione di fedeltà prima di tutto alla grande comunità che è la Chiesa ed

alle comunità missionarie come piccolo Cenacolo di Apostoli dal quale emanano raggi che

splendono insieme e riscaldano.

Comboni ha una metodologia di lavoro missionario, una “Magna Charta” che poggia su due

affermazioni fondamentali. Una riguarda il fine: Salvare I'Africa con 1'Africa e l’altra concerne

1'opzione di fondo e il dinamismo insito in tale opzione: il povero, soggetto del proprio riscatto.

I testimoni, per farci capire la qualità dell'amore viscerale di Comboni verso gli africani, lo

defniscono il Padre dei neri, colui che aiutava tutti quanti, anche i bianchi, accoglieva a11a

missione g1i schiavi, li difendeva anche davanti al governo...

Il suo lascito può essere espresso con... io morrò con 1'Africa sulle labbra (S 1441): e ci

chiediamo se la nostra "opzione per i poveri" è un continuare a "fare per i poveri" o è un

creativo "vivere con i poveri", vivendo la scelta fatta come legame "sponsale" con le persone e

le situazioni: Io ritorno fra voi per non mai più cessare d'essere vostro, e tutto al maggior

vostro bene consacrato per sempre (S 3158). Significa quindi verificare la qualità, la profondità

e la sincerità con cui diciamo di credere nell'altro. E interrogarci su quanto manca perché il

motto comboniano Salvare 1'Africa con 1'Africa possa arrivare a piena realizzazione.

La croce di ottone.

A conclusione della lettera si parla della croce di ottone che Comboni portava costantemente

al petto, al posto di quella preziosa donatagli da Pio IX: in essa scopriamo una testimonianza e

un messaggio ulteriori, di cui tanti suoi missionari e missionarie hanno fatto tesoro attraverso

gli anni della storia della Famiglia Comboniana e cioè:

Con questa sua croce di ottone appesa costantemente al petto, Comboni, senza parlare, ci fa

capire 1'elemento essenziale della sua santità missionaria: gli atteggiamenti autentici e i

passi della radicalità evangelica che lo fanno avanzare nel suo ideale senza deflettere.

Sembra che Comboni non abbia mai avuto bisogno di vendere la croce preziosa, gli è bastata

la croce di ottone per incarnare tutta una strategia nuova di liberazione e rigenerazione delle

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persone e della società secondo il progetto del Regno e per consegnare a noi, Famiglia

Comboniana, un lascito che oggi più che mai ci interpella.

Questa croce fu trovata così:

Dopo la morte di Daniele Comboni, secondo la testimonianza dal suo secondo cugino Eugenio,

"venne un missionario dall'Africa a confortare il papà di Monsignore e gli portò una croce

pettorale di ottone. La croce di battaglia, come egli la chiamava. Quella che il vescovo portava

ordinariamente, poiché quella preziosa donatagli da Pio IX diceva che la teneva per quando S.

Giuseppe avesse avuto un raffreddore, nel qual caso se ne sarebbe privato. Questa frase 1'ho

sentita io stesso da don Daniele. Quella croce di ottone dopo la morte del sig. Luigi passò in

mie mani, e la conservo come preziosa memoria, e non vorrei distaccarmene" (P II, p. 1235).

L’accenno a S. Giuseppe si spiega perché il Comboni quando era senza soldi pregava S.

Giuseppe. Qualora questo santo fosse indisposto, avrebbe anche venduto la preziosa croce.

Veglie di preghiera in sette lingue in sette chiese (4/10/2003)

La commissione preparatoria invitò tutti i pellegrini venuti a Roma per la celebrazione, ad una

veglia notturna il sabato precedente la domenica della canonizzazione.

Così, 1'intera Famiglia Comboniana, unita ai numerosi pellegrini venuti da quattro continenti,

ha celebrato una veglia di accoglienza e di preghiera contemporaneamente in sette diverse

chiese di Roma a seconda delle varie lingue, per poter dare a tutti i partecipanti la possibilità di

elevare con il cuore la propria preghiera al Signore e sentirsi in comunione con il mondo intero.

A1 caloroso benvenuto da parte degli organizzatori delle differenti veglie sono seguiti letture

bibliche, stralci dagli scritti di Comboni, testimonianze di missionari/e e laici, canti e danze che

hanno contribuito a creare un clima di festa. Un momento emozionante della celebrazione è

stata la processione con il quadro di Daniele Comboni portato solennemente all'altare maggiore

dalle persone dei diversi gruppi linguistici.

-La prima parte della veglia ha sviluppato la memoria dell'opera di Dio nel tempo e, in

particolare, di quell'opera di salvezza raccontata nella storia del popolo di Israele (Es 3,7-12) e

nelle storie di santità di tante persone che hanno dato la vita per il Vangelo, soffermandosi in

particolare nel ricordo della dedizione del nostro Fondatore (S 809, 926) e della sua fedeltà

fino alla morte: "Abbiate coraggio in quest'ora dura, e più ancora per 1'avvenire. Non

desistete, non rinunciate mai. Affrontate senza paura qualunque bufera. Non temete, io muoio,

ma 1'opera non morirà."

-L'attualità del messaggio di Comboni è stata focalizzata nella seconda parte della veglia: il

presente come "oggi di Dio". Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Gv 10,7-18). Per la forza

del suo amore di Buon Pastore risorto dai morti anche 1'opera di Daniele Comboni ha un oggi e

un futuro pieno di speranza (Sritti 944, 2790, 3553).

-Nella terza parte della riflessione, guardando al futuro, è stato sviluppato il dono del carisma

comboniano, dono che cresce e si sviluppa nella Chiesa e nel mondo grazie all'azione dello

Spirito che nelle diverse epoche ha suscitato nel cuore di tanti/e giovani il coraggio di seguire

Cristo per annunciare il suo Vangelo a tutto il mondo (S 6655-6656). È lo stesso Spirito che ha

animato e sostenuto Daniele Comboni e che ha fatto di lui un profeta della missione.

In tutte le chiese la cerimonia fu presieduta da un Vescovo. Per esempio, i pellegrini di lingua ita-

liana si radunarono nella chiesa di St. Paolo fuori le mura e fu presieduta da mons. Roberto

Carraro, vescovo di Verona, che ha sottolineato il grande coraggio di Comboni nell’accettare un

così enorme territorio ancora inesplorato, con tante incognite sia per la popolazione come per la

salute.

Significativa, nel gruppo di lingua tedesca, la presenza del card. Walter Casper, ora Prefetto

del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. La sua presenza si spiega

perché era stato vescovo della diocesi di Rottenburg-Stuggart alla quale appartengono le

comunità di Ellwangen dei nostri confratelli tedeschi.

Nel suo discorso focalizzò le sofferenze del Comboni e la sua testimonianza per i cristiani di oggi:

“Daniele Comboni fu afferrato da Gesù Cristo, fu persuaso da Gesù Cristo, fu preso da Gesù

Cristo per il Suo servizio e da e con Gesù Cristo si lasciò mettere ai piedi della Croce. Questa è

la teologia e la spiritualità della Croce. Combomi, il profeta è stato allo stesso tempo un

martire, un buon pastore che nella sequela di Cristo volle donare la sua vita per i suoi. Per

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questo non indietreggiò di fronte a nulla e a nessuno.

Questo nuovo santo ci deve svegliare e scuotere da un cristianesimo diventato sempre più

borghese, che evita la Croce, schiva il sacrificio e si scoraggia in fretta quando sorgono

difficoltà. Se il chicco di frumento non cade in terra e non muore, non porta frutto”.

5 Ottobre – Canonizzazione

Questo è il giorno che ha fatto il Signore

PIAZZA S. PIETRO.

La sensazione visiva più evidente riguarda proprio i colori che vengono ad interrompere il

grigiore mattutino della piazza: il nero e il giallo della pelle dei popoli africani e asiatici, nei loro

multicolori costumi tradizionali. Ci sono 1'Africa, l’America, l’Europa e la Cina stamani in Piazza

San Pietro. E lo raccontano gli arazzi sui quali sono impresse le figure dei tre nuovi santi: il

volto di Daniele Comboni è come accarezzato dal profilo della sua amata terra d'Africa, Arnold

Janssen tiene tra le mani, all'altezza del cuore, la bibbia e la mostra con fierezza, Joseph

Freinademetz aggrappato alla Croce, indossa le vesti tipiche del popolo cinese.

Le balconate, sorrette dalle colonne del Bernini, ospitano compagnie televisive da tutto il mondo.

La Santa Messa ha inizio alle ore 10. Il canto d'ingresso fa subito sentire 1'alto "respiro

missionario" di questa giornata: "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro

Dio". Di grande intensità è il rito della canonizzazione.

Il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi,

accompagnato dai postulatori (P. Arnaldo Baritussio per Comboni e P. Giancarlo Girardi per

Janssen e Freinademetz), si reca dinanzi al Santo Padre, gli chiede di procedere alla

canonizzazione dei tre Beati e legge una breve biografia di ciascuno di loro.

NELLA BASILICA. Formula di canonizzazione

Dopo il canto delle litanie il Papa pronuncia la formula della canonizzazione:

"Ad onore della Santissima Trinità, per 1'esaltazione della fede cattolica e 1'incremento della

vita cristiana, con 1'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e

Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte 1'aiuto divino e ascoltato il parere

di molti Nostri Fratelli nell'Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Daniele Comboni,

Arnold Janssen e Josef Freinademetz e li iscriviamo nell'Albo dei santi e stabiliamo che in tutta

la Chiesa essi siano devotamente onorati tra i Santi. Nel nome del Padre e del Figlio e dello

Spirito Santo".

Poi aggiunge:

Quanto abbiamo decretato nella presente Lettera, vogliamo che d'ora in poi come in futuro sia

ratificato e tenuto per certo, nonostante qualsiasi opinione contraria.

Dato presso San Pietro, il giorno 5 del mese di ottobre, nell'anno del Signore 2003, 25° del

Nostro Pontificato.

Le reliquie dei nuovi santi sono collocate accanto all'altare. Quella di San Daniele Comboni viene

portata da Madre Adele Brambilla, Superiora Generale delle Suore Missionarie Comboniane.

La processione offertoriale è accompagnata da un gruppo di danzatori dell'arcidiocesi di

Khartoum in Sudan con i loro travolgenti e gioiosi ritmi. Oltre al pane e al vino per il Sacrificio

Eucaristico, sono presentati al Papa i doni delle tre postulazioni. Quella di San Daniele Comboni

presenta una scultura africana, un calice, una patena e un ostensorio.

A1 canto dell'Amen della Dossologia, prima del Pater Noster, ha luogo il rito liturgico Arati, secondo

le modalità della cultura indiana. Il coro indiano esegue il canto “Aradhana Ho” dedicato alla

Santissima Trinità, mentre alcune danzatrici eseguono la tradizionale coreografia religiosa.

In piazza San Pietro ci sono tantissime persone legate, anche personalmente, ai tre nuovi

santi. Sono presenti, in particolare, i familiari: tra loro, la signora Rosangela Comboni,

pronipote del nuovo santo, e la signora Maria Comboni Kopianska, anch'essa discendente della

famiglia e oggi residente negli USA.

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Omelia del Papa

"Predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Con queste parole il Risorto, prima dell'Ascen-

sione, affidò agli Apostoli 1'universale mandato missionario. Subito dopo, li assicurò che in tale

impegnativa missione avrebbero potuto contare sulla sua costante assistenza (cfr: Mc 16,20).

Queste stesse parole sono risuonate, in modo eloquente, nell'odierna solenne celebrazione.

Esse costituiscono il messaggio che ci rinnovano questi tre nuovi Santi.

Passando poi all’Evangelizzazione cioè alla ragione comune della loro santità, espressa in

maniera differente secondo il loro carisma personale.

Del Comboni disse:

"Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore". Il salmo responsoriale, che poc'anzi abbiamo

cantato, sottolinea 1'urgenza della missione “ad gentes” anche in questi nostri tempi. Sono

necessari evangelizzatori dall'entusiasmo e dalla passione apostolica del vescovo Daniele

Coanboni, apostolo di Cristo tra gli Africani. Egli impegnò le risorse della sua ricca personalità e

della sua solida spiritualità per far conoscere ed accogliere Cristo in Africa, continente che

amava profondamente.

Come non volgere, anche quest'oggi, lo sguardo con affetto e preoccupazione a quelle care

popolazioni? Terra ricca di risorse umane e spirituali, 1'Africa continua ad essere segnata da

tante difficoltà e problemi. Possa la comunità internazionale aiutarla attivamente a costruire un

futuro di speranza. Affido questo mio appello all'intercessione di san Daniele Comboni, insigne

evangelizzatore e protettore del Continente Nero.

6 OTTOBRE

Messa di ringraziamento e udienza del Santo Padre

Messa di ringraziamento

In S. Pietro si rinnova la festosità del giorno prima, dovuta soprattutto ai canti, anche in arabo, dei

Sudanesi pieni di entusiasmo per il Comboni, come diceva il card. Gabriel Zubeir Wako, Arci-

vescovo: “Il Sudan è talmente legato al Comboni che chi dice Sudan dice Comboni e viceversa”.

Lancia ai missionari l’appello: “Portate Cristo, perché è di Lui che il popolo africano ha bisogno”

Un gruppo di pellegrini dall'America Latina, prima della benedizione finale, presenta un'icona

della Madonna mentre P. Teresino Serra, Superiore Generale dei Comboniani, legge la

preghiera di affidamento a Maria di tutta la Famiglia Comboniana usando la formula scritta da

Comboni e adattata alla circostanza.

b. Udienza del Santo Padre

Ecco quanto disse ai Comboniani:

“Saluto tutti voi, cari Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, che proseguite 1'azione

apostolica di San Daniele Comboni. Egli viene giustamente annoverato fra i promotori del

movimento missionario che ebbe nella Chiesa del diciannovesimo secolo uno straordinario

risveglio. In particolare, saluto il Superiore Generale recentemente eletto. P. Teresino Serra, e

i religiosi partecipanti al Capitolo Generale. Auspico che le riflessioni e le indicazioni scaturite

da11'assemblea capitolare infondano un rinnovato slancio missionario al vostro Istituto.

Saluto poi voi, care Suore Missionarie Comboniane Pie Madri della Nigrizia, e voi, care Secolari

Missionarie Comboniane e cari Laici Missionari Comboniani, che vi ispirate al carisma di San

Daniele Comboni”.

Iddio renda fruttuosa ogni vostra iniziativa, sempre tesa a diffondere il Vangelo della speranza.

Benedica, inoltre, g1i sforzi che compite nel1'ambito della promozione umana, specialmente a

favore della gioventù. A questo riguardo, auspico vivamente che sia ripreso e portato a compimen-

to il progetto di fondare un'Università Cattolica in Sudan, terra cara al Comboni. Sono certo che

una così importante istituzione culturale renderà un qualificato servizio all'intera società sudanese.

CELEBRAZIONI FUORI ROMA

Come dopo la Beatificazione vi furono molte celebrazioni, così dopo la Canonizzazione.

Le più significative furono a Verona, Brescia, Limone.

In Africa (il Cairo, Medina, Asswan, Alessandra, Khartoum), con una solenne S. Messa.

Vi furono altre ceronie di ringraziamento sia per la canonizzazione come per la nomina a Cardinale

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del settimo successore del Comboni, sua Eminenza Gabriele Zubeir Wako, che tenne una molto

interessante omelia indirizzata soprattutto ai sacerdoti, ai religiosi ed a tutti i Sudanesi:

“Mi rivolgo a voi giovani. Vi ho detto che siamo nel millennio dei giovani; il millennio di coloro

che guardano al futuro, che vogliono costruire il futuro, non un futuro qualsiasi, ma un futuro

per 1'Africa, un futuro dove ci sia pace, riconciliazione e santità.

Questo è il tipo di futuro che abbiamo fortemente desiderato e oggi noi stiamo celebrando

1'uomo che davanti al mondo intero ha dichiarato che era possibile e necessario che 1'Africa

fosse riconosciuta come una terra di pace, di amore, la terra di Gesù Cristo.

Al tempo del Comboni, i libri di geografia illustravano 1'Africa come la terra di animali selvaggi

e gli Europei pensavano che gli Africani non fossero persone umane. È stato Comboni a dire

loro che anche gli africani sono figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza e che anche

per loro Gesù Cristo è morto sulla Croce.

Il Cuore di Gesù, allora come oggi, batte d'amore per 1'Africa perché qui c'è una moltitudine di

poveri e bisognosi. Così Comboni ha fatto suo il compito di portare avanti 1'opera di salvezza

dell'Africa iniziata da Cristo e di rivelare agli Africani il Cuore di Gesù. Con questa festa vogliamo

dire: grazie Comboni e grazie Signore per averci mandato Comboni. Vogliamo tradurre il nostro

grazie in qualche cosa di nuovo: la speranza e il lavoro di Comboni erano tutti per una nuova

Africa, un'Africa rinnovata e questo è possibile solamente attraverso tutti noi, anziani e giovani,

tutti noi vogliamo costruire quell'Africa che Comboni desiderava. Ma se vogliamo che questa Africa

esista, é necessario far conoscere Cristo attraverso tutto il suo territorio; senza Cristo 1'Africa non

può progredire, perché la salvezza è solo in Gesù Cristo e se questa è la nostra fede allora

dobbiamo indirizzare tutti i nostri sforzi a conoscere Gesù e a farlo conoscere ai nostri fratelli e

sorelle. Gesù Cristo è il solo che può risolvere i problemi attuali nell’Africa e nel Sudan.

Poi ha proclamato un anno comboniano invitando tutti, missionari/e, sacerdoti, suore e laici a

conoscere di più la santità e l’eroismo del Comboni. Mettendo bene a fuoco che Comboni ha

messo in programma anche la promozione e il progresso dei popoli africani, aggiunse:

“Comboni diceva-Salvare l’Africa con gli Africani- io vi dico –salvate il Sudan-“

Interessante il suo invito ai laici:

“Il futuro della Chiesa è nelle mani dei laici. Questo millennio sarà il vostro millennio insieme

con i giovani nella Chiesa, nella politica, nel governo. Dovete essere fedeli alla vostra fede e

agli insegnamenti cristiani. Questo è quello che vogliamo per poter crescere nella nostra fede.

Dobbiamo capire che ogni sbaglio nelle nostre vite che noi sempre giustifichiamo come parte

della nostra umanità, è i1 tipo di umanità che crocifisse Gesù. Non possiamo rinnovarci, non

possiamo avere vocazioni se non viviamo una vita che abbia un significato. Immaginatevi cosa

accadrebbe se veramente fossimo capaci di vivere una felice e realizzata vita di consacrazione.

Dobbiamo lavorare per le vocazioni. Prendiamo 1'esempio di Comboni. Vi sto parlando di

vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.

FATTI SALIENTI CONNESSI CON L’ISTITUTO

COMLA - CAM

Historia de los COMLAs

Que es un COMLA?

Es un Congreso Misionero Latinoamericano que espresa y celebra la vida y las iniciativas misio-

neras de todas nuestras iglesias y de todas nuestras comunidades. Es un paso importante que ha

estimulado el camino misionero del América Latina, “Continente de la Esperanza” (Juan Pablo II).

Como nacieron los COMLAs?

Inspirados y promovidos por las Obras Misionales Pontificias, fueron organizados conjuntamente

por la Conferencia Episcopales con la partecipaciòn corresponsable de la Iglesias particulares y

todos los organismos y fuerzas misioneras.

Tuvieron su origen en Mexìco en 1977. La presencia del cardenal angelo Rossi, Prefecto de la

Congrecaciòn para la Evangelizaciòn de los Pueblos, y de las delegaciones de los paìses de

América Latina, le dieron a ese Congreso el càracter de continental convirtiéndose en el Primer

Congreso Misionero de América Latina y paìses del Caribe.

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Quales son los fines de los COMLAs?

Profundizar la responsabilidad misionera de las Iglesias particulares antiguas y nuevas,

intensificando el servicio mutuo entre ellas y desde éstas, proyectarse màs allà de sus proprias

fronteras « ad gentes ».

Coordinar en el àmbito continental las iniciativas y actividades misioneras a ser realizadas màs

allà de nuestras fronteras.

Asumir corresponsablemente la misiòn evangelizadora de la Iglesia en todos los tiempos,

situaciones en todo el mundo « dando desde nuestra pobreza » (DP368) a través de la

preparaciòn y envìo de misioneros.

Motivar prioridades y asumir compromisos de animaciòn, formaciòn y organizaciòn misionera.

Argentina como sede del COMLA 6 – CAM 1

Los Obispos presidentes de las Comisiones Episcopales des Misiones adoptaron el sistema de

votaciòn personal y hecha la votaciòn secreta, el resultado fue el siguiente: Argentina 13

preferencias, ecuador 12 preferencias.

Los representantes de Argentina agradecieron la designaciòn y se compromitieron a asumir la

organizaciòn del COMLA 6.

VI Congreso Misionero Latinoamericano

I Congreso Americano Misionero - 28 septiembre – 3 octubre 1999

CONCLUSIONES

Experiencia de Cristo.

Profundizar la propia experiencia de encuentro con Cristo, comulgando con sus sentimientos y

actitudes, fortaleciendo la identidad humano-cristiana, para favorecer el encuentro con el otro.

Formaciòn.

Impulsar la formaciòn y animaciòn misionera para todos, y en todos los niveles, specialmente

en los seminarios, institutos, parroquias y casas de formaciòn. Incorporar la dimensiòn

misionera en toda la catequesis.

Iglesia local: estructuras para la misiòn.

Favorecer y articular las estructuras de animaciòn, formaciòn, acompaňamiento y

sostenimiento de todas las vocaciones misioneras « ad Gentes » (ad intra y ad extra).

Revisar, actualizar y dar a conocer las OMP, de manera que favorezcan su inserciòn en la

pastoral de conjunto de la Iglesia local; para un mayor diàlogo y mejor comuniòn entre los

distintos responsables de la tarea misionera.

Anuncio del kerigma.

Despertar un ardor misioneros que, inspirado alla mistica de las primeras comunidades cristianas;

anuncie con audacia que Cristo ha muerto y resucidado y està vivo con nosotros (Kerigma).

Misiòn ad gentes.

Promover que la iglesia local el su consunto, a partir de sus pastores, asuma la responsabilidad

misionera ad gentes, de manera que la animaciòn misionera sea eje trasversal de toda

actividad evangelizadora.

Globalizaciòn.

Aprovecar las posibilidades de la globalizaciòn (MCS, Internet, trasportes) para que las iglesias

locales se abran a la universalidad, favoreciendo la creaciòn de fuentes de intercambio entre ellas.

En respuestas al aumento de personas y grupos excluidos, fortalecer y promover los valores y

riquezas de la cultura de cada pueblo, a partir del respeto por la dignidad de cada persona

humana, imagen de Dios.

Medios de comunicaciòn social.

Teniendo en cuenta a los destinatarios, creyentes y no creyentes, de la evangelizaciòn, promover y

apoyar los MCS, invirtiendo recursos en capacitaciòn; Concientizaciòn y infraestructuras.

Diàlogo écumenico y interreligioso.

Favorecer y acrecentar en las Iglesias locales esperiencias conjuntas con otras confessiones

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cristianas y religiones: oraciòn comùn, promociòn de la dignidad humana, valores fundamentales.

Opciòn preferencial por los pobres.

Impulsar en la Iglesia americana estructuras de solidaridad para responder, con clara opciòn, a

los làzaros de nuestro tiempo.

Pastoral urbana.

Asumir como prioridad la misiòn a los grandes centros urbanos, mediante una pastoral

encarnada en las distintas realidades: pequeňas comunidades, promociòn de los ministerios

laicales, celebraciones festivas, llegando a los sectores màs alejados.

Pastoral orgànica.

Vivir la misiòn como una esquela de comuniòn y partecipaciòn, poniendo en comùn los dones

recibidas segùn las distinctas vocaciones (laicos – individualmente o en familia -,

consagrados/as, ministros ordenados) de manera que la colaboraciòn entre los dieferentes

miembros abra a un impulso misionero renovado.

Promover la planificaciòn de la pastoral orgànica, en un proceso participativo que integre a

todos los bautizados.

Concientizar sobre la importancia del diàlogo como elemento constitutivo de la misiòn de la Iglesia,

promoviendo una mentalidad abierta y un espìritu dialogante, desde la pastoral del conjunto.

Liturgia.

Favorecer la reflexiòn y la praxis que permita a las Iglesias particulares celebrar y vivir una

liturgia profundamente inculturada.

La mujer.

Abrir espacios para la partecipaciòn activa de la mujer en la reflexiòn, en la toma de decisiones

pastorales, y en la vida de la Iglesia.

Los niňas.

Promuover dentro de la Iglesia local y universal la Infancia misionera y otras iniciativas que

buscan impulsar en los niňos desde pequeňos la participaciòn en la misiòn de la Iglesia.

Iglesias hermanas.

Concientizar sobre la corresponsabilidad de la Iglesia local hacia la Iglesia universal y

promover la cooperaciòn y intercambio misionero entre las diòcesis, utilizzando la

comunicaciòn de bienes (material, clero, consagrados, laicos y medios de comunicaciòn social).

Maria.

Contando con el ausilio de Maria caminamos hacia un nuevo despertar de la conciencia misionera

de nuestra Iglesia americana. Ella nos acompaňa en este impulso de cunverciòn, comuniòn, y

solidaridad, mientras nos repite el llamado del Hijo: América, con Cristo, sal de tu tierra.

Beatificazione di Daudi Okelo e Jildo Irwa

La storia

Il luogo è una cappella catechistica di Paimol della missione di Kitgum, staccata da Gulu, mel

1915. Etnia Acholi nel Nord Uganda, confinante al nord con il Sud Sudan. La data: domenica

18 ottobre 1918. Paimol o Wi Polo è oggi cappella della Missione di Kalongo.

I protagonisti:

Davide Okelo, detto "Daudi", era nato forse nel 1902 nel villaggio di Ogom-Payira a nord-ovest

di Kitgum, da genitori pagani. A circa 14 anni ricevette il Battesimo e poi la Cresima un paio di

anni prima del martirio, che egli subì intorno ai suoi sedici-diciotto anni. Questo, diciamo

secondo un computo assai relativo fornito dal padre al momento della registrazione anagrafica.

Di buoni costumi, a detta di tutti gli intervistati, pare che a Davide fosse stato promesso il

matrimonio con una ragazza del luogo. Anche lei frequentava il corso catecumenale, che però

aveva lasciato all'improvviso perché affetta da pulci penetranti.

Daudi era entrato in catecumenato per imitare il fratello Antonio, il quale era stato anch'egli

catechista ed era prematuramente scomparso forse di fame e stenti o di malaria. Una volta

ricevuto il battesimo Daudi si offrì di sostituirlo.

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Assai più giovane, addirittura dodicenne al martirio, era 1'altro catechista, Gildo (Ermenegildo)

Irwa, nato nel villaggio di Bar Kitoba-Labongo anch'esso a nord-ovest di Kitgum, forse nel

1906, da genitori pagani, dei quali solo il padre riceverà il Battesimo nel 1952.

Battezzato e poi pure confermato nel 1916, anche di Gildo non viene detto altro che ogni bene

possibile. Il missionario che lo battezzò aveva la fondata e bell'ipotesi che egli non abbia mai

perso la grazia battesimale.

La situazione della zona di Paimol era difficile, infatti:

-la nuova presenza del colonialismo inglese che appoggiava i protestanti, ingenerò facilmente

che la religione cristiana era strumento di penetrazione dei colonialisti.

-I missionari, con l’intenzione di creare un certo gruppo di fedeli, ridussero il catecumenato da

quattro a due anni. Ciò allarmò gli stregoni che approfittarono della siccità, della spagnola e di

un certo tipo di Sifilide importata dagli Arabi, per dare la colpa alle novità dall’estero.

-In tale clima, qualche particolare intervento dell’autorità coloniale trovava irragionevole

opposizione di gruppi di ribelli, gli Adwi che diventarono alleati degli Abas, predatori di origine

musulmana provenienti dall’ Abissinia.

Padre Cesare Gambaretto pensò di rimpiazzare il catechista Antonio.

Daudi Okelo si offrì e Jildo Irwa pensò di andare con lui: erano completamente liberi.

E’ commovente ed eloquente quanto riferisce P. Gambaretto, il parroco. "Dunque siete disposti ad

andare a Paimol? Sapete bene che la gente di quel paese è cattiva e tu Gildo sei tanto piccolo!";

"Davide però è grande - rispose - e noi staremo insieme"; "Ma se vi ammazzeranno?"- "Andremo

in paradiso"; "C'è già anche Antonio - soggiunse Davide - io non temo la morte. Gesù non è morto

per noi?" - "Io, commenta il parroco, ero commosso, quasi presentivo qualche cosa, ma mi scosse

Gildo: "Padre, non temere. Gesù e Maria sono con noi"

Segni di santità, atteggiamento nobile ed equilibrato: infatti i testi sono categorici nel dire

che i due catechisti erano unicamente intenti al loro servizio: "Morirono nell'adempimento

esatto del loro insegnamento".

-Dono della fortezza: invitati a fuggire per il pericolo di violenze, rispondevano all'amico

Bonifacio:

«Abbiamo lavorato nella stessa opera; se è necessario morire, bisogna che moriamo

insieme».

«Queste sono sofferenze connesse con la religione, il Signore ci aiuterà in esse».

-Carità e reiterata volontà di fedeltà: "Io sono venuto soltanto per insegnare la Verità della

religione" affermava Davide

- Volontaria accettazione della morte: un uccisore ha testimoniato: "Non scapparono di fronte

alla morte" (S,41); di possibilità di fuggire ne avevano avute nei due giorni precedenti. E

Gildo, visto Davide ormai morto, esclamò: "Voi che avete ucciso Davide, perché catechista,

perché lasciate stare me? Uccidete anche me”. Essi lo presero e uccisero anche lui.

Una morte dunque, quella di Davide e Gildo, inflitta per la loro condizione di catechisti ed

accettata volontariamente, non per sconsideratezza umana o per atto provocatorio, ma con

una motivazione di fede. Il P. Gambaretto, loro parroco che li aveva mandati a Paimol, ha

scritto: "Ritornai nella capanna, presi il catechismo, libretti e rosario. Uscii, li consegnai ai

due giovani inginocchiati sotto la veranda, li benedissi, recitammo insieme un'Ave Maria e

partirono"; andarono verso la morte martiriale.

Alla violenza degli assalitori avevano opposto la propria innocenza, 1'affermazione del

proprio esclusivo operato di catechisti e la fedeltà e fermezza nel compimento della propria

missione.

Dato che qualche missionario pensava e pensa che la ragione fu solo quella che cooperavano

con i colonialisti perché nel catecumenato avevano imparato a leggere e scrivere, aggiungo il

giudizio di un teologo che diede il suo voto per la beatificazione.

“A mio avviso pertanto risultano determinanti per fondare 1'odium fidei 1'opinione delle

persone (i testi), la presenza di forze avverse alla religione introdottesi nella sommossa e il

riconosciuto carattere religioso del servizio e della collaborazione di Davide e Gildo; 1'aspetto

non religioso e quello politico non mancano nella vicenda, ma ciò diventa secondario nella

fattispecie in esame”.

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- La Positivo, testo che espone i fatti e le virtù, così organizza e prova il martirio formale da

parte del persecutore:

a) Davide e Gildo sono stati cercati come e perché catechisti (S, 14, 26, 30, 33, 47, 62); b) non

potevano essere cercati dagli assalitori che come catechisti (S, 14, 77, 25, 16, 40); c) sono stati

invitati a lasciare il loro servizio di catechisti (S, 77, 84-85); d) la sommossa a Paimol era stata

organizzata dagli Adwi, componente locale violenta e con tendenze antireligiose, e dagli Abas

mussulmani (con turbante); e non mancava 1'influsso degli stregoni tradizionali manipolatori del

sacro (I, 80-92), che contrastavano 1'avanzare del cristianesimo.

Giustamente P. Albertini, uno degli interroganti nella escussione dei testi del 1952-53 ha

scritto: “Anche negli avvenimenti di Paimol i numerosi testimoni assicurano: a) che ci fu una

violenta azione per sradicare quello che era straniero (governo e religione); b) che Davide e

Gildo, di condotta intemerata e volontariamente dediti alla evangelizzazione della zona

consapevoli del pericolo, restarono sul posto; c) che furono messi a morte perché catechisti

(I, 93; S, 194).

I punti deboli in tutta la narrazione, sono stati tutti chiariti da Padre Marchetti che, nel 1996,

riesumò la causa ferma dal 1953 e dal Postulatore, Padre Arnaldo Baritussio, che prese a

cuore la causa.

I fautori della tesi dell'assassinio a sfondo politico dimenticavano che 1'odium fidei raramente

esiste allo "stato puro" nella storia dei martiri e che esso inevitabilmente è associato al le

ideologie filosofiche e politiche; si tratta di operare il giusto discernimento per fare emergere

la verità dell'odium fidei; - comunque va riconosciuta la serietà de11a presente Positio che

ha documentato i fatti, ha chiarito i problemi, ha spiegato le lacune ed ha messo i Consultori

Teologi in condizione di dare un giudizio motivato sul martirio e la fama di martirio dei Servi

di Dio Davide Okelo e Gildo Irwa.

Il martirio cruento

I due giovani partirono per Paimol con il catechismo, il rosario e qualche loro indumento. Padre

Gambaretto li fece accompagnare da un catechista adulto, Bonifazio Okot, il quale li presentò alle

autorità locali: Ogal, il capo dei soldati del deposto capo Lakidi e la gente del villaggio li accolse.

Ogal offrì loro una capanna nel suo cortile ed offrì loro abbondante cibo.

I due giovani, appena possibile, radunarono un gruppo di ragazzi che volevano imparare la

vera religione. Incominciarono a insegnar loro il catechismo. Per parecchi mesi lavorarono con

tranquillità, poi incominciò un periodo molto agitato. Paura e superstizioni trionfarono.

Il giorno del martirio: il 18 ottobre 1918.

I due giovani furono ammoniti ma non fuggirono. La notte del 18, si chiusero nella capanna un

po’ trepidanti.

Il martirio materiale dei Servi di Dio Davide e Gildo é documentato con solida certezza; ne

conosciamo:

il contesto prossimo degli ultimi due giorni, non privi di sospetti segni premonitori: le ultime

ore le hanno passate da soli nella capanna (I, 56-57; S, 33);

il contesto immediato, con 1'assalto degli assassini nella semioscurità del primissimo mattino:

sono afferrati e portati fuori dai recinti del villaggio e vengono uccisi (I, 57-58; S, 10, 14, 26,

70, 127-128);

i testi oculari dell'eccidio: ci sono due testi oculari, uno il catecumeno Onorio e 1'altro

1'uccisore stesso di Gildo, Opio (I, 57-59; S, 9, 39, 56);

gli uccisori materiali: almeno quattro degli assalitori si diressero verso la capanna dei catechisti per

ucciderli; Davide fu ucciso da Okidi e Gildo da Opio (I, 59-61; S, 10, 14, 24, 85);

i mandanti: sono identificati nei due personaggi chiamati Lakidi e Ogal, collegati con gli Adwi,

tutti ostili alla religione cristiana (I, 61; S, 13, 40, 158);

la sequenza dell 'uccisione: prima è abbattuto Davide e poi Gildo, anche se questo ha

ricevuto un primo colpo non letale e alla fine un colpo di coltello al collo che gli lasciò 1a

testa a penzoloni (I, 62; S, 14, 40, 162);

gli strumenti utilizzati: tutti i testi parlano di colpi di lancia (I, 62-63; S, 10, 34, 71, 119, 145);

la localizzazione dei colpi inferti con la lancia: sotto 1'ascella per Davide e al petto e alla schiena

per Gi1do. Non si escludono altri colpi, ma uccisore era considerato il primo che colpiva (I, 63; S,

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58};

il luogo dell'uccisione: fuori dal villaggio di Muto del sottocapo Ogal; secondo la tradizione

acholi 1'ospite era sacro e ucciderlo nel proprio recinto portava all'uccisore grandi disgrazie

(I, 6364; I, 57, 70);

la determinazione del tempo: è specificata con "molto presto, a11'albeggiare"; "i galli

avevano cantato solo due volte" quindi, in linguaggio africano, siamo fra le 3.30 e la 4.00 del

mattino (I, 64; S, 69);

la determinazione del giorno: il 19 ottobre 1918, un lunedì (I, 64-67; S, 33, 37, 89);

le salme: identificate da più testimoni, sono più tardi trascinate sopra un termitaio spento,

ubicato vicino al posto dell'uccisione (I, 67; S, 71); esse restarono scoperte per molte ore.

Pertanto resta ampiamente provato che i due catechisti Davide e Gildo furono uccisi, anche

se le testimonianze parlano concretamente di un solo corpo sommariamente sepolto (quello

di Davide); quello di Gildo fu quasi distrutto, verosimilmente da animali di rapina (I, 106).

Il voto della commissione teologica fu unanime. Dato che il martirio è già miracolo di fede

per se stesso, non sono necessari altri miracoli.

VEGLIA DI PREGHIERA 19-10-2002

1. In preparazione al giorno della proclamazione vi fu una veglia di preghiera dalle 20.30 in

poi, in diverse Chiese di Roma per differenti lingue. In lingua italiana la veglia fu fatta nella

Chiesa di san Giovanni dei Fiorentini, in via Giulia.

La preghiera fu guidata da Mons. J.B. Odama, e da Sacerdoti Acholi che conoscevano bene

l’Italiano.

La cerimonia cominciò col richiamare l’opera dei missionari Comboniani che hanno portato il

messaggio Evangelico al quale anche i due martiri, Daudi e Jildo aderirono fino al martirio.

Mentre ne leggevano i nomi avanzavano i quadri con le foto dei primi missionari Comboniani

che hanno fondato e lavorato a Kitgum in quegli anni: Padre Antonio Vignato (+1954); P.

Giuseppe Beduschi (+1924); P. Cesare Gambaretto (+1967); P. Giovanni Battista Pedrana

(+1967). Dopo l’arrivo un lettore citava un passo dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale di

Giovanni Paolo II in “Ecclesia in Africa”.

2. Il Sinodo per l’Africa, ha degnamente assolto questo debito di riconoscenza in occasione della

sua prima Congregazione generale, quando ha dichiarato: “E’ il caso qui di rendere un vibrante

omaggio ai missionari, uomini e donne di tutti gli Istituti religiosi e secolari, e a tutti i paesi che, nel

corso dei 2000 anni circa di evangelizzazione del continente africano […] si sono dedicati

intensamente a trasmettere la fiamma della fede cristiana […]. Ecco perché noi, felici eredi di

questa meravigliosa avventura vogliamo rendere grazie a Dio in questa solenne circostanza”.

Nel messaggio finale del Sinodo, i Vescovi africani hanno riconosciuto poi il ruolo fondamentale

dei catechisti quali indispensabili collaboratori dei missionari.

3. Racconto del martirio.

Innanzitutto i lettori citano una lettera di P. Vignato che scrivendo da Kalongo, futura missione

di Paimol, distaccata da Kitgum, dice: “questa nuova missione sarà dedicata ai 22 martiri

d’Uganda, per ricordare, con questi, anche i nostri due indimenticabili Jildo e Daudi, i quali

furono uccisi per la sola ragione di trovarsi a Paimol come catechisti della nostra santa

religione al tempo della sanguinosa rivolta.”

Poi descrive l’ambiente dei giorni del martirio “l’apostolato missionario stava incontrando

numerose difficoltà. Nell’ambito religioso, gli stregoni vedevano nella nuova religione la causa

di tutte le disgrazie del momento. A questi si era aggiunta anche la presenza di gruppi

mussulmani che, con l’insediarsi della nuova religione, vedevano compromessa la loro sete di

oro bianco (avorio) e nero (schiavi). Nell’ambito civile poi, particolarmente a Paimol, rivoltosi

locali, insofferenti del dominio inglese, cercavano di liberarsi dal giogo straniero eliminando

quanti collaboravano con il bianco. Per raggiungere i loro fini confondevano le persone facendo

loro credere che non c’era alcuna differenza tra il bianco inglese (munu negreza), i razziatori

dalla pelle chiara (munu jadia) e i missionari (munu kharatumi).”

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(I missionari erano chiamati così perché i primi che arrivarono in Uganda appartenevano al

Vicariato Apostolico di Khartoum (Sudan). Però giù nel 1913 le missioni in Uganda,

dipendevano dal Vicariato Apostolico di Wau (Sudan).

La gente però in cuor suo cominciava a capire e a distinguere chi li ingannava e chi li

difendeva, anche se non poteva impedire l’aumentare della tensione.

Le letture poi richiamano agli educatori dei giovani africani l’esempio dei martiri Daudi e Jildo,

come giovani che hanno generosamente donato il meglio di sé, invitando la Chiesa e la società

ad educare la moltitudine dei giovani che anelano a un futuro in cui per tutti ci sia la possibilità

di prepararsi convenientemente agli impegni della vita e spingono la stessa Chiesa e società

ugandesi a farsi promotori di un’azione che spezzi la spirale delle continue violenze, ricrei la

fiducia tra le parti sociali e riporti un clima di sicurezza tra le persone.

4. Si ricordano i 64 catechisti Acholi uccisi durante la ribellione ancora viva da 17 anni. Mentre

molta gente era fuggita per paura dei ribelli, i catechisti rimasero a conforto della gente, nei

dispersi villaggi. Vicino all’altare era disegnata una croce. Mentre i lettori leggevano i nomi dei

catechisti, i fedeli presenti mettevano all’interno della Croce un lumino: alla fine la Croce era

piena di luce. Un lettore:

“Daudi e Jildo subirono una morte violenta inferta loro con lance e lame di coltello perché, come

catechisti, erano impegnati nell’insegnamento della religione. Da loro, la morte fu accettata con

fede e serenità nella consapevolezza di partecipare alla morte e risurrezione di Cristo. Un

comportamento di prudenza umana avrebbe dovuto suggerire la fuga; tuttavia, lo slancio di Daudi

e Jildo è spiegabile alla luce della generosità tipica di questi giovani e dal desiderio di testimoniare

Cristo. La loro morte ha portato la fede cristiana non solo a Paimol, ma a tutto il popolo Acholi.”

La liturgia si chiude con la preghiera liturgica dei martiri.

Celebrazione in Piazza s. Pietro

20 ottobre 2006 – Giornata Missionaria Mondiale

LA PIAZZA ERA UN TRIPUDIO DI MOVIMENTI E DI GIOIA.

Oltre all’arazzo dei due martiri, vi erano altri quattro per altrettanti futuri Beati.

L’arazzo dei nostri due martiri troneggiava in mezzo, sulla facciata di S. Pietro, circondati da

due a destra e altri due a sinistra.

Un maestro Acholi folgorato da tale spettacolo esclamò: “Ma guarda cosa succede: due giovani

vissuti e uccisi in un villaggio sperduto in una grande savana del primitivo Nord Uganda, eccoli

là da trionfatori di fronte a migliaia di pellegrini e visti da tutto il mondo attraverso la TV. E il

Papa si occupa di loro. Solo nella Chiesa Cattolica, possono succedere questi avvenimenti

straordinari e rarissimi.”

Vi era anche il folklore dei ballerini Acholi con la pelli di leopardo lungo la schiena e le penne

bianche di struzzo sul capo, i sonagli ai piedi, il tamburello africano che, mentre in cerchio si

muovevano, battevano e cantavano. Donne intorno che danzavano al ritmo dei tamburi ed

emettevano il loro grido tradizionale di gioia.

I pellegrini comboniani si distinguevano con il foulard crema, mentre i pellegrini degli altri

quattro beatificandi, avevano differenti segni ben visibili.

LA PROCLAMAZIONE

L’introito di gioia universale “Jubilate Deo omnis terra” aprì la cerimonia e dopo il Kyrie, fece

seguito la domanda al Santo Padre per la proclamazione di rito. A nome dei rispettivi Vescovi

delle altre Diocesi e dei loro Postulatori S.E. Mons. John Baptist Odama, Arcivescovo di Gulu,

lesse la domanda alla quale il Santo Padre rispose con la formula di Beatificazione. Presenti alla

cerimonia il Cardinal Emmanuele Wamala, Arcivescovo di Kampala, con altri cinque Vescovi,

con il Nunzio Apostolico dell’Uganda, più molti sacerdoti e suore anche ugandesi.

“Noi, accogliendo il desiderio dei Nostri Fratelli, John Baptist Odama, Arcivescovo di Gulu,

Paolo Magnani, Vescovo di Treviso, Severino Card. Poletto, arcivescovo di Torino, Giacomo

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Barbino, Vescovo di Ventimiglia-San Remo, e Antonio Mattiazzo, Arcivescovo-Vescovo di

Padova, e di molti altri Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere della

Congregazione delle Cause dei Santi, con la Nostra Autorità Apostolica concediamo che i

Venerabili Servi di Dio Daudi Okelo e Jildo Irwa, Andrea Giacinto Longhin, Marcantonio

Durando, Marie de la Passion Hélène Marie de Chappotin de Neuville e Liduina Meneguzzi d’ora

in poi siano chiamati Beati e che si possa celebrare la loro festa nei luoghi e secondo le regole

stabilite dal Diritto, ogni anno: il 20 ottobre per Daudi Okelo e Jildo Irwa, il 26 giugno per

Andrea Giacinto Longhin, il 10 dicembre per Marcantonio Durando, il 15 novembre per Marie

de la Passion Hélène Marie de Chappotin de Neuville e il 2 dicembre per Liduina Meneguzzi.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.”

Tra le autorità politiche vi era la Vice Presidente dell’Uganda, Sig.ra Speciosa Kazibwe, Ministri

e Ambasciatori pure dell’Uganda, etc..

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Dopo l’introduzione che cita il comando di Cristo agli Apostoli “andate dunque e battezzate

tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt.

28.19), il Santo Padre menziona per primi i due martiri.

“Rivolgo i miei pensieri prima di tutto ai due giovani catechisti ugandesi, Daudi Okelo e Jildo

Irwa. Questi due coraggiosi testimoni erano poco più che ragazzi quando, con fede e umiltà,

versarono il proprio sangue per Cristo e per la Sua Chiesa. Con gioioso entusiasmo per la

propria missione di insegnamento della Fede ai loro concittadini, nel 1918 andarono lontani dai

loro villaggi dove l’evangelizzazione era appena agli inizi in quella regione, che scelsero di

abbracciare la morte piuttosto che abbandonare l’area e i loro doveri di catechisti. Realmente

nella loro vita e nella loro testimonianza possiamo appurare che erano “amati da Dio ed eletti

da Lui” (cfr 1 Ts 1, 4).

Oggi Daudi e Jildo vengono offerti a tutta la comunità cristiana quali esempi di santità e virtù e

quali modelli e intercessori per i catechisti di tutto il mondo, in particolare in luoghi nei quali i

catechisti soffrono ancora per la fede, subendo a volte l’emarginazione sociale e correndo

persino rischi personali. Che la vita e la testimonianza di questi due devoti servi del Vangelo

ispirino molti uomini e molte donne in Uganda, in Africa e ovunque, a rispondere con

generosità alla chiamata ad essere catechisti, portando la conoscenza di Cristo agli altri e

rafforzando la fede di quelle comunità che hanno ricevuto di recente il Vangelo della salvezza.”

[Dall’Osservatore Romano lunedì – martedì 21-22 ottobre 2002]

4) DANZE E CANTI AFRICANI HANNO SCANDITO POI LA PROCESSIONE OFFERTORIALE.

Il canto spontaneo diceva: “Tutto è dono di Dio e a Lui deve essere restituito: il denaro i semi

di miglio, i piselli, il cotone, il tabacco, il caffè, le banane, la mucca, la capra, la gallina, le

patate (dolci), il granturco, il riso.”

Canto molto concreto, che esprime i bisogni fondamentali della vita di ogni uomo.

Differenti i concetti del coro indiano: al canto della dossologia, ha avuto luogo il rito liturgico

“arati” secondo le modalità della cultura indiana. “Con l’omaggio di fiori di diversi colori, noi ci

offriamo. Con l’omaggio della luce che disperde le tenebre, offriamo i nostri cuori. Con

l’omaggio dell’incenso che da profumo, offriamo le nostre menti”.

Mentre cantavano, offrivano simboli corrispondenti alle parole.

Con il Santo Padre, oltre ai Vescovi ugandesi e quelli delle rispettive Diocesi degli altri Beati,

moltissimi Cardinali e Vescovi hanno concelebrato.

Al termine della cerimonia, il Santo Padre ha ricordato la Giornata Missionaria Mondiale

rendendo onore ed esprimendo tanti auguri ai Missionari-e che spendono in prima linea le loro

energie a servizio di Cristo, pagando talvolta anche col Sangue la loro testimonianza. Ha

esteso quindi i Suoi auguri alle opere missionarie e a tutti coloro che, in un modo o nell’altro,

aiutano i missionari.

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Udienza del lunedi’ 21-10-2000

Come di prassi il lunedì dopo la domenica della beatificazione, un momento particolarmente

emozionante fu l’incontro in Sala Nervi, con il Santo Padre. Qui, i Bwola dancers hanno avuto

la possibilità di esibirsi davanti al Santo Padre che ha molto gradito il significato di tale gesto,

avendo ancora nella memoria la visita a Gulu del 1993.

Di nuovo il Santo Padre espresse i suoi sinceri sentimenti sui due martiri.

“Sono lieto di salutare i pellegrini provenienti dall’Uganda, accompagnati dal Cardinale

Emmanuel Wamala così come da altre parti dell’Africa e da altre regioni del mondo per

celebrare la beatificazione dei Beati Daudì Okelo e Jildo Irwa. Come abbiamo osservato ieri,

questi due giovani catechisti, sono un esempio luminoso di fedeltà a Cristo, impegno per la vita

cristiana e dedizione generosa al servizio del prossimo. Con la speranza fermamente riposta in

Dio e una profonda fede nella promessa di Gesù di essere sempre con loro, partirono per

portare la Buona Novella di salvezza ai loro concittadini, accettando pienamente le difficoltà e i

pericoli che sapevano di dover affrontare. Che la loro testimonianza serva a rafforzarvi mentre

cercate di recare una testimonianza cristiana autentica in ogni aspetto della vostra vita.

Mediante la loro intercessione, che la Chiesa sia uno strumento ancor più efficace di bontà e di

pace in Africa e nel mondo. Dio benedica l’Uganda!”

Nel commentare questi avvenimenti P. A. Baritussio, Postulatore della causa dei due martiri,

scrisse nella Famiglia Comboniana di dicembre 2002: “A nessuno è sfuggito il particolare significato

che il Papa ha voluto annettere alla Beatificazione dei due giovani catechisti. Collocati al centro

della celebrazione, per il loro proprio grado di martiri, e anche perché è stato riconosciuto il loro

generoso sacrificio: esempio di coerenza per le giovani generazioni, stimolo per una sempre

maggiore valorizzazione del servizio catechistico e richiamo forte ad operare per la pace

nell’attuale drammatica situazione del Nord-Uganda. L’Osservatore Romano, uscito con un numero

speciale, e altri mezzi d’informazione, hanno dato ampio rilievo alle figure dei due martiri.

Ci sembra che questa Causa imponga tutta una serie di riflessioni, non banali, sulla nostra

presenza missionaria. Ne cito solo tre, lasciando poi ad altri, specialmente a chi è stato presente

alla cerimonia la libertà di continuare. Anzitutto la beatificazione di Daudì e Jildo costituisce un

richiamo a verificare la nostra capacità di valorizzare gli elementi positivi che ci vengono dalla vita

di fede del popolo di Dio a cui siamo inviati; inoltre ripropone con urgenza la necessità di un

rapporto più maturo e costruttivo con la Chiesa locale e infine, in particolare per l’Uganda,

rappresenta un ulteriore monito a perseguire a tutti i livelli gli sforzi di pace iniziati e a conferire

loro, almeno da parte nostra, un’autentica profondità di contenuti spirituali”

Testimonianze

Mons. Agostino Baroni (5-10-1906 / 10-11-2001)

Mons. Baroni - ha detto Mons. Zubeir - fu un gran dono di Dio per il Sudan. Dotato di grandi

energie spirituali, educative e pastorali, le mise al servizio della chiesa sudanese senza riserve,

coniugando sempre insieme formazione accademica e dimensione pastorale. Uomo di grandi

visioni seppe tracciare un cammino per la Chiesa nel momento difficile del passaggio dal potere

coloniale all'indipendenza, diventando punto di riferimento sicuro per tutti gli agenti pastorali.

Anche se sempre in maniera rispettosa, presentò senza compromessi e talora con parole forti

la posizione della Chiesa. difendendo i diritti della gente. In un momento di profonda

trasformazione sociale seppe adattare la pastorale alla nuova situazione, aprendo la chiesa da

una presenza di testimonianza ad un impegno pastorale diretto. Aprì dovunque centri

d'annuncio del vangelo: catecumenati per adulti, scuole diurne e serali, cappelle, asili, attività

di promozione della donna. Diede avvio a strutture portanti dell'organizzazione ecclesiastica

quali il seminario, il centro pastorale (PALICA),Caritas (SUDANAID). Diede un contributo

sostanziale per il costituirsi della Conferenza Episcopale Sudanese (SCBC) e del Consiglio

Sudanese delle Chiese (Sudan Council of Churches). Si preoccupò della formazione dei maestri

di religione cristiana. Moltiplicò i centri di presenza cristiana in posti anche lontani come nel

Blue Nile. Volle a tutti i costi che il suo successore fosse un Sudanese.

Mons. Zubeir durante l'omelia ricordò un particolare. Il giorno in cui Mons. Baroni gli fece!e

consegne, gli diede un foglio scritto a mano e gli disse: “qui ci sono le cose che avevo in mente

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di fare. Non ne ho avuto il tempo. Ovviamente si senta libero". Mons. Zubeir prese il foglio e lo

mise nel cassetto senza darci troppa importanza. Lo riprese due anni fa, a distanza di quasi 20

anni, e con sorpresa trovò che il programma che Mons. Baroni aveva previsto coincideva, di

fatto, con quello che Mons. Zubeir stesso aveva portato avanti. Davvero: lo Spirito

accompagna la sua Chiesa.

Mons. Zubeir terminò la sua omelia andando alla radice di tutto. "Io sono convinto - disse

l'arcivescovo - che Mons. Baroni era un santo"

Mons. Baroni nacque a San Giorgio diPiano (Bologna). Fu alunno del seminario diocesano e nel

1922 entrò nel noviziato dei Comboniani a Venegono e fu ordinato sacerdote il 5 aprile 1930.

Eccettuato per un breve periodo in Inghilterra come maestro dei novizi, Mons. Baroni passò

tutta la sua vita in Sudan dove arrivò a 26 anni nel 1932 e vi rimase fino al 1985, quando

aveva 79 anni. Per 20 anni fu direttore del Comboni College, per 28 anni fu Vescovo di

Khartoum. Mezzo secolo di storia sudanese lo vide protagonista, discreto ma estremamente

efficace. A 75 anni diede le dimissioni da arcivescovo e per un paio di anni fu Amministratore

Apostolico della diocesi di Rumbek. Nel 1983 si ritirò a Juba con l'intenzione di prestare la sua

collaborazione al centro "La Nostra Famiglia" per bambini portatori di handicap. Nel 1985

cominciò ad avere qualche problema di salute e si ritirò in patria dalla sua famiglia con l'idea di

dare una mano nell'apostolato a suo fratello sacerdote, ma chiese di rimanere membro radicale

del Sudan AI tempo di Nimeiri ottenne la cittadinanza Sudanese e un'onorificenza per le

scienze, le arti e la cultura.

AI momento della preghiera dei fedeli durante il funerale si fece avanti un musulmano e nel

nome di Allah benevolo e misericordioso benedisse Dio per il Vescovo Baroni, ricordandolo

come uno dei tre uomini grandi che aveva conosciuto da ragazzo e che avevano dato un

orientamento alla sua vita. Siamo convinti che sono molti quelli che pensano la stessa cosa.

DIO sia benedetto.

In Italia la messa funebre per Mons. Baroni fu celebrata dal Card. Giacomo Biffi nella

cattedrale di Bologna alla presenza di alcuni vescovi (tre del Sudan), un buon numero di

Comboniani, di sacerdoti diocesani, di religiosi e laici....

Mons. Baroni riposa a San Giorgio di Piano nella tomba di famiglIa.

Mons. Anton Reiterer (25.02.1908 - 20.02.2000)

Il mattino del 20 febbraio, cinque giorni prima del suo 92° compleanno, Mons. Anton Reiterer è

ritornato alla casa del Padre. Il giorno prima aveva mormorato a Sr. Floriana che si curava di

lui: "Me ne vado a casa!" Dopo una lunga vita di intenso ministero, Mons. Anton sentiva che il

suo desiderio stava per essere esaudito.

Mons. Reiterer era nato tra i monti del Sud Tirolo. Sua madre morì molto presto e a 12 anni

perse anche il padre. Nel 1912 entrò nel seminario minore dei Comboniani a Milland, ritornò a

Milland per il noviziato. Il 29 giugno 1933 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Brixen. Il

suo primo apostolato missionario in Sud Africa lo fece a Glen Cowie, Middelburg e Lydenburq.

Per molti anni fu educatore all'ospizio per ragazzi che frequentavano le scuole pubbliche di

Middelburg (36-50). Fu Superiore Regionale e il 29 febbraio 1956 fu nominato vescovo di

Lydenburg-Witbank. Nel 1983, quando all'età di 75 anni lasciò il suo incarico, si ritirò presso le

Suore francescane dell'Immacolata Concezione di Middelburg. Quando nel 1983 Mons. Anton

consegnava la guida della diocesi al suo successore P. Mogale Paul Nkhumishe, un prete

diocesano della vicina diocesi di Pietersburg, incominciava una nuova fase della storia della

diocesi. Mons. Anton aveva messo le fondamenta per questo momento. Durante gli anni del

regime di Apartheid fece del suo meglio per guidare la barca tra gli scogli e salvare il salvabile.

Ad alcuni poteva sembrare un figlio del suo tempo, condizionato, come tutti, dal sistema che

avvolgeva ed imprigionava da ogni parte. Con pazienza e coraggio pose!e fondamenta per le

necessarie infrastrutture, costruendo chiese, curando l'assistenza medica con ospedali e

l'educazione con le scuole.

Mons. Anton sarà ricordato per la sua grande attenzione alle persone e per la sua generosa

ospitalità. Si manteneva sempre in contatto con j suoi collaboratori nell'evangelizzazione che

erano sempre ben accolti in casa sua. La porta della sua semplice casa era sempre aperta per

chiunque lo volesse vedere. Si sentiva quasi offeso se qualcuno non si fermava e tutti

notavano la semplicità del suo stile di vita. Mons. Anton partecipò a tutte le sessione del

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Concilio Vaticano Secondo. Non lo si poteva definire un precursore nel rinnovamento che seguì

il Concilio. Allo stesso tempo era molto aperto nell'incoraggiare i suoi collaboratori ad usare

tutte le loro capacità al servizio del Vangelo e nel far nascere vivaci comunità cristiane. Spesso

il suo consiglio era di far buon uso del loro buon senso. La croce non gli era sconosciuta.

Sperimentò l'amarezza dell'ostilità, dell'opposizione e dell'abbandono di collaboratori. Sopportò

tutto con pazienza in un generoso spirito di fede e di perdono. L'Africa era diventata la sua

nuova casa. È stato sepolto, il 29 febbraio, nella Cattedrale di Wìtbank che lui stesso aveva

consacrato il 29 Febbraio 1960. R.I.P.

Fr. Motter Giovanni (16.12.1895 -16.12.1999)

E’ bene ricordare questo fratello che è morto compiendo il suo 1040 anno d'età, il primo dei

comboniani a raggiungere tale età. Si spense come una candelina, a Verona, dove era stato

trasferito dal 1993. All'età di 19 anni venne accettato nel Noviziato da P.Giuseppe

Bernabé(+1922). Fu l'unico tra i Novizi e Fratelli a non essere mandato al fronte nella prima guerra

mondiale(1914-1918). Verso la fine del 1923 Fr. Nane andò a Lui degli Shilluk a ricominciare

quella Missione, poi fu la volta di Kodok con P. Beduschi. E nel 1926 con P. Crazzolara, una prima

Stazione fra i Nuer, Yonyang (1926). Il giovane Fr. Nane si fece subito apprezzare per la sua

disponibilità ad apprendere ed al suo zelo di giovane catechista aggiunse ben presto quello di

manovale, muratore ed autista: “il factotum di Dio." Dal 1929 al 1932 prestò servizio in Nord

Sudan (Khartoum ed Asswan) nella procura, poi ritornò a LuI. Fu trasferito in Uganda nel 1935 e vi

restò fino al 1953. Scrisse di lui il Regionale P. Santi (poi martire della carità in Lira, Lango

district): " E’ caritatevole, di carattere ed adattamento facile, con attitudine a tanti piccoli mestieri.

È di notevole operosità ed iniziativa. Serio e coscienzioso nei suoi doveri, desta e causa fiducia. È

insomma, un edificante religioso e ottimo missionario.” Con un soggiorno in Italia rimase in

Uganda fino al 1977. Avrebbe potuto rimanere, ma data la difficoltà di avere permessi si offerse di

fare il sacrificio a favore di giovani reclute. Dapprima a Verona, fu in seguito assegnato a Trento,

dove imparò il mestiere di Anziano dell'Istituto, alternando visite ai parenti dei Missionari ed ai

malati con il lavoro di casa. Visitava anche i malati al’Ospedale dove andava con l’autobus: i soliti

utenti dell’autobus erano così abituati a vederlo e, dato il suo carattere gioviale con tutti,gli

lasciavano il posto vicino all’autista. Raccoglieva offerte soprattutto per sostenere la formazione dei

seminaristi di Gulu. S'interessava a ciascuno di loro, seguiva il lavoro dei Sacerdoti locali e dei

Confratelli, s'informava su tutto ciò che accadeva nelle nostre Missioni direttamente dai Confratelli,

ritenendo tutto a memoria e ricordandolo agli stessi, uno ad uno, per aiutarli ad aggiornarsi.

Questo gli era necessario per le tre ore di preghiera quotidiana. I Missionari e le Parrocchie in

difficoltà venivano messe insieme da lui nella Via Crucis. Divenne, così, una edificante pietra

dell’Istituto e paragone per gli altri anziani e per tutti.

Fr. Mario. Adani (14. 5 1909/-10-5- 2000)

Fr. Mario era nato a Correggio Emilia (RE) il 14 maggio 1909 da una famiglia d'artisti del marmo. A

20 anni, Mario lasciò il paese per consacrarsi al Signore come fratello missionario comboniano.

Entrato in noviziato a Venegono, emise i primi voti il 2 febbraio 1931, poi parti immediatamente

per Khartum dove urgenti lavori di costruzione lo attendevano. D’ora in avanti incominciò il suo

peregrinare per le costruzioni Da Khartoum all ‘Inghilterra,all’Etiopia, al Sud Sudan dove costruì la

cattedrale di Wau, un gioiello d'architettura. La costruzione della cupola, utilizzando pali storti per

le impalcature, con giochi di carrucole e verricelli per alzare tonnellate di peso a forza di braccia,

costituì una meraviglia che impressionò anche gli ingegneri inglesi. Fu ancora a Londra il 1958-1,

poi a Roma, quindi sdi nuovo a Khartoum e nel 1967 in Sudafrica, con altri due Padri pioniere della

Riunione. Lasciò il Sud Africa definitivamente 1994, quando venne di nuovo in Italia dove rimase

fino alla morte.

Fr. Mario fu un uomo pienamente identificato con la sua vocazione missionaria comboniana.

Comboni lo ebbe sempre nel cuore, come lo aveva la sorella Carmela che disegnò e costruì il

complesso statuario di Comboni che si trova a Limone e quello che si trova sul monumento di

Piazza Isolo a Verona e nel parco di Casa Madre. -Dotato di un fisico di ferro era di una

dolcezza straordinaria quando trattava con i confratelli e con la gente. Tenne continuamente

incrementata la sua fede con un'intensa preghiera. Sapeva ascoltare, persuaso che ognuno

può avere qualcosa da insegnare agli altri.. Un giorno il vescovo gli disse: "Fr. Mario, chiedimi

di ordinarti prete e io ti metto subito le mani sulla testa". "Grazie, Eccellenza - rispose - ma io

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mi sento bene come Fratello". Trovandosi in un paese dove c'era la separazione tra bianchi e

neri, Fr. Mario riuscì ad avere amici tra i due gruppi, senza nessuna distinzione. -Era un

perfetto organizzatore anche dei gruppi d'operai che dirigeva e istruiva contribuendo così a

realizzare quella promozione umana che è parte indispensabile dell'attività missionaria. Si era

specializzato anche nei lavori di graniglia: statue, tabernacoli, fonti battesimali, balaustre,

lapidi... uscivano in continuazione dal suo laboratorio e andavano ad abbellire le tante Chiese

che aveva costruito ed tante altre. Era anche rabdomante. Trovava le vene d'acqua a 70 - 80

metri di profondità. I suoi ultimi anni furono la naturale continuazione della vita

precedentemente vissuta: vita di fede e di preghiera. Si preparò nella serenità all'incontro con

il Signore. Fr.Mario è ricordato come una testimonianza ancor viva di Fratello comboniano,

autentico e pienamente realizzato. Che dal cielo mandi altri come lui.

P. Raffaele Di Bari (12.1.1929 - 1.10.2000)

Di Barletta. Da ragazzino fu profondamente toccato dalla testimonianza di un missionario

comboniano che era andato nella sua parrocchia per le quarant'ore. Infatti poco dopo entrò nel

seminario minore di Troia. Fu ordinato sacerdote il 26 maggio 1956. Partì per l'Uganda nel

1959, e vi rimase quasi ininterrottamente fino alla morte.

P. Raffaele era conosciuto per la sua estrosità simpatica, generosità e volontà d'animo. Era

incapace di dire di No. Nelle missioni dove è passato si rese famoso, a volte criticato, per le

sue originali iniziative in favore dello sviluppo della gente. Si interessò molto ad aiutare la

gente a sopravivere: procurò se menti per migliorare la loro produzione agricola, tentò di

sviluppare la cultura del girasole e mise su mulini. Era creativo, intraprendente e molto amato

e ricercato dalla gente per la sua giovialità e buon cuore. Aveva il dono dì una grande umanità.

Durante i molti anni di insicurezza nella terra Acholi dovette affrontare gravi situazioni di

tensione. A Lacor, a Opit e a Namukora rischiò tante volte di essere ucciso da ribelli o dai

soldati. La morte lo falciò improvvisamente e cosi completò con il supremo sacrificio della vita

la sua generosa dedizione agli Acholi. Tre giorni prima era sopravvissuto ad un attacco dei

ribelli. Domenica 10 ottobre, mentre a Roma veniva canonizzata Giuseppina Bakhita, P.

Raffaele, prima di recarsi alla cappella di Acholi-Bur per la celebrare la Messa ed alcuni

battesimi, andò a chiedere al comandante militare se la strada fosse sicura. Assicurato che non

c'era alcun pericolo, partì con il furgoncino Land Cruiser, portando con sé 8 persone. A 5 km

dalla missione quelli con lui gli dissero che stavano per essere assaliti dai ribelli. Il padre

rallentò, dando così la possibilità ad alcuni di loro di saltare giù dal furgoncino e fuggire. Quasi

subito i ribelli spararono contro il furgoncino. P. Raffaele fu subito colpito e, dopo aver

mormorato qualche parola, spirò. Degli altri passeggeri ancora sulla Land. Cruser, una donna

fu uccisa, una suora fu lasciata fuggire ed un chierichetto colpitoto. Ness.uno lo soccorse per

paura dei ribelli. Dopo aver rubato l’orologio di P. Raffaele, hanno dato fuoco alla macchina con

della paglia e poi si sono dileguati. E cosi solo due ore più tarditardi arivarono dalla missione

alcune persone che poterono ricuperare quelo che era rimasto del corpo bruciato di P. Raffaele.

P. Aldo Gilli (14.05.1927 – Trento / 26.02.2001-Roma)

Penso necessario tramandare alla storia P.Aldo per il suo ruolo nella Beatificazione e

Canonizzazione del nostro Fondatore. Dopo il ginnasio superiore a Brescia P.Aldo entrò in

noviziato il 10 Ottobre 1944, dies natalis del Beato Comboni. Ebbe come Padre maestro P.

Antonio Todesco. P. Aldo ricordava questo periodo con riconoscenza evidenziando come fosse

spiccata la formazione alla vita consacrata presentata come componente indispensabile di

quella apostolico/missionaria. Fu allora che il Padre incominciò ad annotare delle frasi del

fondatore, sistemandole secondo uno schedario da lui inventato in riferimento ai temi che i

testi contenevano. Si delineava già d’allora” una vocazione comboniana nella vocazione

missionaria: scrive P.Fidel F. Gonzales- una gustosa e metodica ricerca storica sulla vita, le

vicende, gli avvenimenti e la profonda esperienza carismatica di Daniele Comboni. Senza

questi studi di P. Aldo Gilli, credo di poter assicurare che lo stesso processo di beatificazione e

le fonti fondamentali comboniane, iniziando dagli Scritti del Comboni, da lui pazientemente

ricercati, raccolti, trascritti, studiati e metodicamente e criticamente pubblicati su Archivio

Comboniano fin dalla sua fondazione, non avrebbero avuto il frutto, la possibilità e l'esito che

hanno avuto. Fra i numerosi scritti che P.Aldo firmerà, a parte le numerose ricerche apparse su

Archivio Comboniano, fondamentali per la Causa di Canonizzazione di Comboni, ricordiamo

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"L'antologia di testi comboniani", in "II Messaggio di Daniele Comboni (EMI, Bologna 1977), e

soprattutto il suo paziente lavoro nella preparazione dei documenti fondamentali per ia

beatificazione del Comboni: la Positio super vita et virtutibus, lavoro improbo e documento

ufficiale della Santa Sede. P:Aldo non trascurò il ministero sacerdotale: ogni giorno si portava

ad una clinica vicino alla comunità della Curia dove abitava per la St. Messa e per l’assistenza

agli ammalati. Ai suoi funerali i suoi assistiti anche coloro che avevano lasciato la clinica

riempivano la Cappella della Curia. in devota e mesta preghieraCapitolo ventiduesimo

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CAPITOLO VENTIDUESIMO

Sedicesimo Capitolo Generale

Situazione numerica 2003

Membri dell’Istituto

Vescovi Padri Fratelli Scolastici Totale

al 31-12-2003 17 1.301 304 168 1790

al 31-12-1996 18 1.300 343 162 1823

Le province che sono diminuite di più (solo il totale)

Italia 1997 985

DSP 1997 122

2003 883 2003 67

Membri del Capitolo Generale ‘70

28 ex ufficio; 33 Delegati Sacerdoti; 9 Delegati Fratelli;

Osservatori Permanenti 11

Membri del Nuovo Consiglio Generale

Rev. Fr. Serra Teresino

Rev. Fr. Ballan Fabio

Rev. Fr. Odelir Josè Magri

Rev. Fr. Tesfamariam Ghebrecristos Woldeghebriell

Rev. Fr. Romeo Arias Hernan

Rev. Fr. Serra Teresino: Berchidda 10-01-1947

RELAZIONE DEL CONSIGLIO GENERALE 1997-2003

Preambolo

Il C.G. introduce la sua relazione con il richiamo al Fondatore per le sue numerose relazioni con

diverse organizzazioni e individui, iniziate e sempre mantenute per trasmettere il suo entusiasmo e

interesse per la Missione; si augura poi di potersi mettere in cammino con Lui per esercitare come

lui con senso profetico e cogliere le nuove opportunità che Dio offre all’Istituto.

Prima parte

E’ descrittiva delle differenti situazioni sia dell’Istituto che della missione.

Il contesto sociale degli ultimi anni ha, in diverse maniere e secondo le diverse nazioni e

continenti, condizionato il nostro lavoro.

Si nota l’affermarsi della globalizzazione dell’economia e della finanza, come causa e nello

stesso tempo effetto di cambiamenti socio-culturali soprattutto in Europa.

Il contesto ecclesiale: la relazione riconosce il cammino ricco di eventi che hanno fatto le

Chiese locali. Riconosce anche che i missionari hanno accompagnato queste Chiese: ma in

molti posti sono ancora molto referenziali.

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Vorrei osservare che la relazione non tratta a sufficienza i rapporti dell’Istituto con le Chiese

locali. Per esempio si sa che il Consiglio Generale lascia ai Provinciali solamente il dialogo con i

vescovi nel richiamo del personale. Anche il Provinciale spesso mette di fronte ai Vescovi,

cambiamenti già decisi senza previo dialogo.

Qualche capitolare ha pure accennato a questo osservando che spesso si richiamano, senza

dialogo, missionari che occupano uffici a livello nazionale o diocesano lasciando i centri spesso

sprovvisti con grave danno degli stessi.

Parla del rafforzamento delle Chiese con soddisfazione; però questo deve soprattutto farci

sentire meno e meno protagonisti ed aiutarci ad inviare personale qualificato che sia di modello

e di lievito alla Chiesa locale e specialmente in Africa. Nel motto del Comboni di salvare l’Africa

con l’Africa, l’America con gli americani deve soprattutto illuminarci sulla necessità di essere

presenti nei Seminari e di cercare la formazione permanente dei religiosi/e.

3. Anche il contesto comboniano ha dei segni positivi e negativi.

Come positivo si nota la nostra permanenza in situazioni molto difficili sia socialmente come

politicamente, ed anche pericolose, come in Uganda e nel Sud Sudan.

Vorrei far notare che non tutte le nostre riviste ricordano questo eroismo che può animare

Missionariamente dei giovani più impegnati così pure è aumentato l’interesse di GPIC anche nel

Mondo.

Come negativo si deve notare l’invecchiamento e la scarsità, nullità in qualche provincia delle

vocazioni. Vorrei notare che l’invecchiamento può dare meno capacità lavorativa, ma più aiuto

di esperienza, nutrendo fiducia e creando condizioni di dialogo. In Africa specialmente l’anziano

che ha lavorato con loro è molto più apprezzato e stimato. Alcuni Provinciali hanno paura che

facciano numero a scapito dell’invio di nuove reclute: questo modifica che l’efficientismo e non

l’attenzione alle persone merita più attenzione.

Nel contesto comboniano è incluso il grande avvenimento della preparazione alla

Canonizzazione del Comboni che è stato, per chi ne ha approfittato una eccezionale

animazione sia all’interno che all’esterno dell’Istituto.

Seconda parte – l’attuazione del xv Capitolo Generale

Osservazioni particolari.

Questa parte inizia con esporre tutto quello che i membri del Consiglio Generale hanno fatto

per visitare tutte le nostre circoscrizioni, con le partecipazioni ed assemblee a tutti i livelli, con

lettere ed esortazioni.Mentre si lamenta della troppo lenta riqualificazione degli impegni e della

preparazione del personale per il dialogo con l'Islam, si dice soddisfatto dei progressi nella vita

fraterna e della testimonianza apostolica.

2. Si lamenta ancora di due cose.

Primo: non si è dimostrato sufficiente l’interessamento dei giovani per l’approfondimento delle

lingue locali come veicolo di conoscenza della cultura. La tradizione comboniana in questo settore

infatti è sempre stata molto abbondante e piena di studi e di libri, specialmente nelle nostre

missioni tradizionali come il Sudan e l’Uganda, nomi come quello di Padre Stefano Santandrea, che

scrisse circa 150 tra libri e articoli su riviste scientifiche, Padre. F. Giorgetti, soprattutto per lo

studio della musica locale, Padre Pasquale Crazzolaro tecnico di diverse lingue locali.

Secondo: il dialogo interreligioso, specie con l’islam è rimasto notevolmente deficitario.

Personalmente penso quello che è importante è conoscere l’Islam. Non ho avuto l’impressione che

alla gente ordinaria interessi molto conoscere di più il Cristianesimo. Già Gesù lo conoscono come

l’unico profeta ed hanno un grande rispetto della madre di Gesù e questo basta per loro.

Il discorso interreligioso, cioè discutere sulle due religioni può essere tenuto al raduno di

teologici e di storici ad alto livello. Ma non a livello di Sheik o di popolo.

Se si accenna alla Trinitàcon la divinità di Cristo, scatta la molla contraria. Si rischia di

rimanere nell’ambiguo.

Un’altra cosa invece sono i rapporti sociali e di lavoro con i Mussulmani; ci può essere lo

scoglio della dignità della donna. Personalmente ho trovato l’ostacolo discutendo sulla pena di

morte, che il Corano appoggia e difende, per cui non sembra si possa discutere.

Si accenna poi alla Collaborazione con gli Istituti Missionari Comboniani e con altri Istituti

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Missionari, le Chiese locali in ambiti specifici e con i Laici Missionari Comboniani. Manca un

accenno alla collaborazione con l’Unione Superiori Generali.

Per l’Animazione Missionaria si nota un miglioramento, ma rimane il problema del

Coordinamento dei Segretariati Generali con i segretariati Continentali nelle relazioni dei

Segretariati in genere.L’identità dell’Animazione Missionaria Comboniana, sembra in crisi per

cui la relazione insiste sulla formazione degli animatori, la loro identità comboniana e quindi

l’identità dell’AM stessa.

Si deve anche aggiungere che alcuni animatori stessi non sono del tutto identificati.

Nel campo di Giustizia e Pace la relazione trova buon progresso che fu aiutato da un animatore

Centrale per tre anni.

In diverse province dove ancora non esistono, furono stabiliti comitati GPIC.

Non furono molti però i progetti particolari iniziati dai comitati; più numerosi quelli iniziati da

individui.

Sembra che siano prevalse iniziative che coinvolgono la politica, senza espandersi a tutte una

gamma dei diritti dell’uomo.

Per l’integrità del creato non mi sembra che la Relazione accenni a progetti particolari messi in

evidenza.

Qualche miglioramento nella formazione:

su 22 formatori negli scolasticati, 18, hanno seguito i corsi

i Padri Maestri, tutti hanno frequentato corsi: 13

Basso invece il numero dei formatori per il Postulato su 42 solo 27

Nel servizio dell’autorità si osserva la pubblicazione di norme sui Beni culturali dell’Istituto e il

Commento Biblico alla Regola di vita. Si menziona anche l’edizione elettronica degli Scritti del

Comboni, in italiano, francese e spagnolo.

Terza parte: l’oggi dell’istituto

1. La relazione mette in evidenza aspetti positivi e negativi.

Positivi:

- la fedeltà e capacità di martirio di tanti nostri confratelli in diverse parti del mondo sia in

Africa come in America

- più province hanno incominciato il fondo comune

- la fecondità apostolica espressa nella ferma volontà di mantenere l’impegno.

Negativi:

- insufficiente integrazione dei diversi aspetti della nostra vita religiosa apostolica e dei talenti

individuali con il progetto della Congregazione.

- Da questo ne deriva l’omologazione della missione che spinge il Comboniano a fare tutto

senza tener conto della responsabilità della Comunità Apostolica e della diversità di ministeri.

- Diminuzione del senso di appartenenza all’Istituto.

2. La situazione della formazione

- Tra gli elementi positivi la Relazione nota come le professioni di studenti si sono mantenute

sufficientemente mentre sono calate quelle dei fratelli.

I nuovi sono: dall’Africa 57, America 63, Europa 30,

Asia 8.

- Istituto Misto: per aiutare i fratelli ad essere più identificati il CG ha fatto domanda alla

Congregazione dei Religiosi di autorizzare un cambio per diventare Istituto Misto e non più

clericale.Ciò porterebbe che i fratelli potrebbero essere nominati superiori. In attesa della soluzione

giuridica il Superiore Generale con il suo Consiglio, ha ottenuto la facoltà di nominare come

Superiori locali dei fratelli, in alcune circostanze. Facoltà concessa in Aprile 2001 per tre fratelli.

- Si può osservare che, per i fratelli è necessario più che per i sacerdoti qualche corso sul ruolo del

Superiore, non solo giuridico ma anche psicologico specialmente riguardo all’esercizio dell’autorità.

La relazione non nasconde elementi di preoccupazione:

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- il numero di uscite durante la formazione di base (vedi tabella 5)

- insufficiente livello di personalizzazione e interiorizzazione dei

valori

- incertezza sull’iter formativo dei fratelli

- insoddisfazione nei formatori come nei promotori vocazionali:

trovano infatti difficile l’incontro con i giovani di oggi.

Situazione dell’economia

Il richiamo del Capitolo 1992, alla corresponsabilità e divisione ha creato una maggior

integrazione tra il fine evangelico della missione e l’uso delle risorse economiche. La dinamica

del Fondo Comune in genere è stata positiva.

La situazione economica è sana sebbene qualche Provincia e Delegazione hanno trovato

delle difficoltà.

Quarta parte: Prospettive per il futuro

Non si allontana di molto dagli argomenti che rimbalzano dai Capitoli alle Intercapitolari e di

nuovo ai Capitoli. Si tratta solo di aggiornamento. Questo risulterà dall’esame degli atti Capitolari.

Una novità è il codice di condotta da usare in casi eccezionali di abusi in diversi campi ma

specialmente nei problemi sessuali.

La Relazione conclude con la Canonizzazione allora imminente del nostro Fondatore che

deve sempre ispirarci sia per la missione come per la Sua spiritualità del Cuore trafitto di Gesù

e della Fedeltà nel servizio della Chiesa.

La canonizzazione viene chiamata “parabola” e cioè insegnamento, scuola continua del

come impostare la missione nel segno della Santità.

ATTIVITÀ DEI SEGRETARIATI E DEGLI UFFICI GENERALI

Segretariati Generali

Formazione di base

Durante questo periodo, l’internazionalità dell’Istituto è notevolmente aumentata in questa

fase della formazione, come risulta dalle seguenti cifre:

1998-2003 1°professioni Usciti Rimasti % Usciti % Rimasti

Africa 147 63 84 43% 57%

America 106 44 62 42% 58%

Europa 49 18 31 37% 63%

Asia 15 4 11 27% 73%

Totali 317 129 188 41% 59%

Da questi numeri risulta anche la percentuale di usciti in teologia. E dei rimasti, la maggioranza

sono Africani. Da notare che tra gli usciti vi sono anche coloro che sono stati dimessi. Questa

nuova geografia del personale può formare un mosaico e non una pittura impressionista. Tale

mosaico sarà possibile se tutti i membri di qualunque cultura si sforzano di formare un unico corpo

attraverso una certa “cultura” (cioè uno stile di cita). Tale stile che unisce emerge quando tutti si

arricchiscono della spiritualità tipicamente comboniana che si identifica sia con la carità fraterna

simboleggiata dal Cuore trafitto di Cristo, che con la fedeltà alla Chiesa, inclusa la Chiesa locale

dove esercitiamo il nostro apostolato.

Dalle cifre esposte sopra, si può vedere anche quanti sono che abbandonano l’Istituto solo in

questa prima fase.

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Nel nostro Istituto, vi fu una uscita massiccia dal 1964 al 1974 (vedi “Crisi nell’Istituto” cap…

pag…). Queste uscite fanno emergere aspetti positivi e negativi.

Aspetti positivi: è una selezione prima di prendere un impegno definitivo: il sacerdozio e i voti

perpetui per i fratelli. Pio XI, nel suo realismo diceva che un corpo che mangia ma non scarica

non è sano.

Aspetti negativi: questa selezione accurata deve essere fatta prima di tutto dal formatore

vocazionale cercando di interessarsi, non solo presso i sacerdoti della parrocchia ma anche

dalle suore e dai laici impegnati. L’argomento dell’ottima famiglia è valido ma non sufficiente:

può essere il rispetto verso la madre e il padre che spingono il giovane a farsi sacerdote. Poi

deve essere fatta nel Postulandato o al più tardi nel primo anno di Noviziato. E’ necessario

richiamare quanto scritto a pag. … e a pag. …e cioè che il segno della vocazione è la

motivazione della scelta e non le qualità; queste sono pur necessarie ma non identificano una

vocazione.

Si può ammetter che solo in qualche caso, sia il candidato che i formatori non scoprano la vera

motivazione.

Una riflessione importante che richiede una seria investigazione viene dalla prossima lista.

1° Profes

Scolastici

Profes

Fratelli

Usciti

Scolastici

Usciti

Fratelli

Totale

1°Profes.

Totale

Usciti

Totale

Rimasti

%

Usciti

%

Rimasti

1998 45 15 13 7 60 20 40 33% 67%

1999 43 6 10 2 49 12 37 24% 76%

2000 48 7 24 8 55 32 23 58% 42%

2001 42 4 22 6 46 28 18 61% 39%

2002 35 9 17 5 44 22 22 50% 50%

2003 55 8 12 3 63 15 48 24% 76%

Totale 268 49 98 31 317 129 188 41% 59%

Nel 1999 e 2003 gli usciti sono il 24% e i rimasti il 76%; nel 2001, gli usciti sono il 61% e i

rimasti il 38%; nel 2000, usciti 58%, rimasti 42%.

Differenza dovuta al Postulato, al Noviziato, allo Scolasticato? Ai formatori e ad altre

circostanze?

Non sono risposte facili. In più c’è da dire che vi è un buon numero di professi che escono dopo

la professione. Ecco le statistiche degli usciti dai voti temporanei: 1998 – 17:1999 – 20:2000 –

29:2001 – 22:2002 – 21:2003 – 29. Non sono tutti professi del 1997, ma queste statistiche

sono una indicazione molto significativa.

Nel rapporto del Segretariato della Formazione per il 2003, ancora una volta si insiste sul

Postulato e sulla necessità di preparare i formatori. In questo è da rivedere a chi tocca: se alla

Direzione Generale o quella Provinciale. E’ vero che i Postulandoti sono di responsabilità della

Provincia, però i Postulanti entrano nei Noviziati che sono responsabilità della Direzione

Generale. La Direzione Generale, quindi, può anche intervenire sui contenuti educativi e sui

formatori.

Così, anche a mio parere, anche nei Noviziati è necessario considerare l’anno del cosiddetto

deserto. In alcuni Noviziati tale periodo è disturbato dall’esperienza pastorale, sia per il giorno

passato fuori dalla casa del Noviziato come dalle amicizie che fanno i Novizi e conseguente

corrispondenza durante la settimana.

Negli Scolasticati del Nord si possono trovare abusi nella povertà tra gli studenti che hanno

Borse di Studio personali. Facile domandare ai benefattori soprattutto soldi che, di nascosto,

mandano poi ad amici e parenti al loro paese di origine. Meno soldi, ma più persone

identificate.

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Formazione permanente: Commissione Centrale di Formazione Permanente (CCFP)

La formazione permanente o continua è altrettanto importante come la formazione di base. Non

progredire è retrocedere perché la società cambia ed anche nella vita religiosa spesso si cambia

comunità. Ciò richiede continua attenzione ed adattamento. Soprattutto nel nostro Istituto interna-

zionale che accoglie confratelli di diverse culture. Ciò esige di conoscerle, rispettarle e dialogare.

Un’altra ragione dell’importanza della Formazione Permanente, è il dovere dei professi di

trasmettere la spiritualità comboniana e la custodia del fine dell’Istituto. Ciò esige la

conoscenza dei nuovi che si aggiungono che hanno delle differenze sia proprie dei giovani

come specifiche di ogni persona.

Il Cardinale Lehmann, in una intervista disse che i giovani sono come uccellini sul davanzale

della finestra che osservano. Se, chi è dentro cerca di afferrarli, sfuggono. La responsabilità dei

professi è anche di parole ma soprattutto di esempio e testimonianza sincera ed aperta.

a. Corsi di rinnovamento

Dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, fu introdotto un corso di Formazione Permanente

considerato dapprima corso di perfezionamento, poi di aggiornamento per lo studio dei

Documenti Conciliari. Però, lo stile di tali documenti si prestava a diverse interpretazioni: non

erano più definizioni chiare e precise come in molti Concili Ecumenici precedenti. Erano testi

esatti e discorsivi che da taluni furono interpretati come proposte più che dottrine imposte.

Molti, anche sacerdoti, leggevano da soli tali documenti che facilmente potevano prestarsi ad

interpretazioni personali secondo l’intelligenza ed il cuore di ciascuno. Altri si accontentavano

di leggere riassunti pubblicati sui giornali anche commerciali condizionati dallo spazio. Nel

sessennio del 1998 fu chiamato corso di rinnovamento personale incentrato sul carisma

comboniano e sulla missione.

La durata è di cinque mesi, da gennaio a maggio compreso. L’ultimo mese è passato in

pellegrinaggio in Egitto e Palestina. E’ aperto a tutti i confratelli dai 45 anni in poi.

Dal 1997 al 2003 fu frequentato da 94 confratelli (72 sacerdoti e 22 fratelli).

b. Anno comboniano di Formazione Permanente (ACFP)

L'Anno Comboniano é un tempo speciale di Formazione Permanente, deciso dal Capitolo del

'91, confermato nel capitolo del '97. E’ per i confratelli dopo 10-I5 anni di servizio missionario

dall'ordinazione sacerdotale o dai voti perpetui. Età: 35-50 anni, la "mezza età".

E’ la proposta di un'esperienza che considera tutte le dimensioni della persona: fisica, psicologica,

spirituale, missionaria-comboniana. E’ per i confratelli nei cambiamenti e nelle sfide in cui vivono.

Il momento più importante è quando il corso aiuta i confratelli ad un prolungato e intimo

incontro con Dio per crescere sempre più nell’interiorizzazione dei valori e dei talenti che Dio

ha concesso a ciascuno.

Dopo 7 anni, i confratelli furono 123 (7 sacerdoti e 26 fratelli). Il bilancio di questi anni, stando

alla valutazione della maggioranza dei partecipanti, è decisamente positivo. Per la buona

riuscita, la prima condizione è la partecipazione libera, motivata e convinta, 1'apertura e

disponibilità al lavoro su di sé, come auspicava il Capitolo (AC. 137.1). Qui si inserisce il

servizio del provinciale per animare e creare una nuova coscienza e mentalità.

Dato che la scelta, di solito, viene fatta dalla Direzione Generale, non sempre trova il

Provinciale ed il confratello contento e disponibile. Per cui alcuni non traggono quel vantaggio

come chi non solo è disponibile ma anche contento.

Naturalmente non è possibile scegliere temi e conferenze che soddisfino tutti i confratelli che

vengono da diversi continenti. Mescolarli, può arricchire le diverse esperienze per chi è aperto.

Alcuni confratelli che vengono dalla missione hanno paura che l’anno sia una occasione per il

Consiglio Generale di individuare chi è adatto ad essere richiamato per occuparsi in patria.

Nel complesso, però, per la maggioranza dei partecipanti, l’anno è stato un arricchimento ed

un momento di riflessione non sempre fatta durante gli Esercizi annuali che però, dopo il corso

possono essere occasione di ulteriore riflessione.

Secondo l’equipe dei Formatori, quest’anno non è per confratelli con problemi particolari che

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hanno bisogno di un accompagnamento tutto personale. Non solo sarebbero esse stessi fuori

posto, ma disturberebbero anche l’andamento del corso.

La durata del ACFP

Il cammino dell'ACFP si svolge nell'arco di 8 mesi, è diviso in due periodi: i primi 6 mesi come

esperienza di comunità, cioè in un contesto di attività con un itinerario comune per tutti; gli

ultimi 2 mesi personalizzati, cioè con un programma specifico per ogni partecipante.

Luoghi

Fin d’ora il corso è stato organizzato in due sedi: un anno in Messico nella nostra casa di

Xochimilco, in spagnolo: un altro anno in inglese in Sud Africa.

L’equipe della FP suggerisce una sede permanente nostra anche per l’anno di lingua inglese.

c. Altre attività della CCFP (affidate al coordinatore)

Comunità Padri/Fratelli studenti

Coordinare la comunità dei Padri e Fratelli studenti che vengono a Roma, per una

specializzazione in vista della missione o per prepararsi per un servizio nell'istituto,

specialmente formazione, o per un tempo sabbatico di FP e di rinnovamento.

Confratelli in difficoltà

Accompagnare, offrire aiuto spirituale e terapeutico a confratelli in difficoltà, che le province

hanno inviato attraverso il Vicario Generale, incaricati dei confratelli in difficoltà.

Abbiamo utilizzato la collaborazione di comunità di appoggio in Roma, Verona, Trento e Milano

e 1'aiuto di confratelli e numerosi specialisti: direttori spirituali, psichiatri, psicologi di varie

parti d'Italia.

ACFP/CYOF e Corso di Rinnovamento

Seguire le iniziative speciali di FP. come il Corso di rinnovamento e in modo speciale 1'Anno

Comboniano.

Aiuto alle province

La CCFP, a livello di animazione della FP. delle province ha fatto molto poco.

Abbiamo inviato, ai provinciali e agli incaricati delta FP. libri sulla FP e spiritualità missionaria.

In modo speciale abbiamo avuto presente 1'animazione delle comunità e dei superiori,

inviando libri e vario materiale: articoli sulla missione, vita comunitaria, preghiera.

In questi ultimi anni, con la diffusione generale del computer, é stato piú facile mandare

materiale a mezzo posta elettronica.

d. Commissione Centrale e Consiglio Generale

Nel CCFP sono presenti due membri del Consiglio Generale: l’assistente incaricato della formazione

e l’assistente fratello. Si deve notare però che tutto il Consiglio Generale, non solo ha appoggiato i

corsi di FP ma, ha anche partecipato nei diversi avvenimenti come corsi, assemblee, esercitazioni.

Oltre ai due consiglieri, ne sono membri anche il coordinatore della FP e l’incaricato dello Studium

Comboniarum.

Conclusione

Dato che l’ultimo Capitolo Generale ha deciso di avere un Provinciale per ogni continente per

coordinare le attività di FP, lo C.C.F.P. ha trovato alcune difficoltà nel coordinare le sue attività

con quelle continentali. Per questo, oltre ai due corsi centrali, sono prevalse le attività a livello

continentale.

Si spera che chi di dovere possa stabilire una direttiva che non frustri le due forze interessate

in modo da valorizzare il personale addetto.

Nella conclusione del rapporto del Capitolo 2003, la C.C.F.P. auspica che nel prossimo sessennio

essa e il suo coordinatore possano avere la possibilità di animare e coordinare in modo

conveniente a tutti i livelli la FP dell’Istituto data la sua importanza.

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371

Si deve anche auspicare che la comunità locale offra momenti di Formazione Permanente. Un

suggerimento che posso dare è che articoli del Bollettino, le lettere del Padre Generale o del

suo Consiglio, altri articoli interessanti, i rapporti delle visite alle diverse Province e missioni,

articoli di Studium Comboniarum, vengano abitualmente letti nella parte formativa del

Consiglio di Comunità.

Né si deve dimenticare di leggere sistematicamente in comune gli scritti del Comboni.

Queste letture danno spazio a commenti molto utili nei tempi di ricreazione e specialmente

durante i pasti. Tutto questo fa parte della F.P. a livello di comunità locale che è il tempo più

importante per tutti e parte la sua continuità.

Segretariato dell’Evangelizzazione

a) Anche questo segretariato come la CCFP, si lamenta che il Capitolo del 1997 propose la

creazione di Segretariati Provinciali di Evangelizzazione senza precisare il ruolo che il Sec.

Generale doveva svolgere nella nuova struttura, per cui ambedue sono rimasti in attesa di

maggiori indicazioni. Tuttavia in tutti i continenti si svolsero delle assemblee: a Kinshosa

(Africa francofona), A Sagana, Kenya (Inglese), a Quito (Americhe e Asia), a Pesaro (Europa).

Queste assemblee ebbero il compito di preparare una carta dell’Evangelizzazione, prima a

livello provinciale e continentale e in un secondo momento a livello generale.

Si deve notare però che nell’Evangelizzazione non si possono ignorare le direttive delle Chiese

locali, dove i nostri missionari possono, prudentemente, essere gruppi di pressione verso un

miglioramento, una maggiore efficienza e autenticità degli agenti pastorali.

Questo si può ottenere attraverso la nostra presenza nelle strutture locali sia a livello di zone

come delle Diocesi.

E’ necessario far notare loro la nostra provvisorietà tuttavia, offre loro servizi qualificati come

la presenza nei Seminari Diocesani e Nazionali; la formazione dei religiosi, l’uso dei mezzi di

Comunicazione Sociale e di Animazione Missionaria.

E’ importante a questo riguardo essere ad un vero servizio delle Chiese locali e promuovere il

dialogo tra i nostri Provinciali ed i responsabili diocesani, specialmente per la questione del

personale a loro servizio.

b) Due campi specifici, dove è necessaria una prudente pressione, sono il dialogo tra le

denominazioni cristiane, le diverse religioni e nel campo di giustizia e pace.

Per il mondo dell’Islam, in questo sessennio, si è notato uno sforzo apprezzabile specialmente

in Africa, per la preparazione del personale con il servizio di Dar-Comboni al Cairo. Ma non

tutte le province dove l’Islam è presente ne hanno usufruito convenientemente.

c) Nel campo di Giustizia e Pace, un passo fu fatto con la nomina di un coordinatore generale

della Commissione GPIC dal 1 gennaio alla fine del 2002. In questo periodo, il Coordinatore

organizzò raduni a livello sia continentale che di province e delegazioni. Insieme agli altri

Istituti, tentò di aprire diverse strade verso il lobbying delle Organizzazioni delle Nazioni Unite

e della Comunità Europea.

A questo scopo il nostro Istituto si è fatto promotore, assieme ad altri Istituti missionari, di un

incontro sul “lobbying and advocacy proget” a Washington e New York.

Da questo incontro, é nata anche la proposta di organizzare gli Istituti in una ONG, per la

promozione della Giustizia e dei Diritti Umani nel mondo, che fosse riconosciuta

dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. A questo scopo il nostro Istituto, assieme alle

Missionarie Comboniane, ha espresso il desiderio di prendere parte al progetto VIVAT,

coordinato dai Verbiti, i quali hanno introdotto e accompagnano presso 1'ONU la procedura

giuridica per il riconoscimento.

La risposta dell'ONU arriverà probabilmente alla fine del 2004; per quella data il nostro

Istituto, in collaborazione con le Suore Comboniane, dovrà definire la partecipazione, sia dal

punto di vista economico, sia dal punto di vista del personale.

Il progetto, importante per il nostro coinvolgimento nell'ambito di GPIC e dei Diritti Umani è da

appoggiare e sostenere; potrebbe costituire un impegno concreto dell'Istituto portato avanti dalle

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nostre Province sia dell’Africa che dell’America ma, soprattutto dell’Africa, specialmente nei diversi

campi di violazioni dei diritti umani ed in particolare dei diritti dei minorenni e delle donne.

Due altre iniziative da segnalare a livello centrale sono:

primo, la partecipazione alle riunioni dei promotori di Giustizia e Pace degli Istituti Religiosi, a

Roma, nel gruppo di lingua inglese e nel gruppo di lingua luso-iberica; alle attività di AEFJN

(Africa and Europa Faith and Justice Network), del cui comitato esecutivo, che si riunisce ogni

due mesi a Roma e, a volte, a Bruxelles, siamo membri. L'importanza e il tempo dati a questi

incontri volevano soprattutto mettere in luce il valore e 1'urgenza di un lavoro fatto in sinergia

con altre forze (con una più vasta esperienza nel settore) e la necessità di creare un advocacy

presso g1i Organismi internazionali, affinché, siano adottate delle politiche più rispettose e

solidali con i popoli del sud del mondo, soprattutto dell'Africa.

Secondo, E in atto un lavoro, promosso dai Promotori Generali di GPIC degli Istituti Maggiori e,

ultimamente, anche da AEFJN, di ricerca e di sensibilizzazione di persone e gruppi africani di

GPIC, allo scopo di favorire una maggiore intesa tra i due Continenti (Africa e Europa), su

priorità, metodi e strategie da adottare nella promozione di una cultura di Giustizia e Pace e di

difesa dei DD.HH.

Così non fu riportata l’attività di Padre T. Agostani, a proposito di diritti umani. Padre T.

Agostani ha iniziato nel 1999 una campagna per l’abolizione della a pena di morte, scrivendo

un libro in inglese. La prima edizione fu pubblicata in due lingue locali: Luganda e Lwoo,

mentre la seconda, raddoppiata di pagine (145), fu tradotta in italiano e pubblicata dall’EMI.

Dall’inizio della campagna al 2006, nessun condannato a morte ha subito l’esecuzione in

Uganda. La campagna ha anche suscitato un movimento in Kenia e in Tanzania. Nella

campagna, il Padre fu seguito solamente da un gruppo di laici.

Il Padre prese questa iniziativa perché ogni offesa ai diritti umani è un’offesa all’amore del

prossimo, base dei Comandamenti (leggi naturali) e della Evangelizzazione. Il diritto alla vita è

la base di tutti gli altri diritti che sono l’anima del regime democratico, sia nella società civile

come nella politica.

Per ampliare il campo dei diritti umani, il Padre aveva già pubblicato in inglese “Il manuale di

ogni cittadino” (Every Citizen’s Hand book) pag. 440 – 1997. In italiano ha pubblicato pure

“Una fiaccola sul mondo. I diritti umani e la Dottrina Sociale della Chiesa” (Biblioteca

Comboniana 2002).

Sono importanti e pratici contributi al lavoro di Giustizia e Pace.

Dal 2002, il coordinamento di GPIC è stato affidato a questo segretariato, il quale inserisce nel

suo rapporto al Capitolo 2003 le seguenti osservazioni.

Alcune difficoltà riscontrate nel campo di Giustizia e Pace

Non tutte le Province/Delegazioni hanno indicato il nome del coordinatore della commissione di

GPIC.

Gli incaricati cambiano con molta rapidità e, a volte, lavorano in zone remote, dove non hanno

accesso ai servizi internet, per cui il loro ruolo di coordinatori e animatori provinciali diventa

difficile.

Analizzando i verbali delle riunioni dei Consigli Provinciali, si nota che 1'aspetto di GPIC è poco

presente. Alcune volte, le Province/Delegazioni fanno 1'analisi della realtà, accentuano le

difficoltà della gente e dei confratelli di cui condividono la sorte; raramente, però, appare una

riflessione e una proposta ben articolata ne11'ambito di un impegno di promozione di GPIC;

un'eccezione va fatta per le due Province del Brasile.

Le Province/Delegazioni, in modo generale, non hanno dato seguito alle iniziative realizzate

nell'ambito della campagna "Break the silence, Peace for,Africa", a parte la Provincia dell'Italia

con le iniziative a livello nazionale, con le carovane della pace. A1 seminario organizzato in

Africa de1 Sud, sulla non violenza attiva, solo la Delegazione dell'Eritrea ha dato un seguito.

Negli incontri dei Provinciali, non sempre, 1'argomento di GPIC entra nell’agenda.

A livello di Province, vi sono state iniziative di Giustizia e Pace che non vengono registrate né a

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livello provinciale né generale. Per esempio, il lavoro di Padre Carlos Rodriguez e di Padre

Tarcisio Pazzaglia in Uganda, nel rapporto del Segretariato, non viene nominato, mentre

quest’ultimo ha ricevuto premi e menzioni in campo civile.

Oltre alle difficoltà sopra esposte, il Rapporto fa notare che la proposta di lasciare ai

Coordinatori continentali il compito di convocare incontri e animare iniziative, non ha portato

frutti. In alcune province vi è un certo immobilismo.

Penso che un tale immobilismo può dipendere da due elementi.

Non si riflette a sufficienza che il lavoro di Giustizia e Pace è proprio dei Cristiani che hanno

come missione particolare la proclamazione e la pratica dell’Amore del Prossimo.

Inoltre molti non distinguono bene il rapporto fra religione e politica. Hanno ambedue una loro

dimensione esclusiva nel loro campo. Ma c’è un campo comune che è quello dei diritti umani

che abbraccia tutti i campi della società umana, incluso il campo politico che non è al di sopra

né fuori dal campo dei diritti umani. Anche i politici possono offendere i diritti umani e spesso

lo fanno con conseguenze molto più gravi dei semplici cittadini, data la loro posizione.

Segretariato animazione missionaria

Questo segretariato ha sempre trovato delle difficoltà dato che in fondo l’animazione

missionaria è fatta soprattutto a livello di ogni casa e dal personale assegnato dalle Province.

Per questo, il Segretariato però, sente il bisogno che gli animatori seguano alcuni corsi.

Tuttavia, molte volte, per necessità di cose, nella animazione missionaria di base, gli animatori

non sono sempre persone pienamente identificate e felici per dare testimonianza ed

incoraggiare a seguire la loro strada.

Non sempre la rotazione del personale addetto alla animazione missionaria ha dato vantaggi

nella metodologia. In qualche caso, l’animatore si è unito a diversi gruppi di animatori

missionari per cui, l’animatore comboniano si è liquefatto nella generalità dell’animazione

missionaria generica. Forse per questo, da questa animazione, i promotori vocazionali non

hanno ricevuto vantaggi. Dall’Animazione Missionaria del Comboni sorsero le vocazioni,

compresa quella del cardinale Lavigerie, fondatore dei missionari/e d’Africa (Padri Bianchi).

Tuttavia, a livello continentale, furono organizzate: per l’Europa, a Madrid, nel gennaio 2000:

per l’Africa di lingua francese a Lomè (Togo) nel marzo 2002, per l’America, a Bogotà nel

giugno del 2002, a Nairobi per la lingua inglese nel novembre del 2002.

Il mezzo più importante dell’animazione missionaria è quello delle comunicazioni sociali.

Infatti, alcune assemblee continentali sono state organizzate solo per questo, come a Lima nel

1999, a Lisbona nel 2002, a Madrid nel 2003. Anche qui e soprattutto in questo campo è

mancato e manca ancora personale qualificato. Però, in questo sessennio, si sono fatti buoni

passi nell’avere dei laici preparati e competenti in questa professione.

Sono incominciate due riviste: Afrique Espoir.a Kinshasa (1998) e Aguiluchos dell’Equador e

Colombia.

Sono terminate due riviste Alò mundo (Brasile) e Comboni mission (USA), però quest’ultima è

stata sostituita da News letter, trimestrale.

Da notare come Sem Frondeiras per giovani del Brasile: ha ricevuto un premio per il suo

accento sui diritti umani. L’Esquila Missional del Messico, quest’anno celebra il suo 50° di

fondazione.

Da lodare il nostro personale che ha fondato e collabora con la Radio gestita dalla Chiesa locale

e da Radio Maria. Sono 10 queste radio.

Questa lode è più che giusta, perché noi missionari siamo a servizio della Chiesa Locale.

Tuttavia posso notare che la rivista “Leadership”, fondata e gestita dai Comboniani, non è mai

stata ufficialmente riconosciuta perché registrata nella Chiesa Locale di Gulu. Oggi, in Uganda,

è l’unica rivista cattolica.

L’Animazione missionaria ha guadagnato molto sia a livello centrale come a quello provinciale e

locale nella preparazione e celebrazione della Canonizzazione del nostro fondatore, Santo

Daniele Comboni.

Eccellente l’impegno di molti confratelli nei mezzi di Comunicazione Sociale.Difatto ecco la lista

aggiornata al 2003.

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Riviste comboniane per ragazzi e giovani

Fondazione 1996-2003

Nome della rivista Anno Luogo Periodicità Tiratura Tiratura

Piccolo Missionario 1927 Verona Mensual 43.000 24.500 -18.500

Aguiluchos 1957 Madrid Mensual 65.000 55.000 -10.000

Audacia 1966 Lisboa Mensual 50.000 50.000

Aguiluchos 1966 Mexico Mensual 45.000 45.000

Aguiluchos 1978 Lima Mensual 20.000 13.000 -7.000

Zikomo 1989 Lunzu (Malawi) Trimestral 4.500 1.200 -3.300

TOTAL 6

Riviste comboniane per il pubblico

Nome della Rivista Anno di

Fondazione Luogo di

Pubblicazione Periodicità Tiratura

1996 Tiratura

2003

Nigrizia 1883 Verona Mensile 30.000 25.000 - 5.000

Comboni Mission 1946 Dublino Trimestrale 10.000 19.000 + 9.000

Além Mar 1956 Lisbona Mensile 30.000 27.000 - 3.000

Esquila Misional 1953 Messico Mensile 40.000 45.000 + 5.000

Mundo Negro 1960 Madrid Mensile 95.000 100.000 + 5.000

Kontinente (1) 1965 Colonia Mensile 100.000 9.000

Sem Fronteiras 1972 San Paolo Mensile 15.000 10.000 - 5.000

1989 Manila Mensile 11.000 6.500 - 4.500

1990 Pretoria Bimestrale 3.600 2.500 - 1.100

New People 1990 Nairobi Bimestrale 22.000 25.000 + 3.000

Sin Fronteras 1979 Bogotà Mensile 16.000 16.000

Mision Sin Fronteras 1978 Lima Mensile 10.500 8.000 - 2.500

Misjonarze Kombonianne 1992 Varsavia Bimestrale 20.000 15.000 - 5.000

Afriquespoir 1998 Kinshasa Trimestrale 6.5000

TOTAL 14

Due osservazioni:

Il “Kontinente” è la rivista missionaria della Germania.

I diversi Istituti rinunciarono alla loro propria rivista. I nostri confratelli, allora chiamati

“Missionari figli del Sacro Cuore”, rinunciarono anche alla loro rivista in tedesco “Stern Der ne

ger” (La stella dei neri) però mantennero un’ altra pubblicazione “Werk der erlosers” (L’opera

del Redentore) che viene pubblicata una volta l’anno, una specie di almanacco annuale.

Quello che possiamo notare è che una animazione missionaria generica di tutti gli Istituti

missionari assieme, difficilmente può diventare promozione vocazionale per un Istituto anche

se questi può inserire qualche articolo in tale rivista.

Fortunatamente il Provinciale di Spagna, d’accordo con il Padre Generale, ha resistito all’invito

degli altri Istituti missionari, negli anni 70, di ripetere la stessa tragedia e così “Mundo negro”

ha resistito e ora conta 100.000 copie.

Segretariato per l’economia

Nel commento sul Capitolo Generale del 1997, diedi un pieno resoconto di questo segretariato.

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Mi limito ora, ai nuovi sviluppi e suggerimenti.

-Innovazioni per il fondo Scolasticati e Centri Fratelli

II Fondo Scolasticati/CIF ha ricevuto dal Capitolo nuove direttive: tutte le province collaborano

alle spese del fondo poiché "le vocazioni sono una ricchezza per tutto l'Istituto", e nella

richiesta di contributi, "si abbia particolare attenzione alla situazione economica delle

province", cioè chi più ha più dia. Dopo il Capitolo si è messo in atto tutto un movimento di

applicazione delle direttive ricevute: il Consiglio per l'economia ha preparato una tabella di

quozienti per ogni Provincia o Delegazione basata sulla sua situazione economica e sulla

valutazione dei pagamenti previsti da questa tabella. II Consiglio Generale ha apportato delle

modifiche secondo il suo punto di vista e sono stati consultati i Superiori Maggiori. Dopo gli

ultimi aggiustamenti la tabella è entrata in vigore.

-Fondo assistenza ammalati

II Fondo Assistenza Ammalati ha pure trovato una nuova linea di gestione: in pratica è partito

ex-novo, mantenendo solo il principio della solidarietà dei Confratelli con coloro che sono

ammalati e di tutte te province tra loro. E' stato abbandonato il principio base che le pensioni

italiane debbano servire da finanziamento delle spese dei confratelli ammalati. Si è lasciato il

beneficio delle pensioni a quelle province dove queste sono pagate ed è stato accettato il

principio delle condivisione: tutti possono aderire al Fondo Ammalati, ma la partecipazione è

libera; tutte le province e delegazioni però daranno un contributo, anche se scelgono una

struttura alternativa al Fondo Generale. Membri del Fondo Generale Ammalati non sono gli

individui, ma le province e delegazioni che iscrivono i loro confratelli di appartenenza giuridica.

Con la stessa procedura di cui sopra, nel Fondo Scolasticati, si è proceduto alla costituzione di

una tabella di indici di partecipazione basata sulla grandezza numerica delle province stesse,

sull'ordine approssimativo delle decine. Il lavoro di preparazione è passato dal Consiglio per

l'economia, al Consiglio Generale, ai Superiori maggiori ed è stato approvato dal C.G. Nel 2002

è stato adattato alla nuova situazione delle province.

-Fondo comune

La proposta capitolare di iniziare un regime provinciale di Fondo Comune, ha permesso di

approfondire il tema, ha fatto discutere e nuove province hanno deciso di intraprendere la

nuova via proposta: Centrafrica - Ciad - Congo - Sud Sudan, oltre al Malawi/Zambia; altre

province, come Spagna e London Province, si sono riconosciute nello spirito proposto,

realizzato con uno stile proprio.

L’economia generale osserva che il Fondo, a volte, si è insabbiato perché esige che tutte le

offerte personali vengano messe in questo fondo ed amministrato dal Consiglio provinciale

secondo le richieste e i progetti: ciò non avviene per l’individualismo dei missionari che hanno i

loro progetti e per questo chiedono le offerte senza confrontarsi sia con il Consiglio provinciale

che con le Comunità.

Talvolta, però, l’individualismo è tale che qualche membro della comunità non fa gli sforzi che

altri fanno per cercare benefattori, scrivere loro frequentemente, mandare rapporti, etc.

-Progetti dell’Istituto realizzati

II C.G. ha preso l'iniziativa e la decisione di alcune opere e si è impegnato nel finanziamento,

chiedendo pure un contributo libero alle province e delegazioni.

•Scolasticato di Kinshasa (CN) -1997/99

•Interventi allo scolasticato di Roma (C) -1997/98

•Interventi alla Casa Eur (C) -1997/99

•Casa di Issy-les-Moulineaux (Parigi) -1999/2003

•Casa di Cracovia (Polonia) - 2000/03

•Rete telefonia-dati in Curia - 2001102

•Cd-ROM "Vostro per Sempre-Daniele Comboni"- 2002103

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•Scolasticato di Pietermaritzburg (SA) – 2002

-Finanziamenti dal Fondo Impegni Futuri (F.I.F.):

II Capitolo '97 ha costituito il Fondo Impegni Futuri con un tetto di USD 500.000 "per

permettere alla DG interventi urgenti, cioè una risposta immediata a richieste ricevute da

province o altre situazioni giudicate urgenti". (n. 183).

-Richieste di progetti accettati e almeno in parte finanziati dal Servizio Progetti

dell’Amministrazione Generale.

Acquisto Centro Afrique-Espoir (CN)- 1998/99 -Debiti della Scuola di Gilgil (KE) 2000 -Missione

di Bibwa (Cn) 2001- Sede di Delegazione (TC) 1998 - Danni di Guerra a Kisangani (CN) 2000 -

CAM Manila (A) 1999/2001 - Noviziato a Lusaka (MZ) 2000 - Noviziato di Cotonou (TBG) 2001-

CAM Beira (MO)1999/2000 - Leadership Centre a Lusaka (MZ) 2000 - Formazione in Congo

2001/02 - Sede di delegazione in Colombia 2002 - CAM (KE) 2000 - MISNA 2001 - Computers

per Comboni College (KH) 2000 - Noviziato di Lusaka (MZ) 2002 - Debiti della rivista “Sem

fronteiras” (BS) 2000 - Arcidiocesi di Khartoum 1998 - Ricostruzione del SAVE (TC) 2001 -

Tangaza College,Nairobi (KE) 2001.

Emergenze:

Fame in Sud Sudan – 1998. Uragano in Guatemala – 1998. Vittime della Guerra Etiopia-Eritrea

– 1999. Alluvione in Mozambico – 2000.

Siccità in Eritrea – 2000.

-Attività annuali del Segretariato per l’economia

Assemblee economi: sono state realizzate le assemblee continentali nel 2001 e quella generale

nel 2002. L'utilità è stata evidente: per l'informazione, la riflessione e la formazione. E' stata

l'occasione di chiarire ed approfondire il funzionamento di vari argomenti di economia ed

amministrazione nei rapporti tra direzione generale e Province/delegazioni. I nuovi economi, e

non solo, hanno avuto modo di essere introdotti ai principi generali di amministrazione in

generale ed applicata ai programmi computerizzati. Nell'assemblea generale de1 2002 è stato

presentato il programma di contabilità "Accorsi" come proposta per quelle province che ne

avessero bisogno e come primo tentativo di unificare la contabilità, là dove è possibile.

-Visita alle province

Centrafrica 1999, Etiopia Eritrea 1999, Tchad 2002, Kenya 2002, Uganda 2002.

In queste visite e raduni si sono richiamate le linee direttive delle regole di vita in materia

economica, direttive spesso sottovalutate se non ignorate anche dai Consigli Provinciali.

Uffici Generali

Nel commentare le attività dei diversi periodi, non ho mai parlato degli uffici generali.Penso

opportuno che, per la storia, si debba conoscere anche il lavoro di questi uffici che spesso è un

lavoro nascosto ma prezioso e necessario per la vita dell’Istituto.

I Archivio storico di Roma (ACR)

Comincio con questo che è forse il meno conosciuto ma, molto impegnativo come si può

vedere dal rapporto sessennale.

Introduzione

- Questa relazione deve essere letta nell'ottica degli altri due settori dell'Archivio generale, i.e.:

1'Archivio corrente (sala della Consulta) e 1'Archivio di deposito (presso la Segreteria generale).

- Gli Uffici generali contribuiscono pure, con versamenti periodici, a completare la

documentazione atta a testimoniare storia e tradizione dell'Istituto.

- Sebbene il settore sui Beni Culturali sia trattato brevemente a parte, il contenuto di questa

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materia costituisce per i contenuti stessi dei documenti, un prezioso fondo archivistico.

GESTIONE DELL'ACR

Per gestione si intende 1'insieme delle attività per cui l'ACR, vive e si rinnova, diventando uno

strumento fruibile in primis dal Consiglio Generale, poi dall'Istituto in tutti i suoi membri e a

ricercatori interessati alla nostra storia. Divido la materia facendo riferimento sia ai settori che

alle priorità.

Priorità:

PROTOCOLLO: c'è stata attenzione ad ogni richiesta dando la precedenza al Consiglio Generale

e alla Segreteria generale. L'aumento di domande è continuo, soprattutto da parte di persone

esterne all'Istituto, è un servizio estremamente impegnativo.

DEFUNTI MCCJ: particolare attenzione viene data alla conservazione della memoria dei nostri

defunti, essa costituisce il meglio della nostra storia. Sono state riordinate le cartelle personali

(1400 circa) ed integrate con la collocazione in 'Caselle' di scritti o diari da loro lasciati.

RESTAURI: continuando nell'opera di restauro - lodevolmente e precedentemente terminata

per gli scritti del Fondatore - ora vengono curati i documenti relativi ai suoi successori come

Vicari Ap.ci e ai discepoli e i libri manoscritti dell'inizio dell'Istituto (per esempio: Libro

Capitolare, 1899-1940). In questa necessaria opera di restauro viene impiegato quasi tutto il

budget annuale dell'ACR.

TRASCRIZIONI: restavano non solo inedite ma nemmeno trascritte la maggior parte delle fonti

storiche lasciate dai compagni del Comboni e dai personaggi che sono venuti a contatto con

lui. Da alcuni anni una suora comboniana, è impegnata in questo lavoro. Ciò viene fatto nella

prospettiva di attuare la pubblicazione integrale delle FONTI STORICHE COMBONIANE.

RICERCHE: le ricerche d'archivio - che indicano la vitalità di questa struttura - vanno distinte in

- Ricerche fatte dall'archivista in risposta a domande di confratelli/estranei che non possono

venire in ACR o non saprebbero organizzarsi da soli. Non sono impegnative per gli

approfondimenti, ma per la varietà delle richieste.

- Ricerche condotte da ricercatori seri: numericamente sono poche ma danno prestigio all'ACR

per le pubblicazioni che vengono prodotte.

NUOVI REPERTI: sono una sessantina i documenti che arricchiscono il nostro patrimonio sul

Fondatore. P. Aldo Gilli aveva già iniziato a raccoglierli (alcune centinaia) ed ora - per merito

anche di ricercatori amici e frequentatori di archivi storici - potranno essere presentati alla

Famiglia Comboniana. La ricerca continua con successo.

Altre attività dell'ACR:

I settori/attività che verranno qui di seguito elencati sono essenziali per 1'ACR. Per la loro

specificità non implicano urgenza. Perciò, anche se non sono stati disattesi, risentono di

pesanti ritardi. Solo un organico più ricco potrà far recuperare queste inadempienze.

SEGNATURA ARCHIVISTICA: è un compito impegnativo e complesso con tre fasi di attivazione:

1 - Scarto: è la valutazione del documento per verificarne la validità storica. Non può mai

essere eseguito da una persona singola: per questo esiste un Consiglio di gestione.

2 - Segnatura: ogni documento, per essere rintracciabile in vista di consultazioni, deve avere

una sigla che lo identifica.

3. Collocazione: Posizionare in una "casella" richiede la formazione di un "fondo" che unisca

documenti riferibili ad un unico soggetto, per quanto è possibile.

COMPUTERIZZAZIONE: la mancata computerizzazione sembra la più evidente lacuna nella

gestione dell'ACR in questi anni.

In certa misura è vero, a condizione però che non implichi un presunto danno alla ricerca. Per

le seguenti ragioni:

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- Ai Convegni degli "Archivi storici", su questo argomento, si è sempre parlato della

computerizzazione degli inventari e schedari. Non della documentazione.

- Questo compito viene affidato ad un informatico e non può essere assunto dall'archivista.

- Finora la ricerca non è stata intralciata dall'assenza della computerizzazione degli inventari.

ARCHIVIO FOTOGRAFICO CENTRALE: pur essendo considerato un settore dell'ACR, il nostro

patrimonio di media è così vasto che potrebbe impiegare a tempo pieno una persona.

La "conservazione" di questo materiale è molto più delicata di quella dei documenti. Non

possediamo ambienti adatti a ciò, né tecniche né possibilità adeguate.

Inoltre sia le riviste che Comboni Press sono diventati i contenitori naturali - insieme con le

tecniche legate ai computer - della nuova produzione nei vari campi. Bisognerebbe sentire

almeno il dovere di conservare il patrimonio del passato. Un ultimo rilievo sui contenuti: a

parte dei progressi tecnici non mi risulta che le nuove immagini siano più ricche nel descrivere

sia i momenti dell'evangelizzazione che delle culture.

I BENI CULTURALI MCCJ

- Su mandato del XV Capitolo Generale, la Consulta ha approvato la Legislazione nell'ottobre

1998. Essa è entrata in vigore il 19 marzo 1999.

- Su MCCJ Bulletin (Gennaio-Aprile 1999, n. 202) oltre al testo della Legislazione stessa,

c'è un articolo che ne illustra il significato e, perciò, i valori che essa contiene.

- Ai Provinciali/Delegati sono state inviate/consegnate le due lettere circolari della Pontificia

Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, i.e.:

La funzione pastorale degli archivi ecclesiastici, de12 febbraio 1997;

Necessità e urgenza dell'inventariazione e catalogazione dei Beni Culturali della Chiesa, dell'8

dicembre 1999.

I contenuti e le direttive di questi documenti - destinati alle diocesi e Istituti di tutta la Chiesa -

saranno certamente servite nell'attuazione della nostra Legislazione.

ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE

PROVINCE/DELEGAZIONI: è comprensibile che questo nuovo atteggiamento della Chiesa di

fronte ai beni culturali, anche se codificato in una legislazione, esige tempi lunghi per entrare

nella prassi e dare i suoi frutti.

Si potrà avere un panorama generale leggendo le relazioni al Capitolo. Lo spazio e 1'evidenza

che sarà data all'argomento indicherà il cammino che si è fatto. Per ora, ogni giudizio sarebbe

prematuro.

RISONANZE NELL'ACR: nella gestione dell'ACR ho notato segni di valenze diverse su questo

argomento.

- Esiste un rapporto diretto fra consapevolezza di appartenere alla Chiesa e capacità/interesse

per i nostri Beni Culturali che incarnano nella storia sia 1'evangelizzazione che la tradizione.

- Più dei soggetti istituzionali preposti a questo compito, sono i singoli - pochi in verità, ma

sparsi in diverse circoscrizioni - che privilegiano questi valori. Il tema rientra evidentemente

nell'ambito della formazione permanente dove ogni comboniano ne è il primo responsabile.

- Gli archivi, le biblioteche ed i musei sono gli ambiti dove i Beni Culturali vengono conservati,

progressivamente arricchiti e consultati. Non sembra che siano strumenti e luoghi privilegiati.

Ciò è in controtendenza con la cultura moderna che invece riscopre sempre di più la memoria

del passato e la documenta.

- A parte alcune lodevoli accezioni, 1'anello più debole è la categoria degli anziani. In termini

archivistici si può indicare la data dei 50 anni come quella ideale per un bilancio della propria

esperienza ed un impegno per tramandarne la memoria. Si notano - sempre con le eccezioni

già ammesse - due tendenze opposte. Da una parte, un accumulo di esperienze e di

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documentazione continue e non finalizzate. Altri sembra si ritirino dalla scena della missione,

distruggendo perfino le loro testimonianze scritte o affidandole a parenti/amici fuori

dell'Istituto.

- Infine, per ciò che riguarda i soggetti istituzionali, è la comunità locale che sembra meno

attenta al problema. L'attività spesso frenetica non permette di trovare spazi per questi temi

considerati marginali. Si rischia di omologarsi alla società moderna ricca di cose superflue e

povera di quelle essenziali.

CONSIDERAZIONI FINALI E PROPOSTE

Nostro contributo alla conservazione della memoria nelle Chiese e culture dove siamo presenti:

la storia dei MCCJ è iniziata con il Fondatore e i primi confratelli impegnati nello studio delle

lingue; la conoscenza dei costumi e 1'inculturazione del Vangelo. Mutati i tempi ci si dovrebbe

mettere come Istituto sulla linea dell'IAMS (International Association for Mission Studies). In

un convegno organizzato presso il CIAM mesi fa, si è trattato proprio di questo argomento.

Sono stati pure mostrati i risultati raggiunti - in particolare dalle missioni protestanti - per la

conservazione della memoria e delle culture. Due sono state le caratteristiche evidenziate. La

partecipazione delle popolazioni stesse nella ricerca e le tecnologie moderne impiegate.

Provincie responsabili della conservazione della memoria dei loro defunti: con la provvidenziale

e progressiva istituzione dei CAA (Centri Assistenza Ammalati) si è risolto il problema

dell'assistenza. Se ne sono aperti altri. Chi conserva la memoria? Con quali mezzi e in quali

tempi? Un comboniano può morire sia lontano dalla sua provincia d'origine sia dalla sua

missione. L'ACR non può continuare ad essere il depositario della memoria a queste condizioni.

La memoria dei modelli: nella nostra Regola di Vita (1.4) il patrimonio spirituale nostro è

costituito anche dalla vita di "chi ha offerto la migliore esemplificazione del carisma originario".

Pochi di questi modelli sono stati identificati e si conosce lo specifico della loro testimonianza.

Le biografie recenti - provvidenziali e merito di pochi agiografi convinti del valore della

testimonianza - sono spesso frutto dell'iniziativa di parenti, amici e parrocchie. Mentre questo

deve continuare, 1'Istituto dovrebbe farsi carico della responsabilità di ricordare chi,

nell'evangelizzazione, formazione ed animazione missionaria attualizza la presenza e il carisma

del Fondatore nella nostra storia.

Narrazione della morte: un altro aspetto che sta scomparendo da noi è la "narrazione della

morte dei MCCJ". Ci conformiamo in questo modo alla civiltà moderna che occulta il morire e

perdiamo il tesoro dell'atto supremo della vita. Non serve dilungarsi su questo: basti vedere il

problema alla luce dal cristianesimo.

Istituti e Movimenti nati da MCCJ: esiste una ricchezza nascosta che è costituita dai valori

riconosciuti nella Chiesa e che hanno una radice comboniana. Senza voler interferire

nell'autonomia di queste nuove realtà, le singole Province dove esse si sono radicate

potrebbero seguirne lo sviluppo e, periodicamente, far conoscere al Consiglio Generale queste

realtà. Spetterà poi ai superiori giudicare come queste notizie possono servire a tutto

1'Istituto. Lo stesso - e in modo analogo - si può dire dei Vescovi comboniani.

Roma, 14 maggio 2003 P. Pietro Ravasio, mccj Archivista

Procura Generale: punti principali

Servizio amministrativo per diocesi e altri enti

Fino al dicembre 2000, la Procura generale ha prestato alcuni servizi di contabilità e

amministrazione per i Vescovi comboniani (17), e altri Vescovi di 26 diocesi dove i Comboniani

sono presenti. Inoltre si è tenuta la contabilità di piccoli Istituti missionari e religiosi fondati da

Comboniani e da non Comboniani (13), Seminari (6), Ospedali (6} e altre opere. Il capitale era

depositato in titoli e obbligazioni (non azioni) presso lo IOR del Vaticano. Una piccola parte

degli interessi era trattenuta per le spese di Procura; il resto era corrisposto ai proprietari dei

conti ogni sei mesi. Negli ultimi anni il capitale era ridotto di molto, come pure gli interessi.

Prima del cambio del Procuratore (l.l.'0l), il Consiglio Generale decise e attuò il trasferimento di

tutti i conti della Procura presso 1'economato generale, continuando così lo stesso servizio alle

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Chiese locali.

Servizio di rappresentanza

Nel Direttorio della Direzione Generale (Roma 1997), che applica la RV 141, si dice che "Il

procuratore generale collabora con il Consiglio generale nel presentare e seguire gli affari

dell'Istituto presso la S. Sede, patrocinando una reciproca conoscenza e intesa" (n. 81). Un

compito che a volte presenta difficoltà da gestire con equilibrio e pazienza.

Gli organismi vaticani con i quali si hanno i contatti più importanti e frequenti sono:

- Segreteria di Stato (corrispondenza e udienze), e le Congregazioni per la:

- Evangelizzazione dei Popoli (udienze, richieste di aiuti e atti civili, giuridici e legali),

- Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica (dispense dai voti perpetui,

esclaustrazioni e incardinazioni, altri permessi),

- Culto Divino e Disciplina dei Sacramenti (laicizzazioni e dispensa dal celibato),

- Chiese Orientali (cambio di rito),

- Educazione Cattolica (temi relativi a scuole)

e altri dicasteri e uffici vaticani su richiesta dei Superiori della Curia e altri confratelli.

Vi sono inoltre altri incontri ed eventi di vita ecclesiale in cui la presenza è richiesta, o conveniente.

I confratelli che lasciano l'Istituto

È questo il settore più delicato e impegnativo per il procuratore. I confratelli in situazioni

particolari (fuori Comunità –FCM-, in attesa o in processo di laicizzazione, dispensa dai voti,

esclaustrazione, incardinazione, dimissione, ecc.) costituiscono una "provincia sommersa". La

lista di confratelli FCM, che figura nell'Annuario Comboniano 2002, è solo parziale e indicativa

di una realtà più vasta.

Trattare con questi confratelli in difficoltà, in vista di una soluzione anche giuridica del loro caso, è

compito anzitutto del superiore provinciale/delegato e, in seno al CG, del vicario generale. Il

procuratore generale interviene, su richiesta e indicazioni del CG, per preparare e inoltrare le

pratiche presso i dicasteri vaticani competenti, allo scopo di regolarizzare le situazioni anomale.

Riguardo a questi confratelli, le domande che molti mi rivolgono sono sempre queste: quanti

sono? perché sono usciti? come aiutarli? Cominciamo con la prima domanda.

Quanti sono?

In tutto 1'Istituto, dal 1887 al 2001, su un totale di 4505 professi ne sono usciti 1780 (40%),

di cui: scolastici 925 (27%), sacerdoti 398 (12%), fratelli 457 (43%).

Nel 2002 gli usciti dall'Istituto sono stati 26: 3 padri; 6 Fratelli; 17 scolastici. Nel 2001 erano

stati 25: 1 padre; 6 Fratelli; 18 scolastici. E così possiamo scorrere i dati per ogni anno nel

primo numero del MCCJ Bulletin. Ciò significa che 1'abbandono dell'Istituto è ancora

consistente, e non tende a diminuire... Nel sessennio 1997-2003, i casi regolarizzati con

decreto della S. Sede sono stati 38:

- laicizzazione per 9 sacerdoti e 1 diacono;

- dispensa dai voti perpetui per 7 Fratelli e 2 scolastici; - esclaustrazione per 9 sacerdoti

- incardinazione per 10 sacerdoti

Una dozzina di confratelli sacerdoti hanno iniziato un processo di laicizzazione, ma si devono

ancora completare i documenti, sia da parte degli interessati come da parte dei superiori

provinciali/ delegati.

Casi "antichi"giacenti da decenni...

Sono un numero imprecisato (qualche decina) i casi di confratelli sacerdoti che da qualche

decennio hanno lasciato 1'Istituto, senza aver ancora regolarizzato la loro situazione; sono casi

di abbandono del celibato e del sacerdozio (soprattutto casi di dimissione), come pure casi dí

esclaustrazioni che si sono prolungate arbitrariamente.

Perché hanno lasciato?

Seguendo l'analisi sui documenti fatta da P. Manuel Joao, soprattutto per i sacerdoti e i Fratelli

di VP usciti nel periodo 1980-2001 (Segretariato per la Formazione), le motivazioni dominanti

e secondarie dell'uscita appaiono in quest'ordine, secondo í gruppi:

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- sacerdoti laicizzati e Fratelli di VP:

1 ° difficoltà nel campo affettivo, cioè nel celibato (41 %)

2° difficoltà nella vita comunitaria (40%), voto di obbedienza (20%) 3° scarsa identificazione

verso 1'Istituto (34%}

4° inconsistenza vocazionale di base (30%)

5° dipendenza da condizionamenti sociali, familiari, psicologici (23%)

- sacerdoti incardinati:

non identificazione con il fine specifico ad gentes dell'Istituto comboniano (30%)

Come aiutarli?

Comprensione, pazienza e accoglienza (soprattutto per chi è in difficoltà, o sta sbagliando...)

tempestività e franchezza (intervenire a tempo, portando e chiedendo chiarezza) coinvolgere la

comunità religiosa ed altri elementi sani dell'intorno...

Più a monte: scelta più accurata ed esigente dei candidati.

Un tempo di decantazione. Non è male lasciar passare del tempo (anche uno o due anni) dopo

1'uscita de facto e prima di iniziare un processo di laicizzazione, esclaustrazione o

incardinazione, salvo in casi particolari (punto di morte, grave malattia, speciali situazioni di

scandalo per i fedeli...). La semplice fretta di contrarre matrimonio religioso non è sempre una

buona consigliera.

Mantenere i contatti con gli usciti, soprattutto per portare avanti e concludere il processo

iniziato, cioè 1'elaborazione dei documenti necessari. Una volta arrivati ad una chiarezza e

serenità sul caso, non conviene dilungare inutilmente i tempi, ma procedere verso la

conclusione del caso.

Normalmente, se la documentazione è completa, le richieste di dispensa dal celibato e dagli

impegni del sacerdozio sono accolte favorevolmente nel giro di 2-3 mesi; per il diaconato in

15-20 giorni; per la dispensa dai voti perpetui (caso di Fratelli, scolastici, incardinazioni} in

una settimana.

Nel rescritto di concessione della grazia chiesta (dispensa) sono indicate alcune clausole che è

bene spiegare agli interessati e invitarli a rispettarle e soddisfarle (compresa una piccola

penitenza...). Salvo eccezioni, l'unico caso di attesa obbligata riguarda i sacerdoti al di sotto

dei 40 anni.

Per i sacerdoti sub-401'iter della dispensa è più esigente e lento, o rimandato fino ai 40 anni.

(Vedi le istruzioni ad hoc della Congregazione per il Culto...: 6.6.1997; 11.3.1998).

Postulazione Generale: punti principali (1997-2003)

E’ l’ufficio per la Beatificazione e Canonizzazione di persone sante sia comboniane come

cattoliche abitanti nei nostri territori si missione.

In questo periodo sono state completate con successo la Canonizzazione del nostro Santo

fondatore (2003) di cui ho già abbondantemente parlato e la Beatificazione dei due martiri Acholi

(2002) (cause pendenti nel 2003).Mons. Antonio Roveggio, secondo successore del nostro

fondatore. La sua santità e il suo eroismo aveva lasciato orme dalla sua morte. La ricerca fu

intensificata dal 1952 al 1954. La cosiddetta “Copia pubblica” fu consegnata alla Postulazione della

Congregazione delle cause dei Santi nel 1969. Ma l’intensità del lavoro che ha richiesto la

canonizzazione di St. Daniele Comboni, interruppe ogni ricerca su mons. Roveggio.

Ora, dopo la Commemorazione centenaria della morte a Verona il 7 giugno 2002 e varie

conferenze tenutesi in quel di Cologna Veneta, si avverte la necessità di una seria indagine

storica che venga a completare le deposizioni giurate del processo rilasciate da testi a tutti gli

effetti autorevoli per conoscenza diretta, qualità personali e incarichi disimpegnati. Esigenza

che si rivela tanto più urgente in quanto che il Processo Roveggio deve considerarsi a tutti gli

effetti un Processo storico. Poco tempo invece richiederanno i due Processi sulla continuata

fama di santità che dovranno essere istruiti a Verona e a Khartoum e i cui vescovi hanno

offerto già la loro piena disponibilità.

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Causa del Servo di Dio P. Bernardo Sartori

Il Processo diocesano fu aperto ad Arua il 25 marzo 1998 dal vescovo mons. Frederick

Drandua, con un'appendice rogatoriale a Gulu, e seguito in loco dal Vice-postulatore P. Mario

Marchetti. Alcuni mesi dopo si iniziavano due Rogatorie a Troia, 1' 11 febbraio 1999 e a Treviso

1' 8 marzo dello stesso anno. Il Processo si protraeva per quasi tre anni, durante i quali erano

escussi 130 testimoni e raccolte quasi 6000 pagine dì documenti.

Concluso in tutte le sue sedi (Treviso: 14 giugno 1999; Arua 14 marzo 2000 e Troia 3 giugno

2001), non potendo inviare alla sede del Processo principale (Arua) tutta 1'enorme mole di

documentazione raccolta, tutto fu riunito a Roma immediatamente dopo la chiusura del

Processo Rogatoriale di Troia. Da allora giace nella Congregazione delle Cause dei Santi, la

quale non ha ancora rilasciato il voto di validità per mancanza di documenti o per difetto di

formalità giuridiche. Sono già stati richiesti i documenti mancanti sperando con ciò di rimettere

in moto la Causa, peraltro seguita con molto interesse al di fuori dei nostri ambienti.

Nel frattempo si è seguito un evento prodigioso, cura di tumore al pancreas, e già erano stati

fatti i contatti necessari sia in diocesi di Treviso, dove il fatto era accaduto, sia tra i testi tecnici

(professori, medici, infermiere), e sia tra i testi che erano stati all'origine dell'invocazione.

Tutto sembrava dover aver inizio per la metà di maggio del corrente anno, allorché sono state

sollevate imprevedibili difficoltà dal punto di vista medico. Attualmente si sta facendo valutare

il caso da una équipe medica di Lione. Le speranze comunque, di un possibile Processo "super

miro", sembrano allo stato attuale minime.

Accanto a queste attività di ordine procedurale, ci sono state anche delle iniziative di carattere

informativo e di appoggio finanziario alla Causa. Così è stato ristampato il libro di p. Gaiga La sfida

di inz uomo in ginocchio, è stato pure stampato un libretto: Pensieri di padre Sartori e 4 numeri

degli Amici di Padre Sartori, oltre naturalmente a santini in varie lingue e un poster con Ia data

d'inizio del Processo. In concomitanza con le varie Cause che arrivavano alla meta, questa attività

è venuta meno, non per mancanza di interesse o di materiale divulgativo, ma semplicemente per

mancanza di tempo. Comunque la figura di P. Sartori continua, soprattutto a1 di fuori dei nostri

ambienti, a suscitare ammirazione e venerazione. Ne è segno eloquente 1'interesse con cui le

persone seguono 1'iter della Causa e la celerità con cui la vorrebbero conclusa.

Causa del servo di Dio P. Giuseppe Ambrosoli

La Causa di P. Ambrosoli, fu iniziata a Kalongo il 22 agosto 1999 da mons. John Baptist

Odama, con 1'aiuto del Vice-Postulatore p. Mario Marchetti. Integrata con un Processo

Rogatoriale a Como, il 7 novembre dello stesso anno, si è conclusa il 30 giugno 2001, data in

cui fu consegnata alla Congregazione delle cause dei Santi in Roma.

Da allora giace nell'Archivio della Congregazione delle Cause dei Santi, la quale non ha ancora

rilasciato il voto di validità per mancanza di documenti o per difetto di formalità giuridiche.

Sono già stati richiesti i documenti mancanti sperando con ciò di rimettere in moto la Causa,

peraltro seguita con molto interesse al di fuori dei nostri ambienti.

Per quanto concerne il capitolo delle grazie speciali, che potrebbero portare a un Processo, non

c'è alcun segnale. Era stato segnalato un evento prodigioso a Como, che poi ad un attento

esame non riusciva a configurare un quadro clinico al di fuori di ogni spiegazione scientifica.

Alcuni nomi in lista

Padre Ezechiele Ramini, per il quale il Consiglio Generale ha dato il suo benestare nel 2001.

Però poco è stato fatto per Fr. Giosuè …..

Altri nomi suggeriti: Fr. Sergi e Fr. Fanti Vittorio, ispirato pittore, Mons. Negri (+1949 –

vescovo di Gulu per il quale la diocesi di Gulu è già in azione.

Roma – maggio 2003 Arnaldo Baritussio

RELAZIONI DELLE PROVINCE

Introduzione

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Le relazioni del Distretto della Curia, Delegazioni, Province seguono lo schema proposto dalla

Direzione Generale. Tale schema è una verifica del programma assegnato all’Istituto per

questo sessennio dal Capitolo del 1997.

Ripartire dalla Missione

Vuol dire giudicare l’attività dei Comboniani a seconda del come hanno vissuto e vivono la

missione giudicata nei suoi diversi aspetti e cioè la missione vissuta:

nella fraternità e nella collaborazione in spirito di vera comunione

nell’Animazione Missionaria, attenzione alla persona, servizio dell’autorità condivisione di beni,

inculturazione e dialogo, impegno per la giustizia e pace.

Le risposte mostrano una buona situazione che naturalmente differenzia a seconda dell’ambiente

di ogni provincia, della situazione del personale, specialmente dei Superiori sia Provinciali che locali

e della difficoltà di relazioni non tanto personali quanto di differente formazione teologica liturgica e

Biblica a seconda dei diversi Scolasticati.

La “Missione” è il fine del carisma comboniano ma la strada di questo cammino è discutibile

quando si discute sulla Missione stessa.

Problemi particolari

Vita comunitaria

In generale si osserva una certa regolarità nella pratica di orario, anche di preghiera.

Non mi pare però di aver trovato in qualche relazione provinciale sulla vita della comunità, la

percentuale di confratelli che praticano abitualmente l’ora di preghiera personale, secondo la

regola di vita n.49,1.

Sembra sia tabù parlarne anche nei consigli di comunità. In qualche relazione provinciale si legge

chiaramente “Nei Consigli di comunità difficilmente si riesce a portare alla discussione sulla

condivisione di esperienza di vita spirituale e di fede eppure non siamo ancora sufficientemente

cresciuti nella condivisione interiore e nell’attenzione alla cura spirituale dei confratelli”.

Si legge anche nella relazione di una Provincia (Malawi – Zambia): la televisione ed il computer,

possono ostacolare momenti di vita comunitaria.

Un’altra Provincia con molta onestà scrive: “Abbiamo confratelli che vivono con molto coraggio

la loro vocazione missionaria e comunicano il carisma del Comboni, ma abbiamo altri che

orientano la loro vita ad una attività esagerata per emergere personalmente (protagonismo)

per cui le dimensioni della vita comunitaria apostolica vengono schiacciate “esquicidas”. Si nota

pure una prevalenza dell’aspetto sociale della missione apostolica: questo succede perché è più

facile fare cose (creare strutture, costruire) che evangelizzare in profondità (Mozambico).

La stessa osservazione viene dalla Delegazione dell’Eritrea: “La condivisione di fede e preghiera ha

migliorato anche se il “lavoro” riesce ancora: forse troppo di frequente ad avere la precedenza”.

Tali osservazioni sembrano abbastanza frequenti nei rapporti. Per questo una provincia (Brasile

Nord) insiste sul recuperare, come rimedio, la figura del Superiore come animatore della comunità.

Spiritualità

In seguito a quanto detto sopra, in alcune province si suggerisce di ricuperare la spiritualità.

Qualcuno “forte” spiritualità missionaria (Brasile Sud) altre più giustamente spiritualità comboniana

(Etiopia).

Altre “Vivir la autenticidad y la riqueza del carisma comboniano” (Colombia e Centro America).

Di solito noi diciamo che il nostro carisma è “ad Gentes”; questo mi suggerisce un commento.

L’“ad Gentes” indica il fine del carisma, non il carisma stesso. Questi include non solo il fine “ad

Gentes” che c’identifica come missionari ma anche la chiamata stessa (vocazione) e la spiritualità

comboniana che ci identifica come missionari comboniani. Noi riceviamo il dono della vocazione da

Gesù mediante il Fondatore. Questa mediazione ci propone la spiritualità comboniana e cioè

l’amore di Dio e del prossimo e la fedeltà alla Chiesa. Questo amore in Comboni ha come simbolo il

Cuore trafitto di Cristo: questo ci indica che il nostro amore si estende sia alla proclamazione del

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messaggio Evangelico come alla promozione umana: Cristo Signore infatti ama anche con amore

umano, così come è nel suo corpo completo, ma immateriale in Paradiso.

Questo amore completo è il vero amore che include anche l’amore alla Chiesa, che l’amore di

Cristo ci ha lasciato per continuare la sua opera di santificazione e felicità anche in terra (vedi le

Beatitudini).

Missione come dialogo

Non si può prescindere oggi dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se

evita ogni ambiguità che in qualche modo indebolisce il contenuto essenziale della Fede

cristiana in Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini e nella Chiesa Sacramento di salvezza per

tutta l’umanità.

Questo è il principio fondamentale del dialogo tra diverse religioni e tra cristiani.

I rapporti delle Province differiscono secondo i diversi paesi.

Dialogo con l’Islam:

alcune relazioni non ne accennano, come il Kenya, le province dell’America Latina.

Mentre nella NAP si riferiscono alla influenza che i Padri Archie Fornasari e Charles Walter

hanno avuto nella Unione Teologica Cattolica e hanno influito sul dialogo interreligioso con

speciale accenno all’Islam.

In Africa il problema è sentito un po’ dappertutto.

a-1. Sudan: si denuncia lo sforzo del Governo di Khartoum di Islamizzare anche il Sud.

Anche se la Sharia è una legge religiosa, l’Islam non fa alcuna distinzione tra società religiosa e

politica (=Umma), e quindi la comunità islamica – per sua natura – deve vivere secondo la

Sharia.

Il Governo si serve dell’Educazione per islamizzare il Sudan. In un primo tempo il Governo ha

arabizzato ed ora è in un avanzato stadio di islamizzazione; non senza pressione sulle nostre

scuole e università, per l’attuazione del suo piano.

Così ora nelle città maggiori e nei centri abitati le nuove generazioni del Sud, usano la lingua

araba, e la ricca varietà di lingue tribali sta scomparendo. E’ in aumento una crisi d’identità che

conduce all’abbandono di tradizioni tribali, prima di tutte quella della “leadership” degli anziani,

dei capi tradizionali. Tutto il costrutto della società, sud-sudanese è ora lacerato dalla guerra e

dall’islamizzazione.

Come conseguenza di forzati spostamenti di intere popolazioni e del decadere di strutture

sociali tradizionali, risultano difficili, se non impossibili – la normale occupazione nel lavoro,

sanità, educazione, ecc… La povertà generalizzata, la corruzione, l’abuso della legge e del

potere da parte della polizia, permette al governo di esercitare il suo cattivo influsso su Sudisti

e Nordisti.

La Chiesa Cattolica è in uno stato di continua emergenza. Il piano politico del paese è di

frustrare l’attività della Chiesa Cattolica e particolarmente dei missionari. Tuttavia, nonostante

queste difficoltà – la gente si rende sempre più conto del bisogno del rispetto dei diritti umani,

della giustizia sociale e della pace.

E si lamenta per la mancanza di personale preparato per le Scuole e l’Apostolato. Infine

conclude con un giudizio piuttosto severo.

La Chiesa è incapace di sfidare l’Islam e spesso non è libera da pregiudizi che determinano la

sua “policy” e il suo contatto con le autorità. E questo ha i suoi effetti deleteri nel negarci

“l’entry permits” e sul modo con cui il Governo pensa di noi. C’è poi una seria crisi di fatto nella

Chiesa locale e che dà motivo ad “altre Chiese” o sette religiose a critiche e attacchi.

a-2. Egitto

L’Egitto è il paese con la più grande influenza nel mondo Islamico, attraverso la famosa Università

Islamica Al Azhar, frequentata da migliaia di studenti di varie nazionalità Africane e Asiatiche.

Il dialogo è perciò una priorità della Delegazione e si è attuata specialmente in due luoghi: il

Centro di Studi Dar Comboni e la Scuola Santa Famiglia di Heluan.

L’Istituto Dar Comboni è ora una istituzione ben consolidata. Le comboniane hanno cooperato

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provvedendo una consorella che lavora a tempo pieno per l’Istituto. Tra poco gli studi e i titoli

accademici dovrebbero essere riconosciuti dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica.

L’Istituto ha sviluppato un suo proprio metodo d’insegnamento della Lingua Araba e gode di

una considerevole stima e apprezzamento da tutta la Chiesa del mondo Arabo. Nell’anno 2002-

2003 c’erano 47 studenti a tempo pieno provenienti da 31 differenti nazionalità (18 dall’africa,

9 dall’Asia, 11 dall’Europa e 12 dall’America). Gli studenti “part time” erano 35. Recentemente

il fabbricato è stato ingrandito per meglio far fronte alle nuove esigenze dell’Istituto.

L’Istituto Dar Comboni è assistito da una comunità comboniana i cui membri hanno anche altri

impegni nel campo del dialogo interreligioso;

insegnamento al PISAI in Roma;

corsi d’introduzione all’Islam a richiesta delle Chiese locali Africane;

contatti e relazione con le organizzazioni Mussulmane Egiziane e i gruppi di dialogo

interreligioso.

Purtroppo, per quel che riguarda l’ultimo punto, molto deve essere ancora realizzato.

Cooperazione col PISAI: un nuovo accordo fu firmato nel 2000, per un periodo di sei anni. Esso

adatta il precedente accordo del 1997 alle nuove esigenze: fu però attuato solo parzialmente.

La scuola di Heluan ha lavorato ormai per più di cento anni ed ha educato migliaia di Cristiani e

Mussulmani. Attualmente ci sono circa 1800 alunni e, come nella maggior parte delle scuole

cattoliche in Egitto, più della metà di essi Mussulmani: circa il 45% sono Cristiani: tra di essi

pochi sono i cattolici.

Sanità ed educazione sono i due principali campi in cui la Chiesa può operare nel Mondo Arabo

e vivere la sua silenziosa testimonianza al Vangelo.

In altri paesi dell’Africa i Mussulmani non sono in maggioranza per cui troviamo situazioni

differenti.

a-3. Etiopia: l’Islam è arrivato dopo il Cristianesimo: per questo c’è una tradizionale pacifica

coesistenza tra cristianesimo e islamismo; il paese si presenta come posto privilegiato per il

dialogo. Però si è fatto poco: un workshop per i confratelli e agenti pastorali per una

conoscenza dell’Islam e sue sfide. In Provincia vi è un confratello che ha terminato gli studi in

Islamologia: occorre però studiare iniziative per dare ai cristiani una sufficiente conoscenza

dell’Islam e creare la coscienza della crescente influenza dell’Islam nel paese, data la loro

crescita numerica e di potere economico-politico.

a-4. Eritrea: la situazione è pacifica. L’Islam è molto forte. Però, dato che per loro religione e

politica sono inseparabili, nel dialogo si fa ben poco progresso. Dove l’Islam non è così inserito

(e.g. fra gli Elit – zona di Haykota)- abbiamo la speranza di poter avere in seguito un dialogo

significativo. A livello sociale i Cristiani e i Mussulmani sono sensibilmente affiatati (s’invitano a

vicenda a celebrare le loro feste, ecc.).

Nel Togo la situazione sembra pacifica perché « Avec l’Islam il n’y a pas de dialogue Chacun

fait son chemin ».

In qualche altra Provincia dell’Africa vi è qualche preoccupazione come in Tchad e Malawi –

Zambia.

a-5. Tchad

L’Islam représente au Tchad un défis missionnaire urgent d’autant plus qu’il n’y a pas un

consensus pastoral entre les diocèses à son égard.

L’Islam n’est pas seulement une réalité du nord du pays. Il se repend et touche tous tissus

sociaux du nord et du sud: notre pastorale doit en tenir compte. Depuis commencement du

sexennat nous avons opté pour une ouverture dans la capitale pur travailler avec l’Islam et

collaborer avec l’Eglise dans la rencontre islamo-crétienne mais ce n’est qu’en octobre 2002

que nous avons ouvert uné présence combonienne. N’djamena avec cette finalité. Ce choix n’a

pas été très populaire dans les milieux ecclésiaux du sud où nous sommes présents.

Actuellement nous n’avons pas en Province des personnes préparées pour le travail de

l’archidiocèse de N’Djamena nous demande. Nous attendons instamment le personnes qualifié

(un arabisant) que la DG doit nous envoiier. De nōtre cōté nous avons déjà place deux

personnes qui se sont mises à l’étude de l’arabe Tchadien.

a-6. Malawi – Zambia

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Negli ultimi 20 anni l’Islam si è fatto presente in forma massiccia in Malawi con la costruzione

di nuove Moschee e centri di formazione Islamica. Ha investito molto nella formazione di leader

politici; lavora molto tra i giovani, nelle scuole e nel settore del commercio al minuto.

Favorisce la formazione di insegnanti per le scuole primarie e secondarie.

Lavorando sulla direttrice Lilongwe – Chipata (nello Zambia) sta raggiungendo Lusaka al centro

del continente.

Nel giro di 20 anni la sua presenza in Malawi è passata dal 7 al 12%.

Risposta

La risposta della Chiesa Locale è praticamente inesistente. La risposta degli Istituti Missionari

(PP. Bianchi) consiste nell’organizzare corsi per conoscere meglio l’Islam.

I Comboniani non hanno in provincia nessun confratello preparato in questo settore.

Le possibilità di dialogo sono minime causa la aggressività dottrinale e verbale dell’Islam,

anche se qua e là qualche tentativo di dialogo c’è.

a-7. Uganda

Come abbiamo risposto sopra (1.1), c’è un certo interesse per l’Islam nel distretto di Aringa

(Lodonga e Oravu) confinante col Sudan. L’interesse nel dialogo con l’Islam è stato più a livello

individuale attraverso contatti personali, come nel caso di P. Antonio Lasalandra, che non come

interesse e strategia di comunità o di zona.

a-8. Mozambico

Para haver verdadeiro dialogo è preciso que haja uma clara identificação e uma base comum

entre os interlocutores. No nosso contexto, mais do que verdadeiro dialogo esiste uma atitude

de respeito e comprensão e a preocupação de evitar os fanatismos.

Sente-se a necessidade de conhecer mais o Islão e as religiões tradicionais africanas, e

também as outras Igrejas ou seitas, em vista de um maior dialogo. Estamos porém ainda

longe de um verdadeiro diàlogo, também porque nem sempre os outros têm estruturas

capazes de um diàlogo oficial. As seitas que proliferam no nosso ambiente não facilitam o

dialogo.

Falta-nos também tempo para escucar e dialogar com os mais velhos: gente do povo e

missionàrios.

a-9. Sudafrica

La Provincia, grazie al Segretariato per l’Evangelizzazione, ha organizzato due seminari: uno

sul rapporto tra Islamismo e Cristianesimo nel 1999, l’altro su l’Inculturazione nell’anno 2000.

Nel primo seminario, attraverso l’aiuto di esperti, i confratelli hanno avuto la possibilità di

discutere e trovare alcune risposte sull’Islamismo, una religione minoritaria in Sudafrica ma

piuttosto influente nella sfera politica, culturale e sociale.

Interessante il commento della London Province.

Siamo orgogliosi che un membro radicale della Provincia abbia appena completato i suoi studi

per un Master’s Degree in Islamologia presso la famosa London School of African and Oriental

Studies.

Religioni Tradizionali e Dialogo Interreligioso

b-1. Uganda

Per quanto riguarda la conoscenza e il dialogo con le Religioni Tradizionali Africane, c’è una certa

superficialità. La tendenza generale è di prendere le cose per scontate. Abbiamo bisogno di

favorire maggiormente la conoscenza e l’apprezzamento dei simboli e dei valori culturali della

gente. Qui possiamo ricordare l’impegno di P. Giuseppe Russo nel campo della stregoneria e

dell’Evangelizzazione. La testimonianza di P. Russo ci aiuta a diventare coscienti di un grosso

problema. La sua esperienza e il suo contributo, però, dovrebbero essere integrati con altre

prospettive (lo studio dell’antropologia culturale e della sociologia). Dobbiamo sottolineare anche il

contributo dato da P. Novelli Bruno alla comprensione della lingua, cultura e religione Karimojong.

b-2. Eritrea

Con le religioni tradizionali: fra i Kunama è stato fatto ben poco finora per studiare in

profondità sia la loro cultura che la loro religione. Tuttavia si è iniziato col crescere della fiducia

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e confidenza speriamo di fare un maggior progresso. L’Eparca di Barentù ci spinge a contattare

gli Elit e ad allargare il nostro ministero intorno a Fode perché teme che queste popolazioni si

facciano Mussulmane o diventino incastrate fra i Mussulmani.

b-3. Togo

…Questa Provincia offre un interesse particolare perché la religione tradizionale – Vodau – è

molto organizzata con santuari e centri di formazione come il Buddismo: si può chiamare

“Dialogo interreligioso”.

Concernant la religion traditionnelle (culte vaudou), nous vivons dans respect mutuel. Plutỡt

que de parler de dialogue nous préférons parler d’enculturation car la religion traditionnelle fait

partie intégrante de l’identité de la personne. Nous ne demandons pas à l’africain de renoncer

à sa propre identité mais, avec l’aide du Saint Esprit, d’accueillir d’une part la nouveauté du

Christ et d’autre part de purifier en soi-même tout ce qui n’est pas conforme à l’Evangile. Le

problème de fond est le suivant: étant donné que la religion traditionnelle est surtout un fait

culturel, la personne convertie au Christ continue à garder sa propre identité culturelle et donc

à vivre une double religion (chrétienne et traditionnelle).

Asia

La Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia ha esplicitamente affermato che la

modalità della missione in Asia è il dialogo: dialogo con le culture, le religioni e i poveri. Un

importante fattore che urge l’assunzione da parte nostra di quest’atteggiamento di dialogo in

questa missione dell’Asia è il pluralismo. Da questo punto di vista, la rivista World Mission è

stata strumento per noi rilevante.

Nel Piano Sessennale, la Delegazione aveva messo in programma che un confratello di Macao o

Taipei si preparasse nel settore del dialogo interreligioso. Tuttavia, a causa del personale

limitato non siamo stati in grado di attuare questa priorità. Nelle Filippine, la presenza

dell’Islam è per noi una sfida. Tuttavia, dal momento che il gruppo è totalmente impegnato

negli impegni istituzionali, nessuna iniziativa in particolare è stata presa in questo campo.

Inoltre, già esistono nella chiesa locale e al livello d’istituti religiosi istituzioni e strutture

riguardanti tale settore.

Missione come Giustizia e Pace

La Missione intesa anche come Giustizia e Pace e Integrazione del Creato ha avuto un posto

privilegiato. Tant’è vero che la Direzione Generale aveva nominato un Coordinatore e livello

d’Istituto per sollecitare l’attenzione, l’interesse e le attività nelle Province. Ci furono quindi

parecchie attività a questo riguardo.

Stralciamo dalle relazioni delle Province alcune attività principali.

Devo premettere che le violazioni della Giustizia e della Pace sono parte delle violazioni dei

Diritti umani. Per cui sarebbe proprio intitolare questo numero come “Missione e Diritti umani”

e dato che a ogni offesa e negligenza (omissioni) dei Diritti umani è offesa dell’amore del

prossimo; l’amor del prossimo è il più grande precetto di Cristo, ne segue che la proclamazione

dei Diritti Umani e la denuncia delle offese a tali diritti è parte costitutiva della

Evangelizzazione. Non è quindi né filantropia né attività puramente sociale né optional per il

missionario.

Non sempre questo lavoro è facile: difatti il campo dei Diritti Umani è comune per le diverse

responsabilità della Chiesa e dello Stato.

La Chiesa regola la sua attività in questo campo per mezzo dell’informazione e formazione

della coscienza. Lo Stato la regola con le leggi esterne con la repressione e con la punizione

dopo che le leggi sono state violate.

Siccome la denuncia può essere anche a carico dei politici ed altre cariche pubbliche, tale

lavoro esige coraggio e forza, ma anche, e soprattutto prudenza. E’ necessario promuovere la

formazione dei laici nella Dottrina Sociale della Chiesa e porli in prima fila, specialmente se il

missionario non è cittadino del posto.

Relazioni delle Province

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Brasil del Nord-Este

A nivel de Provincia:

Foram realizados encontros de reflexậo e coscientizaçăo sobre Justiça e Paz.

Seminàrio sobre os « direitos » (sociais, humanos, ambientais, étnicos, de gĕnero, ecc.).

A nivel pessoal ou comunitàrio assumimos vàrios campos trabalho conforme as realidades

onde atuamos: afro, indigena, menor, mulher, pastoral carcerària, centro de defesa dos

direitos humanos, luta pela moradia, saùde mental, etc.

Foram organizadas campanhas de solidariedade e de apoio a grupos indìgenas, etc.

Junto ao trabalho de promoção humana, procuramos conscientizar e dar uma formaçao critica

sob o aspecto social e politico.

Na pastoral da juventude hà a preocupaçao de formar os jovens à consciěncia critica e ao

engajamento na transformação da sociedade.

Foi criado o Istituto EKOS para articular e animar este setor na Provincia.

Na mini-assembleìa provincial deste ano a Provincia escolheu como enfoque a definir nossa

presença e atuação no Nordeste, “os direitos da pessoa”, sendo jà programado um seminàrio

para o mēs de junho 2003 sobre este tema.

Ho citato per intero questo passo perché pone l’accento sulla formazione di una coscienza:

però tralascia il parametro della Dottrina Sociale della Chiesa che è ispirata dall’amor del

prossimo.

Perù – Chile

La commissione elabora cada aňo un calendario de celebraciones de las comunidades y en los

diferentes sectores.

Nuestras revstas promuoven continuamente los derechos humanos. Se ha creado una pàgina

WEB, que esà a disposiciòn de los hermanos y otras personas interesadas.

En algunas comunidades hay un responsabile de Derechos humanos y se insiste bastante en

los programas radiales y se ayuda en casos concretos que se van presentando.

Se puede afirmar que ha crecido la sensibilidad de la provincia hacia este tema, pero no se han

dado muchos pasos concretos y comprometidos en este campo. Falta, spbre todo, hacer

opciones i comprometerse con objectivos concretos de acuerdo a la realidad socio-politica da

cada comunidad.

Questo rapporto come parecchi altri parla d’informazione e di sensibilizzazione della Comunità,

però mancano degli obiettivi concreti. Come pure non accenna alla base teologica ed

antropologica (dignità dell’uomo) come già detto, dei diritti umani. Sarà sottinteso.

Tchad

E’ da lodare perché esprime esplicitamente che i comboniani lavorano con la Chiesa Locale: a

costo di procedere lentamente, però così si allarga il raggio di attività.

Au Tchad nous avons été pionniers dans le domaine de Justice et Paix et nous avons

commencé avec la création des commissions paroissiales, les comités d’entente entre les

paysans et les éleveurs, la radio diocésaine…

Nous avons formé un combonien en ce domaine pour prendre en charge la commission

diocésaine (même si après cela n’a pas abouti à bon port).

Aujourd’hui la dimension justice et paix est introduite dans le secrétariat de l’Evangélisation

qui vient de naître. Il y a un responsable dans le secrétariat.

Nous évitons de faire quelque chose de parallèle aux propositions de l’Eglise locale dans ce

domaine. Cela freine parfois nos initiatives mais nous fait marcher avec l’Eglise. Nous sommes

à la recherche de notre identité combonienne en ce domaine.

Italia

Iniziative principali

Giubileo degli oppressi (2000) e Carovana della pace (2002).

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Coinvolgimento dei giovani GIM ad iniziative di GPIC.

Interventi ed interviste in TV nazionali e locali.

Corsi per sensibilizzare la provincia sui temi GPIC.

Libri, articoli e video su GPIC.

Abbondante documentazione in ormegiovani e nel sito giovaniemissione.it.

Partecipazione a campagne tipo “break the silence”.

Luci

GPIC sta diventando uno dei contenuti principali e una delle provocazioni più forti.

I nostri mezzi di comunicazione sono di grande aiuto in questo settore.

La risposta positiva alle nostre attività in quest’ambito è un segno che la gente è cosciente

della realtà dei poveri e della necessità di lavorare per la giustizia e la pace.

Ombre

Documenti, convegni ed incontri abbondano. Non così i cambiamenti nella vita concreta.

Ci sono opzioni, sia a livello ecclesiale come di base. Anche tra noi ci sono a riguardo non pochi

confratelli che fanno fatica a vedere ‘giustizia e pace’ come “missione e animazione missionaria”.

A volte ci sono iniziative personali non in linea con le scelte della provincia.

Qui una postilla su opposizione a livello Ecclesiastico. Vorrei, richiamare il proverbio inglese

“The longest way round, is the shortest way home”. E’ vero: con le autorità ecclesiastiche

occorre saper fare: spesso si può discutere e domandando parere possono essere convinti:

mettere l’autorità di una diocesi o di una parrocchia, o di una Nazione di fronte al fatto

compiuto è senz’altro controproducente, se organizzato da religiosi.

Con l’appoggio delle autorità ecclesiastiche, le manifestazioni possono essere più incisive e più

permanenti e possono avere più seguito a livello diocesano o parrocchiale.

Sudafrica

Quattro anni or sono un confratello è stato assegnato per essere disponibile a tempo pieno

nell’Ufficio di Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale dell’Africa del Sud. E’ anche stato

fatto coordinatore per G&PIC per la provincia.

Uganda

“A livello provinciale abbiamo stabilito un comitato di GPIC, che in realtà non ha funzionato.

Molto è stato fatto dalla Rivista “Leadership” per la guerra del Nord.

Sulla stessa strada abbiamo Confratelli impegnati nella giustizia e Pace a livello diocesano (in

Karamoja P. Pietro Ciaponi, tra gli Acioli i PP: Carlos Rodriguez e Tarcisio Pazzaglia). Siccome

siamo parte della Chiesa Locale, i nostri Confratelli in generale partecipano attivamente nei

programmi delle rispettive Diocesi, nel processo di far crescere la consapevolezza riguardo a

Giustizia e Pace. Esempi concreti sono l’enorme sforzo fatto nell’Arcidiocesi di Gulu e il recente

sinodo Diocesano di Nebbi.

A livello nazionale P. T. Agostoni ha pubblicato un manuale sulla Dottrina Sociale della Chiesa,

“Every Citizens’ Handbook” corredato anche dall’insegnamento degli Episcopati Africani. E’ entrato

molto bene nei Seminari Nazionali, nelle Università anche private, e sia in Uganda che altrove.

Il Padre ha iniziato una campagna per l’abolizione della pena di morte mettendo a disposizione

dei laici animatori un libretto ‘May the State Kill?” (due edizioni) tradotto in Lwò, Luganda e

Italiano (EMI). Libro frutto dei suoi 13 anni di lavoro tra i condannati a morte, dei quali il 35%

40% sono innocenti. Il diritto alla vita è fondamentale per tutti gli altri diritti.

In italiano pure “Una fiaccola sul Mondo” o “I diritti umani e la Dottrina Sociale della Chiesa”

(pag.192, Biblioteca Comboniana).

NAP

El P. Pasquino Panato lleva adelante una tirea a muy importante de promociòn de la Justicia y

la paz, specialmente en referenzia al África (y de un modo especial al Sùdan) al interno mismo

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de la Sede de las Naciones Unidas en Nueva York y en las oficinas gubernamentales de

Washington DC. La Sra. Cindy Browne, su asistente, por su parte mantiene todas nuestras

comunidades informadas y puestas al dìa sobre fuentes y eventos relacionados con la Justicia

y la Paz que se desarrolan aquì en los Estados Unidos y alrededor del mundo.

London Province

Dopo aver esposto sforzi fatti per la coscientizzazione dei confratelli continua informando il

Capitolo di aver liberato dai suoi impegni un nostro confratello perché possa studiare per un

“Master of Philosophy” all’”International Peace Studies” presso il “Trinity College” di Dublino.

Durante i sei anni passati, hanno organizzato Assemblee Provinciali, ritiri e giornate

missionarie più per suscitare interesse riguardo alle cause che sono alla radice di giustizia e

povertà che per chiedere l’obolo per il povero e l’indigente

Asia

Il nostro coinvolgimento è molto limitato. Nelle Filippine c’è un confratello assegnato (part-

time) per questo settore. Egli partecipa negli incontri e attività promosse dalla Commissione

Giustizia e Pace dell’Associazione dei Superiori Maggiori delle Filippine. La nostra Rivista è pure

impegnata in questo settore, in modo equilibrato. Ogni volta che veniamo sollecitati, ci uniamo

in azioni comuni, specialmente in quelle promosse dall’Associazione dei Superiori Maggiori. A

Macao, qualche passo concreto a questo riguardo è stato mosso con il coinvolgimento nel

movimento dei Giovani Lavoratori Cristiani, nella Caritas e nel Servizio Cattolico Socia

Centrafrica

Certains confrères se donnent à fond dans la lutte contre toute injustice et en particulier contre

l’injustice qui découle de la sorcellerie.

Le suivi de ce secteur est confié au secrétariat provincial de l’évangélisation.

A niveau d’Eglise locale

La commission épiscopale justice et Paix a eu un évêque combonien comme président. Un

confrère préparé dans le domaine en était membre.

Lors des différentes mutineries et coups de force cette commission est intervenue pour

informer et dénoncer les atteintes contre les droits humains.

Au diocèse de Mbaïki un confrère s’est investi à la commission diocésaine Justice et Paix. Il

animait des sessions dans les différentes paroisses. La publication de plusieurs fascicules

destinés à la sensibilisation et à la connaissance des droits humains a été bien appréciée. Ce

matériel a été bien utilisé dans d’autres diocèses. Toute une collection de ce matériel fut

partagée aux provinciaux des provinces francophones.

Spagna

Anche qui come in Italia vi sono confratelli che pensano che il lavoro di Giustizia e Pace è solo

secondario della nostra missione Evangelizzatrice. Forse non tengono presente quanto detto

sopra che ogni ingiustizia è offesa dei diritti umani, è offesa all’amor del prossimo.

Las comunidades de la provincia se van conscienciando e involucrando cada vez màs, aunque

se noten distintos ritmos, presencias, sensibilidades y maneras de asumir y concebir el

compromiso por la Justicia y por la Paz. Hay quien entiende Justicia y Paz como parte

“integrante” “fundamental”, “esencial” de la misiòn evangelizadora, otros –pocos- la ven

comoalgo “secondario”, “accidental” y a lo que los Combonianos no deberìan darle “prioridad”.

En los encuentros de sectores y en las Asambleas provinciales se està intentando profundizar

el tema y hacer que “la Justicia y la Paz” esté presente en todas las actividades y sectores

donde trabajamos.

Empezamos, modestamente a estar presentes en el mundo de la inmigraciòn. Hemos tomado

parte en campaňas especìficas llevadas a cabo contra las armas ligeras, “Rompe el silenzio,

Paz para africa”, contra el racismo, la pena de muerte y los Niňos soldados.

Pensamos que como provincia e Istituto estamos llamados a repensar la Misiòn, en este nuevo

siglo, desde el Evangelio, desde la Justicia y la Paz y desde una Metodologia que risponda a los

desafìos y retos de los nuevos tiempos.

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Conclusione

Concludo questa revisione delle relazioni delle Province e Delegazioni. Alcuni argomenti non furono

toccati perché li riprenderò nei commenti alla Relazione del Superiore Generale e Consiglio al

Capitolo del 2003. Da queste relazioni chi vuole può approfittarne per farne tesoro nella sua

attività missionaria. E’ vero, come ci diceva il Professore di Ecclesiologia all’Urbaniana e cioè

“Historia magistra vitae sine discipulos” - la storia c’insegna a vivere ma non fa discepoli.

Però vale la spesa proporre degli esempi da imitare e con la grazia di Dio da emulare, per non

cadere negli sbagli che altri hanno fatto. Si può coglierne l’essenziale e viverlo nelle circostanze

e tempi attuali in parte ugualmente e in parte differentemente.

Una proposta. Vorrei concludere questa revisione con un pensiero che la relazione della NAP

suggerisce per tutti alla fine del suo rapporto (significativo che sia scritto in spagnolo – è un

segno di coinvolgimento in tempi nuovi).

Debemos tener esperanza a pesar de las incerticumbres que nos platea el futuro.

Lucharemos por ser sempre màs identificados como Misioneros Combonianos, aprovechando

de toda ocasiòn disponibile para diseminar la Buena Nueva de la Misiòn.

Nos sentimos en solidaridad con el resto del Istituto de cara a los retos de nuestra etad y de

nuestras vocaciones. Pero al mismo tempo hacemos un llamado a todas las provincias para

que revisemos en la sinceridad de nuestra vida de fe y oraciòn si es que es certo que como

Istituto estamos practicando realmente a quello que tan facilmente predicamos a otros sobre

la justicia y la paz, pero que a los recursos financieros nos referimos a la cuestiòn del personal,

pues –como San Pedro- no tenemos oro ni plata que ofrecer, pero, estamos verdaderamente

dando lo que tenemos?.

La Provincia de Norte America no se diferencia de las demàs en las dificultades que encuentra,

pero aùn en vista de un futuro poco halagador en lo que se refiere a vocaciones y personal de

formaciòn, nosotros viviremos (o moriremos) con entusiasmo y esperanza gozosos en la

maravillosa vocaciòn que Dios nos ha regalado.

ATTI DEL CAPITOLO 2003

Gli atti sono il risultato delle discussioni, dei suggerimenti e decisioni dei Capitolari, in genere

votate a maggioranza. La maggior parte di esse non sono cose nuove ma esprimono il pensiero

di nuovi e vecchi membri del Capitolo e valgono per i nuovi professi e come esame di coscienza

dei non nuovi.

Questo è anche il pensiero espresso dalla nuova Direzione (1997-2003) nella lettera di

Presentazione degli Atti firmata dal nuovo Padre Generale e Consiglio.

I Capitolari erano partiti cercando il nuovo, il profetico. Nel percorso si sono accorti che forse il

nuovo significava riscoprire quei tesori da tempo esistenti nell’Istituto e a volte trascurati. Il

nuovo allora significa tornare alla passione per la missione per la quale Comboni parlò, lavorò,

visse e morì (cfr. RV2).

Il nuovo è guardare al futuro con ottimismo, è andare avanti con le nostre povertà e ricchezze.

Un andare avanti che spesso esige il dovere di un ritorno alla purezza delle origini, alle sorgenti

di quel patrimonio ricchissimo di esperienze di fede che è arrivato fino a noi attraverso il

sacrificio dei confratelli che ci hanno preceduto trasmettendoci la passione per la missione.

Un andare avanti con la spiritualità dell’umile operaio che lavora spesso senza vedere il

risultato dei suoi sforzi e del suo sacrificio.

Il nuovo è essere fedeli alla raccomandazione di Daniele Comboni a contemplare il Dio

Crocifisso che si è spossessato senza risparmiarsi per camminare insieme a tutti i crocifissi del

mondo.

Ottimi pensieri che possono essere di guida a tutti i Comboniani cominciando da chi li ha

scritti.

CAPITOLO PRIMO

Realta’ globale

E’ un esame della realtà globale della globalizzazione sia economica che etica, dei fermenti di

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guerra di terrorismo, di crisi, di povertà e miseria, di sbandamenti di valori nel campo sia sociale

che religioso, etc..

Nel Contesto Ecclesiale vi sono dei punti positivi come i movimenti laicali, i nuovi ministeri,

maggior coinvolgimento delle donne, etc.. Si nota anche un maggior interesse di conoscenza e di

riflessione teologica.

Malgrado questo però troviamo l’indifferentismo religioso, l’ateismo, gli scandali di persone

consacrate che allontanano dalla Chiesa.

Nel Contesto comboniano la canonizzazione del nostro fondatore ha costituito una tappa di

arrivo ed una di piattaforma di lancio verso un futuro sempre più Comboniano sotto tutti gli

aspetti, specialmente di santità. Oggi in modo particolare quando i membri anziani devono

passare la responsabilità ai nuovi che vengono da nuove situazioni, culture e mentalità.

Il capitolo conclude così:

30. Alla luce del contesto della realtà globale, ecclesiale e comboniana percepiamo le seguenti

sfide per il nostro Istituto:

30.1 rivedere la nostra visione di missione;

30.2 identificare delle priorità al fine di ridurre e qualificare i nostri impegni, anche in

considerazione della situazione del personale;

30.3 riqualificare la FP delle persone e comunità;

30.4 rinnovare la metodologia missionaria per meglio rispondere alle urgenze della missione

comboniana oggi.

CAPITOLO SECONDO

La missione comboniana oggi

Santità personale

In questo capitolo troviamo un richiamo importante alla santità personale e si ricorda il

Comboni che voleva i suoi missionari “santi e capaci”. Nelle nostre regole vigenti fino al 1979,

si leggeva “Il fine generale della Congregazione è la gloria di Dio, la santificazione e la

perfezione personale di tutti i suoi membri; il fine speciale e la diffusione e la Conservazione

della Fede, la conversione dei popoli dell’Africa e di altri popoli che le venissero affidati dalla S.

Sede” (N.2 Edizione 1959, N.2).

Lo stesso pensiero viene espresso da questo Capitolo:

54.1 mettere la santità a fondamento della vita e della missione di ciascuno di noi e di tutto

l’Istituto;

E giustamente si aggiunge la necessità di:

54.2 riconoscere la consacrazione missionaria come il dono che Dio ha posto in noi,

coltivandolo in ogni momento e attività della nostra vita, vivendolo nella quotidianità, luogo

privilegiato di riconciliazione e di crescita.

La nostra santità deve essere acquisita come il vissuto della nostra consacrazione missionaria

nella vita religiosa come il mezzo migliore per essere veramente missionari. E considerare

questo dono come il premio della nostra vita. Che a sua volta diventa dono per gli altri prima

di tutto nella comunità.

55.1 nella comunità come luogo dell’esperienza di Dio e dell’incontro con l’altro.

E’ l’esperienza di Dio che ci abilita all’incontro con l’altro, con tutti come richiede il nostro

ministero oltre che la vita comune. Questo perché “Se qualcuno vuol venire dietro di me,

rinneghi se stesso, prenda la sua croce mi segua” (Mt. 16: 24..cf Lc. 14:27).

Questo rinnegare se stessi significa prendere la propria croce, cioè sia la sofferenza volontaria

sia quella che s’incontra nella vita: però oggi come oggi la sofferenza è vista come qualcosa di

opprimente. Ma non è questo il significato: il vero senso è liberarsi di tutto ciò che c’impedisce

di seguire Gesù ed in Lui trovare la nostra pace ed anche la nostra felicità.

34. la contemplazione del Cuore trafitto di Gesù Buon Pastore costituisce per Comboni la

sorgente e il fuoco del suo impulso missionario, l’origine e il modello del suo amore

incondizionato verso i popoli dell’Africa.

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In tante situazioni di povertà, abbandono e morte, egli scopre nel Cristo Crocifisso la presenza

efficace del Dio della vita e una moltitudine di fratelli da amare e da valorizzare, portando loro

il Vangelo.

Essi diventano la sua unica passione.

E’ un paragrafo che ci provoca sia per una riflessione sul passato come per un piano personale

per il futuro. Mi spiego:

Innanzitutto queste parole sono un invito a vivere interiormente la spiritualità del Cuore

Trafitto, specialmente in quelle circostanze difficili che nella vita religiosa missionaria non

mancano. Come già osservato altrove il Cuore di Cristo non è una devozione solo o un culto

però viene alimentato dalle devozioni – l’adorazione del giovedì precedente il primo venerdì del

mese, la Santa Messa votiva del Venerdì stesso, i Canti e la festa del S. Cuore passata con

l’adorazione di tutto il giorno a turno specialmente in Noviziato: queste devozioni non sono fine

a se stesse, ma ci ricordano e ci stimolano alla pratica della Spiritualità del S. Cuore. Purtroppo

in molte comunità il ricordo del Sacro Cuore si riduce alla Solennità preceduto da un triduo.

Secondo le nostre regole (N.49) il missionario è responsabile di organizzare la sua preghiera

personale di un’ora al giorno (49.1). Prima del Capitolo 1969 vi era in orario un’ora al mattino,

aperta dalla preghiera del mattino e tutto il resto era preghiera personale con la lettura

comune di tre punti, secondo il metodo di St. Ignazio. Il passaggio all’ora obbligatoria, ma

libera come orario, fu molto contestato.

Difatti però fuori del Noviziato e Scolasticato, passare quest’ora in preghiera personale oggi è

praticata solo da un certo numero.

Il mio parere sarebbe che la comunità dia nell’orario un’ora di preghiera: un dovere della

comunità di liberare dalle occupazioni e un diritto dell’individuo di approfittarne, se necessario

scegliendo un'altra ora.

Passando poi alla missione è da notare quanto segue:

37 – Oggi il legame della missione Comboniana con l’Africa è carismatico e storico. Il perdurare

in Africa di situazioni di prima evangelizzazione e di povertà e abbandono ci conferma nel

vedere l’Africa ancora come scelta “preferenziale anche se non esclusiva”.

La Regola di Vita N. 51.3 parla del legame inscindibile con l’Africa. I Documenti Capitolari del

1969, che aveva dato ampio spazio al Comboni come non mai, mentre approvò l’apertura

all’america Latina proclamò “Tuttavia non deve essere sottovalutata l’ispirazione originaria

dell’Istituto che per fondazione e tradizione ha particolari impegni nei confronti dell’Africa”.

I doveri particolari che l’Istituto ha verso l’Africa si tradurranno perciò nell’avere più comunità

in Africa che altrove (-65).

Però questo solo nella misura in cui si realizzano le caratteristiche della missionarietà Comboniana.

Questa scelta professionale o legame inscindibile con l’Africa sarà soprattutto con il Sudan

tutto e con l’Uganda che appartenevano al Vicariato dell’Africa Centrale. Di fatto i Comboniani,

in Sudan e nel Nord Uganda, quasi da soli hanno portato la prima evangelizzazione in terre

completamente vergini e formato Clero e Religiosi/e per continuare la loro opera. Queste

popolazioni ci considerano i padri fondatori della Chiesa e il Comboni loro antenato. Con ciò

l’Istituto ha per questi paesi una responsabilità speciale. Può anche permettere che gli anziani

autosufficienti possano rimanervi fino alla fine della vita e lasciarvi le loro ossa che per gli

Africani in modo particolare sono molto apprezzate, dato il senso profondo della sopravvivenza.

Priorità dell’Evangelizzazione

Quanto viene espresso ai Nn. 39-40, è un ritorno alla verità di un passato che si è realizzato e

ogni giorno deve essere rinnovato.

39. Comboni, con il suo motto rigenerare l’Africa con l’Africa, è convinto che la liberazione e la

rinascita dell’Africa sono legate profondamente alla persona di Gesù e al suo Vangelo, e con gli

stessi Africani protagonisti della propria storia.

Quanto dice dell’Africa si applica pure agli altri continenti e cioè è solo il messaggio d’amore

Cristiano che salva la società in tutto il mondo. A questo acclude quanto si dice più avanti.

40.1 Con l’impegno prioritario per la prima evangelizzazione, portiamo la Parola al cuore della

vita delle persone, delle società, delle culture e tradizioni religiose, affinché l’incontro vivo con

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Cristo dia loro pienezza di vita e possibilità d’incorporarsi nel segno privilegiato del Regno che è

la Chiesa.

L’Evangelizzazione è anche promozione umana. Essa porta le persone e i gruppi umani a

raggiungere la pienezza della loro dignità, la liberazione da tutto ciò che le disumanizza e a

godere della fraternità, della giustizia e della pace (cfr EN 31).

Vi sono alcuni missionari che pensano che il dialogo non solo è parte della missione ma

sostituisce l’evangelizzazione che porta alla conversione. La conversione non si identifica col

proselitismo. Questo significa solo indurre con mezzi fisici (soldi, aiuti, etc.) con pressioni

morali alla conversione. Ma se un individuo, avendo conosciuto la persona di Cristo, la sua

divinità e umanità il suo messaggio di amore, Maria Madre di Gesù, la Chiesa, rimane attirato,

manifesta il desiderio di conversione, bisogna aiutarlo ed offrirgli il battesimo e l’accoglienza

nella Chiesa. D’altronde non bisogna dimenticare quando Gesù, rivolto agli Apostoli, precisò

che la sua missione era per tutta l’umanità e questa doveva essere anche la loro missione.

“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i

popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad

osservare tutte le cose che io ho comandato a voi”. (Mt. 28 18-20 cfr Mc. 16-15-18)

E gli Atti degli Apostoli ci narrano come essi così fecero.

Formazione dei leader.

La missione tra i popoli dà priorità all’evangelizzazione dei poveri, ma questi non sono soli nella

società che li circonda. Occorre creare le condizioni perché possano uscire dal loro stato,

puntando sulla formazione di chi domani avrà responsabilità di aiutare i poveri e cioè “i

leader”, nel campo economico – finanziario – politico e sociale in tutte le sue sfumature. Per

questo i capitolari c’invitano a lavorare per “la formazione dei leader in campo ecclesiale,

sociale e politico” (42.4).

Nel campo Ecclesiale, abbiamo i Catechisti per i quali vi sono dai primi tempi corsi appositi di

uno o due anni. I ministeri è una nuova proposta da considerare seriamente affinché coloro

che li ricevono essi pure siano capaci e diano testimonianza cristiana.

La formazione socio-politica dei leader è esigente ma assolutamente necessaria.

Innanzitutto hanno bisogno

di una buona formazione cristiana affinché si comportino come tali nella vita pubblica. Tale

formazione sia data già dalla Scuola Secondaria possibilmente cattolica e nelle università, dove

è necessario avere dei gruppi di associazioni cattoliche giovanili da curare in modo speciale.

Data la diversità di responsabilità morali e tecniche per tutte le mansioni di leadership nella

Società occorre che venga data ai leader dei corsi sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Può

aiutare la comprensione su questo punto il “Compendium”, pubblicato dal Pontificio Consiglio di

Giustizia e Pace.

Per l’Africa Inglese vi è “Every Citizens’ Handbook” di P. T. Agostoni (Paulines, Nairobi, 1997).

A livello Diocesano e parrocchiale è importante una formazione permanente. A livello

Parrocchiale raduni mensili, a livello Diocesano, corsi annuali di aggiornamento: per identificare

problemi vecchi e nuovi che sono legati ai Diritti Umani ed alla Religione ed esigono uno studio

per dare commenti alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa con attenzione ai suoi nuovi

documenti.

In questo lavoro occorre che i missionari si industrino affinché il Clero locale venga coinvolto,

magari regalando loro il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

Da notare una metodologia nella scelta dei leader. La tattica dei politici estremisti è quella di

scegliere dei leader virtuali e farli buoni loro seguaci. Invece succede spesso nella Chiesa che i

parroci scelgano buoni ed obbedienti cristiani per poi farli leader. I primi nella storia sono stati

i più fortunati.

CAPITOLO TERZO

La Formazione Permanente (FP) 51-68

Il testo cita il Capitolo Generale del 1997 che aveva sottolineato la priorità delle FM. Tale

priorità è richiesta dal fatto che i giovani che entrano capiscono di più quanto vedono che non

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quanto sentono. I professi hanno la responsabilità di trasmettere ai nuovi tutte le implicazioni

del Carisma e delle tradizioni della vita e missione dei Comboniani. Il presente Capitolo osserva

che non tutto quello che è stato proposto nel 1997 è stato realizzato. Probabilmente le

comunità non hanno considerato il tema una priorità.

Dare priorità vuol dire concentrarsi in un soggetto e raccogliere intorno a quello come ad un

centro le altre decisioni e propositi:

“Quo maior attentio fit estensa, eo minor fit intensa” – Fare molti propositi e darsi a diverse

attività rende poco e scoraggia molto. D’altronde la F.M. è come un perno che se ben vissuta

muove tante altre attività connesse con la vita sia spirituale come comunitaria. “Non multa,

sed multum” e il “multum” in questo caso è l’“essere” più che il “fare”; perché come dice la

filosofia: “operatio sequitur esse”.

Se lo strumento (missionario) è debole, l’operare sarà più debole. Noi siamo strumenti nelle

mani dello Spirito. E’ vero, come dice St. Paolo che il Signore sceglie i deboli però li rende forti

se sono docili strumenti; il che non sempre avviene.

Gli Atti poi programmano diverse attività di FM, sia a livello comunitario, che provinciale e

continentale e anche corsi annuali.

Una proposta che sembra una novità è avere un gruppo permanente di confratelli per la

formazione permanente di formatori e promotori vocazionali. (62.1)

CAPITOLO QUARTO

La comunità comboniana dono e cammino (69-95)

“Mea Maxima poenitentia vita comnunnis” St. Stanislao Koska, Gesuita, andava ripetendo.

I Capitolari hanno messo in evidenza luci ed ombre della nostra vita comune, però hanno creduto

prioritario concentrare la loro attenzione sulle sue ricorrenti difficoltà e loro causa (N.72)

Preferisco accennare alle cause stesse delle difficoltà di questa vita: l’individualismo; troppa

abitudine all’abbondante parola di Dio che ogni giorno ci viene impartita, con il pericolo di

applicarla solo all’apostolato e non all’interno della comunità; superficialità di giudizi sugli altri,

sulle autorità religiose ed ecclesiastiche; difficoltà di affrontare comunità interculturali. Penso

opportuno commentare il seguente numero:

74.1 Sembriamo confusi su cosa, alla fine, arricchisce o impoverisce le nostre vite, le rende

impossibili o umane, per noi e per coloro che ci sono accanto. Non si tratta solo di invocare

maggior buon senso, ma di riconoscere carenze nella sapienza dell’umano.

Non è facile interpretare questo pensiero e capire esattamente il significato di “stato di

confusione” che rende la vita di comunità impossibile per noi e per gli altri. Se la confusione è

uno stato mentale, vuol dire che mancano dei principi oppure non si sono bene assimilati,

oppure si è rimasti ad un livello puramente umano, nonostante la presenza della Grazia in noi

che è un principio operativo.

Ad ogni modo il primo rimedio è una “sapienza umana” che non sia solo “buon senso”.

Monsignor Ravasi descrive questa sapienza così:

è frutto di studio, ma è anche dono

è impegno di ricerca intellettuale, ma è anche maturità personale.

(Avvenire - Mattutino 29-11-2006)

Sapienza è anche un atteggiamento etico, fondamento della moralità di un individuo che

genera prudenza, senno e chiaro discernimento dei mezzi più idonei per raggiungere lo scopo

prefisso, in questo caso la pace e la felicitò nella vita comune.

Sapienza che si acquista esercitandola ed anche facendo sbagli, dai quali però bisogna

imparare, come dice il proverbio: “Sbagliando s’impara”.

E’ la sapienza esercitata che può dare ad una persona dignità e rispetto.

Dato che Gesù dice “Senza di me non potete far niente”, Giov. 15:5: dobbiamo integrare la

sapienza umana con la “Sapienza” dono delle Spirito che è la facoltà di vivere tenendo presente il

Fine Ultimo e cercando ostinatamente i mezzi migliori che a questo fine ci conducono; per questo i

decreti capitolari c’invitano a ricordare il fondamento Trinitario della Comunità e l’uso della Parola

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di Dio per viverla noi stessi ed annunciarla alla comunità (74-4,5).

Dopo la svolta antropologica del Conc. Vat. II si sperava che l’attenzione ed il rispetto

dell’uomo si rivolgesse a tutte le persone umane. Invece l’attenzione si riversò sull’individuo

stesso con maggior intensità: il mio corpo, la mia libertà, la mia sessualità, la mia felicità, la

mia volontà e così via. Sorse così soprattutto in Occidente un individualismo esagerato che

soprattutto nei giovani genera un rigetto anche delle buone maniere (Galateo - good manners)

del passato, degli anziani, dei superiori, delle cose etc..

Questo spirito entrò anche negli Istituti di Vita consacrata dove prevale la mia volontà, il mio

progetto, etc..

Con questo i decreti continuano con il numero 75, dal titolo “Rimettere la fraternità al cuore

della vita comune”.

Il testo continua poi con il numero 76 dove si indica la necessità che in comunità “ogni persona

si senta valorizzata” e ne indica il mezzo più efficace per questo e cioè:

79. La celebrazione comunitaria dell’Eucarestia e della Riconciliazione ci porta a condividere

l’esperienza profonda di Dio e rafforzare i nostri legami di fraternità a ritrovare la gioia di

annunciare il Vangelo e rivaluta la comunità indicandola come soggetto ed oggetto della

missione.

82. In un mondo fortemente marcato dalla globalizzazione, dove il successo del singolo viene

spesso esaltato a scapito di tutti, la comunità comboniana diventi segno di quel villaggio

globale che si vuole costruire. In essa l’internazionalità e l’interculturalità vengono vissute

come dono e ricchezza, non come un problema o una minaccia.

Nei Nn. 90-96 si suggeriscono elementi di programmazione per una rinnovata prassi comunitaria.

CAPITOLO QUINTO

Rinnovarci nella metodologia missionaria

Questo rinnovamento è giustificato da quanto segue:

97. La pluralità di campi di lavoro, di cultura e di contesti religiosi, così come le situazioni in

costante cambiamento in cui viviamo sono una continua fonte di sfide e di stimoli per

rinnovare la nostra metodologia comboniana. Essa determina come e con quali mezzi compiere

il nostro servizio missionario.

Nel 98 si rinnova l’appello alla necessità della contemplazione e dell’azione. Mi viene in mente il

carisma Domenicano. “Contemplando contemplare; contemplata aliis tradere”. Quello che

predichiamo sia ciò che abbiamo già contemplato.

E’ un rinnovamento che meglio specifica come i diversi ministeri interagiscono in maniera

complementare (99).

Ed è un richiamo alla RV N.11.

Un’articolo che merita un commento penso sia il 99, che riguarda il Ministero dei Fratelli.

Ministero dei Fratelli

99.1 Il Ministero dei Fratelli è orientato “all’edificazione e crescita della comunità umana e

cristiana” (RV 11.2) con un’attenzione particolare allo sviluppo integrale, giustizia e pace e

diritti umani. E’ quindi un ministero prevalentemente aperto al sociale, orientato alla

trasformazione della società e all’animazione della comunità cristiana.

Per poter raggiungere quest’obiettivo, il ministero sociale del Fratello esige sia le

caratteristiche della spiritualità comboniana, che le competenze tecniche e metodologiche

necessarie per rendere un servizio professionale e sociale adeguato.

Da notare un commento della Assemblea Intercapitolare alla RV 11,2. Invece di “attraverso

l’esercizio del loro lavoro professionale” si legge “attraverso l’esercizio del loro ministero specifico

N. 122. Mi spiego. Prima del Capitolo del 1969, la preparazione tecnica del Fratello era abbastanza

varia, ma prevaleva quella di arti e mestieri secondo i bisogni delle nostre case in Europa e nelle

missioni, e secondo la preparazione e capacità degli individui.

Molti Fratelli imparavano altre professioni.

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Erano pieni d’iniziative incluse catechetica, pronto soccorso, infermieri. Importanti furono le

Scuole Rurali di arti e mestieri: costruzioni, falegnameria, meccanica, agricoltura. Ma anche

Scuole Tecniche a livello secondario. Molti giovani così qualificati hanno ai loro tempi fatto

molti progressi nella loro professione e nella società.

Nei mestieri, come dicono i Decreti Capitolari “il Fratello deve dare testimonianza di carità”.

Le scuole tecniche sono ancor oggi importanti perché andiamo ancora tra i più poveri e da

gente anche primitiva, cioè bisognosi di tante cose, avidi di lavorare per evitare di essere

sempre degli eterni mendicanti, compromettendo così la loro dignità personale.

Il fratello è, infatti, vicino alla gente, uomo tra gli uomini, lavoratore tra i lavoratori. Forse, più

che il sacerdote, egli è in grado di condividere e partecipare alla vita dei poveri, nella

disponibilità umile e nel servizio costante. E questo suo vivere “con” gli altri, oltre che “per” gli

altri, non può che sfociare nella costruzione di una comunità sorretta dall’amore fraterno, quale

è appunto una comunità cristiana. (N.43).

Si allargava poi così il servizio dei Fratelli alla Comunità Cristiana.

44. Le diverse attività del Fratello comboniano possono così compendiarsi:

sviluppo umano e cristiano del popolo da evangelizzare, attraverso la sua prestazione

professionale;

annuncio del Vangelo, soprattutto attraverso l’apostolato dell’amicizia nei contatti con la gente;

attività catechetica, e specialmente di animazione e formazione dei catechisti.

Promozione di un laicato adulto per la formazione della comunità cristiana;

Animazione della comunità cristiana, particolarmente attraverso lo spirito di comunione con i

poveri.

Nonostante questa chiara posizione del D.C. e l’apertura, negli anni ’70, alcuni promotori

vocazionali non parlavano della vocazione del fratello aprendosi solo ai missionari laici.

Il Padre Generale di quegli anni dovette intervenire con chiarezza e richiamarli a dovere.

La nuova Regola di Vita preparata nel Cap. 1979 metteva molto a fuoco l’identità del Fratello sia al

N. 11,2 del Direttorio come e soprattutto alla Regola 81 e al Direttorio 61,1 – 61-9. Da notare la

novità seguente cioè che il 61 ss., parlando della “liberazione integrale”, si riferisce al “missionario”

senza distinzione tra Sacerdoti e Fratelli eccetto quando sottolinea l’attività del Fratello che “è chia-

mato a dare un contributo speciale alle attività che favoriscono lo sviluppo integrale dell’uomo”.

Nonostante che l’identità del Fratello fosse più che chiara e varia secondo lo RV 61 e Direttorio

parecchi sacerdoti hanno complicato la vita comboniana ritornando in diverse raduni a discutere

l’identità del Fratello, discussione che ha urtato parecchi Fratelli anche giovani africani.

L’identità del missionario Comboniano sacerdote o laico è chiara e cioè a Consacrazione di vita

per Dio per la Missione. Le differenze:

Sacerdote: Sacerdozio Ministeriale

Fratello: Sacerdozio laicale, così come scriveva St. Pietro:

“Voi pure come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo

sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (I Pietro 2:5)

La realtà più importante per tutti è “costruirci la nostra casa spirituale”.

Missione ed economia

Penso sia opportuno sottolineare alcuni aspetti:

Problemi etici nell’economia:

101.3 evitare forme di complicità con un sistema economico che spesso è responsabile di

gravissime ingiustizie. Talvolta, una denuncia esplicita di questi meccanismi di morte è doverosa.

In tutto l’Istituto non accettiamo l’uso di mezzi finanziari che presentano problemi etici.

Non è sempre facile scoprire certi meccanismi che spesso vengono nascosti dalla pubblicità.

Però oggigiorno ci sono alcune indicazioni come la banca Etica: si spera che anch’essa non

venga travolta dal gioco delle Banche.

Responsabilità di animazione degli economi a tutti i livelli

4.2 Si tratta della preparazione del personale per la gestione economica dell’istituto sia a livello

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generale che provinciale.

L’economo si dedica oltre che alla verifica della contabilità anche all’animazione spirituale della

comunità per mezzo di una riflessione sul tema della povertà e della solidarietà al fine di un

uso più appropriato dei mezzi materiali per la missione.

Riflessione che deve incoraggiare tutti e ciascuno a pensare che molti dei nostri benefattori

sono della classe della “Vedova del Vangelo” che offre un obolo significativo.

La nostra povertà è povertà apostolica cioè: usare i mezzi anche di costo ma solo in tanto in

quanto ci servono per l’apostolato e non di più.

Animazione missionaria

105 con l’AM che è da sempre parte integrante della nostra identità, aiutiamo la Chiesa locale

ad aprirsi alla dimensione missionaria ad Gentes e siamo strumento di comunione e

condivisione fra tutte le Chiese (RV 72) come fin dall’inizio ha fatto il nostro Fondatore.

Il prossimo numero ha bisogno di un commento:

105.2 l’impegno concreto per la giustizia nel mondo è parte costitutiva della missione

(Redemptoris Missio 1991 n.58). Per questo, l’AM include atteggiamenti profetici di denuncia e

proposte alternative.

Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, nella Enciclica “Sollicitudo Rei Socialis – N.41”, dove tratta

esplicitamente il soggetto della Giustizia e insiste dicendo che l’annuncio deve precedere la

denuncia.

“L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione

evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta

delle persone, ne deriva di conseguenza l’”impegno per la giustizia” secondo il ruolo, la

vocazione, le condizioni di ciascuno. All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo

sociale, che è un aspetto della funzione profetica della chiesa, appartiene pure la denuncia dei

mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l’annuncio è sempre più importante della

denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della

motivazione più alta” (S.R.S. n.41).

Il Sinodo dei Vescovi del 1971 aveva già formulato l’impegno per la giustizia, però aggiungeva

“La nostra missione richiede che coraggiosamente si denunci l’ingiustizia con carità, prudenza,

e fermezza, in un dialogo sincero con tutte le parti. Sappiamo…….che le nostre denunce

possono domandare consensi nel mondo in cui esse sono l’espressione della nostra vita e sono

manifestate in azioni continue”

E sviluppando quest’ultimo pensiero, il Sinodo continua

I Pastori siano i primi a testimoniare

la pratica della giustizia

“Mentre la Chiesa è tenuta a testimoniare la giustizia, essa riconosce che chiunque si avventuri

a parlare della giustizia alla gente deve prima di tutto essere giusto agli occhi della stessa

gente. Dobbiamo quindi esaminare i modi di agire, le proprietà e il modo di vivere della stessa

Chiesa. I diritti umani devono essere praticati nella Chiesa stessa. Nessuno dovrebbe essere

privato dei suoi diritti ordinari in quanto associato alla Chiesa in un modo o nell’altro”.

Ammonimento che deve essere preso seriamente anche dai missionari, come pastori a livello

parrocchiale.

Ancora per i missionari, politicamente stranieri in un dato paese, sia dell’Africa come

dell’America Latina è necessario tengano presente il seguente ammonimento dei Vescovi di

tutta l’Africa radunatisi a Yaoundè, Camerun dal 29 giugno al 5 luglio 1981 per il Sesto

incontro con lo SCEAM (Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar).

In un campo così delicato come l’analisi delle situazioni di ingiustizia, vorremmo ricordare a

tutti gli agenti pastorali che è veramente necessaria una riflessione ed un’azione comune. Di

più.

Interventi effettivi e duraturi sono raramente azioni fatte da parte di liberi professionisti o

cavalieri solitari. Quando è possibile parlare apertamente per la causa della giustizia, questo

deve sembrare un atto di Evangelizzazione, e deve essere fatto dopo un’attenta riflessione

ecclesiale ed in comune con le autorità Episcopali. Deve essere una proclamazione di Gesù

Cristo e una rivelazione dei valori del Vangelo come l’amore fraterno, le Beatitudini, e le leggi

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del Regno di Dio.

Prima d’intervenire apertamente nella causa della giustizia, prima di rettificare certe situazioni

o condannare abusi, è normale, ogni qual volta sia possibile, innanzitutto mettersi in contatto

con coloro che sono responsabili o colpevoli di queste situazioni. Il risultato di un intervento

non è necessariamente misurato dal grado di violenza verbale o dalla sensazione che si ha

quando si pronuncia un discorso. Secondo le nostre tradizioni, deve essere data la priorità ad

un dialogo uomo a uomo. Inoltre, questo è il modo di fare insegnatoci da S. Matteo nel

Vangelo (Mat.18:15-17).

Apostolato nelle Scuole

116. In certi contesti specifici, dove la presenza della Chiesa è fortemente minoritaria, le

Istituzioni scolastiche continuano ad essere un potenziale per aiutare a crescere nella capacità

di dialogo, di accoglienza e di convivenza.

La nostra presenza nella Scuola sia privata come pubblica è assolutamente necessaria sia per

l’insegnamento autentico della Religione, sia per la nostra testimonianza come per la

preparazione di gruppi di studenti che siano nella Scuola prima e nella Società poi di lievito

umano e cristiano. C’è una pastorale anche nella Scuola e che è molto importante. Infatti gli

alunni possono usufruire della presenza missionaria tutti i giorni e per tanti anni. In più i futuri

leader del paese, vengono dalle scuole sia nel campo sociale come in quello politico. Nessuna

scuola nella nostra missione può essere abbandonata tanto meno le scuole secondarie e se c’è,

l’Università – E’ da qui che vengono chi un domani avrà in mano i destini dei poveri. In questo

contesto è lodevole e molto opportuna la raccomandazione seguente:

136. Come preparazione ad un futuro di pace, le due province del Sudan – Karthoum e Sud

Sudan – promuovano iniziative di riflessione e forme di collaborazione.

Il Capitolo invita la provincia del Sud Sudan, con l’appoggio del CG, a dare forma ad una

iniziativa che abbia lo scopo di preparare i cristiani sudanesi a svolgere il loro ruolo nella

politica e nella futura trasformazione sociale del loro paese. Questa iniziativa, nella misura del

possibile, sia pianificata e realizzata in collaborazione con le Suore Missionarie Comboniane.

Quanto si dice per il Sudan vale per tutte le zone affidate alla nostra responsabilità.

CAPITOLO SESTO

Altri elementi di programmazione per il governo dell’istituto

Penso sufficiente riportare la programmazione del Consiglio Generale e le responsabilità del

Coordinatore Continentale:

Priorità per il sessennio

133. Nel corso dei prossimi sei anni il numero dei confratelli giovani, prevedibilmente,

diminuirà. Per rafforzare il personale in alcune province potrebbe essere necessario che altre

accettino di ridurre il loro.

Il XVI Capitolo Generale stabilisce le seguenti priorità:

133.1 il CG discuta con ogni provincia un piano consistente di riqualificazione degli impegni;

133.2 privilegiare l’AM nelle province del Nord;

133.3 assicurare la preparazione del personale per il coordinamento dei Centri Assistenza

Ammalati;

133.4 dare priorità all’Africa (Sudan) per quanto riguarda l’evangelizzazione;

133.5 consolidare progressivamente la nostra presenza in Asia assegnando personale per

mantenere almeno gli impegni assunti;

133.6 favorire le strutture di FdB/PV nelle province che hanno vocazioni.

Coordinatore continentale

138. Ogni continente scelga un provinciale per il servizio di coordinamento continentale (cfr.

AC ’97 n.168.4), con le seguenti funzioni:

138.1 convocare regolarmente (una volta all’anno o quando è necessario) l’assemblea

continentale dei provinciali e presiedere all’incontro;

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138.2 promuovere forme di comunicazione e condivisione interprovinciale, come progetti

comuni, scambi di personale e mezzi (cfr. AC ’97 n.168.4);

138.3 assicurare lo svolgimento regolare delle attività di settore;

138.4 discernere e programmare, in caso di emergenze continentali iniziative di solidarietà da

realizzarsi assieme all’assistente generale incaricato (cfr. AC ’97 n.168.4).

A mio parere la presenza dell’Assistente Generale incaricato sia presente anche alle Assemblee

Continentali. Difatti può darsi che l’Assemblea prenda decisioni soprattutto riguardo allo

scambio di personale che può entrare nella prossima programmazione del C.G.: questo è per

evitare un eventuale rifiuto del C.G. che può generare dei malintesi e accuse di interferenze.

Inoltre da questi decreti non è chiaro quali siano i poteri decisionali di questa Assemblea

Consultativa anche per i Consigli Provinciali. Questo deve essere chiaro nel punto più delicato e

cioè lo scambio di personale.

Conclusione.

Questi commenti dei Decreti, non sono una guida al loro studio. I decreti sono dei commenti

che rimangono nella Storia e possono essere richiamati in un futuro: infatti se non sono in un

libro di Storia che passa di mano in mano, possono rimanere nelle Biblioteche ed entrare nel

dimenticatoio, eccetto quando verranno ripresi per preparare la relazione al prossimo Capitolo:

poi si ripongono.

Il futuro di un corpo organizzato può proiettarsi nel futuro solo se tiene la memoria del passato

assieme alla piena consapevolezza del presente.

Il Capitolo del periodo 1997-2003 è più lungo degli altri perché essendo il più recente può

esercitare maggiore interesse.

Vi sono state diverse critiche del come è stato celebrato questo Capitolo Generale, però i

Decreti Capitolari meritano l’attenzione di tutti i Comboniani perché contengono del materiale

molto valido, anche se non sempre originale, nel senso che non sono tutte novità ma ciò che

conta non è tanto la novità, quanto le loro validità, e l’opportunità per l’Istituto.

Per questo ho pensato opportuno dilungarmi più a lungo sul Capitolo per dimostrarne la

validità anche e nonostante i difetti e le contestazioni.

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CAPITOLO VENTITREESIMO

I MISSIONARI COMBONIANI E L’EVANGELIZZAZIONE: LA PROMOZIONE INTEGRALE DELL’ESSERE UMANO -

BREVE CAMMINO STORICO

LA TEOLOGIA DELLA MISSIONE

Nel suo Piano e nelle sue attività, Comboni non si concentrò unicamente sul lavoro pastorale

(vedere “ Il Piano”) Egli vedeva gli Africani come anime da portare a Gesù e, nel contempo,

come esseri umani da redimere dalla loro ignoranza, la povertà e le malattie. Egli era contrario

alla schiavitù e fondò il villaggio missione di Malbes. Per accogliere gli ex schiavi?

Non appena poté egli fondò scuole per bambine prima e per bambini poi. Oltre ad imparare a

leggere scrivere e far di conto, le ragazze imparavano a cucinare, ricamare e cucire; ciò che

adesso chiameremmo scienze domestiche.

I ragazzi, secondo le loro capacità e propensioni, imparavano il mestiere di falegname,

meccanico, fabbro, sarto e calzolaio.

Nel suo Piano, egli fece cenno anche alla necessità di avere Università per gli africani.

Sin dall’inizio i nostri missionari fecero le stesse cose. C’erano tuttavia delle differenze, non

negli scopi dell’evangelizzazione, ma nella metodologia usata. Alcuni di loro pensavano di

iniziare con lo sviluppo della persona per passare in un secondo tempo all’annuncio di Gesù

Cristo. Altri credevano che le due cose dovessero andare di pari passo in quanto lo sviluppo

dell’essere umano deve essere integrale, completo. La missione della Chiesa è di sviluppare

l’essere umano su principi cristiani: lo sviluppo integrale della persona è per la Chiesa la chiave

del progresso sociale, politico e economico.

Nei nostri campi tradizionali il Sudan e l’Uganda, questo trend era la norma: i sacerdoti, i

fratelli e le suore che lavoravano assieme come un team.

Il sacerdote sottolineava la proclamazione della Buona Novella e amministrava i sacramenti,

poteva comunque essere di aiuto per le diverse necessità materiali.

I fratelli per gli uomini e le suore per le donne potevano proclamare la Buona Novella

attraverso i loro vari compiti ed impegni. La gente comune, in effetti, non vede la distinzione,

invisibile, fra l’anima ed il corpo: l’essere umano è uno nella sua totalità.

Benché né Comboni né i nostri primi missionari furono in grado di concettualizzare ciò che

facevano in termini teologici, essi erano precursori di quanto stabilito dal Concilio Vaticano II

nei suoi risvolti antropologici.

Difatti, Giovanni Paolo, in linea con il Concilio, intitolò la sua prima Enciclica “ Redemptor

Hominis”

(Redentore dell’uomo), e non “ Redentore delle anime” come si era soliti trovare nei documenti

ecclesiastici.

Il Papa ha ben espresso il suo parere nel seguente brano tratto da “ Centesimus Annus”:

“Non si tratta dell’uomo ‘astratto’, ma dell’uomo ‘reale’ concreto e ‘storico‘: si tratta di ciascun

uomo, perché ciascun uomo è stato compreso nel mistero della redenzione e con ciascuno

Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero. Ne consegue che la Chiesa non può

abbandonare l’uomo, e che questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel

compimento della sua missione…, la via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente

passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione”.

Giovanni Paolo arriva persino a dichiarare che “ il nome di quel profondo sbalordimento del

valore e dignità dell’uomo è il Vangelo, cioè: la Buona Novella.” (id.).

Possiamo dire la stessa cosa di Papa Giovanni XXIII e la sua Enciclica “ Pacem in Terris” e di

Paolo VI in “ Evangelii Nuntiandi”.

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La Buona Novella non è unicamente per la felicità eterna, ma anche per la felicità dell’uomo in

questa terra.

Nella liturgia, per esempio, noi preghiamo così:

“Possa la Fede ed il Sacramento che riceviamo portarci salute nel corpo e nella mente.” (Festa

della Santissima Trinità)

Il sacerdote, prima di comunicarsi prega:

“Io mangio il tuo corpo e bevo il tuo sangue, che questo non mi porti condanna ma che abbia

salute nel corpo e nella mente.”

E’ vero che la sofferenza è un riconosciuto fenomeno mondiale anche per coloro che pregano

per la salute della mente e del corpo. Tuttavia Gesù Cristo attraverso le Beatitudini ci insegna

ad essere felici anche nella sofferenza.

Una testimonianza personale

Benché i nostri missionari non concettualizzarono la necessità dello sviluppo in termini

teologici, però ne scrissero. Fratello Luigi Savariano (+ 1953) presenziò ad una riunione di

catechisti provenienti dall’Uganda e dall’Equatoria (Sud Sudan) a Gulu. Al termine della

riunione egli scrisse a Verona:

“Ho visto così tanti catechisti, assieme a molti altri cristiani di diverse tribù che stavano

assieme e conversavano amabilmente ed ho pensato come sarebbe bello essere soltanto un

catechista.

Ma poi, dopo il Sacramento della Confessione, ho capito che la fede e la civilizzazione vanno

assieme mano nella mano: il lavoro dei fratelli che insegnano lavori pratici assieme alla

testimonianza di una vita cristiana autentica è anch’esso un modo di trasmettere il messaggio

cristiano dello sviluppo integrale degli esseri umani, secondo la tradizione cristiana.”

PARTE PRIMA - L’evangelizzazione come proclamazione

I nostri missionari ebbero come scopo principale l’evangelizzazione come proclamazione.

Perché lasciarono la loro patria se non per evangelizzare?

Il beato Comboni scrisse al Cardinale Franchi: “ La promozione umana soltanto senza la

proclamazione del Vangelo porta la gente ad una nuova vita corrotta.”

La salvezza delle anime: il primo approccio

Nonostante che il fine ultimo dei missionari fosse quello di salvare le anime, di fatto ciò non fu

il primo passo. Il primo passo fu di stabilire contatti con la gente, suscitare simpatia ed

interesse per la Fede. Da qui, lo studio delle lingue, il capire la cultura e mostrare attenzione ai

bisogni della gente, dalla salute all’istruzione, allo sviluppo di progetti portato avanti dai Fratelli

nelle Scuole Rurali di Artigianato, come diventare falegname, muratore o imparare una

meccanica rudimentale quando erano disponibili solo biciclette. Il rispetto per le autorità locali

era della massima importanza.

All’inizio delle missioni lo scopo dell’evangelizzazione, in teoria, era la salvezza delle anime

attraverso il battesimo.

La convinzione latente, comunque, era che senza il battesimo dell’acqua, lo Spirito della

salvezza sarebbe stato difficile.

Si doveva istruire la gente prima di impartire il battesimo, se qualcuno era in pericolo di morte

e chiedeva il battesimo questo veniva dato dopo un breve corso.

Ci furono delle controversie circa la durata dei catecumenati: alcuni missionari erano dell’idea

che più durava il catecumenato, migliore sarebbe stata la vita del futuro cristiano.

La metodologia del catecumenato era la seguente:

a. Il catechista insegnava il catechismo nelle cappelle lontano dalle missioni: il catechismo

veniva imparato a memoria principalmente da parte dei ragazzi/e che frequentavano la scuola.

Imparare il catechismo a memoria non è del tutto sbagliato, se segue poi la spiegazione.

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Innanzitutto perché i ragazzi/e non capirebbero del tutto la maggior parte degli insegnamenti

dei misteri della nostra religione. E’ una realtà psicologica che una formula imparata a

memoria lavora nel subconscio. Una volta che viene data una spiegazione logica, anche il

bambino diventato adulto, riesce a ricordare facilmente la formula come sintesi di quanto

aveva imparato.

b. Il catecumenato ed il battesimo. Il passo seguente era di portare i catecumeni nel

compound della missione dove il catechismo veniva spiegato dal sacerdote.

Il periodo standard per il catecumenato, incluso il periodo con il catechista, era di quattro anni

con varie interruzioni. Questo periodo aiutava il catecumeno a liberarsi dall’influenza dei

villaggi pagani e di conoscere un nuovo stile di vita. Uno stile di vita però che era

completamente tagliato fuori dalla vita normale dei villaggi e dei suoi eventi culturali.

Tutto ciò creava dei grossi problemi: che cosa dire della poligamia? Le pratiche di stregoneria e

i matrimoni tradizionali?

Alcuni missionari pensavano che un periodo così lungo avrebbe tagliato fuori i nuovi battezzati

una volta tornati nei loro villaggi. Così accorciarono il periodo del catecumenato per poter

istruire molti altri degli abitanti dei villaggi e creare una più ampia capacità di comprensione

del nuovo modo di vivere fra i battezzati. Vedevano, inoltre, quanto la gente desiderava

appartenere alla Chiesa ma anche quanto le pratiche tradizionali li avrebbero in qualche modo

influenzati. Nonostante questa influenza tuttavia non avrebbero cambiato la loro fede anche se

talvolta ritornavano a qualche pratica tradizionale.

Oggi giorno, nonostante ci siano tanti cristiani, sussistono gli stessi problemi: matrimoni

tradizionali ed in conflitto con quelli in chiesa, la poligamia, figli al di fuori del matrimonio, ecc.,

il prezzo di una sposa sembra essere più ragionevole solamente in quelle tribù dove l’istruzione

ha sviluppato la dignità delle donne. A volte non è facile distinguere fra il ricorso agli antenati,

e agli stregoni e indovini.

In molti luoghi c’è sempre il problema degli stregoni. Uno dei nostri padri, P. Russo in Uganda

sta trattando il problema degli stregoni ed ha liberato molti di loro dalle loro pratiche devianti.

Coloro che hanno cambiato hanno rivelato agli altri che quanto facevano era tutta illusione e

hanno fatto conoscere le diverse maniere di ingannare la gente per prendere molti soldi. Il

valore della medicina tradizionale è oggi riconosciuto valido e praticato anche da sacerdoti e

religiosi in modo trasparente.

Plantatio Ecclesiae

‘Plantatio Ecclesiae’, cioè ‘ Stabilire i leader della Chiesa e il popolo di Dio’: anche questo era il

principio della missiologia. Nell’intenzione dei missionari questa era il secondo ed

assolutamente indispensabile passo.

Gli Istituti missionari sono differenti da altri Istituti come quelli dei Gesuiti o i Francescani ecc.

Questi possono andare ad impiantare il loro carisma nelle missioni e rimanervi. Altre volte

possono andare come missionari e seguire la loro metodologia.

La metodologia dei nostri missionari era di impiantare la Chiesa su base solida: seminari e case

religiose. Sacerdoti, Vescovi, superiori religiosi dovevano provenire da queste istituzioni e

prendersi la responsabilità della proclamazione al popolo di Dio.

Sono state istituite vere scuole per catechisti che sono funzionanti ancora in molte diocesi.

In altre parole, la Chiesa locale dovrebbe diventare autosufficiente (finanziariamente) auto

propagante, auto amministrata (il personale).

Non è facile decidere quando lasciare un paese dove i cattolici e i sacerdoti locali sono

cresciuti, principalmente in quei luoghi dove i nostri missionari hanno fondato la Comunità

Cristiana. Ciò di cui abbiamo qui bisogno sono impegni qualitativi per la formazione di base e

continua dei sacerdoti religiosi e laici impegnati.

Sviluppo delle Organizzazioni Laiche

I laici cattolici organizzati hanno avuto sempre un ruolo nella Chiesa sotto diverse forme: di

carattere socio-economico (le corporoziani del Medio Evo), politico (Guelfi), culturale (le opere

dei Congressi del secolo XIX), assistenziali (le conferenze di S. Vincenzo de Paoli, fondate da

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A.F. Ozanam), per il servizio dei poveri e quale mezzo di santificazione.

Dopo la “Rerum Novarum” molte organizzazioni sociali furono istituite per imprenditori, agricoltori,

cooperative di produzione e di consumo, assicurazioni e banche, sindacati bianchi ecc.

Vi furono organizzazioni per scopi puramente religiosi come i Francescani e furono convertite in

organizzazioni laicali di vita comune con voti, già incominciate da S. Benedetto.

In questo campo, vi fu una immensa fioritura che fu, per così dire, il midollo carismatico della

Chiesa.

Venendo al secolo scorso, grande impulso fu dato da Pio XI con l’Azione Cattolica come

associazione. Però la concepiva come “la cooperazione del laicato alla missione della

Gerarchia”.

Nel mondo missionario le prime organizzazioni laiche furono di questo tipo con catechisti,

suore, fratelli. Come associazioni di apostolato laico si può notare che i missionari introdussero

quelle già conosciute nelle loro chiese in patria, come l’Azione Cattolica, (l’associazione

dell’Apostolato generico) (Italiani, Canadesi ecc.), la legione di Maria (Inglesi, Irlandesi),

Azione Cattolica specializzata per studenti, lavoratori, maestri ecc. (Francia, Belgio).

Però il concetto di Pio XI era da sempre nel subcosciente del Clero per cui le organizzazioni più

apprezzate erano quelle che aiutavano il clero ad espletare il loro compito. Questo

atteggiamento portava al clericalismo e non incoraggiava le iniziative e la creatività dei laici

nelle responsabilità specifiche che essi avevano nella vita sociale dove solo essi possono

testimoniare il messaggio cristiano. Quindi anche nel mondo missionario.

Prima del Concilio la Chiesa era piuttosto clericale e maschilista. Persino oggi cambiare

mentalità, anche per i nostri missionari non è facile. Tant’è che anche nel Capitolo del 1997,

mentre si trattava l’argomento dei Comboniani Laici, non ci fu nessuna enfasi sul

coinvolgimento dei laici nel campo missionario (n. 116).

Su questo punto, desidero dare un cenno storico sullo sviluppo della teologia del ruolo dei laici

nella Chiesa.

Vi sono due tipi di Apostolato Laico.

Prima del Concilio Vaticano l’Apostolato dei laici, come già accennato, veniva descritto come “la

cooperazione dei laici nella missione della gerarchia”.

Il Vaticano Secondo ha tuttavia inequivocabilmente stabilito che l’Apostolato Laico è una

condivisione nella missione salvifica della Chiesa come popolo di Dio. Secondo i documenti del

Concilio, ci sono due tipi di Apostolato Laico: uno obbligatorio e l’altro volontario.

L’apostolato obbligatorio e quello specifico ai laici. I laici impegnati sono agenti di

evangelizzazione in tutte le branchie della società dove lavorano e vivono.

“I laici, radunati nel popolo di Dio e costituiti nell’unico Corpo di Cristo sotto un solo capo, sono

chiamati, chiunque essi siano, a contribuire come membra vive, con tutte le forze ricevute

dalla bontà del Creatore e dalla grazia del Redentore, all’incremento della Chiesa e alla sua

santificazione permanente.

L’apostolato dei laici è quindi partecipazione alla missione salvifica stessa della Chiesa; a

questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del Battesimo e della

Confermazione. Dai sacramenti poi, e specialmente dalla Sacra Eucarestia, viene comunicata e

alimentata quella carità verso Dio e gli uomini che è anima di tutto l’apostolato.

Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in

quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così

ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimone e insieme vivo strumento della

stessa missione della Chiesa “secondo la misura del dono del Cristo”. (Lumen Gentium n. 33)

Se questo apostolato è obbligatorio, i missionari sono obbligati a dare ai laici una formazione

adeguata attraverso gli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. La seguente citazione

lo conferma:

“E’ diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nelle realtà della città terrena quella libertà

che compete ad ogni cittadino: usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro

azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal

magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi

come dottrina della Chiesa”. (Diritto Canonico n. 227)

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L’apostolato laico volontario è la cooperazione dei laici nella missione della gerarchia.

Nell’introdurre questo aspetto dell’apostolato laico di cui sopra, il Concilio Vaticano menziona

anche quello obbligatorio dicendo:

“Oltre a questo apostolato, che spetta a tutti i fedeli senza eccezione, i laici possono anche

essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della

gerarchia, a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l’apostolo Paolo

nell’evangelizzazione, lavorando molto per il Signore (cfr. Fil 4,3; Rom 16,3 ss.). Hanno inoltre

la capacità per essere assunti dalla gerarchia ad esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici

ecclesiastici.” (Concilio Vaticano, Lumen Gentium, 33)

L’apostolato volontario è quello del catechista, dei ministeri minori come quello di lettori, di

accoliti, o di altre attività che possono essere chiamate lavoro pastorale eseguito sotto la

direzione del clero; l’apostolato obbligatorio è svolto con diretta responsabilità dei laici in

comunione con il clero.

Tuttavia la cooperazione dei laici nella missione della gerarchia non significa che i laici

condividano il sacerdozio conferito dal Vescovo con l’Ordinazione. E’ questo che fa la differenza

essenziale tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune dei laici.

Tale cooperazione è il compimento dell’unzione del Battesimo e della Cresima che danno ai laici

una diretta condivisione nel carisma e nella missione di Cristo: Sacerdote, Profeta e Re.

E’ il sacerdozio dei laici descritto da S. Pietro nella sua prima lettera già citata “ un sacerdozio

reale, una nazione consacrata…” (2:9).

“I laici che risultano idonei sono abili ad essere assunti dai Sacri Pastori in quegli uffici

ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del

diritto.” (Diritto Canonico 228.1)

Inoltre:

“Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di Ministri ordinati, anche laici, pur

senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero

della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire la

Sacra Comunione secondo le disposizioni di diritto.” (Diritto Canonico 230.3)

L’attività dei laici nel campo pastorale darà alla Chiesa il beneficio aggiuntivo di evitare il

pericolo molto attuale di prendere decisioni affrettate riguardanti la questione della “mancanza

di sacerdoti”. E’ mia impressione che il clero in generale non ha afferrato il messaggio di Dio

attraverso la mancanza di vocazioni sacerdotali. Sappiamo che il Signore può fare figli d’Israele

anche dalle pietre. Egli permette questa crisi affinché i sacerdoti facciano solo quello che

nessun altro cristiano può fare: il resto si lasci ai laici preparati dal sacerdote. Alcune delle

principali aree pastorali nelle quali un’attività e corresponsabilità ampliata da parte dei laici

sarebbe fattibile potrebbero essere le seguenti:

L’amministrazione parrocchiale o diocesana.

L’area delle direttive e decisioni a livello parrocchiale, diocesana e nazionale.

L’area di culto pubblico della Chiesa e l’amministrazione di alcuni sacramenti; non solo inteso

nel senso di partecipazione attiva dei laici nella liturgia, ma anche nelle scelte decisionali circa

il rinnovo e la riforma liturgica – i maggiori “consumatori” della riforma liturgica devono avere

voce in capitolo.

E’ necessario e urgente prendere delle decisioni nel campo della catechesi. I laici devono altresì

essere consultati per quanto riguarda l’organizzazione dei catecumenati, della programmazione

delle omelie, il counselling pastorale, le visite, le prediche ecc.

Mentre si cerca di dare nuova vita a differenti tipo di apostolato laico, non si deve dimenticare le

necessità di ogni Chiesa locale, senza perdere d’occhio il trend generale della Chiesa universale.

Alcuni nostri missionari sono dell’opinione che le “Piccole Comunità Cristiane” meglio rappresenta-

no, oggi, l’apostolato laico, come una volta lo erano le associazioni ed i movimenti. L’esperienza

insegna che sono necessari ambedue. Difatti le associazioni ed i movimenti danno il modo di agire

sia a livello diocesano che nazionale od internazionale. Essi danno un più ampio campo di

apostolato delle PCC.

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La metodologia al servizio della Chiesa locale

I nostri missionari hanno sempre servito la Chiesa locale tramite le conversioni e la formazione

di sacerdoti, religiosi e agenti pastorali. Difatti, da un punto di vista giuridico, l’Istituto era

interamente responsabile della creazione della comunità cristiana, cioè della Chiesa locale. I

missionari venivano mandati dalla Santa Sede tramite i nostri Prefetti, i quali erano anche

responsabili di presentare missionari candidati alla nomina di Vescovi Vicari Apostolici. Questa

responsabilità era basata sul loro esclusivo dovere e diritto di evangelizzare chiamato “Ius

commissionis”. Quando la gerarchia locale fu stabilita, la responsabilità giuridica passò ai

vescovi. Nuovi missionari non vengono mandati dal Papa tramite l’Istituto, ma vanno quando

invitati dai Vescovi. Attualmente, le relazioni fra i Vescovi e gli Istituti per quanto riguarda le

finanze, gli impegni e il personale sono regolate da un accordo firmato dalle due parti e

periodicamente revisionato. Entri i termini del contratto, i Vescovi ed i missionari hanno la

responsabilità giuridica di portare avanti gli impegni stabiliti.

Nelle Chiese fondate dai nostri missionari nel contesto dello “Jus commissionis”, permane la

responsabilità morale di portare la Chiesa locale ad un certo grado di autonomia, auto

propagazione e auto amministrazione.

Il ruolo del Nunzio Apostolico, inoltre, è di importanza vitale nel proporre alla Santa Sede la

nomina degli ordinari locali.

I programmi del lavoro pastorale sono responsabilità della Chiesa locale. I missionari devono

essere fieri di aiutare la Chiesa locale a crescere e di passarle le relative responsabilità. Il

motto di Comboni dice “ Salvare l’Africa con gli africani” La nostra presenza in quei luoghi che

chiamiamo “ territori missionari” mira a un programma di impegni qualificati che danno la

priorità alla crescita della Chiesa locale, i sacerdoti, i religiosi ed i laici.

Anche noi possiamo ripetere ciò che Giovanni Battista disse della Chiesa:

“Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo che è presente e l’ascolta, esulta di

gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece

diminuire. “ (Giov. 3:29-30)

In teoria quasi tutti accettano questo atteggiamento, in pratica, tuttavia, alcuni missionari

vogliono rimanere i protagonisti. E’ vero che a volte la Chiesa locale può commettere degli

errori, come ebbe a dire un Vescovo africano ad alcuni missionari:

“Anche voi avete commesso degli errori, nonostante la vostra buona volontà. Lasciate che

anche noi facciamo i nostri. Anche noi impareremo perché anche noi abbiamo volontà e

possibilità di far crescere la nostra Chiesa.”

Capitò che un missionario prese posizione sulla stampa criticando il governo o la gente

altolocata citandoli per nome. Il missionario venne espulso dal Governo e il Vescovo non fece

niente per evitare l’espulsione. Questo comportamento disturbò le relazioni dei nostri

missionari con gli Ordinari locali.

Tali eventi necessitano un momento di riflessione.

a. Primo: non ci si deve aspettare che qualcuno si comporti come dovrebbe. Tutti noi

dovremmo essere santi, ma troppi di noi non lo sono. Le relazioni e l’esperienza sono

importanti.

b. Secondo: se un missionario, specie se non è cittadino del paese, agisce senza aver

consultato gli Ordinari locali, di solito questi non lo appoggiano. Molto spesso, se consultato,

l’Ordinario può essere d’accordo e quindi dare il suo supporto.

c.Terzo: se insegniamo la Dottrina Sociale della Chiesa potremmo ispirare un gruppo dei nostri

laici ad agire. Insisto su un gruppo, una Associazione, in quanto questa darà coraggio ai laici

ed eviterà che le autorità pubbliche agiscano contro un individuo.

d. Quarto: ci possono essere dei casi in cui la Chiesa locale non interviene anche se si tratta di

serie violazioni dei diritti umani. In questo caso il missionario si consulta con la comunità e il

Provinciale. Con l’approvazione del Vescovo, i nostri missionari nel Mozambico scrissero un “

Imperativo di Coscienza”. Fu il risultato di consultazioni con tutti i missionari e firmato dal

Provinciale. Riguardava le palesi violazioni dei diritti umani, incluso il diritto all’indipendenza

del popolo del Mozambico. Alcuni di loro furono espulsi, ma, in quanto sostenuti dal loro

Vescovo, il documento contribuì a raggiungere l’Indipendenza.

Nei nostri interventi si deve sempre tenere presente che ci si deve aspettare una reazione

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difensiva a qualsiasi azione pubblica. Un punto da ricordare è che, oltre al fatto che la reazione

potrebbe nuocere alla nostra azione, dobbiamo evitare di prendere iniziative miopi. E’

importante mettersi in cammino per un lungo viaggio anche se inizialmente possiamo

incontrare difficoltà. E’ importante pensare bene e ponderare tutti i mezzi a disposizione per

portare a termine il viaggio. Si deve ricordare il proverbio inglese che recita:

“ La via più breve per raggiungere uno scopo è spesso la via più lunga”.

Questa saggezza spicciola è in sintonia con la nostra Regola di Vita:

61.6: Il missionario deve rendersi conto che le scelte politiche sono prerogative della gente del

paese e che spetta in primo luogo alla Chiesa locale assumere la responsabilità in questo

campo e denunciare le oppressioni.

61.7 Per il missionario è necessaria una attenta analisi della situazione socio-politica del paese,

per scoprire i modi concreti e più opportuni per l’evangelizzazione anche nelle condizioni meno

favorevoli.

Per i nostri missionari che lavorano in Africa cito qui le seguenti affermazioni del SECAM-

SCEAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar). Fu pubblicato nel

1981 dopo l’incontro dei vescovi a Yaounde (Camerun) in un opuscolo intitolato “ Giustizia ed

evangelizzazione in Africa”.

“In un campo così delicato come l’analisi delle situazioni di ingiustizia, vorremmo ricordare ai

nostri colleghi che la riflessione e l’azione comune sono veramente necessarie. Non dovremmo

dimenticare che vogliamo che la promozione della giustizia sia un’opera di evangelizzazione e

perciò ecclesiale.

Tutto ciò che vorremmo fare o dire per la causa della giustizia deve essere il frutto di

discernimento maturato lavorandoci assieme. Interventi duraturi e efficaci sono raramente

azioni di liberi professionisti o cani sciolti. Quando è possibile parlare per la causa della

giustizia, questo deve sembrare un atto di evangelizzazione e portato a termine dopo relativa

riflessione ecclesiale e in comunione con le autorità episcopali. Questo è il criterio

fondamentale che deve guidare qualsiasi azione per la causa della giustizia. Deve esser la

proclamazione di Gesù Cristo e una rivelazione del Vangelo, dei valori come l’amore fraterno,

le beatitudini e le leggi del regno di Dio.

Vorremmo qui ricordare che parlare per la causa della giustizia non è necessariamente un atto

pubblico. Prima di intervenire apertamente per la giustizia, prima di rettificare certe situazioni

o condannare abusi, è normale, ove sia possibile, prima di tutto contattare coloro che sono

responsabili o colpevoli di tali situazioni. L’efficacia dell’intervento non si misura

necessariamente dal grado di violenza verbale o di sensazioni suscitate da un discorso.

Secondo le nostre tradizioni, la priorità deve essere data ad un dialogo a quattr’occhi. Inoltre,

questo modo di agire è anche quello proposto dal Vangelo secondo Matteo (18:15-17).”

L’evangelizzazione attuale

I cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II ebbero un impatto decisivo sulla metodologia

di evangelizzazione.

a.Nella liturgia. L’introduzione della lingua locale richiedeva la traduzione della Bibbia e dei

testi liturgici.

Un buon numero dei nostri missionari, principalmente in Africa si sono cimentati con

entusiasmo nel tradurre la liturgia nelle varie lingue. Tale impegno, lungo e paziente portato

avanti con l’aiuto e il consiglio dei sacerdoti locali merita l’apprezzamento di tutti.

Con l’uso della lingua locale e il procedimento di inculturazione, anche i canti cambiarono,

come abbiamo avuto modo di dire precedentemente. P. Giorgetti fu uno dei pionieri nell’uso di

canti utilizzando musica e parole africane. Altri missionari, lodevolmente, seguirono il suo

esempio, molti dei quali, però, non avevano la stessa sua competenza della musica africana.

b.L’emergenza di una nuova metodologia. L’enfasi data dal Concilio Vaticano alla Chiesa come

“Popolo di Dio” vivente in una comunità amorevole ha cambiato la fisionomia della Chiesa.

La Chiesa non è più una specie di piramide con in cima la gerarchia che filtra e a volte blocca

gli interventi del Signore sulla vita del popolo di Dio.

La gerarchia è adesso al centro del popolo di Dio rappresentando Gesù dal quale essi ricevono

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l’autorità ad interpretare la Parola di Dio. Tuttavia, lo Spirito santo può direttamente distribuire

ai laici grazie, doni ed ispirazioni. Anche i membri della gerarchia possono incoraggiare la

creatività dei laici ed aiutarli a compiere la volontà di Dio. L’importante è che Clero e Laici si

mantengano in comunione attraverso un dialogo sincero.

Seguendo le nuove tendenze nacquero diverse iniziative dei fedeli laici:

I° I MOVIMENTI: i seguenti sono quelli maggiormente conosciuti ormai in tutto il mondo:

Focolari: fondati da Clara Lubich durante la seconda guerra mondiale (1939-1945).

Il Movimento Carismatico ispirato dalle Chiese Pentacostali degli USA negli anni 60.

Le Comunità Catecumenali fondate da un laico spagnolo, Kiko e comunemente conosciute con

questo nome.

Comunione e Liberazione fondato da Mons. Carlo Giussani negli anni 60.

I nostri missionari favoriscono o l’uno o l’altro dei sopra citati. Comunque, l’approccio migliore

è quello di proteggerli tutti e permettere che operino nella parrocchia. I Pastori non devono

identificarsi con uno di loro in particolare. Ci si aspetta che essi aiutino tutti i movimenti a

mantenere la loro identità in quanto possono essere complementari fra di loro. Il dovere del

Pastore è di coordinare le loro attività. Non deve incoraggiare l’una a scapito dell’altra per non

dare l’impressione che una qualsiasi di esse sia “ La vera Chiesa” come voluta da Cristo.

Le rivalità permesse da Pastori possono talvolta creare scandali e confusione fra la gente comune.

Tramite i movimenti o altre associazioni il pastore può arrivare alle masse. E’ sbagliato per un

movimento credere che il loro apostolato più importante sia l’aumento dei membri del loro

gruppo. I membri di un dato movimento hanno il dovere di agire come leva sulle masse e

soprattutto di portare il popolo a Cristo ed alla Chiesa.

II° LE STRUTTURE: queste strutture sono le “comunità di base” iniziate nell’America latina. In

Africa si chiamano “ Piccole Comunità Cristiane”.

Le comunità che hanno avuto maggior successo sono quelle che sono il risultato di una divisione di

una parrocchia. In questo modo l’assistenza di un parroco è assicurata; però questi deve fare

attenzione a non diventarne una presenza dominante. Tuttavia non tutti i missionari sono convinti

della validità di queste comunità.

L’elemento di disturbo, di norma è quando un pastore viene trasferito per cui le strutture cedono.

E’ quindi necessario che i laici sieno formati a prendersi le loro responsabilità avvalendosi del

mandato dato loro dal Battesimo e dalla Cresima.

Non tutti i nostri missionari fanno uso di queste strutture. Coloro che lo fanno sono quelli che

hanno seguito dei corsi e sanno perciò cosa fare. La mancanza del come fare (know-how) può

impedire l’introduzione di queste iniziative e di assisterle.

L’emergenza di nuovi approcci

Comunità apostoliche

L’enfasi spostata dalla centralità del clero al popolo di Dio ha suggerito ai missionari di formare

le Comunità Apostoliche: evangelizzare come comunità con diverse mansioni dei membri.

Esse comportano essenzialmente due cose:

la consapevolezza delle differenti idee che possono avere i componenti di una comunità di

evangelizzatori; i sacerdoti, i religiosi, le suore, i fratelli ed i laici. Il Sacerdote deve

sottolineare la sua responsabilità nella proclamazione della Parola di Dio, nell’amministrazione

dei Sacramenti, nelle visite alle famiglie, ai malati e ai poveri con intento pastorale e nella

preghiera personale come Mosè sul monte.

I Fratelli, le Suore ed i laici devono sottolineare la promozione umana come già spiegato.

Questo ruolo non è certamente esclusivo, ma è preponderante. La confusione dei ruoli genera

frustrazioni, malintesi ed interferenze di fronte ai laici. Una squadra di calcio dove tutti i

giocatori sono difensori od attaccanti rende il gioco impossibile.

Il pianificare assieme e la divisione delle mansioni attraverso un dialogo amichevole e riunioni

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regolari è ciò che serve, individualisti emergono sempre, ovviamente, ma sono da tutti

disapprovati.

Le ragioni di questo individualismo:

a.L’orgoglio in genere e l’egoismo, che sono innati ed istintivi. Anche Gesù ci disse di amare il

prossimo come amiamo noi stessi. L’amore verso i genitori, parenti ed amici è istintivo.

L’amore per il prossimo si acquisisce con l’aiuto di Gesù. Perciò la ragione principale

dell’individualismo è la mancanza di amore per i membri della nostra comunità apostolica.

b.Il complesso di superiorità scaturisce dal nostro egoismo, e ci può portare a seguire i nostri

propri progetti ed il nostro ritmo di lavoro. Certe difficoltà devono essere discusse ed appianate

nelle riunioni presso la propria comunità ed in quelle della comunità apostolica. Un sincero

dialogo può riuscire a risolvere i problemi di apostolato di una comunità. Ho spesso notato,

comunque, specialmente nelle comunità più numerose che alcuni sembrano indifferenti a

quanto viene discusso attorno al tavolo e continueranno per la loro strada imperterriti.

c.Le diverse teologie possono incoraggiare l’individualismo.Già nel campo di lavoro alcuni nuovi

arrivati pensano di avere una teologia più progressista, e vanno per conto loro. Da quando

sono stati istituiti gli Scolasticati Internazionali (preferirei interculturali) metodologie e teologie

diverse influiscono la metodologia e gli scopi dell’evangelizzazione. Alcuni missionari di una

certa età non sono disposti ad intraprendere discussioni teologiche o filosofiche, perciò essi

continuano da soli nei loro progetti e metodi.

Ecumenismo

Nella pratica dell’Ecumenismo si possono distinguere differenti modi per avvicinarsi agli altri.

a. L’approccio alle diverse denominazioni Cristiane: si deve aver ben chiaro qual è lo scopo

dell’ecumenismo. Si deve mirare ad una unità giuridica che include la supremazia giuridica del

Papa? Non so se e quando questo potrà essere possibile: può anche essere controproducente.

La ARCIC (Comitato Internazionale Cattolico Romano Anglicano) quando tratta del ministero e

il dono dell’autorità formulò il problema nel seguente modo:

“La ricezione del primato del Vescovo di Roma implica il riconoscimento di questo specifico

ministero del primato di Roma. Noi crediamo che questo sia un dono ricevuto da tutte le

Chiese.”

Queste parole si riferiscono chiaramente all’autorità del Papa come autorità nell’insegnamento,

e non giuridica. Tuttavia anche questa risoluzione ha incontrato forte opposizione da parte di

diversi anglicani ed altri teologi come un pericoloso cedimento.

b.Il primo scopo del dialogo con i non cattolici è quello di creare un’atmosfera amichevole

tenendo conto che tutti i cristiani possono salvare la loro anima se lo desiderano; lo scopo è

prima di tutto di chiarire i malintesi, per esempio circa il culto della Madonna, e l’infallibilità del

Papa, e secondo chiarire le diverse calunnie storiche reciproche che si fanno continuamente

emergere, e sono sempre le stesse, di secolo in secolo. Debbo aggiungere purtroppo, che molti

sacerdoti o non sanno o non si interessano di spiegare il perché di certe calunnie, molte di

queste sono state sfatate o ridimensionate da chi si interessa dei giornali e libri cattolici.

Dobbiamo pensare che:

- tutti hanno un loro punto di vista al quale si attengono

- l’essenza della libertà è la possibilità di scegliere fra due buone azioni; scegliere fra una

buona ed una cattiva è abuso di libertà.

c.L’approccio verso i non cristiani, anche qui lo scopo del dialogo è creare un’atmosfera

amichevole

Per poterci capire meglio. I mussulmani hanno bisogno di spiegazioni in particolare sulla

Trinità. Questo è comunque un argomento spinoso in quanto sono allergici all’idea di Tre

Persone in Una natura.

La prima volta che mi recai in Uganda, nel 1951, in nave da Venezia fino ad Alessandria

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d’Egitto, incontrai un professore di storia all’università di Teheran, un musulmano. Parlammo

fra di noi, e dopo due giorni, con la sincerità di un novello sacerdote gli chiesi se poteva

riuscire a credere nella Divinità di Gesù. Fu terribilmente sorpreso e risentito dall’audacia della

mia domanda. Egli replicò “ Non ho una testa d’asino”. E così finì il nostro dialogo. Non avevo

mai incontrato un musulmano prima di allora.

Questa esperienza mi insegnò che gli incontri casuali non si prestano a discussioni religiose,

possono, però, portare all’amicizia e buone relazioni. Ci sono molti punti di convergenza che

possono nutrire un dialogo. Si deve essere preparati. Il nostro Istituto ha in atto molte

iniziative per facilitare il dialogo.

Uno dei nostri missionari crede di aver imparato di più dai teologi musulmani che da quelli cristiani.

E’ vero, l’Islam ha una sua teologia, sia dottrinale che mistica. Io credo a quanto questo padre dice

perché ha approfondito la teologia musulmana per oltre 30 anni della sua vita mentre forse la

teologia cattolica è stata relegata ai soli quattro anni della sua formazione di base.

Qui di seguito riporto alcuni suggerimenti tratti dagli Atti del Capitolo del 1997 a proposito del

dialogo con i musulmani:

L’obiettivo della nostra presenza fra i seguaci dell’Islam è di prima evangelizzazione.

Cerchiamo di ottenere questo risultato attraverso iniziative di dialogo inter-religioso in

comunione con le Chiese locali e ove possibile, la diretta proclamazione del Vangelo.

Nei paesi fortemente influenzati dall’Islam, l’evangelizzazione e l’inculturazione del Vangelo

rafforzano le comunità cristiane e le rendono capaci di vivere e testimoniare la fede in diverse

situazioni.

Secondo la tradizione Comboniana i luoghi privilegiati per l’evangelizzazione e il dialogo con i

musulmani sono le scuole, le attività sociali e la promozione della donna.

Le seguenti attività fanno parte della proclamazione del Vangelo:

- promuovere iniziative di dialogo;

- Coltivare relazioni di apprezzamento e fiducia con quei musulmani che seguono la tradizione

spirituale e mistica dell’Islam;

- Lavorare insieme a quei musulmani che promuovono i diritti umani e la sana emancipazione

della donna.

E’ mia personale opinione che l’ecumenismo, che include anche i musulmani deve avere come

priorità quella di unire e creare una religiosità globale come alternativa alla cultura atea

globale lasciando discussioni teologiche. A proposito: tali discussioni sono possibili solo per chi

è profondo nella sua stessa religione. Si deve anche aggiungere che l’ateismo è unico mentre

le religioni sono diverse per cui gli atei uniti hanno più forza ed è quindi necessario che le

religioni si concordino fra di loro, ciascuna a portare il suo contributo specifico, senza perdere

la propria specificità e identità.

Le Sette

Qui non parlo delle denominazioni tradizionali cristiane delle quali mi sono occupato trattando

l’ecumenismo. Vorrei adesso esaminare le innumerevoli nuove sette che stanno prendendo

piede principalmente nel Mondo pre-industriale.

Esse sono una grossa sfida per i nostri missionari nel campo di lavoro perché le sette stanno

propagandosi velocemente. Uno dei loro scopi è minare la Chiesa cattolica, togliendone i

membri con le buone e con mezzi leciti o illeciti (soldi, borse di studio, ecc.).

Il loro target è il Papa che da molte sette è chiamato la Bestia sulla terra (666) dal Libro della

Rivelazione (Apocalisse 13:18).

Ho letto una pubblicazione anonima, che si suppone fatta dalla Chiesa Pentecostale e un’altra

setta “carismatica”. Questo è il testo:

“I cattolici carismatici devono lasciare la Chiesa cattolica. Non possiamo avere Cristo ed il

Battesimo dello Spirito Santo e le dottrine del diavolo allo stesso tempo. Non dobbiamo

fornicare con la grande prostituta della Rivelazione, cap. 17. Dio stesso la giudicherà (Riv.

17:1) dice che farà guerra all’agnello (Gesù). La Chiesa Cattolica Romana sta cercando di

sedurre la vera Chiesa ed è nemica di Cristo.”

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Nei primi mesi del 2000, un Rettore di una università americana intervenne nella campagna

elettorale. Disse che il popolo avrebbe dovuto eleggere un protestante come George Bush; gli

elettori dovevano ad ogni costo evitare di dare il loro appoggio ad un candidato cattolico in

quanto egli sarebbe stato suddito del Papa che è l’Anticristo (o 666).

Ciò che hanno contro il Papa è la sua Dottrina Sociale basata su principi morali e a favore dei

poveri contro gli estremismi del comunismo e del Capitalismo Liberale Selvaggio del tipo

americano. Alcuni credono che alcune potenti multinazionali siano dietro e finanziano le sette.

Il secondo target delle sette è la Madonna. Pubblicano scritti anonimi contro la devozione alla

Madonna, in modo speciale il Rosario. E’ anche vero che ci sono delle esagerazioni nelle

devozioni popolari per la Madonna.

La soluzione però non è abolire il Rosario, ma ritornare al suo scopo originario che è la

meditazione dei Misteri e la preghiera per ricevere la grazia di implementare ciò che

impariamo.

Molti missionari hanno scoraggiato i singoli e le famiglie dal pregare con il Rosario. Non hanno

però dato un’alternativa a questa devozione. In alcune comunità religiose (non ovunque) il

Rosario è stato messo da parte a favore dei Salmi.. Tuttavia la gente semplice ha poche altre

alternative alla preghiera del Rosario. Saluti ripetitivi ed invocazioni sono, dopo tutto,

preghiere; se il popolo desidera pregare con il Rosario, Dio conosce la loro buona volontà. Chi

può avere il libro dei salmi? E chi spiega loro quello che anche molti sacerdoti e religiosi non

capiscono?

Una vera esagerazione sono le troppe statue della Vergine esposte nelle Chiese senza una vera

catechesi. Una volta mi è capitato di essere in una chiesa nell’America Latina dove una signora

mi si fece vicino chiedendo: “Padre, se faccio un’offerta alla Madonna di Fatima, l’altra

Madonna rappresentata dall’altra statua, la madonna del Buon Consiglio se ne avrà a male?”

Un giorno assieme ai confratelli visitai il santuario della “ Aparecida” in Brasile. Uno di loro

chiese se fosse giusto benedire gli oggetti che la gente portava a tale scopo. “Non incoraggia

forse la supestizione?” chiese un altro. Il Rettore del Santuario rispose:

“Lasciateli venire. Posso benedire gli oggette nello stesso tempoi posso catechizzare i fedeli e

spiegare loro il vero significato. Se rifiuto di farlo essi non saranno illuminati, non solo con

riferimento al reale oggetto della benedizione, ma anche ad altri punti della nostra dottrina

cristiana.”

L’influenza di alcune sette come quella della Chiesa Pentecostale sta velocemente aumentando.

Ci viene da chiederci: Perché? Dove sta la loro forza? La mia analisi personale è questa:

I laici sono pienamente coinvolti nel diffondere la loro dottrina.

Le sette offrono vantaggi tangibili come il pagamento delle rette scolastiche o sponsorizzazioni.

I loro predicatori sono ben formati nell’attrarre l’attenzione della gente ed alcuni di loro hanno

una grande preparazione, specialmente biblica, per intrattenere gli ascoltatori.

Non predicano valori generali, i valori del Regno, ma la persona di Gesù Cristo il Salvatore

nelle nostre difficoltà. Questo è il Valore: il Re Gesù Cristo che riempie il Regno, il Redentore, il

Liberatore.

Alcune sette come la Chiesa Pentecostale hanno delle speciali sessioni di guarigione che sono

molto popolari.

Molti cattolici trovano attraenti le prediche dei pastori, interessanti e convincenti. Di recente a

Milano, mi è capitato di incontrare un musulmano iraniano che era solito pregare in una chiesa

cattolica. E mi disse:

“I vostri sermoni in chiesa sono troppo corti. Ho imparato di più durante un sermone di due ore

di una denominazione cristiana diversa che in tanti anni frequentando le vostre chiese.”

In queste Sette la spiegazione della Bibbia è più frequente; spesso i loro pastori sono più

preparati dei nostri sacerdoti. La formazione continua dei nostri cristiani tramite la spiegazione

della parola di Dio è alquanto debole. L’esistenza delle Sette aumenta la confusione tra i

cristiani, e stanno nascendo ancora altri culti.

Il vero problema, comunque, non è la potenza delle sette ma la debolezza degli agenti

pastorali cattolici

Termino l’ecumenismo e le sette con la seguente riflessione.

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“Il dialogo teologico implica sia ascoltare che spiegare; cercando sia di essere capiti che di

capire; essere sinceri e fiduciosi su quanto gli altri hanno da dire”.

Giovanni Paolo II scrisse:

“Il dialogo non si estende esclusivamente alla dottrina, include l’intera persona; è un dialogo

d’amore.”

Aggiungerei che la cosa più importante nel nostro cammino verso l’ecumenismo è che si

conoscano profondamente le tematiche teologiche e morali proprie per mantenere la propria

identità senza indulgere in un certo tipo di sincretismo.

Inculturazione

Anche l’approccio alle differenti culture fa parte della moderna Evangelizzazione. I nostri

missionari si sforzano sia in Africa che in America Latina: qui gli sforzi verso l’inculturazione

sono istituzionalizzati con quattro centri pastorali Afroamericani nel Brasile Nord, Brasile Sud, e

due in Ecuador. Oggi la soluzione del problema non è facile per diverse ragioni.

Primo. Il nucleo delle culture trasmesse oralmente sono i proverbi, essi sono la saggezza dei

popoli costruita durante i secoli. Esaminai, per esempio, i proverbi di quattro lingue ugandesi:

Lugana scritto da un Padre di Mill-Hill; Runyakore-Rukiga, Lugbara e Acholi-Langi, scritti dai

nostri Padri.

Molti genitori non insegnano le lingue tradizionali ai loro figli così che questi conoscono ormai

pochi proverbi. I proverbi sono un buon sostegno per il Vangelo perché contengono tutti e dieci

i Comandamenti di Dio.

S. Paolo scrisse:

“Quando i pagani non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non

avendo la legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei

loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti,

che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli

uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.” (Rom 2:14-16)

Alcuni dei nostri missionari, specie i veterani fanno largo uso dei proverbi. Io penso che più

proverbi usiamo e più profondamente i nostri insegnamenti si insinueranno nei cuori dei nostri

cristiani.

Secondo: molti aspetti delle differenti culture stanno adesso confrontandosi con la sfida

dell’invasione della cosiddetta ‘civiltà’ occidentale che tende a sradicare le culture tradizionali

popolari. Le nuove generazioni nel mondo pre-industriale e che sono il 65% della popolazione,

sono ad una svolta. Si può facilmente vedere il declino delle culture tradizionali da un canto e

la superficialità della comprensione dei valori del Vangelo dall’altro. L’uso dei proverbi potrebbe

colmare il vuoto.

Terzo: un grande pericolo incombe: l’inesorabile espansione della globalizzazione finanziaria

che tende a trasmettere una cultura globale che lentamente distruggerà le culture persino

quelle europee di origine e base cristiana.

Al giorno d’oggi, la così detta “ civiltà” usa tutti i mezzi per diffondere la convinzione che si

possa vivere senza Dio: oppure che il Signore che muove il mondo c’è, ma non deve interferire

nella vita personale, famigliare, finanziaria e sociale degli esseri umani.

Quali culture possono sopravvivere al potere dei mezzi di comunicazione sociale che sono nelle

mani di coloro che gestiscono le finanze del mondo?

Queste nuove tendenze sono state riconosciute dalla relazione continentale delle province

Americane ed Africane al Capitolo del 1991:

“Vorremmo attirare la vostra attenzione sulla frammentazione dei valori culturali tradizionali

della gente che vive nelle città, di coloro che si trovano lontano da casa, dei rifugiati, ed in

particolare dei giovani. Questi fenomeni necessitano che le coscienze vengano rivitalizzate, in

quanto si trovano ad un bivio fra il passato ed il presente, e stanno cercando una nuova

identità personale e un nuovo senso di appartenenza sociale. Il movimento attraverso le

culture ha dato luogo a nuove realtà che richiedono risposte adeguate dalla Chiesa.

La forte pressione esercitata dai media del mondo secolare capitalista e dall’Islam costituiscono

una crescente violazione sia dell’identità culturale che della vita cristiana dei popoli.”

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Molti sacerdoti africani stanno cercando di inserire elementi tradizionali africani nella Liturgia.

Pochi, però cercano di reintrodurre i valori morali tradizionali della famiglia e della vita sociale.

Nel frattempo aborti, omosessualità, promiscuità, e prostituzione stanno prendendo piede

contro i tradizionali valori morali che si basano sui 10 comandamenti.

Quarto: il Capitolo del 1997 dà i seguenti suggerimenti per quanto concerne le relazioni fra i

missionari e le culture locali:

“Riconosciamo che la Chiesa locale è il soggetto dell’inculturazione del Vangelo: Daniele

Comboni capì e sottolineò questo fatto nella convinzione che l’Africa doveva essere salvata

dagli Africani. Nell’esercitare i loro ministeri in comunione, i cristiani sono chiamati a vivere e

ad esprimere il Vangelo secondo i loro valori culturali.”

“Noi missionari Comboniani facciamo parte delle Chiese locali, con le quali pazientemente condivi-

diamo il processo di crescita. Dobbiamo sopprimere la tentazione di protagonismo e paternalismo;

partecipare nel processo di ricerca e discernimento: essere pronti a sostenere, favorire e

sviluppare l’inculturazione nei vari settori della vita cristiana: sviluppare assieme alla Chiesa locale,

quelle strutture che sono congrue alla situazione locale e perciò non siano un peso per essa.”

Per quanto concerne le relazioni dei missionari con le popolazioni locali, lo stesso Capitolo dà i

seguenti consigli:

“La vita in un gruppo internazionale e inter-culturale non si riduce soltanto alla conoscenza

delle lingue ma richiede, altresì riconoscere che molti valori – come l’ospitalità, legami con la

famiglia, l’amicizia, l’uso di beni, la povertà, la preghiera, le tradizioni religiose,

l’organizzazione del tempo, il relazionarsi con gli altri ecc.,- possono essere vissuti in modo

differenti alla luce di Cristo. Dobbiamo accettarli e imparare a conviverci. “

N.B. Questo ultimo paragrafo mi suggerisce di approfondire ulteriormente il suo contenuto

nell’appendice.

PARTE SECONDA - L’evangelizzazione come promozione dei valori umani

Le scuole: lo sviluppo dei valori umani

La scuola elementare

Come molti nostri missionari anche i nostri, oltre ad insegnare il catechismo, aprirono scuole

elementari.

Papa Paolo VI scrisse:

“L’istruzione primaria è l’obiettivo principale di qualsiasi piano di sviluppo. Direi che la fame di

sapere è degradante quanto lo è la fame di cibo. Un analfabeta è una persona la cui mente è

malnutrita.”(Populorum Progressio n. 34)

La scuola superiore

I nostri missionari aprirono scuole superiori come, per esempio, il Comboni College di Khartoum e

di Lira, nel Kigezi, ed Esmeraldas in Ecuador ecc.

Il Comboni College avrebbe dovuto avere classi fino all’equivalente della maturità o così era stato il

piano nel 1964 che non fu però, implementato. Nel 1999, tuttavia, fu fatta richiesta per

l’approvazione di un progetto in Scienze Informatiche che avrebbe portato ad un diploma in

Informatica. Nel febbraio del 2000 il ministero dette la sua approvazione provvisoria. Nell’ottobre

del 2000 il ministero approvò sia il piano degli studi che i locali, la biblioteca ed i docenti.

Il Comboni gestisce anche delle scuole elementari. In un anno dei 900 ragazzi che le

frequentano il 74% sono musulmani, il 26% cristiani, cioè cattolici del Sud Sudan o ortodossi.

Nelle scuole secondarie dei 400 studenti che le frequentano in media ogni anno, il 51% sono

cristiani, la maggior parte dei quali del Sud Sudan ed alcuni ortodossi.; il 47% musulmani e il 2%

Indù. Mentre gli studenti del Sud Sudan imparano soltanto l’arabo, i musulmani e coloro che

provengono dal Nord spesso imparano anche l’inglese.

Gli Istituti Tecnici

In quelle regioni dove c’erano anche i Fratelli, l’educazione ad arti e mestieri era comune, con

scuole artigianali-rurali dopo le elementari; olre a questi furono fondati veri e propri istituti

tecnici a livello di scuola superiore come a Khartum, Ombaci e Laybi in Uganda, Carapina nel

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Mozambico e São José do Rio Prieto in Brasile, ecc. Queste scuole davano diplomi ai giovani

che poi avrebbero creato e non solo cercato lavoro.

Anche le scuole-fattorie videro i nostri esperti e dedicati Fratelli all’opera, insegnando

l’agricoltura fino al livello di scuola superiore. Queste scuole sono di importanza vitale.

Il destino dei poveri e dei deboli è nelle mani dei leader che hanno frequentato la scuola

secondaria. Che i missionari/e siano responsabili della gestione delle scuole o meno, la loro

presenza all’interno della stessa è necessaria per formare la coscienza dei futuri leader ed

impartire loro gli insegnamenti socio- economici e politici della Chiesa.

Le Università

In linea con il Piano del Fondatore, le Suore Comboniane fondarono l’Istituto della Sacra Famiglia

come Università ad Asmara, capitale dell’Eritrea. Fu ufficialmente approvato dall’Istituto delle

Suore Comboniane nel 1958. Suor Mary Nora Omnis ne fu Rettore fino al 1972.

Nel 1965 fu ufficialmente riconosciuto dal Governo Etiope, ma le Suore Comboniane ebbero il

diritto ed il dovere di nominarne il Vice Rettore fino al 1979 quando il regime comunista prese

le redini dell’amministrazione nominando Rettore il signor Hussein Ismail.

Le Suore continuarono ad aiutare la loro “figlia” a crescere insegnando e lavorando nella segreteria

amministrativa fino al 15 luglio del 1995 quando la comunità lasciò il campus. Il lavoro svolto dalle

suore fu molto apprezzato e stimato. La loro partenza invece, lasciò un vuoto incolmabile.

La preparazione universitaria dei leader data da docenti cristiani qualificati è della massima

importanza per la Chiesa, infatti gli alunni saranno i leader del futuro che avranno nelle loro

mani il destino dei poveri e degli abbandonati.

L’assistenza medica

L’assistenza medica si può considerare un progetto di prevenzione e sviluppo, è difatti

necessario prevenire le malattie e promuovere il buon funzionamento della sanità per fare in

modo che la gente possa aiutare se stessa e progredire in tutti i campi del vivere.

Gli ospedali

Alcuni padri e fratelli erano in grado di dare una assistenza medica di base, ma erano le Suore

le più impegnate nei dispensari, nei reparti di maternità, e negli ospedali. I nostri missionari/e

in Uganda hanno fondato ben otto ospedali.

Normalmente il Vescovo o il sacerdote chiedeva il danaro per il progetto, inizialmente ai benefattori

e poi al governo. I Fratelli costruivano i padiglioni, le suore si prendevano cura dei malati

l’amministrazione e la logistica dell’ospedale. Inizialmente le loro uniche qualifiche erano l’amore e

la dedizione, ma poi anche loro furono formalmente formate come infermiere professionali.

Il primo medico missionario fu padre Giuseppe Ambrosoli che arrivò in Uganda, a Kalongo nel

1956 e di cui è in corso la causa di beatificazione.

Le suore operavano anche come infermiere negli ospedali governativi in diversi paesi come

l’Egitto, la Siria e in America. Ci sono altri ospedali cattolici nel Congo Mungbere, in Ecuador

San Lorenzo ecc.

Gli orfanotrofi

Alcuni orfanotrofi furono fondati dai nostri missionari/e in paesi come l’Eritrea, l’Uganda,

l’America che ospitavano anche adolescenti. La tendenza oggi è quella di avere delle case per i

bambini dei quali si occupano anche degli operatori specializzati che cercano famiglie adottive

quando arrivano all’età di due o tre anni.Qualora non si trovassero famiglie per i piccoli, si

formano dei “gruppi famigliari” dove gli orfani possono trovare alloggio, cibo ed istruzione

assistiti da una persona adulta, preferibilmente una donna.

Progetti di Sviluppo

I progetti di sviluppo sono quei progetti di promozione umana atti a migliorare lo standard di

vita della gente e fare in modo che possano diventare autosufficienti.

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Rileggendo il resoconto del Capitolo del 1997 e quelli di alcune Assemblee intercapitolari ho

trovato alcuni accenni a tali progetti. Ho fatto le mie ricerche perché penso che tutti possono

aiutare i nostri laici impegnati a iniziare e perseverare nei progetti di sviluppo e riservare

l’assistenzialismo a situazioni di emergenza.

In passato

L’enfasi era l’istruzione della gente, ma anche molte iniziative atte ad aiutare coloro che si

trovavano in difficoltà, più l’assistenzialismo.

Micro-progetti

Molti micro-progetti sono stati portati avanti, come, per esempio, fornire macchine da cucire

alla donne, mulini per macinare il granturco, macchinari per estrarre l’olio dai girasoli, la

fornitura di buoi per arare la terra ecc.

P. Giuseppe Beduschi (+ 1923) aveva già fatto qualcosa di simile fra gli Scilluk a Lul “ la Croce

e l’Aratro “ era lo slogan” del progetto.

Fratel Giacomo Giacomelli (+ 1912) diresse lo scavo di un canale d’irrigazione lungo 600 metri

e profondo 2.5 metri. In un articolo apparso in Nigrizia nel 1911 egli spiega come molti

agricoltori beneficiarono di questa ed altre iniziative. Così facendo la gente veniva incoraggiata

a lavorare per migliorare il proprio standard di vita.

Fratel Francesco Spreafico negli anni cinquanta costruì una strada in Equatoria per far sì che le

auto e i camion potessero raggiungere Okaru che si trova in cima ad una collina. La strada era

lunga 12 chilometri e larga 4 metri.

Molti furono i progetti di questo tipo intrapresi dai nostri missionari.

Mezzi di trasporto

Non esistevano mezzi di trasporto veri e propri, i viaggi e trasferimenti avvenivano tutti a

piedi. I nostri missionari si crucciavano per il duro lavoro svolto dai portatori. Nel Bahr-el-

Gazal, iniziarono ad usare muli, ma in pochi anni ne morirono oltre 60. Furono comprati dei

buoi dai Dinka e carri da Kartoum: così si risolse il problema. Non appena fu possibile i

missionari si fecero mandare biciclette che usarono sia loro stessi che gli africani che potevano

permettersi di comprarle. I fratelli insegnarono come ripararle.

Alloggi permanenti

Si pensò che la costruzione do alloggi permanenti fatti di mattoni e malta come quelli usati dai

missionari avrebbero potuto essere un segno di sviluppo. Oggi ci sono delle critiche a questi

alloggi di mattoni situati fra le capanne che sembrano fuori posto. Ciò non di meno, le case di

mattoni sono più salubri e gli africani hanno imparato a farsi i mattoni da soli. Alcuni africani

facoltosi si sono costruiti delle bellissime case nelle cittadine che di norma affittano per poter

avere danaro per mandare i loro figli a scuola.

Oggi

Sono state iniziate diverse attività che oltre a sviluppare la persona nella scuola, consistono di

progetti che generano entrate di denaro che aiutano la gente a sentirsi autosufficiente.

Ecco alcuni esempi:

Ecuador

Mons, Barbisotti si adoperò per la costruzione di scuole sia primarie che secondarie, una delle

quali è diventata un’università. Oltre a scuole prettamente accademiche incoraggiava

l’apertura di scuole agrarie e artigianali rurali. Ha anche aperto una scuola bilingue fra gli

Cayapas. Degna di nota è la “ Boys’ Town “ (Città dei Ragazzi) in Esmeraldas che ha aiutato

molti ragazzi a diventare adulti consapevoli e responsabili

Importanti sono anche i due centri Afro-Equatoriali di Quito e Guayaquil che forniscono

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letteratura sulla cultura africana in ambiente ecuadoriano

Molte delle cooperative fondate sono andate male principalmente per via della cattiva gestione e

corruzione ed anche per il fatto che molti dei gestori non erano stati sufficientemente formati.

Nel campo dello sviluppo i nostri missionari hanno lavorato con altre organizzazioni come, per

esempio, la FEPP (Fondo Ecuadoriano per il progresso del popolo), che si occupa delle

cooperative, le imprese agricole, l’ecologia e la cultura.

La cooperativa “ Pescadores San Pedro” per pescatori è tuttora funzionante.

In Brasile

Non si deve dimenticare la lotta per la divisione della terra che costò la vita a p. Ezechiele

Ramin. Né dimenticare p. Franco Sirigatti, un uomo del popolo che fondò il CAER, Centro per lo

sviluppo delle scuole rurali dove furono formati molti insegnanti, specialmente donne, i quali, a

loro volta dettero vita a diversi progetti per la loro gente. Fra i tanti altri progetti, il Centro

Sociale di São Judas Taddeuus nel Sud Brasile fondato dai nostri Vescovi.

Nella vita di Mons. Dalvit Vescovo di St. Matteus e di Mons. Parodi, ho parlato dei progetti

fondati da loro: erano anche essi Comboniani.

Nel Sudan

Non ci si può dimenticare di fr. Michele Sergi (+ 1988). Fratello Michele nativo di Lecce passò

quarant’anni della sua vita a Khartoum. Una figura esemplare nel campo dell’evangelizzazione.

Iniziò mettendo assieme gruppi di lavoratori, imparò le loro lingue: Dinka, Nuer, Shilluk e Nubi

e li addestrò usando il metodo “imparare facendo”.

Alcuni dei suoi ragazzi diventarono dei magnifici lavoratori, falegnami, idraulici e esperti

meccanici. Sentiva però che si poteva fare di più per le folle provenienti dal Sud che non

avevano risorse, nessun alloggio, risorse economiche, o lavoro.

Il club che chiamò “ Nadi” fu la sua opera d’arte. Campagne di alfabetizzazione, l’istruzione

religiosa, un centro studi e preparazione scolastica erano tutti concentrati in un minuscolo spazio

che era però perfettamente organizzato e sincronizzato.

Il club era frequentato giornalmente da circa duemila membri. Si tenevano lezioni su svariate

materie ognuna delle quali da un docente differente. Coloro che erano interessati potevano

seguire il catechismo nella loro lingua alle 18.00, e alle 19.30 tutti se ne andavano a casa. Non

ci furono mai problemi; nè risse nè disordini di nessun tipo.

Quale fu il segreto del suo successo? Era un uomo di Dio, di preghiera personale giornaliera ed

un fratello per tutti coloro che gli erano attorno.

In tutti vedeva un’anima da salvare. Il punto di partenza era un crocefisso o una immagine

religiosa nelle sale dove si svolgevano le lezioni. “ Cos’è” chiedevano. La prima lezione nella

religione cristiana era il segno della Croce, i catecumeni all’ombra di un albero imparavano e

dopo due o tre anni, venivano battezzati.

Fondò la “ Sergi Publishing House” scrivendo a macchina con un solo dito per poi pubblicare i

suoi articoli, con l’aiuto dei Padri Gaetano Gottardi e Armando Ciappa. In vent’anni egli

pubblicò oltre un milione di opuscoli, libri di lettura di base, libri illustrati, catechismi e Vangeli

in circa 12 lingue.

Il suo zelo missionario fu ricompensato, le missioni fra gli Nuer che prima erano restii alla

conversione stanno adesso prendendo piede. Molti cristiani anziani si ricordano gli

insegnamenti di Fratel Sergi “ il Miracolo di Fratel Sergi “. Accadde ciò che non ci si aspettava:

queste iniziative unirono le tribù del Sud Sudan in Khartoum, le quali altrimenti sarebbero

restate entità divise e diffidenti l’una dell’altra. Il governo vide questa unità come politicamente

pericolosa e ordinò che il “Nadi” fosse chiuso.

In Sudan inoltre la Chiesa locale ed i nostri missionari hanno introdotto un fondo sociale per dare

aiuto finanziario a coloro che vogliono acquistare terreni da coltivare. Dal canto suo, il beneficiario

dell’aiuto finanziario ripaga il prestito rendendo quanto avuto in danaro o in natura. Non si può

dimenticare i centri plurivalenti (multipurpose centre) che servono da luogo di preghiera e di

insegnamento specialmente per le donne: cucito, puericultura, elementi di medicina, ecc.

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Nel Congo

Progetto MUSAL

Nella Parrocchia di S. Mbaga, un martire ugandese, alla fine degli anni ottanta fu iniziato un

progetto che avrebbe generato redditi. Fu chiamato “ Mutualité Selela “ che significa “aiutare

per essere aiutato”.

A dirigere il progetto Musal c’è un Consiglio Amministrativo e un Comitato Manageriale. Il suo

scopo è adoperarsi per le diverse necessità della parrocchia. La gestione è laica, i padri

fungono da supervisori.

Con il progetto si è potuto aprire un conto bancario a nome dei 4000 membri. Utilizzando il

capitale, l’Associazione gestisce un mulino e vende mangime per gli animali per la maggior

parte polli e utensili per la coltivazione della terra. Gli introiti derivati da queste attività

servono a pagare i debiti.

Altri progetti grossi e piccoli della parrocchia, possono essere aiutati dal comitato di sviluppo

del MUSAL. Per esempio, centri Caritas per la promozione della donna, Centri Comboniani per

la formazione di giovani al lavoro di falegnami o altro.

Attualmente la svalutazione monetaria è dilagante così il danaro depositato viene dato ad un

tesoriere missionario Comboniano che lo cambia in valuta estera. Questo fa sì che sia possibile

non solo avere degli interessi anche se minimi, ma anche evitare la svalutazione.

Il più grande vantaggio portato dal MUSAL è la protezione del danaro per coloro che vogliono

salvarlo dai ladri, da richieste da parte dei membri del clan e dalla tentazione di sperperarlo in

alcolici o altre spese inutili. Questo metodo può essere considerato una sorta di educazione

all’uso del danaro per rendere la gente leale ed onesta. I nostri missionari, dal canto loro

affidano il popolo al Beato Comboni affinché si avveri il suo motto “ Salvare l’Africa con gli

africani”.

Un progetto pilota: i Pigmei

I pigmei sono una etnia negroide di bassissima statura fra i 130 ed i 150 cm di altezza che

vivono in una fascia dall’Africa Centrale alle coste del Pacifico occidentale. E’ una etnia già

conosciuta nell’antichità. Il loro nome viene dal greco e significa “ alti quanto un pugno”

Il colore della loro pelle sfuma dal giallognolo marrone rossiccio al marrone scuro, ed i loro

corpi sono spesso coperti da una leggera peluria.

Sia culturalmente che come etnia differiscono notevolmente dai loro vicini neri. Tradizional-

mente vivono di caccia e della raccolta di cibo allo stato selvatico. Barattano i prodotti della

foresta con prodotti agricoli. Vivono in piccole comunità sparse nella foresta che è il loro

habitat naturale.

Le loro capanne sono alte appena 120 cm. Lunghe quasi 240 cm e larghe 150. Vi sono circa

100.000 pigmei nel mondo, di questi circa 5000 vivono nella diocesi di Wamba nelle due

parrocchie di Mungbere e Maboma nel Nord Ovest del Congo. I nostri confratelli iniziarono a

prendersi cura di questo gruppo inizialmente vivendo con loro nel loro villaggio e poi presso la

parrocchia.

I problemi incontrati dai missionari sono molti. Cercano di fare in modo che i pigmei si

considerino un popolo che ha una sua cultura e propri valori culturali ai quali possono

aggiungersi l’istruzione e l’abilità nel coltivare i campi. Molti hanno frequentato la scuola

elementare presso la missione e i più bravi anche la scuola superiore.

I missionari forniscono medicine, assistenza medica e utensili per coltivare la terra. Essi

credono in un Essere Supremo. La loro consapevolezza che esiste un Dio che li ama e che ha

creato le foreste, i fiumi i frutti le piante nonché loro stessi può dar loro un senso di unità fra

loro e di appartenenza al genere umano.

I nostri missionari hanno iniziato il lavoro fra i pigmei ma adesso i sacerdoti e le suore della

parrocchia li hanno inclusi nel loro lavoro pastorale.

Uganda – Karamoja 1980 –1985

Gli anni 1979 –1980 furono un periodo durissimo in Uganda a causa della sconfitta dell’esercito

di Amin. Una esperienza particolarmente difficile fu vissuta nel distretto semi-desertico di

Karamoja. Ci fu un periodo di siccità che peggiorò la situazione di anarchia che era venuta a

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crearsi per il fatto che la popolazione si era impossessata di armi dall’arsenale dell’esercito.

Anche la fame uccise circa 16.000 persone.

Padre Mario Cisternino conosciuto per i suoi interventi di Scienze Sociali nel Ovest Uganda fu

perciò chiamato ad intervenire.

Egli iniziò due progetti:

Uno a breve termine per la distribuzione di cibo che arrivava tramite organizzazioni internazionali

come la WFP (World Food Programme) delle Nazioni Unite che ebbe molto successo.

L’altro progetto a lungo termine includeva assistenza a 50.000 rifugiati che si occupavano di

pastorizia, un quinto della popolazione e che si spostavano verso terre più fertili all’ovest del

distretto. Essi dovevano essere forniti di utensili per la lavorazione della terra e altri per

riparare i pozzi che fornivano acqua sia per loro che per il loro bestiame. Nel 1982 furono

istituite delle cooperative che potevano usufruire di 50 trattori da condividere fra di loro.

L’Egitto: Progetto Studenti

Non si deve dimenticare il lavoro svolto a favore della gente del Sud in Egitto. Come ai tempi

di Mons. Sogaro e Mons. Roveggio la gente proveniente dal Sud Sudan continua a cercare

rifugio in Egitto.

Dal 1992 ha funzionato egregiamente un progetto chiamato “ Sudanese University Students’

Project”, Progetto per gli studenti universitari sudanesi. Nel 1992 circa 1000 studenti

partecipavano al progetto. Ad oggi 810 si sono laureati, 46 per svariati motivi hanno abbandonato

gli studi. Altri hanno avuto l’opportunità di recarsi all’estero. Molti laureati svolgono lavori che non

hanno a che vedere con le loro lauree e almeno 10 di loro sono tornati nel Sud Sudan, alcuni

hanno trovato occupazione in Egitto come medici e insegnanti nelle scuole cattoliche. Anche i

bambini abbandonati sono stati assistiti fino al 1998. Molti sono tornati alle loro famiglie e così oggi

poco viene fatto per loro anche a causa della mancanza di personale.

L’Italia

Il “Progetto Immigrati”

E’ interessante sottolineare che c’è un progetto per gli Africani in Italia. Mentre lavorava per

l’animazione missionaria nell’Italia meridionale, Padre Giorgio Poletti si trovò in una specie di

villaggio dove vivevano immigrati africani. D’estate lavoravano alla raccolta di pomodori, ma

alla fine della stagione erano in difficoltà e supplivano con la prostituzione e il traffico di droga

per cui gli abitanti italiani del villaggio appiccarono il fuoco alle loro case. Padre Poletti rimase

colpito da ciò che vide e si mise alla ricerca di altri immigrati africani. Aveva trovato un campo

per il suo zelo missionario.

Prima, nei dintorni di Capua trovò un posto usato da immigrati africani di passaggio. Rimase un po’

di tempo con loro, ma doveva anche trovarsi una casa. Ricevette aiuto dal vescovo di Capua,

Bruno Schettino, il quale non solo lo aiutò a trovare un alloggio, ma lo nominò parroco “ad

personas” per gli africani nella diocesi di Capua. Questo significa che egli può celebrare la S. Messa

ed amministrare i sacramenti in qualsiasi parrocchia senza il permesso del parroco. Chiese l’aiuto

di un altro sacerdote, p. Francesco Nascimbeni, ed assieme scoprirono un racket per la vendita di

ragazze nigeriane in Italia. Si recarono, quindi ad Abuja, la nuova capitale nigeriana, e Benin City

alla ricerca di una comunità di suore nigeriane per invitarle ad unirsi a loro per fondare una

comunità per aiutare migliaia di prostitute nigeriane. Il fondatore delle Suore del Sacro Cuore di

Gesù, il vescovo Patrick Ebosele Ekpu permise a tre suore di andare in Italia per partecipare al

progetto. Lo scopo dell’Istituto è la promozione delle donne e la cura delle oppresse.

Le suore fanno di tutto per aiutare le ragazze ad uscire dal racket, ma non è per niente facile.

Gli uomini che gestiscono il racket si recano presso le famiglie in Nigeria e danno loro una

somma di danaro in cambio delle ragazze, poi esse vengono portate da uno stregone “ Voodoo

“ dove le ragazze devono giurare di non dire mai niente a nessuno di ciò che fanno o sanno e

di essere sempre ubbidienti al racket. Il 90 % delle ragazze sanno a che cosa vanno incontro

una volta che si troveranno in Italia, ma non si rendono conto dello stato di schiavitù alla quale

saranno sottoposte, né di quanta brutalità sono capaci i loro “protettori”. Ciò che i padri

raccontano del racket e della prostituzione è, a dir poco, sconcertante. Ci sono circa 30.000

prostitute africane soltanto in Italia. L’accordo fra loro ed i loro padroni è che esse devono

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guadagnare circa 45.000 Euro in 2 o 3 anni. Dopo di che saranno libere. La maggior parte delle

ragazze che lavora in nero può guadagnare fino a 15.000 Euro all’anno e comprarsi una nuova

ragazza dal racket che farà il lavoro per lei. E la cosa continua. Nove milioni di uomini si

rivolgono a prostitute e la stragrande maggioranza di essi sono uomini sposati!

La Caritas Italiana e la Conferenza Episcopale italiana stanno cercando di risolvere il problema, ma

è un lavoro immane: i nostri padri e suore, dal canto loro cercano si sensibilizzare l’opinione

pubblica facendo nel contempo apostolato fra quelle poverine quando possibile.

E’ terribile constatare che tale mercificazione degli esseri umani possa continuare, sostanzialmente

impunita, in una nazione civile e moderna nella quale, però, una signora nel suo testamento ha

lasciato circa 2.400.000 Dollari per il suo cane.

Cura pastorale di tutti gli Immigrati

PRIMA FASE: LA TUTELA DEGLI STUDENTI STRANIERI: l’impegno dei missionari Comboniani a favore

degli immigrati in Italia risale agli anni cinquanta e sessanta e quasi coincise con

l’indipendenza delle nazioni in via di sviluppo. Si sentiva la necessità di istruire leader colti e

capaci. Questa necessità fu colmata dai leader ecclesiastici e civili che mandavano allievi e

studenti all’estero a studiare.

Fra coloro che si preoccuparono di più della cosa vi fu p. Renato Bresciani. Il suo scopo era di

fare in modo che gli studenti stranieri potessero completare i loro studi e poi tornare ai loro

paesi nativi. Padre Renato che aveva lavorato nel Suda fino alla sua espulsione nel 1964 fu per

loro un padre, fratello ed amico. Li aiutò a diventare studenti responsabili e consapevoli, di

sentirsi fieri della loro identità di africani e di prepararsi a tornare nei loro paesi d’origine a

contribuire allo sviluppo.

SECONDA FASE: I RIFUGIATI DAL SUDAN: L’indipendenza del Sudan fu seguita dallo scoppio della

guerra civile e della migrazione di massa che ne conseguì. Migliaia e migliaia di persone furono

obbligate ad abbandonare il loro paese e cercare rifugio nelle nazioni confinanti, l’Uganda,

L’Africa Centrale, la Repubblica Democratica del Congo e l’Etiopia. Alcuni di loro hanno trovato

anche il modo di trasferirsi in Europa, un buon numero dei quali in Italia.

La guerra civile ebbe ripercussioni anche sull’operato dei missionari italiani che avevano lavorato in

gran numero nel Sudan. Nel 1964, 214 missionari, uomini e donne, tutti Comboniani a parte dodici

sacerdoti Mill Hill, furono espulsi e obbligati a tornare in Europa: fra essi Padre Renato Bresciani.

Benché obbligati a lasciare il paese, i missionari parteggiavano per il popolo sudanese che si era

spostato in tutti gli angoli della terra. Padre Bresciani ricevette un mandato ufficiale da parte dei

suoi superiori di prendersi cura dei sudanesi che erano arrivati in Italia come rifugiati. Fondò una

specie di servizio rifugiati a Roma in modo alquanto informale, tuttavia il suo ministero fu

formalizzato nel 1969 con la fondazione della A.C.S.E. “Associazione Comboniana Servizio Emigrati

e Profughi”. Questo fu l’inizio di una azione organizzata in risposta alle necessità materiali, sociali e

spirituali dei rifugiati a Roma. Fu un progetto pilota a Roma e nel Lazio, e iniziò in un momento in

cui né la Chiesa nè la Società si trovavano preparati.

Questa mossa profetica da parte di P. Bresciani fu una sfida per la Chiesa e la Società.

L’A.C.S.E. cadde sul suolo romano come un seme vitale. Le attività come la Caritas, il Servizio

per i Rifugiati dei Gesuiti, la comunità di Sant’Egidio, Migrantes ed altre associazioni sia

cristiane che laiche, furono ispirate dalla coraggiosa mossa dell’A.C.S.E.

TERZA FASE: IL CONTRIBUTO SPECIFICO DELLA A.C.S.E. A causa di quanto sopra esposto, le Chiese

locali e la società laica nonché un grande numero di associazioni dovettero formulare progetti

concreti a favore delle necessità degli emigrati. In questa fase e in questo contesto, il

contributo specifico dell’A.C.S:E. al benessere degli emigrati in Italia è notevole.

Noi lo metteremo in questi termini:

1. Secondo l’ispirazione originale A.C.S.E. continua a prendersi cura dei rifugiati dal Sud del

mondo e in particolare dall’Africa.

2. Si presta attenzione e si prende cura dei nuovi arrivati secondo le loro necessità dando loro

informazioni utili, insegnando l’italiano e quale comportamento tenere in questo loro nuovo

ambiente, dando assistenza medica e giuridica augurando che ricevano certificati di residenza

entro sei mesi circa.

3. Avendo fatto tutto questo, l’A.C.S.E. continua ad assistere gli immigrati nel difficile compito

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di renderli auto sufficienti e fiduciosi in se stessi per potersi integrare interamente nel contesto

italiano.

4. Una delle più grandi tragedie della vita degli immigrati è la separazione dalle famiglie con il

rischio inevitabile di degrado morale che ne consegue. Uno degli scopi dell’A.C.S.E. è stato ed

è tuttora quello di aiutare le famiglie a riunirsi e ritrovare la gioia di una sana vita famigliare.

Continue risorse e lavoro sono stati investiti per arrivare a questa meta che implica una

riabilitazione psicologica, morale, spirituale ed economica. Ultimo, ma non meno importante,

l’integrazione dei figli radicati nella loro cultura d’origine ma aperti ad assimilare i buoni valori

del nuovo ambiente in cui si trovano.

5. Quello che differisce l’A.C.S.E. dalle altre associazioni di volontariato è il suo orientamento

missionario. Questa forte identità nata da p. Bresciani e ereditata dai membri dell’associazione

è ben conosciuta ed apprezzata dalla Conferenza Episcopale Italiana. Gli emigrati sia a livello

diocesano che nazionale hanno apprezzato l’A.C.S.E. per avere dato vita a programmi di

formazione per animatori/leader di comunità e catechisti. Naturalmente gli animatori/leader

appartengono alle varie etnie della diocesi romana e laziale.

Kenya: il modello Korogocho

La presenza di una comunità Comboniana in questa baraccopoli di Nairobi realizza il suo scopo

di promozione umana e proclamazione. P. Alex Zanotelli la fondò fra tantissime difficoltà, ma

fu poi considerata parte della parrocchia di Kariobangi, cioè, un impegno per la Provincia

Keniana che fornì altro personale per farla diventare una comunità. Attualmente essa ha una

casa privata nel mezzo della baraccopoli e una chiesa ricavata da un semplice locale.

La vita comunitaria è organizzata in modo tale da invocare continuamente l’aiuto del Signore

senza il quale niente di buono scaturirebbe dalla loro presenza e le loro attività.

GIORNALMENTE:

Un periodo prolungato di preghiera biblica al mattino.

Una prolungata Eucarestia alla sera con una Comunità Cristiana abitualmente alla presenza di

un malato di AIDS.

Alla fine della giornata le esperienze vissute vengono ricollegate ad un salmo.

La condivisione della Parola nelle diverse Comunità di base della Parrocchia.

Settimanalmente

Una intera giornata di preghiera.

Domenica: una Eucarestia prolungata assieme alla Comunità Cristiana quando gli avvenimenti

della passata settimana vengono celebrati tenendo presente l’inculturazione.

LE ATTIVITA’:

a. Comunità Cristiane di base

L’intera attività missionaria e pastorale di Korogocho è accentrata attorno alle 33 piccole

Comunità che sono sia territoriali che speciali (gruppi particolari emarginati) e attorno i

ministeri conferiti alle Comunità (Huduma di cui ce ne sono una ventina). Questo è il cuore

dell’intero approccio pastorale.

Tutto il lavoro viene svolto in una prospettiva ecumenica in quanto a Korogocho sono presenti

un centinaio tra denominazioni e sette.

Questa iniziativa ha dato vita al KPAM (Korogocho Peace and Action Makers), fautori della Pace ed

Azione di Korogocho, i quali si incontrano assieme ai leader di 28 Chiese, inclusi i musulmani una

volta alla settimana. Questo modello si sta diffondendo in altre bidonville di Nairobi per portare

avanti un Progetto di Pace chiamato “L’arcobaleno di Dio” finanziato dalla AID, aiuto cristiano a

vantaggio delle Chiese delle Bidonville di Nairobi con programmi di educazione civica, coscientizza-

zione sociale, risoluzione di conflitti, iniziative di riconciliazione e pace ecc.

b. La popolazione Mukuru

Presso la discarica di Nairobi, in un luogo chiamato Mukuru lavorano un migliaio di persone che

raccolgono e vendono il materiale della discarica. Un piccolo gruppo di questi, circa 80 sono stati

organizzati in una Comunità Cristiana nel 1991. Il gruppo s’incontra una volta alla settimana ad

ascoltare la Parola di Dio e si è costituita in cooperativa che compra e vende il materiale raccolto,

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facendo a meno di mediatori poco scrupolosi. Un'altra comunità si costituì nel 1994 con lo scopo di

raccogliere rifiuti nella città e pulire gli stabili. Anche questa è una Comunità Cristiana.

I lavoratori della discarica di Mukuru si riuniscono per le preghiere e riabilitazione umana che li

aiuta a liberarsi dalla droga e dall’alcool.

Attualmente i due gruppi raccolgono materiale riciclabile del valore di diverse migliaia di scellini

Keniani ($ USA 1.200) al mese che riescono a rivendere ricavandone un buon margine di

profitto.

Aiutati da un missionario laico senior essi sono diventati autosufficienti.

c. Udada

Udada è una piccola Comunità Cristiana fondata nel 1992 composta da ragazze giovani entrate a

far parte del mercato della prostituzione per sopravvivere. Oltre alla loro crescita spirituale tramite

la Parola di Dio, le 60 ragazze lavorano a cottimo guadagnando di cui vivere. Ciò che fanno le aiuta

a reinserirsi nella vita normale. I risultati ottenuti sono sorprendenti in quanto circa l’80% di esse

riesce a uscire dal tunnel della prostituzione e a ricominciare una vita normale.

d. Kindudu

Kindudu è una Comunità Cristiana fondata nel 1994 composta da una ventina di giovani donne

dedite all’alcool e alla droga che rubavano a Korogocho per sopravvivere. La Parola di Dio, la

comunità ed il lavoro le stanno aiutando a rifarsi una vita. Per quanto riguarda il lavoro, alcune

di loro si dedicano all’intaglio, cioè ricavano una figura da un pezzo di legno, altre si dedicano

alla fabbricazione tipica locale di sedie e sgabelli in sisal.

e. Altri gruppi di emarginati

1.Il Batik: sono un gruppo di una decina di giovani disoccupati e spesso tossicodipendenti che

stanno cercando di guadagnarsi da vivere con il batik con l’aiuto di artisti locali. Sono

organizzati in una piccola Comunità Cristiana.

2. Mama wa Ciondo: è un gruppo di una quarantina di donne fra le più povere ed emarginate

di Korogocho. Esse non appartengono ad una Comunità Cristiana, ma s’incontrano

settimanalmente per pregare e per un discernimento comunitario. Hanno delle difficoltà di

marketing, ma si stanno lentamente muovendo verso l’autosufficienza.

3. Parrucchieri: questo progetto è nato per aiutare e formare giovani madri singole cosicchè

che possano lavorare in proprio, essere riabilitate sia umanamente che cristianamente e

prendersi cura dei loro figli.

f. Malati di AIDS

La situazione dell’AIDS a Korogocho è veramente drammatica. Secondo stime attendibili

almeno il 70% della popolazione ne è colpita. La situazione richiede nuovi approcci pastorali e

totale dedizione.

Sin dal 1988 una suora missionaria infermiera, Suor Gill, ha messo a punto un programma per

malati di AIDS basato sulla comunità. Essa ha insegnato ai rappresentanti di ognuna della

comunità a prendersi cura dei malati. Questo programma è diventato un modello chiave per un

approccio all’AIDS per tutta Nairobi.

L’AIDS è una sfida per la nostra presenza missionaria in questo luogo. Richiede visite

giornaliere ai malati, la celebrazione dell’Eucarestia al capezzale dell’ammalato con la

partecipazione della comunità. La riscoperta dei sacramenti e l’unzione dei malati hanno un

profondo impatto sui partecipanti.

g. Ragazzi/e di strada

Molti dei ragazzi/e di strada di Nairobi provengono da Korogocho. Questo fenomeno ha

inevitabilmente attirato l’attenzione della nostra comunità cristiana che li segue e li assiste.

Nacquero così: prima, il “ Mukuru Rescue Centre”, Centro Mukuru di Salvataggio, gestito dalla

vicina parrocchia di Dandora e la comunità di St. John della Cappela di Kariobangi, e poi il “St.

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John Rescue Centre”, Centro di Soccorso St. John, dove circa 120 ragazzi/e di strada

s’incontrano settimanalmente. Siccome ce ne sono migliaia quanto si sta facendo è poco in

confronto a quanto sia veramente necessario fare.

h. Scuola informale

E’ stata approntata una scuola informale atta a raccogliere dalla strada ragazzi/e fra gli 8 ed i

12 anni. Seguono programmi d’istruzione basilare ed un pasto proveniente dal programma di

nutrizione della parrocchia Kariobangi. Coloro che dimostrano buone qualità intellettive

vengono indirizzati alla scuola pubblica.

i. Aspetti socio-politici ed economici della presenza missionaria

Il pericolo da evitare a Korogocho è lo “spiritualismo”, cioè cercare una specie di consolazione

spirituale dal momento che la situazione umana è troppo brutta da sostenere. Questa realtà ha

sfidato i missionari ad andare verso una più profonda e veritiera immersione nei problemi della

vita della gente. Questa è la ragione per cui furono favorite e appoggiate completamente una

serie di programmi socio-politici e altri progetti di missionari ed altri animatori.

I Organizzazione comunitaria (CO) portata qui dalle Filippine nel 1993 da un gruppo di Cristiani

Laici impegnati e appoggiati da “Misereor”. Si è adesso diffusa anche in altre baraccopoli di Nairobi.

II La Riabilitazione fondata nelle comunità (CBR) è cresciuta come nuovo programma gestito in

toto dalla gente locale sponsorizzata dalla WHO (World Health Organisation), il cui scopo è di

unire i marginalizzati per costruire con loro un senso di comunità. Ad oggi sono stati costituiti

44 gruppi di diverse tribù e religioni.

III Centro di Consultazione Legale (Kituo cha Sheria) istituito nel 1972. Nel 1990 per la prima

volta 30 avvocati visitaronole bidonville per difendere i diritti dei poveri (reddito mensile $ 30)

sia nelle aule giudiziarie che fuori. Questa attività portò ad una grossa campagna politica: i

leader dei nove villaggi che compongono Korogocho vengono scelti dagli anziani e non dal

governo. Il governo considerò questa attività una sfida al sistema e la soppresse; ma una

nuova coscienza politica aveva già preso piede.

IV Proprietà terriera: questa sarà la sfida degli anni a venire in quanto circa 2.000.000 di

persone, e cioè il 60% della popolazione di Nairobi è ammassata in un 1.5% del totale dei

terreni appartenenti al governo. Questo sforzo mira a portare i poveri ad essere proprietari di

almeno questa insignificante percentuale di terreni dove sono costretti a vivere.

V Paralegali: questo gruppo è composto anche da insegnanti dal settore informale. E’ stato

formato da legali per sostenere i poveri di Korogocho che ne abbiano bisogno. Stanno

diventando “comunità paralegali”.

La comunità di Korogocho è parte integrale della “ Comunità Apostolica” della parrocchia di

Kariobangi. Anche le Suore Comboniane e i Missionari Laici appartengono alla Comunità

Apostolica.

Alcuni progetti in Sud Africa

Cooperative: uno dei maggiori contributi all’autodeterminazione è l’istituzione di cooperative di

produzione.

Anche qui i nostri missionari del Sud Africa hanno lavorato con successo. Ove gli

amministratori sono stati ben formati, dove non c’è corruzione o tribalismo, le cooperative

funzionano e danno reddito. Sono in grado di eliminare il grossista e i membri possono portare

la loro merce direttamente al mercato usando mezzi di trasporto comunitari per poi dividere

fra di loro il ricavato.

Falegnamerie: istituite dai nostri Fratelli sin dall’inizio a Glen Cowie poi convertite in

cooperative di produzione gestite dagli stessi lavoratori.

Mulini per la macinazione del granturco:. questa iniziativa fu una delle prime intraprese sia a

Luckau che a Glen Cowie. Vi sono adesso due cooperative che se ne occupano e quella di Glen

Cowie conta 2000 famiglie membre.

Orticoltura: i missionari hanno aiutato molte donne ad organizzarsi in cooperative per la

produzione e la vendita di prodotti dell’orto, principalmente a Glen Cowie ed Elukwatini.

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Centri di tessitura: per la produzione di tappeti istituiti dai nostri missionari in diversi luoghi.

Producono rendite a molte donne le quali adesso lavorano in modo indipendente. Lo stesso si

può dire delle scuole di taglio e cucito.

Giustizia e Pace: i missionari sono riusciti a far sì che gli anziani e gli handicappati ricevano

una pensione.

Le Sponsorizzazioni per le centinaia di studenti intelligenti ma poveri fanno in modo che

possano anche proseguire negli studi universitari. Questa iniziativa è lodevole e utile per fare

in modo che si possano continuare a mantenere i contatti con i diplomati o laureati una volta

che lavorano in posti di responsabilità

L’intervento dei missionari potrà aiutarli a vivere come cristiani nella loro vita sociale con

l’apporto dello studio della Dottrina Sociale della Chiesa.

Perù “ Obra Cristiana de Kolping”

Il tedesco Beato Adolf Kolping (1913-1865) viene considerato un pioniere del cattolicesimo

sociale.

Non scrisse sulla Dottrina Sociale della Chiesa, bensì la mise in pratica nella città tedesca

industriale di Ehbefeld. Nel sermone pronunciato per la beatificazione di Padre Adolf, Papa

Giovanni Paolo II disse “egli è stato un precursore delle Encicliche Sociali dei Papi”.

Adolf era un ciabattino. Egli conosceva la povertà come pure le necessità spirituali e materiali dei

giovani di allora agli inizi della Rivoluzione Industriale. Decise di frasi sacerdote all’età di 24 anni

per poter meglio aiutare i giovani. Nella sua città egli poté dare una mano agli artigiani e ai giovani

operai delle fabbriche. Desiderava che diventassero buoni cattolici e padri di famiglia.

A questo scopo egli istituì un sindacato di giovani chiamato “ Inngling Verein” poi cambiato in

“Unione Cattolica” Ne divenne presidente nel 1847. (E’ interessante notare che Marx pubblicò il

suo manifesto nel 1848).

Il principio dal quale partiva era la promozione integrale degli esseri umani. La pratica religiosa

non era sufficiente. I cristiani dovevano anche migliorare nelle loro professioni così da poterne

diventare leader. Scrisse anche dei libri ma ciò che ebbe più influenza sulla gente era il suo

calendario “ Il Calendario Kolping” pubblicato 9999annualmente, ovviamente.

Per quanto riguarda la questione dei princìpi, egli ebbe un grande aiuto da mons. William

Emmanuel von Ketteller (1811-1877), Vescovo di Mainz in Germania, il quale può essere

considerato il fondatore di una Dottrina Sociale Sistematica della Chiesa. Sviluppò i suoi

insegnamenti nelle sue omelie durante l’Avvento del 1848. Papa Leone XIII che scrisse la Carta

dei Lavoratori “ Rerum Novarum “ lo considerava il suo “ più grande predecessore nella

dottrina sociale”.

Alla sua morte Kolping lasciò 400 associazioni in Germania ed altre ancora nelle Americhe.

Oggi ci sono associazioni in 30 nazioni del mondo.

Il pioniere in Perù fu p. Joseph Schmidpeter, il quale dalla sua parrocchia di “ Alto Selva Alegre

“ diffuse le Associazioni in tutta la nazione. Si chiamano “ Kolping Perù” registrate presso il

governo e riconosciute dalla Chiesa come movimento laico.

I laici si preoccupano di portare avanti progetti mirati a sradicare l’ignoranza e la povertà, i

missionari sono gli animatori spirituali dei membri secondo la prima ispirazione di Kolping. P.

Schimdpeter fu il primo assistente ecclesiastico nazionale.

“Questo movimento – scrisse p. Schmidpeter – è una risposta alla sfida della povertà, le ingiu-

stizie, la disoccupazione e la mancanza di formazione dei giovani per un futuro migliore. Questo

movimento è indirizzato alle famiglie cristiane per l’approfondimento della propria fede, ai problemi

della classe lavoratrice, dell’istruzione, la cultura ed il tempo libero. Al centro viene l’intero essere

umano, perciò vediamo gli scopi di questo movimento come impegno pastorale ed un servizio al

Perù odierno.” (Missioneros Combonianos “ Cinquant’anni di Perù” di p. Romeo Ballan)

Progetti che generano introiti in Kigezi (Uganda)

I nostri missionari entrarono in Kigezi nel 1965. Iniziarono subito ad istituire scuole elementari

in quanto il loro numero in questo distretto era molto al di sotto della media nazionale. La

popolazione locale ed i leader cattolici apprezzarono talmente questo sforzo che non solo

sostennero i missionari, ma contribuirono con lavoro manuale e danaro al progetto. Nessuna

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sovvenzione esterna fu necessaria, e l’istruzione elementare fu il primo passo al

conseguimento dei progetti.

I nostri missionari si resero subito conto che la popolazione soffriva di due mali, la povertà e la

malnutrizione stagionale.

a. L’alcolismo: a livello diocesano l’alcolismo fu combattuto attraverso l’istruzione data da un

movimento laico chiamato “ John and Monica” (una specie di Anonima Alcolisti) e dalla società

internazionale “ Thrift and Loan Socielty” (Risparmio e Prestito), una specie di banca

rudimentale. I nostri missionari sostennero questa organizzazione e col tempo il risparmio e i

prestito sono diventati una cosa normale. A sua volta questo portò benefici alle scuole in

quanto il danaro risparmiato o preso in prestito dalla “ Peoples’ Bank”, la banca del popolo,

come veniva chiamata, veniva speso anche per il pagamento delle rette scolastiche, le uniformi

ecc. Queste banche, tuttora funzionanti, sono pian piano diventate filiali della banca “

Centenary Bank” che ha parecchie filiali in Uganda.

b. La malnutrizione stagionale, dovuta alla lunghezza dei periodi di siccità di tre o quattro mesi

fra i periodi delle piogge, fu vinta in un breve periodo di due o tre anni diversificando le culture

e accettando di piantare le patate dolci e la cassava, ma in particolare il granturco (coltura

stagionale in alternativa al sorgo ed al miglio). Questi progetti si sono allargati oltre ai circoli

cattolici. I capi, ai quali non importava niente delle coltivazioni, non interferirono e non

pensarono che i missionari interferissero nei loro affari o nei programmi politici. I safari

quaresimali dei missionari, rafforzarono e sostennero la costruzione delle scuole, la chiusura

dei bar durante le ore lavorative e la diffusione dei sistemi di risparmio ai quali abbiamo già

accennato.

Tutte queste attività rientrano nella ricerca generale di una migliore articolazione del lavoro da

assecondare fra i laici per ottenere un maggior impegno verso l’indipendenza economica del loro

paese.

A livello parrocchiale furono aperti dei club per donne, generalmente seguiti da suore indigene

(Suore del Buon Consiglio). Per loro tramite i missionari hanno avuto modo di incontrare le donne

leader del posto imparando molto da loro e nello stesso tempo motivandole spiritualmente. Le loro

visite venivano di norma strutturate in modo tale da far sì che i problemi dei bambini e delle donne

venissero affrontati con calma e alla presenza delle Suore o delle donne laiche.

P. Mario Cisternino mise in atto una serie di progetti economici e industriali. Si basavano su

risorse naturali locali per esempio cibo e lo sfruttamento delle foreste che appartenevano (in

un modo o nell’altro) alla popolazione locale. Ricchezze delle quali la popolazione non si

rendeva conto essendo considerate “lavoro tradizionale” e non una “ risorsa del paese”.

c. Comprando il cibo locale in grandi quantità, elaborandolo e vendendolo localmente la gente

imparava a cooperare fra di loro e ad usare i propri risparmi guadagnandoci anche il cento per

cento. P. Mario introdusse queste iniziative passando un po’ di tempo con delle donne, grandi

lavoratrici e riuscì ad ottenere il permesso di lavorare terreni pubblici non utilizzati. Questo

gruppo divenne presto una “ Cooperativa femminile” che ottenne anche protezione politica.

d. Istituendo cooperative per la macina del granturco con mulini meccanici in tutte le frazioni

che non solo provvedevano a dare farina di granturco a poco prezzo ma favorivano l’acquisto

di cibo all’ingrosso da parte della comunità e che in tempi grami veniva venduto a prezzi

calmierati.

e. Utilizzando il legname delle foreste vicine al Congo. Un centro di falegnameria proprietà di

una cooperativa fu istituito per dare lavoro a molti giovani usciti dalle scuole artigianali rurali.

Furono acquistati i macchinari e tutto il legname veniva lavorato localmente. I mobili, venivano

venduti in luoghi così lontani come Kampala.

Tutte queste cooperative venivano gestite da personale locale reclutato tra coloro che avevano

frequentato le scuole e che erano ancora molto giovani. Alcuni di loro abbisognavano di

ulteriore formazione anche per capire se fossero all’altezza del lavoro loro assegnato e degni di

fiducia. La manutenzione dei macchinari veniva svolta da provetti meccanici ed un centro di

servizio proprietà dell’unione delle cooperative forniva carburante, parti di ricambio e

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un’officina meccanica.

Ai tempi della tirannia di Amin ci fu tanto spargimento di sangue e molte aziende fallirono, i

leader delle cooperative dovettero lavorare duro per cercare di salvare il salvabile dalla

disastrosa svalutazione e dalla mancanza di parti di ricambio. Spesso dovettero andare fino in

Kenya o in Ruanda a cercarle. Molte cooperative sopravvissero alla crisi (1975 –1980) e alla

dipartita dei missionari Comboniani dal distretto del Kigesi che ebbe inizio nel 1978.

Oggi la maggior parte dei laboratori sono diventati aziende private, ma lo spirito di lavoro

comunitario e di cooperazione socio-economica viene ancora ricordato come pure il fatto che fu

la Chiesa cattolica che liberamente organizzò il lavoro cooperativo per l’intera comunità civile.

Come sempre tutto ciò che occorre dall’estero (motori, parti di ricambio) arriva perché pagato

dalla gente del posto. Non è mai stato dato danaro per fondare o gestire tali iniziative e

neanche i missionari hanno mai gestito direttamente i fondi di una qualsiasi di queste attività. I

leader locali venivano eletti o formati e a volte riformati se avevano guai con le autorità

giudiziarie.

Il movimento cooperativo oggi, anche a livello nazionale è molti indebolito, anche la Banca

cooperativa nazionale è stata soppressa. Sta prendendo il suo posto l’iniziativa privata o

corporativa proveniente direttamente dagli USA (neo liberalismo) implementata dai prestiti IMF

(Fondo Umanitario Internazionale). Perciò, uno dei modi migliori per favorire la coesione

nazionale, la responsabilità di base comunitaria e il progresso della gente comune, viene

schiacciato da manipolazioni internazionali che mirano ad una neo-colonizzazione del

continente africano.

Ghana Comboni Centre – la tipografia

Questo è un progetto personale di p. Riccardo Novati in Ghana. Egli dà a questa iniziativa la

ragione della sua vocazione:

“Il promotore vocazionale nella mia scuola disse ai ragazzi che c’erano milioni di bambini che

non conoscevano Gesù e che non avevano né scuole né ospedali nè Chiese: “ Chi li vuole

aiutare?” ed io alzai la mano.”

P. Riccardo fondò una Radio FM, una scuola di tipografia, ed una clinica con reparti di oftalmologia

e dentistica. Scuole tecniche per l’apprendimento di falegnameria, taglio e cucito, agricoltura, periti

elettrici, ragionieri, segretarie, ceramisti, scuole primarie, secondarie e scuole materne.

Le scuole sono riconosciute dal Ministero della Pubblica Istruzione locale; lo scopo è di dare

una professione al maggior numero possibile di giovani. Tutti gli insegnanti e gli istruttori sono

professionisti indigeni, i quali, a loro spese, dedicano un po’ del loro tempo all’insegnamento.

Ci sono molti chirurghi, anestesisti, oculisti e dentisti. Un Rotary Club tedesco ha firmato un

contratto che lo impegna a fornire professionisti per il Politecnico.

Ci sono 120 insegnanti, lavoratori e infermieri e 600 fra ragazzi e ragazze alloggiati in ostelli

separati.

Commenti generali sui progetti di Sviluppo

Anche se nel passato alcuni progetti di sviluppo non hanno avuto buon esito, ciò non deve

scoraggiare nessuno a prenderli in considerazione come mezzo per sradicare l’ignoranza, la

povertà e le malattie. In ogni caso sono stati un seme che ha dato frutti.

Una analisi storica potrà dare delle risposte.

1. Alcuni progetti furono storicamente necessari per lo sviluppo della società. Prendiamo, per

esempio, le scuole sia accademiche che tecniche nelle colonie. Le Chiese le fondarono

spontaneamente. A causa di queste iniziative, i governi coloniali dovettero aiutare le Chiese e in

seguito rendersene responsabili. Oggi le scuole gestite dalle Chiese e che sono sopravvissute ed

altre recentemente fondate, sono considerate le meglio gestite e le migliori in modo assoluto.

In una delle missioni i missionari introdussero l’aratro e i buoi. La popolazione chiese al

governo di fare altrettanto. I missionari in Tanzania portarono le viti per la produzione del

vino: adesso vengono coltivate in tutto il paese. Lo stesso si può dire per altre coltivazioni e

frutti in differenti parti del mondo.

2. Di solito la necessità di intraprendere dei progetti viene percepita da singoli individui.

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Questo è normale. I carismi per il bene della comunità vengono prima di tutto dati ad individui

come San Benedetto, San Francesco, San Domenico ecc. inoltre abbiamo progetti iniziati per la

promozione umana da individui: Giovanni Battista de la Salle per le scuole cristiane, San

Camillo per gli ospedali, San Giuseppe Cottolengo, il Beato Guanella e S. Luigi Orione per gli

handicappati, San Giovanni Bosco per le scuole tecniche, il beato Adolf Kolping il Santo Daniele

Comboni e molti altri. Più grande è l’istituzione e più lenti sono gli interventi straordinari che

questa fa. L’istituzione, mai deve trascurare il discernimento di queste iniziative.

La questione non è chi è il promotore del progetto, ma se è necessario e innanzi tutto se c’è il

personale che potrà occuparsene in futuro.

Sta alla comunità locale ed al Consiglio provinciale prendere in considerazione con mente e

cuori aperti le iniziative degli individui e decidere se prendersene carico o far sì che un

confratello non vada oltre sperperando, forse, danaro e compromettendo il nome dell’Istituto,

in quanto egli rappresenta la comunità. Una disapprovazione silente, o critiche fatte su

individui da parte, principalmente dei Superiori, dimostrano mancanza di lealtà e portano alla

perdita di credibilità. Si è notato che nello scegliere quale iniziativa assecondare, il giudizio è

spesso discriminatorio. Ambedue le decisioni, se continuare o far cessare una iniziativa esigono

il rispetto delle persone.

3. Le cooperative sono istituzioni salutari. Ciò non di meno molte di loro sono andate male.

Generalmente la causa è una cattiva gestione. La gente deve essere formata sia a livello

tecnico che umano. Se una cooperativa viene iniziata da un missionario deve includere nelle

sue normative che ci sia una persona, preferibilmente un ragioniere ben prepararto che sia

responsabile per la contabilità e la gestione.

4. Il Ministero Sociale. Nei nostri centri internazionali per Fratelli viene sottolineata

l’importanza della Dottrina Sociale della Chiesa. Tale dottrina deve anche includere il know-

how dello sviluppo e la gestione dei progetti. Credo, inoltre, che un fratello debba conoscere a

fondo almeno un lavoro manuale per poter poi supervisionare coloro che lavorano a un

progetto, inclusa preferibilmente, anche una certa esperienza professionale. Nessun Fratello

Comboniano è soddisfatto di una professione al cos’ detto colletto bianco.

5. La Pratica Cristiana. Le iniziative come i progetti di sviluppo fanno parte della promozione

integrale dell’essere umano. Iniziando un progetto non si deve lasciare da parte la promozione

di una vera vita cristiana, questo scopo deve essere parte degli Statuti dell’Opera. L’esempio

delle “Unioni Kolping” è chiaro: sono gestite da laici, ma nelle loro normative vige l’assistenza

ecclesiastica. Questo era ciò che desiderava Comboni con l’esperienza di Malbes.

Comboni voleva fondare comunità dove l’ispirazione cristiana poteva illuminare la vita sociale e

famigliare. E far sì che un battezzato non venisse di nuovo ingoiato da pratiche pagane. La

Chiesa e i suoi missionari promuovono lo sviluppo con scuole, ospedali, tipografie, università e

fattorie sperimentali. Lo sviluppo della gente non deriva primariamente dal danaro, l’assistenza

materiale o la tecnologia, ma dalla formazione delle coscienze e la graduale maturazione del

pensiero e del comportamento.

“L’uomo è l’agente primario dello sviluppo, non il danaro o la tecnologia.” (RM 58)

“Attraverso il Vangelo la Chiesa offre una forza di liberazione che promuove lo sviluppo precisa-

mente perché porta alla conversione del cuore e modo di pensare, sostiene il riconoscimento della

dignità di ciascun individuo incoraggia la solidarietà l’impegno e il servizio al prossimo e dà a tutti

un posto nel piano di Dio che è la costruzione del suo Regno di pace e giustizia che inizia nella vita

terrena. Lo sviluppo dell’uomo deriva da Dio, dal modello di Gesù – Dio e uomo – e deve perciò

portare a Dio. Ecco la ragione per cui vi è la connessione fra la proclamazione del Vangelo e la

promozione umana.” (RM 59)

L’intenzione missionaria nella promozione umana è di testimoniare l’amore divino ed umano del

Cuore di Cristo evidenziandolo col disseminare la Parola di Dio e testimoniarlo nel nostro modo di

trattare i beneficiari.

Terminerò con una affermazione di Gandhi:

“La Pace fra le nazioni deve basarsi sulle solide fondamenta dell’amore fra gli individui.”

Nota. Mi rendo conto di non aver menzionato tutti i progetti di sviluppo svolti dai nostri

missionari. Il mio scopo era solo di dare alcuni esempi: alcuni missionari infatti, sono disposti a

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dedicarsi ai progetti nelle nazioni in via di sviluppo, ma non sanno come fare. Ricordiamoci,

comunque, che qualsiasi progetto anche se avviato da un individuo, deve essere opera della

comunità apostolica o eventualmente assunto da essa.

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APPENDICE

L’Inculturazione in alcune esperienze personali

La cultura è lo stile di vita di un gruppo etnico e viene espressa nel modo di pensare, di

parlare, di agire attraverso simboli, segni, ecc.

Vorrei qui evidenziare alcune differenze culturali che prevalgono in varie etnie. Uso la parola

“prevalgono” perché in generale è difficile fare un confronto fra le diverse culture basandosi

unicamente sulla conoscenza antropologica. Per un apprezzamento oggettivo occorre vivere

per anni in quella cultura che si vuole confrontare. Personalmente ho formulato il mio parere

sulla cultura del mondo preindustriale da Padre Generale: girando per diversi continenti ho

potuto raccogliere gli elementi culturali comuni in tale mondo.

Nelle lettere ai Romani (Cap. 2:25) leggiamo che la legge naturale (dieci comandamenti) è inserita

nel cuore di tutte le persone umane del mondo. Per questo in tutte le culture troviamo gli elementi

positivi ereditati dalla legge naturale e quelli negativi introdotti dalle persone umane: questo in

tutti i popoli. Anche nella Cristianità come di fatto è stata vissuta ad esempio nel Medioevo.

In questa mia visione, intendo solamente esprimere le differenze culturali: nessuna intenzione di

emettere un giudizio di approvazione o di condanna, né di dire che le differenze culturali

comportano che una sia migliore dell’altra, o che un comportamento sia virtuoso e l’altro viziato.

Vi possono essere anche diverse interpretazioni della legge naturale: sono pure differenze. Le

scelte della libertà umana non sono necessariamente tra bene o male: anzi, l’essenza della

libertà è la scelta fra due beni: scelta spesso fatta nella libertà di coscienza, di pensiero,

d’azione. Valori positivi sono presenti in tutte le culture come anche realtà negative.

Dato che vengo dal mondo occidentale, non vorrei che si insinuasse nel subcosciente del lettore,

che considero questo superiore. Ho vissuto per 43 anni in Africa a contatto con il popolo e le sue

espressioni culturali (non oso però dire tutte) almeno le più comuni e importanti.

Anche nelle diverse etnie del mondo sviluppato, nel così detto primo mondo vi sono molte e

talvolta profonde differenze culturali.

Diversi modi di pensare

Il Vescovo di Kumasi, Ghana, Peter K. Sharpon, scopre nella mentalità di molti africani un

atteggiamento che riflette l’accettazione del principio che il fine giustifica i mezzi, senza indicare se

i mezzi siano buoni o no. Parlando del Cristianesimo e della cultura africana, egli dice:

“L’africano, in generale, non accetta gli assolutismi. Nel valutare le sue azioni possibili, la sua

scelta deve rispondere alle sue necessità e a ciò che considera un bene hic et nunc. Perciò, non è

male dire una “ bugia” per una buona ragione. Il Battesimo è cosa buona: quindi dovrebbe essere

concesso ad una persona che non ne è degna di ricevere questo sacramento celando la verità su di

essa. In certe situazioni si devono dire menzogne. Sarebbe imperdonabile dire la verità se ciò

facendo si mettessero nei guai la famiglia, i parenti o gli amici. Sarebbe ingiusto per un bambino

ammettere apertamente di aver fatto qualcosa di proibito se ciò viene scoperto. Sarebbe segno di

arroganza ed impertinenza. Negare, facendo in modo che l’ammissione della sua colpa sia

comunque capita prima o poi, è il vero indice di umiltà e pentimento.

Non sto per niente insinuando che gli africani non siano capaci di distinguere ed apprezzare ciò che

è la verità e cioè che è una menzogna. Sto solo dicendo che la percezione di queste scelte è più

pragmatica. Per loro la vera bugia è nascondere un fatto o inventare una storia quando sa che ciò

avrà dei risvolti negativi per l’altra persona. Ma fare la stessa cosa per aiutare un parente od un

amico è fare del bene. La Chiesa Cattolica è la vera Chiesa fondata da Cristo, ma se la mia

preghiera, quando vado in Chiesa non viene esaudita, non vi è niente di male nel fare la stessa

richiesta in un’altra Chiesa o ricorrere alla magia nera. Dopo tutto lo scopo della religione è di

aiutare coloro che soffrono, che sono senza figli, i malati, ecc. In alcune lingue africane non

esistono concetti astratti e si deve ricorrere ad immagini concrete per rendere l’idea.

L’africano crede in Dio e negli spiriti, ma non gli interessa definire queste realtà, e la maggior

parte dei termini teologici usati per tali definizioni non hanno nessun significato per lui. Il suo

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interesse si limita a come Dio e gli spiriti influenzano la sua vita e quanto di buono e di cattivo

danno all’uomo.” (Cfr. Every Citizen’s Handbbok, Vademecum di ogni cittadino di P. T.

Agostoni. Paoline, Africa 1997, p. 27.)

Un altro scrittore africano moderno afferma:

“Come scienza dei principi, la scienza delle scienze, la filosofia deve essere molto rigida. I suoi

principi devono essere immutabili ed eterni come la stessa vita.

Il fondamentale principio del pensiero Tradizionale Africano è “ l’esperienza della vita”; la vita

vissuta attraverso la quale si ricavano i principi e le fondamenta dell’esperienza umana.

Nel pensiero africano tradizionale non vi sono valori predeterminati. Il punto di partenza è la

consapevolezza della propria esistenza assieme a quella di altri esseri: attraverso la pratica

dell’esperienza religiosa e morale, si arriva alla conclusione che la vita è un dono.

E’ questo il punto di partenza per una riflessione sulla vita ed il suo Autore e sul divino. Se la

vita è buona e tutto ciò che ci circonda dalla nascita alla morte è vita, dovrebbe esistere un

essere o intelligenza esterna che è l’essenza della bontà stessa. La spiegazione tradizionale

della morte, la materia corrosiva della vita e la decomposizione della stessa viene quasi

sempre associata alla sfera religiosa ed al mistero della vita in quanto si presume che qualcuno

ha voluto che le cose fossero così.

Il pensiero filosofico della tradizione orale africana consiste nella saggezza accumulata attraverso

le parole miti, i proverbi, le storie, i riti, i nomi, i tabù, ed altre forme di manifestazioni espresse in

parole o pensieri. In questo caso, non si fa riferimento a chi ha detto qualche cosa, in quanto il

soggetto sociale è la tradizione, la comunità e la stessa gente. “ (African Vitology, di Martin Nkafu

Nkemukia, pag 31-31 Paoline 1999 Nairobi.)

Differenti comportamenti

La cultura degli eventi e la cultura del tempo. Il defunto Cipriano Kihangire, il primo Vescovo

ugandese di Gulu mi disse una volta: “ Voi bianchi siete schiavi del tempo. Noi africani ne

siamo i padroni.” Mi rivolse questa frase quando si accorse che io ero preoccupato a proposito

della tabella di marcia alquanto rigida che dovevo seguire per andare a far visita alle missioni.

Secondo la sua mentalità, l’evento identifica o segna il tempo. L’evento deve impiegare il

tempo necessario a compiersi, e non dovrebbe essere misurato con l’orologio.

Il tempo oggettivo, difatti, è il lasso di tempo che la terra compie per fare il giro del sole; il

tempo culturale, tuttavia, è la misura di un avvenimento. Il tempo reale è il tempo di un

evento; quello culturale, invece, è lo stesso evento. Il tempo diviso in minuti, ore, giorni e anni

è fatto dagli uomini. La stessa numerazione è differente, come nell’Africa tradizionale dove le

ore vengono numerate come al tempo di Cristo: una, tre, sei, nove dodici.

Secondo una certa mentalità, il presente è ciò che sta succedendo adesso; il passato è già

successo (quanto tempo fa non è molto importante). Il futuro quindi, è praticamente

inesistente in quanto non è ancora né successo né presente.

Un Ministro del mondo preindustriale una volta venne invitato a Bruxelles ad una riunione che

doveva iniziare alle 13.00. il ministro arrivò alle 15.00. Alla folla irritata che lo stava

aspettando disse, “ Non vi preoccupate, la riunione ci sarà.”

Diverse volte in Africa ho notato che per le occasioni importanti come anniversari, la

consacrazione di una chiesa, ecc., quasi tutti i Vescovi africani partecipano, mentre i vescovi

missionari non africani erano quasi tutti assenti. Chiesi ad un vescovo africano come si

spiegava la cosa. “ Vedi”, mi disse” questa è una occasione speciale che non avverrà mai più.

Avrei dovuto andare ad amministrare la Cresima in una delle parrocchie, ma quello si può fare

in qualsiasi altra domenica dell’anno, mentre se avessi perso questo avvenimento sarebbe

stato per sempre, ed ecco perché sono qui oggi.”

Un Natale il Vescovo disse al parroco che avrebbe voluto celebrare la Messa in una stazione

missionaria lontana, e che la solenne celebrazione sarebbe iniziata alle ore 10.00. Il vescovo arrivò

alla cappella in perfetto orario, ma non c’erano altre persone presenti. Dovette aspettare fino alle

12.,00 prima di iniziare. Contrariato chiese al parroco. “ A che ora hai detto alla gente che avrei

celebrato la S. Messa?” “ alle 10.00” fu la risposta. “ Caro Padre, avresti dovuto dir loro alle 8.00.”

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In un’altra occasione il Vescovo arrivò con due ore di ritardo. Il sacerdote Comboniano

rivolgendosi a lui disse: “ La gente è diventata alquanto impaziente di aspettarLa,” Il Vescovo

rispose: “ Lei o la gente?”. Il sacerdote non rispose.

I seguenti esempi dimostrano come l’evento sia più importante del tempo o della routine.

Nel 1974 fui invitato a partecipare all’Assemblea Provinciale a Rungu nel Congo. Feci le mie

prenotazioni molto tempo prima: Roma – Kinshasa-Kisangani- Isiro. Quando arrivai a

Kisangani alla domenica mattina rimasi sorpreso che non ci fosse la coincidenza. La

spiegazione fu: “ Vede padre, non abbiamo potuto effettuare il volo per Isiro ieri perché l’aereo

era stato usato per portare la moglie di un ministro a Kinshasa. Così per compensare il

mancato volo di ieri, l’aereo è partito stamattina presto. “

Possiamo vedere come l’avvenimento particolare è diventato più importante della routine

programmata. Io cominciai disperatamente a cercare un mezzo di trasporto alternativo perché

l’assemblea sarebbe iniziata al martedì sera successivo. Finalmente riuscii a mettermi in

contatto con il Vescovo di Wamba, la cui residenza era la più vicina ad Isiro. Promise di venirmi

a prendere con la sua jeep. Non gli chiesi a che ora sarebbe partito, bensì a che ora sarebbe

arrivato. Sorpreso il vescovo rispose: “ Perché tanta fretta?. Questo non è il modo di fare. Se

volevi essere sicuro di arrivare in orario per l’assemblea, dovevi e metterti in viaggio una

settimana fa per prepararti con calma al raduno. Comunque arriverò domani sera.”

Debbo insistere nel dire che quanto detto rappresenta la continuità del senso del tempo in un

ambiente prevalentemente agricolo e pre-industriale. Oggi molti si rendono conto

dell’importanza del “tempo lineare”. Quanto segue fu scritto dalla giornalista Caroline

Nakazibwe per il Monitor un quotidiano ugandese il 29.10 2002. Potrà sembrare ironico, ma dà

l’idea dell’importanza di attenersi al tempo lineare, universalmente accettato (U.S.T.).

“Alcune persone invitate ad un ricevimento rimasero piacevolmente sorprese dal fatto che un

ministro fosse arrivato con soli 15 minuti di ritardo e prima di tutti gli altri ospiti. Al ministro fu

chiesto di aspettare un una delle camere dell’albergo. A questo punto è meglio arrivare in ritardo?!

Secondo la cultura africana quando si dice a qualcuno di essere in un dato posto alle otto, per

esempio, loro spesso non si alzano che alla stessa ora. Mi chiedo perché, in fondo ad un invito,

la gente non scriva qualcosa come: abbigliamento: giacca e cravatta, orario: tipicamente

africano. In questo modo arriveremmo tutti in perfetto orario. Questa è probabilmente una

delle maggiori ragioni per cui il continente è noto per la povertà e la malattia. Noi siamo

sempre in attesa che le cose inizino. Se mai succederà.

Si potrebbe fare un’eccezione per i tassisti matti, rinomati per il pessimo modo in cui guidano.

Un sondaggio in Africa Orientale ha rilevato che il 50% dei tassisti sono “ psicologicamente

disturbati “. La ragione di questo disturbo è forse la fretta di guadagnare soldi e tempo?

Parlando seriamente, comunque, congratulazioni Ministro Muhwezi. Arrivare 15 minuti in

ritardo in questa nazione è come arrivare con un’ora di anticipo. Onorevole ministro,

eccezionale, veramente!

Se dobbiamo arrivare minimamente vicino al Botswana nel nostro programma di sviluppo,

dobbiamo seriamente cominciare a pensare ad attenerci agli orari stabiliti. Altrimenti la

Entandikwa Scheme(Micro prestiti rurali) e la African Growth Opportunity Act (AGOA) (decreto

per dare opportunità di crescita economica) sarebbero soltanto una perdita di tempo.”

La cultura e non cultura del risparmio e la lungimiranza

Mi viene in mente un’altra considerazione, consequenziale alla relazione fra il tempo e gli

eventi nella cultura pre-industriale.

Il tempo, oggettivamente è lineare, suddiviso in minuti, ore, giorni, mesi, anni. Gli eventi sono

sparsi lungo questa linea, non necessariamente connessi fra di loro. Gli avvenimenti presenti e

quelli del passato sono impressi nella nostra mente, ma quelli del futuro no. Il futuro, quindi,

non entra nella prospettiva del presente se non per quanto riguarda l’immediato futuro.

“Invece di calendari numerici, esistono quelli che potremmo chiamare calendari fenomenali nei

quali gli eventi o fenomeni che costituiscono il tempo sono considerati in relazione l’uno

all’altro man mano che avvengono, cioè che costituiscono il tempo. Per esempio, una donna

incinta conta le fasi lunari, un viaggiatore nel passato contava i giorni che occorrevano per

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viaggiare da un luogo all’altro. Il matrimonio soprattutto, era contrassegnato nel calendario

fenomenale. Oggi potremmo aggiungerci il curriculum scolastico. Il giorno, il mese, l’anno, o la

storia dell’umanità sono tutti suddivisi o calcolati secondo i loro eventi specifici quanto sono

questi eventi che rendono il tempo significativo.” (Mbiti “Afican Philosophy and Religion”, p. 61.

Heineman, Londra)

La lungimiranza del risparmio comincia a prendere piede principalmente per evitare che i ladri

rubino i risparmi tenuti nelle case e le banche sono numerose.

Timothy Kalyegira scrive su un quotidiano ugandese il “ Sunday Monitor” il 2 settembre 2002.

“Gli asiatici sono marginalmente propensi a risparmiare, mentre normalmente gli ugandesi

spendono anche il danaro che non hanno facendo debiti che raramente ripagano.”

In un altro articolo “Perché gli asiatici, in Africa saranno sempre un passo avanti agli ugandesi”

lo stesso giornalista osserva:

“Così, mi chiedevo nel mio articolo se, possiamo mettere assieme tanto danaro così

generosamente per i matrimoni senza chiederne una giustificazione, perché, dicevo, non

possiamo, con lo stesso spirito, raccogliere danaro per coloro che volessero incominciare un

negozio?

Una ragazza indiana di Nairobi mi ha detto che la comunità indiana tende a prendersi cura dei

suoi membri. Nelle necessità si adoperano per raccogliere danaro per varie cause: l’inizio di

un’azienda è sempre in cima alla lista delle priorità.

In altre parole quelle che noi ugandesi e tanzaniani neri facciamo per gli altri, per i ricevimenti

di matrimonio o eventi simili, gli indiani lo fanno quando un giovane o una giovane annuncia

che desidera aprire un piccolo studio fotografico, o negozio di parrucchiera o una pasticceria….

Con una differenza così marcata dei punti di vista, nel capire la basilare differenza fra un

ricevimento di matrimonio e iniziare un’azienda spendendo la stessa cifra, come fanno gli

ugandesi a pretendere, come gruppo, di raggiungere gli indiani? Il ricevimento è per il

presente, l’apertura di un negozio è per il futuro.”

Nei matrimoni africani il numero degli invitati è sempre molto grande. La coppia si rivolge ad

amici e parenti per raccogliere soldi per mettere su casa e per cerimonie e ricevimenti.

La Vita Comunitaria contro la vita individualistica

Quando fu accusato di comunismo, Nkwame Nkrumah rispose che egli non aveva niente da

spartire con il comunismo la sua filosofia era “ il Comunalismo africano”.

Questa base teorica a livello sociale si esprime nelle istituzioni come i clan, sottolineando

l’iniziale uguaglianza di tutti e la responsabilità di molti per uno. In tale contesto sociale è

praticamente impossibile che sorgano classi sociali di tipo Marxista.

Sekou Toure chiamò la sua filosofia “ Comunocrazia”, la comunità ed il governo. Questa base

teorica spiega chiaramente la pratica di “Socializzare” nel Mondo pre-industriale.

Un giornalista della BBC rimase sbalordito delle risposte ricevute su quali fossero le priorità

della società africana. Pensava che la prima fosse il danaro. “ Si” gli fu risposto, “ma solo per

potersi sedere e socializzare con i nostri parenti ed amici. Lavoro per poter tornare al mio

villaggio e socializzare, parlare, mangiare e bere con i miei amici.”

Per quanto concerne il Vangelo, gli Africani vedono il mondo più come una comunione di anime

invece di una aggregazione di individui; una cultura di cuori in cerca di comunione piuttosto

che una cultura di menti in cerca di sapere e potere.

Fra i tratti che formano la personalità africana, perciò, Kenneth Kaunda elenca le

“caratteristiche di incontrarsi con la gente e parlare con loro per il puro piacere, non per il

lavoro che uno fa, o per la classe sociale a cui appartiene o per la sua utilità produttiva.”

(Kenneth Kaunda in “ African Philosophy. P. 28 di E.A. Ruch OMI e K. C. Anyanwu. Catholic

Book Agency, Roma 1984)

Nel mondo sviluppato, o capitalistico, la tendenza è di essere individualista, mentre nel Terzo

Mondo si tende ad essere comunitario.

Gli uomini e le donne sono stati creati per vivere in una comunità, sono esseri sociali. La più

grande espressione di questa tendenza è la solidarietà. I più poveri fra i poveri del Terzo

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Mondo esprimono più solidarietà ed attaccamento alle proprie origini e luogo di nascita di

coloro che provengono dalle nazioni sviluppate.

Non basta che nasca un bambino; deve nascere all’interno di un gruppo perché solo all’interno

di esso egli sarà pienamente uomo. Come dicono i Basotho” l’uomo raggiunge la sua piena

statura solo nella solidarietà della società”.

“L’intera società africana, vivente e di morti viventi, è un complesso vivente di relazioni quasi

come quelle che compongono un organismo. Quando una parte del corpo si ammala, si sente

in tutto il corpo. Quando un membro di una famiglia o clan viene onorato o raggiunge il

successo, l’intero gruppo gioisce e ne condivide la gloria (o il disonore), non solo a livello

psicologico come si gioirebbe se la propria squadra di calcio vincesse una partita, ma

ontologicamente: ognuno dei membri di un gruppo è parte dell’onore o del disonore.” (“

African Philosophy” p. 14 prof. Mbiti)

L’onore o disonore è condiviso anche dagli antenati.

ESEMPI:

Onore: le cerimonie di laurea nelle Università Europee sono una fredda formalità, alla presenza

di pochi. In molte nazioni africane, invece, l’intero clan si muove ballando e cantando ad

abbracciare il laureato quando scende dal podio. L’intero clan, non solo il laureato, riceve gli

scrosci di applausi della gente presente.

Disonore: Questo fatto successe ad una ragazza in Uganda. Fu pagata da un tabloid “ The Red

Pepper”, per farsi fare delle foto mentre fingeva di fare sesso con due ragazzi a Ritintale, periferia

della capitale, durante un ricevimento. Le fotografie suscitarono indignazione fra la gente in quanto

si chiedevano come fosse stato possibile che una studentessa si prestasse a praticare sesso

davanti all’obbiettivo. Il “Monitor” del 27 settembre 2002 riferì che la ragazza riconosciuta al

mercato di Bugolobi fu quasi linciata. Si formò una notevole folla ed alcuni iniziarono a schernirla

volendo sapere se fosse veramente lei quella che aveva posato nuda. Guardarono bene le foto e si

convinsero che era veramente lei. “ Si è lei. Come osi vendere il tuo corpo per la misera somma di

cinquecento scellini? (€ 5)" La folla urlava. Finalmente i funzionari del mercato riuscirono a dare

rifugio alla ragazza nei loro uffici e farla uscire poi sana e salva. Come si può vedere, il disonore

della ragazza si ripercuoteva sull’intera comunità.

L’interpretazione degli eventi

Generalmente parlando, nel mondo sviluppato si ritiene che gli eventi, sia umani che naturali

(come i terremoti) siano provocati da cause naturali. Di fronte ad avvenimenti tragici come una

morte, i cristiani praticanti potrebbero dire “ sia fatta la volontà di Dio”.

Nei paesi in via di sviluppo, come per esempio in Africa, si dice “ E’ il volere di Dio”, in Brasile

dicono “ Si Deus quiser”. Si crede che Dio abbia creato tutto quanto e che ne dispone a suo

piacimento. Egli regna su tutto il suo universo, è buono, misericordioso e santo; Egli è potente,

sapiente e ovunque presente,.

Ciò non di meno le malattie o tragedie, specialmente le morti vengono spesso attribuite agli

spiriti maligni o sortilegi, o una maledizione, lasciando fuori Dio – anche se alcuni sono

dell’idea che se Lui non lo volesse, l’evento non avrebbe luogo. Anche se rara, la credenza che

Dio chiama a sè gli anziani fuori dal mondo è anche comune.

Le credenze di cui ho parlato sono il segno della difficoltà di connettere le cause e gli effetti, se

non sono esperienze empiriche. Per anni l’umanità credette che il sole si muovesse attorno alla

terra mentre era vero il contrario. L’apparenza era così.

Questo modo di pensare è ciò che i filosofi greci chiamavano “fenomenologia”; quella branchia

della filosofia che si concentra su quello che viene percepito dai sensi contrariamente a ciò che

è vero o reale. In altre parole, la realtà è quello che appare più che non quella che è.

Questo modo di pensare esiste nei villaggi ed anche fra la gente che ha studiato.

Nell’interpretazione di un evento, dopo aver completato il suo corso di filosofia, un Novizio mi

disse:

“ Questo accadde dopo quello: quindi è causato da quello” (la famosa frase latina “ Hoc post

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hoc ergo procter hoc.”) Ma questa è la nostra cultura!

Questa mentalità, anche se parte della propria cultura, potrebbe causare dei problemi in una

comunità interculturale. Non voglio adesso entrare nel merito della questione. Lascio il compito

di districare i differenti eventi di vita comunitaria e ecclesiale alle nostre comunità.

Soltanto due esempi

Quando Papa Giovanni Paolo II si recò in Uganda nel 1993 alcune sette religiose cercavano di

impedire ai cattolici di fare i preparativi per l’occasione. La ragione è che dopo la visita del

Papa nel Congo, successe una tragedia al paese e naturalmente si pensò subito che fosse per

colpa del Papa.

Questo è un esempio estremo che successe strada facendo in Est Africa. Alcuni parenti stavano

trasportando una salma su un camioncino. Successe uno strano incidente e siccome la salma

era uno strano passeggero, i parenti decisero di buttarlo fuori dal mezzo e di bastonarlo. Si

potrebbero dare molti esempi di eventi e modi differenti di interpretarli nel Mondo

preindustriale.

Durante una visita ai i nostri confratelli nel Malawi, stavo spiegando le differenze culturali come

sopra esposte e alla fine un nostro confratello messicano disse: “ Padre, ciò che sta dicendo

della mentalità africana può essere detto anche della nostra.”

Un giorno presi l’autobus da Curitiba, Sud Brasile, per San Paolo. Partì con due ore di ritardo

ed io dovevo prendere un aereo. Un’ora prima della partenza dell’aereo chiesi all’autista “ A

che ora arriviamo a San Paolo?” “ Arriveremo” egli rispose, e continuò, con la stessa risposta

ogni volta che io riformulavo la stessa domanda. E’ vero che l’evento è più importante del

tempo, io però persi l’aereo.

Gli esempi sopra esposti possono aiutare a capire il cardine delle culture e dei valori in

qualsiasi società.

Queste differenze e diversi modi di pensare devono emergere nei dialoghi nei nostri

Scolasticati e nelle varie comunità. Che senso ha mugugnare nei vari gruppi culturali contro gli

altri cercando di “ assassinare” le loro origini e le loro culture? I bianchi contro i neri e

viceversa. I neri contro i latino-americani e questi ultimi contro gli asiatici ed altri ancora.

La maggior parte dei membri del nostro Istituto, finora sono italiani. Probabilmente alcuni

confratelli di diversa nazionalità parlottolano contro di loro. Avercela con coloro che sono della

stessa nazionalità del fondatore è normale nella maggior parte delle comunità interculturali ed

internazionali, ma ritengo che la cosa migliore sarebbe di sederci tutti assieme e parlarne

apertamente.

Senso di responsabilità

L’espressione “ E’ la volontà di Dio” mi porta ad un’altra osservazione che riguarda prendersi o

negare la responsabilità di certi eventi.

Un giorno andai in una comunità internazionale di suore europee ed africane. Notai che le

suore europee erano alquanto indispettite. Chiesi quale fosse il problema e mi fu risposto: “

Allora, padre, abbiamo mandato una delle ragazze ad aprire una porta nella loro casa ed è

tornata dicendo che la porta si rifiutava di aprirsi. Cosa significa?” risposi “Che nonostante si

fosse data da fare e nonostante tutta la sua buona volontà, la porta non si è aperta.” Chi può

incolpare la ragazza per essersi espressa in quel modo. Era la porta che non si apriva, non era

lei che la voleva tenere chiusa: lei non è responsabile se non si apre.

Una volta la nostra domestica sbatté contro il cancello e cadde.” Sei sbattuta contro il cancello

“ ho detto” Non è vero” rispose lei.” Il cancello ha sbattuto contro di me. Io non volevo

sbattere contro di lui. E’ un cattivo cancello.”

Altre espressioni simili sono “ l’autobus mi ha lasciato” arrivando tardi ad un appuntamento.

Oppure “ Mi ha preso la pioggia”, piuttosto che dire di averla presa, oppure “La pioggia mi ha

punito”.

Questi sono soltanto dei banali esempi. Ma prendiamo una comunità internazionale dove i

missionari bianchi non conoscono la lingua locale molto bene. Certe espressioni sono chiare e

logiche nella propria lingua, ma perdono nella traduzione.

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Dopo aver completato il mio periodo come Superiore generale, la Santa Sede mi chiese di

scrivere una relazione sulla vita contemplativa in Africa. Visitai diversi conventi. In un convento

di Suore Carmelitane a Nairobi chiesi alla Superiora come andavano le cose. Benissimo. E’ una

comunità perfetta. Mi permise di parlare con le suore africane. Le Suora Carmelitane erano

state trapiantate, per così dire direttamente dagli USA in Kenya senza nessuna preparazione

circa le usanze del paese o della lingua locale.

All’inizio la mia conversazione con le suore africane andò bene. Quando però chiesi cosa

dicevano se, lavando i piatti ne rompevano uno, allora aprirono i loro cuori: “ Non lo rompo io,

è il piatto che si rompe.” “Quando vado dalla Madre Superiora” disse una di loro “Ella guarda

l’orologio. Crede che io possa dire quello che voglio in soli pochi minuti? E’ impossibile. Non ci

vado più!” Anche l’altra suora era d’accordo, ed è ovvio che tali incomprensioni influivano

sull’armonia della comunità.

Spero di aver fatto notare l’assoluta necessità di capire la cultura degli altri ed il loro modo di

esprimersi. Certe espressioni tradotte letteralmente possono confondere se non addirittura far

ridere. Non serve solo dire “ loro dicono così” e basta. Anche le nazioni sviluppate possono

imparare da quelle in via di sviluppo.

Le frasi idiomatiche o in dialetto non sono da prendere alla leggera. Ogni espressione, parola,

gesto deve ricevere la dovuta attenzione da chiunque e sempre. Il comportamento da tenere è

di rispetto e dialogo. Ognuno può imparare. “Si impara fino alla bara” mi ricordava un

simpatico Vescovo africano che parlava italiano.

L’interpretazione dello sviluppo

Mons. Peter K. Sharpon del Ghana dice:

“Molti ci considerano arretrati. Vorrei spiegare che per quanto mi riguarda l’uso di questa

parola è totalmente sbagliato. Tutti gli esseri umani, non importa qual sia la loro condizione di

vita, sono sviluppati, è dopo che diventano sottosviluppati.

Il mondo occidentale può aver fatto passi da gigante per quanto riguarda la scienza e la tecnologia.

Ma la scienza e la tecnologia non sono tutto. Gli africani sono evoluti in modo differente.

Culturalmente e socialmente siamo piuttosto complessi. La nostra umanità è rimasta intatta.

Amiamo l’amicizia; viviamo in comunità, non dissertiamo fra il sacro e il profano: ci sentiamo vicini

alla natura, teniamo al simbolismo e il nostro approccio verso l’essere umano è olistico.

Tutte queste cose sono importanti per la pace. Nelle nostre difficili condizioni siamo comunque

felici. Se la felicità fosse soltanto l’acquisizione di beni materiali, di ingegnosità e produttività,

allora penso che non ci sarebbe una sola società europea dove si potrebbero trovare persone

infelici. Ma ho notato che nonostante il grande progresso fatto dal mondo occidentale nella

scienza, nella tecnologia, e in tutti gli altri miglioramenti, una vita grama e triste continuano ad

imperare. La percentuale di suicidi più alta non si trova in Africa.

Vorrei vedere un modo di vivere dove i grandi progressi fatti in occidente, fossero

amichevolmente uniti ai molti valori umani della cultura africana così da poter avere una

umanità equilibrata. Abbiamo bisogno della scienza e della tecnologia del mondo occidentale

ma abbiamo anche bisogno dell’umanità africana.” (Mons. Peter K. Sharpon, Vescovo di

Kumasi, in Weltkirche 5/1990. Pagine 142-144. Documenti dall’Africa, Missio Aachen Germania

– vedere Every Citizen’s Handbook di p. Agostoni).

Nota

Credo che sarebbe vantaggioso sviluppare il significato di “ umanità africana”, perché gli africani si

rendano conto che alcuni loro valori tradizionali stanno scomparendo. Sfortunatamente prevale

l’idea che tutto ciò che viene dall’ovest è buona cosa e deve essere imitato.

La globalizzazione finanziaria si porterà dietro anche una globalizzazione culturale. Quindi, oltre

all’impoverimento economico delle nazioni in via di sviluppo ci sarà, probabilmente anche un

appiattimento culturale e perdita dei valori tradizionali: una vera tragedia.

Tutti sanno quanto peso possono avere i mass media. L’ateismo pratico dell’Ovest che ignora i

dieci comandamenti “ la legge scritta nei loro cuori” (Rom.2.15) sta soffocando le altre culture.

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L’invasione della cultura occidentale propone la via più larga di generale lassismo, danaro,

piaceri, onore. Essa è contro la “ stretta via” (Luca 13:13) indicata da Cristo che è aperta

soltanto a coloro che “ portano la loro croce tutti i giorni” (Luca 9:24) e vivono però felici nella

pratica delle beatitudini.

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BIBLIOGRAFIA

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10. ETIOPIA 75 anni di Storia. 1914 1989 Suore Missionarie Comboniane.

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21 ROMANATTO GIANPAOLO L’Africa nera fra Cristianesimo e Islam Corbaccio 2003

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24. TOURIGNY P.. Yves, Missionaries of Africa (WF) “So Abundant a Harvest” or the Catholic

Church in Uganda 1879 – 1979 (“Una mietitura abbondante” o la Chiesa Cattolica in

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25. URBANI P.. Longino MCCJ L’Istituto Comboniano: appunti per uno storia della

congregazione dal 1885 - 1984.

DOCUMENTI INTERNI

Bollettini dal 1927 to 1994.

Catologhi di diverse annate.

Relazioni Dei Consigli Generali dal 1975 al 1991.

Relazioni delle nostre Segreterie, Segretariati e uffici - atti Capitolari dal 1931 al 1969 nei

Bollettini

Allegato No. 9 al Capitolo Generale del 1969: La Riunione con MFSC.

Documenti storici

A new Catholic Encyclopedia - Nuova Enciclopedia Cattolica - The Catholic University of

America.

MICHEL MOURRE 2 voll., Dizionario Enciclopedico di Storia-Oscar Mondadori 1992.

CARL ANDERSEN e GEORG DENZLER, Dizionario Storico del Cristianesimo Edizioni Paoline

1992.

NIGRIZIA: Speciale febbraio Nel Primo Centenario dei Missionari Comboniani 1867-1967

NIGRIZIA: Speciale Centenario 1881 - 1981 Daniele Comboni.

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INDICE

Seconda Parte – 1979 - 2003

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE ....................................................................... 03

NOTE INTRODUTTIVE ALL’EDIZIONE FINALE .......................................................... 05

PARTE PRIMA - PORTARE IL VANGELO NELLA VALLE DEL NILO

CAPITOLO PRIMO - La Cristianità in Africa ................................................................. 06

CAPITOLO SECONDO - Cristianità nella Valle del Nilo ............................................... 12

CAPITOLO TERZO - Commenti sul periodo 1847 – 1862 ............................................ 19

CAPITOLO QUARTO - Gli Istituti per l’evangelizzazione dell’Africa ............................. 23

PARTE SECONDA - Gli eventi più significativi della vita di Comboni.

CAPITOLO PRIMO - Comboni dal 1831 al 1872 .......................................................... 29

CAPITOLO SECONDO - La fondazione degli Istituti ................................................... 37

CAPITOLO TERZO - Comboni dal 1872 al 1881 .......................................................... 43

CAPITOLO QUARTO - Le pesanti croci degli ultimi anni della vita di Comboni ........... 51

CAPITOLO CINQUE - Il carisma di Comboni ............................................................... 55

CAPITOLO SESTO - La Spiritualità di Comboni ........................................................... 62

PARTE TERZA - Gli Istituti dal 1881 al 1979

CAPITOLO PRIMO - Dal 1881 al 1898 ......................................................................... 069

CAPITOLO SECONDO - L’Istituto dal 1899 al 1909 ..................................................... 086

CAPITOLO TERZO - Dal 1909 al 1919 ........................................................................ 092

CAPITOLO QUARTO - Nuove prospettive nell’Opera Missionaria .............................. 102

CAPITOLO QUINTO - Dal 1919 al 1931 ....................................................................... 117

CAPITOLO SESTO - Il nuovo Istituto dei – MFSC (Missionari Figli del Sacro Cuore) .. 125

CAPITOLO SETTIMO - Dal 1931 al 1937 ..................................................................... 157

CAPITOLO OTTAVO - Dal 1937 al 1947 ...................................................................... 162

CAPITOLO NONO - Dal 1947 al 1959 .......................................................................... 172

CAPITOLO DECIMO - Il nono Capitolo Generale e il periodo 1959-1969 .................... 195

CAPITOLO UNDICESIMO - L’era dell’indipendenza in Africa (1959-1975) .................. 207

CAPITOLO DODICESIMO - La crisi nella Chiesa ........................................................ 214

CAPITOLO TREDICESIMO - Sviluppi nella Chiesa e influsso nell’Istituto (1959-1975) .. 223

CAPITOLO QUATTORDICESIMO - Il decimo Capitolo Generale 1969 ....................... 229

CAPITOLO QUINDICESIMO - Dal 1969 al 1979 .......................................................... 235

PARTE QUARTA – l’Istituto dal 1979 al 2003

CAPITOLO SEDICESIMO - XII Capitolo Generale - periodo dal 1979 al 1985 ............ 254

CAPITOLO DICIASSETTESIMO - XIII Capitolo Generale 1985 - dal 1985 al 1991 ..... 265

CAPITOLO DICIOTTESIMO - XIV Capitolo Generale 1991 ......................................... 276

CAPITOLO DICIANNOVESIMO - Attività del periodo dal 1991 al 1997 ....................... 287

CAPITOLO VENTESIMO - XV Capitolo Generale 1997 ............................................... 313

CAPITOLO VENTUNESIMO - Dal 1997 al 2003 .......................................................... 331

CAPITOLO VENTIDUESIMO – XVI Capitolo Generale ................................................ 364

CAPITOLO VENTITREESIMO - i missionari comboniani e l’evangelizzazione ............ 401

APPENDICE ................................................................................................................. 428

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................. 436