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1 DA BAIONA A TOLENTINO – Costituzioni e costituzionalismo nel regno di Napoli durante il decennio napoleonico CAPITOLO I – LO STATUTO DI BAIONA. STORIA DI UNA COSTITUZIONE ESTEMPORANEA Da Baiona una costituzione improvvisa, di incerta paternità Nel 1808 l’imperatore Napoleone Bonaparte decide di destinare il fratello Giuseppe, già re di Napoli dal 1806, al trono di Spagna. Giuseppe parte per la Spagna il 23 maggio 1808 e arriva a Baiona, piccola cittadina a ridosso dei Pirenei, il 7 giugno. Il 20 giugno Giuseppe concede ai suoi vecchi sudditi, ossia al Regno di Napoli, uno statuto che prende il nome di “costituzione di Baiona”. Su tale statuto, però, non possediamo informazioni certe, specie in riferimento alla paternità dell’opera. Sulla questione, infatti, ci sono opinioni discordanti: un opuscolo pubblicato nel 1820 da un anonimo carbonaro vede in Giuseppe Zurlo, consigliere di Stato di Giuseppe Bonaparte, l’autore della costituzione (il carbonaro è preoccupato del fatto che Zurlo sia stato nominato Ministro dell’interno da Ferdinando IV) ed una risposta dello stesso Zurlo sull’argomento sembra confermare tale teoria; un’altra tesi, invece, sostiene che autore dell’opera, quanto meno all’inizio, sia stato lo stesso Giuseppe Bonaparte, nel suo viaggio da Napoli a Baiona. Interessante, sotto un diverso profilo, è la teoria secondo cui lo statuto concesso ai napoletani fosse inizialmente destinato al solo regno di Spagna e pertanto progettato dallo stesso Bonaparte : lo possiamo evincere da una fonte dell’archivio privato di Giuseppe, dove la parola Napoli, inerentemente alla discendenza al trono, risulta sovrapposta alla parola “Spagna”, proprio come se il testo fosse dedicato inizialmente a quest’ultima. Una convergenza di interessi In un proclama di Giuseppe Bonaparte destinato al Regno di Napoli ritroviamo gli obiettivi della concessione dello Statuto di Baiona: La conservazione della santa Religione; La creazione di un tesoro pubblico distinto da quello della Corona; La creazione di un parlamento come mezzo d’ausilio al Principe ed utile alla nazione; L’assicurazione di un’uguaglianza dinanzi alla legge di tutti i cittadini grazie all’indipendenza dei tribunali dalla volontà del Principe; La creazione di un’amministrazione municipale, locale; La sicurezza del pagamento dei debiti dello Stato. La costituzione di Baiona, dunque, consolida le basi dello stato napoletano fissate nelle riforme del biennio 1806-1808 dallo stesso Giuseppe Bonaparte, che intende far attuare le disposizioni della Carta, anche dopo l’abbandono del regno napoletano, per essere riconosciuto come “vero padre” del nuovo stato napoletano.

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DA BAIONA A TOLENTINO – Costituzioni e costituzionalismo nel regno di

Napoli durante il decennio napoleonico

CAPITOLO I – LO STATUTO DI BAIONA. STORIA DI UNA COSTITUZIONE ESTEMPORANEA

Da Baiona una costituzione improvvisa, di incerta paternità

Nel 1808 l’imperatore Napoleone Bonaparte decide di destinare il fratello Giuseppe, già re di Napoli dal

1806, al trono di Spagna. Giuseppe parte per la Spagna il 23 maggio 1808 e arriva a Baiona, piccola

cittadina a ridosso dei Pirenei, il 7 giugno. Il 20 giugno Giuseppe concede ai suoi vecchi sudditi, ossia al

Regno di Napoli, uno statuto che prende il nome di “costituzione di Baiona”.

Su tale statuto, però, non possediamo informazioni certe, specie in riferimento alla paternità dell’opera.

Sulla questione, infatti, ci sono opinioni discordanti: un opuscolo pubblicato nel 1820 da un anonimo

carbonaro vede in Giuseppe Zurlo, consigliere di Stato di Giuseppe Bonaparte, l’autore della costituzione (il

carbonaro è preoccupato del fatto che Zurlo sia stato nominato Ministro dell’interno da Ferdinando IV) ed

una risposta dello stesso Zurlo sull’argomento sembra confermare tale teoria; un’altra tesi, invece,

sostiene che autore dell’opera, quanto meno all’inizio, sia stato lo stesso Giuseppe Bonaparte, nel suo

viaggio da Napoli a Baiona.

Interessante, sotto un diverso profilo, è la teoria secondo cui lo statuto concesso ai napoletani fosse

inizialmente destinato al solo regno di Spagna e pertanto progettato dallo stesso Bonaparte : lo possiamo

evincere da una fonte dell’archivio privato di Giuseppe, dove la parola Napoli, inerentemente alla

discendenza al trono, risulta sovrapposta alla parola “Spagna”, proprio come se il testo fosse dedicato

inizialmente a quest’ultima.

Una convergenza di interessi

In un proclama di Giuseppe Bonaparte destinato al Regno di Napoli ritroviamo gli obiettivi della

concessione dello Statuto di Baiona:

• La conservazione della santa Religione;

• La creazione di un tesoro pubblico distinto da quello della Corona;

• La creazione di un parlamento come mezzo d’ausilio al Principe ed utile alla nazione;

• L’assicurazione di un’uguaglianza dinanzi alla legge di tutti i cittadini grazie all’indipendenza dei

tribunali dalla volontà del Principe;

• La creazione di un’amministrazione municipale, locale;

• La sicurezza del pagamento dei debiti dello Stato.

La costituzione di Baiona, dunque, consolida le basi dello stato napoletano fissate nelle riforme del biennio

1806-1808 dallo stesso Giuseppe Bonaparte, che intende far attuare le disposizioni della Carta, anche dopo

l’abbandono del regno napoletano, per essere riconosciuto come “vero padre” del nuovo stato

napoletano.

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Anche Napoleone è convinto dell’efficacia di una tale concessione da parte del fratello ai suoi ex sudditi:

egli ha da poco, senza l’uso delle armi, annesso al suo impero il trono di Spagna e con tale mossa dimostra

al popolo iberico la bontà del nuovo sovrano liberale (Giuseppe appunto).

Il y a bien longtems que je n’avais vu un pareil chef d’oeuvre de betise (Era da moltissimo tempo che non

vedevo un simile capolavoro di idiozia)

La Costituzione di Baiona, tuttavia, non incontra alcun consenso nel Regno di Napoli: contro di essa si

scagliano i membri del Consiglio di Stato, in alcun modo interpellati per la stesura dello stesso, il partito

liberale napoletano, i francesi del regno ed il ceto borghese, in quanto lo Statuto non contiene alcuna

innovazione ed alcuna riforma liberale.

La delusione dei vecchi giacobini dinanzi allo Statuto di Baiona è enorme: ben ce lo manifesta una lettera

del 6 luglio 1808 inviata dall’intendente (funzionario a capo di una provincia, una sorta di prefetto odierno)

della Calabria Pierre Joseph Briot a Giuseppe Ravizza, suo segretario d’intendenza, in cui il primo definisce

la Costituzione di Baiona come un “capolavoro di idiozia”.

Un partito costituzionalista?

Giuseppe Bonaparte sin dal suo arrivo a Napoli nel 1806 attua la cosiddetta politica dell’amalgama, già

adoperata in Francia dal fratello Napoleone a partire dal 18 brumaio (9 novembre 1799, finisce la

Rivoluzione con un colpo di stato di Napoleone, si passa dal Direttorio al Consolato), mirata alla fusione fra

individui di diversa estrazione sociale e appartenenza politica, anche negli alti gradi dell’amministrazione

del Regno. I giacobini, dunque, si ritrovano a ricoprire incarichi di notevole importanza a Napoli, grazie

anche all’aiuto di Cristoforo Saliceti, ministro della polizia con una rilevante influenza nella scelta dei

funzionari di alto livello e punto di riferimento di uomini come Briot, vecchio giacobino chiamato da

Giuseppe a svolgere importanti funzioni nel Regno. Saliceti, quindi, ricopre il ruolo di referente del partito

giacobino a Napoli e viene tenuto sotto strettissima sorveglianza per volere di Napoleone in persona. I

giacobini sono tutti costituzionalisti e quando nel 1808 Giuseppe concede lo Statuto di Baiona

l’insoddisfazione dilaga: il sovrano non solo ha deluso le aspettative, ma non ha neanche mantenuto le

promesse fatte, data l’assenza di qualsivoglia riforma liberale all’interno della Carta.

Il modello napoleonico

Abbiamo già visto quali sono gli obiettivi della Costituzione di Baiona, elencati in un Proclama di

presentazione della stessa destinato da Giuseppe Bonaparte al Regno di Napoli.

Non ci siamo ancora occupati, invece, della struttura di tale Carta: essa si presenta divisa in XI titoli e 75

articoli, in pratica la più breve costituzione tra tutte quelle emanate nel precedente triennio giacobino sul

territorio italiano. Lo Statuto di Baiona, però, somiglia in molti aspetti alla Carta della Repubblica Italiana,

emanata il 26 gennaio 1802 (la Repubblica Italiana, ex Repubblica Cisalpina, nasce nel settentrione d’Italia

nel 1802 e vede Napoleone come Presidente e Milano come capitale…l’esperienza repubblicana si

conclude 3 anni dopo quando Napoleone proclama il Regno d’Italia e si incorona imperatore): è dunque

necessario comparare le due Carte e rilevarne analogie e differenze.

In entrambe le Carte, anzitutto, viene messo in piedi un sistema istituzionale consistente tanto quanto

vuoto di significato e di poteri; entrambe si aprono con il riconoscimento della religione cattolica apostolica

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romana come religione di Stato e si chiudono con disposizioni generali; in entrambe viene creato un

sistema rappresentativo fondato sui ceti sociali destinati a formare il nuovo corpo intermedio tra il governo

ed i sudditi.

Tuttavia notevoli sono anche le differenze: anzitutto la Carta della Repubblica Italiana appare innovativa,

mentre lo Statuto di Baiona è solo una ripetizione di quanto stabilito nel biennio 1806-1808 dallo stesso

Giuseppe Bonaparte; per ciò che concerne l’ambito religioso, poi, mentre la Carta della Repubblica Italiana

riconosce anche la libertà di culto in ambito privato, permettendo di fatto la professione di una fede

diversa da quella cattolica, una tale previsione manca nella Carta di Baiona; mentre, infine, in quest’ultima

il sistema rappresentativo viene trattato in un solo titolo inerente il Parlamento Nazionale e si presenta

complicato e farraginoso, in quanto Giuseppe pone così tanti limiti ai collegi elettorali (che eleggono i

propri rappresentanti in Parlamento insieme al Re) da rendere inutile la loro attività, nella Carta Italiana

l’organizzazione è perfetta e funziona realmente.

Nello Statuto di Baiona viene attribuita troppa importanza ai Nobili ed al Clero, ponendo in secondo piano

la borghesia e di fatto sembrando quasi un ritorno all’anciem regime tanto combattuto dalla Rivoluzione

francese.

Il Parlamento Nazionale

E’ interessante come nello Statuto di Baiona il compito legislativo affidato al Parlamento appaia vuoto di

significato e quasi inesistente. Il Parlamento Nazionale ha il compito di “illuminare il Principe” e “rendergli

preziosi servizi”, il che si estrinseca semplicemente nel deliberare su progetti di legge provenienti dal

Consiglio di Stato e sui conti pubblici annuali del ministro delle finanze. Il presidente del Parlamento è

nominato dal re e composto da cento membri ripartiti nei “sedili” del Clero, della Nobiltà, dei Possidenti,

dei Dotti e dei Commercianti. Il Parlamento è convocato dal re a porte chiuse (nessuna seduta pubblica),

almeno una volta ogni tre anni (troppo poco) e nomina tre commissioni (della giustizia, dell’interno e delle

finanze), ognuna composta da 5 membri.

Praticamente il Parlamento non ha alcun peso sulle scelte di governo ed appare di minor importanza

rispetto al Consiglio di Stato, trattato nel titolo VII, il quale prepara e discute i progetti di leggi civili e

criminali, oltre ai regolamenti generali di pubblica amministrazione.

I collegi dei commercianti e dei possidenti hanno il compito di eleggere i componenti dei rispettivi sedili al

Parlamento Nazionale, ma il tutto è sottoposto ad un controllo da parte del re: il collegio dei possidenti è

composto da 100 membri nominati a vita dal sovrano a vita e scelti tra coloro che pagano di più di

imposizione territoriale; il collegio dei commercianti, invece, per ciò che riguarda Napoli stila una lista di 30

eleggibili da cui il re trae 10 soggetti per i rispettivi sedili, mentre gli altri 10 membri vengono eletti

direttamente dagli altri 10 collegi dei commercianti dislocati nel resto del Regno.

E’ sempre il Re a scegliere, infine, Nobili, Clero e Dotti per i rispettivi sedili.

Ecco perché la Costituzione di Baiona non incontra il favore di nessuno: anche la borghesia, alla quale è

riconosciuta una funzione politica, vede la stessa svuotarsi d’importanza e di significato tramite i rigidi

sistemi imposti dalla Carta.

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L’obbligo di naturalizzazione per gli impiegati stranieri

Il titolo XI delle disposizioni generali contiene una norma, destinata a far discutere, all’interno della quale è

previsto che gli impieghi civili possano essere ricoperti solo e solamente da coloro che posseggono la

cittadinanza napoletana o che l’abbiano acquisita.

La situazione del 1808, però, è del tutto diversa: nel biennio 1806-1808, durante il regno di Giuseppe

Bonaparte, sono giunti a Napoli moltissimi francesi, adibiti a ricoprire cariche di rilievo. La norma della

Costituzione di Baiona li obbliga, dunque, o ad abbandonare l’incarico oppure a divenire cittadini

napoletani, di fatto assoggettati al Re di Napoli e non più solo all’Imperatore Napoleone. La norma, in

realtà, viene estesa allo Statuto di Baiona in quanto prevista nella costituzione spagnola preparata da

Napoleone, senza contare le conseguenze di una tale estensione al Regno di Napoli.

Murat e la costituzione di Baiona

Il 15 luglio 1808, con decreto imperiale, Gioacchino Murat (cognao di Napoleone) viene nominato re di

Napoli e di Sicilia. L’atto di nomina viene delineato come una vera e propria norma di rango costituzionale

da affiancare allo Statuto di Baiona del 20 giugno.

Il nuovo Re, tuttavia, non giunge a Napoli il 1°agosto, data d’inizio della sua carica, ma il 6 settembre e solo

su espresso ordine dell’Imperatore: Gioacchino crede di meritare, più di Giuseppe Bonaparte, il trono di

Spagna e vede come un’ingiustizia l’attribuzione del regno napoletano. Tuttavia egli accetta di essere un

sovrano-vassallo, in tutto e per tutto soggetto all’Imperatore.

Gioacchino guarda alla Costituzione di Baiona con favore, sebbene non comprenda la necessità di avere un

Parlamento Nazionale e sebbene si trovi ad affrontare il malcontento dei francesi del regno per la succitata

norma inerente l’acquisizione della cittadinanza napoletana.

Lo stato giuseppino

Quando Murat giunge a Napoli il 6 settembre 1808 la situazione che eredita è quella impostata dal suo

predecessore Giuseppe Bonaparte: il Consiglio di Stato, composto da 39 membri e suddiviso in 4 sezioni di

Legislazione (Marina, Guerra, Interno e Finanze), ed il Consiglio dei Ministri, composto per lo più da

francesi, hanno un potere molto ampio, il che condiziona anche l’operato del re. Murat ha occasione di

capire immediatamente la situazione: un suo decreto viene censurato dal Consiglio dei Ministri per errori

di forma, in quanto la nomina del maresciallo Perignon a luogotenente durante il periodo della sua assenza

presenta dei richiami errati alla costituzione, in quanto prevede che sia il Consiglio di Stato a dare

esecuzione al decreto.

Murat giunge, dunque, a Napoli già prevenuto e pronto a ridurre del tutto il potere dei due organi,

soprattutto del Consiglio di Stato, sui cui membri si è già informato: gli unici validi e capaci sono Giuseppe

Zurlo e Tito Manzi, il resto sono consiglieri mediocri, privi di qualsivoglia capacità. Il sovrano non esita a

manifestare direttamente all’imperatore il suo malcontento ed i suoi dubbi sul Consiglio di Stato, di cui

intende ridurre il peso politico.

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Un fantasma di costituzione?

La stragrande maggioranza degli studiosi contemporanei ritiene la Costituzione di Baiona una semplice

Carta rimasta inattuata, nel mondo delle intenzioni, emanata solo a livello formale ma mai attuata e

meritevole di attenzione solo per l’introduzione, sempre e solo formale, del Parlamento Nazionale.

In realtà noi sappiamo che la Carta realizza e conferma, nel 1808 quando viene emanata, quanto stabilito e

costruito nel biennio 1806-1808 da Giuseppe Bonaparte: lo Statuto di Baiona va a confermare l’abolizione

della feudalità, afferma il nuovo sistema contributivo, riforma l’amministrazione periferica e giudiziaria.

Quello che bisogna osservare, invece, è che la Costituzione è rivolta più al Sovrano che al Regno di Napoli,

in quanto sembra voler fissare i limiti dell’attività di governo del successore di Giuseppe, Gioacchino Murat.

Tuttavia lo Statuto rimane comunque operativo nel tempo successivo alla sua emanazione: il Consiglio di

Stato, nel novembre del 1808, afferma la sua esclusiva giurisdizione in grado di appello sulle sentenze dei

consigli d’intendenza, in conformità a “quanto previsto dalla costituzione”; lo stesso Murat, solo 4 giorni

dopo il suo arrivo a Napoli, convoca tramite decreto i consigli provinciali, nati in forza della legge del 8

agosto 1806 e contemplati dalla Costituzione; nel 1809 viene rivisto l’assetto del Consiglio di Stato,

rifacendosi al titolo VII della Costituzione. Nel momento in cui Murat si discosta dalla Costituzione di

Baiona si nota, a maggior ragione, la piena vigenza della Costituzione di Baiona: per risolvere l’ereditato

problema del debito pubblico, egli decide di ridurre dal 5 al 3 per cento la rendita sui titoli di stato,

contravvenendo a quanto previsto dalla Carta al titolo XI. La decisione, questa come altre (dissequestro dei

beni degli immigrati siciliani, mancato pagamento delle truppe francesi, lentezza nell’introduzione del

codice francese e nell’applicazione dello Statuto di Baiona), non è molto apprezzata da Napoleone che il 25

dicembre 1808, quindi trascorsi quasi 4 mesi dall’effettivo insediamento di Gioacchino, invia al cognato 4

note in cui manifesta il proprio dissenso per le decisioni prese nell’amministrazione del Regno di Napoli.

Gioacchino, benché offeso ed urtato dal rimprovero di Napoleone, capisce che lo Statuto di Baiona deve

essere rigorosamente rispettato e per tal motivo, essendo intenzionato a creare una nobiltà murattiana

come il cognato ne aveva creata una bonapartista, comunica all’imperatore la conformità del suo progetto

rispetto alla Costituzione, che permette i maggioraschi (o meglio, non li proibisce). Napoleone,

riscontrando la conformità allo Statuto, non può che approvare il disegno del cognato.

La norma sugli “esteri” come strumento di indipendenza?

Murat, sebbene inizialmente preferisce il trono iberico a quello napoletano, una volta divenuto sovrano di

Napoli non può e non vuole esimersi dalle sue responsabilità e dai suoi compiti. Dovendo nominare tre

ministri partiti al seguito di Giuseppe egli si trova in una situazione imbarazzante, perché conosce bene

ormai la situazione di conflitto tra il partito francese e quello napoletano ed inizia a nutrire una certa

simpatia per i suoi sudditi, avvertendo anch’egli una particolare sofferenza per l’ingerenza francese. Alla

fine del 1809, attraverso il ministro degli affari esteri Gallo, egli sottopone all’attenzione di Napoleone

alcune osservazioni circa i rapporti commerciali tra le due nazioni, sostenendo, con molta tranquillità e con

rispetto per il cognato, l’indipendenza napoletana e l’infondatezza delle pretese francesi nei riguardi del

Regno.

Gioacchino, a poco a poco, sostituisce i membri francesi del Consiglio dei Ministri, del Consiglio di Stato e

degli altri organi dell’amministrazione con i napoletani, dimostrando un interesse verso l’applicazione della

norma costituzionale inerente la naturalizzazione degli stranieri.

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Murat, non contento, emana un decreto (22 novembre 1808) per disciplinare le modalità di acquisizione

della cittadinanza napoletana per tutti i cittadini stranieri, prevedendo che i naturalizzati debbano giurare

fedeltà al Re di Napoli: alcuni francesi prestano giuramento, mentre altri si rifiutano ignorando le nuove

disposizioni. La questione dei francesi non è dunque risolta, ma Murat ha quanto meno manifestato un

pensiero differente rispetto al suo predecessore.

L’attuazione del titolo sull’ordine giudiziario

Alcune difficoltà si presentano al momento dell’attuazione del titolo costituzionale inerente l’ordine

giudiziario, il quale prevede all’art.4 che le leggi sull’organizzazione giudiziaria e la riforma

dell’ordinamento abbiano piena esecuzione: i contrasti tra partito napoletano e partito filo-francese in

seno al Consiglio di Stato avevano ritardato l’approvazione della riforma giudiziaria e solo l’intervento del

Re Giuseppe aveva fatto approvare le leggi del 20 maggio 1808, lasciando comunque molti dubbi, specie in

riferimento alla giurisdizione penale. Murat, infatti, si trova dinanzi ad un problema: le leggi in questione

hanno istituito come tribunali di unico grado le Corti Criminali presenti nelle province del Regno e contro le

sentenze di queste è previsto solo il ricorso, per motivi di legittimità, in Cassazione. Non è previsto,

dunque, un secondo grado di giudizio. Il sistema francese, invece, prevede, al posto di un secondo grado di

giudizio, maggiori garanzie per l’imputato tramite la presenza di un tribunale criminale e di due giurie, una

d’accusa e l’altra di giudizio.

A Napoli, invece, in forza della legge 20 maggio 1808, non esiste né un secondo grado di giudizio né un

sistema di “jury”. Il secondo, inoltre, è inadatto al sistema napoletano e si decide, quindi, di non adottare il

sistema delle giurie, reputato come difficilmente controllabile da parte del governo.

Tuttavia non c’è soluzione al problema e, in materia penale, il grado di giudizio rimane uno ed uno solo,

secondo quanto prevede la Costituzione di Baiona che da attuazione alla legge del 20 maggio 1808.

Anche l’attuazione completa del Code Napoleon crea qualche problema, data la presenza delle norme sul

divorzio: Murat scrive al cognato per informarlo dell’ostilità dei giudici napoletani a tali previsioni, ma

l’Imperatore non esita ad intimare a Gioacchino di dar luogo alla piena attuazione del codice.

L’avvio dei lavori per la convocazione del Parlamento. Prime perplessità

Sebbene ci siano forti dubbi nell’ambito intellettuale del Regno sulla maturità dei napoletani a ricevere le

istituzioni rappresentative previste dallo Statuto di Baiona, Murat decide di procedere nella creazione del

Parlamento Nazionale. Con alcuni decreti del 18 febbraio 1809 egli stabilisce la dislocazione sul territorio

dei collegi dei commercianti e sancisce l’incompatibilità tra le cariche di membro del Consiglio di Stato e

parlamentare. Pochi giorni dopo dispone l’ammissione al sedile della nobiltà anche per i nobili delle Due

Sicilie che abbiano ricevuto apposita lettera da Napoli. Il 10 marzo 1809, con un altro decreto, il sovrano

provvede all’organizzazione dei collegi dei possidenti ed alla definizione dei compiti degli intendenti nella

procedura di formazione delle liste degli aspiranti elettori (provvedimento di Capecelatro, attuato però da

Giuseppe Zurlo una volta divenuto ministro dell’interno nel novembre 1809).

Zurlo “Gran visir” di Gioacchino

Siamo arrivati al punto in cui occorre formare i collegi elettorali dei commercianti e dei possidenti. Gli

intendenti hanno il compito di fornire al sovrano delle liste di possidenti e commercianti della provincia,

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scegliendoli in base al censo ed al proprio attaccamento al governo; da tali liste il ministro dell’interno

Zurlo provvede a selezionare gli idonei da proporre al re come elettori dei due collegi. E’ chiaro, quindi, che

il compito di Zurlo è fondamentale nelle selezione della nuova classe dirigenziale del Regno. Zurlo, nel

1820, verrà accusato dai carbonari di essersi comportato da Gran visir di Gioacchino, esercitando le proprie

funzioni in maniera illiberale, ma prontamente risponderà di aver proposto persone gradite al sovrano

perché differentemente non si poteva fare.

E’ Zurlo, ad ogni modo, l’artefice della creazione del Parlamento Nazionale: egli approfitta dell’assenza di

Murat, a causa del divorzio e del successivo matrimonio di Napoleone, per porre il re dinanzi al fatto

compiuto, organizzando in tutto e per tutto la convocazione del Parlamento.

La conclusione dei lavori

Il 9 novembre 1810 arriva finalmente il decreto di nomina dei componenti dei collegi elettorali. Il 26

dicembre dello stesso anno vengono nominati i presidenti dei collegi dei possidenti e dei commercianti. Il 2

febbraio 1811 iniziano finalmente i lavori per l’elezione del Parlamento Nazionale.

Tutti hanno modo di apprezzare come Gioacchino Murat abbia dato luogo a quanto previsto dalla

Costituzione di Baiona.

In due giorni tutti i collegi elettorali procedono all’elezione dei membri del sedile dei possidenti e alla

formazione delle terne dei commercianti da cui il re trarrà i rappresentanti di sua scelta (tratto da libro).

Il Parlamento negato a causa dei <<deux decretes>>

Siamo arrivati al punto in cui il Parlamento Nazionale è finalmente formato ma dalla primavera del 1811

non si ha più notizia dello stesso, sebbene il governo sia pronto alla convocazione dello stesso.

Ma perché Murat dapprima si preoccupa anche dei particolari circa la creazione del Parlamento e poi

mette da parte la convocazione dello stesso? cosa è successo?

Agli inizi di giugno 1811 Murat parte per Parigi, data l’imminente nascita del figlio di Napoleone, ma rientra

a Napoli prima che i festeggiamenti per il battesimo siano terminati. Tra Gioacchino ed il cognato i rapporti

sono gelidi e quest’ultimo minaccia di rendere Napoli un viceregno.

Gioacchino, a questo punto, adotta una linea impeccabile: egli rimane fedele a Napoleone, al punto da

soddisfare la sua antica richiesta di dar luogo in tutto e per tutto allo Statuto di Baiona, emanando il

decreto del 14 giugno 1811 con il quale impone a tutti gli stranieri, francesi compresi, che occupano

incarichi civili di presentare domanda di naturalizzazione, con conseguente giuramento di fedeltà al Regno

di Napoli ed assoggettamento ai poteri del sovrano, pena la decadenza dall’incarico. Egli non fa altro che

dare piena attuazione all’art.3 del titolo XI della Carta costituzionale, al fine di assoggettare i francesi del

Regno al suo potere e rendendo entusiasti i membri del partito napoletano nel governo e nel Consiglio di

Stato.

Il 6 luglio 1811, però, Napoleone in persona firma un decreto nel quale ordina che tutti i cittadini francesi

divengano di diritto cittadini del Regno delle due Sicilie, senza che la disposizione murattiana li tocchi in

alcun modo. L’imperatore ha deciso, di fatto scavalcando il cognato e calpestandone la dignità anche agli

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occhi dei suoi sudditi, e Gioacchino non può far altro che acconsentire, firmando il 20 luglio un decreto in

cui viene riconosciuta ai francesi la cittadinanza napoletana.

E’ per tal motivo, ossia la mancata attuazione da parte di Napoleone della Costituzione di Baiona in merito

alla naturalizzazione degli impiegati civili stranieri, che Murat decide di non convocare il Parlamento. Un

passaggio del Diario Napoletano di Carlo De Nicola avalla quanto appena detto: Murat chiede la

convocazione dei parlamenti ma Zurlo gli consiglia il contrario, data la mancata esecuzione della

Costituzione per ciò che concerne gli impiegati stranieri; è a quel punto che Murat scrive all’Imperatore, il

quale acconsente all’allontanamento dalle cariche dei francesi non naturalizzati: otto di costoro, però,

corrono dalla Regina e la informano del tradimento di Gioacchino, il quale complotta contro Napoleone col

favore degli inglese, pronti ad intervenire nel Regno di Napoli. Così la Regina scrive al fratello,

informandolo dei fatti, il quale provvede ad emanare il decreto del 6 luglio.

N.B. De Nicola, nel proprio diario, parla di parlamenti provinciali, riferendosi ai collegi elettorali provinciali

del Parlamento nazionale e non ai consigli provinciali istituiti nel 1806, in quanto questi ultimi sono già

funzionanti da quella data e non necessitano di essere convocati.

CAPITOLO II – LE DUE CRISI. LA NASCITA DELLA CARBONERIA TRA I CENTO GIORNI DEL

1808 ED IL FREDDO INVERNO DEL 1812

I cento giorni più lunghi del Regno di Napoli

Facciamo un passo indietro. Nella primavera-estate del 1808 Napoleone Bonaparte riesce, sfruttando un

contrasto tra il re Carlo IV ed il figlio Ferdinando e facendo abdicare entrambi, a mettere sul trono di

Spagna il fratello Giuseppe. Con tale mossa, che inizialmente appare considerevole in quanto Napoleone

riesce a conquistare il trono iberico senza ricorrere alla forza del suo esercito, egli crea a se stesso, ed al

suo impero, ben due problemi di notevole rilevanza: da un lato si mette contro il popolo iberico, deciso a

non sottomettersi senza combattere, il quale da luogo ad una serrata guerriglia; dall’altro Napoleone da

modo agli inglesi, suoi eterni nemici accorsi in soccorso degli spagnoli, di studiare le tecniche di guerra

napoleoniche. Nell’estate del 1808 Napoleone inizia ad essere un imperatore temuto tanto quanto odiato:

i popoli lo vedono come un tiranno, i sovrani di tutta Europa come un conquistatore megalomane.

Napoleone, poi, commette un altro errore: tratta il fratello Giuseppe ed il cognato Gioacchino come pedine

di una sua personale scacchiera, nella quale muove un pezzo dal trono di Napoli per spostarlo in Spagna e

sostituirlo con un altro pezzo.

Ma veniamo alla situazione del Regno di Napoli. Il malcontento per l’eredità lasciata da Giuseppe

Bonaparte ormai è dilagante: egli, dopo tante promesse nel biennio di governo, lascia la terra campana

senza quelle riforme liberali che tutti si attendono e dando in eredità uno Statuto poco innovativo e

svuotato di significato dall’opposizione verso lo stesso del nuovo re Gioacchino Murat.

Quei “cento giorni” che vanno dal 23 maggio 1808, quando Giuseppe lascia Napoli diretto in Spagna, al 6

settembre dello stesso anno, quando si insedia (con un mese di ritardo) il nuovo sovrano Murat sono

considerati dalla storiografia moderna come una semplice fase di transizione, data la marginalità del regno

napoletano, ma se ci preoccupiamo maggiormente della “nostra” situazione possiamo osservare come quel

periodo fu particolarmente deludente per coloro che vivevano in quel frangente, seppur poco importante,

d’Europa. Il malcontento dei napoletani è palese: essi appaiono delusi dall’atteggiamento del loro vecchio

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sovrano, che ha lasciato un debito pubblico consistente (portando con se tutte le sue ricchezze) e non ha

attuato alcuna delle riforme promesse. Sotto un diverso profilo cresce la rabbia dei francesi presenti nel

regno, tenuto conto della norma sulla naturalizzazione presente nello Statuto di Baiona. La protesta dei

napoletani liberali e la delusione per il tradimento dei francesi generano un’opposizione consistente al

regime napoleonico: nel 1808, ad opera di Pierre Joseph Briot, nasce la carboneria meridionale. Briot è un

giacobino, un repubblicano amareggiato per la situazione creatasi. Accanto a lui figurano Giuseppe Poerio,

Vicenzo Cuoco ed altri esponenti del partito costituzionalista del Regno che pensano ad una nuova Carta

pensata appositamente per Napoli e non adattata dal modello spagnolo o da quello francese (come

auspica Briot).

Nel 1812 l’impero napoleonico entra in crisi: la disfatta in Russia e l’emanazione di costituzioni

democratiche in Spagna ed in Sicilia concesse grazie all’appoggio degli inglesi alimentano le speranze dei

patrioti, dei carbonari, appoggiati anche da Carolina Murat, reggente in assenza del marito, la quale

intende basare proprio sull’appoggio della setta (i carbonari) il suo potere, promettendo una nuova

costituzione. Ma al ritorno di Gioacchino la situazione cambia nuovamente: egli preferisce l’appoggio e

l’alleanza con gli Asburgo (austriaci) che con gli inglesi ed ordina la repressione della setta carbonara.

Pierre Joseph Briot e la carboneria: un complesso percorso storiografico

Il percorso storico che affrontiamo è lungo e complesso. Ho cercato di ridurlo quanto più possibile ai fatti

essenziali, senza trascurare elementi rilevanti.

Albert Mathiez, storico francese tra i più importanti studiosi della Rivoluzione, nelle proprie ricerche si

imbatte in Pierre Joseph Briot, per il contrasto di quest’ultimo nel 1794 con il fratello del temutissimo

Maximilien Robespierre (Augustin). Mathiez inizialmente (1925) descrive Briot come un traditore, essendo

passato dai girondini ai giacobini, un servitore dei potenti, un accesso persecutore del clero e dei suoi

oppositori politici, nonché ladro ed usurpatore, riservando al personaggio pochissima attenzione, fino a

che un discendente di Briot, tale Maurice Dayet, contatta Mathiez e lo mette al corrente del fatto che Briot

è il fondatore della carboneria napoletana e principale cospiratore, nel Regno di Napoli, contro Napoleone,

in base ad alcuni documenti visionati dallo stesso Dayet ma ormai perduti.

Mathiez, però, non è convinto, almeno sino al 1928, quando prende visione di un saggio pubblicato da

Renato Soriga sulla rivista “Risorgimento”, all’interno del quale l’italiano, prendendo spunto da un

rapporto del generale Rossetti sulla carboneria, conferma la fondazione della stessa da parte di un

francese. Questo elemento, unito al fatto che la carboneria napoletana si diffonde nel Regno di Napoli

proprio a partire dal 1806, anno in cui Briot fa il suo ingresso nel Regno di Napoli, inizia a fornire qualche

certezza al cauto Mathiez.

Dunque Briot viene raffigurato come un infiltrato che agisce dall’interno contro il regime napoleonico,

senza mai abbandonare i suoi ideali, ma i documenti fantasma su cui Dayet fonda le sue idee, senza

trascurare che egli ha un interesse diretto a riabilitare il nome del suo avo, non sono sufficienti: occorre

una ricerca dei rapporti tra carboneria napoletana e Briot da parte degli studiosi italiani.

Ecco dunque che Mastroberti trova, nell’Archivio privao Majo della Valle di Chieti, alcune lettere private

inviate da Briot a Giuseppe Ravizza, suo segretario d’intendenza in Calabria, nelle quali il francese ironizza

sulla Costituzione di Baiona e sull’obbligo di naturalizzazione in essa contenuto, mostrando tutta la sua

delusione per la persona e l’operato di Giuseppe Bonaparte e rappresentando un disagio generale vissuto

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da napoletani e francesi in quel periodo. Quindi, secondo quanto riportato sino ad ora, la carboneria

napoletana nasce proprio dalla delusione dell’operato di Giuseppe, non più riconosciuto neanche come

Maestro massone da Briot. Quest’ultimo, infatti, si distacca in questo periodo dalla loggia massonica alla

quale appartiene ed è plausibile pensare che fondi la carboneria, derivazione delle massoneria ma con riti

più semplici e con un programma più concretamente politico: una delle prime vendite carbonare di Chieti

reca il nome della vecchia loggia massonica cui appartiene Briot (e di cui è capo), nome che solo

quest’ultimo avrebbe potuto conferirgli.

Proprio se accettiamo l’idea, corredata da non poche prove, che Briot sia un cospiratore, un “nemico

dall’interno” del regime napoleonico, dobbiamo concludere che mai avremo delle prove della fondazione,

da parte sua, della carboneria napoletana: un funzionario di alto livello, un corrispondente degli odierni

prefetti, non può in alcun modo lasciare segni dei suoi legami con sette o della sua cospirazione anti-

governativa.

Vincenzo Cuoco

A Vincenzo Cuoco vari studiosi attribuiscono posizioni politiche molto diverse: c’è chi lo vede come il

“fondatore del liberalismo nazionale rivoluzionario e moderato insieme” (B. Croce), chi lo contempla come

il fautore delle sfortune storiografiche italiane del XIX secolo, perché troppo avverso alla Rivoluzione

francese (Furio Diaz), chi addirittura lo configura come “l’ideologo del democratismo d’inizi Ottocento” (De

Francesco).

Egli, in realtà, all’interno della sua opera “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799”, non mostra

alcuna avversione ideologica nei confronti della Rivoluzione, ma si limita a dire che “…volendo riformare

tutto, avea tutto distrutto”, confondendo le proprie idee con le leggi della natura. Ma se in Francia la

Rivoluzione ha una ragione storica, nel Regno di Napoli il modello francese viene imposto dalle armi e non

scaturisce dalla storia nazionale, non è figlio del popolo napoletano.

Cuoco, ispirandosi al pensiero di Gian Battista Vico e riconoscendo quest’ultimo come il fondatore della

“scienza della legislazione”, crede che le costituzioni politiche e le leggi in generale debbano adeguarsi ai

costumi e agli usi di un determinato popolo in uno specifico momento storico e non possano in alcun modo

essere imposte da altri, dovendo partire dall’interno. Egli si ispira all’idea di costituzione dell’antica Roma,

costruita secolo dopo secolo, formata da un insieme di “massi enormi legati con un cemento indissolubile”,

espressione compiuta del popolo romano.

Dopo poco tempo, però, il pensiero di Cuoco sembra mutare: egli abbraccia le riforme liberali di Giuseppe

Bonaparte, come l’abolizione della feudalità e la riforma giudiziaria, pur provenendo dall’esterno ed

ispirate alle leggi napoleoniche e motiva il suo cambiamento di pensiero spiegando che tutto ciò che porti

felicità e benefici al Regno deve essere accettato e non fronteggiato. Ecco, dunque, che Cuoco si mostra

più come uno storico attento ai cambiamenti che, da qualsiasi parte provengano, apportano dei benefici

per la situazione napoletana, che un politologo o un ideologo.

Egli vede la riforma giudiziaria come una svolta rispetto al passato, ma non dobbiamo trascurare che essa si

ispira comunque al modello francese ed appare estranea alle tradizioni napoletane, sebbene vicina alle

idee degli illuministi meridionali. Tuttavia l’ampio spazio di libertà concesso al Consiglio di Stato e,

soprattutto, ai suoi emendamenti rende la riforma incline ai bisogni del Regno, pertanto accontentando

studiosi che, come Cuoco, pretendono delle svolte e dei tagli rispetto al passato.

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Il “principio della fine” a Napoli tra paure e speranze

Il 27 dicembre 1812 viene pubblicato, nel Regno di Napoli, il 29esimo bollettino della grande armata

napoleonica, nel quale è descritta la disastrosa campagna di Russia. E’ il “principio della fine” (definizione

di Talleyrand) dell’impero di Napoleone. Durante l’assenza di Gioacchino il governo napoletano è retto

dalla moglie (e sorella dell’imperatore) Carolina, la quale stringe accordi, al fine di guadagnarsi il consenso

popolare, con la carboneria napoletana filo-napoleonica e con Briot in persona (gli vengono donati

possedimenti terrieri presso Capua e viene nominato presidente della Sezione di legislazione del Consiglio

di Stato). Briot, dunque, pur essendo avverso a Napoleone, si ritrova a doverne appoggiare l’impero

insieme alle idee della Regina, dato che l’alternativa è costituita, nel Regno, dal partito liberale

costituzionalista napoletano, che non vede di buon occhio i francesi.

Al ritorno di Gioacchino, però, la situazione cambia: i carbonari, ormai, sono ovunque ed il sovrano, in

disaccordo con la consorte, decide di avviare una dura campagna di repressione. La corrispondenza di

Briot, nel frattempo ritiratosi (1813) per dedicarsi all’hobby della floricoltura, viene costantemente

controllata ed egli è visto come personaggio sospetto e pericoloso, sebbene intoccabile perché protetto

dalla Regina in persona. Tutto questo avviene mentre in Spagna ed in Sicilia gli inglesi propongono il

costituzionalismo liberale ed appoggiano l’emanazione di due costituzioni che suscitano grande

entusiasmo.

Uno strano libro

Lo strano libro, oggetto del titolo, è la “Storia delle costituzioni politiche dell’Impero francese”: si tratta di

un’opera anonima in cui vengono pubblicate le costituzioni francesi ed i decreti istitutivi ed organizzativi

dell’Impero. Essa viene pubblicata proprio mentre in Spagna si approva la costituzione di Cadice ed in

Sicilia se ne approva una sul modello inglese e tende a legittimare il regime imperiale sotto il profilo

costituzionale.

L’autore, per la straordinaria e capillare conoscenza della storia d’Oltralpe e per il richiamo ai “nostri padri”

trattando della stessa, non può che essere un francese ed alcuni studiosi sono concordi sull’affermare che

possa trattarsi proprio di Briot, il quale appoggia in questo periodo la posizione filo-napoleonica di Carolina

Bonaparte.

Anche all’interno della carboneria, dunque, nasce uno scontro molto acceso tra filo-francesi e nazionalisti

napoletani, orientati verso la Costituzione di Cadice emanata in Spagna.

Due carbonerie, una francese ed una italiana, nella crisi del 1812?

Dunque Briot si ritrova, dopo la disfatta dell’armata napoleonica in Russia, a dover appoggiare proprio la

linea napoleonica: egli non può tradire la Patria, per cui tanto si è adoperato anche per evitare la

naturalizzazione napoletana dei funzionari pubblici francesi.

Quindi nella setta (la carboneria) viene a crearsi una netta suddivisione: da un lato i carbonari che

appoggiano Briot, presunto fondatore, e di conseguenza le idee della Regina; dall’altro i carbonari

napoletani, sostenitori di una costituzione simile a quella di Cadice (quella spagnola) e di una linea anti-

francese, anti-napoleonica.

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Sta di fatto che, dopo la repressione del 1813, il governo di Murat inizia a manifestare una mancanza di

ostilità nei confronti della carboneria, proprio per appoggiarsi alla setta e ricevere maggiore approvazione

da parte del popolo.

Possiamo dunque parlare di una vera e propria SCISSIONE all’interno della carboneria.

CAPITOLO III – IL DIBATTITO COSTITUZIONALE. IL CREPUSCOLO DEL REGNO MURATTIANO

Il ripescaggio della costituzione di Baiona: il decreto del 23 aprile 1814

Dopo l’emanazione, da parte di Napoleone, del decreto del 6 luglio 1811 con il quale egli chiarisce che non

sono soggetti a naturalizzazione o ad esclusione dalle proprie cariche i cittadini francesi, la Costituzione di

Baiona sembra accantonata. In realtà Napoleone stesso ci tiene affinché essa rimanga in vigore, proprio

per limitare il potere di Murat all’interno del Regno, in quanto lo Statuto vincola il sovrano alla fedeltà

verso l’Impero.

Come se ciò non bastasse, prima della campagna di Russia, Napoleone invia a Napoli una “notifica solenne”

con la quale lega indissolubilmente Gioacchino alle sorti della Francia: trascurando i propri doveri verso la

Costituzione, verso il trattato di Baiona e verso l’Imperatore egli avrebbe perso qualsiasi diritto alla Corona.

Quindi lo Statuto di Baiona continua ad essere vigente nel Regno di Napoli e Gioacchino, una volta tornato

dalla campagna di Russia, accontenta Napoleone (in senso ironico) proprio dando luogo, nuovamente, ad

un decreto (23 aprile 1814) nel quale prevede la naturalizzazione napoletana di tutti coloro che occupano

un impiego pubblico: ormai la frattura tra cognati è palese e Murat tenta di stringere accordi con gli inglesi

e con gli austriaci al fine di rimanere sul trono, adottando una linea anti-napoleonica.

Ricevere la cittadinanza napoletana, tra l’altro, non è più facile come un tempo: nel Consiglio di Stato è

presente un alta rappresentanza napoletana, decisa a non concedere indiscriminatamente la

naturalizzazione a chiunque ne faccia richiesta.

L’appuntamento del 10 giugno 1814 al Consiglio di Stato

Siamo arrivati alla soluzione finale del problema “dei francesi e della loro naturalizzazione”. Data la

decisione del sovrano, al Consiglio di Stato iniziano a pervenire le domande per ottenere la cittadinanza

napoletana. Nella seduta del 3 giugno il dibattito è molto acceso e si manifesta l’intenzione di rinviare la

seduta al 10 di giugno, riunendo, però, tutto il Consiglio di Stato e non la sola “sezione dell’interno”

competente a decidere.

Il 10 giugno, dunque, si concretizza lo scontro tra il partito napoletano e quello francese: il segretario di

Stato Pignatelli informa i presenti che non possono dar luogo all’esame della questione senza una

preventiva autorizzazione del sovrano. Murat teme che vengano prese soluzioni troppo drastiche, in un

senso o nell’altro e tenta di aggirare il problema. Ma il Consiglio, orma, è deciso ad affrontare la questione:

Briot fa presente tutti i vantaggi tratti dalla partecipazione del Regno di Napoli all’Impero napoleonico,

mentre Poerio, colpito nel suo amor di patria, difende le vecchie istituzioni e l’antichissima dignità della

nazione napoletana. Il francese commette un errore quando sostiene che lo Statuto di Baiona venga

considerato come posto nel nulla o abrogato tacitamente: Poerio, sottolineando l’importanza attribuita

dallo stesso Napoleone precedentemente e da Murat negli ultimi tempi nei confronti della Costituzione

giuseppina, considera la Carta come ancora vigente e, pertanto, operativa all’interno del Regno.

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L’intervento di Briot. La questione politica

Il discorso di Briot all’interno del Consiglio di Stato parte con la considerazione che l’opinione pubblica

delle province non sia avversa, in alcun modo, ai francesi, che tra l’altro sono esigui nel numero in merito

agli impieghi pubblici, non creano un problema essendo appena trecento.

Dopo tale premessa Briot passa all’aspetto politico del discorso: egli sottolinea come il Regno di Napoli sia

formato per lo più di stranieri e si sia avvalso, nel tempo, di comandanti e strateghi stranieri; ribadisce

l’ingiustizia di mandare via quegli stessi soggetti che fino a poco tempo prima si era cercato di trattenere;

conclude, infine, con la minaccia di veder trattati i napoletani nella stessa maniera presso gli Stati esteri.

L’interpretazione “francese” della Costituzione

Dopo l’esame della situazione politica, Briot passa a discutere della Costituzione di Baiona. Egli la ritiene

“nulla e non avvenuta” per tre fondamentali motivi: perché imposta da un sovrano che aveva lasciato

Napoli per un altro trono (quello iberico); perché imposta senza consultare la Nazione e presentata senza

l’approvazione della stessa; perché “giammai messa in attività”, riferendosi alla mancata attuazione delle

innovazioni in essa contenute, come la convocazione del Parlamento Nazionale.

Briot, infine, detta una serie di criteri per la concessione della cittadinanza napoletana (ricezione della

decorazione dell’Ordine delle Due Sicilie; vantaggi a titolo di ricompensa dei servizi resi; matrimonio con

consorte napoletano; perdita di parenti per causa di servizio militare o civile; iscrizione dei figli nella

coscrizione militare del Regno; pagamento di una contribuzione fondiaria; impiego precedente

all’emanazione della Costituzione di Baiona ecc) di fatto includendo tutti i francesi del Regno nel diritto a

riceverla e prevedendo per i militari la concessione automatica della stessa.

Anche da questo discorso possiamo evincere come Briot non sia più il capo della carboneria napoletana:

egli scende in campo a difesa dei francesi e della loro cittadinanza, non tutelando più gli interessi della

setta.

L’orgogliosa risposta di Giuseppe Poerio

Quando prende la parola Giuseppe Poeri, dopo l’intervento di Briot, sono chiare da subito le sue intenzioni

di ridicolizzare quanto appena detto, ferito nel suo amor di patria come palesemente appare. Egli

comunica, comunque, di voler mantenere un tono di moderazione, nonostante le tante offese a Napoli ed

ai napoletani udite fino a quel momento.

Anzitutto Poerio spiega come Napoli sia il frutto di “differenti emigrazioni straniere” al pari di tutti i Paesi di

Europa e che già prima dell’avvento dei francesi fosse uno Stato a tutti gli effetti.

L’influenza francese, secondo Poerio, non ha fatto altro che limitare l’operato dello stesso Murat, che

altrimenti avrebbe potuto attuare una politica diversa e con maggiori risultati.

Pur dichiarando di essere d’accordo con la concessione della cittadinanza a tutti i militari che hanno

combattuto sotto le insegne napoletane, egli manifesta il suo dissenso in merito agli impiegati civili, per lo

più francesi, del Regno: il decreto imperiale che li ha salvati in precedenza è ormai venuto meno insieme al

suo imperatore (Napoleone).

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Una lezione di diritto costituzionale

Poerio, dopo un’analisi politica della situazione, passa alla presunta nullità dello Statuto di Baiona

sostenuta da Briot ed offre, al francese, quella che il titolo di questo paragrafo definisce, a mio parere

ragionevolmente, una “lezione di diritto costituzionale”.

Anzitutto la mancanza di un atto del sovrano che dichiari la nullità della Costituzione di Baiona manifesta,

già da sola, l’inconsistenza del discorso di Briot. Inoltre lo stesso sovrano, in numerosi provvedimenti di

concessione della cittadinanza, si richiama allo Statuto, di fatto rendendolo operante e vigente.

Dato che Briot sostiene che la cittadinanza sia conseguenza di un incarico pubblico ricoperto prima

dell’emanazione dello Statuto, Poerio sostiene senza alcuna titubanza che ciò può al massimo costituire

una “possibilità” per l’acquisizione della cittadinanza e non un “titolo”.

Dalla lettura del decreto del 23 aprile, inoltre, emerge la volontà del Sovrano di affidare cariche civili ai soli

cittadini e non a stranieri che fino a quel momento hanno deprezzato la cittadinanza napoletana e che ora

si accingono a chiederla con tanta fretta.

Al discorso di Poerio seguono una serie di applausi interminabili e realmente sentiti, avendo infiammato il

suo discorso l’animo di tutti i napoletani.

L’intervento del Re

Dopo la seduta del 10 giugno i francesi del Regno si rivolgono direttamente a Murat, supplicandolo di

concedere la cittadinanza come premio della loro fedeltà. Il Re è commosso ed in Consiglio di Stato

propone la naturalizzazione di ventisei suoi “amici” ed un regime di minor rigore verso i francesi,

raccogliendo però qualche protesta. Solo 5 consiglieri su 28 si oppongono alla proposta del Sovrano, di

fatto continuando a sostenere la linea del rigore e dell’osservanza della Costituzione.

Il 31 luglio il Re, con tre decreti, stabilisce la concessione della cittadinanza ai militari che hanno

combattuto nella campagna del 1814, a tutti gli ufficiali stranieri e a tutti gli “esteri” con dimora nel Regno

da almeno 10 anni o sposati con una napoletana.

Una costituzione inutile?

La Costituzione di Baiona, contrariamente a quello che si può credere dopo la una lettura disattenta del

testo, non è inutile. Essa, anzitutto, è la prima costituzione formale emanata nel Regno di Napoli. Certo è

che essa ha maggiore rilevanza sul piano politico che su quello giuridico: se da un lato mancano le riforme

liberali tanto attese, dall’altro questa stessa mancanza fa risvegliare il concetto di nazione napoletana ed

alimenta un’opposizione capace di pretendere sempre maggiore indipendenza dalla Francia. Una

Costituzione, quella di Baiona, emanata da un sovrano straniero, ma elevata dai napoletani, proprio in

forza della norma sulla naturalizzazione degli impiegati civili, a strumento di difesa contro le prerogative

francesi all’interno del Regno. Anche la nascita della carboneria può, in un certo senso, ricollegarsi al

malcontento generato dallo stesso Statuto: d’un tratto gli effetti negativi della Carta danno vita ad una

serie di risvolti positivi.

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La disperata costituzione murattiana del 1815: un compromesso tra la carboneria francese e quella

napoletana?

Nel maggio del 1815 Gioacchino Murat, nel disperato tentativo di conservare un Regno che sembra ormai

già perso e di accaparrarsi il sostegno della carboneria, emana, probabilmente con l’appoggio di Briot, una

nuova Costituzione: essa presenta un carattere indubbiamente liberale rispetto alla Costituzione di Baiona.

Nella nuova Carta è contemplata la suddivisione dei poteri, sebbene solo sotto il profilo formale: il potere

esecutivo al Re, quello legislativo alla Rappresentanza Nazionale e quello giudiziario alla magistratura

indipendente. In realtà la stessa Rappresentanza Nazionale è costituita dal Re e da un Parlamento

bicamerale (Senato e Consiglio dei Notabili), di fatto attribuendo al Sovrano un duplice potere. La

magistratura, inoltre, è indipendente solo inerentemente alle funzioni ad essa delegate dalla legge:

considerato che solo il Sovrano ha potere d’iniziativa legislativa è facile intuire che egli controlli anche la

magistratura. E’ sempre il Re a scegliere i membri del Senato ed il sistema di elezione dei Notabili,

rappresentanti delle Città, delle Province, del Commercio, dell’Università di Napoli e delle Corti d’Appello

del Regno appare come una rivisitazione del sistema di rappresentanza cetuale previsto dallo Statuto di

Baiona.

Sotto il profilo istituzionale, dunque, la nuova Carta non presenta alcuna novità, mentre le vere innovazioni

sono rappresentate dalle libertà fondamentali (libertà religiosa, di opinione, di stampa e di essere giudicati

dal giudice naturale precostituito per legge).

Sta di fatto che essa lascia scontenti tanto i francesi quanto i napoletani, sebbene questi in misura minore,

dato l’elogio di Vincenzo Cuoco nei confronti della stessa.

Tuttavia la Costituzione del 1815 si rivela “inutile e inopportuna”.

La battaglia di Waterloo del 18 giugno 1815 risolverà tutti i problemi, ponendo fine una volta per tutte

all’impero napoleonico e travolgendo anche l’esperienza francese nel Regno di Napoli.

FINE

N.B. per gli studenti: quest’opera non è solo un riassunto, ma una rielaborazione personale dei temi in essa

trattati. Aver scartato alcune parti e sottolineato l’importanza di altre non fa di me un docente, ma

semplicemente uno studente che fa delle valutazioni personali. E’ doveroso, da parte mia, precisare che

ognuno di noi è portatore di una singolarità che gli permette di recepire le informazioni in maniera diversa,

migliore o peggiore che sia. Vi assicuro soltanto che, all’interno della mia rielaborazione, non ho trascurato

nulla di rilevante, ma pur sempre dal mio punto di vista, che potrebbe differire da quello degli assistenti e

del docente. Vi invito, pertanto, ad integrare gli argomenti trattati con il libro di testo, scritto da un

docente e luminare in materia, qualora l’esposizione non vi abbia soddisfatti, o anche a confrontare la mia

rielaborazione con quella di altri colleghi. Mi scuso in anticipo, inoltre, qualora doveste riscontrare errori

grammaticali o errori di battitura, dovuti, vi assicuro, alla stanchezza ed al peso specifico della materia.

Rielaborare non è mai semplice, per questo motivo in alcune parti ritroverete pari pari le parole del testo,

magari selezionate a mia discrezione, magari ricopiate e basta. In altre, invece, troverete mie ricostruzioni

personali o miei commenti. Spero davvero che questa mini-opera possa esservi d’aiuto. Vi auguro di

prendere un buon voto all’esame!!! Foxshark (Marco Montagna)