babbo natale - nicola lagioia

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Le terre/Memi 119

La serie Memi curata da Francesco Benigno e Gabriele Pedull

Viviamo in un mondo di simboli naturalizzati, artefatti del pensiero di cui si perduta lorigine storica, se non addirittura la stessa consapevolezza che unorigine c stata: personaggi della fantasia, riti stagionali, emblemi pubblicitari e miti della cultura popolare sui quali non sembra nemmeno possibile interrogarci, tanto essi paiono appartenere da sempre alle nostre vite. Memi nasce appunto per offrire ai lettori una mappa aggiornata dellimmaginario di oggi e raccontare attraverso le parole e le immagini le grandi icone del mondo contemporaneo nel loro continuo farsi e disfarsi: in altre parole per portare alla luce lalterit che si annida negli oggetti pi familiari o invece la segreta consonanza che ci lega a figure del passato che credevamo di aver cancellato una volta per tutte dal nostro orizzonte.

I edizione: novembre 2005 2005 Fazi Editore srl Tutti i diritti riservati Progetto grafico di copertina: Maurizio Ceccato ISBN: 88-8122-639-1 www.fazieditore.it

Nicola Lagioia

BABBO NATALEDOVE SI RACCONTA COME LA

COLA-COLA

HA PLASMATO IL NOSTRO IMMAGINARIO

BABBO NATALE

1. Santa Claus: limpossibilit di diventare adulti

Come tanti analfabeti di ritorno per eccesso di informazione, continuiamo a credere a Babbo Natale anche dopo che i cancelli dellinfanzia ci si sono richiusi alle spalle. Lincanto di un essere soprannaturale in grado di mettersi a disposizione di ogni bambino del pianeta per consegnare doni si mostra a prima vista come uno spartiacque tra infanzia e mondo degli adulti. Questi ultimi, che dovrebbero possedere la verit su Babbo Natale (la semplice circostanza che non esista al di l della tradizione, il fatto che sia un prodotto culturale, uno strumento educativo), si impegnano a occultarla con dichiarati intenti pedagogici. Sostenendo lesistenza di Babbo Natale innesterebbero sullo sguardo incantato dei propri figli il meccanismo del do ut des, regali in cambio di obbedienza. Finito il lungo tirocinio che dai primi vagiti giunge a una confidenza basilare con testi scritti, suoni, immagini, per i bambini arrivano anche le prime docce fredde. Lo spartiacque destinato a cedere con precisione rituale quando di regola, in seguito al consueto passaparola tra ragazzini in finto regime di clandestinit, un fratello o un cugino maggiore si fanno portatori di una rivelazione (Babbo Natale non esiste) che ha per il destinatario un effetto traumatico e riempie il mittente di crudele soddisfazione. Lattraversamento di Babbo Natale ottiene in questo modo tutti i cri-

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smi di una prova iniziatica. Da una parte, agli appena-iniziati (il fratello, il cugino maggiore) data loccasione di esercitare il potere della conoscenza. Dallaltra, chi sostiene la prova acquista la prima patente di adultit, al costo di un bruciante disincanto. Nel rivelare come stanno le cose ai loro piccoli amici, gli iniziati non possono inoltre esimersi dallulteriore ebbrezza di restituire la violenza subita quando furono loro ad essere strappati brutalmente dal mondo del soprannaturale. Ma a questo punto? A questo punto non detto che si diventi adulti. Entrati tra le file degli iniziati, dovremmo essere capaci di elaborare il lutto per la morte di Babbo Natale scollando il celebre portadoni dal dominio del magico al fine di ricollocarlo nel mondo dei semplici fenomeni culturali. Il problema che la percezione sociale di Babbo Natale tale che questa opera di secolarizzazione fallisca quasi immancabilmente il suo bersaglio. Come a dire che, crollato uno spartiacque, se ne ricostituisce immediatamente un altro, rimandando a tempo indeterminato la nostra definitiva emancipazione rispetto a questo affaire. In genere siamo convinti che Babbo Natale cos come lo conosciamo, o meglio, cos come il suo ectoplasma ci ha visitato per tutta la vita (barba bianca, pancione, giubba rossa con i bordi di pelliccia bianca, aspetto gioviale e rassicurante) esista da secoli. Ci lamentiamo al limite del fatto che la sua figura, che erroneamente potremmo considerare intatta da epoche vagamente preindustriali, venga sfruttata dalla macchina del consumo pi sfrenato. Ma come reagiremmo al pensiero che Babbo Natale, pi che essere cavalcato dalla societ dei consumi, sia uno dei suoi rappresentanti pi emblematici? E alla circostanza che la sua perenne quanto inafferrabile presenza nel complicato gio-

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co di specchi che regola il traffico del nostro immaginario dovuta in buona parte alla Coca-Cola?

Questo difetto di messa a fuoco cronologica pu rimandare con qualche azzardo a dinamiche orwelliane. Nellutopia negativa di 1984, larbitraria riscrittura della Storia rappresenta uno dei sistemi pi efficaci con il quale il partito unico esercita il proprio potere. I cittadini di Oceania sono persuasi che fatti storici, sistemi di linguaggio, interi blocchi culturali siano arrivati a loro modellati dal normale lavoro del tempo la circostanza che si tratti di manufatti creati artificiosamente nel laboratorio di Big Brother non li sfiora. Orwell aveva in mente i totalitarismi del XX secolo e quindi puntava lindice contro unoligarchia i cui membri esercitavano consapevolmente il proprio potere per mezzo di altrettanto consapevoli sistemi di controllo, manipolazione e repressione sociale. Il mondo delle multinazionali di cui Babbo Natale una delle espressioni pi mature

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lontanissimo da obsolescenti pratiche concentrazionarie: lidea del gulag o della vaporizzazione non gli appartiene. E tuttavia, in relazione alla capacit di colonizzare il nostro immaginario, alcuni risultati conservano una qualche parentela con quelli elaborati da George Orwell. La riscrittura e il lancio planetario di Santa Claus come testimonial della Coca-Cola stato un crimine perfetto quanto a falsificazione della realt storica siamo persuasi che la sua benevolenza, la sua saggezza, il suo look traggano forza e ragioni da unorigine che non ha niente a che fare con lideologia che domina la societ dei consumi laddove invece proprio questultima ad averlo costruito cos come noi lo conosciamo. Nelleccesso dellabbaglio ar-

riveremmo perfino a interpretare Santa Claus come un salvifico concentrato di altruismo e buoni sentimenti prove-

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niente da unet dorata e adesso per amore di tutti noi, o meglio, in ragione di quel po di amore per lumanit che presumiamo intatto in ognuno di noi disposto a muoversi, ad agire, persino a resistere in un mondo dominato dallindividualismo e dalla ricerca dellutile a tutti i costi. Il sistema del dono, in fondo, non dovrebbe rappresentare concettualmente la pi potente antitesi dei meccanismi che regolano il mondo in cui viviamo? Ogni elemento di Santa Claus invece perfettamente funzionale alle narrazioni, di conseguenza alle regole, prodotte dal sistema dei consumi. A differenza del pi classico dei gialli, la perfezione di questo crimine non sta per nella mancanza di prove. Chiunque, armato di pazienza e della pi elementare delle bibliografie, potrebbe verificare come Babbo Natale sia uninvenzione della modernit; come le sue precedenti incarnazioni (da san Nicola a Weihnachtsmann, a Sinterklaes) abbiano ormai pochissimo in comune con il dominus delle nostre festivit natalizie; come infine questo Grande Vecchio del capitalismo avanzato, prima di trovare una crescita esponenziale nel circuito della comunicazione pubblicitaria, abbia avuto la propria culla nella New York del XVIII e XIX secolo. Queste prove schiaccianti, tuttavia, non rischiano di compromettere la percezione di Santa Claus come prezioso residuato premoderno. Il partito interno di 1984 aveva la preoccupazione di sottrarre alla disponibilit dei prolet le prove capaci di invalidare ogni atto di falsificazione storica. Il revisionismo di alcune narrazioni postmoderne non si pone nemmeno il problema. E questo non tanto perch la tempesta di informazioni che ci invade quotidianamente renda pi arduo raggiungere e isolare le fonti in grado di smontare intere costruzioni del nostro immaginario. Il problema che, pur continuando a professare la nostra fiducia nella sistematiz-

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zazione razionale della cultura, il nostro amore per la verit, andiamo sviluppando un sistema percettivo disposto ad abbandonare ogni difesa di fronte a nuove forme narrative unicamente in ragione della loro potenza, della loro pervasivit, del loro potere di fascinazione. Ecco quindi che il falso storico, la narrazione di Babbo Natale per esempio, cos come viene condotta dal sistema delle multinazionali, dalla pubblicit, dalla morbida macchina dellintrattenimento audiovisivo, non si limita ad appannare la contro-

prova della sua nascita moderna ma la invalida. Nel momento in cui scriviamo Babbo Natale, come lo conosciamo noi, uninvenzione della Coca-Cola rischiamo di provare sempre un certo imbarazzo, potrebbe quasi sembrarci di tradire levidenza (falsa) della sua origine premoderna proprio perch il falso storico un pacco sganciato dalla diretta intenzione di un falsario identificabile, unimpressione che scaturisce dal semplice incontro tra la superestetica della comunicazione contemporanea e i nostri corpi stato costruito con strumenti che hanno segnato non tanto la nostra crescita culturale pi banalmente intesa (la

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maturazione o il tradimento delle nostre convinzioni, laccumulo dei libri letti) ma la formazione e la crescita dei nostri sistemi percettivi, molto pi delle sortite in biblioteca o delle ricerche bibliografiche. Come possibile, potremmo chiederci, che istintivamente rischiamo di dare pi fiducia a uno spot pubblicitario che a una fonte storica? Che ci ritroviamo con la spiazzante, singolarissima facolt di sapere e, contemporaneamente, non sapere? A quale tipo di regressione o mutazione siamo esposti? Analizzare Babbo Natale e la vicenda del suo matrimonio con la Coca-Cola, pi che porsi il poco entusiasmante obiettivo di dire finalmente la verit sul vecchio pancione, pu allora essere un tentativo di sondare almeno in parte le dinamiche che regolano ladesione al mondo in cui viviamo. Ripercorrere in parallelo la storia della Coca-Cola (da impresa pionieristica nata negli Stati Uniti del XIX secolo a multinazionale) e quella di Santa Claus (dalle sue origini cristiane nelle vesti di san Nicola al suo incontro decisivo con la societ dei consumi, passando per tutta una serie di incarnazioni intermedie) schiude la possibilit di cogliere, nel complesso gioco di rapporti tra i sistemi produttivi contemporanei e le loro rappresentazioni mitologiche, gli elementi che sembrano allontanarci definitivamente da concezioni del mondo che fino a ieri sembravano scontate o indiscutibili e quelli invece che, sia pur trasfigurandolo, mantengono un legame molto forte con le radici della nostra civilt. Non si tratta soltanto di ricostruire storicamente un mito ma anche di mostrare come Babbo Natale, ben lontano dallessere un semplice strumento educativo maneggiato con totale consapevolezza dagli adulti a beneficio dei pi piccoli, serva soprattutto ai primi come amuleto, maschera, contravveleno, quale sorridente e coloratissimo depistatore della paura di morire.

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Millenovecentotrentuno. Mentre a New York la costruzione dellEmpire State Building veniva completata col sottofondo degli scontri tra polizia e disoccupati, sui sottobicchieri delle birrerie tedesche era possibile leggere: Chi acquista da un ebreo un traditore del popolo. Le banche americane, tra un fallimento e laltro, iniziavano a esigere la restituzione dei prestiti esteri, gettando benzina sul fuoco della crisi (14 milioni di disoccupati negli Stati Uniti, 6 in Germania, 3 in Gran Bretagna) e preparando in questo modo il terreno alla pi grande mattanza della cronologia universale. Nella cronologia parallela della Georgia, tuttavia, precisamente ad Atlanta, il sole del successo gettava la pi meravigliosa delle luci sugli uomini della Coca-Cola. A quarantacinque anni dalla nascita, quella che sarebbe diventata la multinazionale pi nota del pianeta era riuscita a superare gli innumerevoli problemi societari capaci di provocare unimplosione (sanguinose lotte di successione degne di una tragedia shakespeariana, durissime vertenze con gli imbottigliatori) ma anche ad arginare le minacce provenienti dallesterno: i continui tentativi di imitazione, per esempio, i disagi legati al razionamento dello zucchero dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, le clamorose vicende giudiziarie ma soprattutto il terribile fortunale scatenatosi allindomani del crollo di Wall Street. Allo stes-

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so modo, la fine del proibizionismo che da l a poco avrebbe riportato vino, birra e superalcolici nelle case e nei locali degli Stati Uniti, e che secondo limprovvido teorema di alcuni commentatori economici avrebbe dovuto segnare il tramonto dei soft drink, pass sulla Coca-Cola come un innocuo venticello. La grande solidit che lazienda poteva ormai vantare sotto ogni profilo (dallassetto finanziario a quello produttivo, dalla rete distributiva alla motivazione dei suoi uomini), unita a una strategia comunicativa di portata rivoluzionaria, fece in modo che tra le due guerre la Coca-Cola iniziasse a svolgere anche una funzione mitopoietica un processo di colonizzazione culturale che raggiunse il suo primo vero momento magico proprio nel 1931, quando, come vedremo, rovesciando gli inconvenienti che un procedimento giudiziario concluso gi da ventanni esercitava ancora sullazienda, la Coca-Cola ridisegn a proprio uso la figura di Babbo Natale candidandolo con successo clamoroso come proprio testimonial. La Grande Depressione aveva distrutto industrie la cui solidit sembrava fuori discussione, gettato nella disperazione milioni di agricoltori, lasciato senza liquidit gli istituti di credito ma per amore di ucronia aveva ritratto il proprio artiglio da una bibita composta per il 99 per cento di acqua e zucchero, un prodotto il cui valore duso era praticamente prossimo allo zero. Non era in fondo una cosa che gli apparteneva: la Depressione listava a lutto la casellina del 1929 dopo Cristo ma per la Coca-Cola il 29 era soltanto il quarantatreesimo anno della sua storia. Sei anni dopo, nel 1935, le azioni della Coca-Cola avevano raggiunto il valore pi alto tra tutte quelle delle aziende statunitensi. Una navigazione tanto tranquilla tra le acque della crisi lasci increduli molti osservatori economici ma pure sorprese i dipendenti della company. Si potrebbe

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dire che la somma delle intelligenze di tutti gli uomini della Coca-Cola non conteneva lintelligenza con cui il prodotto stesso aveva imparato a muoversi sul mercato se vero che persino Robert Woodruff, il suo presidente, era stato scavalcato dalla capacit della bibita di uscire dal terremoto della crisi pi forte e in salute che mai.

Figlio di un noto banchiere di Atlanta, adolescente problematico e poi direttore generale di unazienda di autocarri, Woodruff aveva preso il timone della Coca-Cola appena trentatreenne, nel 1923. Durante i primi anni della sua presidenza le cose erano andate decisamente bene: le vendite erano passate da 17 a 23 milioni di galloni lanno e, nel 1926, lazienda si poteva dire completamente libera dai debiti. Lanno dopo tuttavia, presentendo il crollo dellintero mercato borsistico, Woodruff decise di scommettere contro la propria azienda vendendo segretamente le sue

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6.600 azioni. Gli and male: il 29 ottobre 1929, il giorno del crollo di Wall Street, le azioni della Coca-Cola subirono una leggera flessione (da 137 a 128 dollari) ma alla fine dellanno erano gi risalite a 134 dollari candidandosi a toccare, nel 1935, quota 200. Risultato: Robert Woodruff aveva perso pi di 400.000 dollari. Dire che la Coca-Cola era pi intelligente del suo presidente significa fare un torto allabilit, alla pervicacia, al carisma delluomo che tra mille battaglie (la maggior parte delle quali vinte) guid la compagnia per oltre mezzo secolo. Woodruff ci aveva visto pi che bene per quanto riguardava landamento generale del mercato e la sua imminente, drammatica contrazione. Solo che i suoi ragionamenti e non poteva che essere cos seguivano un binario differente rispetto a quello su cui la Coca-Cola stava immettendosi gi da qualche tempo. Woodruff aveva ancora in mente unazienda la cui forza comunicativa discendeva dalla materialit del prodotto, dalla razionalit dei processi di lavorazione, dalla distribuzione, dai contratti stipulati con gli imbottigliatori e cos via tutte cose che, come accennato, si erano ovviamente dimostrate fondamentali nel consentire la sopravvivenza del marchio per oltre quarantanni. La Coca-Cola per (la sua intelligenza collettiva, si potrebbe dire) aveva gi superato la boa della modernit industriale, producendo intorno a s una narrazione di tale forza, una mitologia cos salda e coerente da costituire un elemento inestirpabile nel paesaggio interiore degli americani. Per arrestare la sua ascesa, in definitiva, sarebbe stata necessaria lesplosione dellintero sistema, non una grave crisi economica. Uno degli aspetti che, per unazienda di prodotti destinati al largo consumo, testimonia un decisivo salto di qualit, un contrassegno di forza, una vera e propria garanzia

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per la sopravvivenza a medio termine e il progressivo allargamento dei propri confini, la creazione del fantasma. Lazienda materiale a un certo punto riesce nellimpresa di produrre una sua versione ectoplasmatica che il prodotto vero e proprio (la lattina di una bibita, una borsa di cuoio, un paio di scarpe da ginnastica), al di l dellinestirpabile natura di feticcio, sar capace di evocare alla stregua di un medium. In parallelo con il soddisfacimento del bisogno a cui il prodotto banalmente destinato dissetare, nel caso della Coca-Cola , oltre il carattere mistico di marxiana memoria che la merce possiede in quanto portatrice anche di un valore di scambio, si dispiega davanti al consumatore un mondo: non la staticit dellimmagine che il prodotto potrebbe costruire intorno a s ma un intero sistema in movimento, una narrazione appunto. Produrre una bevanda dal gusto particolarmente gradevole va bene, ma riuscire a fare in modo che riesca a diventare il terminale di un racconto, scorrendo gi per un esofago invisibile messo in contatto con il sistema limbico dei consumatori, era uno dei traguardi pi importanti che unazienda come la Coca-Cola poteva augurarsi di tagliare. La narrazione in questione si pu definire fantasma anche in ragione del fatto che i suoi elementi drammaturgici sono sempre vaghi, indistinti, trasparenti; anzi, quanto pi risultano impalpabili tanto pi il racconto pu farsi suggestivo e potente. Gli uomini di Woodruff erano riusciti a fare in modo che il loro prodotto un prodotto talmente semplice e sfuggente da poter evocare praticamente qualunque cosa sprigionasse unaura pi o meno nel periodo in cui Walter Benjamin la dichiarava estinta rispetto alle opere darte. La riproducibilit tecnica, la serializzazione che a partire dal XVII secolo si mette a disposizione degli oggetti ma anche di nuove forme narrative (il caso del cinema), e che secondo il filosofo tedesco metterebbe in

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scacco il tradizionale significato magico-rituale delle opere darte, la loro irripetibilit, il loro hic et nunc sostituito da un valore meramente espositivo, dalla accessibilit totale, diventa proprio il veicolo attraverso il quale le merci in ragione del loro essere potenzialmente a disposizione di chiunque, in forma sempre identica si candidano a spalancare dei veri e propri varchi dimensionali. Una volta riuscita a creare il proprio doppio ultraterreno, lazienda materiale i suoi dirigenti, i suoi manager, i copywriter, gli stabilimenti, le forniture, persino i rivenditori sar condannata a inseguire la narrazione fantasma, ad alimentare non tanto la semplice retorica di una tradizione ma lalchimia insondabile del proprio mito. Cosa che gli uomini della Coca-Cola, con quella consapevolezza dimezzata che si chiama fiuto per gli affari (e la Coca-Cola in s, con quella piena e gelida consapevolezza che lintelligenza del prodotto), avevano imparato a fare mettendo, gi negli anni Trenta, la propria azienda con un passo nel XXI secolo. Di qui lo smarrimento degli osservatori economici e dello stesso Woodruff, troppo impegnati a decrittare lalfabeto del Secolo Breve per tentare con successo un salto nel futuro. Il quarantacinquesimo anno della CocaCola, insomma, per certi versi superava gli argini del 1931. Se Robert Woodruff era il Capo, un personaggio dal carisma e dal magnetismo irresistibili, capace di suscitare nei propri dipendenti una fedelt che spesso sfoci nel fanatismo pi sfrenato, ma geneticamente ostile allarte e alla letteratura (i suoi detrattori sostenevano che non fosse mai riuscito a finire un libro in vita sua), luomo a cui tocc allineare la comunicazione del prodotto alla mitologia che cominciava a sprigionare fu Archie Lee, uno scrittore mancato. Nel 1919, abbandonata definitivamente lambizione di scrivere romanzi indimenticabili, Lee inizi a lavorare

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come pubblicitario per la Coca-Cola. Fino a pochi anni prima i messaggi pubblicitari della bibita erano stati caratterizzati da una notevole verbosit che Lee affoss definitivamente ma soprattutto evidenziavano le qualit intrinseche del prodotto (il fatto che fosse un tonico e un eccitante, la sua capacit di mantenere svegli, di beneficiare il sistema nervoso, di favorire la concentrazione) pi che la sua astratta forza di fascinazione. Una pubblicit del 1905 mostrava per esempio un giovane borghese seduto in poltrona dentro una stanza avvolta nella penombra; il testo recitava: Per gli studenti e per tutti i lavoratori intellettuali. Prendere un bicchiere di Coca-Cola alle otto per mantenere il cervello libero e la mente attiva fino alle undici. O ancora, Ty Cobb, un noto giocatore di baseball, diceva in una pubblicit del 1907: Nei giorni in cui ci tocca giocare una

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doppia partita bevo sempre una Coca-Cola nellintervallo, mi rinfresca a tal punto che posso iniziare la seconda partita come se fino a quel momento mi fossi riposato. Archie Lee comprese che, quanto pi il testo fosse diventato elementare e vago, tanto pi si sarebbe avvicinato a una formula capace di proiettare i suoi destinatari verso un mondo altro. Cos, mentre William Faulkner portava la forma letteraria americana verso apici di complessit e spessore mai raggiunti prima, il naf ermetico di Archie Lee faceva recitare ai propri spot: Bevete Coca-Cola, deliziosa e rinfrescante!, La sete non conosce stagioni, S, La pausa che rinfresca, mettendo la comunicazione del prodotto su quella scala evolutiva e regressiva al tempo stesso che avrebbe trovato nel 1982 un momento di vera perfezione: Coca-Cola !. La rivoluzione portata da Archie Lee, oltre gli slogan, riguarder naturalmente anche luso delle immagini. Vennero definitivamente accantonati i manifesti pubblicitari troppo aggressivi, gli scenari troppo raffinati, le donne con il seno scoperto di scuola vagamente preraffaellita

che ancora nel 1907 stringevano languide una bottiglia di Coca-Cola. Al loro posto comparvero visi puliti e rilassati, scene bucoliche, ragazze della porta accanto. Quello che veniva suggerito, quello che la Coca-Cola in definiti-

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va prometteva, non era laccesso a un mondo alieno, esclusivo, lontano, ma una copia quasi indistinguibile del mondo reale (la giornata ordinaria di tutti noi) in cui per un microscopico quanto sofisticato lavoro di edulcorazione tracciava e poi occultava una profondissima frattura ri-

spetto alla vita vera: la scomparsa dellansia, delle preoccupazioni, dello stress, la possibilit di un ordinario, eterno, radioso e immutabile presente. Non un mondo lontano, dicevamo, ma lesotismo del qui: un mondo impossibile che non fosse percepito come tale. Per ottenere questo risultato, gli uomini della Coca-Cola cercarono di rendere sempre pi scientifica la propria strategia comunicativa, giungendo a elaborare una sorta di carta costituzionale in trentacinque punti a cui tutti i pubblicitari avrebbero dovuto sottomettersi al momento di lavorare per lazienda. Tra le altre cose veniva per esempio raccomandato di:

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fare in modo che il marchio fosse sempre leggibile; non dire mai in modo esplicito, o lasciar capire, che la Coca-Cola dovesse essere bevuta da bambini molto piccoli; inserire sempre lespressione Deliziosa e rinfrescante in un marchio circolare; fare in modo che, nel momento in cui fosse mostrato un refrigeratore aperto, il lato destro, che mostra lapribottiglie, venisse tenuto aperto; non dividere mai il marchio Coca-Cola tra due righe; inserire sempre la dicitura marchio registrato sulla coda della prima C, anche qualora fosse per questo risultato illeggibile; fare in modo che, nei dipinti a olio o nelle fotografie a colori in cui fosse comparsa una ragazza, venisse preferita una bruna piuttosto che una bionda; preferire, nel caso di adolescenti o giovani donne, le bellezze semplici alle persone troppo sofisticate; non utilizzare mai la Coca-Cola in senso personale, come: la Coca-Cola vi invita a pranzo; non riferirsi mai alla Coca-Cola come a essa.

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Le pubblicit di Archie Lee comparse negli anni Trenta non mostrano alcuna traccia della difficilissima situazione economica in cui versava il paese. Mentre altri prodotti continuavano a presentarsi ai consumatori mettendo in primo piano la loro capacit di alleviare i problemi della vita quotidiana sottintendendo quindi una situazione tuttaltro che rosea oppure puntando sul tema della competitivit, la Coca-Cola cancell dai propri messaggi qualunque sfumatura aggressiva o consolatoria (via i riferimenti ai ritmi sempre pi frenetici della vita contemporanea; via le modelle di alto rango che con la loro inaccessibilit troneggiavano normalmente dai manifesti: al loro posto arrivarono bellezze acqua e sapone, colori pastello, scenari di pace domestica oppure richiami alla quiete contadina del passato proprio mentre, per contrasto, gli Stati Uniti andavano industrializzandosi sempre pi) si cerc insomma di favorire lillusione di un mondo sospeso in cui una tiepida ma infinita gioia di vivere occupasse ogni spazio disponibile. Ci che comparve nelle pubblicit di Lee fu esattamente quello che la gente desiderava vedere: una fuga dal reale senza passare per la fantascienza, un ritorno alla normalit al costo di un solo nichelino. Fu allora che nel 1931 una macchina mitopoietica decisamente pi raffinata ed efficace rispetto al cupo, rugginoso sistema propagandistico dei totalitarismi europei, attrasse e inglob nel proprio ventre magico lembrione di Santa Claus.

3. Morte e rinascita di un commesso viaggiatore

Ladozione di Babbo Natale da parte della Coca-Cola avviene quando il portadoni si ormai quasi del tutto sbarazzato delle sue origini cristiane. Approdato sulla west coast durante il XVII secolo come residuato di una tradizione religiosa maturata per oltre mille anni nel Vecchio Continente, quello che un tempo era stato san Nicola, vescovo di Mira, nei primi decenni del Novecento americano si presentava gi come un potente simbolo del mondo dei consumi. Limpresa della Coca-Cola di conseguenza non consistette come pretenderebbero i pi ciechi detrattori della multinazionale nellaver determinato un processo di scristianizzazione gi in atto da molto tempo, ma nellaverlo semmai cristallizzato, rendendolo in qualche modo definitivo. Il fatto che questincontro sia avvenuto in modo quasi accidentale non toglie che ci fossero tutte le premesse per un matrimonio felice. Babbo Natale e la Coca-Cola nel 1931 sembravano davvero fatti luno per laltra. Spesso le grandi imprese hanno bisogno di un pretesto, un imprevisto, un incidente di percorso che costringa i loro autori a tirar fuori dalle proprie azioni quello che neanche lontanamente credevano possibile. La riscrittura di Santa Claus ad opera della Coca-Cola trov questo pretesto nel dottor Harvey Washington Wiley, un personaggio il

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cui semplice nome, a partire dal 1907, evocher per gli uomini della futura multinazionale scenari da incubo. Il dottor Wiley lavorava come primo dirigente al Dipartimento di Chimica degli Stati Uniti. Il suo nome inizi a diventare noto quando, nel 1902, diede vita alla cosiddetta squadra del veleno, un gruppo di ragazzi utilizzati come cavie umane allo scopo di assumere additivi alimentari sospettati di essere nocivi per la salute. Lanno successivo Wiley pose le basi per una crociata il cui obiettivo era lapprovazione di un progetto di legge sulla genuinit dei cibi e dei prodotti farmaceutici. Tutte le proposte precedenti erano state bocciate grazie alle pressioni lobbistiche delle industrie alimentari e della Proprietary Association of America. Wiley prov allora a giocarsi la carta dellopinione pubblica: aizz i giornalisti che la pensavano come lui, scrisse ai legislatori, frequent i membri di associazioni di provato radicalismo come il Movimento delle Donne per la Temperanza Cristiana. Le polemiche sulle frodi farmaceutiche negli Stati Uniti iniziarono a invadere le colonne di giornali che, fino a qualche anno prima, mai si sarebbero sognati di attaccare le aziende farmaceutiche a causa delle grosse somme di denaro che ricevevano da queste ultime per lacquisto di spazi pubblicitari. La democrazia nel mondo dei mass media un gioco dalle molte facce: contiene in s gli strumenti del ricatto che ne invaliderebbero i principi ma anche le vie di fuga capaci di rilanciarli in modo inaspettato. Nei primi anni del xx secolo, molto semplicemente, successe che produttori di macchine da cucire, utensili per il giardinaggio e altri beni di largo consumo scoprirono in ritardo rispetto alle imprese farmaceutiche i vantaggi della pubblicit: il potenziale di ricatto nei confronti di molti giornali si abbass sensibilmente e la crociata del dottor Wiley guadagn nuovi, insperati spazi di manovra.

3. MORTE E RINASCITA DI UN COMMESSO VIAGGIATORE

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Tra gli alimenti considerati nocivi, o comunque sospettati di frodare i consumatori, cera la Coca-Cola. Pur non contenendo tracce di cocaina ormai da molti anni, la possibilit che lo stupefacente permanesse in qualche modo nella formula della bibita era diventata una sorta di leggenda metropolitana. In pi la Coca-Cola conteneva caffeina, sostanza che in effetti il progetto di legge del dottor Wiley non classificava tra quelle velenose e tuttavia, il fatto

che la Coca-Cola fosse spacciata per un prodotto completamente genuino, destinato tra gli altri anche ai bambini, la rendeva perlomeno colpevole di pubblicit ingannevole agli occhi del movimento di opinione capeggiato da Wiley. Il Pure Food and Drugs Act (Legge sulla genuinit dei cibi e dei farmaci) venne approvato nel giugno del 1906. Asa Chandler, allora presidente della Coca-Cola, detestava ferocemente il dottor Wiley: lo riteneva un maniaco, un fanatico del salutismo, una sorta di anticristo. Sulle prime, ad ogni modo, rifiut la tattica del muro contro muro e so-

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stenne pubblicamente lapprovazione del Pure Food and Drugs Act. Se la Coca-Cola si fosse mostrata favorevole allentrata in vigore della legge, questo il suo ragionamento, avrebbe dimostrato allopinione pubblica di non avere niente da nascondere. Cos, alla fine dellanno, una pubblicit poteva recitare: La Coca-Cola aiuta la digestione ed genuinamente buona per il palato, d sapore al lavoro e una gioia pi intensa nel tempo libero. Garantita dal Pure Food and Drugs Act. Non serv a niente. Nel 1907 il dottor Wiley torn alla carica: il bersaglio dei suoi strali si restrinse sempre pi alle bibite stimolanti fino al giorno in cui la Coca-Cola non venne trascinata in tribunale. La guerra tra Coca-Cola e governo degli Stati Uniti, sfociata nel celebre processo del 1911, interessante, tra le altre cose, per ci che riguarda le parti in causa: Asa Chandler contro Harvey Wiley. In ordine di tempo Chandler si pu considerare il secondo padrone della Coca-Cola, dopo il pioniere John Stith Pemberton e prima del cosmopolita Robert Woodruff. Ottavo di undici fratelli, figlio di un cercatore doro, Chandler fu per lazienda di Atlanta luomo della transizione: in mano sua la Coca-Cola pass dalla diffusione locale a quella nazionale ma soprattutto cess di essere percepita come una medicina, destinandosi a diventare per tutti una semplice bibita. E tuttavia, quanto pi accantonava limmagine di pozione miracolosa che la preistoria del suo successo planetario le aveva cucito addosso, tanto pi la Coca-Cola cominci a caricarsi di una valenza metafisica. Chandler in particolare, un metodista piuttosto tormentato, saldando come tanti uomini del tempo letica protestante allo spirito del capitalismo arriv a considerarsi lapostolo di qualche cosa che trascendeva la dimensio-

3. MORTE E RINASCITA DI UN COMMESSO VIAGGIATORE

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ne terrena. La Coca-Cola divent per lui un perfetto correlativo oggettivo di Dio e cos, mentre convinceva i propri uomini che tutti insieme stavano lavorando per il pi grande prodotto e la pi grande societ mai comparsi sulla faccia della Terra, il messaggio che passava, e che venne perfettamente condiviso da molti dei suoi collaboratori, fu quello di interpretare il cammino della Coca-Cola in chiave escatologica. Harvey Wiley, il suo avversario, non era da meno. Bench si professasse agnostico e, a differenza di Chandler, at-

tribuisse un valore minimo ai piaceri della vita, si trasformava in un predicatore ogni volta che bisognava difendere pubblicamente la crociata del cibo genuino: i suoi abiti neri, la dimensione apocalittica dei suoi sermoni, i continui riferimenti alla purezza e labitudine di demonizzare gli avversari in nome del bene comune e quindi anche del corretto gioco della macchina democratica gli fecero guadagnare il soprannome di padre Wiley.

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Chandler e Wiley erano dunque due invasati? Divisi dalla minuscola questione di un processo, furono entrambi posseduti dal grande alibi che il capitalismo nordamericano scelse tra XIX e XX secolo per darsi quella spinta in avanti che altrimenti non sarebbe stata cos potente: la circostanza che la volont di profitto fosse direttamente collegata al bene comune e, quindi, alla salvezza dellanima. Ogni sistema sociale, per quante regole di buon funzionamento possa darsi, non potr mai sopravvivere senza che il tasso emotivo dei propri membri raggiunga un certo grado di intensit. singolare come spesso questo grado di intensit venga ottenuto per mezzo di un mascheramento (il bene comune come primo motore del capitalismo, secondo Chandler e Wiley), tanto da far sorgere il sospetto che il mondo sia mosso non tanto dallamore per la maschera (la salvezza dellanima, ad esempio) ma dalla frattura tra dichiarazioni dintenti (sempre la salvezza dellanima) e realt sottostante (la volont di profitto). Fare una cosa convincendosi di starne facendo unaltra e percependo tuttavia, in qualche zona oscura della propria persona, il gelido dolore di questo smottamento uno dei segreti del successo. Allo stesso modo, oggi, una delle spinte emotive che ci fa correre verso la globalizzazione probabilmente la frattura esistente tra il fine che crediamo di perseguire (non pi il bene comune questa volta ma la volont di profitto, quindi la realizzazione individuale) e quello sottostante (lincremento di potenza del sistema tout court, eventualmente a scapito degli individui). Su questo ci si soffermer pi tardi. Per adesso torniamo allo scontro tra Chandler e Wiley, torniamo al processo, torniamo allincidente di percorso che porter a Babbo Natale. Gli Stati Uniti dAmerica contro 40 barili di Coca-Cola. Per quanto ridicolo, questo fu il nome con cui venne chiamato ufficialmente il procedimento giudiziario che per

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lazienda di Atlanta rappresent una delle prove pi difficili attraverso cui passare nei primi decenni del xx secolo. La denominazione si deve al sequestro di alcuni barili di Coca-Cola che nel 1907 Wiley riusc a far disporre superando un veto governativo in particolare quello del ministero dellAgricoltura che negli anni precedenti aveva sempre frustrato simili iniziative. Il sequestro mand Asa Chandler su tutte le furie e arriv al culmine di una campagna denigratoria per la quale Wiley era riuscito a sobillare il meglio del fervore paranoide nazionale: il giornalista Samuel Hopkins Adams, per esempio (ritengo che la Coca-Cola provochi assuefazione. Ho sentito parlare di casi in cui il soggetto non pu fare a meno di prendere i suoi 15-20 bicchieri giornalieri di stimolante), la famigerata Martha M. Allen, capo del Movimento delle Donne per la Temperanza Cristiana (So per certo di un giovanotto che diventato una vera e propria nullit, a scuola e in ogni altro campo, a causa della sua abitudine alla Coca-Cola), il metodista evangelico George Stuart (si saputo che leccessivo uso di Coca-Cola ha portato in una scuola femminile a deprecabili festini notturni con successivo abbandono allamoralit. In pi la Coca-Cola tiene svegli i ragazzi esponendoli inevitabilmente alle tentazioni della masturbazione), a cui si accompagnava una nutrita schiera di opinionisti infervorati, cronisti dalla penna facile o semplici approfittatori pronti a giurare che la Coca-Cola conteneva cocaina (non ce nera pi traccia a partire dal 1903), oppure pericolose quantit di alcol, di caffeina, di oppio, di imprecisate e terribili sostanze velenose. Si sparse persino la voce che nei barili dello sciroppo necessario alla preparazione della bibita fossero stati trovati insetti, paglia, topi morti, rifiuti organici. Alla pari dei divi del rock, prima di trovare posto nellOlimpo dellimmaginazione popolare la Coca-Cola do-

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vette passare per lanticamera della demonizzazione pi sfrenata. A differenza di Elvis e di Jim Morrison, la CocaCola riusc per a sfuggire alla regola del rise and fall per il semplice fatto di non essere soggetta al limite dei normali processi biologici (invecchiamento, morte, intossicazione da eroina e nemmeno da cocaina, dal momento che il soft drink, come abbiamo gi detto, a differenza della pozione miracolosa di qualche decennio prima, ne era ormai completamente privo). Il processo contro la Coca-Cola fu celebrato a Chattanooga (questo il luogo del sequestro dei quaranta barili) e fu un buon prototipo di quegli show sotto le coltri di procedimento giudiziario che appassioneranno gli States negli anni a venire da O.J. Simpson a Michael Jackson. Innanzitutto laccusa: si contestava alla bibita di essere adulterata con sostanze pericolose (nello specifico la caffeina, da qui lonere di provare che la quantit di alcaloide contenuta nella Coca-Cola fosse dannosa per lessere umano) e di avere una denominazione ingannevole: nella sua composizione non cera pi traccia di cocaina mentre la percentuale di noce di cola sfiorava linfinitesimale. Questultima imputazione fu un magnifico esercizio di comicit involontaria in carta bollata; se la Coca-Cola avesse davvero contenuto cocaina, avrebbe trasformato la sua azienda nel pi grande spacciatore di droga del pianeta. Per gli abitanti di Chattanooga il processo fu uno spasso ancor prima di iniziare. Un gruppo di agenti governativi che sembravano partoriti da un B-movie cominci ad aggirarsi nella cittadina mesi prima che le aule del tribunale si spalancassero. Il loro compito era spiare i giurati per sincerarsi della loro imparzialit e per verificare che non corressero rischi di corruzione. A questo punto anche la Coca-

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Cola, timorosa che gli agenti governativi potessero esercitare pressioni sui giurati, mand a Chattanooga dei men in black a cui venne affidato il controspionaggio e qui sfondiamo le barriere del B-movie per entrare in unapoteosi kitsch che ha pochi corrispettivi nel mondo della fiction. Non finita. Harvey Wiley, il grande accusatore, sessantaseienne e da sempre scapolo, spos una bibliotecaria di nemmeno trentacinque anni e decise di portarla in luna di miele al processo della Coca-Cola: a Chattanooga, dove comunque per ragioni di indotto si respirava unatmosfera generalmente favorevole alla Coca-Cola, i due furono ricevuti con tutti gli onori. Asa Chandler invece se ne rimase rabbiosamente a casa, ad Atlanta. Si temeva che il suo temperamento irascibile e i suoi discorsi da millenarista potessero produrre disastri in aula di tribunale, per cui gli fu consigliato di dirigere la difesa da lontano. Arrivarono invece testimoni, chimici, periti tecnici, residuati del Ku Klux Klan pronti a giurare che dipendenti negri della Coca-Cola riempivano di sputi le botti di sciroppo durante le ore di lavoro, e poi avvocati, uomini di chiesa, giornalisti da ogni angolo dAmerica finch non si fu pronti a cominciare. Il processo fu una sfilata ininterrotta di deposizioni in stato di sovreccitazione, la maggior parte delle quali parziali, pronte a dipingere la Coca-Cola come un perfetto distillato del demonio o al contrario come presenza immacolata in un mondo di avvoltoi e di invidiosi. Harvey Wiley non sal mai sul banco dei testimoni mentre Asa Chandler si limit a inviare da Atlanta lettere di insulti a gentile disposizione degli accusatori. I giornali seguirono il dibattimento come se si fosse trattato di una lunghissima finale di superbowl; furono talmente contagiati dal clima esagitato che si respirava a Chattanooga che a un certo punto lAtlanta Georgian pot titolare: Otto Coca-Cola contengono abbastanza caf-

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feina da uccidere. Si cerc di dimostrare che la bibita era dannosa almeno per gli animali. Ci fu chi propose di iniettare Coca-Cola nelle rane. Chimici e farmacologi presentarono dettagliatissime quanto pedanti deposizioni tecniche che mandarono in confusione i membri della giuria popolare, definiti da uno degli agenti governativi come persone di ceto sociale molto basso, e quindi, completamente incompetenti e inadatti a decidere su un caso di questa portata. Si discusse, si controdiscusse, si litig, si pubblicarono fiumi di inchiostro inservibile e alla fine il povero giudice Edward Terry Sanford chiuse lo show: dopo aver espresso la sua opinione ordin praticamente alla giuria di riunirsi e di tornare in aula con un verdetto favorevole alla Coca-Cola. Cos fu. Asa Chandler aveva vinto. La Coca-Cola non rischi pi di essere ritirata dal commercio n fu costretta a rivedere la sua formula. Lunico cambiamento sensibile portato dal processo del 1911 riguarder la strategia pubblicitaria dellazienda. Gli avvocati difensori della Coca-Cola non avevano contestato in dibattimento gli effetti negativi della caffeina sui giovanissimi avevano per cercato di aggirare lostacolo dichiarando che i pi piccoli non erano consumatori abituali della bibita, il che contrastava nettamente con le pubblicit del periodo che ritraevano bambini intenti a bere Coca-Cola insieme ai genitori. Cos, dopo il 1911, una legge non scritta ma destinata a decadere dopo ben settantanni proib lutilizzo di materiale pubblicitario in cui ci fossero bambini di et inferiore a dodici anni nellatto di bere Coca-Cola. Se insomma i danni erano stati limitati al massimo, la Coca-Cola rischiava ora di perdere una fetta fondamentale di consumatori, soprattutto se si considera il ruolo sempre pi decisivo che la pubblicit sar destinata a giocare

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perch la bibita conquisti prima lintero paese ed esca poi anche dai confini nazionali. Per trovare una risposta a questa impasse si dovranno aspettare ventanni, un cambio della guardia al vertice della Coca-Cola (Robert Woodruff al posto di Asa Chandler), larrivo di Archie Lee e la rivoluzione nella comunicazione aziendale di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. Il periodo che va dagli anni Dieci ai Trenta si pu insomma considerare una sorta di incubatrice da cui lembrione di una bibita molto promettente uscir trasformato in un oggetto di consumo capace di scatenare una forza mitopoietica mai vista prima. Solo quando una simile macchina da guerra fu capace di funzionare a pieno regime, pot partire la battaglia per la conquista degli under 12.

Siamo di nuovo nel 1931: da pochi anni la Coca-Cola disponibile in tutti i grandi magazzini del paese. La bibita, che fino a qualche tempo prima veniva soprattutto servita nei bar, poteva adesso essere acquistata in confezioni da sei bottiglie da conservarsi eventualmente nei frigoriferi domestici. Si tratt, a suo modo, di un cambiamento epocale. Questo si-

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gnificava infatti che, per i fatturati della company, cominci ad essere decisivo lesercito di donne che ogni giorno si recava a fare la spesa. Di conseguenza, cresceva limportanza dei persuasori neanche troppo occulti che orientavano le massaie in gran parte dei loro acquisti: i loro figli. interessante come, da una parte allaltra delloceano e sulla base di esigenze diverse, in Europa e negli Stati Uniti il mondo dellinfanzia si trasformi in un target, un obiettivo ben preciso quasi in contemporanea, proprio a partire dai primi decenni del XX secolo. Da semplice categoria biologica e sociologica linfanzia inizia infatti a diventare una costruzione simbolica e retorica del tutto artificiale, legata alle politiche di massa che tanto hanno ca-

ratterizzato il Novecento. NellEuropa dei nascenti Stati totalitari, si tenta con successo un processo di vera e propria nazionalizzazione dellinfanzia. Il bambino, prototipo del popolo interpretato a sua volta come un minore da educare , viene messo al centro di un processo di seduzione, di conquista, che dalla culla lo porter a indossare una divisa, a imbracciare le armi, persino eventual-

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mente a morire, saldando perfettamente in questo modo il proprio destino a quello della Nazione basti pensare alla Giovent Italiana del Littorio, alla Hitlerjugend, alla meno nota giovent comunista, la Kosomsol, fondata nel 1918. Negli Stati Uniti, la concettualizzazione dellinfanzia tra le due guerre viene invece portata avanti soprattutto dal sistema delle grandi imprese, e non in vista della preparazione alla guerra ma secondo un altro diktat, che dilagher a partire dagli anni Cinquanta in tutti i paesi del mondo libero: leducazione al consumo. Per ci che riguarda la Coca-Cola, bisognava fare in modo che il gioioso e impalpabile messaggio della bibita

arrivasse ai bambini senza travolgere la legge che impediva di utilizzarli a fini pubblicitari. Il primo attacco fu sferrato con le armi della sponsorizzazione dei programmi scolastici, molto tempo prima che questo strumento promozionale venisse stigmatizzato da Naomi Klein nel suo No Logo. Se sui pericoli delle sofisticazioni alimentari la guardia dellopinione pubblica era gi alta, quasi nessuno allepoca

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aveva gli strumenti per percepire la portata di questi sistemi alternativi di penetrazione sociale, e quindi per difendersene. In molte scuole pubbliche degli Stati Uniti, gli studenti si ritrovarono cos a giocare a basket con i canestri della Coca-Cola, a usare carte assorbenti della Coca-Cola, a consultare termometri della Coca-Cola in caso di febbre, a scrivere i loro appunti su blocchetti offerti dalla CocaCola, a visitare gli stabilimenti dellazienda ricevendo alluscita penne, temperini, album da disegno, giocattoli e altri gadget contrassegnati dal celebre marchio.

Il compito di lanciare una campagna pubblicitaria in grado di rivolgersi ai bambini senza mai metterli al centro della scena fu invece affidato dallagenzia di Archie Lee a Haddon Sundblom, un bizzarro disegnatore di origine svedese che amava lalcol e si faceva perdonare i suoi ritardi clamorosi grazie alla forza e allinconfondibilit del segno grafico. Lespediente utilizzato fu quello di arruolare un messaggero, un tramite, un intermediario tra infanzia e mondo degli adulti che fosse in grado di catalizzare, con la sua semplice presenza, limmaginazione e i desideri dei bambini. La scelta cadde appunto su Santa Claus.

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Il successo della campagna pubblicitaria and oltre le pi rosee previsioni. Haddon Sundblom continu a disegnare Babbi Natale per la Coca-Cola fino al 1964. Nessuno, tanto meno il suo autore, poteva immaginare quale impatto avrebbe avuto questa rivisitazione di Santa Claus sui consumatori, quindi sui cittadini di tutti gli Stati Uniti che subito gli ricavarono un posto tra i simboli dellidentit nazionale. Sundblom ebbe come primo parametro il Santa Claus disegnato da Thomas Nast per Harpers Weekly nel 1862: un portadoni con pancione e barba bianca che cominciava

a distanziarsi dalle versioni troppo esotiche con cui era stato rappresentato fino a quel momento. Il colpo di genio di Sundblom consistette nel portare alle estreme conseguenze loperazione grafica di Nast, facendo convivere laura di soprannaturalit che circondava Babbo Natale con lestetica delluomo comune. Basta elfi, creature dei boschi, personaggi provenienti da immaginari e culture lontane: il nuovo Babbo Natale avrebbe dovuto essere partorito dal cuore magico dellAmerica del XX secolo. Sundblom utilizz infatti come modello luomo della porta accanto, vale a dire il suo vicino di casa Lou Patience, un commesso viaggia-

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tore che lAmerican way of life aveva fornito di una corporatura robusta, un volto allegro e rassicurante entro i limiti del sospetto, una fiducia nel presente e unecolalica vitalit che debordava da tutti i pori della sua persona. A Lou Patience Sundblom allung la barba e arrovent le guance, aument di qualche misura il girovita, sostitu gli abiti borghesi con la celebre casacca rossa e bianca, e cos i cartelloni pubblicitari si riempirono di figure al limite delliperrealismo: fragorosamente comuni eppure in qualche modo provenienti da un altro pianeta. Quello che Sundblom dovette capire, del tutto istintivamente, fu che per fare sognare la gente nel modo pi sereno e rassicurante possibile bisognava pescare in una fondamentale intersezione tra realt e mondo immaginario, vale a dire nellideale, perennemente in fieri, che una cultura ha di se stessa. Di conseguenza, il suo Babbo Natale non proviene direttamente dalla realt americana ma ancora una volta dal suo doppio onirico, il continente parallelo in cui questultima si rappresentava per affrontare con successo le grandi sfide del tempo. Si pu dire, quasi con una pretesa di letteralit, che il Babbo Natale testimonial della Coca-Cola un prodotto del sogno americano ancor prima che Sundblom ne abbozzi i primi tratti. A questo punto, il filo che legava Santa Claus alle sue origini poteva considerarsi quasi del tutto reciso.

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Quando Haddon Sundblom si prepara a ritoccare i connotati a Santa Claus, non sa probabilmente di lavorare sul frutto di un sincretismo culturale e religioso che si trascina da un paese allaltro, da un continente allaltro, da poco pi di milleseicento anni. Quello che Sundblom ha per le mani un mito reso estremamente malleabile dal logorio del tempo, una presenza che si manifesta per la prima volta nellAnatolia occidentale quando lImpero Romano ha gi incubato tutti i presupposti per un crollo fragoroso, una figura destinata a dilatarsi per lEuropa nei secoli successivi, ad appannarsi dopo le celebri 95 tesi affisse sulla porta della cattedrale di Wittenberg da Martin Lutero, a cambiare pelle e nome, a traversare lAtlantico per approdare al Nuovo Continente in uno stato nuovamente germinale, pronto a venire raccolto da chi come Thomas Nast e poi, appunto, Haddon Sundblom sarebbe stato in grado di infondergli nuova vita rimettendolo in contatto con lo spirito del tempo. Come documentato anche sul sito Internet della CocaCola, sul versante opposto ai pennelli di Sundblom troviamo Nicola, uno dei santi pi atipici del pantheon cristiano, una figura scaturita dai primi concili ecumenici e destinata appunto a sdoppiarsi, ad assumere diverse identit lun-

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go la curvatura della Storia per arrivare, radicalmente mutata, nel cuore dellOccidente postmoderno: il regno della teologia audiovisiva. Della vita del vescovo Nicola si sa molto, la letteratura che lo riguarda in effetti molto vasta, ma lattendibilit delle fonti che dovrebbero attestare le sue imprese tanto discutibile che qualche studioso ha sollevato dubbi circa la sua effettiva esistenza biologica nella storia delle religioni non del resto cos raro che la leggenda scaturisca dal culto e non viceversa. Il problema nasce dal fatto che le prime Vite di Nicola cominciano a diffondersi intorno al IX secolo, a distanza di ben cinquecento anni dallepoca in cui il santo sarebbe presumibilmente comparso nellEuropa orientale. Prendendo ad ogni modo come riferimento le Vite scritte in greco nei primi decenni del IX secolo da Michele Archimandrita e da Metodio, probabile patriarca di Costantinopoli tra l843 e l847, si scopre che Nicola nacque a Patara, in Licia, intorno al 270 dopo Cristo, che in et relativamente giovane si trasfer a Mira dove venne ordinato vescovo, che in questa veste partecip al concilio di Nicea del 325 e che, tornato a Mira, mor intorno al 345. Limprecisione della sua data di morte dovuta al fatto che la si calcola di solito in maniera indiretta, sottraendo il numero degli anni durante i quali il suo sepolcro rimase nella citt di Mira numero su cui pure c qualche incertezza dal 1087, lanno in cui le reliquie del santo vennero trafugate e poi traslate a Bari. Ma anche la nascita di Nicola ha messo a dura prova gli studiosi ed molto probabile che il 6 dicembre, giorno originario della sua festa (a Bari i festeggiamenti partono invece il 7 maggio e si protraggono per i due giorni successivi, trovando appunto una nuova centralit nel 9 maggio del 1087, data in cui le ossa di Nicola giunsero nel capoluogo pugliese), sia sostenuto pi da questioni di opportunit culturale che dalleffettiva venuta al mondo del santo.

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Il 6 dicembre segnava nellantichit linizio simbolico dellinverno. La navigazione veniva sospesa per ventiquattrore e i marinai chiedevano la benedizione delle divinit dei mari: era insomma il giorno di Poseidone nel calendario pagano. Se si pensa che Mira era la sede di un porto molto importante e che nei primi secoli della sua espansione il cristianesimo inglob riti e narrazioni delluniverso pagano facendo in modo che il passaggio di consegne avvenisse nel modo meno traumatico possibile, si capisce come la data del 6 dicembre servisse pi che altro a restaurare un patronato che fino a poco prima era toccato al Dio dei mari. Pensare tuttavia che Nicola sia la versione cristiana di Poseidone o che la sua protezione fosse invocata esclusivamente dai marinai vorrebbe dire mettere in luce solo una faccia di un prisma molto pi complesso. Come si diceva, siamo di fronte a un santo molto particolare, le cui caratteristiche si possono iniziare a ricavare esaminando le sue imprese pi importanti.

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Nicola viene di solito raffigurato in abiti vescovili, bastone pastorale lungo il braccio sinistro e in mano (sempre la sinistra) le famose palle doro. Le palle rappresenterebbero in realt i tre sacchetti di monete che rimandano a una delle prime gesta celebri del santo, lepisodio delle Tre fanciulle in cui Nicola al centro di una dinamica elargitiva piuttosto singolare. Lepisodio si svolge presumibilmente a Patara, di conseguenza riguarda un Nicola di et relativamente giovane (alcuni narratori lo attribuiscono addirittura alla sua fanciullezza) e comunque certamente non ancora vescovo. Pure con qualche piccola variante a seconda delle fonti interpellate, lepisodio racconta di un uomo (di cui non viene mai fatto il nome) che, travolto da un rovescio di fortuna, decise di far prostituire le sue tre figlie per fronteggiare le difficolt economiche di tutta la famiglia. Gli era impossibile del resto maritarle: la sua estrema povert faceva s che queste non potessero ricevere una dote sufficiente. Prima che il piano scellerato venisse messo in atto, Nicola, venuto a conoscenza in qualche modo di ci che stava per succedere (anche qui, le fonti non chiariscono del tutto come faccia il futuro santo a conoscere le intenzioni del padre di famiglia: semplice raccolta di una diceria di paese o ispirazione divina?), decise di intervenire: riemp un sacchetto di monete doro, si rec di notte alla casa delluomo, gett il sacchetto dalla finestra e subito si affrett a far ritorno a casa preoccupato di essere visto, in linea col precetto evangelico in base al quale le azioni generose devono restare anonime. Al risveglio il poveruomo, fuori di s dalla gioia, benedisse Dio e lignoto benefattore e gir alla figlia pi grande il dono misterioso perch almeno lei potesse sposarsi. In seguito, tuttavia, giunse a Nicola la notizia che luomo era sul punto di far prostituire la seconda figlia e cos, sempre nascosto dalla notte, gli fece dono di un altro sacchetto di

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monete. In alcune versioni dellepisodio si vuole che Nicola questa volta avesse lanciato loro dallimboccatura del camino, temendo che il padre di famiglia potesse attenderlo davanti alla finestra. Quando tuttavia la dinamica si ripet per la terza volta e a vantaggio naturalmente della terza figlia , il padre della ragazza, la cui curiosit circa il volto del suo salvatore ormai quasi superava la gioia per lo scampato pericolo, al costo di molte notti di veglia riusc a sorprendere Nicola nellatto di depositargli in casa lennesimo sac-

chetto di monete. Vistosi scoperto, il futuro santo gli fece promettere di non raccontare mai a nessuno ci che era accaduto. Promessa che con ogni probabilit non venne mantenuta, se questa storia arrivata fino a noi. Lepisodio delle Tre fanciulle un buon punto di partenza per comprendere la natura di san Nicola. Il fatto che

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inizi la sua carriera a Patara come portadoni la dice lunga sul suo futuro di portadoni universale il lancio delle monete doro dal camino pu essere interpretato tra laltro come limmagine embrionale di Babbo Natale impegnato a calarsi gi dalla canna fumaria (anche se in questo caso non si cerca di preservare lidentit dellelargitore ma il suo incontro diretto con i suoi beneficiati, i bambini). In secondo luogo importante vedere Nicola come protettore delle vergini (anche Dante ricorda questo aspetto particolare dellattivit di san Nicola quando scrive, nel XX canto del Purgatorio, ai versi 31-33: Esso parlava ancor della larghezza / che fece Niccol alle pulcelle, / per condurre ad onor lor giovinezza). Questo testimonierebbe il suo carattere di iniziatore, il fatto insomma che si adoperi per favorire il realizzarsi di un passaggio di status: da vergine a donna sposata e futura madre. Si aggiunga che tale passaggio avviene non in base a un miracolo classico niente eventi soprannaturali, dunque ma attraverso la semplice elargizione di beni materiali. Se ne ricava un personaggio molto distante dalla tradizione dei santi contemplativi. La sua antitesi potrebbe essere incarnata dalla potenza visionaria di Teresa dAvila, o da Giovanni della Croce, il grande santo spagnolo insieme a Teresa, il pi importante riformatore dellordine carmelitano che consacr gran parte della vita al silenzio e alla contemplazione passando per terribili sofferenze ed esaltanti esperienze mistiche. Nicola al contrario se si eccettua una leggenda in base alla quale, da neonato, si sarebbe rifiutato di bere il latte materno durante i giorni consacrati al digiuno fu soprattutto un santo dazione. I suoi interventi, sempre improntati ai principi di compassione e generosit, hanno come esito finale il ripristino dellordine sociale laddove questo rischia di venire sovvertito.

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Ancor pi che nelle Tre fanciulle, la funzione di Nicola come equilibratore sociale e riparatore di torti si ravvisa nel cosiddetto episodio dello Stratilates. Siamo ai tempi dellimperatore Costantino, probabilmente dopo il concilio di Nicea. Nicola vescovo di Mira quando, sempre nella penisola anatolica, precisamente in Frigia, scoppia una rivolta per sedare la quale limperatore invia nella regione un piccolo esercito. I soldati abbandonano Costantinopoli per dirigersi via nave verso la prefettura della Licia. A causa di unimprovvisa bonaccia sono per costretti a sbarcare ad Andriake, porto della citt di Mira. Tre di loro, col pretesto di occuparsi dellapprovvigionamento di viveri, si allontanano dal resto dellequipaggio per andare a divertirsi. Scambiati per predoni, vengono arrestati ingiustamente per saccheggio e condannati a morte. A questo punto interviene Nicola con una dinamica che un po di blasfemia potrebbe farci ricordare quella dei supereroi Marvel o perlomeno gli action movies. Il vescovo si manifesta tempestivamente sul luogo dellesecuzione, con i soldati inginocchiati, le mani legate dietro la schiena, i volti coperti da panni di lino. Il boia pronto a colpire. Nicola strappa allora la spada dalle mani del boia, la getta in terra, scioglie gli uomini dalle catene e li conduce dal governatore Eustazio, luomo che ne aveva ordinato lesecuzione. Non appena lo vede, il governatore gli corre incontro agitatissimo ma Nicola lo arresta con queste parole: Sacrilego spargitore di sangue, come osi venirmi incontro! Non ti risparmier n ti perdoner, ma informer limperatore Costantino delle gravissime colpe di cui ti sei macchiato e del modo con cui amministri la prefettura che ti stata affidata. Il governatore Eustazio, in preda alla contrizione, crolla in ginocchio e prova a discolparsi: Non adirarti con me, non sono io il colpevole bens Eudossio e Simonide, due uomini ricchi e potenti. E il vescovo:

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Non di Eudossio, non di Simonide la colpa, ma delloro e dellargento. Nicola aveva infatti saputo che il governatore riceveva due libbre dargento ogni volta che un cittadino riconosciuto reo di qualche colpa veniva giustiziato. Nella seconda parte di questa storia da alcuni studiosi considerata unaggiunta si narra come il comandante supremo dellesercito, invidioso per limprovvisa popola-

rit dei tre soldati salvati da Nicola, avesse tentato di farli giustiziare montando false accuse a loro carico e denunciandoli direttamente a Costantino. I tre vengono messi agli arresti ancora una volta, in questo caso con tutta probabilit a Costantinopoli. Uno di loro, Nepoziano, invoca Nicola poco prima di venire giustiziato. Il vescovo di Mira allora, con una puntualit che ormai comincia a diventare un segno di riconoscimento, appare la notte prima dellesecuzione a Costantino in persona. Gli parla in questo modo: Imperatore, alzati e libera i tre uomini che ingiustamente hai fatto imprigionare. Se non mi

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obbedisci, scatener una rivolta terribile ai tuoi danni e testimonier contro di te davanti a Cristo, signore del cielo. Nella stessa notte Nicola appare anche al prefetto Ablabio,

ordinandogli di liberare i tre soldati e promettendogli, in caso contrario, unatroce punizione divina. In questo modo Costantino che proprio una visione aveva convertito al cristianesimo, il celebre in hoc signo vinces apparsogli in sogno prima della battaglia di Ponte Milvio , confrontata lapparizione di Nicola con lanaloga storia riferitagli dal prefetto, decide di far liberare i tre soldati: Non sono io che vi concedo la vita, ma colui che avete invocato, san Nicola, e al quale siete tanto devoti. Rendete grazie a lui. Lepisodio si conclude con i tre soldati che, tornati a Mira, distribuiscono doni ai poveri: abiti, argento, addirittura oro.

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Per quanto se ne sa, Nicola il primo santo del cristianesimo a sperimentare i poteri dellubiquit, testimoniati proprio dallepisodio dello Stratilates. Secoli dopo, la facolt di essere in pi luoghi nello stesso momento si trover elevata allennesima potenza nella moderna incarnazione di Santa Claus che, durante la notte di Natale, riesce a occuparsi di tutti i bimbi del pianeta al pari di un vero e proprio dio, oppure, si potrebbe provare ad azzardare, al pari di una merce che realizzi in pieno uno dei propri sogni meno confessabili: essere a disposizione di chiunque, nello stesso momento. Se tuttavia certi poteri di Nicola si troveranno accresciuti nel corso della sua secolare evoluzione, alcune punte del suo temperamento risulteranno invece smussate man mano che ci si avvicina alle epoche moderne. In particolare, lapparato sanzionatorio a risultarne ridimensionato. San Nicola, come si visto, pur di ripristinare lordine violato non esita ad annunciare sciagure, punizioni divine, vere e proprie purghe ai danni di chi sia uscito dal solco della giustizia. Il doppio primonovecentesco di Santa Claus, al contrario, per svolgere il proprio compito di equilibratore tra infanzia e mondo degli adulti, arriver al massimo a minacciare per linterposizione dei genitori la mancata consegna dei doni a quei bambini che nel corso dellanno non si sono comportati bene sanzione anchessa destinata a sbriciolarsi man mano che ci avviciniamo alla fine del XX secolo: un Santa Claus che rifiuti di consegnare doni a un bambino di una metropoli occidentale, di qualunque colpa si possa essere macchiato, oggi infatti non pi quasi concepibile. Lappannamento e poi la totale estinzione della funzione punitiva non significa naturalmente che Santa Claus sia destinato a perdere forza rispetto a san Nicola. Al contrario, il fatto di non aver bisogno di mostrare i muscoli testimonier una saldatura quasi perfetta tra Babbo Natale e il sistema di potere culturale che, anche in ragione della

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sua apparente benevolenza, andr a rappresentare. Pi Santa Claus si mostrer disarmato, insomma, pi questo vorr dire che lideologia che lo sostiene non trover ostacoli o avversari lungo il proprio cammino. Per tornare a san Nicola, molti studiosi sostengono che lepisodio dello Stratilates ebbe una grande diffusione nellAlto Medioevo in quanto funzionale alle esigenze sorte in seno agli ambienti ecclesiastici di combattere, perlomeno sul terreno mitico-letterario, gli eccessi del cesaropapismo. Sta di fatto che Nicola, pur non sovvertendo completamente il precetto di dare a Cesare quel che di Cesare, esercita senza problemi una forte ingerenza negli affari di Stato. Si pone insomma, dallalto del suo rango vescovile, come un contraltare del potere costituito arrivando a minacciare persino limperatore: la compassione e la generosit il fatto che si rattristasse ogniqualvolta venisse a conoscenza di un episodio di crudelt, o di mancata giustizia diventano spesso il passepartout per fare in modo che il vescovo-santo si riveli in tutta la sua statura autoritaria e, naturalmente, per fargli mettere le cose a posto. Questo pragmatismo lontanissimo come dicevamo dalle forme ascetiche che pure il cristianesimo seppe sviluppare, e comunque pi marcato e con maggiori sfumature di secolarit rispetto a quello presente in altri santi dazione pu considerarsi una delle ragioni perch proprio da Nicola, nellAmerica tra XIX e XX secolo, si svilupp lembrione che avrebbe portato a Santa Claus. Ancora pi interessante sar per vedere come, nel corso di questa metamorfosi, il personaggio che diverr Babbo Natale subir unopera di progressiva spiritualizzazione man mano che, dalla prodigiosa fucina di miti del cristianesimo, si sposter nel continente altrettanto prodigioso, quanto a potenza allegorica della cosiddetta cultura laica. Se san

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Nicola agisce infatti in modo circostanziato (apocrife o meno, le sue imprese si stringono intorno a vicende ben precise), Babbo Natale si muove nel mondo degli uomini secondo una dinamica sfumata e nello stesso tempo universale, circolare, tutta improntata alla ricorsivit: interviene ogni anno a beneficio di ogni bambino che popoli il pianeta. Di conseguenza, pi che un santo o un supereroe e nonostante la sovresposizione della sua immagine a opera dei mass media, anzi, forse anche in ragione di questipnotico ricalco si tratta di uno spirito, talmente ben vaporizzato nellatmosfera delle terre occidentali da confondere il proprio moto con quello che ogni mattina scandisce nelle aziende la timbratura dei cartellini, regola lalzarsi e labbassarsi delle saracinesche nei negozi, trasforma il rosso in verde sugli alberi di Natale dei semafori, costruisce i palinsesti delle radio e delle televisioni, ritarda o anticipa gli orari dei treni e degli aerei nel gioco a somma nulla dei trasporti. Insomma: puro e semplice Zeitgeist.

5. Lanima e il corpo della bibita

Difficile sostenerlo per una bibita frizzante, ma anche la Coca-Cola, in centocinquantanni di storia, subir agli occhi dei fedelissimi e dei semplici consumatori un processo di spiritualizzazione, di alleggerimento, un incremento della forza suggestiva sempre pi legata alla sua anima di soft drink, alla sua aura, e sempre meno alla sostanza, tanto da far pensare che quel poco che la differenzia dalla semplice acqua zuccherata (una percentuale infinitesimale di caffeina, caramello, succo di lime, acido citrico e il misterioso 7x, lingrediente segreto depositato in una cassetta di sicurezza della Trust Company of Georgia) pi che la formula del suo successo sia ormai un semplice pretesto, una piccola stampella destinata a reggere, miracolosamente, un niente di proporzioni colossali. Andare alla ricerca della sostanza che ha generato il mito significa spingersi indietro, verso gli ultimi anni del XIX secolo, per indagare le origini del fenomeno, addentrandosi in quellepoca dorata di pionieri e ciarlatani, democrazia e razzismo, immigrazione selvaggia e lotta per la sopravvivenza che furono gli Stati Uniti di fine Ottocento. Ma, anche qua, riuscire a separare i semplici fatti dalla loro messa in scena non facile, perch la nascita della Coca-Cola si era gi trasformata in agiografia a solo mezzo secolo da quando il suo inventore, John Pemberton, ne estrasse per la

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prima volta la formula da un groviglio inestricabile di lavori preparatori, velleit e sofferenza reale. Nel 1936, quando la Coca-Cola gi una delle realt economiche pi promettenti del paese e Robert Woodruff il suo presidente, 2.000 uomini della compagnia si riunirono ad Atlanta per festeggiare i primi cinquantanni di attivit. Fu una sorta di circo Barnum con le bollicine, un coloratissimo festival della retorica sospeso tra un passato in via di rilettura e un futuro che gi strizzava locchio alla poetica delle multinazionali. I dirigenti dellazienda fecero discorsi su discorsi, come se si fosse trattato di una campagna elettorale. Venne rappresentata una commedia intitolata Pioneer Days (I giorni dei pionieri) che riassumeva, edulcorandola su parametri che sembravano presi in prestito da Walt Whitman, la storia della bibita. In altri luoghi del raduno erano esposte macchine antiquate che avrebbe-

ro dovuto ricordare agli imbottigliatori da quanto lontano fossero partiti e quanta strada avessero dovuto macinare prima di poter raggiungere il benessere. E poi barbecue, festoni, siparietti musicali, incontri di lotta e di pugilato per

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gli uomini della compagnia e per le loro mogli, filmati promozionali che avrebbero dovuto far inorgoglire, magari pure commuovere, i dipendenti pi anziani nonch portare i neoassunti ad assimilare la mentalit vincente dellazienda e tutto ci che poteva contribuire a interpretare la Coca-Cola come un classico in vita. Alla fine, quando tocc a Robert Woodruff prendere la parola, il solito tono messianico si spos perfettamente con la logica aziendale. Noi siamo ancora dei pionieri!, tuon dal pulpito, altrimenti lagio e lindipendenza finanziaria ci avrebbero gi rammollito tutti quanti. Non dobbiamo mai parlare troppo di successo ma guardare avanti. Nella lunga vita della Coca-Cola, questi primi cinquantanni di attivit rappresentano poco pi di una fiammella, ma noi possiamo raccoglierla e utilizzarla, se solo lo vorremo, per accendere un fuoco che far a tutti da guida, a noi e a chi ci seguir.

interessante notare come la Coca-Cola, a pochi metri dal balzo destinato a trasformarla definitivamente (portandola, come gi detto, a diventare una fucina di narrazioni oltre che di prodotti reali sempre pi asserviti al proprio

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doppio fantasmatico), enfatizzi e inizi gi a rileggere in chiave mitica le lacrime, la fatica, il sudore e il sangue. Woodruff e soci rappresentavano ormai una solida realt economica, non erano chiaramente pi dei pionieri, ma proprio sul tasto di questa dimensione materiale potentemente terrena, e in via di smarrimento bisognava insistere perch la trasformazione si realizzasse in modo irreversibile. La rilettura del passato in chiave mitica aveva naturalmente uno dei suoi picchi di incandescenza nel momento aurorale della Coca-Cola: la sua nascita (il 1886) e il suo inventore, John Stith Pemberton. Se si visita ad Atlanta il museo della Coca-Cola, costruito nel 1990 e costato circa 15 milioni di dollari, si vede come lepica di cui la grande festa del 36 fu la prima folkloristica manifestazione sia stata via via perfezionata. Gli uomini che fecero la compagnia sono dipinti come gli eroi di un grande romanzo americano i quali, partendo dalle proprie umili origini, riuscirono a creare un sogno grazie alla loro perseveranza e ai loro sacrifici, assistiti da una buona sorte che in realt, nelle intenzioni neanche troppo velate degli agiografi moderni, altro non che il Destino sotto mentite spoglie. In particolare il 1886 viene raccontato come lanno di una nascita santa e John Stith Pemberton come un adorabile dottore di campagna davanti al quale, un bel giorno, si manifest la formula di una bevanda miracolosa. Linventore della Coca-Cola raffigurato come una sorta di Aureliano Buendia visitato dallo Spirito Santo per cui non tanto lui a scoprire la Coca-Cola ma la formula della bibita, staccandosi dallIperuranio degli oggetti di consumo, a scegliere la casa di Pemberton (e le sue mani) come luogo delezione per la sua prima manifestazione terrena. La chiave del racconto chiaramente evangelica. Pemberton

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come san Giuseppe, come Geppetto diventa il padre adottivo di un qualcosa che a un certo punto gli appartiene non in ragione degli sforzi fatti per ottenerla ma al massimo in virt del proprio buon cuore, della semplice disposizione di spirito. Limpegno, labnegazione, i sacrifici spetteranno invece agli evangelizzatori (nel nostro caso i futuri uomini della Coca-Cola Company, il cui compito sar quello di raccogliere leredit di Pemberton e di diffonderne il verbo in giro per il mondo). Quello che non si dice nel museo di Atlanta e che lagiografia della Coca-Cola giustamente trascura che Pemberton fu un tormentato morfinomane incline a paranoie e scoppi di ottimismo, un instancabile lavoratore che consacr ogni suo sforzo alla Coca-Cola e che proprio il sogno di una bevanda miracolosa, destinata a conquistare sempre pi spazio nella giungla del mercato statunitense, ridusse infine a una larva umana. Gli americani sono il popolo pi nevrotico della Terra, cos esordiva il testo di una delle prime pubblicit volute da Pemberton per la sua bibita. Lagitazione di nervi a cui la Coca-Cola prometteva di porre rimedio testimonia abbastanza bene il tempo in cui John Pemberton si trov a vivere e la destinazione duso a cui la Coke inizialmente era votata. Siamo nella cosiddetta Golden Age, il periodo in cui gli Stati Uniti smisero di essere un paese fondamentalmente agricolo per trasformarsi in una societ urbanizzata. A un mondo verde e giallo fatto di piantagioni, fattorie, confini in continua via di spostamento andava sostituendosi una scenografia di fabbriche, mulini a vento, recinzioni, un paesaggio in continua fibrillazione attraversato dai segmenti paralleli dei binari ferroviari. Leaves of Grass di Walt Whitman stata pubblicata da pochi decenni (nel 1855)

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ma la fase pionieristica sta gi cedendo il passo allepoca della velocit, della capitalizzazione del tempo, della specializzazione, della competitivit. Lo strappo col passato fu di tale violenza che il cambiamento non poteva non portare, insieme con gli innegabili vantaggi, problemi di riordino e nuove patologie sociali. Un manipolo di conquistatori marcianti in paths untrodden, / in the growth by margins of pond-waters, / escaped from the life that exhibits itself (per sentieri non battuti / nella vegetazione ai limiti delle acque stagnanti / in fuga dalla vita che esibisce se stessa), per citare le parole di Whitman, era pronto a trasformarsi in un popolo di nevrotici stravolti nelle loro abitudini dal demone della modernit ma nello stesso tempo convinti (a ragione) di poter spillare oro non pi dalle oscure vene del sottosuolo bens dallaereo e multiforme universo del commercio, della finanza, delle scalate azionarie, delle acquisizioni, dellinvenzione e della conseguente messa in circolo del prodotto perfetto. singolare allora che il prodotto che pi di altri andr a specchiarsi nel futuro del paese nasca come antidoto per i problemi che proprio quel futuro, al momento di inverarsi, iniziava a produrre nella societ: la Coca-Cola, cos come la andava immaginando Pemberton, sarebbe dovuto essere appunto un tonico antistress. Naturalmente Pemberton non era lunico ad affidare i propri sogni di ricchezza e notoriet a degli intrugli spacciati per medicinali. LAmerica si riemp rapidamente di aspiranti stregoni farmacisti, medici pi o meno improvvisati, veri e propri sperimentatori senza manuale di istruzioni che tentavano di piazzare sul mercato rimedi per ogni tipo di malessere. Uno dei primi fu Joseph Priestly, che a partire dalla seconda met del Settecento inzi a produrre la celebre fixed air, semplice acqua addizionata con lani-

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dride carbonica che veniva presentata come tonico e medicinale. E cosa dire del Moxie Nerve Food, inventato e imbottigliato a Lowell dal dottor Augustin Thompson, un beverone a base di una fantomatica pianta sudamericana (talmente misteriosa da non avere un nome) capace, secondo lirresistibile amore per la millanteria del suo inventore, di curare la paralisi, linsonnia, il mal di testa, la demenza senile? E il Dr Pepper, una bibita a base di ciliegia ottima per la digestione ma anche per restituire forza, vigore, vitalit?

A partire dalla fine dellOttocento queste strane invenzioni trovarono il loro luogo di diffusione ideale nelle cosiddette rivendite di bibite. Si trattava di locali pieni di marmi pregiati, di cristalli e di colori moltiplicati dagli specchi. I clienti, oltre a sentirsi in un posto alla moda, potevano provare lebbrezza di sperimentare centinaia di preparati dai nomi esotici, la maggior parte dei quali erano semplici combinazioni modificate delle vecchie bevande alla frutta. Tutti gli infusi venivano spacciati per tonici e medicinali in virt di ingredienti provenienti quasi sempre da terre lontane e destinati a rimanere misteriosi, accendendo in questo modo fantasia e aspettative dei consumatori. Secondo alcuni studiosi della comunicazione, furono proprio gli inventori di queste bibite a rappresentare il prototipo dei moderni pubblicitari: ogni intruglio veniva accompagnato da un bugiardino che in realt era un vero e

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proprio testo promozionale volto a esaltare senza freni inibitori le qualit del prodotto. Sulla capacit delle bibite di guarire da tutta una serie di mali lecito nutrire pi di un dubbio. Che per fossero dei tonici, degli eccitanti, che non si trattasse insomma di semplice acqua colorata risponde invece a verit come dimostra il Vin Mariani, il pi celebre di questi elisir, la bevanda che si pu considerare il vero antenato della CocaCola e a cui John Pemberton si ispir nella sua interminabile ricerca dellintruglio ideale: un dissetante con propriet palingenetiche. Angelo Mariani era un uomo di affari nato in Corsica che, a partire dal 1863, inizi a vendere vino di Bordeaux con laggiunta di uninfusione di coca. La sua bevanda si diffuse in tutta Europa e dopo pochi anni sbarc con lo stesso successo anche negli Stati Uniti. Il dosaggio consigliato sulletichetta era di un bicchiere prima o dopo ogni pasto mezzo bicchiere per i bambini. La cocaina (isolata per la prima volta nel 1885) non era stata ancora messa fuorilegge. Cos Mariani, che oltre ad essere un instancabile venditore aveva un eccezionale talento per la comunicazione, fece continuamente la spola tra Vecchio e Nuovo Continente cercando di accattivarsi la simpatia di tutte le personalit dellepoca. Riusc a trovare riconoscimenti da

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Emile Zola, da Thomas Edison, dalla regina Vittoria, da Sarah Bernhardt, da Buffalo Bill fino a compiere la grande impresa che persino alla Coca-Cola non ancora riuscita: la conquista del soglio di Pietro Leone XIII, che a quanto pare fu un entusiastico consumatore della bevanda, consegn ad Angelo Mariani una medaglia doro con leffigie papale come riconoscimento per i benefici ricevuti dalluso del tonico Mariani.

Il successo del vino alla cocaina non poteva non portare a tentativi di imitazione. E tra gli epigoni di Mariani cera appunto il futuro pap della Coca-Cola. Nato nel 1831 a Knoxville, in Georgia, John Pemberton frequent nemmeno maggiorenne il Southern Botanico-Medical College. Laureatosi in Farmacia e Medicina, inizi la sua carriera come venditore di tonici e ricostituenti prima che lo scoppio della guerra civile lo tenesse per tre anni lontano dagli affari. Tornato in attivit, ansioso di mettersi alle spalle pi

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rapidamente possibile i traumi dellevento bellico, Pemberton si trasfer ad Atlanta che nel frattempo stava diventando una delle citt economicamente pi frenetiche di tutto il Sud. Qui, passando altrettanto freneticamente da una costituzione societaria allaltra, riprese a vendere medicinali e allo stesso tempo mise su un piccolo laboratorio farmaceutico dove trascorreva ogni ora libera alla ricerca della sua pietra filosofale. Nel corso degli anni invent tinture per capelli, pillole per il fegato, rimedi contro i reumatismi in occasione di unintervista concessa nel 1886 mostr orgogliosamente al cronista una sua opera ancora incompleta sui preparati farmaceutici che conteneva ben 12.000 prove chimiche. Quando, nello stesso anno, arriv la prima formula della Coca-Cola (una versione del Vin Mariani che i primi venti di proibizionismo consigliarono di rendere analcolica e in cui alla cocaina veniva aggiunto un estratto di noce di cola), Pemberton era gi passato per disastri finanziari, resurrezioni economiche e infiniti esperimenti pseudoalchemici. Il suo interesse per la cocaina, oltre ad essere ispirato dallepopea di Angelo Mariani, trovava una ragione in pi nel convincimento che la coca fosse uno dei pochi rimedi veramente efficaci per la dipendenza da morfina, sostanza che Pemberton aveva iniziato ad assumere con sempre maggiore frequenza, anche per lenire i dolori provocatigli dalle ferite di guerra. La Coca-Cola si present agli abitanti di Atlanta come un prodotto delizioso! rinfrescante! esilarante! rinvigorente! Una nuova bevanda contenente le propriet della meravigliosa pianta di Coca e della famosa noce di Cola. In questa veste e con questo nome inizi a insidiare le posizioni della concorrenza una selva di prodotti dalla composizione incerta e dalla denominazione quanto meno fantasiosa come il Copelands Cholera Cure (Cura di Cope-

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land per combattere il Colera), il Dr. Jordans Joyous Julep (Sciroppo Gioioso del Dr. Jordan), il Botanic Blood Balm (Balsamo Botanico per il Sangue), il Dr. Pierces Pleasant Purgative Pellets (Piacevoli Pillole Purgative del Dr. Pierce) e cos via. John Pemberton mor nel 1888 a soli cinquantasette anni. Non solo non riusc a vedere i primi successi veramente significativi della sua creatura (n la sua fervida immaginazione poteva concepire che cosa la bibita sarebbe diventata a partire dalla seconda met del Novecento), ma i diritti sulla Coca-Cola gli vennero soffiati a pochi anni dalla fine, dopo una complicatissima vicenda di passaggi di propriet in cui problemi finanziari, tradimento e veleni familiari sintrecciarono perversamente come in una saga romanzesca. Ci che dalle previsioni di Pemberton dovette essere ancora pi lontana fu per la circostanza che la Coca-Cola sarebbe diventata uno dei brand pi celebri del pianeta in parallelo con unopera di svuotamento materiale, di spiritualizzazione. Il suo successo, vale a dire, si sarebbe consolidato man mano che la bibita avrebbe perso il suo iniziale valore duso (non pi un tonico, non una medicina, non un rimedio per i nervi ma un dissetante al pari dellacqua piovana). La vera pietra filosofale, diversamente dalle aspettative di Pemberton, avrebbe funzionato secondo un meccanismo puramente tautologico: non seducendo milioni di individui grazie allapporto di un reale beneficio (la cura da tutti i mali del mondo, per esempio, o la capacit di trasformare il ferro in oro) ma grazie al suo astratto potere di fascinazione. Sbarazzatasi quasi completamente di ci che gli orfici chiamavano soma (corpo materiale, cadavere, prigione) anche nel rapporto tra i componenti della bevan-

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da e la sua denominazione via la cocaina e a un certo punto via anche lestratto di noce di cola la Coca-Cola avrebbe potuto dispiegare senza ostacoli tutta la forza della sua anima. Non era pi un rimedio contro i malesseri portati dalla modernit ma al contrario, abbandonata ogni ansia di reazione, cercava di plasmarsi come uno specchio in grado di assorbire e poi riflettere il principio attivo (volatile ai limiti dellimpalpabilit, eppure sempre pi presente nella vita di ognuno) del proprio tempo. singolare pure che, fino a quando questo processo di svuotamento non sarebbe stato portato a compimento, la Coca-Cola si sarebbe destinata a divorare i propri padri: Pemberton trascorse gli ultimi anni tra malattia e gravi difficolt economiche; la vita di Asa Chandler, tutta dedita agli affari, culmin in una depressione devastante che nemmeno la sua incrollabile fede cristiana riusc ad arginare. Solo a partire dalla direzione di Robert Woodruff, con la Coca-Cola ormai consapevole della propria forza mitopoietica una forza ottenuta anche al costo dellolocausto dei padri fondatori , il destino della bibita pi famosa del mondo verr saldato a quello dei suoi evangelizzatori in modo quasi indistinguibile.

6. San Nicola alla conquista dellEuropa

Come accennato nei capitoli precedenti, il percorso che condurr a Babbo Natale (uno spazio di quindici secoli se lo datiamo dalla morte di san Nicola, di otto secoli circa se vogliamo partire dalla diffusione delle prime Vite) viene segnato da un movimento non lineare: dilatazione del mito del santo, contrazione, successivo sfondamento del suo doppio Santa Claus. Il nucleo primigenio da cui Nicola prende le mosse per la conquista dellEuropa rimane il suo sepolcro a Mira. Questo divenne un popolarissimo centro di pellegrinaggio anche perch si diceva che dalla salma del santo trasudasse la cosiddetta manna, un liquido miracoloso che attir migliaia di fedeli dalla costa di Antiochia e successivamente divent motivo di richiamo per le popolazioni dellintero bacino mediterraneo raccolta e sigillata con la ceralacca in ampolline di vetro, la manna veniva custodita in casa per allontanare le malattie oppure sistemata sulle navi per scongiurare le tempeste. Ancora oggi, prelevata annualmente nella cripta della basilica di San Nicola a Bari, la manna (definita come un olio sacro, un liquido trasparente con propriet taumaturgiche) viene distribuita tra i fedeli di tutto il mondo. Man mano che il culto di Nicola andava diffondendosi, si rafforzava inoltre la sua fama di iniziatore e di

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santo dazione. La presenza del vescovo di Mira al concilio di Nicea, per esempio, che i documenti ufficiali fanno ritenere quanto meno incerta, sarebbe stata caratterizzata secondo alcuni agiografi da una difesa della fede

molto lontana da come la si potrebbe immaginare per un teologo o per un asceta: nel bel mezzo delle dottissime disquisizioni sulla consustanzialit di Padre e Figlio, Nicola a un