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“AVEVANO UN CUOR SOLO E UN’ANIMA SOLA” cf. At 4,32 Amiamo e viviamo la Chiesa LETTERA PASTORALE PER L’ANNO 2008-2009 ANTONIO LANFRANCHI VESCOVO DI CESENA-SARSINA STILGRAF – CESENA SETTEMBRE 2008

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“AVEVANO UN CUOR SOLO E UN’ANIMA SOLA” cf. At 4,32

Amiamo e viviamo la Chiesa

LETTERA PASTORALE PER L’ANNO 2008-2009

ANTONIO LANFRANCHIVESCOVO DI CESENA-SARSINA

STILGRAF – CESENA SETTEMBRE 2008

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IN COPERTINA:

Pentecoste, Corale miniato (sec. XV), Cesena, Biblioteca Malatestiana

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Anche quest’anno, accingendomi a indirizzare alla dilettaChiesa di Cesena-Sarsina una nuova Lettera Pastorale, ritengoutile premettere alcune note esplicative.

È mia consuetudine legare la Lettera d’inizio anno pasto-rale al programma pastorale. Essa è finalizzata a sostenerne lelinee espresse, a motivarle, a evidenziarne i contenuti, a indi-carne le scelte operative.

La Lettera è un atto autorevole del magistero del vescovo,che si avvale del contributo offerto dalla consultazione delConsiglio Pastorale e del Consiglio Presbiterale Diocesani, del-la Consulta dei Laici, di singole Associazioni e Movimenti ec-clesiali, delle parrocchie.

Il trienno 2005-2008 era incentrato sulla persona di GesùCristo e sul suo messaggio, ed era espresso con il titolo delConvegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006):“Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo”. Ci siamo la-sciati accompagnare dall’icona biblica dell’incontro dei primidiscepoli con Gesù (Gv 1,35-42).

Il triennio 2008-2011 si pone in stretta continuità con ilprecedente mettendo a tema la Chiesa. Non si può separare

INTRODUZIONE

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Cristo dalla Chiesa e viceversa. La Chiesa è il corpo di Cristo, èil prolungamento della sua umanità, è la sposa amata di Cristo.

Nell’affrontare il tema della Chiesa ci lasceremo guidarecome icona biblica dal ritratto che gli Atti degli Apostoli fan-no della prima comunità cristiana (At 2,42-48; 4,32-35).

Nel primo anno (2008-2009) ci proponiamo di aiutarci acrescere nella consapevolezza del senso e nella gioia dell’ap -par tenenza alla Chiesa nei vari livelli in cui si esprime. Ci la-sceremo interrogare dalle domande: Perché la Chiesa? Sipuò separare la Chiesa da Gesù Cristo? Che cosa vuol direappartenere alla Chiesa? Si può amare la Chiesa? Che cosavuol dire vivere con la Chiesa?

Lo slogan che ci guiderà è: Avevano un cuor solo eun’anima sola (cf. At 4,32). Amiamo e viviamo la Chiesa.

Nel secondo anno (2009-2010) ci proponiamo di ap-profondire la natura della sacra liturgia e della sua importanzanella vita della Chiesa. In particolare ci soffermeremo sulla ce-lebrazione eucaristica e sulla parrocchia. Lo slogan biblico checi guiderà è: “Erano assidui nella frazione del pane e nellepreghiere” (At 2,42). Afferma la Costituzione del Concilio Vati-cano II “Sacrosanctum Concilium”: La liturgia è il culmine ver-so cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui pro-mana tutta la sua vita” (SC 10). Ci aiuteremo a tradurre in pra-tica pastorale quanto affermato come principio teologico.

Nel terzo anno (2010-2011) prenderemo in considerazio-ne più direttamente il rapporto Chiesa-mondo, affrontando laquestione educativa. Oggi l’educazione è diventata un’emer -gen za. Ci chiederemo come e perché educare.

Lo slogan biblico è: “Erano assidui nell’ascoltare l’inse -gnamento degli apostoli” (At 2,42).

È evidente che mettere a tema ogni anno un aspetto par-ticolare dell’esperienza ecclesiale non vuol dire escluderlo dal -

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l’attenzione negli altri anni; vuol dire semplicemente focalizzar-lo meglio. I temi toccati, infatti, ci accompagnano sempre. Pen-siamo all’attenzione educativa. C’è una circolarità tra i vari temirichiamata dalla vita concreta della comunità.

Il programma pastorale non è tutto; non esaurisce l’a zio -ne pastorale della Chiesa. Esso si inserisce nel cammino ordi-nario della comunità cristiana come “lievito” per dare un voltoconcreto e unitario alla Chiesa locale.

In particolare il programma pastorale di quest’anno trovala sua motivazione e il suo sostegno in eventi ecclesiali dellanostra Diocesi, che ci devono interpellare profondamente: ilMillenario della Concattedrale di Sarsina e la Costituzione el’avvio delle Unità Pastorali.

Soprattutto la celebrazione del Millenario della Concatte-drale, con il dono del Giubileo, che vasta eco sta avendo nonsolo nella Chiesa ma anche nella società, sta rivelandosi un’oc -casione preziosa per riscoprire la Cattedrale, per capire che es-sa, con la presenza del vescovo successore degli Apostoli, è laChiesa madre che ha generato e genera tutta la nostra Chiesa,in comunione con la Chiesa universale, che ha nel Papa “il per-petuo e visibile fondamento dell’unità” e la sua guida.

La Cattedrale è il segno visibile dell’intera Chiesa diocesana. Celebrando il Millenario possiamo crescere nel senso di

appartenenza alla Chiesa in tutti i livelli della sua espressione,che ci coinvolgono: Chiesa universale, Diocesi, parrocchia.

In questa direzione vanno le riflessioni proposte in questaLettera.

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La prima comunità cristiana

42 Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostolie nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.43 Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivanoper opera degli apostoli. 44 Tutti coloro che erano diventati cre-denti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45 chiaveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti,secondo il bisogno di ciascuno. 46 Ogni giorno tutti insieme fre-quentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo ipasti con letizia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendola simpatia di tutto il popolo. 48 Intanto il Signore ogni giornoaggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (At 2,42-48).

32 La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede avevaun cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietàquello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. 33 Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza dellarisurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grandesimpatia. 34 Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quan-ti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importodi ciò che era stato venduto 35 e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bi-sogno (At 4,32-35).

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“Gesù annunciava il Regno ed è venuta la Chiesa”. Questaespressione di Alfred Loisy, scritta all’inizio del secolo scorso,ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro, insinuando una contrap-posizione tra la volontà di Gesù e la nascita della Chiesa. Gesùnon avrebbe instaurato la Chiesa; avrebbe proposto a tutti gliuomini la realtà interiore e morale del Regno di Dio. Possiamoritrovare il modo di pensare di Loisy nei confronti della Chiesain quest’altra affermazione piuttosto frequente ai giorni nostri:“Gesù sì; Chiesa no”. È facile imbattersi in persone che dichia-rano: “A me Gesù interessa, io leggo il Vangelo, ma la Chiesanon mi interessa. Sono cattolico, ma non frequento”.

Sarebbe facile rispondere a chi vuole staccare la fede inGesù Cristo dalla Chiesa che se non ci fosse la Chiesa, forsenon sapremmo neanche che Gesù è esistito. “Se oggi esiste ilcristianesimo è perché c’è stata e c’è una Chiesa che ha per-messo la trasmissione della memoria di Gesù, la memoria del-la fede in Gesù”1, scrive il teologo Severino Dianich. Se poi ciaddentriamo ad analizzare che cosa le persone intendono per

1 S. DIANICH, Comunicare la Chiesa, Piemme, 2000, p. 24.

CAPITOLO PRIMO

Il dono inestimabile e la responsabilitàdi appartenere alla Chiesa

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Chiesa, scopriamo che sono tanti i modi di vederla e di giudi-carla. Per qualcuno Chiesa richiama alla mente papa, vescovi,preti; egli identifica la Chiesa con l’apparato. Per altri la Chiesaequivale a istituzione, una realtà giuridico-amministrativa o bu-rocratico-economica, equiparata a qualsiasi altra società uma-na. Quanto alla sua presenza nella storia c’è chi la guarda consimpatia e ammirazione per i valori che custodisce, per l’attivitàsociale e caritativa che svolge. Non manca chi invece vede laChiesa come freno alla storia, perché antiquata e reazionaria.

Anche l’atteggiamento della gente verso la Chiesa è quan-to mai variegato e va dal rifiuto alla contestazione, all’in dif -ferenza, alla stima per la sua attività sociale, alla partecipazioneconsapevole e corresponsabile alla sua vita.

Rivolgendomi ad appartenenti alla Chiesa perché battez-zati, mi viene da chiedere: “Noi da quale punto di vista ci po-niamo?”. I diversi punti di vista sulla Chiesa vanno presi sul se-rio e devono costituire uno stimolo a scoprirne il significato,l’origine, la missione.

Qualsiasi sia la modalità in cui esprimiamo la nostra ap-partenenza, non possiamo parlare della Chiesa come di unacosa, di una realtà che ci è estranea. La Chiesa siamo tutti noi.Afferma il documento Rinnovamento della Catechesi: “Tutti co-loro che, attratti dal Padre e mossi dallo Spirito Santo, rispon-dono liberamente all’amore rivelato e comunicato nel Figlio,formano la Chiesa, assemblea degli eletti in Cristo. Sono pie-namente incorporati nella Chiesa quanti sono congiunti conCristo da vincoli della professione di fede, dei sacramenti, delregime ecclesiastico e della comunione”2. È una descrizione suicui contenuti ci soffermeremo in questo scritto, ma che da ora

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2 CEI, Rinnovamento della catechesi, n. 7.

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ci aiuta a guardare alla Chiesa come una realtà che parla dinoi, ci identifica, ci “segna”.

L’intento di questa Lettera Pastorale non è quello di costi-tuire un piccolo trattato di natura più o meno apologetica sul-la Chiesa e neanche quello di richiamare le figure principalicon cui la Chiesa viene descritta dalla Sacra Scrittura o dal Ma-gistero, in particolare quelle di “corpo” e di “popolo”. L’intento èquello di aiutare ad andare al di là di uno sguardo puramentesociologico o psicologico per tentare di cogliere il suo misteroin riferimento alla nostra vita e di suscitare, se possibile,l’amore e la gioia di appartenere alla comunità cristiana, sen-tendosi corresponsabili della sua vita, della sua missione.

Gesù Cristo e la Chiesa

Tutta l’importanza della Chiesa deriva dalla sua connessio-ne con Cristo; tutto ciò che si dice della Chiesa deve esserecompreso alla luce del mistero di Cristo o della Chiesa in Cristo.Gesù Cristo è sempre presente nella sua Chiesa e in essa vivecome risorto. Non c’è Chiesa senza riferimento a Gesù Cristo.

Le nostre parrocchie sono caratterizzate dalla territorialità,sono costituite in base alla condivisione di un territorio, tantoche spesso gli abitanti di una determinata zona sono indicatifacendo riferimento alla parrocchia, al di là della loro fede (adesempio: S. Egidio, Duomo, S. Paolo…). È indubbio che ele-menti di natura sociologica o psicologica entrino nel costruirsicome comunità cristiana, ma non comprenderemmo il legameprofondo che ci unisce e che ci costituisce in comunione, se cifermassimo a questi aspetti.

Dietrich Bonhoeffer esprime efficacemente questa realtàaffermando che la Chiesa non è una comunità psichica, cioè

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frutto di disposizioni naturali, ma pneumatica, cioè fruttodell’azione dello Spirito Santo, che pone Gesù Cristo nei nostricuori come nostro Signore. Possiamo dire che la Chiesa è ciòche succede quando un gruppo umano accoglie l’Evangelo,cioè la “buona notizia” che Gesù è il Risorto, il Vivente persempre, è Colui che può liberare da ciò che di antiumano lacreatura si porta dentro: il peccato e la morte. In Lui possiamoessere pienamente umani. Gesù è il Signore! “L’apostolo che haconosciuto Gesù, che ha vissuto la sua esperienza con Gesù,l’apostolo che ha creduto nella Resurrezione di Gesù e checrede che Gesù è il Salvatore dell’uomo, mentre dice questecose ad un’altra persona (e quest’altra persona le ascolta e leaccoglie e, con la grazia dello Spirito Santo, vi crede) in quelmomento fonda e costruisce la Chiesa”3.

La Chiesa nasce dunque intorno all’esperienza dell’in con -tro con il Risorto e alla comunicazione di questa esperienza. LaChiesa si costruisce attorno alla comunicazione della fede co-me punto originario. Ciò che caratterizza la Chiesa nel suo co-stituirsi deve essere posto anche come esperienza essenzialedella formazione dei credenti. I legami tra i membri di una co-munità si consolidano e diventano sempre più veri attraversola reciproca comunicazione della fede.

Non si conosce Gesù come Salvatore se non dentroall’esperienza di Chiesa. Senza la Chiesa, che ne rende viva eattuale la memoria, Gesù sarebbe un personaggio del passato,un grande maestro, un ideale, il fondatore di una religione, manon potremmo dire di entrare in relazione vera con Lui, comenostro contemporaneo. Ciò è possibile solo nella Chiesa, gra-zie all’azione dello Spirito Santo. È per questo che, se un non

3 S. DIANICH, Comunicare la Chiesa, cit., p. 23.

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credente desidera diventare cristiano, cerca non un professoredi storia del cristianesimo, ma un credente, la comunità cristia-na. “Il professore di storia del cristianesimo non fa comunica-zione di fede, può essere ateo. È il credente che fa comunica-zione della fede parlando di Gesù e così non trasmette solonotizie, ma la sua esperienza di fede. Il credente e la comunitàcristiana si qualificano come tali in questo atto tipico”4.

La presenza di Cristo nella storia perdura visibilmente co-me forma incontrabile nella Chiesa. Per i suoi discepoli di tuttii tempi, Gesù non è qualcuno da ricordare, ma qualcuno datestimoniare ancora presente e operante. E la Chiesa è il “cor-po misterioso di Cristo”.

Pensiamo a che cosa ha voluto significare per Paoloquando sulla via di Damasco udì una voce che gli diceva: “Sau-lo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,4). Paolo perseguitava icristiani e gli veniva detto che perseguitava Cristo, scoprendocosì l’unità di Gesù con chi credeva in Lui. Più tardi scriverà aicristiani della Galazia: “Tutti voi, infatti, siete figli di Dio per lafede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cri-sto, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; nonc’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poichétutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, al-lora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”(Gal 3,26-29). Così come ai cristiani di Corinto: “E in realtà noitutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare unsolo corpo, giudei o greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo ab-beverati a un solo Spirito” (1Cor 12,13).

La Chiesa non ha senso che in riferimento a Gesù Cristo, alvangelo che lo fa conoscere, alla salvezza dell’uomo che immet-

4 S. DIANICH, Comunicare la fede, in AA.VV., Introdurre gli adulti alla fede,Àncora, 1997, p. 52.

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te nella storia. Ogni interpretazione della sua vita che non muo-ve da questa angolatura è troppo ristretta e fuorviante. La suavita profonda è tutta in Gesù Cristo. Noi la comprenderemotanto meglio quanto più cercheremo e conosceremo Lui. Nonc’è migliore scuola, per conseguire questa duplice e unica com-prensione, che la partecipazione alla sua vita stessa, alla santa li-turgia, alla carità, alla comunione, all’annuncio del Vangelo.

La santità della Chiesa

La Chiesa porta in sé le ferite e le cicatrici della fragilità deisuoi membri, che possono offuscare la bellezza che racchiudein sé, ma non è questo il suo volto originario; questo è il suopeccato che l’accompagna e la pone in uno stato continuo diconversione e di umiltà.

Questo non ci deve far dimenticare che essa è comunionedei santi, comunità santificante. Non si può parlare di GesùCristo senza parlare della santità di cui egli è la sorgente e deisanti che formano il suo corpo. È il mistero della Chiesa: unpopolo che, nonostante i limiti della fragilità umana, perl’azione dello Spirito Santo genera continuamente santi.

Georges Bernanos, un grande scrittore del secolo scorso,che, per quanto critico verso la Chiesa, l’amava al punto da di-re che non avrebbe voluto vivere un solo istante fuori di essa eche se fosse stato cacciato da questa, vi sarebbe ritornato aqualsiasi condizione, anche con i piedi nel sacco e con la cene-re sul capo, scriveva a conclusione della sua “Jeanne relapse etsainte”: “La nostra Chiesa è la Chiesa dei santi. Chi le si accostacon diffidenza crede di vedere niente altro che porte chiuse,barriere e sportelli, una specie di gendarmeria spirituale. Ma lanostra Chiesa è la Chiesa dei santi… La santità è un’avventura,

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addirittura la sola avventura. Chi l’ha compreso una volta, è pe-netrato nel cuore della fede cattolica, ha sentito trasalire nellasua carne un tremore diverso da quello della morte, una spe-ranza sovrumana”. I santi – aggiunge Adrienne von Speyr –“sono la dimostrazione della possibilità del cristianesimo”5.

La vocazione cristiana è vocazione alla santità. Afferma laCostituzione del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium: “Il Si-gnore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, atutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione hapredicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e per-fezionatore… Tutti coloro che credono nel Cristo, di qualsiasistato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana ealla perfezione della carità”6. Giovanni Paolo II nella Christifide-les Laici riprenderà l’affermazione del Concilio descrivendo lasantità come la perfezione della carità7.

Nessuno è escluso dalla chiamata alla perfezione della ca-rità, alla pienezza della vita cristiana. Tutti e ognuno possiamoessere santi. Afferma la Lumen Gentium: il Signore Gesù “man -dò infatti a tutti lo Spirito Santo che li muova internamente adamare Dio con tutto il cuore… e ad amarsi a vicenda comeCristo ha amato loro”8. La radice, l’origine della santità non è innoi, ma nell’azione dello Spirito Santo. È Lui che fa di ogni uo-mo un santo, permettendoci dal di dentro del nostro cuore diamare Dio e il prossimo.

Il santo non è uno che rinuncia alla gioia di vivere. LéonBloy scriveva che “non c’è che una tristezza: quella di non es-

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5 A. VON SPEYR, Mistica oggettiva, Jaca Book, Milano, 1989, p. 252.6 Lumen gentium, n. 40.7 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, n. 16.8 Lumen gentium, n. 40.

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sere santi”. “Il santo è l’uomo vero, un uomo vero perché ade-risce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suocuore, di cui è costituito il suo destino. Santo è, nel senso piùesatto della parola, l’uomo che realizza più integralmente lapropria personalità, ciò che deve essere… Il santo nella Chiesarende la presenza di Cristo attuale in ogni momento, perché inlui Egli determina, in modo trasparente, l’agire”9.

L’esercizio della santità non è racchiuso alla sfera privata,ma incide profondamente sulla società. Afferma sempre la Lu-men Gentium: “Ogni laico deve essere testimone della risurre-zione e della vita del Signore Gesù, e il segno del Dio vivo”10. Eancora: “Da questa santità è promosso anche nella società ter-rena un tenore di vita più umano”11. “La santità è nutrimentodel mondo e senza di esso il mondo muore di fame, di famedi significato. Senza la santità il mondo non saprebbe più percosa sia fatto, non saprebbe più che cosa deve fare. La santitàalimenta e nutre il mondo diffondendo in esso lo spirito dellebeatitudini, lo spirito di mitezza, di povertà, di pace. «In unaparola: ‘Ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo icristiani’» (LG 38), per dare al mondo vita, forza, speranza. Ognifedele, nella misura in cui lascia operare in sé lo Spirito Santo,diventa anima del suo ambiente, della sua realtà, del suo grup-po, della sua situazione perché lo Spirito diffonde ovunque lasantità”12. E S. Agostino, parlando dei santi, diceva: “Se questi equelli, perché non io?”.

Nel rispondere alla chiamata alla santità, siamo sostenutiin particolare dalla comunione dei santi della nostra Chiesa,

09 L. GIUSSANI, Perché la Chiesa, Rizzoli, 2003, p. 284.10 Lumen gentium, n. 38.11 Ibidem, n. 40.12 C. M. MARTINI, Parole sulla Chiesa, Piemme, 1986, p. 93.

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che hanno costellato come stelle luminose i secoli della nostrastoria. Sono essi la parte più vera, più nobile e più bella dellatradizione ecclesiale, ma oso dire anche della tradizione socia-le. Sono figure di vescovi, sacerdoti, religiosi, laici che, ciascunoper la sua parte e per il suo tempo, ma mai isolatamente, han-no contribuito a quel processo di trasmissione della fede cheha plasmato la vita delle nostre comunità, dalla più piccola al-la più popolosa.

Essi costituiscono un patrimonio di fede, di umanità, dicultura, la cui conoscenza storica è da coltivare; in essi risplen-de in maniera più pura e trasparente l’azione dello Spirito San-to che fa bella la nostra Chiesa. Sono i santi di casa nostra, an-che se ogni santo appartiene a tutta l’umanità. Di alcuni di es-si: Angelina Pirini, Don Quintino, il Canonico Carlo Baronio,Padre Guglielmo, ma anche Benedetto XIII e Pio VII, è avviatoil processo di beatificazione. Siamo certi che, nella comunioneche ci unisce, intercedono per noi presso Dio, vegliando sulnostro cammino. Da parte nostra lasciamoci contagiare dal lo-ro amore alla nostra Chiesa e dalla loro testimonianza di fedee di carità; favoriamone la conoscenza e invochiamo dal Si-gnore la grazia di vederli presto beatificati.

La Chiesa segno e strumento di unità

Proseguendo nel tentativo di aiutare a cogliere il misterodella Chiesa, richiamiamo quanto dice ancora la Lumen Gen-tium: “La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento,ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio edell’unità di tutto il genero umano”13. E in seguito: “Il popolo

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13 Lumen gentium, n. 1.

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messianico, pur non comprendendo in atto tutti gli uomini, eapparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttaviaper tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza edi salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, dicarità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumentodella redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale dellaterra, è inviato a tutto il mondo… Dio ha convocato in una co-munità coloro che guardano con fede a Gesù, autore della sal-vezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chie-sa perché sia per tutti e per i singoli sacramento visibile diquesta unità salvifica”14.

È un compito esaltante e nello stesso tempo una granderesponsabilità quello affidatoci come Chiesa: di essere segnodell’unità cui tutti gli uomini sono chiamati in Cristo Gesù.

La Chiesa non può realizzare la missione affidatale se nonvive al suo interno l’unità. Essa è frutto dello Spirito d’amoredel Signore; solo Lui può darci l’energia per costituire per ilmondo quel “germe validissimo di unità, di speranza e di sal-vezza” di cui parla il Concilio nella nostra quotidiana testimo-nianza di fede. A noi si richiede di non opporre resistenza allasua azione in noi e nelle nostre comunità.

Gesù, come presagendo le difficoltà a realizzarla, ha pre-gato per l’unità nella preghiera di addio: “Custodisci nel tuonome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, co-me noi. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi innoi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai man-dato” (Gv 17,11.21).

L’unità deve essere sempre più caratteristica della vita del-la nostra Chiesa. Essa deve informare il rapporto del vescovo

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14 Lumen gentium, n. 9.

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con il presbiterio, dei presbiteri tra loro e con i fedeli, delle va-rie realtà all’interno delle stessa parrocchia, delle parrocchie traloro. La volontà di costruire unità deve animare l’impegno diogni cristiano nell’aperta collaborazione con tutti gli uomini dibuona volontà, nelle istituzioni pubbliche e nelle associazionipiù varie, per la crescita umana della nostra società.

In questi anni di ministero episcopale ho potuto conosce-re e apprezzare la ricchezza dei carismi elargiti dallo Spirito al-la nostra Chiesa, il servizio generoso, oltre che dei presbiteri edei diaconi permanenti, di catechisti, educatori, ministri istituiti,ministri di fatto, la presenza viva di associazioni, movimenti,comunità di vita consacrata. Benedico il Signore per questodono e sento la responsabilità di essere strumento per acco-gliere, discernere, promuovere, far convergere in unità i vari ca-rismi per la crescita della nostra Chiesa nella comunione e nel-la missione.

In questi anni il Signore ci ha concesso la grazia di viveretanti momenti in cui, anche a livello diocesano, dare visibilitàall’unità. È un cammino da proseguire.

Sappiamo per esperienza quanto sia difficile superare lebarriere, i particolarismi, le divisioni tra gruppi, tra associazioni,movimenti, tra parrocchie. Soprattutto in un tempo in cui c’è ilculto della diversità. L’unità non deve scadere ad uniformità,come la diversità non deve di fatto significare cammini paralle-li che non si incontrano. La dialettica tra unità e diversità vavissuta nella comunione, tenendo presente come principio-guida le parole di S. Agostino: “Nelle cose necessarie e fonda-mentali l’unità, in quelle dubbie la libertà, in tutte la carità”.

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La Chiesa mistero di comunione

Il tema dell’unità non può essere scisso da quello dellacomunione. La Chiesa è mistero di comunione. È questo il filoconduttore che unisce le tre immagini principali della Chiesaproposte dal Concilio Vaticano II: la Chiesa-Sacramento, laChiesa-Corpo di Cristo, la Chiesa-Popolo di Dio.

La Gaudium et Spes ricorda: “La Chiesa è l’universale sa-cramento di salvezza, che svela e insieme realizza il misterodell’amore di Dio verso l’uomo”15. Gesù “comunicando il suoSpirito, fa che i suoi fratelli raccolti da tutte le genti costituisca-no il suo Corpo mistico… In Lui i cristiani sono membra gliuni degli altri16. “Dio ha voluto santificare e salvare gli uomininon individualmente e senza legame tra di loro, ma ha volutofare di essi un popolo che, in mezzo ad altri, lo riconoscessenella verità e fedelmente lo servisse”17.

Sperando che la Lettera Pastorale costituisca per tutti, a li-vello individuale e di gruppo, l’occasione per approfondirequesti temi, mi limito ad alcuni richiami legati al tema della co-munione.

Il brano degli Atti, che abbiamo scelto come icona del l’an -no pastorale, propone ai cristiani di ogni epoca la Chiesa comeuna comunità di veri fratelli, uniti in comunione reciproca in -torno a Pietro, agli altri Apostoli e ai loro collaboratori. In essol’unità nella comunione è l’esito dell’ascolto della parola di Dio,dell’obbedienza alla sua volontà e dell’incontro personale conCristo nella preghiera e nella celebrazione dei santi misteri.

La comunione è “forma” ontologica dell’uomo nuovo chenasce dal Battesimo. Rispondendo alla chiamata alla fede e ri-

15 Gaudium et spes, n. 45; cfr Lumen gentium, n. 48.16 Lumen gentium, n. 7; cfr 1Cor 12,27; Rm 12,5.17 Lumen gentium, n. 9.

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cevendo il Battesimo, il cristiano cambia in un certo senso lastruttura del suo essere; possiamo dire che riceve una nuova“forma” di personalità: si fa uomo nella misura in cui gli altrientrano a costituire la sua identità personale di cristiano. Glialtri non possono essergli estranei, ma diventano parte dellasua umanità, perché sono membra dell’unico Corpo di Cristo,in cui il battezzato è innestato.

La comunione è una realtà diversa dall’affiatamento pura-mente sentimentale, dalla socievolezza, che porta istintivamen-te le persone a mettersi insieme, attratte da mutua simpatia,per fare iniziative in comune, per superare la solitudine,l’anonimato, la chiusura egocentrica in se stessi. Tutte questecose sono buone e belle; possiamo dire che sono l’emergeredell’immagine e della somiglianza di un Dio-Trinità, comunionedi Persone, che ogni uomo porta in sé. La comunione le inglo-ba, ma non si esaurisce in esse.

La comunione non è prima di tutto un valore etico, mauna connotazione ontologica della persona rigenerata nel Bat-tesimo. È, in primo luogo, la struttura profonda dell’essere delcristiano che suscita il bisogno, anzi il dovere di rapportarsicon gli altri in un atteggiamento nuovo, fraterno, secondo ilmodello di Gesù.

L’unità di comunione ha il suo fondamento nel sacrificiopasquale di Cristo. “L’essere noi Chiesa è frutto dell’Eucaristia…Dio stesso, nutrendoci con la sua parola e con il suo Corpo, fadi noi una comunione, una realtà strettissima, una parentelache non ha paragone con alcuna parentela umana. In questomodo la comunione da Dio passa nell’uomo e raggiungel’umanità passando per la Chiesa”18. A noi viene offerta e viene

18 C. M. MARTINI, Parole sulla Chiesa, cit., p. 56.

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donata la capacità di accogliere l’offerta della comunione e direnderla operante, togliendo gli ostacoli che la possono com-promettere e ponendo in atto i gesti che la promuovono.

La comunione ecclesiale è l’espressione di una unità che sifa riconoscere visibilmente; è l’atteggiamento pratico che si as-sume quando ci si accorge di essere fratelli in Cristo e di co-stituire in lui, intorno a chi lo rappresenta e lo rende presente,un solo organismo vivente.

Ogni espressione della Chiesa dovrebbe essere caratteriz-zata dal principio della comunione. Giovanni Paolo II ci ricor-da: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: eccola grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, sevogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche al-le attese profonde del mondo… Gli spazi della comunionevanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, neltessuto della vita di ciascuna Chiesa”19.

La Chiesa missionaria

L’apostolo Giovanni scrive: “Quel che abbiamo veduto eudito l’annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in co-munione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con ilFiglio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la no-stra gioia sia perfetta” (1Gv 1,3-4). L’agape, cioè l’amore trinita-rio, è la sorgente del dinamismo della Chiesa e la meta ultimadella sua missione.

Abbiamo sottolineato come la missione di Gesù, venutoper edificare il Regno di Dio tra gli uomini, continui nella mis-sione della Chiesa. La vocazione missionaria è intrinseca al do-

19 GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, nn. 43-44.

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no della fede e nasce da essa. È un’essenziale dimensione co-stitutiva dell’identità cristiana e della vita ecclesiale.

La missione della Chiesa è unica e unitaria; è partecipata atutti i credenti e li vincola tutti e ciascuno, sia come corpo checome singole membra. Nella Chiesa tutti e ciascuno sono coin-volti nella missione stessa del Cristo. Il Concilio insegna chenon vi è alcun membro che non abbia parte nella missione ditutto il Corpo mistico20. “La Chiesa non ha altra vita all’in fuoridi quella che le dona il suo Sposo e Signore. Difatti, proprioperché Cristo nel mistero della sua redenzione si è unito adessa, la Chiesa deve essere saldamente unita con ciascun uo-mo”21.

La Chiesa è chiamata a compiere la sua missione incar-nandosi dentro gli ambiti di vita, portando in essi il fermentodel Vangelo. Il richiamo alla missionarietà deve essere costan-te, perché ne va della nostra identità.

Qui tuttavia vorrei richiamare unicamente quella forma dimissionarietà che si esprime nella cooperazione tra le Chiese,perché va rivitalizzata e tradotta in forme nuove, consone allasituazione concreta in cui ci troviamo.

Nel 2007 abbiamo celebrato il cinquantesimo anniversariodell’enciclica “Fidei donum”, nella quale Pio XII rilanciaval’urgenza dell’attività missionaria ed esortava le Diocesi delmondo a inviare presbiteri e laici ad annunciare il vangelo “al-le genti”. Anche per la nostra Diocesi è stato un periodo fe-condo, con l’invio di preti fidei donum, sostenuti per un perio-do anche da laici, in America Latina e in Mozambico. È un’e -

20 Cfr. Presbyterorum ordinis, n. 2; Lumen gentium, nn. 13.17-32; Ad gentes,nn. 5.6.10.35-36.

21 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor Hominis, n. 18.

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spe rienza che non va dispersa e neanche interrotta. Ultima-mente le presenze di fidei donum si sono rarefatte, anche perla riduzione consistente dei presbiteri diocesani, mentre abbia-mo accolto come fidei donum, sia pure per un servizio limita-to alle vacanze, sacerdoti provenienti dal Venezuela e dalla Co-lombia, inviati dai loro vescovi in Italia a perfezionare i lorostudi.

Oggi assistiamo, a livello del Magistero e della riflessioneecclesiologica, ad una più chiara coscienza della cooperazionemissionaria tra le Chiese. Benedetto XVI, riprendendo GiovanniPaolo II, parla della mistica sociale dell’eucaristia. La stessa eunica eucaristia, celebrata da tutte le Chiese particolari, le uni-sce in vincoli misterici e sacramentali, che devono esplicitarsianche in attività di cooperazione. Ogni Chiesa è chiamata aconsiderare la disponibilità a inviare missionari fidei donum,ma anche a riceverne. La cooperazione missionaria tra le Chie-se è chiamata a esprimersi con più consapevolezza a livello dimutuo scambio.

La nostra gente è sensibile ai problemi delle popolazioniin cui operano i nostri missionari ed è generosa nel sovvenirealle necessità. Non mancano laici, giovani e adulti, che trascor-rono le loro ferie presso qualche missione, prestandosi perqualche attività, soprattutto materiale. Occorre tuttavia che lacosiddetta missio ad gentes entri in termini nuovi, più centrali eprecisi, nel progetto pastorale diocesano, per proseguire e svi-luppare l’esperienza feconda dei fidei donum, coinvolgendotutte le componenti del popolo di Dio.

Anche l’accoglienza da parte nostra di fidei donum, prove-nienti da Diocesi in cui hanno operato o operano i nostri fideidonum, non deve essere vissuta come provvidenziale aiuto intempo di scarsità di sacerdoti, anche se questo aspetto non va

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sottaciuto, ma come espressione della comunione e delloscambio tra le Chiese.

Vorrei fare mia la meravigliosa preghiera di Paolo all’iniziodella Lettera ai Filippesi, applicandola alla nostra Chiesa: “Rin-grazio il mio Dio… a motivo della vostra cooperazione alladiffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e so-no persuaso che Colui che ha iniziato in voi quest’opera buo-na la porterà a compimento” (Fil 1,3-4).

Vivere nella Chiesa e con la Chiesa

Alla luce di queste note sul mistero della Chiesa, vorrei in-dicare alcuni atteggiamenti da coltivare per comprendere e vi-vere dal di dentro la sua realtà, contenti di essere chiamati adappartenervi.

Paolo, scrivendo ai Corinzi, si rivolge a loro in questi ter-mini: “Alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sonostati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insiemea tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signorenostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro…” (1Cor 1,2-3). No-tiamo che la parola “chiamati” è della stessa radice della paro-la “chiesa”: questa è la “convocazione” o assemblea di quelliche sono chiamati a partecipare alla vita divina.

La Chiesa trova la sua definizione nell’essere tutta relativaalla Trinità, dal cui amore è generata e sostenuta, e tutta relati-va al mondo al quale è inviata (‘segno e strumento’). “La Chie-sa non è il fine ultimo. Nella sua stessa precarietà essa non in-tende servire ad altro che alla maggior gloria di Dio e alla sal-vezza degli uomini. Dev’essere questo il punto di partenzaquando si affronta il problema del perché sia necessario rima-nere nella Chiesa e addirittura vivere per essa… Più la Chiesa

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si concentra su se stessa e meno risponde al suo mistero ori-ginario. Questo è interamente fondato sul Signore. Nel suo nu-cleo, la Chiesa non è in sé come organizzazione, bensì fuori disé, in Gesù Cristo, che l’ha generata e la sorregge”22.

Scriveva l’allora Card. J. Ratzinger: “La fondamentale libe-razione che la Chiesa può darci è stare nell’orizzontedell’Eterno, è l’uscire fuori dai limiti del nostro sapere e del no-stro potere”23. La bellezza della Chiesa sta nell’aprirci sul miste-ro di Dio e nel sostenere la passione per l’uomo, dentro adun’e spe rienza di comunione, di fraternità. È questa bellezza chegenera ammirazione e amore.

Amiamo la Chiesa

Non trovo parole più semplici e nello stesso tempo più si-gnificative di quelle rivolte dal compianto mons. Cataldo Naroalla sua Chiesa di Monreale e che faccio mie: “Che cosa ammi-riamo nella nostra Chiesa tanto da non potere non amarla? Es-senzialmente la pre senza salvatrice del Signore risorto. Non al-tro. Non l’efficienza formativa delle sue strutture pastorali, lecui carenze sono evidenti. Non l’ef ficacia assistenziale del suoimpegno caritativo, che resta sempre poca cosa di fronte aglienormi bisogni del nostro stesso ambiente. Non la sua capa-cità di incidenza significativa nel mondo cir costante, che appa-re esigua. Non la diffusa con sapevolezza dei suoi membri cir-ca un loro com pito storico, che spesso neanche riesce amanife starsi. Non la loro esemplarità morale, che – pur troppo

22 K. LEHMANN, Vale la pena rimanere nella Chiesa e vivere per essa, in J. RAT ZINGER-K. LEHMANN, Vivere con la Chiesa, Queriniana, 2005, pp. 42 e 55.

23 J. RATZINGER, La bellezza. La Chiesa, Itaca, 2005, p. 44.

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accade – lascia a desiderare. Non tutto questo e altro ancorache, magari, ci può apparire grande e buono sul piano della vi-sibilità sociale e dell’importanza storica. Ad attrarre il nostrosguardo di ammirato stupore sulla Chiesa è pro priamente laGrazia del Signore Gesù che redi me l’uomo dal suo peccato elo rinnova, facen dolo capace di dialogo con Dio e dì fraternitàcon gli altri uomini. Nella Chiesa e nei suoi sacra menti attin-giamo la Grazia del Cristo. Ed è la Gra zia che fonda ogniaspetto buono della vita del la Chiesa”24.

L’amore alla nostra Chiesa è un’esigenza di gratitudine.Prosegue mons. Naro: “Nella Chie sa abbiamo ricevuto la fede.In essa siamo sta ti educati nella fede. In essa siamo cresciutinel rapporto con il Signore. In essa attingiamo il per dono diDio attraverso il sacramento della ricon ciliazione. In essa, par-tecipando all’eucaristia, ci nutriamo del corpo di Cristo e ci la-sciamo tra sformare nel corpo di Cristo. In essa siamo testi -moni della fede per gli uomini e per le donne del nostro tem-po e del nostro luogo. In essa viviamo l’esercizio quotidianodella fraternità. In essa riceviamo e diamo il perdono, come ciha comandato il Signore. In essa sperimentiamo il sostegno el’amicizia di tanti fratelli e di tante sorelle che ci accompagna-no nel nostro cammi no credente… Come non essere grati pertali immensi doni? E come non amare, perciò, la Chiesa che èstata nostra madre nella fede e che costantemente ci porta aCristo?”25.

24 C. NARO, Amiamo la nostra Chiesa, Monreale 2005, pp. 20-21.25 Ibidem, p. 23.

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Lasciamoci costruire come Chiesa

La Chiesa è prima di noi; essa ci è donata, in essa entria-mo e siamo accolti come nella nostra casa.

Siamo affidati alla maternità della Chiesa e nello stessotempo essa ci è affidata perché viva anche con il nostro con-tributo. Il nostro amore alla Chiesa deve condurci a farci cari-co di essa, a sentirla interamente nostra, a vivere una solida-rietà con tutti i suoi membri. Ma la condizione è che ci lascia-mo costruire noi stessi come Chiesa. La Prima Lettera di Pietroci ricorda: “Stringendovi a Lui, pietra viva, rigettata dagli uomi-ni, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impie-gati come pietre vive per la costruzione di un edificio spiritua-le, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali gradi-ti a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2,4-5).

Si parla di “pietre vive” e di “tempio spirituale”, come ad in-vitare a passare dall’edificio di pietra a quello formato dallepersone, dalla chiesa come edificio materiale alla Chiesa fattadi persone.

L’immagine richiama la pagina del secondo libro di Sa-muele, dove si narra del desiderio di Davide, giunto all’apicedel suo regno, di costruire una casa a Dio, ma il Signore permezzo del profeta Natan gli manda a dire: “Forse tu mi co-struirai una casa, perché io vi abiti?... Te il Signore farà grande,poiché una casa farà a te il Signore” (2Sam 7,5.11). Dalla casamateriale si passa a “casato o famiglia”.

Si tratta dunque di lasciarci costruire come tempio spiri-tuale, perché Dio possa abitare con gli uomini, sia in mezzo alsuo popolo; si tratta, di farci “impiegare” per formare una fa-miglia, la famiglia di Dio. Uomi ni e donne, di per sé estranei gliuni agli altri, ricevendo il battesimo che li inserisce nella Chie -

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sa, formano una famiglia in cui il legame reci proco tra gli ap-partenenti è lo Spirito Santo (“edi ficio spirituale”).

È bello pensare che la Chiesa è perennemente in costru-zione. Essa si edifica costantemente perché ci sono uomini edonne che si lasciano “costruire” come famiglia di Dio. “Pietraviva” è ognuno di noi; “pietre vive” sono i gruppi, le associa-zioni, i movimenti, gli organismi in cui si articola la comunitàcristiana. Una pietra viva non può avere la pretesa di costituiretutto l’edificio spirituale. Per la costruzione della Chiesa è fon-damentale il rapporto con la pietra angolare, che è Cristo. Per-ché cresca un edificio è necessario che una pietra venga ce-mentata con le altre, ognuna al suo posto; occorre prestarsi afarsi lavorare dal Signore e dallo Spirito Santo.

Partecipiamo alla vita e alla missione della Chiesa

Il Signore costruisce la sua Chiesa chiamando e dando aciascuno dei doni di cui deve, per quanto gli è possibile, farbeneficiare tutti gli altri.

Se, partecipando alla stessa vita, per mezzo della stessafede, lo stesso battesimo, lo stesso pane eucaristico “noi for-miamo un solo corpo nel Cristo, noi siamo membra gli uni de-gli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia dataa ciascuno di noi” (Rm 12,5-6). L’apostolo Pietro ci esorta: “Cia-scuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a serviziodegli altri, come buoni amministratori di una multiforme graziadi Dio” (1Pt 4,10).

La Chiesa si costruisce con i doni che vengono alle perso-ne perché esse li partecipino, facendone beneficiare tutti gli al-tri, secondo la misura voluta dal Signore. La Chiesa ha bisognodell’apporto di tutti per risplendere di quella bellezza che le ha

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procurato la morte e la risurrezione di Gesù, ma che è conti-nuamente offuscata dal peccato degli uomini.

La tentazione di vivere per se stessi, concentrandosi sullapropria edificazione personale, può essere forte, soprattutto incerti periodi della propria vita, ma pensiamo a tutte le grazieche ci sono giunte, grazie alla vita della comunità, dall’aiutodegli altri. Chi non ha trovato incoraggiamento sulla via delbene dalla testimonianza di una madre, di un padre, di uncompagno, di un confratello? Chi non ha ricevuto luce, confor-to, consolazione da una parola, da una visita, da uno scritto?Chi non ha sperimentato la forza della preghiera di persone acui si era raccomandato in qualche circostanza delicata?

Sono tanti i modi con cui possiamo costruire la Chiesa esentirci corresponsabili della sua missione.

Pensiamo alla preghiera di ogni giorno; all’esercizio delproprio lavoro ordinario, al fedele compimento del propriodove re, all’esperienza della propria sofferenza fisica o morale;pensiamo al servizio nella nostra par rocchia o in altri partico-lari compiti ecclesiali o, pure, in iniziative culturali o sociali oassisten ziali o di qualunque altro tipo e, più in generale,l’impegno per una società più giusta. In unione al Signore, tut-to diventa lavoro per Lui, collabo razione alla sua missione disalvezza.

Apparteniamo con gioia alla Chiesa

Un Padre della Chiesa ha scritto: “Beati noi che abbiamoDio come Padre”. Entrando dentro al mistero della Chiesa miviene da completare: “Beati noi che abbiamo la Chiesa comemadre”. Chi vive la vita della Chiesa arriva a identificarsi conessa.

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La Bibbia ci presenta esempi significativi di identificazione.Penso all’esperienza di Mosè che arriva ad identificarsi con ilsuo popolo al punto da rivolgersi a Dio in questi termini:“Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fat-ti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E seno, cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,31-32). Pao-lo, a sua volta, dichiara: “Vorrei essere io stesso anatema, se-parato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguineisecondo la carne” (Rm 9,3).

Il nostro amore alla Chiesa può e deve condurci a farcicarico di essa, a sentirla interamente nostra, a gioire per le co-se belle che vediamo in essa, a soffrire per quelle che non van-no, a promuoverne una visione corretta, a obbedirle filialmen-te, a criticarla anche ma con umiltà e con spirito costruttivoquando questo è dettato dal desiderio di tenere alta la conce-zione della vocazione cristiana e della sua missione.

Hans Urs von Balthasar dice: “Ciò che definisce il livellospirituale di un cristiano è il livello di scandalo che egli riesce asopportare nella Chiesa. Però quando sento dire ‘la Chiesa do-vrebbe’ mi pare che ciò equivalga a dire ‘io dovrei’. Anche per-ché dalla Chiesa ricevo molto di più di quanto io meriti; di piùdi quanto un uomo o una comunità cristiana possono offrire.Tocca a me, a noi, fare in modo che la Chiesa corrisponda me-glio alla sua reale natura”.

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Cuore pulsante della vita della Chiesa particolare è la Cat-tedrale. È qui che la comunità cristiana si raccoglie in unità, at-torno al Vescovo, per professare la fede e innalzare la sua pre-ghiera con una voce sola; per ascoltare la Parola di Dio e in-viare il vangelo dell’amore ad ogni persona che abita nel no-stro territorio.

Fin dalle origini, la comunità cristiana ha fatto propria so-prattutto un’immagine per descrivere se stessa: quella dell’e di -ficio, che abbiamo richiamato. Cristo è la pietra angolare e ilfondamento, gli apostoli le colonne, i credenti le pietre vive.Anche Sant’Agostino ricorreva volentieri alla metafora del can-tiere: “Mediante la fede – scrive nel Discorso n. 336 – gli uo-mini divengono materiale disponibile per la costruzione; me-diante il battesimo e la predicazione sono come sgrossati e le-vigati; ma solo quando sono uniti insieme dalla carità diven-gono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderissero tra di lo-ro, se non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa”.L’amore è la dimora di un Dio che “i cieli e i cieli dei cieli nonpossono contenere” (1Re 8,27). Eppure egli non ha disdegnatodi farsi piccolo, di assumere la nostra natura umana, di diven-

CAPITOLO SECONDO

La Cattedrale cuore della Diocesi

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tare pane spezzato perché avessimo la vita in abbondanza.Nella Cattedrale il mistero di Dio si intreccia con il misterodell’uomo e della Chiesa.

Questo ci testimoniano le nostre Cattedrali, quella di Cese-na e la Concattedrale di Sarsina, dall’alto di una storia che, ol-tre ad essere memoria di eventi decisivi ed espressione del ge-nio artistico, è segno di salvezza posto nel nostro tempo e nelnostro spazio. Riscoprirne il significato profondo ci aiuta a vi-vere in modo maturo l’appartenenza viva alla Chiesa che ci hagenerato alla fede e ci accompagna nell’amicizia col Signore.Entrando sempre più nel loro mistero, cadono tante prospetti-ve improprie o parziali; ci appaiono ingenui e ingiustificati iparticolarismi in cui talvolta ci chiudiamo; godiamo della bellez-za dell’eredità spirituale che abbiamo ricevuto e ci sentiremopienamente responsabili nel condividerla con ogni persona.

È quello che stiamo sperimentando, celebrando l’evento digrazia del Millenario della Concattedrale, che ci sta permetten-do di constatare come la chiesa cattedrale stia a significare lacontinuità e la storicità della comunità dei credenti, operantenei secoli in un determinato luogo. La Cattedrale porta scolpi-ti in se stessa i segni duraturi dell’incarnazione della Chiesa neltempo. Mentre, celebrandone il millenario, entreremo semprepiù dentro al significato della Concattedrale di Sarsina, vi invi-to ora a seguirmi brevemente in quello che potremmo definireun pellegrinaggio spirituale alla Cattedrale di Cesena, madre ditutte le nostre chiese e casa di tutte le nostre famiglie.

Chiesa nel cuore della città

Se questo vale per tutte le Cattedrali, guardando al nostroDuomo di Cesena ci appare quanto mai evidente: la Chiesa è

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così profondamente innestata nel tessuto vitale della città dacostituirne il centro geografico, il testimone saldo, una presen-za verso cui convergono le vie del quotidiano impegno cosìcome gli interrogativi e le speranze di molti.

Ho spesso richiamato, nei miei interventi, come la comu-nità cristiana non possa concepirsi se non in relazione. La suavocazione è quella di suscitare e riconoscere i segni dell’operadello Spirito attorno a sé. La Chiesa, insegna infatti il Concilio,“non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questosolo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’operastessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testi-monianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire enon ad essere servito”26.

Immersa nel dinamismo cittadino e aperta ad ogni suofermento e progetto di bene, la Chiesa non erige barriere fra sée la città degli uomini, di cui fa parte a pieno titolo. È questo ilpensiero che mi si affaccia ogni volta che, passando davanti al-la nostra Cattedrale, mi balza agli occhi una sua originale ca-ratteristica. Essa di fatto non ha un sagrato. O meglio, potrem-mo dire che nella nostra realtà sagrato e piazza si fondono: lospazio di Dio e quello della vita si attirano e si arricchisconoreciprocamente. Non per limitare e oscurare l’altro ma a indi-care quanto siano fecondi per la città i valori spirituali e quan-to sacra per il cristiano sia la responsabilità sociale. In tempi incui si discute tanto di laicità, in vario modo intesa, mi sembraprezioso il contributo che anche le pietre ci insegnano: traChiesa e mondo c’è una vicinanza insopprimibile, che deveportare a un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso,

26 Gaudium et spes, n. 3.

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nello sforzo di edificare insieme una società più umana e piùlibera.

C’è un altro insegnamento che ricavo dalla posizione stes-sa della nostra Cattedrale. Sappiamo che in origine, e per mol-ti secoli, a fianco di essa sorgeva l’ospedale di San Tobia, poiconfluito in quello del Crocifisso. Studiando la storia, vediamoche si tratta di una caratteristica frequente e non casuale: làdove si prega e si celebra l’eucaristia, si condividono anche lenecessità dei fratelli, non si è indifferenti al loro dolore e ci sifa incontro con parole di speranza e gesti di carità.

“Parleranno le pietre”

La profezia di Gesù – che ci riporta l’evangelista Luca(19,40) – si carica di numerose suggestioni in questo “viaggiodello Spirito” che la nostra Cattedrale ci invita a compiere. Nel-la sua semplicità e saldezza, essa è molto eloquente. È un mi-crocosmo, un piccolo universo.

Avvicinandoci da una delle diverse strade che qui conflui-scono, ci appare come un’unica grande pietra, una roccia sta-bilmente posta tra le nostre case. La sua stessa forma parla diunità e di robustezza. Di unità, in primo luogo: quella della co-munità dei credenti e, con uno sguardo ancora più ampio,l’unità dell’intera famiglia umana, che la Chiesa considera suodovere contribuire a realizzare, “affinché tutti gli uomini, oggipiù strettamente uniti da vari vincoli sociali, tecnici e culturali,possano anche conseguire una piena unità in Cristo”27. La ro-bustezza e lo slancio che allo stesso tempo promana dalle pie-tre, così povere e strettamente unite fra loro, ci offrono un ul-

27 Lumen gentium, n. 1.

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teriore invito a meditare sulla forza e sulla bellezza della co-munione.

La facciata della nostra Cattedrale non presenta ricchezzaarchitettonica e decorazioni di rilievo. A qualcuno potrebbeapparire fin troppo spoglia. In realtà, anche qui possiamo tro-vare un importante insegnamento. Un solo elemento è rifinitoe abbellito, tanto da attirare tutta l’attenzione: il portale. Mi pia-ce che si dia subito evidenza all’essenziale. La porta, infatti, èsimbolo di Cristo, che dichiara di se stesso: “Io sono la portadelle pecore. Se uno entra attraverso di me sarà salvo; entreràe uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9). La fede in Lui ci apreall’orizzonte di una vita vissuta in pienezza, ci spalanca perfinoi freddi battenti della morte. Non è però l’ingresso in una di-mensione virtuale, in cui trovare rifugio dai problemi della vitaquotidiana: come ci fa entrare nel mistero di Dio e nella veritàdell’uomo, così si spalanca per uscire, rinnovati dall’incontrocon Lui, verso ogni luogo e situazione, in cui Egli ci chiama eci attende. E se le porte materiali si chiudono, resta sempreaperto il cuore di Cristo. Egli continua a dire all’umanità biso-gnosa di speranza e di amore: “Venite a me, voi tutti che sieteaffaticati e oppressi, ed io vi ristorerò” (Mt 11,28).

Mi piace pensare come, tra coloro che varcano ogni gior-no le porte della nostra Cattedrale, ci siano anche molti turistie visitatori. Persone che faticano a vedere, nelle stesse pietre, laforza dell’amore di Dio. Sono però affascinati dalla bellezza,sensibili alle dimensioni non superficiali della vita. Magari desi-derosi di un attimo di pace e di tranquillità. A quante persone,nei seicento anni di vita, la nostra Cattedrale ha offerto gratui-tamente il suo tesoro più prezioso! Quanti incontri, quanti pro-getti! Quante parole ha ascoltato, dalle labbra o scovandole neicuori! Ognuno di essi, ne sono certo, è uscito con la consape-volezza di aver ricevuto un dono.

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Più che una sosta, un cammino

Entrando in Cattedrale, lo sguardo è subito spinto inavanti, verso la grande croce di rame che sovrasta l’altare. Aipiù attenti non sarà sfuggita un’altra croce dai bracci uguali,posta esternamente, alla sinistra della chiesa, nel piccolo giar-dino circostante: su una colonna, una croce di marmo ricordal’antica denominazione del luogo. E il cuore della nostra fede.

Il mistero d’amore che essa esprime è ciò verso cui si in-dirizza l’occhio della nostra fede e il senso del nostro andare.Ogni anno, nella notte del Venerdì santo, mi riempie di com-mozione vedere quell’interminabile colonna di gente che, attra-versate la città e la navata del Duomo, si inchina a baciare ilcrocifisso, con il gesto più forte ed eloquente che la fede ci facompiere davanti a un Amore così grande. È il senso di questocammino che l’intera aula della Cattedrale vuole sottolineare.

L’avete mai notato? Prima dell’altare, dove si celebra il sa-cramento della morte e della risurrezione, la chiesa si snodalungo sette imponenti arcate. Sono il simbolo del tempo, dellanostra vita che scorre avendo ben chiara davanti a sé la suadestinazione. Metafora del cammino quotidiano della fede so-no anche gli altri elementi racchiusi sotto le navate. Vi troviamoil Fonte battesimale e i confessionali, luoghi del perdono e del-la riconciliazione: i sacramenti della Chiesa sono i doni cheorientano, rinforzano e sostengono i nostri passi. A dirci chenon siamo soli nel cammino, ecco le immagini dei santi e lasplendida icona della Madonna del Popolo. Vengono in mentele belle espressioni della Lettera agli Ebrei: “Anche noi dunque,circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tuttociò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con per-severanza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguar-do su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,1-2).

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Le numerose immagini ci ricordano anche che la nostraChiesa è realmente Chiesa di santi, riconosciuti o nascosti, ve-re pagine di vangelo vissuto di cui siamo eredi. I santi sono lanostra storia, ma non si tratta soltanto di testimonianze delpassato: nella preghiera e nella liturgia sperimentiamo la co-munione tra noi che siamo pellegrini in questa terra e coloroche vivono nella luce del Risorto. Vivere e amare la nostraChiesa significa anche riconoscere il legame con chi ci ha pre-ceduto, in queste stesse strade e comunità, e accorgerci di es-sere innestati in una corrente di grazia che oltrepassa ogni no-stra possibilità e immaginazione.

Anche questo ci dicono le pietre della Cattedrale. Se leascoltiamo, scopriamo che “la Chiesa – ciascuna Chiesa localein comunione con le altre Chiese – è perennemente in costru-zione. Essa si edifica costantemente perché ci sono uomini edonne che si rendono disponibili a ‘farsi costruire’ come fami-glia di Dio. Contribuire alla continua costruzione della nostraChiesa diocesana implica, dunque, innanzitutto, prestarsi a far-si lavorare dal Signore come pietre che vengono squadrate peressere collocate con le altre pietre nell’intera costruzione. In al-tre parole, contribuire alla costruzione della Chiesa significa,essenzialmente, vivere il rapporto che ci lega al Signore Gesù,la pietra angolare su cui è costruita la Chiesa. Significa vivere lasantità”28.

I luoghi che generano la nostra Chiesa

Entrare in Cattedrale, dunque, significa entrare in una sto-ria e in un cammino. Bene lo esprime anche la liturgia, che ci

28 C. NARO, Amiamo la nostra Chiesa, cit., p. 30.

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mette in bocca queste parole: “In questo luogo santo tu ci edi-fichi come tempio vivo”.

Il battistero

Entrati in cattedrale, all’inizio della navata sinistra, si trovail Fonte battesimale. La vasca battesimale porta l’iscrizione inlatino: “Se uno non è rinato ad opera dell’acqua e dello SpiritoSanto non può entrare nel regno di Dio”. Il battesimo è la por-ta di ingresso nella comunità cristiana. Liberati dal peccato, ri-generati come figli di Dio, incorporati a Cristo come sue mem-bra, diventiamo partecipi della Chiesa e della sua missione.

Mi viene spontaneo collegare il battistero con tutti i batti-steri della diocesi, ma anche con quello della chiesetta del miopaese natale e penso al dono di sentirmi nella Chiesa come acasa mia, nella mia famiglia, al dono di tanti fratelli e sorellenella fede, dove ognuno è aiutato da altri a credere, sperare,amare.

Il pensiero per me corre alla veglia pasquale, nella cui ce-lebrazione da alcuni anni diversi catecumeni adulti, provenien-ti da diverse nazioni, anche intere famiglie, diventano cristiani.Sono il segno della maternità della nostra Chiesa che, ancoraoggi, nello Spirito Santo è resa feconda di nuovi figli. Il batte-simo di adulti mi porta a pensare alla responsabilità della fededi chi l’ha ricevuto da piccolo e alla necessità che la diocesi siprenda a cuore la cura della fede di ogni persona e nello stes-so tempo comunichi con gioia la sua fede.

I confessionali

Dal battistero lo sguardo si porta sui confessionali, doveviene amministrato il sacramento della riconciliazione. Lì, attra-

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verso il ministero del sacerdote, la ‘miseria’ umana si incontracon la ‘misericordia’ divina e il penitente può riprendere il suocammino con un ‘cuore nuovo’ e con speranza.

Si dice che le prime impressioni di un’esperienza non siscordano mai. Porterò sempre con me l’incoraggiante impres-sione avuta, quando, all’indomani della mia elezione a vescovodi questa diocesi, feci visita alla Cattedrale. Mi colpirono diver-si fedeli presso i confessionali in attesa di confessarsi.

È quanto avviene ogni giorno. Dobbiamo essere grati aicanonici della Cattedrale perché, attraverso il servizio delleconfessioni e la preghiera corale, contribuiscono a rendere bel-la la nostra Chiesa particolare.

L’altare

L’Eucaristia genera e fa vivere la Chiesa. Se la Cattedrale èil cuore della nostra Chiesa particolare, l’altare è il cuore dellaCattedrale. Esso, simbolo di Gesù Cristo, presente nella suaChiesa come sacerdote e offerta, è il grembo da cui la comu-nità cristiana è nata e continuamente si edifica grazie al nostrooffrire ogni quotidiano sacrificio, in unione con Lui, per la sal-vezza del mondo. L’altare ci ricorda inoltre la gioia del ban-chetto eterno al quale tutti siamo chiamati. Quando la nostraChiesa si riunisce per celebrare l’Eucaristia in Cattedrale, rinno-va la propria fede e guarda piena di speranza alla meta defini-tiva che l’attende.

Immagine della Chiesa incamminata verso la città santache scende dal cielo, “da Dio, pronta come una sposa adornaper il suo sposo” (Ap 21,2), la Cattedrale è anche segno di con-traddizione per molti. Non ho potuto non pensare ad essa, alnostro altare, imbattendomi in queste recenti parole di Bene-detto XVI a Sydney: “La Chiesa ci rammenta che, come questo

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altare, anche noi siamo stati consacrati, messi ‘a parte’ per ilservizio di Dio e l’edificazione del suo Regno. Troppo spesso,tuttavia, ci ritroviamo immersi in un mondo che vorrebbe met-tere Dio ‘da parte’. Nel nome della libertà ed autonomia uma-ne, il nome di Dio viene oltrepassato in silenzio, la religione èridotta a devozione personale e la fede viene scansata nellapubblica piazza. Talvolta una simile mentalità, così totalmenteopposta all’essenza del Vangelo, può persino offuscare la no-stra stessa comprensione della Chiesa e della sua missione.Anche noi possiamo essere tentati di ridurre la vita di fede aduna questione di semplice sentimento, indebolendo così il suopotere di ispirare una visione coerente del mondo ed un dia-logo rigoroso con le molte altre visioni che gareggiano perconquistarsi le menti e i cuori dei nostri contemporanei. E tut-tavia la storia, inclusa quella del nostro tempo, ci dimostra chela questione di Dio non può mai essere messa a tacere, comepure che l’indifferenza alla dimensione religiosa dell’esistenzaumana in ultima analisi diminuisce e tradisce l’uomo stesso.Non è forse questo il messaggio proclamato dalla stupendaarchitettura di questa cattedrale? Non è forse questo il misterodella fede che viene annunciato da questo altare in ogni cele-brazione dell’Eucaristia?”29.

Questo vale per l’altare di ogni Chiesa. L’altare della Catte-drale ha un significato peculiare per l’intera Diocesi. Là il Ve-scovo, circondato dai sacerdoti e ministri, celebra con tutto ilpopolo di Dio e per tutto il popolo, rendendo manifesta e ope-rante l’unità della Chiesa particolare. La Costituzione conciliareSacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia afferma: “Tutti de-

29 BENEDETTO XVI, Omelia nella Saint Mary’s Cathedral di Sydney, 19 luglio2008.

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vono dare la più grande importanza alla vita liturgica della dio-cesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chie-sa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione del-la Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolosanto di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattuttoalla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesi-mo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdotie ministri”30.

A questo altare si ricollegano idealmente tutti gli altari del-le varie chiese, su cui si celebra e si perpetua, nel rito della Ce-na pasquale, l’unico sacrificio redentore di Cristo.

Da questo altare sono partiti lungo i secoli e partono i sa-cerdoti che, consacrati dal Vescovo, lo rendono presente nellesingole comunità locali.

Da questo altare partono anche ogni anno per tutte leparrocchie gli “Oli santi”, consacrati dal Vescovo nella Messacrismale del giovedì santo, che l’azione dello Spirito Santo fastrumenti di consacrazione, di purificazione e di santificazionenei sacramenti e nei sacramentali.

Possiamo dire allora che la Cattedrale è centro di emana-zione e di irradiazione dell’attività salvifica e missionaria dellaChiesa particolare.

L’ambone

Accanto all’altare, l’ambone, da cui viene proclamata la Pa-rola di Dio, è la seconda mensa cui attingiamo per diventaresempre più conformi a Cristo. Se l’Eucaristia fa la Chiesa, la Pa-rola la convoca e ne illumina il cammino. La fede ci insegna

30 Sacrosanctum Concilium, n. 41.

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che grazie ad essa giungiamo a conoscere l’autentico volto diDio, a comprendere la grandezza della nostra umanità, il mi-stero della nostra vita sulla terra e il meraviglioso futuro che ciè riservato.

Non ci stancheremo mai di verificare lo spazio che lascia-mo alla Parola di Dio nella nostra vita personale e comunitaria.La Scuola della Parola, che ogni anno vede riempirsi la Catte-drale, vuole essere proprio una continua provocazione a met-terci in ascolto e in sintonia con l’immenso tesoro della Scrit-tura. Ne abbiamo bisogno noi, così come i nostri contempora-nei. Dobbiamo farne oggetto di lettura e approfondimentopersonale. Ma questo non basta: “Per non cadere nell’indi vi -dualismo – ci ricorda Benedetto XVI – dobbiamo tener pre-sente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire co-munione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio.Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è an-che una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chie-sa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva.Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola diDio è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendopresente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Pa-rola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi”31.

La cattedra

Strettamente legata all’altare e all’ambone è da considera-re la cattedra episcopale, da cui la stessa Cattedrale riceve ilnome. Essa, infatti, è la chiesa del Vescovo, da cui egli annun-cia e insegna, testimoniando con la sua vita che la misura au-

31 BENEDETTO XVI, Udienza generale, 7 novembre 2007.

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tentica della storia e dell’umanità è la croce di Cristo e il suomessaggio d’amore, bellezza e verità che salva il mondo.

La funzione di insegnare, nella Chiesa, non è un potere dicui servirsi, ma un servizio e una responsabilità: quella di far sìche a tutti giunga la Parola di Dio nella sua integrità e purez-za, così da poter fondare le nostre scelte sulla verità e discer-nere ciò che di buono e giusto incontriamo attorno a noi. Inquesto compito, il Vescovo è il primo a dover obbedienza aCristo e alla sua Parola. Ma non potrebbe assolvere al suo do-vere se non strettamente unito alla sua Chiesa: ai presbiteri eai diaconi, ai consacrati e a tutti i fedeli, cui il battesimo infon-de il dono e il compito di portare a tutti la Parola che salva. Peril Vescovo, come ricorda Benedetto XVI, “presiedere nella dot-trina e presiedere nell’amore, alla fine, devono essere una cosasola: tutta la dottrina della Chiesa, alla fine, conduce all’amore.E l’Eucaristia, quale amore presente di Gesù Cristo, è il criteriodi ogni dottrina”32.

Come all’altare si collegano idealmente tutti gli altari delladiocesi, così alla cattedra del Vescovo si ricollegano idealmen-te tutte le altre “cattedre”, che sorgono nell’intera diocesi, in tut-ti quei locali dove si fa formazione cristiana da parte di sacer-doti, religiosi e laici. Penso con gratitudine alla schiera di cate-chisti ed educatori, che con passione e abnegazione annuncia-no, spiegano la medesima Parola di Dio affidata alla Chiesa einterpretata autenticamente dal suo magistero in riferimentoalla vita delle persone per promuovere una mentalità di fede.

La Cattedrale, dunque, è il segno forte dell’unità della no-stra Chiesa locale, che si manifesta nella comunione attorno al

32 BENEDETTO XVI, Omelia nella Basilica di San Giovanni in Laterano, 7maggio 2005.

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Vescovo, unito al collegio dei vescovi che, attraverso un’inin -terrotta successione, si congiunge al collegio degli apostoli. Diquesta unità tra noi, con il successore di Pietro e con l’interaChiesa universale dobbiamo saper mostrare segni concreti eviverne tutta la fecondità spirituale. Lo facciamo ogni volta chela nostra Chiesa si raccoglie in Cattedrale per le grandi cele-brazioni della fede, lungo l’anno liturgico, e in tutti i significati-vi appuntamenti che ci vedono qui riuniti in preghiera. Pensoin particolare alla grande invocazione di pace, con cui tradizio-nalmente diamo inizio al nuovo anno, e alla Veglia di Penteco-ste, che fa della nostra Cattedrale un nuovo Cenacolo apertoall’irruzione dello Spirito.

Il nostro posto nella casa di Dio

Molte altre riflessioni potrebbe ispirare in noi la nostraCattedrale, con la sua storia e i suoi significati profondi. Mi au-guro che queste pagine siano comunque sufficienti ad alimen-tare la bellezza di appartenere alla nostra Chiesa e ci aiutino adentrare nel suo mistero con intelligenza e amore.

La Chiesa, lo sappiamo, non la costruiamo noi. Come hogià ricordato, è opera del Signore, e diventa nostra perché ci èdonata come spazio per incontrarlo e fare esperienza della suastessa vita. Senza la Chiesa saremmo troppo poveri e soli. So-prattutto, non saremmo pienamente noi stessi, perché è Leiche ci genera ad un’esistenza nuova e ci fa riconoscere il no-stro posto nel cuore di Dio. Per questo, al termine di questameditazione sulla nostra Cattedrale e prima di soffermarci sualcune prospettive e scelte pastorali che ci riguardano tutti,merita che facciamo nostra una celebre preghiera del Card.Anastasio Ballestrero:

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Quale sarà il mio posto nella casa di Dio? Lo so, non mi farai fare brutta figura, non mi farai sentire creatura che non serve a niente, perché Tu sei fatto così: quando serve una pietra per la tua costruzione, prendi il primo ciottolo che incontri, lo guardi con infinita tenerezza e lo rendi quella pietra di cui hai bisogno: ora splendente come un diamante, ora opaca e ferma come una roccia,ma sempre adatta al tuo scopo. Cosa farai di questo ciottolo che sono io, di questo piccolo sasso che tu hai creato e che lavori ogni giorno con la potenza della tua pazienza,con la forza invincibile del tuo amore trasfigurante? Tu fai cose inaspettate, gloriose. Getti là le cianfrusaglie e ti metti a cesellare la mia vita. Se mi metti sotto un pavimento che nessuno vede ma che sostiene lo splendore dello zaffiroo in cima a una cupola che tutti guardano e ne restano abbagliati, ha poca importanza. Importante è trovarmi là dove tu mi metti, senza ritardi. E io, per quanto pietra, sento di avere una voce:voglio gridarti, o Dio, la mia felicità di trovarmi nelle tue mani malleabile,per renderti servizio, per essere tempio della tua gloria.

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La parrocchia a servizio della fede delle persone

Uno sguardo di fede e di amore verso la nostra Cattedra-le ci ha introdotto ancor più in profondità nel mistero affasci-nante della Chiesa. Soprattutto, ha messo in luce come l’e -sperienza cristiana si nutra di figure, momenti e segni tutt’altroche secondari, perché attraverso di essi il Dio invisibile si ma-nifesta a noi e la sua azione si rende percepibile ed efficace. Seciò vale per i luoghi e le testimonianze del passato, a maggiorragione accade mediante le persone che vivono il Vangelo e lecomunità vive che lo incarnano ogni giorno.

Quali sono gli strumenti che, più di tutti, parlano dellaChiesa all’uomo contemporaneo e ne comunicano il pensiero,i gesti, l’intenzione profonda che la muove e dunque il sensostesso della sua esistenza? Mi sembra che siano soprattuttodue.

Certamente le persone incontrano la Chiesa e la sua vitaattraverso i mezzi di comunicazione sociale: quelli utilizzati epromossi dalla comunità cristiana e ancor più i grandi organidell’informazione televisiva e giornalistica. Senza entrare in

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CAPITOLO TERZO

La parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini

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un’analisi approfondita, non è difficile rilevare il grande servizioche essi offrono alla Chiesa, ma anche i limiti e le parzialità chene contraddistinguono l’operato. Un’attenzione critica e co-struttiva, in questo mondo complesso, non deve mai mancareda parte nostra.

Molto prima e ben più dei mass media, però, l’immaginediffusa di Chiesa passa attraverso l’esperienza diretta che ognipersona fa della comunità cristiana, che gli si presenta soprat-tutto nella parrocchia in cui vive. Che sia per il catechismo fat-to da bambini, la partecipazione più o meno frequente alle ce-lebrazioni e alle feste, un’iniziativa di carità o una propostaeducativa, il corso di preparazione al matrimonio o un giorna-lino diffuso nelle case, tutti nella loro vita incontrano la par-rocchia. In molti luoghi, essa è stata ed è tuttora un fattorefondamentale per lo stesso costituirsi del tessuto civile. Anchei non credenti la conoscono. Se la Cattedrale è il centro e ilcardine della vita e dell’unità della Chiesa locale, le parrocchiene sono le “cellule vive”, i rivoli della grande sorgente che cer-ca ogni uomo per dissetarlo con l’acqua della fede. Se è nellaChiesa diocesana che si ritrovano tutti gli elementi costitutividell’esperienza ecclesiale, delle parrocchie essa non può fare ameno per far giungere a tutti il vangelo di salvezza.

Quattro anni fa, nella mia prima Lettera pastorale alla no-stra Chiesa diocesana, ho già proposto alcune riflessioni sul“vasto mondo” della parrocchia, dono e responsabilità allostesso tempo, chiamata oggi a una “conversione pastorale” insenso missionario. Essa è infatti la linea avanzata dell’evan ge -liz zazione: se rimane fedele alla sua vocazione, la parrocchianon diventa un luogo chiuso e selettivo, ma un centro dinami-co e propulsivo attorno a sé. Non mi riferisco tanto alle inizia-tive o alle opere che la caratterizzano, ma alla sua capacità di

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educare alla fede, di essere segno sul territorio, di renderel’esperienza cristiana familiare e accessibile, accogliente e po-polare.

Tutto quello che abbiamo detto della Chiesa nel primo ca-pitolo lo possiamo dire della parrocchia. Essa è infatti la Chie-sa radicata in un luogo. La parrocchia è il grembo in cui si ègenerati alla fede; è uno spazio per credere; è il luogo dove sidiventa cristiani; è un modo di vivere il vangelo nel quotidiano.

Il compito fondamentale della parrocchia è di favorirel’incontro tra la fede cristiana e le condizioni di vita di ognigiorno. È proprio questo servizio reso alla fede ciò che devequalificare tutto il lavoro pastorale. “Ogni parrocchia si deveverificare costantemente su questo servizio essenziale che de-ve svolgere in favore di tutte le età: chiedersi se viene compiu-to, se si cercano le strade più idonee, se si vigila sui pericoliche la fede corre, se si ha rispetto e delicatezza per la fede deisemplici. Il volto missionario della parrocchia si manifesta làdove si offre a tutti la possibilità di crescere nella fede, di ren-dere possibile un autentico vissuto spirituale per il credentenella normale condizione di esistenza”33.

Ritengo che la parrocchia, prima di inventare qualcosa dinuovo, svolgerà bene il suo servizio anzitutto nella misura incui saprà rivitalizzare e vivere con fedeltà i tratti fondamentaliche la definiscono come Chiesa.

Anzitutto la parrocchia è al servizio dell’incontro persona-le con Gesù Cristo. “La comunità cristiana nasce sempredall’incontro personale con Gesù Cristo. Questo è il dato origi-nario e fondamentale: qualunque altra definizione della comu-

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33 R. CORTI, La parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini, in E. BIAN-CHI-R. CORTI, La parrocchia, Ed. Qiqajon, p. 88.

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nità… se non giunge ad identificare la propria origine nel -l’incontro personale con Cristo, individua un livello di defini-zione penultima. Non arriva all’essenza della comunità cristia-na. Uno è realmente membro della comunità cristiana a parti-re dall’incontro personale con Gesù Cristo”34. La parrocchiatrova poi il suo fulcro, la radice, il cardine della sua vita, nellaliturgia eucaristica domenicale. L’Eucaristia edifica, dà forma al-la Chiesa; essa è l’azione che rende i cristiani un solo corpo inCristo (cfr. 1Cor 10,17). L’Eucaristia plasma, dà forma alla vita dei cristiani e della comunità nella storia. Questa consape-volezza deve portare a celebrarla in “Spirito e Verità” (cfr Gv 4,23-24). Prendere la forma dell’Eucaristia per il cristiano eper la comunità vuol dire fondamentalmente fare dell’amore lalegge dell’esistenza.

Nella Lettera Pastorale sulla parrocchia, accanto ai tratti disempre, quasi come loro corollari, individuavamo anche alcunestrade nuove per rafforzare il tessuto missionario delle nostrecomunità. Molte di queste hanno gradualmente preso forma inmodo diffuso: penso ai Gruppi del vangelo, alla sperimenta-zione di nuovi percorsi di iniziazione cristiana, al catecumena-to e all’attenzione per le famiglie, specialmente quelle in situa-zione di crisi. Altre prospettive sono andate via via aggiungen-dosi negli anni successivi, come i “Dialoghi per la città”.

La missione passa dalla qualità dell’esperienza cristianache si fa nelle nostre comunità; dal modo di stare in essa e disentirla propria; dalla capacità di collaborare e di valorizzaretutti; da tante attenzioni, anche piccole, alle persone e ai fattidella vita.

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34 A. SCOLA, Come nasce e come vive una comunità cristiana, MarcianumPress, Venezia, 2007, p. 21.

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Nella parrocchia, guardando oltre la parrocchia

Il carattere popolare della Chiesa in Italia, la sua presenzaviva, sono legati alla rete capillare delle parrocchie. Perché que-ste continuino ad essere una risorsa importante è necessarioche superino la tentazione di ritenersi una “istituzione globale”,chiusa in se stessa, per cogliersi invece dentro ad una ecclesio-logia di comunione.

Due anni fa, incontrando i preti della diocesi di Albano,Benedetto XVI si è soffermato su alcune sfide pastorali, ri-spondendo a braccio alle loro domande. In quel dialogo, il Pa-pa parla di “Autotrascendenza della parrocchia”, in un duplicesenso: “Autotrascendenza nel senso che le parrocchie collabo-rano nella Diocesi, perché il Vescovo è il loro comune Pastoree aiuta a coordinare anche i loro impegni; e autotrascendenzanel senso che lavorano per tutti gli uomini di questo tempo ecercano anche di far arrivare il messaggio agli agnostici, allepersone che sono alla ricerca”35. Facile leggere dietro a questeespressioni ciò che, vent’anni fa, Giovanni Paolo II diceva aiparroci della diocesi di Roma: “La parrocchia deve cercare sestessa fuori di se stessa”36.

L’indicazione più immediata che sembra emergere da que-ste parole è quella di una parrocchia che non si concepisce co-me una struttura fine a se stessa, tentata di misurarsi in termi-ni di efficienza e di autosufficienza. Grande o piccola, urbana oextraurbana, la parrocchia non può mai concepirsi come unarealtà autoreferenziale, né i cambiamenti sociali e religiosi con-

35 BENEDETTO XVI, Incontro con il clero della diocesi di Albano, 31 agosto2006.

36 GIOVANNI PAOLO II, Incontro con il clero della diocesi di Roma, 18 feb-braio 1988.

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sentono che essa si limiti a soddisfare le “richieste sacramenta-li” di coloro che ad essa si rivolgono. Come tutti gli organismiviventi, la parrocchia vive di relazioni. Alcune di queste sonoessenziali al suo esistere e connaturate alla sua stessa identità;mi riferisco al rapporto della parrocchia con la Chiesa diocesa-na, con le altre realtà ecclesiali, con il territorio in cui è inserita.

Parrocchia e diocesi non sono due livelli burocratici di unamultinazionale della fede, che ha le sue filiali sparse nelle di-verse località. Anche la dizione “centro-periferia”, talvolta pre-sente nel nostro linguaggio, appare imprecisa per definire icontorni di una relazione che, ben prima che funzionale, è dinatura teologica e spirituale. Come la diocesi, la parrocchia è“Chiesa tra le case degli uomini”, ossia comunità di fede e dicarità, collocata in uno spazio e in una storia precisi, ma lo èin quanto indissolubilmente legata all’unica Chiesa particolare,raccolta attorno al Vescovo, in comunione con l’intera Chiesauniversale. Questo legame è l’autentica forza della parrocchia.Essere fedele ad esso la preserva dal ridursi ad un semplice,per quanto prezioso, luogo di socializzazione e di solidarietàumana, per divenire sempre più “comunità eucaristica”, con tutta la ricchezza e il dinamismo che questa espressione con-tiene37.

Parrocchie in rete, un’esigenza missionaria

Conseguenza immediata dell’essere generata dalla Chiesadiocesana, è per la parrocchia il modo di guardare e interagirecon le altre comunità parrocchiali della Diocesi. Anche qui il

37 Cfr. CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 47-49; cfr.GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, nn. 35-36.

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rapporto va oltre la semplice collaborazione all’insegna del ce-lebre motto “l’unione fa la forza”. Giustamente rileva il CardinalRuini che “la fonte prima e la ragione decisiva della ‘pastoraleintegrata’ non sono i cambiamenti sociologici attualmente incorso, ma l’essenza stessa del mistero della Chiesa, che è co-munione, anzitutto con le Persone divine e conseguentementetra noi, figli in Cristo di un unico Padre e abitati e animati daun medesimo Spirito”38.

In questa direzione, la nostra Chiesa diocesana si è giàdecisamente incamminata, soprattutto attraverso la scelta delleUnità pastorali. Alcune sono già state avviate, grazie all’ade sio -ne convinta delle parrocchie che le compongono; altre atten-devano una più chiara configurazione e stanno per mettersi inmoto; altre devono ancora superare resistenze da parte diqualche componente del popolo di Dio. Nella Lettera pastora-le “Abbiamo trovato il Cristo” (Gv 1,41). Testimoni di speranzanel mondo (2007-2008) ci siamo soffermati a darne una de-scrizione e i principi ispiratori (pp. 42-48). Ora siamo arrivatialla formulazione di un “Progetto globale”, che ristruttura tuttala Diocesi in Unità pastorali e in cui le parrocchie mantengonola loro soggettività. Mi sembra importante richiamare qui chetale scelta pastorale risponde non a una logica di “ingegneriapastorale”, ma vuole essere una traduzione dell’ecclesiologia dicomunione e missione. Si richiede quindi da parte di tutte lecomunità parrocchiali l’acquisizione di una mentalità di comu-nione e di apertura, che deve precedere e sostenere qualsiasiprogrammazione e impostazione pastorale. La necessità di unapastorale sempre più “integrata” riguarda tutti, perché essa in

38 CARD. CAMILLO RUINI, Prolusione alla 52ª Assemblea generale della Cei, 17 novembre 2003.

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definitiva “mette in campo tutte le energie di cui il popolo diDio dispone, valorizzandole nella loro specificità e al tempostesso facendole confluire entro progetti comuni, definiti e rea-lizzati insieme. Essa pone in rete le molteplici risorse di cui di-spone: umane, spirituali, culturali, pastorali”39.

Una pastorale di comunione e corresponsabilità “con ledifferenze che accoglie e armonizza al proprio interno, rende lacomunità in grado di entrare più efficacemente in comunica-zione con un contesto variegato, bisognoso di approcci diver-sificati e plurali, per un fecondo dialogo missionario”40. Èl’evangelizzazione, al di là di ogni difficoltà che possiamo in-contrare, che ci spinge e ci orienta nel tentare vie inedite e nonsempre facili.

A confermarci in questa scelta è uno dei criteri fondamen-tali dell’azione della Chiesa: l’attenzione alla vita dell’uomo. Algiorno d’oggi, con il crescere della mobilità delle persone – compresi i bambini e i ragazzi –, con l’accelerazione dei tem-pi e l’intensificarsi degli impegni quotidiani, nessuna imposta-zione rigida può venire incontro alle esigenze dei singoli e del-le famiglie, a cui non deve mai essere impossibile vivere conserenità e in pienezza la propria appartenenza alla Chiesa. Seciò non vuole assolutamente giustificare un certo “nomadismo”ecclesiale, più incline al dettato di una cultura individualista econsumista, ci deve però far interrogare sui modi con cui pos-siamo raggiungere non superficialmente le persone nelle lorocase e nei luoghi dove si svolge la giornata. Chiediamoci, dun-que, quanto i ritmi di vita delle parrocchie siano realmente ac-

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39 CEI, “Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3): testimoni del grande “sì”di Dio all’uomo, n. 25.

40 Ivi.

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cessibili agli adulti che lavorano e alle famiglie. La sfida che nerisulta è quella di articolare le comunità territoriali in una reteampia e di grande respiro, adeguata ad affrontare le grandiquestioni che l’uomo vive oggi.

Riconfigurare in questo senso l’azione pastorale va benoltre alcuni ritocchi marginali. Certo non basta, né è giusto, li-mitarsi a concentrare i servizi e a moltiplicare il peso sulle spal-le dei preti, dei religiosi e dei laici più impegnati. Al di là dei ti-mori che possono sorgere e delle nostre inadeguatezze, metterci da questo punto di vista ci offre diverse preziose pro-vocazioni, a cominciare dalla necessità di una ministerialitàdavvero ampia e inedita e dalle opportunità che ci si apronoper una presenza rinvigorita nel territorio. Un compito, questo, che nella società complessa e disarticolata non puòcerto essere affrontato da una parrocchia in modo solitario,ma richiede orizzonti di pensiero e di azione di ben più vasteproporzioni.

Il soggetto della “pastorale integrata”, in ogni caso, resta lacomunità cristiana. La parrocchia, anche nei nuovi scenari so-ciali ed ecclesiali, non viene scavalcata né dimenticata. Guai, in-fatti, se vedessimo nelle unità pastorali, nelle collaborazioni in-terparrocchiali o in altre esperienze, lo strumento per la crea-zione di “super-parrocchie”, in cui ritrovare i numeri e le possi-bilità che le singole comunità più non consentono. Non si trat-ta, infatti, di cambiare le dimensioni e le caratteristiche dellestrutture perché non si modifichino la nostra mentalità e leabitudini consolidate, ma semmai occorre agire proprio sullanostra mentalità e intelligenza pastorale, ascoltando l’espe -rienza e mettendo sapienza e creatività al servizio del vangelo.

Paradossalmente le Unità pastorali, nate sotto il segnodella comunione e della missione, ridurrebbero la missiona-

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41 CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 6.

rietà delle parrocchie se queste, accontentandosi dei camminidi fede attuati insieme alle altre parrocchie dell’Unità pastorale,non si curassero più di quella parte del popolo di Dio che, purnon partecipando a itinerari formativi sistematici, mantienequalche legame con la propria comunità. Vorrei richiamare quil’indicazione dei Vescovi: “Occorre incrementare la dimensionedell’accoglienza, caratteristica delle nostre parrocchie: tutti de-vono trovare nella parrocchia una porta aperta nei momentidifficili o gioiosi della vita. L’accoglienza , cordiale e gratuita, èla condizione prima di ogni evangelizzazione. Su di essa deveinnestarsi l’annuncio, fatto di parola amichevole e, in tempi emodi opportuni, di esplicita presentazione di Cristo, Salvatoredel mondo”41. Occorre credere nella preziosità del lavoro pa-storale quotidiano, rispondente alla logica del mistero dell’In -carnazione, superando la tentazione dello scetticismo ed evi-tando che si insinui il tarlo della delega e della deresponsabi-lizzazione.

Misuriamo sulla nostra capacità di aprirci agli altri e met-terci “in rete” un elemento non secondario della nostra matu-rità ecclesiale. Al fondo di tutto, infatti, sta il saper vivere, per-sonalmente e insieme, atteggiamenti quali l’umiltà e la passio-ne, l’obbedienza e la gratuità, la coscienza dei nostri limiti edella responsabilità che deriva dal nostro essere cristiani. “Tut-to ciò – notano opportunamente i Vescovi italiani – non èpossibile se non nasce ed è alimentato dalla consapevolezzache la comunione è dono di Dio, opera della sua iniziativa cherigenera la persona in Cristo e pone gli uomini in una nuovarelazione tra loro. Alla base della pastorale ‘integrata’, dunque,sta quella ‘spiritualità di comunione’ che precede le iniziative

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concrete e purifica la testimonianza dalla tentazione di cederea competizioni e personalismi”42.

La parrocchia, scuola di comunione

Tra i segni di speranza che riconosciamo nella Chiesa dioggi va sicuramente compresa la grande pluralità di antiche enuove esperienze, carismi, vocazioni e ministeri. Lo si può ri-scontrare anche nella nostra diocesi, pensando alla ricca pre-senza di istituti di vita consacrata, associazioni e movimenti,realtà culturali ed educative ispirate al vangelo. Si tratta di unpluralismo fruttuoso, che non è ossessionato dal giustificare sestesso, ma dispiega le proprie ricchezze mettendole a serviziodell’intera comunità cristiana. È una grande testimonianza,inoltre, il clima di sostanziale sintonia e rispettoso dialogo chene caratterizza le relazioni.

La Chiesa particolare è l’alveo vitale in cui ogni presenzapuò meglio comprendere se stessa e la sua partecipazioneall’unica missione della Chiesa, contribuendo così a farla cre-scere e ad abbellirla. Nessun dono dello Spirito, infatti, è datosenza che debba verificarsi, modellarsi e costruirsi nella comu-nione e nel discernimento della Chiesa.

La parrocchia è particolarmente provocata da questo fio-rire. Essa, ricorda il Concilio Vaticano II, per sua vocazione “of-fre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendoinsieme tutte le differenze umane che vi si trovano e le inseri-sce nell’universalità della Chiesa”43. Ciò che caratterizza questapiccola porzione di Chiesa, infatti, è la sua connotazione po-

42 Ivi.43 Apostolicam actuositatem, n. 10.

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polare. Posta quotidianamente a contatto con le gioie e idrammi, la fede e i dubbi delle persone di un territorio, la par-rocchia vive un’accoglienza a tutto campo e chiama tutte lecomponenti del popolo di Dio ad assumervi un ruolo attivo.Così essa può mostrare il suo tratto più originale: “essere unafamiglia aperta a tutti, capace di abbracciare ogni generazionee cultura, ogni vocazione e condizione di vita, di riconoscerecon stupore anche in colui che viene da lontano il segno visi-bile della cattolicità”44.

Se vissuta nella comunione e nel servizio, la varietà di pre-senze non è, per la parrocchia, una diminuzione o una novitàda subire, ma un aiuto alla sua stessa funzione. Parlando dellanecessità di una “fede adulta e pensata”, così si esprimono iVescovi italiani: “Alle risorse, a volte limitate di una realtà par-rocchiale, verrà in aiuto la sinergia tra più parrocchie, nonchéla relazione tra le comunità cristiane e le varie aggregazioni ec-clesiali presenti nel territorio; senza parlare delle associazioniprofessionali di ispirazione cristiana e dei vari centri e istituticulturali cattolici”45.

Valorizzare tutti, però, non significa appaltare settori dellapastorale o compiti specifici a seconda delle competenze e del-le sensibilità, ma far sì che si compenetrino, si diffondano eoperino in maniera concorde. Come in una famiglia, anche nel-la comunità cristiana non esistono realtà che si escludano o sifronteggino, ma diversità che si richiamano e richiedono reci-procamente. Se non tutti hanno lo stesso ruolo e le stesse re-sponsabilità, la dignità è la medesima e il contributo è parimen-

44 CEI, “Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3): testimoni del grande “sì”di Dio all’uomo, n. 20.

45 CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 50.

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ti essenziale. Allo stesso modo, ad ogni membro della famigliaè chiesto di anteporre il bene comune all’affermazione di sé.

“L’importante – potremmo concludere con le parole delCard. Martini – è non perdersi in confronti o paragoni, maproclamare: “Signore, tu regni in noi, noi siamo il tuo corpo, tuvivi attraverso le giunture e le diverse realtà che lo costituisco-no. E la contemplazione di questa pienezza di Dio in noi ci dàforza e serenità per compiere il nostro cammino ed esserestrumenti dell’evangelo dove e come Dio ci chiede di essere”46.

La comunione è il segno dell’amore

Al termine di questo viaggio all’interno dell’esperienza dif-fusa di Chiesa, con le sue domande e le sue prospettive, risal-ta in modo speciale come la radice profonda di ogni integra-zione pastorale, collaborazione e corresponsabilità, ciò che dàall’appartenenza ecclesiale il suo autentico significato, difen-dendola dalle nostre superbie, è solo un amore forte e incon-dizionato alla Chiesa, popolo di Dio, corpo di Cristo, tempiodello Spirito Santo.

Pur andando alimentandosi giorno dopo giorno e restan-do sempre una meta da raggiungere, tale amore è anche il ne-cessario fondamento di un’esperienza autentica di Chiesa. Perlo meno come desiderio e impegno sincero, come tensione in-tima e criterio di ogni scelta. A nulla servirebbero anche il piùelaborato progetto e le tecniche più raffinate: la comunionepastorale che non è coltivata nelle sue radici – l’Eucaristia e lapreghiera, l’ascolto della Parola e del Magistero – non può cer-

46 C. M. MARTINI, Dizionario spirituale. Piccola guida per l’anima, Piemme,Casale Monferrato, 1997, p. 32.

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to essere frutto di discussioni e di concertazione. Essa, piutto-sto, è indice della nostra fede ed esigenza della gratitudine chescaturisce dalla coscienza del dono che dalla Chiesa abbiamoricevuto e continuiamo a ricevere.

Amare la Chiesa significa amare Cristo, così come appar-tenere a Lui è appartenere al suo Corpo mistico, facendo no-stri gli stessi sentimenti che Egli ha avuto per i suoi: “Nessunoha un amore più grande di questo: dare la vita per i propriamici” (Gv 15,13). Non si ama in astratto, né si vive solo con latesta: l’amore si fa carico, è concreto, non teme le responsabi-lità, vede il bene nell’altro e suscita le sue qualità migliori. Perquesto, servono pazienza e preghiera, tenacia e fedeltà. Occor-re essere preoccupati più delle persone che delle iniziative, del“come” si vive in parrocchia tanto quanto del “che cosa” faccia-mo in essa. Amare la Chiesa attraverso la propria parrocchianon è facile. Talvolta essa ci appare scomoda e irriconoscente.In realtà, essa restituisce moltiplicato quanto le sappiamo do-nare, specialmente se si sente amata e non solo giudicata, par-tecipata e non solo caricata di attese.

Nel cammino del cristiano, la fede in Dio cambia radical-mente quando comincia a scoprirlo non come un’affermazionefilosofica, ma una persona vivente e infinitamente amorevole.Allo stesso modo, iniziamo a capire la Chiesa quando ci sen-tiamo suoi e la sentiamo interamente nostra, quando l’ap -partenenza alla comunità cristiana è per noi sinonimo di li-bertà. Una consapevolezza, questa, che non si può dare perscontata e che non si raggiunge una volta per sempre. D’al -tron de, amare è crescere insieme.

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Abbiamo iniziato la Lettera dicendo che l’intenzione nonera quella di fare un mini-trattato di ecclesiologia, ma di evi-denziare alcuni tratti della Chiesa particolarmente urgenti pervivere dal di dentro il suo mistero e per maturare una consa-pevolezza dell’appartenenza con quanto ne consegue.

Nel percorso tracciato sono emerse già indicazioni pasto-rali rilevanti e impegnative. Ora si tratta di unificarle in alcunelinee comuni offerte a tutta la Diocesi.

La catechesi sulla Chiesa

Mettere a tema la Chiesa potrebbe indurre a pensare chel’intento primo sia quello di portare ad intensificare l’attività ec-clesiale o a parlare di più della Chiesa.

Il Card. Ratzinger in un suo scritto ricorda: “Non di unaChiesa più umana abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa piùdivina; solo allora essa sarà anche veramente umana”47.

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CAPITOLO QUARTO

Orientamenti pastorali

47 J. RATZINGER, La Chiesa, cit., p. 46.

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La Chiesa che il cristiano d’oggi è chiamato a capire, adamare, ad aiutare, è una Chiesa inserita nella storia, che portanella sua carne in positivo e in negativo i segni della storia. Mala sua storicità è legata alla sua natura sacramentale e misteri-ca. Si ricordava che la Chiesa è sacramento, cioè segno e stru-mento di comunione con Dio e anche di comunione e di ri-conciliazione degli uomini tra di loro.

Il programma pastorale ci offre l’occasione di riprendereuna catechesi sistematica sulla natura e sulla missione dellaChiesa attraverso la Sacra Scrittura, le Costituzioni del Vatica-no II: la Lumen Gentium e la Gaudium et Spes, il Magistero.

Per la comprensione della Chiesa occorre prendere inconsiderazione i livelli in cui si realizza, procedendo dal più in-terno al più esterno.

Anzitutto va continuamente considerato il rapporto GesùCristo-Chiesa. Questa, come abbiamo sottolineato, non hasenso che in riferimento al mistero di Gesù Cristo annunciato,celebrato, testimoniato.

Va poi compresa quella particolare relazione che lega traloro tutti i discepoli di Gesù, la novità in cui sono costituiti eche dà origine a un modo nuovo di stare insieme e nel mon-do. È il tema, in particolare, della Chiesa come “communiosanctorum”: comunione alle cose sante, quindi comunità santi-ficante, ma anche comunione dei “santi”, di coloro che sonoresi santi dall’unione con Cristo.

Giovanni Paolo II ci parla della Chiesa come “casa e scuo-la di comunione”.

“La Chiesa – ricordava il Card. Angelo Bagnasco al Mee-ting di Rimini il 24 agosto scorso – offre ad ogni credentel’esperienza della casa… dove, a partire da Gesù, i volti noti, laconoscenza personale, l’amicizia concreta, l’appartenenza cor-diale, il confronto, la bellezza e la fatica delle relazioni umane,

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l’esercizio della pazienza e del perdono, la virtù della fiducia…sono pane quotidiano…”48.

L’appartenenza alla Chiesa non è racchiusa nel segretodelle coscienze individuali, ma è visibile.

La Chiesa è una realtà comunitaria sociologicamente iden-tificabile, formata da persone legate tra loro, da un credo, dariti, da regole e tradizioni. È attraverso l’adesione affettiva edeffettiva a tutti gli aspetti della sua identità che cresce il sensodell’appartenenza.

La Chiesa è un popolo che ha una sua storia e fa storia.L’esperienza della comunità cristiana non può essere confinatanell’ambito privato della persona. La Chiesa è necessariamentecoinvolta in tutta l’esperienza umana. Affermava ancora il Card.A. Bagnasco: “La Chiesa fa storia e, come sale e lievito, parte-cipa alla costruzione della storia universale. La Chiesa custodi-sce, infatti, la memoria della storia dell’uomo fin dalle origini: lamemoria della sua creazione, della sua dignità e della sua ca-duta. La memoria della sua redenzione in Cristo. È da questamemoria che essa guarda la storia vedendola sempre comestoria della salvezza”49.

Riassumendo, il primo impegno che possiamo assumere èquello di approfondire le parole principali sulla Chiesa: miste-ro, sacramento, corpo, tempio, popolo, comunione, missione.

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48 A. BAGNASCO, La Chiesa, un popolo che fa storia, discorso al Meeting diRimini, 24 agosto 2008.

49 Ivi.

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La crescita nella corresponsabilità della vita della Chiesa e la promozione dei ministeri

La riflessione ecclesiologica appena abbozzata ci permettedi individuare il terreno che favorisce l’esperienza di una realecorresponsabilità ecclesiale.

Ho sottolineato più volte che, più che le strutture, la veraricchezza della comunità cristiana sono le persone, ognunaportatrice di un dono particolare dello Spirito. Con il battesimo,ognuno è chiamato e messo in grado di essere “pietra viva” deltempio spirituale che è la Chiesa. La prima Lettera di Pietro ciesorta: “Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola aservizio degli altri, come buoni amministratori di una multifor-me grazia di Dio” (1Pt 4,10).

La formazione cristiana deve sviluppare nei credenti la co-scienza dell’appartenenza e quindi del dovere di una partecipa-zione alla vita della Chiesa. Occorre educare l’identità battesima-le di ogni cristiano, affinché prenda in mano responsabilmentela propria chiamata al servizio, conferita a “ciascuno” (cfr Ef 4,7).

La crescita di tutta la Chiesa nella ministerialità è legatamolto a persone che esercitano con umiltà e fedeltà il “mini-stero” loro conferito, soprattutto nelle funzioni essenziali dellacomunità: l’annuncio, la liturgia, la comunione, la carità.L’apostolo Paolo ricorda esplicitamente alcuni ministeri donatida Cristo “al fine di rendere idonei i fratelli a compiere (a lorovolta) il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4,12).Si tratta di rendere tutta la comunità “ministeriale”, cioè adultae responsabile (cfr. Ef 4,14).

La ministerialità normalmente è legata a persone, ma pos-siamo dire che essa, in senso lato, può riguardare anche grup-pi o associazioni; pensiamo alla “singolare forma di ministeria-lità” che è l’Azione Cattolica, ma anche alla ministerialità di fat-

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to, legata ad associazioni che operano in campo caritativo, co-me la S. Vincenzo e l’Unitalsi.

Entro una comprensione affettiva della vita e della missio-ne della Chiesa trovano una collocazione più armonica le tra-dizionali figure ministeriali, mentre si apre lo spazio per nuovefigure rese necessarie dal servizio al Vangelo oggi.

Richiamo quanto affermano i Vescovi italiani: “Attraversola situazione attuale lo Spirito pone senza dubbio alla Chiesa,con chiarezza e urgenza, la domanda di un rinnovato e forteimpegno di evangelizzazione e di missionarietà, mediante arti -colate forme di presenza e di azioni capillari e costanti ade -guate alla realtà e rispondenti alle concrete necessità. Un’evan -gelizzazione, si direbbe, intessuta e svolta dalla varietà dei mi -nisteri di cui la Chiesa dispone nella sua tradizione e nella suacreatività pastorale”50.

Vanno quindi promossi, accolti, sostenuti i ministeri ne-cessari alla vita e alla missione della Chiesa. Essi fioriranno inuna comunità che educa in particolare al gratuito, ad una con-cezione dell’esistenza come dono totale di sé, sull’esempio diCristo e con la sua forza.

La fioritura dei ministeri non sminuisce il ministero ordi-nato del sacerdote e del diacono; ne richiama anzi tuttal’urgenza e l’importanza. La figura del presbitero è infatti cen-trale per la promozione e il sostegno delle altre figure ministe-riali. Deve essere una gioia grande per un presbitero contem-plare la presenza operante dello Spirito Santo nel cuore e nel-la vita dei fedeli, coglierne le disponibilità a mettersi al serviziodel Regno di Dio, essere strumento di unità perché i doni diciascuno fruttifichino per l’utilità di tutti.

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50 CEI, Evangelizzazione e ministeri, n. 2.

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Non possiamo non sentire rivolte a noi le parole di Gesù:“La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunqueil Padre vostro celeste perché mandi operai nella sua messe”.

La cura delle vocazioni sacerdotali e religiose, nelle variefasi in cui si esprime nello sviluppo delle persone, deve esserepreoccupazione prioritaria di tutti, in particolare dei presbiteri.

Nuovi passi di comunione nell’attuazione della pastorale integrata e delle Unità Pastorali

Nelle scelte pastorali degli ultimi anni ci siamo lasciati ac-compagnare dal tema della pastorale integrata e, in essa, delleunità pastorali.

A partire dall’approfondimento dell’ecclesiologia di comu-nione e di missione vanno fatti nuovi passi di comunione. Neindico alcuni per le unità pastorali.

Siamo arrivati a definire la composizione delle unità pa-storali, senza peraltro dare a questa un carattere di definitività.Sarà il cammino concreto a suggerirci se operare o meno cam-biamenti.

Non possiamo tuttavia nasconderci un diverso grado dicoinvolgimento delle parrocchie nella presa di coscienza del si-gnificato e della definizione di unità pastorale, delle ragionidella scelta, del rapporto concreto tra le singole parrocchie el’unità pastorale, di che cosa entra in gioco, dei vantaggi chene possono derivare, delle necessità anche concrete che spin-gono ad andare in questa direzione.

Tutto questo genera un avvio faticoso, che a molti appareincerto, ad alcuni troppo affrettato, ad altri troppo lento. È ladifficoltà di vivere concretamente la comunione e di superarele resistenze naturali di fronte al nuovo.

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Occorre prendere coscienza del divario tra la riflessione eil cammino concreto delle comunità.

Quali passi in avanti possiamo fare nel nuovo anno pa-storale? Occorre prendere coscienza che il progetto di struttu-rare la Diocesi in unità pastorali è un progetto globale, cioènessuna parrocchia ne rimane fuori.

Dove non fosse ancora avvenuto, è importante riflettereinsieme sui principi che stanno alla base di questa scelta e chesono stati più volte illustrati.

La parrocchia va coinvolta anche sulla sua collocazione inuna unità pastorale concreta.

La pastorale d’insieme è fondamentale per unire le unitàpastorali all’azione delle parrocchie. Occorre convergere insie-me per formulare criteri comuni per le scelte pastorali.

Strumento importante per programmare insieme è il Con-siglio Pastorale di unità pastorale, che va quindi costituito.

Vanno individuati concretamente gli ambiti pastorali dacui si può partire per un’azione pastorale unitaria (Caritas, for-mazione dei catechisti, animatori liturgici, pastorale giovanile,pastorale familiare, catechesi degli adulti, Azione Cattolica…).Non importa quanti siano; l’importante è partire.

Va coordinato, a livello di unità pastorale, il calendario li-turgico.

Una particolare attenzione va data alle figure ministeriali,alla loro promozione, come si diceva, e alla loro formazione.

Va tenuta sempre presente la centralità del Vangelo: leunità pastorali non sono il fine della pastorale, devono esseresemplicemente strumento perché il Vangelo arrivi al cuore del-le persone, sia accolto e fruttifichi.

Con la passione del Vangelo va continuamente promossala spiritualità di comunione. Senza di essa anche gli strumenti

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esteriori per promuoverla “diventerebbero apparati senz’anima,maschere di comunione più che sue vie di espressione e dicrescita”51.

Il senso di appartenenza alla Diocesi

Ci siamo soffermati sulla Chiesa come “sacramento visibiledell’unità” dell’umanità. Sarebbe un brutto segnale se, con lasuddivisione dell’unica comunità ecclesiale in tante parrocchie, sicontribuisse a porre segni di frammentazione anziché di unità.

Nella meditazione sulla Cattedrale abbiamo cercato di evi-denziare il suo legame con tutte le altre Chiese. La celebrazionedel Millenario di Sarsina è un’occasione unica per approfondi-re il senso e la gioia di appartenenza alla Diocesi, simboleggia-ta nella Cattedrale. L’unità implica la comunione esplicita con ilPapa, il proprio vescovo, i presbiteri, tutti i fratelli di fede.

Credo di poter dire che in questi anni siamo cresciutinell’unità e nella comunione, a giudicare dai segni visibili, ecredo che questo faccia bene, sostenga, dia speranza. L’unitàtuttavia è sempre un traguardo che sta davanti a noi, mai pie-namente realizzato. C’è sempre un cammino di unità attorno alvescovo ancora da compiere. C’è un sentimento d’appar te -nenza alla Chiesa diocesana da far crescere. C’è un cammino diunità sul piano pastorale da promuovere tra le parrocchie.

Il nostro amore alla Chiesa locale passa anche attraversosegni di unità. Anzitutto cogliamo l’opportunità offertaci dallacelebrazione del millenario della Concattedrale di Sarsina. Lagrande partecipazione alle iniziative fin qui svolte è motivo diconsolazione e di incoraggiamento.

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51 GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 43.

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Prendiamoci a cuore anche gli altri segni ormai consolida-ti, come la marcia della pace il primo gennaio, la “Scuola dellaParola” in Cattedrale, la Veglia di Pentecoste, i “Dialoghi per laCittà”, i pellegrinaggi diocesani. Sono un po’ come la punta diun iceberg, l’emergere di un volto unitario che si costruisce sulterreno della concreta vita quotidiana della comunità ecclesiale.

La celebrazione dell’anno paolino

Dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 la Chiesa univer-sale celebra uno speciale anno paolino, indetto da Benedet-to XVI per ricordare il bimillenario della nascita dell’Apostolodelle genti. L’obiettivo indicato dal Papa è quello di riscoprire lafigura e gli scritti di San Paolo, meditando sulla profonda spi-ritualità di fede, speranza e carità, rivitalizzando così la nostrafede e la testimonianza pubblica.

È un’occasione che non possiamo lasciare cadere, impe-gnandoci ad accostare gli scritti di Paolo a livello personale ecomunitario. Mettendoci alla scuola di Paolo avremo la possi-bilità di approfondire le tematiche affrontate in questa Lettera,di lasciarci guidare nel prendere coscienza del significatodell’essere cristiani e dell’essere comunità cristiana.

A livello diocesano ci lasceremo guidare dal messaggiodi Paolo nella Scuola della Parola, che anche quest’anno, peril quinto anno consecutivo, sarà proposta in Cattedrale il se-condo venerdì del mese a partire dal 10 ottobre. La grandepartecipazione e i buoni frutti che sta dando mi portano a pro-seguire su questa strada, incoraggiando a riproporre l’iniziativanelle Unità Pastorali.

Anche i ritiri per il clero si rifaranno al pensiero di Paolo. Infine, nella prima metà di luglio, si svolgerà il Pellegri-

naggio diocesano in Turchia sui passi dell’Apostolo Paolo.

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A conclusione di questa lettera, che affido a tutti i fedelidella Diocesi, vorrei ritornare sul titolo: “Amiamo e viviamo laChiesa”. È un desiderio grande che porto nel cuore ed è uncompito che affido a tutti. Ma è anche un dono che invito achiedere nella preghiera. Chiediamo al Signore la grazia di im-parare ad amare la Chiesa. Non una Chiesa secondo i nostrigusti, ma quella reale che vive oggi nel mondo e che il Signo-re continuamente edifica. Chiediamo di amarla e viverla nonoccasionalmente, ma con tutto il cuore e con la nostra parteci-pazione attiva, condividendo la sua vita. Chiediamo di amarlasecondo il dono che abbiamo ricevuto. Chiediamo la grazia diamare la Chiesa a tutti i livelli in cui si realizza e di mantenerlavitalmente legata alla tradizione ricevuta e pienamente immer-sa nell’oggi: come il sale che preserva dalla corruzione e da sa-pore alla realtà, come il lievito che fa fermentare, come la luceche rischiara il cammino. Chiediamo la grazia di volere con tut-to noi stessi il suo bene: la realizzazione del progetto di Dio sudi lei che prende forma nella storia.

Ci sostenga nel nostro cammino la Vergine Maria, nostraMadre, che veneriamo nella Cattedrale di Cesena con il titolo di“Madonna del Popolo” e nella Concattedrale di Sarsina con iltitolo di “Annunciata”. A Lei guardiamo come all’immagine per-

CONCLUSIONE

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fetta della Chiesa, “segno di consolazione e di sicura speranza”nel pellegrinaggio della nostra vita.

Maria ci aiuti ad amare e a vivere la Chiesa con cuore gra-to, gioioso e generoso.

Tutti e ciascuno benedico di cuore.

Cesena, 8 settembre 2008Festa della Natività della Beata Vergine Maria

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Introduzione pag. 3La prima comunità cristiana “ 6

Capitolo primo – IL DONO INESTIMABILECapitolo primo – E LA RESPONSABILITÀ Capitolo primo – DI APPARTENERE ALLA CHIESA “ 7

Gesù Cristo e la Chiesa “ 9La santità della Chiesa “ 12La Chiesa segno e strumento di unità “ 15La Chiesa mistero di comunione “ 18La Chiesa missionaria “ 20Vivere nella Chiesa e con la Chiesa “ 23Amiamo la Chiesa “ 24Lasciamoci costruire come Chiesa “ 26Partecipiamo alla vita e alla missione della Chiesa “ 27Apparteniamo con gioia alla Chiesa “ 28

Capitolo secondo – LA CATTEDRALECapitolo secondo – CUORE DELLA DIOCESI “ 31

Chiesa nel cuore della città “ 32“Parleranno le pietre” “ 34Più che una sosta, un cammino “ 36

I N D I C E

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I luoghi che generano la nostra Chiesa pag. 37Il battistero “ 38I confessionali “ 38L’altare “ 39L’ambone “ 41La cattedra “ 42Il nostro posto nella casa di Dio “ 44

Capitolo terzo – LA PARROCCHIA: CHIESA CHE VIVE Capitolo terzo – TRA LE CASE DEGLI UOMINI “ 47

La parrocchia a servizio della fede delle persone “ 47Nella parrocchia, guardando oltre la parrocchia “ 51Parrocchie in rete, un’esigenza missionaria “ 53La parrocchia, scuola di comunione “ 57La comunione è il segno dell’amore “ 59

Capitolo quarto – ORIENTAMENTI PASTORALI “ 61La catechesi sulla Chiesa “ 61La crescita nella corresponsabilità della vita della Chiesa e la promozione dei ministeri “ 64Nuovi passi di comunione nell’attuazione della pastorale integrata e delle Unità Pastorali “ 66Il senso di appartenenza alla Diocesi “ 68La celebrazione dell’anno paolino “ 69

Conclusione “ 71