avere 17 anni a sarajevo - a. gregolin

2
Avere 17 anni a Sarajevo testo foto di Antonio Gregolin Darko non ha mai conosciuto suo padre. Lo uccisero a Sarajevo nel 1992, pochi mesi prima della sua nascita, mentre difendeva la città assediata. Il passato sembrava sepolto, fino a quando il ragazzo ritrovò suo padre… nelle immagini di un documentario. L a guerra e l’innocen- za. Il dramma e la vo- lontà di avere una vi- ta normale. Un’esigenza vita- le come il pane per chi passa attraverso un’esperienza vio- lenta. Un diritto riconosciuto dai trattati internazionali, ma guadagnato a fatica e in tem- pi lunghi. Alla fine la vita ri- conquista la normalità, inter- rando i ricordi e il passato. Ma arriva il giorno in cui la storia individuale e colletti- va presenta il conto e ti viene a cercare, ti ricorda che c’eri. È accaduto a Darko Polunic, 17 anni, di Sarajevo (Bosnia- Erzegovina), nato sotto le gra- nate, nel 1992. Porta lo stes- so nome del padre, trucidato dai serbi all’età di 26 anni, una tra le prime vittime di quella tragica pagina di storia che è stato il conflitto nella ex Jugo- slavia: quattro anni e migliaia di morti civili nelle città asse- diate, proprio alle porte del- l’Europa. Un dramma che ora rischia di cadere nell’oblio sotto la lente dei diversi re- visionismi nazionalistici. A quattordici anni da quei fatti, la Bosnia ha poche risposte da da- re, mentre sono mol- te le domande che resta- no in sospeso, specialmen- te per chi, in quegli anni, ha perso i propri cari. Una pesante eredità che oggi ricade sulle nuo- ve genera- zioni. Nato in guerra Per Darko e per i ragazzi del- la sua età nascere nel 1992 a Sarajevo, sotto l’assedio, è sta- to come affacciarsi all’inferno. Oggi vivere lì significa cresce- re in una città ansiosa di can- cellare le tracce del passato, senza però mai riuscirci del tutto. Io e Darko ci siamo in- contrati grazie all’Associa- zione di volontariato «Insie- me per Sarajevo» di Vicenza, che, dal 1997 e fino al 2005, ha aperto un canale di acco- glienza tra famiglie bosnia- che e vicentine. Per molti an- ni Darko è venuto a casa mia, ospite per un mese. Un’espe- rienza che nel tempo ha in- staurato un fraterno affetto. Di rado, in quei periodi, par- lavamo della guerra. Ma, an- no dopo anno, intuivo che le emozioni stavano maturando in lui. Le tinte delicate del- l’infanzia trascoloravano in quelle forti dell’adolescenza. L’emozione più sconvolgente era quella legata all’evento che più aveva determinato la sua vita: il 13 giugno 1992, pochi mesi prima della sua nascita, il padre era stato colpito da un cecchino in una delle trincee di Trebic, periferia di Saraje- vo, mentre era appostato a di- fesa della città contro gli at- tacchi serbi. Così, prima an- cora di vedere la luce, Darko era già orfano. Un padre «spe- ciale» il suo, che era andato a difendere la città e i suoi abi- tanti da una feroce aggressio- ne a fianco dei musulmani, pur essendo lui un cattolico con madre serba e padre croa- to. «Non era un nazionalista – racconta oggi Zvonco Polu- nic, 75 anni, nonno e padre putativo di Darko –, cercava di difendere dai vili colpi de- gli aggressori la popolazione inerme…». Una storia di ordi- nario eroismo in Bosnia. Un dramma tra i drammi, di cui ancor oggi gli abitanti di Sa- rajevo non sanno farsene una ragione. Venne il giorno «Il sangue e le lacrime hanno lo stesso colore, in ogni par- te del mondo…» mi raccon- tava nel 1997, in uno dei miei tanti viaggi come reporter in Bosnia, un’anziana profuga musulmana, mentre aspet- tava giorno e notte il ritorno dei suoi figli scomparsi a Go- razde. Darko, però, non l’ho mai visto piangere. Raccon- tava di suo padre come glielo avevano raccontato. Rimane- va una figura dalle tinte sbia- dite. Lo spirito di quel padre riviveva nel nonno paterno, Zvonco. Passavano gli anni e lui cresceva in una Sarajevo che sembrava seguire la rapi- dità del suo sviluppo fisico, di promettente cestista di palla- canestro. Da città distrutta a capitale risorta, con vecchie cattedrali e nuove moschee che cercano di ricordare la convivenza etnica, fiore all’oc- chiello di Sarajevo, prima del 1992. Oggi la città è una per- la tornata al suo antico splen- M ESSAGGERO DI SANT ’A NTONIO 32 | luglio-agosto 2009 STORIE DI VITA L’EREDITà DELLA GUERRA M ESSAGGERO DI SANT ’A NTONIO luglio-agosto 2009 | 33

Upload: pierluigi-bonifaci

Post on 07-Mar-2016

217 views

Category:

Documents


5 download

DESCRIPTION

Darko non ha mai conosciuto suo padre. Lo uccisero a Sarajevo nel 1992, pochi mesi primadella sua nascita, mentre difendeva la città assediata. Il passato sembrava sepolto,fino a quando il ragazzo ritrovò suo padre… nelle immagini di un documentario.

TRANSCRIPT

Avere 17 anni a Sarajevotesto foto di A n t o n i o G r e g o l i n

Darko non ha mai conosciuto suo padre. Lo uccisero a Sarajevo nel 1992, pochi mesi prima della sua nascita, mentre difendeva la città assediata. Il passato sembrava sepolto, fino a quando il ragazzo ritrovò suo padre… nelle immagini di un documentario.

L a guerra e l’innocen-za. Il dramma e la vo-lontà di avere una vi-

ta normale. Un’esigenza vita-le come il pane per chi passa attraverso un’esperienza vio-lenta. Un diritto riconosciuto dai trattati internazionali, ma guadagnato a fatica e in tem-pi lunghi. Alla fine la vita ri-conquista la normalità, inter-rando i ricordi e il passato. Ma arriva il giorno in cui la storia individuale e colletti-va presenta il conto e ti viene a cercare, ti ricorda che c’eri. È accaduto a Darko Polunic, 17 anni, di Sarajevo (Bosnia-Erzegovina), nato sotto le gra-nate, nel 1992. Porta lo stes-so nome del padre, trucidato dai serbi all’età di 26 anni, una tra le prime vittime di quella tragica pagina di storia che è stato il conflitto nella ex Jugo-slavia: quattro anni e migliaia di morti civili nelle città asse-diate, proprio alle porte del-l’Europa. Un dramma che ora

rischia di cadere nell’oblio sotto la lente dei diversi re-visionismi nazionalistici. A quattordici anni da quei fatti, la Bosnia ha poche risposte da da-re, mentre sono mol-

te le domande che resta-no in sospeso, specialmen-

te per chi, in quegli anni, ha perso

i propri cari. Una pesante eredità che oggi ricade sulle nuo-ve genera-zioni.

Nato in guerra Per Darko e per i ragazzi del-la sua età nascere nel 1992 a Sarajevo, sotto l’assedio, è sta-to come affacciarsi all’inferno. Oggi vivere lì significa cresce-re in una città ansiosa di can-cellare le tracce del passato, senza però mai riuscirci del tutto. Io e Darko ci siamo in-contrati grazie all’Associa-zione di volontariato «Insie-me per Sarajevo» di Vicenza, che, dal 1997 e fino al 2005, ha aperto un canale di acco-glienza tra famiglie bosnia-che e vicentine. Per molti an-ni Darko è venuto a casa mia, ospite per un mese. Un’espe-rienza che nel tempo ha in-staurato un fraterno affetto. Di rado, in quei periodi, par-lavamo della guerra. Ma, an-no dopo anno, intuivo che le emozioni stavano maturando in lui. Le tinte delicate del-l’infanzia trascoloravano in quelle forti dell’adolescenza. L’emozione più sconvolgente era quella legata all’evento che più aveva determinato la sua vita: il 13 giugno 1992, pochi mesi prima della sua nascita, il padre era stato colpito da un cecchino in una delle trincee di Trebic, periferia di Saraje-vo, mentre era appostato a di-fesa della città contro gli at-tacchi serbi. Così, prima an-cora di vedere la luce, Darko era già orfano. Un padre «spe-ciale» il suo, che era andato a difendere la città e i suoi abi-tanti da una feroce aggressio-ne a fianco dei musulmani,

pur essendo lui un cattolico con madre serba e padre croa-to. «Non era un nazionalista – racconta oggi Zvonco Polu-nic, 75 anni, nonno e padre putativo di Darko –, cercava di difendere dai vili colpi de-gli aggressori la popolazione inerme…». Una storia di ordi-nario eroismo in Bosnia. Un dramma tra i drammi, di cui ancor oggi gli abitanti di Sa-rajevo non sanno farsene una ragione.

Venne il giorno «Il sangue e le lacrime hanno lo stesso colore, in ogni par-te del mondo…» mi raccon-tava nel 1997, in uno dei miei tanti viaggi come reporter in Bosnia, un’anziana profuga musulmana, mentre aspet-tava giorno e notte il ritorno dei suoi figli scomparsi a Go-razde. Darko, però, non l’ho mai visto piangere. Raccon-tava di suo padre come glielo avevano raccontato. Rimane-va una figura dalle tinte sbia-dite. Lo spirito di quel padre riviveva nel nonno paterno, Zvonco. Passavano gli anni e lui cresceva in una Sarajevo che sembrava seguire la rapi-dità del suo sviluppo fisico, di promettente cestista di palla-canestro. Da città distrutta a capitale risorta, con vecchie cattedrali e nuove moschee che cercano di ricordare la convivenza etnica, fiore all’oc-chiello di Sarajevo, prima del 1992. Oggi la città è una per-la tornata al suo antico splen-

M e s s a g g e r o d i s a n t ’ a n t o n i o

32 | l u g l i o - a g o s t o 2 0 0 9

storiedi vita l’eredità della guerra

M e s s a g g e r o d i s a n t ’ a n t o n i o

l u g l i o - a g o s t o 2 0 0 9 | 33

animali: cavalli, tartarughe, asini. Mi è capitato solo po-che volte di chiedergli quanto gli mancasse il padre. Mi ha sempre risposto con un’alza-ta di spalle. Un segno di timi-dezza e sensibilità, non certo di indifferenza. Un padre non si può dimenticare. E non si può cancellare una guerra. A Darko è successo che sia l’uno

dore, incastonata però in un territorio incapace di occul-tare le ferite di guerra. Splen-de la città, perché tutto il re-sto rimane un cattivo ricordo. Darko ha avuto la fortuna di vivere in questa rinascita. A 16 anni ha intrapreso gli studi di veterinaria, sulla base del-le esperienze che aveva fatto in Italia, a casa mia, con gli

sia l’altra rientrassero prepo-tentemente nella sua vita, at-traverso delle immagini viste per caso.

Il dramma diventato film Planet Sarajevo è un lungome-traggio approdato a Sarajevo nel settembre scorso e proiet-tato in molti festival cinema-tografici nel mondo. Un rac-conto a fotogrammi sulle vi-cende belliche, viste con un occhio naif da Sahin Sicic, ci-neasta bosniaca, che durante il conflitto girava in presa di-retta gli eventi. Non è il «so-lito» documentario degli or-rori. Esso fotografa momenti di quotidiana «follia» dei so-pravissuti all’assedio. Vecchi e animali, bambini e nonni, morti e vivi, sono i protago-nisti di Planet Sarajevo, che ha ricevuto alcuni importanti ri-conoscimenti internazionali. A Darko avevano sempre rac-contato che, durante i giorni bui, una ragazza aveva ripre-so lui e i suoi famigliari con una telecamera. Quando è an-dato a vedere il film, non im-maginava di essere lui uno dei protagonisti. Lo ha scoperto non appena sullo schermo ha visto il volto pieno di dolore della mamma Nada e dei non-ni Zvonco e Radostiva ai fune-rali del padre. Poi le immagi-ni di lui nella culla, all’ospe-dale, in sottofondo, il rumo-re delle bombe. Per Darko è stato un colpo allo stomaco. «Ricordo che mi misi a pian-gere…» mi ha detto. La guer-ra era tornata.

Una verità anche per me… Quel pugno è arrivato in fac-cia anche a me, quando, nel febbraio scorso, sono torna-to a Sarajevo, nella sua casa. «Voglio che tu veda questo dvd» mi ha chiesto Darko, mentre eravamo riuniti con

È tutta vicentina l’Associazione «Insieme per

Sarajevo», nata nel 1996, all’indomani della guerra bosniaca. Già dal 1995 alcune famiglie di Vicenza avevano ospitato dei bambini di Sarajevo o avevano avuto contatti diretti con la realtà della guerra. Da questa prima esperienza è maturata la consapevolezza che fosse urgente svolgere un’azione di supporto e aiuto ai minori orfani e profughi di guerra. Da allora, l’Associazione, che oggi conta oltre 150 volontari, sostiene in vario modo i bambini, le famiglie e alcuni progetti di microcredito in tutta la Bosnia. Nata dall’impegno di poche persone,

oggi l’Associazione si estende in diversi comuni della provincia vicentina e ha numerosi rapporti sia con le istituzioni locali che con quelle bosniache. Nell’assediata Sarajevo, nel 1995, la locale Caritas fondò, presso il monastero Sv. Vinko, una mensa per i poveri. Dal 1999 la cucina è aperta a tutti i poveri ed emarginati di Sarajevo: il cibo viene preparato, caricato in contenitori termici e distribuito nelle chiese. Per mantenere il servizio attivo, la Caritas può contare unicamente su contributi internazionali. L’Associazione «Insieme per Sarajevo» si è impegnata a supportare

e incrementare mensilmente il servizio dei pasti per

i poveri:

un pasto costa euro 0,80. A gennaio 2004, con il progetto «Un pane per strada», sono stati consegnati circa 4.500 euro, grazie alla raccolta fatta dai gruppi di Vicenza di San Pio X e Sant’Andrea e alle donazioni di privati. Del 2006 sono altre due iniziative: «Assistenza domiciliare a Kakanj», per il sostegno, l’assistenza e le cure degli anziani della comunità e «Sostegno ai disabili di Rudo», realizzata insieme alla regione Veneto. Oggi, dopo aver chiuso il capitolo accoglienza dei bambini in Italia, l’associazione sta concentrando gli sforzi per il sostegno dell’economia di base. Finanzia, cioè, progetti di microcredito per aiutare piccole realtà agrarie nell’area di Kakanj, sotto il coordinamento del parroco cattolico. don Mariam Mariasky. Tra gli scopi, quello di aiutare la

sempre più esigua comunità cristiana nell’area.

Per informazioni: Associazione «Insieme per Sarajevo» onlus, www. sarajevo.it; tel. 0444 923836

Insieme... per SarajevoZoomZoom

la sua famiglia. «Ora? Meglio stare con te…» gli ho rispo-sto, senza minimamente im-maginare. Ho accettato la sua richiesta spinto dal cambia-mento d’umore dei famigliari presenti. Di lì a poco, e men-tre il filmato scorreva in te-levisione, vedevo arrossar-si gli occhi di mamma Na-da e nonna Radostiva, men-tre il nonno era costretto a prendere una pastiglia per il cuore. «Questo sono io…» mi ha detto Darko, indicandomi un bimbo avvolto in fasce. «Quello lì è mio papà morto, all’obitorio… Questo invece è il suo funerale…» spiegava il ragazzo, mentre mi mostrava la sua «storia in presa diret-ta». Aveva davanti tutto ciò

che gli era stato risparmia-to. Dopo tanti anni, Darko mi offriva ciò che mi aveva sempre raccontato con parsi-monia. La sua verità ora mi entrava dentro con una cru-deltà che non lasciava paro-le. Era il suo lato oscuro che veniva a galla. La storia ave-va squarciato la normalità. Nonno Zvonco era visibil-mente provato: «Disastro, di-sastro…» ripeteva. Poi ha ag-giunto: «Dopo che seppi che mio figlio era stato ucciso, fui costretto ad andare per venti giorni di seguito dai milizia-ni serbi, chiedendone il cor-po. Pretesero soldi. Mi pic-chiarono e mi cacciarono ri-petutamente. Chiedevo solo un po’ di pietà per i sei gio-

vani uccisi. Ma in guerra, in questa nostra guerra, la pie-tà era morta ancor prima. Al ventesimo giorno, dopo aver riscosso i soldi, concessero i corpi uno ad uno, costringen-doci a una lunga marcia fu-nebre». I ricordi si somma-vano alle immagini del tele-visore, come un fiume in pie-na. «Per me papà è stato un eroe!» ha detto Darko con fare dolce. «Non l’ho cono-sciuto, ma so perché è mor-to. Questo mi basta!». Il film era finito, il silenzio invade-va il piccolo appartamento a Sarajevo. Un angolo «sacro», da cui ricostruire la Sarajevo di oggi. Non dimenticare, ma ricordare di essere «figli» di questa terra. n

Crescere dopo la guerraBambini sui palazzi sventrati dalle bombe e dall’artiglieria, simbolo di un’intera generazione che ha vissuto l’infanzia nell’immediato dopoguerra, tra il peso del passato e la voglia di rinascere.

Costruire il futurola firma per finanziare il microcredito a Kakanj. Pagina precedente: la nuova Sarajevo rinasce dal suo dramma. Sotto il titolo: darko Polunic.

M e s s a g g e r o d i s a n t ’ a n t o n i o

34 | l u g l i o - a g o s t o 2 0 0 9

storiedi vita l’eredità della guerra

M e s s a g g e r o d i s a n t ’ a n t o n i o

l u g l i o - a g o s t o 2 0 0 9 | 35