aurelio mustacciuoli pantelleria 2015

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ILPESCE PESCATO P E N S A ALL'ACQUA FINCHÉ ' PUÒ AURELIO MUSTACCIUOLI OPERE 2005 - 2015

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"Il pesce pescato pensa all'acqua finché può" Aurelio Mustacciuoli - Opere 2005/2015 Pantelleria 2015 - Italy

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I L P E S C EP E S C A T OP E N S AALL 'ACQUAFINCHÉ'PUÒ

AURELIOMUSTACCIUOLI

OPERE2005-2015

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IL PESCE PESCATOPENSA ALL'ACQUAFINCHÉ PUÒ

AURELIO MUSTACCIUOLI

OPERE 2005 - 2015

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© 2015 Azioni Nuove editore, Milano

Tutti i diritti riservati

Finito di stampare nel mese di luglio 2015

La mostra è realizzata con il patrocinio delComune di Pantelleria

IL PESCE PESCATO PENSA ALL'ACQUA FINCHÉ PUÒAurelio Mustacciuoli Opere 2005 - 2015Pantelleria, Castello Barbacane

16 - 31 agosto 2015

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Il Comune di Pantelleria, nell'ambito delle attività culturali promosse per l'estate 2015,è lieto di ospitare negli spazi del Castello la mostra di un artista che ha forti legami conl'isola.Di origine pantesca anche se milanese d'adozione, Aurelio Mustacciuoli ha riunito inquesta esposizione il frutto del lavoro di un decennio. A partire dalle prime tele, traspareevidente il suo amore per Pantelleria, per i suoi paesaggi, i suoi colori, la sua atmosferaunica. Un'ispirazione presente anche quando la sua ricerca si è orientata verso unadimensione intima o concettuale, come negli assemblaggi più recenti. Lamostra rientradunque con coerenza non soltanto nel percorso di valorizzazione e fruizione del piùimportante monumento architettonico pantesco, intrapreso dal Comune negli ultimianni con sempre maggiore impegno, ma instaura con gli spazi storici del Castello undialogo particolarmente ricco e suggestivo.Confidiamo per questo che essa serva a rafforzare, proiettandole verso il futuro, quellacultura e quelle tradizioni che hanno informato di sé per secoli questo luogo, divenendoun elemento costitutivo e identitario della nostra comunità.

Angela SiragusaAssessore alla Cultura del Comune di Pantelleria

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Lasciatemi nuotare

"Bisogna poter dimenticare che ci sono deimuri e quindi non si è trovatoniente di meglio che i quadri. I quadri cancellano i muri. Ma i muriuccidono i quadri"1. Era il 1974 quando in Specie di spaziGeorges Perecmetteva il dito nella piaga di un dibattito cheparallelamente in quegli anniportava in primo piano come elemento chiave nell'arte contemporaneail contesto, lo spazio espositivo. Di lì a poco (1976) Brian O'Dohertyavrebbe coniato la definizione di "white cube", per designare la galleriacome hortus conclusus, igienico, isolato, immutabile, segregato rispettoalla realtà esterna, teatro necessario di una rifondazione del rapporto traartista e pubblico, escogitato dall'arte per sopravvivere dentro unsistema di cultura di massa e di capitalismo. Un principio che ha resistitoai corsi e ricorsi della riflessione teorica e della pratica espositiva, anchemuseale, e che mi pare ancora oggi violato solo in situazioni particolari.Ne è un esempio l'ultima edizione di Documenta (13), dove - nellaRotonda del Fridericianum - la sezione "The Brain" accostava decine dioggetti condensando e miniaturizzando le linee di pensiero "diffuse" neivasti e distanti luoghi sede della manifestazione.A un principio in parte analogo mi sembra s'ispiri la mostra che alCastello Barbacane riunisce per la prima volta le opere di un artistaprogrammaticamente estraneo all'estetica del "white cube". Sfidando ilmal du musée denunciato da Maurice Blanchot, qui al visitatore è offertauna sequenza di spazi volutamente saturati di oggetti, forme, colori.Sollecitandolo - prima ancora che a un itinerario estetico o concettuale

1. G. Perec, Specie di spazi,Torino 1989, p. 50(ed. or. Paris 1974).

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- a cogliere il lavorio che precede la creazione, dove tutto esistesimultaneamente, come coacervo di emozioni e pensieri che solo dopoun percorso complesso giungono a segmentarsi, isolarsi, concretizzarsiin singole opere.Nel parlare di un artista che trova nel mare un nutrimento importantedella propria ispirazione è una suggestione irresistibile quella che portaa Gaston Bachelard2 e alle sue riflessioni sul potere immaginativodell'acqua: "è rimanendo abbastanza a lungo sulla superficie iridata checomprendiamo il valore della profondità". Quella di Bachelard è tuttaviainnanzitutto un'acqua che riposa nel fondo di ogni memoria, "dormante",tranquilla. Un'acqua che invita alla contemplazione. Viceversa siamo quidi fronte a un artista che con questo elemento ha un rapporto piùprossimo all'"immaginazione dinamica" descritta da Bachelard. È "l'eroedelle acque violente", e non a caso un legame costante unisce il suoamore per il mare al vento, perturbatore di una quiete che non puòdurare, trasformatore dellamateria in vibrazione, del pensiero in brivido:"Ancora una volta nuoterò contro di te (…) nella piena consapevolezzadelle mie forze esuberanti contro le tue innumerevoli onde". L'acquaviolenta "è uno schema di coraggio", ma altrettanto forte è nell'artista laricerca parallela di ordine. Sotto questo aspetto siamo dunque più dalleparti del signor Palomar di Italo Calvino3, "uomo nervoso che vive in unmondo frenetico e congestionato" e che "per difendersi dallanevrastenia generale cerca quanto più può di tenere le sue sensazionisotto controllo". Osservando il mare dalla spiaggia, a Palomar noninteressano le onde, gli interessa guardare "un'onda singola e basta". Iltentativo di isolare un'onda, "di separarla dagli aspetti complessi checoncorrono a formarla e da quelli altrettanto complessi a cui essa dàluogo", appare come una metafora pertinente della ricerca di questoartista: "Guai se l'immagine che il signor Palomar riesce a mettere

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2 . G. Bachelard,Psicanalisi delle acque,Milano 2006, passim(ed. or. Paris 1942)

3. I. Calvino, Palomar,Torino 1983, passim

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insieme si sconvolge e frantuma e disperde. Solo se riesce a tenernepresenti tutti gli aspetti insieme può iniziare la seconda fasedell'operazione: estendere questa conoscenza a tutto l'universo".Il primo accostarsi alla pittura si lega al bisogno di liberare con lamassimaimmediatezza le emozioni, soprattutto quando esse si accendonoattingendo a radici profonde, memorie dell'infanzia. Nascono cosìpaesaggi del cuore, che l'attenzione dell'artista percorre come l'ago diun sismografo, senza disegnarli, senza dar loro forma, registrando entità,distanza, accelerazione, velocità dei moti interiori, quasi mai lasciandospazio a una rappresentazione realistica.Le grandi composizioni astratte, così festose nei colori, così esuberantinella libertà del segno, di rado sono nate vicino al mare, nella casa-studiodell'artista a Pantelleria. Eppure appaiono compatte e unitarienell'ispirazione, come elementi di un'installazione inconsapevolmentesite specific. Tale è la forza emotiva dell'isola, Pantelleria, luogo in cuil'anima ha gettato l'ancora tanto tempo fa. Come per la Vitebsk diChagall, qui la pittura è dichiarazione d'amore, sinestesia della memoria.Preso all'amo dalla vita che lo ha condotto lontano, l'artista-pesce sa dipoter ritrovare solo così il suo habitat naturale. Sa che proprio da quellostrappo violento ha origine tutto il suo successivo dibattersi tra emozionie pensieri inevitabilmente ribelli. Sa che quell'amo lo ha resoconsapevole dell'inganno che spinge a vedere un destino laddove nonvi è che casualità. Ma anche una ribellione che ha in sé il proprio scaccopuò conquistarsi vittorie nello spazio della tela.Il piacere di dominare la materia pittorica, la determinazione con cui icolori s'impadroniscono senza ostacoli delle grandi superfici, piegano ilrichiamo esteriore alla pittura d'azione verso un mondo di avventurecolorate. Esse scavalcano di slancio il dibattito che dagli anni quaranta in

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poi ha caratterizzato in Italia la pratica dell'astrazione, sia essa sotto ilsegno dell'eclettismo e del nomadismo - che ritrova nell'arte nonoggettiva dei decenni precedenti suggerimenti e suggestioni - sia essaintenzionata in modo più o meno dichiarato a creare una rottura, uncambiamento verso altri procedimenti e altre finalità.L'insicurezza - condizione esistenziale dell'artista contemporaneo,esiliato per sempre da un mondo rassicurante di principi esteticicondivisi - qui diventa antidoto alla superficialità, stimolo alla ricercadell'unica autenticità possibile, quella fondata sulla verità dell'emozione.Attraverso il pennello, l'emozione scorre e si espande senzaimpedimenti. Fiducioso della verità che vi si manifesta, generosamentel'artista la lascia libera sulla tela, permettendole persino di avventurarsisul ciglio insidioso del segno decorativo o troppo esplicito. Rischiosventato, perché è sempre il colore che concentra su di sé l'attenzione.Il colore è a ben vedere la stella polare. Anche quando la ricerca siindirizza verso sponde dichiaratamente concettuali, sempre riesce aprendersi il suo spazio. A volte ridotto a gioco chiaroscurale (Death), avolte dichiaratamente pop (Love and Loss), a volte depositario del sensopiù profondo (Blood under pressure). La luce, presenza ricorrente inmoltiassemblaggi, è anch'essa quasi sempre richiamo essenzialmentecromatico.Braccio, mano, pennello, pigmento, tela. In questo tragitto così breve,l'artista trova modo di esprimersi battendo in velocità quel pudore che,quando abbandona la pittura tradizionale, lo spinge viceversa a cercareun diaframma protettivo nell'energia ludica degli assemblaggi di objetstrouvés. Come la frusta del domatore addestra l'animale a tenersi adistanza, a eseguire movimenti misurati, calcolati, trattenuti, nella suaricerca si fa strada l'esigenza di uno strumentoper tenere sotto controllo

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una materia che preme con sempre maggiore insistenza per trovarespazio espressivo: l'esperienza del mondo. La scelta - che è forse piùun'ipotesi di lavoro all'inizio - è quella di frapporre tra sé e la realtà lamediazione di oggetti già portatori di un proprio significato, di unafunzione, di un contesto. Da Duchamp in poi, gli objets trouvésappartengono a un armamentario ricorrente nell'arte del ventesimosecolo. Una genealogia cui l'artista guarda senza complessi, con la voraceindifferenza di un cannibale. Per lui, in gioco c'è la sopravvivenza nellaprigione postmoderna del relativismo.Come l'IominimodiChristopherLasch - assediato, consapevole del conflitto tra le sue aspirazioniillimitate e la sua limitata capacità di comprensione - in questa fase affiorail bisogno di sussidi espressivi che ribadiscano la fine delle grandinarrazioni della modernità, ma al contempo aiutino a tracciare una rottaper l'operare - per quanto consapevolmente precaria - aggirando gliscogli dell'ideologia grazie alla bussola dell'ironia. Osservando in mostral'insieme di queste opere, l'impressione è quella di una sfida spavalda -non disgiunta in qualche caso da una vena di malinconia - proprio al(non) canone postmoderno. Con il suo legittimare ogni opzioneindividuale, ogni attribuzione di valore e di qualità, esso lascia l'artistalibero, ma al tempo stesso solo con i suoi interrogativi. Anche su checosa sia l'arte, e se davvero non abbia più importanza saperlo.Nell'utilizzo di objets trouvés di rado c'è qui la ricerca del mero effetto-sorpresa legato alla loro decontestualizzazione. In primopiano c'è (quasisempre) la potenzialità evocativa della forma, della materia, più chel'oggetto in sé. Diversamente dagli assemblaggi di Duchamp - giocatoredi scacchi che non lascia intuire le proprie mosse - qui c'è un artistatiratore di scherma, che incalza lo spettatore per coglierlo indifeso conun guizzo d'invenzione. L'oggetto dozzinale, lo scarto, il frammento,sono un modo per sottrarsi a ogni tentazione dogmatica, per

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sottolineare il provvisorio. Oltre il modernismo, ma anche ilpostmodernismo, resta un umorismo bonariamente giocoso, spessocombinato a un tocco di poesia (It's hard to get around the wind; God;Some will slip, some will slide away). Come se, chiudendo il cerchio di unsecolo di sperimentazioni, l'objet trouvé ritrovasse il suo significato di"oggetto smarrito", molte parti degli assemblaggi ci appaiono non comescarti ricontestualizzati, ma come elementi che l'artista ha restituito a unproprio universo di significato (Alexandros).In questa fase si affacciano anche temi destinati a diventare ricorrenti. Sututti lo scorrere del tempo, traiettoria seguita senza mai poterne capiree accettare fino in fondo la direzione. A questo riguardo, nemmenol'arte offre risposte, ma può essere azione, manipolazione, può lasciaresegni, messaggi, tracce. Ecco dunque che la scelta dell'assemblaggiocorrisponde e quasi si sovrappone al virare della ricerca verso ilconcettuale. La laboriosità artigianale dell'assemblaggio rinvia a unalentezza che meglio si sposa con il ritmo dei pensieri, con la precisionenecessaria alla riflessione.Più l'estetica è fredda, più tradisce l'esigenza di velare l'urgenza del tema.Ne sono un esempio Blood under pressure, Et in Arcadia Ego, Why, maanche la trilogia-omaggio a Steve Jobs, dove proprio la presenza disimboli di ingannevole evidenza semantica - come cuori e croci - sembraquasi voler distogliere l'osservatore dall'indugiare troppo là dove l'artistasi esposto di più.Archetipo di questo filone è la pecora nera. Per molto tempo The BlackSheep ha accolto i visitatori nell'ingresso della casa milanese dell'artista.Proprio quel suo status di totem, ingombrante e incongruo nella cornicedi una ordinaria dimora borghese, a ben guardare trasmetteva nelmodopiù diretto il suo messaggio di ribellione. Un procedimento che l'artista

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adotta sovente. La foga espressiva più autentica ammicca sotto le spogliedi un giocattolo per adulti (I've got an idea), si svela comeun lapsus freudianonella collocazione dell'opera stessa. Ne è un esempio l'accostamento delledue versioni del Fiore dellamia vita. Qui l'assemblaggio assumequasi il sensodi un oggetto transizionale winnicottiano, descrivendo un viaggio dalpuramente soggettivo all'oggettivo, permettendo di superare l'angoscia delpassaggio dal mondo interiore (la pittura) al mondo esterno (gli oggetti), inmodo che entrambi possano coesistere senza che vi sia oblio, né rimpianto.Tutti gli assemblaggi presentano per definizione una struttura accumulativa,modulare, combinatoria, si trasformano in macchine per moltiplicare lenarrazioni partendoda elementi figurali daimolti significati possibili. In alcunicasi (Good Hope) sembrano possedere quasi una doppia natura. Il modelloformale è quello di un puzzle, in cui ogni componente presuppone una solapossibile collocazione all'interno dell'insieme (così come l'insieme a suavolta rinvia al demone del collezionista, all'esasperazione del cabinet desmerveilles, con la sua raccolta di oggetti di cui esiste un solo esemplare). Altempo stesso tuttavia molti di questi assemblaggi si presentanodecisamente come opere aperte. Non tanto nel loro poter essereeventualmente integrati, incrementati, modificati, ma in quanto sembranoinvogliare lo spettatore a un "démontage" personale (Alexandros;Connectingthe dots; Some will slip, some will slide away). A partire dagli stessi elementi,ognuno potrebbe creare una diversa aggregazione di forma e di significato,quasi a ribadire ancora una volta un'ambizione non sistematica, unprocedere per aforismi visivi, sotto l'impulso di una forza centrifuga che èconsapevolezza di un essere nel mondo sempre parziale e provvisorio.Proprio in ragione di questo presupposto, negli assemblaggi è pressochéassente l'elemento della metamorfosi. L'arte non trasforma - processoirreversibile - ma dà forma, una delle tante possibili. Non c'è passaggio di

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stato definitivo - fisico, psicologico, spirituale - verso una nuova realtà,una nuova coscienza, una nuova dimensione cognitiva.È legittimo ricercare nella scienza immagini del mondo che rispecchinole nostre visioni? Da Lucrezio in poi, filosofia e letteratura non hannomaismesso di porsi questo interrogativo. È in questa direzione che l'artistasi è spinto ultimamente, forse come retaggio della sua formazionescientifica, animato dal bisogno di dissolvere la pesantezza del vivere, lamalinconia che penetra negli interstizi del fare artistico. Uno statod'animo al quale il suo temperamento si rifiuta di cedere, di sottostare.Se è vero che l'arte non apre una prospettiva di speranza, perchésperare è desiderare senza godere, senza sapere, senza potere (Enjoyyour life), essa consente tuttavia, orientando la prospettiva versol'infinitamente piccolo (D-brane) e l'infinitamente grande (God), distimolare i limiti della capacità di pensiero. Trasformare il pensiero inazione (artistica) resta l'unico modo per affrontare quell'insignificanza,che - con Milan Kundera - l'artista sente come essenza della vita: "È connoi ovunque e sempre. È presente anche dove nessuno la vuole vedere:negli orrori nelle battaglie cruente, nelle peggiori sciagure. Occorrespesso coraggio per riconoscerla in condizioni tanto drammatiche e perchiamarla con il suo nome. Ma non basta riconoscerla, bisogna amarla,l'insignificanza, bisogna imparare ad amarla (…) è la chiave dellasaggezza, è la chiave del buonumore"4.

Alessandra Costa

4. M. Kundera,La festa dell'insignificanza,Milano 2013, p. 126(ed. or. Paris 2013)

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Opere 2005 - 2015

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Quando è sull'isolal'artista esce in barca

ogni mattina.Va a pescare.

Il pesce è l'obiettivodella sua attesa paziente,

il bottino dell'azione.Ma quando

se lo vede davanti,quel dibattersi,

quel ribellarsi all'amo,gli ricordano qualcosa.

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MAYBE2006Acrilico e spray su plexiglass100 x 100 cm

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PANTELLERIA2009Acrilico, smalto e spray su tela160 x 180 cm

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I'VE GOT AN IDEA (trilogia "Bye bye brain")2014Legno, acrilico e lampada al sodioh 140 cmCollezione privata

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IF I ONLY HAD A BRAIN (trilogia "Bye bye brain")2014Metacrilato e lampada a incandescenzah 170 cm

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LA MUNGITURA DEL POPOLO (trilogia "Bye bye brain")2015Collage su opera in acrilico di autore sconosciuto80 x 60 cm

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Guardando il pesce pescatofremente guizzantel'artista si dice:

tutto questo agitarsiaumenta solo la sofferenza.

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IL ROSSO SANGUINARIO DELL'ALBA2008Acrilico, smalto e spray su tela100 x 200 cm

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CONNECTING THE DOTS (trilogia "Omaggio a Steve Jobs")2011Legno smaltato, perline, Lytec e luci a led60 x 120 cm

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LOVE AND LOSS (trilogia "Omaggio a Steve Jobs")2011Legno smaltato, metallo, vetro e luci a led60 x 60 cm

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DEATH (trilogia "Omaggio a Steve Jobs")2011Legno smaltato, plastica, luce a led60 x 60 cm

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IT'S HARD TO GET AROUND THE WIND2013Metacrilato, plexiglass e altri materiali40 x 80 cm

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BLOOD UNDER PRESSURE2014Acciaio, plexiglass e smalto70 x 90 cmCollezione privata

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A volte in certe albe di prima estatequando l'artista va a pesca,

la nebbia vela contorni e colori.Il mare

potrebbe essere qualunque cosa.Anche un prato.

Dalla nebbia un mattinol'artista si è visto spuntare davanti

una pecora nera.

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IL FIORE DELLA MIA VITA2005Acrilico, smalto e spray su tela170 x 170 cm

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IL FIORE DELLA MIA VITA II2006Vetro e fibra otticah 100 cm

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ABBRACCIO2007Acrilico, smalto e spray su tela160 x 170 cm

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THE BLACK SHEEP2009Cartongesso, acrilico e tessutoh 70 cmCollezione dell'artista

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WIND2010Acrilico, smalto e spray su tela170 x 160 cmCollezione dell'artista

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DRY SEASON2013Ramo di ulivo essiccato e acciaioh 220 cm

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Non è l'amo che lo trafiggea fargli male di più,riflette l'artista

osservando l'agonia del pesce.Forse Il pesce pescato

pensa all'acqua.

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LA GRANDE ONDA2008Acrilico, smalto e spray su tela120 x 200 cmCollezione dell'artista

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ALEXANDROS2010Acciaio e lampada a ledh 90 cm

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ENJOY YOUR LIFE, IT'S LATER THAN YOU THINK2011Cristallo, metacrilato e acrilicoh 30 cm

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ET IN ARCADIA EGO2013Acciaio e piattaforma rotante con luci a ledh 40 cm

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SOME WILL SLIP, SOME WILL SLIDE AWAY2015Cristallo, acrilico e altri materiali150 x 220 cm

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Seduto nella sua barca,cullato da piccole onde,l'artista guarda il cielo

e si domanda:se l'acqua non esistesse,

il pesce pescatosi rassegnerebbe più facilmente

alla fine?

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WHY2010Tubo flessibile in alluminio e lampada a ledh 170 cm

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COSMOS2010Acrilico, smalto e spray su tela200 x 200 cm

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GOOD HOPE2012Legno laccato, acciaio e lampade a ledh 30 cm

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GOD2014Acrilico, smalto, spray su carta telata e ceramicasospesa110 x 110 cmCollezione dell'artista

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D-BRANE (omaggio a Cossyro)2015Legno, lega metallica, acrilico e spray50 x 50 cm

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Conversazione

A.C. La tua ricerca si muove spaziando tra tecniche diverse, quasi arespingere in partenza ogni etichetta…

A.M. Credo che un artista vorrebbe sempre potersi voltare indietro eritrovare ex post una linearità, una consequenzialità nel propriopercorso. Secondo me questo accade - non voglio dire mai - macomunque di rado. Nell'arte contemporanea soprattutto. Anche semagari poi è il mercato, il gallerista, che ti spingono in quella direzione,perché serve sempre uno stile, una riconoscibilità, per me non è così. Iomi ritrovo molto in quello che scrive Samuel Beckett nel suo saggio suProust: "Noi non siamo semplicemente più affaticati a causa di ieri, noisiamo altri". Qualunque tentativo di afferrare, di esprimere qualcosa dinoi stessi, o delmondo, il giornodopo ci apparirà sempre comequalcosapensato e creato da qualcun altro, perché nel frattempo noi siamodiventati quelli di ieri più un giorno. Quindi la coerenza per me èun'illusione, forse neppure mi interessa.

A.C. Qual è il tuo rapporto con la tradizione?A.M. Penso che uno dei vantaggi di fare arte oggi è che è più facileappoggiarsi alla tradizione del proprio tempo senza rimanere imbrigliatio schiacciati, ma semplicemente consapevoli di avere un proprio tempoe una propria vita da rivelare, soprattutto a se stessi. Sicuramente popart e neodada sono nel mio dna artistico. "Sono per un'arte che

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s'intreccia con la vita di tutti i giorni e nello stesso tempo ne salta fuori"direbbeClaesOldenburg. Più in generale, direi che tutta l'arte americanadel dopoguerra mi ha stimolato, forse inconsciamente, a partire dallapittura d'azione. Per me, soprattutto la pittura è stata all'inizioessenzialmente autoscoperta, unamanifestazioneparallela alla vita, in cuisi estrinseca tutto ciò chemette inmoto imiei impulsi, lemie aspirazioni,le mie esperienze. Una rivelazione inaspettata anche a me stesso.

A.C. Perché a un certo momento hai sentito il bisogno di abbandonare lapittura per gli assemblaggi?

A.M. Non è stata una scelta definitiva. Direi piuttosto che rispecchia uncambiamento di prospettiva. A partire dalla trilogia-omaggio a SteveJobs sono entrato in una fase in cui ho sentito che l'introspezione - unterreno in cui la pittura in senso tradizionalemi appariva come il mediumchemi offriva più possibilità - stava chiudendomi altre strade, che invecesentivo il bisogno di provare a esplorare. Strade chemi portavano versoil mondo, più che verso me stesso.

A.C. Nei tuoi assemblaggi insisti molto sulla manipolazione esull'espressività materica...

A.M. Accumulazione e stratificazione per me sono principi sintatticifondanti. Gli oggetti qualunque, su cui mi cade l'occhio girando magariper un mercatino delle pulci o in un centro commerciale, per mefunzionano come le tavole di un test di Rorschach. Utilizzando unoggetto di scarto, industriale, prodotto per il consumo di massa, senzavalore, io non pongo nessuna questione ideologica. Lo vedo su unoscaffale, su una bancarella, e dentro di me evoca qualcosa, mi appare

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come un frammento o un simulacro di storie che fino a quel momentovivevano sepolte dentro di me.

A.C. Mi sembra che The Black Sheep faccia un po' storia a sé nella tuaproduzione…

A.M. Molti mi hanno fatto notare che sembra un fumetto, e in effetti inun certo senso lo è. Negli anni ottanta sono stato un lettore accanito dicomics, la mia serie preferita era Watchmen di Alan Moore, con isupereroi senza superpoteri, persone comuni che decidono di fare igiustizieri mascherati. Diciamo che concettualmente The Black Sheepviene da quel contesto lì. Quando l'ho vista, in un mercatino dibrocantage a Milano, ho subito capito che era lei il mio eroe.

A.C. Allora, per restare in tema, Dr Manhattan sei tu…A.M. Ah certo!Mi ci vedi, no?mentre dico: "Siamo tutti burattini. Io sonosolo un burattino che può vedere i fili". Comunque lui è l'unico degliWatchmen che oltre a essere immortale ha i superpoteri. È in grado dipiegare la materia alla sua volontà. Da questo punto di vista, è un po'quello che piace fare anche a me.

A.C. A proposito di immortalità. In che cosa senti di appartenere al tuotempo come artista?

A.M. Di sicuro posso dirti in che cosa sento di non appartenere al miotempo. Io faccio tutto molto sul serio, ma non mi prendo troppo sulserio. Se invece ci pensi, dal dopoguerra in poi il mondo dell'arte è

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andato nella direzione esattamente opposta. Questa faccenda dellaperdita dell'aura… in tanti hanno fatto finta di accettarla come un datoacquisito, ma poi stanno tutti lì, nelle gallerie, nei musei. Nel momentoin cui invece di dipingere l'acquarello di un tramonto tu riempi unbarattolo di merda, o fai una statua del papa schiacciato sotto unmeteorite - per scegliere proprio due esempi estremi - secondo me tunon stai facendo nessun discorso contro l'arte, anti-arte, fine-dell'arte,non c'è nessuna vera accettazione dell'irrilevanza dell'artista nel mondocontemporaneo. Tutto il contrario. Stai ballando quella che TomWolfegià quarant'anni fa chiamava "la danza dell'apache".

A.C. "Il pesce pescato pensa all'acqua finché può". Perché la scelta diquesto titolo per la mostra?

A.M. È preso in prestito da Henri Michaux. Mi piace perché mette inevidenza una contraddizione che scorre sotto traccia in tutti i miei lavori.E cioè che questa vita - dove nulla dipende da noi, esattamente comeil pesce non può prevedere dove lo attende l'amo del pescatore -malgrado tutto noi non possiamo fare a meno di amarla, pensarla,desiderarla fino all'ultimo. Nichilismo e joie de vivre convivonoinseparabili nella nostra condizione di esseri umani.

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Aurelio Mustacciuoli è nato nel 1960 a Udine dauna famiglia di origine pantesca. Laureato iningegneria, ha lavorato a Roma e a Milano, negliStati Uniti e in Lussemburgo. Attualmente vive traMilano e Pantelleria.

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