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19 ASPETTI FONOLOGICI E PROSODICI NELL’AFASIA DI BROCA GIOVANNA MAROTTA * SOMMARIO. 1. Introduzione. 2. Gli studi fonologici. 3. Studi dedicati alla prosodia. 4. L’afasia di Broca. 5. La nostra analisi. 6. Aspetti prosodici. 7. Gli aspetti segmentali. 8. Conclusioni. 1. Introduzione Gli studi linguistici dedicati alla produzione verbale di pazienti affetti da afasia sono relativamente scarsi in Italia. La letteratura specialistica per questo tema è in- fatti di afferenza medica, segnatamente neurologica o neuropsicologica, solo talora interdisciplinare, cioè con apporti di psicolinguisti. In particolare, si segnala l’équipe che fa capo a Caramazza, che da tempo esplora gli aspetti semantici e fonologici del linguaggio patologico da un punto di vista sostanzialmente neuropsicolinguistico, fa- cendo fulcro sull’interfaccia tra i diversi livelli di analisi. 1 Ne emerge una panoramica ricca e problematica sui connotati neurofunzionali che sembrano marcare diffusamente il linguaggio afasico, e nel contempo una generale tendenza ad interpretare l’afasia * Università di Pisa. Desidero ringraziare Florida Nicolai per aver letto e commentato una versione precedente di questo articolo e per avermi fornito utili indicazioni bibliografiche; un grazie di cuore anche alle curatrici del volume, per il loro rilevante feedback. 1 Varie le tematiche indagate in quest’ambito; si va dalla correlazione tra errori semantici ed errori fo- nologici (Cuetos et al., 2000) al rapporto tra errori morfologici ed errori fonologici (Miceli et al., 2004) ed alle dinamiche del processing fonologico (Caramazza et al. 2000).

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aspetti fonologici e prosodici nell’afasia di broca

ASPETTI FONOLOGICI E PROSODICI NELL’AFASIA DI BROCA

giovanna Marotta*

SoMMario. 1. Introduzione. 2. Gli studi fonologici. 3. Studi dedicati alla prosodia. 4. L’afasia di Broca. 5. La nostra analisi. 6. Aspetti prosodici. 7. Gli aspetti segmentali. 8. Conclusioni.

1. Introduzione

Gli studi linguistici dedicati alla produzione verbale di pazienti affetti da afasia sono relativamente scarsi in Italia. La letteratura specialistica per questo tema è in-fatti di afferenza medica, segnatamente neurologica o neuropsicologica, solo talora interdisciplinare, cioè con apporti di psicolinguisti. In particolare, si segnala l’équipe che fa capo a Caramazza, che da tempo esplora gli aspetti semantici e fonologici del linguaggio patologico da un punto di vista sostanzialmente neuropsicolinguistico, fa-cendo fulcro sull’interfaccia tra i diversi livelli di analisi.1 Ne emerge una panoramica ricca e problematica sui connotati neurofunzionali che sembrano marcare diffusamente il linguaggio afasico, e nel contempo una generale tendenza ad interpretare l’afasia * Università di Pisa. Desidero ringraziare Florida Nicolai per aver letto e commentato una versione precedente di questo articolo e per avermi fornito utili indicazioni bibliografiche; un grazie di cuore anche alle curatrici del volume, per il loro rilevante feedback.1 Varie le tematiche indagate in quest’ambito; si va dalla correlazione tra errori semantici ed errori fo-nologici (Cuetos et al., 2000) al rapporto tra errori morfologici ed errori fonologici (Miceli et al., 2004) ed alle dinamiche del processing fonologico (Caramazza et al. 2000).

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come risultato di lesioni e deficit selettivi ed eventualmente concomitanti, ma non globali.

Nell’ambito delle ricerche coordinate da Caramazza alcuni risultati più recenti si pongono in confronto dialettico rispetto al modello proposto da Dell (Dell et al., 1997), in base al quale la proporzione e la qualità degli errori che investono l’accesso al lessico degli afasici rimandano ad una sincresi disfunzionale afferente sia al pia-no semantico che a quello fonologico: «that activation flows both downward from semantic to lexical to phonological nodes and back up from lexical to semantic and from phonological to lexical to semantic nodes» (Caramazza, 2000: 430). Ne risulta una combinabilità variegata tra nodi semantici e fonologici, con esplicito riferimen-to ai modelli di intelligenza artificiale, segnatamente, alle reti neurali, come risulta dall’immagine seguente (Figura 1).

Figura 1. Struttura del modello di accesso lessicale; da Dell et al. (1997).

L’istanza di maggior interesse nella prospettiva di Caramazza si direbbe la pro-pensione per un modello interpretativo non globale (interactivity assumption piuttosto che globality assumption) capace di rendere ragione di repertori di errori complessi e fortemente variabili sul piano interindividuale come riflesso di danni che interessano livelli multipli del sistema di computazione linguistica. In un quadro di questo genere, le indagini condotte hanno da tempo messo in luce la posizione rilevante occupata dal cosiddetto buffer fonologico2 nella produzione di errori in compiti di lettura, o

2 La nozione di buffer appartiene da tempo alla letteratura psicolinguistica di stampo americano; il ter-mine, nato come tecnicismo in ambito schiettamente informatico, viene ormai impiegato in riferimento ad uno spazio di memoria disponibile per l’immagazzinamento temporaneo dei dati in ingresso nel sistema cognitivo e/o computazionale.

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scrittura o anche ripetizione, oltre all’indipendenza del processing ortografico rispetto a quello fonologico, come risulta dall’evidenza clinica.

Secondo quanto emerge da alcune recenti indagini (Miceli et al., 1997), l’asse di sviluppo dell’accesso disturbato alle forme lessicali sembra avere origine prevalen-temente nel network semantico a seguito di una selezione incongrua delle informa-zioni lessicali: una sorta di noisiness rende ragione di quella specifica categoria di errori codificati dall’afasiologia come ‘errori semantici’. Sul fronte dell’interazione tra fonologia e morfologia sottesa alla concomitanza pressoché costante di gap che investono i due piani funzionali, la correlazione è stata recentemente interpretata (Miceli et al., 2004) in termini di prossimità anatomica tra le strutture coinvolte nei processi morfologici e fonologici ovvero come corollario di una stretta sinergia tra i due moduli.

A quanto ci risulta, i risultati più cospicui, in termini sia quantitativi che qualita-tivi, si sono finora ottenuti nell’ambito della morfosintassi e dell’accesso lessicale, mentre i contributi sul versante fonologico, almeno con riferimento a casi clinici ita-liani, appaiono ancora cursori, come risulta dal quadro che andiamo a presentare nel paragrafo seguente.3 Sul fronte internazionale, tuttavia, gli aspetti fonetico-fonologici non sono stati trascurati, in particolare per quanto riguarda l’afasia di Broca e quella di Wernicke (cfr. infra).

2. Gli studi fonologici

In ambito dichiaratamente fonologico, si segnala il volume curato da Nespoulous & Villiard (1990)4: benché pubblicato ormai da un ventennio, rappresenta a nostro parere uno degli esempi più riusciti di interdisciplinarietà tra linguistica e neuropsi-colinguistica, un tentativo costruttivo di far dialogare afasiologi e neuropsicologi con linguisti. In altri termini, questo testo esprimeva la volontà di coniugare l’evidenza esterna proveniente dai casi clinici con gli sviluppi più recenti della teoria linguisti-ca. I capitoli dedicati all’analisi fonologica mostrano con ampiezza di prospettiva e dovizia di particolari come i modelli elaborati dalla fonologia non lineare imperante in quegli anni siano in grado di interpretare in modo semplice e coerente i dati em-pirici provenienti dai pazienti afasici. Particolare menzione merita, a nostro parere,

3 Per un inquadramento aggiornato e critico sul linguaggio patologico, un’ottima introduzione è costituita dal volume di F. Nicolai (2003), la quale da tempo esplora tematiche divenute solo ora ‘di moda’.4 Questo libro raccoglie i contributi presentati al simposio “Phonology and Aphasia” ospitato all’interno del convegno internazionale Phonologietagungen ed organizzato, con notevole lungimiranza, da W. Dressler a Krems (Austria) nell’agosto 1988; ricordo ancora la mia personale curiosità accompagnata a stupore nello scoprire aspetti del “pianeta linguaggio” che all’epoca mi erano quasi completamente sconosciuti.

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il contributo di Stark & Stark (1990), che prende le mosse da dati relativi alla lingua tedesca e fa perno sui modelli non lineari, crucialmente sulla fonologia metrica e sulla struttura della sillaba, dimostrando, anche con il ricorso all’analisi statistica, la maggiore stabilità del Nucleo sillabico rispetto ai costituenti Attacco e Coda nelle sillabe ritmicamente forti rispetto a quelle deboli.

Parimenti interessanti e fortemente innovativi risultano gli articoli di Béland (1990) e di Valdois (1990), che prendono in esame dati provenienti da pazienti afasici di lingua francese per studiare, rispettivamente, l’epentesi vocalica e la riduzione dei clusters consonantici, fenomeni entrambi frequenti nel parlato afasico: per questi processi, il ricorso alla Government Phonology, elaborata da Kaye e seguaci negli anni Ottanta,5 consente di interpretare i dati esaminati in modo esauriente e di mettere in luce restrizioni fonotattiche sia di carattere generale che linguo-specifiche.

Da segnalare infine l’articolo di Den Ouden (2002), in cui il recente modello ottimalista viene applicato all’analisi dei dati relativi alla produzione di un gruppo di pazienti afasici olandesi, sia fluenti che non fluenti. I vincoli di Marcatezza risultano occupare una posizione più elevata rispetto a quelli di Fedeltà nella gerarchia del parlato afasico, il che non stupisce, visto che i primi sono universali, mentre i secondi linguo-specifici. D’altro lato, i vincoli relativi alla struttura sillabica interagiscono in modo complesso con quelli di natura segmentale, confermando nel contempo la loro basicità in caso di contesto linguistico ‘turbato’.

Venendo agli studi sulla lingua italiana, un primo riferimento d’obbligo in questo settore è costituito dal lavoro di Calabrese e Romani (1991), in cui i fenomeni di cancellazione fonemica prodotti da un paziente afasico vengono analizzati alla luce della gerarchia di forza consonantica e della nozione di complessità, poi rielaborata dalla Fonologia della Reggenza (cfr. nota 5). Di carattere sostanzialmente tassonomico l’intervento di Dressler et aliae (1990), in cui il fenomeno delle parafasie fonemiche6 è indagato in una prospettiva cross-linguistica (tedesco vs. italiano), mostrando come la maggior complessità della struttura sillabica tedesca produca un collasso fonologico più invasivo, rispetto a quanto accade per l’italiano, con una massiccia diffusione di processi dettati da un principio generale di semplificazione.

In tempi più recenti, ed all’interno di una prospettiva dichiaratamente applicativa, si colloca la monografia di M.E. Favilla (2003), che rappresenta a tutt’oggi lo studio fonologico più ampio, sia in termini qualitativi che quantitativi, nel campo dell’afa-siologia linguistica italiana. In questo testo, sono presi in esame i dati relativi ad un paziente afasico colpito da ictus ischemico, affetto da afasia transcorticale motoria,

5 Il modello classico della Fonologia della Reggenza è reperibile in Kaye (1989); Kaye & Lowenstamm (1983); Kaye, Lowenstamm & Vergnaud (1985; 1990); Harris (1990); per una versione più recente e fortemente rivisitata della teoria, rinviamo a Scheer (2004). 6 Con il termine di ‘parafasia fonemica’ ci si riferisce ai vari processi di omissione, sostituzione, o in-serzione di uno o più fonemi all’interno di una parola-bersaglio; cfr. ultra, § 7.

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sottoposto a valutazione clinica attraverso la somministrazione della batteria di test B.A.D.A.7, di cui l’autrice mostra alcuni limiti e carenze.

Prima di concludere questo paragrafo introduttivo, sarà bene sottolineare la nostra convinzione che i dati empirici debbano essere interpretati alla luce di un’ipotesi teo-rica. Senza quadro teorico di riferimento, ogni analisi di dati rischia di ridursi a mera raccolta di elementi privi di logica interna e di fermarsi al semplice livello osserva-tivo, senza attingere né quello descrittivo né tanto meno quello esplicativo. La teoria linguistica è quindi importante anche nello studio del parlato patologico in generale, e delle produzioni fonetiche di soggetti afasici in particolare. L’inquadramento teorico consente infatti di introdurre un necessario criterio di razionalizzazione nella classi-ficazione stessa della fenomenologia linguistica. Inoltre, grazie al ricorso a nozioni e argomenti di spessore teorico, dati apparentemente diversi e talora contraddittori possono essere riportati ad un principio comune, che sia in grado di interpretare i dati osservati in una chiave nuova e globale. Per questi motivi, riteniamo che la teoria linguistica possa ed anzi debba essere impiegata all’interno degli studi che si occupano di linguaggio a tutti i livelli, quindi anche in neurolinguistica e in afasiologia.

Ma quale teoria impiegare? Un primo dilemma concerne la scelta tra teorie for-mali versus teorie funzionali. La preferenza di chi scrive va al primo tipo di teorie, e al loro interno al generativismo, nelle sue varie forme, a partire dai modelli standard fino alla più recente Optimality Theory, che pure, per più di un verso, appare assai distante dagli assunti classici della grammatica chomskiana. Come vedremo, saranno alcuni moduli teorici della fonologia che ci consentiranno di leggere ed interpretare in maniera coerente e sistematica i dati che illustreremo; per la fenomenologia seg-mentale, il riferimento primario sarà alla struttura sillabica, mentre per gli aspetti prosodici alla teoria autosegmentale-metrica.8

3. Studi dedicati alla prosodia

Al termine di questa ‘carrellata’ sulla letteratura fonologica dedicata ai dati provenienti dalla afasiologia italiana, possiamo ragionevolmente osservare che, nel complesso, gli aspetti segmentali del parlato afasico risultano trattati in maniera adeguata, per quanto episodica.

Viceversa, gli aspetti prosodici del parlato prodotto da soggetti italiani colpiti

7 La B.A.D.A. (Batteria per l’Analisi dei Deficit Afasici) è un insieme di test elaborati da G. Miceli e col-laboratori (cf. Miceli et al., 1995) per valutare le capacità linguistiche dei pazienti afasici, appositamente strutturata in compiti diversi che mirano a valutare il grado di competenza sui vari livelli della produzione linguistica (fonologia, lessico, grammatica, memoria verbale). Per una presentazione dettagliata della B.A.D.A., si rinvia a Favilla (2003: 37-38). 8 Si vedano in merito almeno Beckman & Pierrehumbert (1986), Ladd (1996) e Sorianello (2006).

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da afasia risultano ad oggi poco esplorati, tanto in ambito medico quanto in quello linguistico. Del resto, se volgiamo lo sguardo all’estero, siamo costretti a rilevare la relativa povertà di studi su questo versante anche nella letteratura scientifica anglo-americana (cfr. infra); gli studi esistenti concernono la puntuale descrizione di alcuni casi clinici in cui sono state riscontrate alterazioni dell’assetto melodico (vedi ultra, in questo § e in quello seguente).

Eppure, è nota da tempo la rilevanza della prosodia a scopi comunicativi, come pure ben note sono ormai le plurime funzioni pragmatiche svolte da questo compo-nente della struttura linguistica (cfr. Sorianello, 2006). Del resto, gli aspetti prosodici, proprio in quanto dotati di potente valenza comunicativa unita a ridotta articolazione grammaticale interna, rappresentano un punto di ancoraggio essenziale ed imprescin-dibile in tutti i contesti di comunicazione “disturbata”, o patologica, come nel caso dell’afasia.

Di conseguenza, almeno in via ipotetica, la rilevanza dei fenomeni prosodici dovrebbe aumentare in tutti quei contesti di deficit linguistico e/o cognitivo che richiedono un più ampio e costante ricorso agli strumenti comunicativi più diretti, immediati e scarsamente strutturati.

La prosodia veicola informazioni sia linguistiche che paralinguistiche nel processo comunicativo. Una funzione linguistica primaria degli elementi prosodici è quella demar-cativa: le pause, gli allungamenti e i contorni melodici segmentano il continuum sonoro in gruppi funzionali sul piano sintattico e guidano sia la produzione fonetica di chi parla che la ricezione di chi ascolta; i confini sintattici sono spesso marcati da specifici segnali prosodici, quali l’allungamento finale o l’innalzamento della frequenza. Una seconda funzione linguistica essenziale è quella cosiddetta modale; in quest’ambito, sembra essere un universale prosodico l’andamento melodico ascendente in corrispondenza della porzione finale degli enunciati interrogativi polari. In italiano, ad esempio, è noto che il movimento ascendente finale è l’unico parametro per la discriminazione tra un enunciato assertivo ed uno interrogativo. All’interno della fenomenologia prosodica, il ritmo svolge l’importante funzione di scansione metrico-accentuale del parlato, il che consente di evitare monotonia e nel contempo rinforza gli indici melodici nel compito di segmentazione del parlato in costituenti sintattici.

Ma la prosodia è importante anche per le sue valenze semantiche; in particolare, marche prosodiche quali l’allungamento segmentale, l’incremento dei valori di in-tensità o l’uso di un andamento tonale particolarmente modulato contribuiscono in misura essenziale ad identificare il focus dell’enunciato, vale a dire l’elemento su cui si concentra l’intenzione comunicativa del parlante.

A fianco delle funzioni linguistiche della prosodia, ci sono quelle paralinguistiche, legate al settore di studi che con termine ormai abusato potremmo definire latamente pragmatico, e dunque legate all’espressione degli atteggiamenti, dei sentimenti e delle emozioni del parlante. In quest’ambito, la lingua si fa strumento di comunicazione su piani plurimi e diversi da quello specificamente grammaticale.

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In sintesi, la prosodia costituisce parte integrante degli eventi linguistici sia in pro-duzione sia in percezione, contribuendo in maniera essenziale alla codifica/decodifica lessicale, sintattica e pragmatica, come pure alla sottolineatura di nuove informazioni ed alla disambiguazione delle intenzionalità emotive.

Stando alla letteratura più recente, le funzioni prosodiche possono essere danneg-giate da lesioni cerebrali sia sinistre che destre, il che sembra indicare che gli eventi prosodici siano il risultato di un’armonica interazione tra i due emisferi, superando in tal modo la classica lateralizzazione della prosodia nell’emisfero destro (cfr. Nicolai, 2003). L’ipotesi vulgata di un processing a destra per la prosodia discende da uno schema neurolinguistico consolidato basato sulla specializzazione dei due emisferi ce-rebrali: nei soggetti destrimani, l’emisfero sinistro sarebbe prevalentemente coinvolto nei compiti logico-rappresentazionali, e quindi anche linguistici, così come nel pensiero astratto, mentre l’emisfero destro sarebbe deputato all’espressione dei sentimenti, delle emozioni e del pensiero concreto (cfr., tra gli altri, Caplan, 1987). L’importante studio di Schirmer et al. (2001) ha dimostrato che la prosodia può essere processata da entrambi gli emisferi: le funzioni prosodiche crucialmente collegate alla struttura linguistica (ad esempio, l’accento lessicale e il timing) sono codificate dall’emisfero sinistro, mentre le funzioni espresse nel dominio della frequenza e correlate alle fun-zioni emotive e affettive della prosodia sono controllate dall’emisfero controlaterale destro. Di conseguenza, sembra che l’area di Broca sia coinvolta nella codifica della prosodia nella misura in cui trasmette informazione strettamente linguistica.

Un’ulteriore conferma in tal senso deriva da quanto accade nei parlanti di una lin-gua tonale, nei quali i toni sono processati dall’emisfero sinistro, in quanto il parametro della frequenza è in quei sistemi linguistici distintivo, e dunque logico-grammaticale (cfr. Ladd, 1996). Tutto ciò sembra indicare che il processing linguistico dei parametri prosodici, come pure di quelli grammaticali in senso largo, vada esaminato anche in maniera linguo-specifica e non semplicemente ed esclusivamente universalistica. In altri termini, la lateralizzazione cerebrale può essere considerata un tratto fisiologico universale, ma per quanto concerne l’analisi delle lingue naturali9, la valenza dei singoli fenomeni e parametri andrà valutata di volta in volta in riferimento alle caratteristiche specifiche del sistema.

4. L’afasia di Broca

Com’è noto, l’afasia di Broca è uno dei tipi principali riconosciuti dalla classifi-cazione corrente delle afasie10. In questo tipo specifico di afasia, i deficit linguistici,

9 E non solo; più latamente, ogni sistema culturale umano è almeno in parte arbitrario e codificato; si considerino, ad esempio, il canto o la danza. 10 Gli otto tipi sono: afasia globale, afasia di Broca, afasia di Wernicke, afasia transcorticale motoria,

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nella loro varietà, sono causati da lesioni alla regione inferiore frontale dell’emisfero cerebrale sinistro, corrispondente alle aree di Brodmann 44 e 4511. I soggetti affetti da afasia di Broca sono di norma scarsamente fluenti e presentano una più o meno marcata semplificazione delle strutture grammaticali. Tra i disturbi patologici ri-scontrati si rilevano di frequente disartria, disprosodia ed aprassia; in taluni casi, e in corrispondenza di specifiche lesioni, è riportata anche emiplegia sul lato destro.

Per quanto riguarda la scrittura, possiamo dire che solitamente gli afasici scrivono come parlano, cioè lentamente e con fatica. Presentano frequenti errori grafici, con distorsioni e omissioni di lettere; la stessa forma delle lettere è semplificata; la scrittura ha spesso carattere obliquo. In genere, gli afasici preferiscono scrivere in stampatello, nella consapevolezza delle maggiori difficoltà connesse con l’uso del corsivo.

L’evidenza clinica mostra una migliore conservazione della competenza sul versante della decodificazione: i compiti di comprensione della lingua scritta come di quella par-lata vengono svolti prima e meglio rispetto ai compiti relativi alla codifica. Tuttavia, la lettura può essere a volte lenta e difficoltosa, come se si trattasse di soggetti dislessici. Le persone colpite da afasia di Broca presentano normalmente agrammatismo12. La loro produzione linguistica risulta altamente compromessa, dal momento che il sistema morfosintattico è ridotto, con frequente omissione di parole funzionali e di flessione.

Negli afasici di Broca, i deficit dovuti a lesioni dell’emisfero sinistro sono respon-sabili dello scarso controllo della struttura fonologica sia a livello segmentale che soprasegmentale. In particolare, è stato osservato in letteratura che nella produzione di enunciati relativamente ampi questi soggetti non sono capaci di regolare gli schemi prosodici sia per quanto riguarda il ritmo che la melodia; la loro programmazione è infatti limitata ad unità di breve estensione temporale, dal momento che nel disturbo afasico sembra essere coinvolta crucialmente la working memory (cfr. Danly & Sha-piro, 1982; Gandour et al., 1989; Gandour, 1998).

Poiché il nostro intervento concerne specificamente il livello fonetico-fonologi-co, elenchiamo qui di seguito alcuni tratti fonologici ricorrenti nei soggetti affetti da afasia di Broca:

non fluenza, vale a dire una produzione fonica lenta e faticosa, caratterizzata da brevi sintagmi inframezzati da numerose e lunghe pause (cfr. Caplan, 1987; Kean, 1987; Sarno, 1998; Schirmer et al., 2001; Brookshire, 2003);

agrammatismo, noto in letteratura anche come telegraphic speech (cfr. Davis, 2000);

afasia transcorticale sensoriale, afasia di conduzione, afasia transcorticale mista e afasia amnestica; cfr. Favilla (2003: 20). Utile e aggiornato risulta il quadro complessivo sulle afasie discusso da Pennisi (2006: 222 segg.).11 Si vedano Caplan (1987), Kean (1987), Whitaker (1988), Schirmer et al. (2001), Brookshire (2003).12 Per una panoramica d’insieme sull’agrammatismo negli afasici di Broca, si rinvia a Miceli (1990).

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parafasia fonemica, produzione di parole e non parole foneticamente simili alla parola bersaglio (cfr. Caplan, 1987)13.

Per quanto concerne la prosodia, nella letteratura specialistica internazionale la produzione degli afasici di Broca viene di norma descritta come disprosodica. Gli studi dedicati specificamente a questo settore sono tuttavia piuttosto limitati e fanno riferimento ad un numero relativamente esiguo di pazienti14.

Sebbene l’uso clinico del termine ‘prosodia’ sia ambiguo, in quanto si può rife-rire ad aspetti diversi e molteplici della fenomenologia soprasegmentale, sembra che nella letteratura di ambito medico sia stato impiegato in riferimento primario ad un deficit marcato nella programmazione del parametro della frequenza fondamentale, responsabile, com’è noto, dell’assetto melodico dell’enunciato.

I tratti prosodici più rilevanti che vengono riportati dalla letteratura specialistica sono:

insufficiente o inappropriata modulazione del parlato; disturbata isocronia, che produce sillabe della stessa durata, indipendentemente dalla lunghezza di parola; alterazioni nell’organizzazione ritmico-temporale degli enunciati.

In ambito italiano la prosodia degli afasici, di Broca e non, è argomento ancora vergine, dal momento che non esistono a tutt’oggi specifici studi di carattere speri-mentale dedicati a questo tema, né in ambito medico né in ambito linguistico.

L’analisi empirica che qui presentiamo rappresenta pertanto il primo studio si-stematico e mirato sugli aspetti prosodici nella produzione fonetica di un campione di afasici italiani.

La raccolta del materiale è stata dettata da due obiettivi principali: 1. sul piano della ricerca, ampliare le conoscenze relative alle dinamiche proso-

diche in soggetti afasici; 2. sul piano applicativo, individuare specifiche aree di intervento terapeutico ed

eventualmente fornire strumenti per migliorare la diagnosi. Faremo riferimento ai dati relativi ad alcuni soggetti toscani affetti da afasia di

Broca; come già detto, prenderemo in considerazione non soltanto gli aspetti segmen-tali, ma anche quelli soprasegmentali, segnatamente l’andamento melodico.

13 Da sottolineare che le parafasie, sia fonologiche che semantiche, compaiono in misura statisticamente maggiore negli afasici di Wernicke rispetto a quelli di Broca; cfr. Guyard et al (1981), Whitaker (1988), Goldman et al. (2001). 14 I riferimenti essenziali, a quanto ci risulta, sono costituiti da Caplan (1987), Danly et al. (1979); Danly(1979); Danly e Shapiro (1982), Gandour et al. (1989), Kean (1987), Niemi (1998), Schirmer et al. (2001).

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5. La nostra analisi

I dati che qui presentiamo sono stati raccolti presso l’Unità di Riabilitazione dell’Azienda Ospedaliera di Pisa, che fa capo al Dr. Paolo Bongioanni. I soggetti esaminati al momento sono quattro soggetti afasici non fluenti refertati come afasici di Broca (test Esame del linguaggio II) con pregresso accidente cerebrale ischemico o emorragico avvenuto da almeno un anno al momento della registrazione. Tutti i pazienti sono di provenienza toscana (due di area pisana e due di area fiorentina). Tre soggetti sono di sesso maschile, mentre il quarto è di sesso femminile; la loro età è compresa tra 53 e 72 anni. In tutti i pazienti sono stati riscontrati deficit di tipo prevalentemente espressivo, mentre la comprensione, lettura e ripetizione risultano non compromesse.

Al fine di valutare in modo esaustivo la produzione dei soggetti in esame, abbiamo ritenuto opportuno svolgere un confronto tra comportamento normale e comporta-mento patologico, per cui abbiamo esaminato anche la produzione di quattro soggetti sani, anch’essi toscani.

Le registrazioni delle produzioni foniche dei pazienti sono state effettuate durante lo svolgimento di sedute riabilitative. Il nostro protocollo sperimentale comprende diverse tipologie: parlato spontaneo, parlato elicitato su temi specifici, parlato letto. Nell’esecuzione del compito di lettura abbiamo utilizzato una serie di frasi realizzate con differenti modalità sintattiche e pragmatiche (enunciati dichiarativi, interrogativi e imperativi). Le stesse frasi erano state impiegate da chi scrive nell’ambito di una pregressa ricerca sull’intonazione di alcune varietà italiane (cfr. Marotta & Sorianel-lo, 1999; 2001). In questo modo, i dati dei soggetti afasici possono essere comparati con quelli dei soggetti normali, in quanto raccolti secondo un medesimo protocollo sperimentale.

Tutte le registrazioni sono state eseguite con registratore DAT Sony portatile dotato di microfono a cravatta. Il materiale è stato campionato con software Multispeech della Kay Elemetrics a 22.000 Hz. Si è quindi proceduto all’esame acustico con il software per l’analisi fonetica Praat (versione 4.1.14) corroborato dal confronto con il software Winpitch (versione 3.1) appositamente concepito per l’analisi prosodica dall’Ing. Ph. Martin. L’impiego di strumenti professionali garantisce un’adeguata conservazione dei dati sonori, il che ci consentirà nel prossimo futuro di ampliare il nostro archivio, aggiungendo di volta in volta materiali relativi ad un numero crescente di soggetti.

Al fine di trattare statisticamente i dati, abbiamo provveduto ad elaborare un Data Base elettronico con il software Access di Microsoft, in cui sono state riportate tutte le informazioni rilevanti sia di tipo qualitativo (ad esempio età e grado di scolarità del soggetto, oppure modalità dell’enunciato) che di tipo quantitativo (tipicamente, i valori di frequenza, intensità e durata).

L’analisi si è dunque articolata nelle seguenti fasi:

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a. analisi uditiva;b. analisi acustica;c. inserimento dei dati nel Data Base;d. confronto con i dati rilevati per soggetti non afasici.Nel corso dell’analisi uditiva, dopo aver provveduto alla trascrizione dei materiali

registrati, abbiamo individuato e classificato gli errori fonologici commessi dagli afasici.

Per quanto riguarda l’analisi acustica, i parametri prosodici rilevati sono i se-guenti:

durata totale dell’unità di respiro (msec.), per valutare la capacità di gestione temporale;

rapporto tra il numero di sillabe e il tempo necessario per la loro produzione fonetica, (sillabe/sec.), per valutare la velocità di elocuzione dei soggetti;

valori di frequenza fondamentale (F0) massimi e minimi dell’intero enunciato, per calcolare l’escursione in frequenza (pitch range);

valori di F0 all’inizio (onset) e alla fine (offset) di ogni unità di respiro; valori di F0 iniziale, finale, massimo e minimo dell’ultima sillaba tonica e della

sillaba atona finale;contorno melodico finale.

6. Aspetti prosodici

In generale, l’indagine sperimentale fa emergere con chiarezza come sia l’or-ganizzazione ritmica che il parsing sintattico siano sensibilmente compromessi. La struttura melodica e ritmica risultano assai alterate, vale a dire disprosodiche, rispetto ai soggetti sani esaminati comparativamente. In particolare, nella lettura dei testi pre-confezionati, si evidenzia una iper-segmentazione della stringa locutoria, con allungamenti segmentali sensibili, tali da rendere difficoltoso rilevare un pitch range effettivo. In uno dei soggetti esaminati, è compromessa anche l’articolazione dei singoli foni a causa dell’aprassia oro-facciale.

Per quanto concerne la curva intonativa, dovrà essere in primo luogo registrata una costante compressione dell’escursione in frequenza, pertanto non comparabile con quanto rilevato per i parlanti toscani del gruppo di controllo. Un ulteriore aspetto fonda-mentale è il sensibile allungamento della durata delle unità di respiro, che risulta quasi doppia negli afasici rispetto ai soggetti di controllo; i pazienti producono infatti pause interfrasali frequenti e lunghe, anche in assenza di potenziali confini sintattici. Talora la loro produzione fonetica avviene ‘parola per parola’, con ovvie e pesanti ripercussioni sulla prosodia della frase, che risulta pertanto caratterizzata da un basso grado di natu-ralezza. A livello di programmazione neurolinguistica, non è stato possibile rilevare

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alcuna correlazione tra pitch range e durata dell’enunciato. Per una presentazione più articolata e dettagliata dei risultati sia qualitativi che quantitativi relativi agli aspetti prosodici del corpus di dati afasiologici da noi analizzati rinviamo il lettore al più ampio articolo di Marotta, Bongioanni & Barbera (2008).

Come abbiamo anticipato poco sopra, sono state prese in esame diverse modalità di enunciazione; il contorno intonativo è stato descritto analizzando le variazioni della frequenza fondamentale sull’asse temporale, non senza aver operato una distinzione di base per tipologia di frasi: dichiarative, interrogative aperte (Wh-questions) e interroga-tive polari (Yes/no questions). Durata, pitch range e shape del segmento melodico finale di frase (individuato dal confronto tra l’ultima sillaba tonica e l’ultima atona) sono stati quindi valutati in comparazione con gli stessi valori rilevati nei soggetti di controllo.

Nelle frasi dichiarative prodotte dai soggetti afasici da noi esaminati, la curva melodica è tendenzialmente piatta su tutto l’enunciato; i movimenti frequenziali sono deboli e confermano l’impressione di monotonia percepibile anche “a orecchio”. In termini autosegmentali, dovremo pertanto rilevare la presenza di frequenti toni ac-centuali bassi (B*).15 Talvolta si può evidenziare una debole e costante tendenza alla discesa, che ricalca l’andamento tipico delle dichiarative (conclusive) prodotte dai parlanti non afasici (declination line). Nel complesso, i toni Alti o complessi (A+B, B+A) sono rari, a conferma della marcata tendenza verso la realizzazione di contorni piatti e scarsamente modulati.

Frequente è l’ascesa finale sulla sillaba atona finale e talvolta sull’ultima sillaba tonica; non sempre risulta pertanto possibile rilevare una baseline, corrispondente al valore finale di F0 nella realizzazione normale conclusiva dei parlanti sani. Per due soggetti prevale tuttavia l’andamento discendente finale, tipico degli enunciati assertivi, mentre l’andamento ascendente si registra soprattutto nelle frasi tratte dalla lettura di testi pre-confezionati. Com’è noto, un tono Alto alla fine di un sintagma intonativo trasmette di norma un senso di sospensione e incompiutezza, o di conti-nuazione. Nei nostri soggetti, la ricorrenza di questa struttura tonale rimanda invece, con tutta probabilità, a difficoltà di programmazione dell’atto locutorio. Da rilevare infine che anche nelle frasi affermative del nostro campione, la sillaba tonica finale è sede preferenziale di variazioni frequenziali, anche se moderate, a conferma della selezione di questa sillaba come sede primaria di prominenza nucleare. La medesima sillaba è contesto privilegiato, sebbene non unico, per il fenomeno dell’allungamento finale, presente anche nei parlanti di controllo; mentre specifico del parlato patologico dei soggetti afasici è l’allungamento segmentale globale, che si distribuisce su tutto l’enunciato (cfr. supra).

15 Ricordiamo che la teoria autosegmentale-metrica dell’intonazione prevede l’impiego di due soli Toni Accentuali semplici (Pitch Accents), Basso e Alto, che possono poi combinarsi per formare Toni Accentuali complessi (A+B; B+A); cfr. Ladd (1996), Sorianello (2006).

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Per quanto riguarda gli enunciati interrogativi aperti, nei nostri soggetti si registra la prevalenza di un tono accentuale alto (A*) sull’elemento interrogativo, perlopiù pronominale (wh-word; cfr. Figura 2). Sull’ultima sillaba tonica come pure sulla postonica finale, il movimento risulta di massima ascendente. Per tutti i nostri locutori, i valori di F0 rilevati sull’intero enunciato – massimo, minimo, iniziale e soprattutto finale (offset) – sono per questa modalità più elevati rispetto alle altre tipologie frasali esaminate, per cui anche il pitch range di frase è tendenzial-mente più elevato (cfr. ancora Marotta et al., 2008). Tuttavia, i profili melodici sembrano nel complesso comparabili con gli andamenti messi in luce nei soggetti di controllo.

Figura 2. Spettrogramma, curva di F0 e oscillogramma dell’enunciato interrogativoMa dov’è Antonio? prodotto da un soggetto afasico femminile.

Negli enunciati interrogativi di tipo polare, i dati relativi ai soggetti afasici presi in esame mostrano una curva melodica caratterizzata da ascesa finale (sull’ultima sillaba tonica e sulla atona finale) spesso associata ad un movimento frequenziale in salita fino alla sillaba tonica del soggetto. In termini autosegmentali, il Pitch Accent sarà pertanto B+A*, seguito da un tono di confine alto A%. Raramente si riscontra l’andamento discendente sulla sillaba postonica finale che invece mantiene i valori elevati raggiunti dalla tonica o li innalza ulteriormente. L’offset di F0 risulta pertanto assai elevato, ed inferiore soltanto a quello delle interrogative aperte. Per questo aspetto, i dati dei pazienti afasici non collimano perfettamente con quanto rilevato

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per i soggetti toscani di controllo, che parlano varietà toscane nord-occidentali, nelle quali la sillaba atona finale di una domanda di tipo sì/no è tipicamente caratterizzata da andamento tonale discendente (cfr. Marotta & Sorianello, 2001), mentre la modu-lazione ascendente si realizza sull’ultima sillaba tonica.

In sintesi, nell’espressione della domanda polare, abbiamo riscontrato una note-vole discrepanza tra i soggetti afasici e gruppo di controllo, esprimibile in termini autosegmentali nello schema seguente, in cui compaiono sia i toni accentuali che il tono di confine finale:

Soggetti afasici Soggetti di controllo

Domanda polare B* A% B+A* B%

La resa della domanda polare con ascesa finale che abbiamo rilevato nei soggetti afasici sarà probabilmente da attribuire alla volontà del parlante di produrre l’ideale schema melodico interrogativo, che per l’appunto contempla questo modello melodico. Non sarà fuori luogo ricordare che buona parte delle frasi interrogative da noi analiz-zate si riferiscono alla lettura di testi: la modalità stessa di elicitazione dei dati può aver introdotto un ulteriore fattore di standardizzazione nella performance dei soggetti.

Da rilevare che il pitch range è globalmente ridotto nei nostri soggetti afasici, i quali di fatto limitano l’escursione in frequenza al solo segmento finale dell’enunciato. Per quanto concerne infine la velocità di elocuzione, data la marcata tendenza ad allungare la durata dei segmenti che compongono l’enunciato, abbiamo riscontrato un generale rallentamento rispetto ai soggetti normali; inoltre, lo speech rate (calcolato come numero di sillabe per secondo) tende a diminuire in rapporto alla lunghezza dell’enunciato16.

I dati da noi raccolti ed esaminati concordano con quanto risulta dai precedenti studi condotti su queste tematiche, ma relativi – come ricordiamo – a lingue diverse dall’italiano. In sintesi, si rileva una sostanziale frattura nell’organizzazione ritmica del parlato, indotta dalle numerose pause interfrasali, spesso inserite dal parlante in assenza di potenziali confini sintattici. Parimenti, l’introduzione di pause induce frequente resetting prosodico, con conseguente alterazione della struttura ritmica globale.

7. Aspetti segmentali

Un primo punto cruciale riguarda la classificazione dei processi fonologici che ricorrono nella produzione dei nostri soggetti su base sintagmatica e/o paradigmatica. Sono considerati errori paradigmatici le sostituzioni di segmenti o di tratti fonologici,

16 Per l’analisi quantitativa di questo parametro, cfr. Marotta et al. (2008).

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mentre errori sintagmatici sono le inversioni o trasposizioni di unità segmentali, do-vuti all’incapacità di mantenere il corretto ordinamento seriale. In un generale quadro interpretativo in cui la teoria non lineare della sillaba e il ricorso ai tratti distintivi subfonemici fungono da riferimento essenziale, nozioni preteoriche quali assimila-zione e semplificazione possono comunque costituire un utile strumento di analisi dei dati; ad esempio, la produzione di una parola come [vo.vande] per un bersaglio quale domande mostra in primo luogo l’affermarsi di un principio di semplificazione segmentale, pur nel mantenimento della struttura sillabica (cfr. ultra).

Prendendo in esame in primo luogo le parafasie fonemiche, andrà osservato che sono soprattutto i segmenti consonantici ad essere distorti. Il fenomeno è ovviamente più frequente nel soggetto con marcati problemi articolatori a causa dell’aprassia oro-facciale di cui soffre. Qualche distorsione vocalica è comunque presente; ad esem-pio, abbiamo riscontrato la sostituzione di /i/ con /u/ in alcuni enunciati affermativi; in termini di tratti distintivi, il processo è facilmente interpretabile: [+alto] è tratto condiviso dai due segmenti, mentre il tratto timbrico è quello che viene modificato: [+anteriore] [-anteriore]. In un output [vo.vande] in riferimento alla parola bersaglio domande si può invece osservare in primo luogo la ripetizione dello stesso segmento che condivide con il primo dei due segmenti bersaglio (d) il tratto di ostruenza, mentre con il secondo (m) il tratto di luogo di articolazione.

La rilevanza della struttura sillabica emerge con chiarezza da una serie di pro-cessi fonologici rilevati nel nostro corpus di dati. In primo luogo, si osserva con una certa frequenza la cancellazione di elementi consonantici nella posizione di Coda sillabica; ad esempio, nel mot phonétique [la_kwa:dra] per la squadra, a conferma della marcatezza della struttura CVC già rilevata a suo tempo da Jakobson (1941) sia su base tipologica che acquisizionale e segnatamente afasiologica. Parimenti si rilevano casi di riduzione di Attacchi complessi; ad esempio [tendino] per Trentino, [minsta] per minestra.

La rilevanza della teoria della marcatezza, ancora in riferimento ai tratti distintivi, risulta con evidenza anche per altri fenomeni rilevati nei nostri dati, come ad esempio le omissioni di fonema o le metatesi: un output come [_] per lunghi mostra da un lato l’eliminazione della Coda sillabica, dall’altro la cancellazione della consonante iniziale in Attacco, che è una liquida, vale a dire uno dei segmenti che – Jakobson docet! – compaiono per ultimi nell’acquisizione di L1 e che nel contempo sono tra i primi ad essere prodotti con difficoltà da parlanti afasici. Analogamente, una produ-zione come [] per centrattacco mostra sia riduzione di Attacco complesso che metatesi nelle due ultime sillabe della parola.

Infine, non sono assenti le cosiddette conduites d’approche, vale a dire produ-zione di una serie di sillabe che giungono al bersaglio lessicale per approssimazioni successive, mediante procedimento di auto-correzione; nel nostro corpus, abbiamo rilevato casi come i seguenti:

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[....] per banco; [...] per gonfià, forma dialettale di infinito tronco per gonfiare; [ . . . ] per cascate le foglie.

8. Conclusioni

Giunti al termine di questo nostro intervento, possiamo affermare che i dati da noi raccolti su base sperimentale concordano essenzialmente con i risultati degli studi precedenti condotti in ambito internazionale.

Sul piano segmentale, la nostra analisi ha confermato l’occorrenza di fenomeni fonologici tipici dei contesti ‘turbati’: semplificazioni, assimilazioni, cancellazioni e sostituzioni di fonemi sono processi naturali che facilmente si verificano in caso di imperfetto funzionamento della ‘macchina fonologica’.

L’aspetto più nuovo dei dati qui presentati concerne tuttavia la prosodia di un gruppo di afasici di Broca italiani. Per questo rispetto, andrà rilevato in primo luogo il fatto che l’organizzazione ritmico-prosodica dell’eloquio dei soggetti colpiti da afasia di Broca si presenta ‘franta’, per così dire, a causa delle numerose pause e del-l’allungamento anomalo che si verifica su tutte le sillabe dell’enunciato. La struttura intonativa è parimenti compromessa: i frequenti resetting di F0 sono coerenti con la segmentazione ritmica anomala, mentre la sistematica compressione del pitch range come pure il parsing sintattico disancorato dall’andamento melodico individuano un quadro di generale e marcata alterazione della produzione linguistica degli afasici rispetto ai soggetti di controllo.

È noto che lesioni cerebrali nell’area di Broca comportano un generale rallenta-mento motorio nella produzione, dal momento che, in presenza di queste patologie, la programmazione linguistica dispone di un dominio temporale minore rispetto a quello normale (cfr. Danly & Shapiro, 1982). Questo generale rallentamento produce tanto l’allungamento esagerato delle durate segmentali quanto profili sia ritmici che intonativi anomali. La questione a questo punto riguarda quale rapporto di causa-effetto esista tra i vari fenomeni di disprosodia rilevati; in altri termini, è la struttura ritmica che determina una melodia innaturale oppure viceversa?

A nostro parere, la mancata corrispondenza tra programmazione ed esecuzione produce aritmia e disprosodia, ma sono i modelli ritmico-temporali alterati responsabili della globale disprosodia percepita nell’eloquio degli afasici di Broca. Ciò significa che la pesante innaturalezza della struttura melodica deriva dall’adozione di schemi ritmici anormali, in quanto troppo lenti. Non sarà fuori luogo a questo punto ricordare le recenti risultanze sperimenti emerse dallo studio di Schirmer et al. (2001): le fun-zioni prosodiche crucialmente collegate alla struttura linguistica, tipicamente l’accento lessicale e il timing, sarebbero codificate dall’emisfero sinistro, mentre le funzioni espresse nel dominio della frequenza e correlate alle funzioni emotive e affettive della

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prosodia sarebbero controllate dall’emisfero controlaterale destro. Con riferimento diretto alla lateralizzazione, riusciamo quindi a capire perché i soggetti afasici di Broca con lesione all’emisfero sinistro abbiano evidenti comportamenti disprosodici, basicamente di natura temporale, e quindi governati a sinistra; gli aspetti melodici sono coinvolti solo in via secondaria, sia perché la melodia, che viene processata a destra, non sarebbe in linea di principio compromessa, sia perché è l’alterazione temporale che determina l’alterazione melodica.

Un altro aspetto che vorremmo sottolineare con forza riguarda l’importanza che deve, a nostro modesto avviso, rivestire negli studi di afasiologia la teoria fonologica, o meglio la teoria linguistica nel suo complesso: solo il ricorso ad una teoria esplicita ed interna al sistema linguistico ci pare in grado di interpretare in modo semplice e coerente i dati che di volta in volta si esaminano.

Nelle intenzioni di chi scrive, l’analisi qui illustrata rappresenta un primo passo per la costituzione di un corpus dedicato alla produzione fonetica di pazienti afa-sici italiani. Riteniamo infatti che sia opportuno creare un archivio elettronico, in cui inserire e classificare i dati relativi al parlato di soggetti afasici, un archivio da mettere a disposizione della comunità scientifica che faccia riferimento non solo al livello fonetico-prosodico, ma anche agli altri livelli linguistici, in primis, sintattico e morfologico.

Vorremmo concludere auspicando anche nel nostro paese la diffusione di un atteggiamento di apertura da parte della comunità dei linguisti verso problematiche che solo superficialmente possono sembrare esotiche e distanti dal cuore della nostra disciplina. In realtà, come ancora una volta Jakobson insegna, un linguista degno di questo nome non può e non deve arrestarsi di fronte a nessun aspetto che veda coin-volte le capacità linguistiche tipiche della nostra specie, tanto meno quando si tratta di acquisizione e perdita di queste stesse capacità.

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