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QUADERNI DI SEMANTICA / a. XXXIII, n. 1, giugno 2012, pp. 83-106.

La parentela linguistica turco-etruscaalla luce delle conclusioni della ricerca geneticasulle affinità anatolico-etrusche

di MARIO ALINEI

Emeritus, Universiteit UtrechtCasella Postale 102, I-50029 Tavarnuzze (Firenze), Italia, [email protected]

Abstract

Alla luce delle fonti storiche sulle origini etrusche, della precedente ricerca su una pos-sibile relazione etrusco-anatolica, e della sua definitiva e recente conferma da parte del-la ricerca genetica e osteologica, l’Autore modifica la sua precedente tesi: l’etrusco nonè identificabile primariamente con l’ungherese, e indirettamente con il turco (che haprofondamente influenzato l’ungherese), ma è identificabile con il turco, e quindi indi-rettamente con l’ungherese. Partendo da questa premessa l’autore illustra un folto elen-co di voci lessicali etrusche che si lasciano facilmente confrontare con il turco e le lin-gue affini.

[Parole chiave: etrusco - turco - Anatolia - ricerca genetica e osteologica - confronto les-sicale]

In the light of historical sources on the origins of the Etruscan people, of previous re-search on a possible Turkish-Etruscan relationship, and on its definitive confirmation bygenetic and osteological research, the Author modifies his previous thesis: Etruscan is notto be identified primarily with Hungarian, and indirectly with Turkish (which has pro-foundly influenced Hungarian), but is to be identified with Turkish, and indirectly withHungarian. On the basis of this premise, the Author illustrates a substantial list of Etr-uscan lexical items, which can be successfully compared with Turkish and related lan-guages.

[Keywords: Etruscan - Turkish - Anatolia - genetic and osteological research - lexicalcomparison]

Le affinità genetiche turco-etrusche e turco-toscane

Le affinità degli Etruschi – e dei Toscani – con i Turchi sono state recente-mente – e clamorosamente – accertate dai genetisti italiani. Senza addentrarci neidettagli, la ricerca rilevante è iniziata nel 2004, con uno studio del DNA mito-condriale di 80 campioni ossei ricavati da tombe etrusche del periodo VII-III se-colo a.C. (Vernesi et al. [2004]). Sono poi seguite (1) la ricerca di Achilli et al[2007], secondo la quale i dati ricavati dalla popolazioneToscana moderna «sup-port the scenario of a post-Neolithic genetic input from the Near East to the pre-sent-day population of Tuscany»; (2) più importante, la ricerca di Pellecchia -

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Negrini - Colli et al. [2007] ha osservato che il DNA del Bos taurus toscano èdiverso da quello degli altri bovini, sia italiani che europei, mentre è simile aquello dei bovini medio orientali e anatolici. E infine, decisiva, (3) quella di Al-berto Piazza e Antonio Torroni [2007], il cui studio del DNA degli abitanti diMurlo, di Volterra e del Casentino, in Toscana, ha dimostrato che esso è diver-so da quello degli Italiani del Nord, della Sicilia e della Sardegna, dell’isola diLemnos e del Balcani meridionali, e simile a quello dei Turchi anatolici.

Le affinità etrusche-anatoliche sono state poi rilevate anche dal punto vistaosteologico: secondo Pardini e Bassi [1974], l’indice cefalico della maggior par-te degli etruschi studiati si avvicina a quello delle popolazioni della Troade, Ana-tolia occidentale (Marongiu [2010: 97-98]).

Inoltre, l’identità turco-etrusca è stata prima ipotizzata e poi affermata dallastudiosa turca (e straordinaria figura di donna assunta alle massime cariche sianella politica che nella cultura) Ayda Adile in due libri, pubblicati sia in france-se che in turco: Les Étrusques Étaient-ils des Turcs? (1971) [Etrüskler Türk mü idi-ler? (1974)] e Les Étrusques Étaient des Turcs. Preuves (1985) [Etrüskler (Tursa-kalar) Türk idiler (1992)]. Ignorato dagli etruscologi, mi sarebbe impossibileriassumerlo qui, ma nelle prossime sezioni elencherò alcune delle numerose evalide osservazioni dell’Autrice.

Infine, le affinità turco-etrusche sono state ora riesaminate dal punto di vi-sta storico-culturale in una raccolta di saggi di archeologi, paleontologi, antro-pologi e biologi, curata dall’antropologo Brunetto Chiarelli [2010) ]he, puravendo il prudente sottotitolo Sulla possibile origine anatolica degli Etruschi, ètutta indirizzata a confermare questa tesi.

Tutto questo da una parte conferma la mia tesi sull’importanza dell’elemen-to turco nell’etrusco, già illustrata in Alinei [2003], dall’altro la modifica nellasostanza, in quanto nel nuovo quadro qui presentato le affinità del turco conl’etrusco passano in primo piano, e quelle con l’ungherese in secondo, mentreprima il rapporto era esattamente l’inverso.

Ritengo quindi opportuno utilizzare le due ultime sintesi citate, sia per trar-ne i principali argomenti storico-culturali che confermano l’esistenza e l’impor-tanza dei rapporti turchi-etruschi, sia per contestare le critiche, rappresentative diuna visione ultra-tradizionale, che S. Marongiu rivolge ai genetisti sopra citati.

I principali argomenti storico-linguistici e culturali che confermano l’importanzadei rapporti turchi-etruschi

Il più grande fra gli storici greci, Erodoto, nelle sue Storie (I, 94) racconta inquesti termini il viaggio degli Etruschi, che lui chiama Tyrrhenòi, dalla Lidia al-l’Italia:

Sotto il regno di Atys, figlio di Manes, tutta la Lidia sarebbe stata afflitta da una gravecarestia. Per diciotto anni vissero in questo modo. Ma il male, lungi dal cessare, si ag-gravava sempre più. Allora il re divise il suo popolo in due gruppi: quello sorteggiato sa-rebbe rimasto, l’altro avrebbe cercato fortuna altrove. A capo dei migranti pose suo fi-

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glio, che si chiamava Tirreno. Dopo aver costeggiato molte coste e visitato molti paesiarrivarono nel paese degli Umbri e vi costruirono diverse città in cui ancora vivono. Macambiarono il nome di Lidii in un altro, tratto dal figlio del re che li aveva guidati: pren-dendo il suo nome si chiamarono Tirreni.

Qui, a proposito di due dei tre antroponimi citati, si può osservare: il nomedel re lidio Atys è molto simile al mtu. ecc. ata ‘padre’, ciag. osm. az. kzk. ‘non-no, antenato’, kaz. ‘maschio’, ciag. ‘vecchio’, etc.; uig. aty ‘parente maschile’;mentre Tyrrhenós richiama l’etnonimo türk dei Turchi: atu. Türk ‘die von denChinesen Tu-küz genannte Türken-dynastie und das nach ihr genannte Volk’(EWT s.v.). Infatti va notato che, se è vero, come è vero, che il lat. tuscus «re-présente un ancien *turs-cu-s, umbr. turskum» (DELL s.v.), con lo stesso grup-po iniziale di Tyrs1enós, allora dalla variante più comune Tyrrh 1enós sarebbe potu-to nascere anche *tur-cu-s.

Oltre a Erodoto, anche storici greci minori sostengono la tesi migrazionista:Ellanico di Lesbo, storico greco del V secolo, nella sua Foronide (perduta: ce loriferisce Dionisio di Alicarnasso nelle sue Antichità romane [I, 28]), faceva di-scendere i Tirreni dagli antichi Pelasgi, popolo nomade originario della Tessaglia,il cui nome interpretava come pelargòi ‘cicogne’. Mentre lo storico greco Anti-cleide del III secolo (secondo quanto riferisce Strabone [Geografia V, 2, 4]) liidentificava con i Pelasgi stessi, che abitavano nelle isole di Lemno e di Imbro,e che si sarebbero riuniti ai Lidi nel loro viaggio verso l’Italia.

E la provenienza degli Etruschi dall’Anatolia veniva considerata certa anchedagli scrittori romani, tanto che Virgilio, nell’Eneide, per designarli adopera siaEtrusci che Lydii.

Anche nel mondo egizio si trovano testimonianze rilevanti: un’iscrizione ingeroglifico del XII secolo (tempio di Medinet Habu), sotto il regno del faraoneRamsete III, parla della sconfitta, da parte degli Egiziani, di ‘Popoli del Mare’,uno dei quali veniva designato con il geroglifico Trš-w.

L’unico storico greco che sosteneva la tesi contraria, secondo la quale gli Etru-schi erano un popolo autoctono dell’Italia centrale, era lo storico minore grecoDionisio di Alicarnasso. Ecco come la sostiene (Antichità romane I 25-30):

mi sembra, quindi, che coloro che asseriscono che gli Etruschi non sono un popolo im-migrato da terre straniere, bensì una razza indigena, abbiano ragione; e ciò mi pare de-rivi dal fatto che essi sono un popolo antichissimo, che non assomiglia a nessun altro siaper quanto riguarda la lingua che per i costumi.

Gli studiosi autoctonisti moderni, fra i quali Devoto, per rafforzare la loro te-si, si valgono del fatto che la lingua delle iscrizioni trovate a Lemno sembra pre-sentare somiglianze con l’etrusco (cfr. Donati [2010: 37]), per cui consideranoil lemnio e l’etrusco come varianti della lingua autoctona anticamente parlata nelMediterraneo. Ovviamente, questo è un non sequitur: l’affinità fra Etrusco eLemnio si spiega altrettanto bene dal punto di vista migrazionista, come già fa-cevano gli storici greci sopra ricordati.

Una terza tesi risale a una testimonianza di Tito Livio (Ab urbe condita libriCXII, V, 33, 11) che, sulla base della affinità linguistica fra Etrusco e Retico, fa-

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ceva derivare dagli Etruschi la popolazione alpina dei Reti, e quindi sosteneva chegli Etruschi sarebbero arrivati in Italia attraverso le Alpi, dal Nord, probabil-mente dall’area balcanico-danubiana. In epoca moderna, una tesi simile è statasostenuta specialmente da studiosi del XIX secolo che, essendo gli Etruschi cre-mazionisti, li faceva derivare dall’Europa orientale, culla dal rito crematorio. Untrattamento a parte richiede la presa di posizione della biologa Simona Maron-giu nel suo contributo alla succitata raccolta di Chiarelli [2010]. Che nono-stante sia una valente biologa evoluzionista, per di più molto interessata alle ori-gini del linguaggio, esprime sorprendenti – e, a mio avviso, un po’ incaute – ri-serve sulle conclusioni della genetica, e – ancora più sorprendente – lo fa ricor-rendo alla vulgata opinio sull’arrivo dei Turchi in Turchia nel Medio Evo:

per quanto riguarda le analisi genetiche, le ultime scoperte non hanno risolto il proble-ma delle origini etrusche, ma lo hanno allargato […] Sorge, infatti, un dubbio “storico”:ha senso confrontare il dna di Etruschi “antichi” e “moderni” con quello di Turchi “mo-derni”? Non si rischia di trascurare il fatto che i Turchi, nella visione tradizionale [enfa-si mia], fino ad ora mai discussa o contestata dagli studiosi tradizionali sarebbero arri-vati in Asia Centrale soltanto nei primi secoli della nostra era, e in Turchia addiritturanel Medio Evo? … Per cui l’Anatolia, all’inizio del I millennio non era certamente abi-tata daTurchi, bensì da Assiri, Ittiti, Cappadoci, Cari, Frigi, Panfili, Lici, Cilici, Lidi, Mi-si e più tardi da Sciti e Cimmeri provenienti dalle steppe. Come si può quindi invoca-re il racconto di Erodoto senza allo stesso tempo rivoluzionare la visione tradizionale, col-locando i Turchi in Turchia già nel II millennio?

Da linguista “non tradizionalista”, sostenitore della necessità di un approc-cio interdisciplinare allo studio della preistoria linguistica, ed essendomi occu-pato specificamente, nelle mie Origini delle lingue d’Europa [1996-2000], an-che del problema delle origini delle lingue altaiche, mi permetto di rispondereagli interrogativi posti dalla studiosa. E lo faccio citando due passaggi dal se-condo volume delle mie Origini, di cui il primo è rilevante per la corretta inter-pretazione delle fonti storiche, e il secondo, molto più lungo, pur riguardandoi Turchi dell’Asia Centrale, impone, necessariamente, anche una radicale revi-sione della datazione dell’arrivo dei Turchi in Turchia. Arrivo che si lascia certa-mente collocare, allo stato attuale delle conoscenze (non ancora approfonditeda ricerche aggiornate), ed anche sulla base delle conclusioni della ricerca gene-tica sui rapporti turco-etruschi, fra l’inizio dell’età del Rame, nel IV millennio,come data post quem, quando hanno inizio, in Europa e in Asia, le incursioni del-la nuova pastorizia nomadica montata a cavallo, documentate dall’archeologia,e l’inizio del I millennio a.C. (data dell’arrivo dei Turchi-Etruschi in Italia), co-me data ante quem. Ecco i due brani:

molti dei ‘popoli’ che si affacciano ora alla storia [come quelli sopra citati dalla Maron-giu] non hanno un carattere etnolinguistico autoctono, ma sono gruppi elitari domi-nanti, portatori bilingui di una cultura e di una lingua di prestigio. La confusione fra et-nie ed élites è particolarmente dannosa in linguistica storica [e nella preistoria in gene-re], che conclude sempre, semplicisticamente, che là dove erano Celti, Etruschi, Illiri,Traci e così via, ivi si parlava celtico, etrusco, illirico e tracio. Naturalmente questo è ve-ro per le élites dominanti, ma non per le masse dei coltivatori soggiogati, e forse nean-che per le compagini militari che si muovevano agli ordini dei condottieri. In realtà, co-

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sì come Celti ed Etruschi agiscono come superstrato sulle popolazioni autoctone itali-di, si può pensare che sia avvenuto lo stesso per Cimmeri, Sciti e i numerosi popoli mi-nori dell’Europa orientale (p. 102).

Oggi aggiungerei, più specificamente per il nostro caso, che tutti i popoliche hanno lasciato tracce linguistiche della loro presenza in Turchia lo hannofatto, ovviamente, mediante la scrittura: ciò che implica l’esistenza di comuni-tà altamente stratificate, le cui élites avevano bisogno di imporre, consacrando-lo con la scrittura, il loro nuovo dominio e i loro privilegi.

La visione tradizionale attribuisce agli Iranici le culture nomadico-pastorali che fra ilBronzo e il Ferro dominano le steppe dell’Asia centrale, e compiono frequenti incursio-ni in Europa. Lo fa non perché disponga di prove, ma solo perché partendo dall’assun-to che i pastori nomadi dei kurgan erano i PIE [Proto-Indoeuropei], i loro eredi dei mil-lenni successivi dovevano essere anche IE, e quindi non potevano essere che degli Ira-nici – gli unici pastori guerrieri dell’area IE. Di qui consegue un altro corollario: se i pa-stori nomadi del Ferro sono iranici, gli Altaici devono arrivare nelle loro sedi storiche tar-dissimo, addirittura nei primi secoli della nostra era. Dove fossero prima non lo si chie-de, nonostante vi siano tutti gli elementi sia per porre la domanda che per rispondere.Per meglio dire, agli Altaici è riservato lo stesso ‘limbo’ in cui sono collocati gli IE e incui, prima della teoria della continuità uralica, trovavano posto anche gli Uralici. Ma pergli Altaici il quadro è ancora più assurdo, perché nelle steppe dell’Asia centrale, doveoggi si trovano le popolazioni nomadiche di lingua altaica, le culture preistoriche che ap-paiono nel corso del Neolitico sono proprio pastorali nomadiche, che hanno esatta-mente gli stessi caratteri dei moderni pastori nomadici altaici! Anziché adottare l’ipote-si più economica, che è quella della sostanziale continuità dei pastori altaici della storiada quelli della preistoria, la teoria tradizionale preferisce separare nettamente i pastoripreistorici da quelli altaici storici, costringe i secondi ad arrivare recentemente nelle step-pe asiatiche – naturalmente da fuori –, fa nascere nella steppa quelli iranici, e poi li fatraslocare armi e bagagli in Iran, nel solito carosello migratorio di popoli che si inse-guono, e si sostituiscono gli uni agli altri, così caratteristico dell’‘allegro’ quadro etno-genetico tradizionale indoeuropeo e peri-indoeuropeo. Nessuno si domanda, però, per-ché la documentazione archeologica non riveli tracce né della partenza degli Iranici, nédell’arrivo degli Altaici, né dell’intervallo che dovrebbe separare questi due formidabilieventi! Di rado un’ipotesi ‘scientifica’ assomiglia tanto a un racconto fantastico, e perspiegarne la sopravvivenza alle soglie del III millennio non si può che ricordare che es-sa è nata nella scia di quella visione ‘antidiluviana’ che ho illustrato in OR1, e che la lin-guistica storica e comparata continua a ritenere un vero e proprio ‘mistero della fede’,immodificabile come i ‘libri sacri’ delle religioni rivelate (pp. 85-6).

Il semplice buon senso dovrebbe [invece] orientarci verso la soluzione più semplice:le popolazioni dell’Asia centrale che nel IV millennio hanno dato inizio alla pastorizia no-madica montata a cavallo, e che la documentazione archeologica permette di seguire neisuoi successivi sviluppi, senza soluzioni di continuità, sono quelle che si manifestano al-l’alba della storia e che si continuano fino ad oggi: gli Altaici. Come vedremo, vi sono mol-ti altri argomenti che confermano questa conclusione. Il principale, su cui torneremo, èproprio quello linguistico: solo assumendo che gli Altaici siano stati i primi ad usare il ca-vallo come cavalcatura diventa comprensibile che tanta parte della terminologia ippicanelle lingue uraliche e IE dell’Europa orientale sia altaica (e non iranica!) (p. 86).

Il modello storico è quello delle invasioni dei Mongoli e degli Unni, manifestazionirecenti di una cultura che emerge con le stesse caratteristiche già nella preistoria, e cheoggi, dal punto di vista etnografico, si studia quasi esclusivamente su basi etnolinguisti-che altaiche (v. per es. Masanov 1990). Gli archeologi, infatti, non esitano ad afferma-re: “For most of its history and prehistory [the steppes region] supported a population

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of nomadic pastoralists who from time to time spread into the settled lands around, andcame to exert a profound effect on ancient history” (DA s.v. steppes). Anche uno dei mi-gliori archeologi dell’area, il russo Chernykh, si esprime in termini che non lasciano adi-to a dubbi: “The steppe tribes of horse-breeders and mobile pastoralists had already be-gun, in the Copper Age, to play the role which they were to continue to play for the next5,000 to 5,500 years of human history” (Chernykh 1992, 42-3).

Curiosamente, tuttavia, il cavallo come animale da cavalcatura e da guerra è uno deiprincipali ‘argomenti’ del cosiddetto ‘ippocentrismo’ IE tradizionale! Non si capisce co-me ancora oggi una tesi talmente lontana dalla realtà documentaria possa essere soste-nuta da valenti studiosi, sulla pura base di un presupposto dogmatico. Accettando ladocumentazione archeologica come premessa, e non la propria fede, l’uso del cavallo co-me cavalcatura non può avere che origini e una storia essenzialmente altaiche, in quan-to appartiene al bagaglio delle nozioni comuni che i primi ad usare il cavallo come ani-male da monta siano stati “fierce nomadic peoples of Central Asia” (EB, s.v. Horses andhorsemanship, 709). Inoltre, non vi è studio scientifico della questione che non sottoli-nei conclusioni di questo tipo: “As a general rule, almost every item of riding equipmentused today originated among the horsemen of the Eurasian steppes and was adopted by thepeoples of the lands they overran” (ibidem). Ovviamente, una volta inventato l’uso del ca-vallo come cavalcatura, guerrieri montati a cavallo diventarono comuni in altre regionidel mondo: lo dimostrano, a metà del II millennio, gli Ittiti, gli Assiri, i Babilonesi, gliHyksos e, più tardi, gli Sciti. Questa diffusione è un fenomeno culturale del tutto nor-male, che certo non basta a trasformare le aree secondarie in focolaio centrale. L’inven-zione dell’uso del cavallo come cavalcatura, con tutto ciò che essa comporta sul pianoideologico, se si abbandona l’identificazione della cultura dei kurgan con i PIE, non puòessere attribuita che agli antenati dei Mongoli e degli Unni.

Per quanto riguarda poi la nascita e lo sviluppo dell’uso del cavallo nell’area steppica,Lichardus e Lichardus (1985) ne ricostruiscono con acume le circostanze. Essi notano an-zitutto che l’area delle steppe a nord del Mar Nero corrisponde al biotopo specifico doveha potuto sopravvivere il cavallo selvaggio dopo i mutamenti climatici che hanno copertodi foreste il continente. È quindi qui che dovremmo aspettarci – anche se la documenta-zione archeologica non lo dimostrasse – la domesticazione del cavallo, da parte di gruppineolitici che avevano già avuto l’esperienza dell’allevamento dei bovini e degli ovini, e cheora (quattro millenni dopo: cfr. Bökönyi 1974, e DP s.v. cavallo), cominciano a specializ-zarsi in quella del cavallo. La seconda grande tappa di sviluppo che segue la domesticazio-ne del cavallo è poi la sua cavalcatura. E anche questa è strutturalmente necessaria, dal mo-mento in cui cominciano ad esistere mandrie di cavalli: mentre il pastore di pecore e di bo-vini non aveva bisogno di muoversi velocemente e su grandi distanze, quello di mandrie dicavalli non può essere che un cavaliere, se vuole poterle guidare e proteggere (Lichardus eLichardus 1985, 358-359, 506). Da questa straordinaria mobilità delle mandrie di cavallinasce anche il particolare modo di vita nomadico, e si sviluppa quel rapporto di scambioe di conflitto latente con le culture agricole, una volta che i nomadi abbiano abbandonatoqualunque forma di agricoltura. Anche Chernykh scrive: “Horse-breeding occupied a spe-cial place [in the steppe cultures], as the domestication of the horse and the emergence ofhorsemen led to a dramatic change in the balance of power, militarily speaking, betweenthe peoples of this zone and their neighbours to the west. From this period onwards, un-til modern times, cavalry were to constitute the principal offensive strike force” (Chernykh1992, 42). Si può poi fare un’ulteriore osservazione per dimostrare che la sfera di influen-za delle culture pastorali nomadiche dell’Asia centrale era l’area di lingua altaica. A sud del-la sterminata striscia della steppa eurasiatica si lasciano distinguere tre zone geoculturali di-verse, che hanno avuto molta influenza nel determinare il tipo di rapporti che i popoli no-madici dell’Asia centrale hanno sviluppato con i loro vicini meridionali. Ad occidente, inEuropa orientale, le aree a sud della steppa erano aree di agricoltura intensa e di alta civil-tà, che si potevano difendere abbastanza facilmente dagli assalti dei nomadi. Ad oriente, lasteppa è separata dalla Cina dal deserto del Gobi, una barriera che ha molto limitato l’im-

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patto dei nomadi sulla Cina. Solo al centro, cioè in Asia centrale, l’area a sud della steppaè mista di montagne, deserti, praterie e coltivazioni, ed ha quindi costituito l’area ideale diinterazione, nella quale ininterrottamente, dalla preistoria fino ad oggi, si sono mescolatetradizioni nomadico-pastorali e agricolo-urbane (Francfort 1990). Possiamo allora do-mandarci perché oggi, in quest’area agricola e urbana centro-asiatica che era l’unica ve-ramente ‘aperta’ ai gruppi nomadici delle steppe, e ne costituiva anche il polo di attra-zione, si parlino proprio e soltanto lingue altaiche. Nelle grandi regioni agricole del Ka-zakhstan, Kirghizistan, Uzbekistan eTurkmenistan abbiamo infatti popolazioni sedentariedi lingua altaica (turcica), linguisticamente affini ai nomadi stessi. La spiegazione è semplice,ed è l’unica possibile: qui si trova il cordone ombelicale che da sempre ha dato vita alle cul-ture pastorali delle steppe, che prima di essere pastorali erano naturalmente agricole. Piùa sud, in Iran, Tagikistan e Afganistan, siamo già in un altro mondo, che gravita nella sfe-ra d’influenza della lingua iranica. Nell’ambito della TC, poche aree culturali preistorichesi lasciano dunque identificare a livello linguistico così facilmente come quella che emergenell’area delle steppe, fin dall’inizio del Neolitico, con le stesse caratteristiche culturali di og-gi. Questa identificazione, tuttavia, porta inevitabilmente a una conclusione radicalmentediversa da quella della teoria della Gimbutas e dei suoi seguaci: i pastori guerrieri dei kur-gan, eredi delle prime culture nomadico-pastorali delle steppe, non erano i PIE, ma era-no un gruppo altaico, già da tempo differenziato da altri gruppi altaici (pp. 86-89).

Le culture nomadico-pastorali delle steppe eurasiatiche che si lasciano osservare contanta evidenza nella documentazione archeologica a partire dal tardo Neolitico non pos-sono essere che i predecessori delle culture nomadico-pastorali altaiche, sia turciche chemongole, che caratterizzano l’Asia centrale di epoca storica e attuale. Ciò permette di ve-dere in nuova luce sia la cultura dei kurgan, sia quelle che la precedono e la seguono. Benlungi dall’essere legate alle origini degli IE o degli Iranici, come hanno sostenuto e so-stengono, alternativamente, diverse scuole archeologiche e linguistiche legate alla teoriadella ‘migrazione dei popoli’, queste grandi culture si lasciano invece identificare comele prime manifestazioni degli Altaici e in particolare del gruppo Turco (v. fig. 1), di cuisi ora potrà facilmente riscrivere la preistoria con l’inestimabile ausilio della documen-tazione geolinguistica. Naturalmente, resta del tutto valida la teoria che la cultura dei kur-gan, al confine fra Asia e Europa, abbia avuto un ruolo fondamentale nello stimolare enel diffondere l’ideologia pastorale, patriarcale, guerriera ed elitaria in Europa. Ma nel-la TC questo contributo appare avere in primo luogo origini altaiche, e solo in un se-condo momento, attraverso le culture della Ceramica a Cordicella e delle Ascie da Com-battimento, diventa una manifestazione IE. (pp. 117-18).

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Fig. 1 – Distribuzione delle lingue turche in Eurasia.

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Quanto all’archeologia, essa ha rilevato come dalla cultura materiale si pos-sano ricavare non pochi indizi degli stretti rapporti fra Etruschi e Anatolici delVI secolo:

(1) gli orecchini a disco in oro delle aristocratiche etrusche, che mostrano latecnica della ribattitura, della filigrana e della granulazione, tipica dell’artigianatodell’Anatolia occidentale;

(2) il costume di adornare gli uomini con braccialetti, collane e orecchini;(3) la somiglianza della pittura etrusca con le pitture parietali di Gordion o

quelle parietali di Karaburun, in Anatolia;(4) la somiglianza delle raffigurazioni del leone come custode delle tombe

etrusche, con quelle dell’arte siro-ittita.

Come conclude quindi Donati [2010: 42], gli elementi che la cultura etru-sca deve all’Anatolia «sono chiari e sicuri».

Le affinità culturali turco-etrusche

Importanti osservazioni sulle affinità turco-etrusche sono state poi rilevatedalla succitata studiosa turca Ayda Adile [1985]. Ecco le più importanti che,quando possibile, elaboro ulteriormente:

(1) la religione pre-islamica degli antichi turchi concepiva il Cielo, abitato da-gli dei, suddiviso in 17 regioni. Quella etrusca, nella descrizione di Marziano Ca-pella, lo concepiva suddiviso in 16, ciascuna abitata da una diversa divinità. Unasomiglianza molto distintiva, in quanto si differenzia radicalmente dalla conce-zione cosmogonica delle religioni del mondo classico, secondo le quali il mon-do si divideva semplicemente in celeste, terrestre e infernale [ibidem: 40-42].

(2) Inoltre, entrambe le religioni avevano in comune la credenza che una sor-ta di tubo collegasse il mondo celeste a quello degli inferi, attraverso un foro sca-vato nella terra [ibidem: 43-45]. Qui la Adile ricorda anche che, secondo Catone(apud Festum, 144, 18 sgg.; cfr. DELL s.v. mundus), questo foro era stato scavatoproprio per comunicare con i Mani, gli spiriti dei defunti; ma omette di ricorda-re che i Latini lo collocavano nel comitium, e lo ricoprivano con il lapis manalis.

(3) Per entrambe le religioni, all’inizio dei tempi esisteva solo l’oceano; laterra nasce dalla separazione del Cielo dal Mare [ibidem: 46-48].

(4) Per entrambe le religioni gli uccelli facevano parte del Cielo e lo abitava-no, assieme agli dei [ibidem: 51-53]. La Adile ricorda qui il ruolo degli Auguriper l’interpretazione del volo degli uccelli, ma omette di ricordare che auspi-cium, in origine avis spicium, significava ‘osservazione dell’uccello’.

Le affinità linguistiche turco-etrusche

A livello linguistico, la Adile nota poi le seguenti affinità turco-etrusche:(I) la cosiddetta ‘gorgia toscana’, generalmente considerata eredità etrusca,

che esiste anche nelle lingue turche [ibidem: 195-196];

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(II) l’armonia vocalica, che è tipica sia dell’etrusco che delle lingue uralo-al-taiche [ibidem: 197-198];

(III) la struttura agglutinante, comune alle due lingue [ibidem: 197];(IV) il passaggio dei dittonghi etruschi AI, AU, EU rispettivamente a EI,

AV, EV, notato da Pallottino (1984), che si riscontra anche nello sviluppo dalturco di Kazan all’ottomano [ibidem: 198-199];

(V) il passaggio di lat. O breve in sillaba aperta al dittongo it. UO, tipico del-l’italiano, che ha qualche (debole) riscontro anche nelle lingue turche [ibidem:199-202];

(VI) la scrittura destrorsa [ibidem: 204];(VII) l’omissione delle vocali nella lingua scritta [ibidem: 205-207].

Per quanto riguarda la grammatica, la Adile elenca poi (menziono solo i con-fronti più rilevanti):

(A) Il cumulo di suffissi, comune all’etrusco e al turco [ibidem: 289];(B) la formazione degli aggettivi in -l in etrusco, confrontabile a quella in -

li in turco [ibidem: 290];(C) l’assenza del genere (maschile, femminile, neutro), sia in etrusco che in

turco [ibidem: 291];(D) il plurale in -ar -er in etrusco, in -lar -ler in turco. La Adile menziona an-

che un plurale in -ar -er in jakuto, accanto al più frequente -lar -ler. Inoltre, poi-ché Pallottino menziona anche un plurale etrusco in -l, la Adile ipotizza, comepossibile spiegazione, la fusione di questa marca del plurale, presumibilmente piùarcaica, con quella più recente [ibidem: 291-293];

(E) la frequente identità del nominativo con l’accusativo, comune alle duelingue [ibidem: 293];

(F) la precedenza del genitivo rispetto al nome che qualifica (e.g. della rosa ilprofumo), comune alle due lingue [ibidem: 295, 310-311];

(G) la presenza di un suffisso per il genitivo non solo nel nome determi-nante, ma anche nel nome determinato, comune alle due lingue [ibidem: 295-296];

(H) l’impiego della -s come suffisso del nome determinato dal genitivo, co-mune alle due lingue [ibidem: 296];

(I) l’impiego della -a, in etrusco arcaico, per il dativo, comune al turco mo-derno [ibidem: 289-290];

(J) l’identità del suffisso etrusco -Ti per il locativo e -te -ta (> -de -da) [ibi-dem: 299];

(K) l’impiego della -n- per alcuni casi di accusativo in etrusco (fra cui i pro-nomi dimostrativi), corrispondente a quello della -n- nel tu. di Kazan, e nei pro-nomi dimostrativi anche in turco moderno [ibidem: 300-301];

(L) l’uscita in -m di alcune voci etrusche, male interpretata dagli etruscolo-gi, che corrisponde invece alla prima persona singolare di verbi turchi al pre-sente (v. oltre per alcuni importanti esempi lessicali) [ibidem: 302];

(M) la desinenza verbale -ce, in etrusco caratteristica del perfetto, che, lettacome palatale, corrisponde a quella -dje del ciuvascio [ibidem: 302-304];

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(N) l’imperativo formato con la semplice radice in etrusco, che esiste anchein turco [ibidem: 305];

(O) il gerundivo etrusco in -eri, che ha un riscontro nella desinenza -esi del-l’imperativo in turco, tenendo conto del frequente passaggio di /r/ ad /s/ o /z/nella fonetica storica del turco [ibidem: 305-306];

(P) l’omissione del pronome soggetto, comune al latino, all’etrusco e al tur-co [ibidem: 309-310];

(Q) il verbo in fine di frase, comune al latino, all’etrusco e al turco [ibidem:311-312].

Per quanto riguarda infine le affinità lessicali turco-etrusche, credo sia utile riu-nire qui i raffronti già illustrati in Alinei [2003], in qualche caso approfondendolie aggiungendone anche numerose altri, per offrirli all’attenzione degli specialisti.

Le affinità lessicali turco-etrusche

Elenco quindi qui sotto, in ordine alfabetico moderno, le principali voci etru-sche che ho ricondotto al turco, con l’avvertenza che ho omesso, dove presente,il riflesso ungherese, in quanto non più rilevante per il nostro scopo.

1. Lat.-Etr. AEGER AEGRUM ‘malato, dolore’

Lat. aeger ‘malato’, così come aegrum ‘dolore, pena’, sono senza etimologia(cfr. DELL). Adile [1985: 229-230] confronta queste voci con turco agri ‘soffe-renza fisica’ e agrimak ‘causare dolore, far male’.

2. Etr. AIS ‘dio, divinità’

L’accostamento di questa parola allo iakuto ais ‘dio, divinità’, proposto inAdile [1985: 293-294] è senz’altro più convincente di quello, ipotizzato da chiscrive (Alinei [2003: 43]) con l’ungh. isten ‘dio’, dal Proto-Ur *iôcä ‘padre’.

3. Etr. AN/ANC/ANANC ‘pronome relativo’

Pallottino interpreta queste forme come pronome, forse di tipo relativo. Adi-le [1985: 278] conferma confrontandole con il turco dialettale e antico aning (tu.moderno onun), traducibile sia come pronome (‘di lui’) che come aggettivo pos-sessivo (‘suo’).

4. Etr. APA ‘padre’

Apa, nome del ‘padre’ in etrusco, lo è anche in turco [ibidem: 247-248] e inungherese. Ovviamente, la preferenza va ora per una diretta affinità dell’etruscocol turco.

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5. Etr. AVIL ‘anno’

Anche per questa parola, l’accostamento della Adile [ibidem: 245-246] alturco antico e moderno yil ‘anno’ è preferibile a quello con ungh. év ‘anno’, pro-posto in Alinei [2003: 47], seppure con minore evidenza fonetica del caso pre-cedente.

6. Lat.-etr. CAMILLUS ‘ministro di sacerdoti’

La parola latina di origine etrusca camillus (cfr. DELL), che secondo Serviosignifica anche ‘minister deorum’, letta come diminutivo di cam- secondo Adi-le [1985: 216-218] è avvicinabile al turco kam ‘shamano’.

7. Etr. CANTE/CAMTI ‘carica politica’

È il nome della massima autorità politica etrusca (Serv. Aen. II, 669; cfr. Cri-stofani [1993: 132]) (anche se virtuale: il vero potere stava nelle mani dello zi-la), corrispondente al rex. È stato identificato fin dai primi studi scientifici (cfr.Pauli [1882: 69-70]; Pallottino [1985: 485-486, 507]), ed è di probabile origi-ne altaica: cazaro kündäôc, tataro (Lebed) kündü ‘profondo rispetto, cortesia; laseconda carica in ordine di importanza’; hakas χündü ‘riverenza, funzionario’ecc. (< mong. kündü ‘importante; ossequio, onore’ (EWU s.v., cfr. EWT s.v.kündü (2a u lg)).

8. Etr. CAPE CAPI ‘recipiente’

Pallottino traduce questa parola, con i suoi numerosi derivati, ‘recipiente’.Adile [1985: 263] ricorda che kap in turco significa ‘recipiente’.

9. Etr. CEP- ‘modello, forma, idolo’

Pallottino, nel suo manuale istituzionale lo considera ‘titolo sacerdotale’: con-gettura dovuta alla frequenza delle sue attestazioni nel Liber Linteus, il cui conte-nuto è certamente rituale, nonché in contesti nettamente ‘magistratuali’, cioè ac-canto a termini come zila, maru e derivati (cfr. TLE 133, 165, 171, 359, 894).Di conseguenza, lo sforzo degli specialisti è stato di combinare la sacralità con leistituzioni civili, ipotizzando il senso di ‘sacerdote’, o comunque di un titolo ono-rifico a metà fra il religioso e il civile, non inverosimile per una società antica.

La lettura in chiave turca permette di spiegare sia le associazioni con il ri-tuale che quelle con le magistrature. La voce, infatti, appartiene al vocabolarioreligioso bulgaro-turco, e significava ‘idolo pagano’ (Róna-Tas []1999: 368]). Iconfronti sono: uig. kip ‘esempio, modello’, mtu. k b ‘modello, forma, immagi-ne da onorare’, turcm. gäp ‘spauracchio, spaventapasseri’, caracal kep ‘idem’, oir.,tel., tat. (leb.), scior. käp ‘misura, modello, forma, schema’, scior. käbär ‘rappre-sentazione, raffigurazione, modello’, calm. kep ‘formello’, cazc. kep ‘senso, si-

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gnificato’, soi. χep χevi ‘forma’, χevir ‘forma, figura’, iak. kiäp, ciuv. kap ‘esten-sione, mole, aspetto esteriore, figura’ (da cui mari kap käp ‘corpo’), aciuv. (>ungh. kép, sbcr., slovn kip ‘statua’, aslav. kap ‘immagine, effigie, idolo’) ~ mong.keb ‘modello, forma’ (EWT s.v. *käp (lunga).

Nelle altre iscrizioni etrusche il termine si lascia tradurre come il lat. insigneinsignia, e va quindi inteso come oggetto del verbo tenu, al quale si trova spes-so associato (cfr. TLE: 133, 171, 894), corrispondente a lat. regere: ‘rivestire/reg-gere la carica/le insegne di zila, gromatico ecc.

10. Etr. CLAN (e il toponimo CHIANTI) ‘figlio’

Come è stato accertato fin dagli inizi dell’etruscologia scientifica, la frequentevoce etrusca clan ha il significato di ‘figlio’ (cfr. Pauli 1882, Pallottino 1984: 434e precedenti edd.). Per cui, come avevo già sostenuto nei miei Addenda (Alinei[2005]), correggendo la precedente analisi presentata nel mio libro [Alinei2003], essa si lascia ricondurre al medio turco e uigurico, ciagataico ecc. oγlan‘giovane, ragazzo’ [EWT: 358], tu. moderno o&glan (pronuncia oqlan) (cfr. Adi-le [1985: 249-250]).

Quanto al toponimo Chianti, che esso abbia origine etrusca era stato già sup-posto dal Pieri [1919: 29] e dallo Schulze [1933: 529], che lo riconducevano a«un personale etrusco clante clanti». Origine tuttora sostenuta, con rinvio ai dueautori citati, anche dal DT (in cui la voce è compilata da Carla Marcato). Que-sta conclusione va ora modificata ed elaborata, alla luce della recente ricercaetruscologica: (1) e (2) la sillaba finale -ti/-Ti si lascia facilmente identificare conil caso locativo (v. sopra), come avevano già visto Deecke [1882] e Bugge [1883](cfr. Pallottino [1984: 438]): cito per es. celati e celTi ‘nella fossa’, hupnineTi ‘nelsepolcro (a tumulo)/ nell’ossuario (a urna)’, é suTiti ‘nell’ossuario, nella tomba’, tué-sti tu ésTi ‘nel fuoco’, cltTi mutniaTi ‘in questa tomba’, UnialTi ‘nel (tempio) diUni’, TarχnalTi ‘a Tarquinia’.

Per cui, clan-ti potrebbe essere interpretato come ‘nella (terra del/per il) figlio’:un significato che non sarebbe banale, soprattutto se visto alla luce di quanto sap-piamo sulla società etrusca e sulla graduale formazione, al suo interno, di una po-tente aristocrazia, legata ai possessi terrieri e alla loro trasmissione ereditaria (cfr.Pallottino [1984: 301-303]).

Non mi sembrano invece convincenti le considerazioni di Silvestri [1988]e di Mastrelli [1988], pubblicate nel nono quaderno del Centro Studi Stori-ci Chiantigiani, intitolato Chianti. Storia e origine di un nome. Entrambi glistudiosi, con argomentazioni simili, associano Chianti all’idronimo Chiana (<Clanis) e ai toponimi Chiani e Chianni. E il primo ricostruisce un etrusco*clan o *clanis ‘fiume’, mentre il secondo, oltre a una possibile origine etru-sca, pensa al “sostrato «mediterraneo»” [p. 45]. La debolezza di questa tesista nel fatto che etrusco clan ‘figlio’ è assolutamente certo, mentre manca,nella documentazione etrusca, qualsiasi prova dell’esistemza di un *clan ‘fiu-me’ o ‘acqua’.

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11. Etr. CLETRAM ‘io porto’

Questa voce etrusca, attestata molto spesso (assieme ad etnam, per cui v. ol-tre, e ad altre) nel Liber Linteus, è stata avvicinata da Pallottino all’umbro kletra,e tradotta come ‘oggetto per portare offerte’. Adile [1985: 302-304, n. 431], te-nendo conto della succitata tendenza ad omettere le vocali nella lingua etruscascritta, la confronta invece alla voce verbale del turco del Volga keletiram ‘io por-to’, da keletir ‘portare’ (tu. moderno geldirmek, tu. d’Abakan keltirmek). Ciò chedà più senso all’iscrizione del Liber Linteus.

12. Lat.-Etr. CURIA ‘divisione politica e religiosa del popolo romano’,

Lat. curia ‘divisione politica e religiosa del popolo romano, senza etimologiae di possibile origine etrusca (cfr. Festo e DELL), nonché lat. curulis, l’agg. chesi accompagna a sella per distinguere il ‘(seggio) riservato ai re, agli alti magistrati,consoli, pretori etc., anch’esso di probabile origine etrusca (cfr. DELL), secon-do Adile [1985: 233-236] si lasciano confrontare al turco kurmak ‘istituire, fon-dare’, e kurulus ‘istituzione’. Aggiungo1 tu. kurul ‘consiglio, comitato, assem-blea’, kurultay/qurultay ‘congresso’

13. Etr. ETNAM ‘io prego, io supplico’

Questa voce molto frequente del Liber Linteus è stata avvicinata da Pallotti-no al latino etiam e quindi interpretata come la congiunzione ‘e, anche’. Analo-gamente a cletram (v. sopra), Adile [1985: 303-304] la legge invece come primapersona del verbo turco del Volga ötin-mek, ütin-mek ‘pregare’.

14. Etr. FALA(N)DO ‘cielo’

Come è noto, Paolo Diacono cita, da Pompeo Festo: «…falado (falando)quod apud etruscos significat caelum». Pallottino [1985] unisce questa voce a fa-lau, falaés, fal ésti etc. Adile [1985: 254-257] propone un raffronto con jak. halla‘cielo’, sulla base della tendenza, in questa lingua (così come nel ciuvascio), aspirantizzare la f- iniziale (e.g. russo fonar ‘lampada’ > jak. honar).

15. Etr. FALU- ‘città’

Voce etrusca dal significato di ‘città’, attestata nel composto faluTras ‘corpo-razione, collegio della città’. È avvicinabile (cfr. EWU s.v. falu) all’uig. balïq ‘cit-tà’, calm. balγasum ‘città, villaggio’.

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1 Me lo suggerisce il collega turco azero Aref Esmail Esmailnia, che ringrazio.

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16. Lat.-Etr. HARU(SPEX) ‘aruspice’

Adile [1985: 214-216] confronta il primo elemento della parola lat. haru-spex, secondo il DELL di origine etrusca ed affine a lat. hernia, al tu. dial. kha-rin ‘ventre’.

17. Etr. HINTA e varr. ‘mondo infero, cimitero’

Pallottino traduce questa parola etrusca con ‘sotto’ o ‘riferibile al mondo in-fero’. Adile [1985: 262] osserva che in uig. il cimitero si chiama sinti, e che il pas-saggio da /s/ a /h/ è una caratteristica dialettale turca.

18. Etr. LUÀS LUC- LAUC- LUX- LAUX- etc. ‘grande’

Mentre gli etruscologi danno a questa voce, che ovviamente designa il lucu-mone etrusco, e quindi è senza etimologia, il significato di ‘re’, nella mia prece-dente ricerca avevo optato per il significato di ‘cavaliere’, sulla base dell’ungh. ló‘cavallo’, e di qui dell’uig. ula-γ ‘cavallo postale’, ‘insieme, legame’, mtu. ‘caval-lo postale, destriero’; ciag., tu. or., com. osm. ulak ‘corriere’ ‘corriere espresso’,ciag. ‘qualunque animale da soma usato per trasporto’, cazc. ulau, ulo, lau, cazn.ylau ecc. ‘tiro di cavalli ufficiale’. Adile [1985: 251-253] propone un accosta-mento al turco che mi sembra molto più diretto e convincente: a. turco, mtu.,ciag. etc. uluγ ‘grande’, ciag., tat. uluk e affini ‘idem’, jak. loχon, ulaχan etc.‘idem’ (cfr. EWT s.v. uluγ). Anche semanticamente, il passaggio da ‘grande’ a ‘lu-cumone’ (il cui significato preciso, al di là del prestigio, del potere e dell’autori-tà che avevano, ci sfugge) è il più plausibile possibile.

19. Lat.-Etr.MACTUS/MACTE/MACTARE ‘glorificare, onorare’, ‘parolerituali, per accompagnare offerte religiose’

Secondo Adile [1985: 222-224] queste parole latine senza etimologia, e diprobabile origine etrusca (cfr. DELL), si lasciano confrontare con il verbo tur-co maktamak, dial. makhtamak, che significa ‘lodare’.

20. Etr.MI/MINI ‘io, me’

Il pronome di prima persona etrusco, secondo Adile [1985: 273-275], ha ri-scontri nel turco di Kazan, dove ha la forma di min. In altri dialetti è men. Nelturco moderno, dove la /m-/ iniziale è passata a /b/, abbiamo ivece ben. Inoltre,in ciuv. il pronome di prima persona è ebi, con prostesi di e-. Quanto amini, neidialetti turchi, e in particolare in quello di Kazan, è l’accusativo del pronome diprima persona: e.g. mini küt ‘aspettami’. Inoltre, in tu. azero meni, e in alcunidialetti mini2

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2 Idem.

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21. Etr.MLAK MULAX ‘dono, offerta’

Voce etrusca fra le più frequenti, tradotta dagli etruscologi con ‘dono, offer-ta’. Adile [1985: 257-258], sulla base della fonetica storica delle lingue turche,che prevede il passaggio di M- iniziale a B-, propone un raffronto con m. tu. bä-läk, biläk, uig., ciag. biläk, soj. belek, jak. bäläχ etc., tutti ‘regalo’ (cfr. EWT s.v.bäläk).

22. Etr. NAC ‘perché’

Pallottino traduce questa parola ‘poiché, come, così?’ Adile [1985: 279-280]la confronta invece con uig. neke, tu. di Kazan nige, tu. osm. niye tutti ‘perché?’;turco di una colonia turca in Finlandia, originaria dalla Russia, nak ‘perché?’.Inoltre3, in turco azero nac, e ne/nege [pron. neghe].

23. Etr. PARXIS ‘possidente’ > ‘patrizio’

Questo termine, attestato solo in TLE 165, 169, è stato ben presto identifi-cato come un importante attributo dello zila, e quindi come un termine magi-stratuale, anche se è stato diversamente tradotto: dal Torp con ‘del patriziato’[1902-1903: II 132] o ‘da parte di padre’ (1905), dal Cortsen (1925), con ‘ca-valleresco, nobile’ ecc. (cfr. Lambrechts [1959], con bibl.).

In chiave turca vi sono due possibili riscontri: (A) alt. *b 1ar- possessi, pro-prietà’, cfr. tu. bark ‘possesso, proprietà’ ‘casa e famiglia’, atu. bar 1an baran ‘be-ni, averi’, chirgh. bar 1an ‘potere, potenza’, atu. ciag. bar-ym ‘beni, averi’, ciuv.puram puran ‘agnelli’ (cfr. EWU s.v. ed EWT 62) (il diffusissimo rapporto ‘pro-prietà’ ~ ‘bestiame’ è qui inverso a quello latino di pecunia); tu. azero davar ‘be-stiame’, var ‘averi, ricchezza’4. (B) atu. balqa, tu. or. balka ‘martello’, bar. palγa,ciag. balγa ‘Keule mit einem lange Stiel’, tu. or. tar. bolka ecc., ‘martello’, che,seguendo (anche solo in parte) la complessa analisi etimologica di Róna-Tas[1999: 187-189], appartengono alla stessa famiglia di ungh. balta (cfr. EWT 61e v. sotto s.v. purth-).

24. Etr. PAVA ‘nonno, avo’

Termine che precede Tarxies (v. oltre), e quindi si lascia interpretare comeun appellativo dell’antroponimo, dal significato di ‘nonno, antenato’. Come ta-le, è avvicinabile al turco osm., uig., ciag. ecc. baba ‘padre, nonno, antenato, an-ziano notabile’, sart. buva ‘nonno’, hakas paba ‘padre’, tu. or. bua (EWT s.v. ba-ba), azero baba ‘nonno, avo’5.

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3 Idem.4 Idem.5 Idem.

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25. Etr. PUIA ‘moglie, sposa’

Questo termine è molto frequente nelle iscrizioni funerarie di tipo onoma-stico, ed è stato interpretato fin dalle origini dell’etruscologia scientifica come‘moglie’ (per es. già in Pauli [1882]).

In chiave di lettura turca, si lascia confrontare con osm. (antiquato) bula, bo-la ‘zia, donna anziana’. Anche se attestato solo nel XVI secolo, l’ampia diffusio-ne del termine nel resto dei Balcani (sbcr. bula ‘donna musulmana, insegnantedi scuola musulmana’, bulg. bula ‘turca’, alb. bullë ‘donna musulmana’ ecc.) sem-brerebbe indicare una sua presenza precedente l’occupazione ottomana (Alinei[2000: cap. III]). La resa della b- con la <p> sorda in etrusco è normale, e inturco la /l/ diventa /ł/ palatale quando è seguita da vocale postpalatale.

26. Etr. PURTH/ PURT- ‘ascia’

La voce etrusca purT viene considerata dagli etruscologi come un “titolo dimagistratura” (cfr. Pallottino [1984: 513]. Mentre a mio avviso designava l’asciabipenne, ben noto simbolo di potere e di autorità per gli Etruschi, secondo Lam-brechts associato solo al presidente del collegio dei zila, il princeps civitatis nellainterpretatio latina. Maggiani [1996: 98], ha pubblicato le fotografie delle pitturee (dei resti) delle epigrafi della Tomba del Convegno, oggi inaccessibile, che ri-velano che il fondatore del sepolcro, accompagnato come appare da un grandecorteo e scortato da due “littori” con grandi asce bipenni di ferro, dev’essere sta-to un magistrato di altissimo rango.

Letto in chiave turca, questo termine si lascia confrontare con ciuv. purt��(EWU, EWT) e i suoi affini osm. balta, uigur. baltu, ciag., tar. baltu, mtu., aosm.baldu, atu. balto, atu. paltu paldu, tu. or. paltu, paldu, tel. ecc.malta, oir. ecc. pal-ta, iac. balta, mong. balta baltu, tung. balta, tutti ‘ascia da combattimento, ascia,alabarda’ [EWT: 61]. A mio avviso, l’etrusco doveva conoscere anche la geo-va-riante balta, data la presenza in lat. di balt-eus, nome (di supposta di origine etru-sca) del ‘cinturone per la spada’ (di formazione aggettivale, quindi ‘per la balta’).Come è noto, infatti, il lat. balteus ‘cintura per la spada’ è considerato di origineetrusca, sulla base della Glossa: «balteus masculino genere semper dicitur ut clipeus[... è Sed Varro in Scauro baltea dixit et Tuscum vocabulum esse» (GLK I 77, 5:cfr. DELL). Nella scena di battaglia della tomba François, necropoli di Vulci, il bal-teus è chiaramente visibile in alcune delle figure.

È curioso che la Adile, nella sua discussione di balteus ‘cinturone’ (pp. 239-241) e dei suoi possibili riscontri con il turco, non abbia pensato a balta e va-rianti, ‘ascia’ in turco e lingue affini, e abbia preferito ipotizzare un’origine da tu.bel ‘vita (parte del corpo)’.

27. Lat.-Etr.QUIRITES ‘fondatori di Roma’,QUIRINUS ‘teonimo, etnonimo’

Adile [1985: 237-239] confronta queste due parole, che di solito vengono ri-condotte, senza validi argomenti, al toponimo sabino Cures (cfr. DELL) al tur-

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co kurmak ‘fondare’, e più precisamente con kurucu (grafia inesatta per kuridji)‘fondatore’. E per quirinus cfr. tu. kuran ‘fondatore’6.

28. Etr. RAS(E)N(N)A ‘nome degli Etruschi’

In Alinei [2003] avevo sostenuto la tesi che questa voce non fosse il nome de-gli Etruschi, ma significasse ‘regione’, e corrispondesse quindi a ungh. rész. Adi-le [1985: 284-286], appoggiandosi a Trombetti, che leggeva Arsena anziché Ra-sena, propone un confronto con il nome della tribù Asena, da cui discendono iTurchi Celesti. Confronto giustificato dal fatto che tale nome ci è stato tra-mandato dalle cronache delle dinastie cinesi, nella cui lingua non esiste la /r/.

29. Etr. SEK ‘figlia’

Adile [1985: 248] propone, per questa frequente e indiscussa parola etrusca,un’origine da tu. kIz ‘figlia’, con metatesi.

30. Etr. SUC ‘azione rituale’

Adile [1985: 258-259] propone, per questa parola etrusca che Pallottino tra-duce, sulla base dei contesti, ‘azione rituale’, un raffronto con ciuv. tsük ‘opfer-fest’ (cerimonia religiosa in occasione di un sacrificio).

31. Etr. TANASA, TAN- ‘histrio’

La forma etrusca Tanasa si trova nell’iscrizione bilingue TLE 541, da cui ri-sulta la sua equivalenza con lat. histr(i)o. La forma tan(sina) è invece attestatanell’’iscrizione ‘parlante’ della Tazza di Vetulonia [TLE: 36], in cui si dice che latazza offerta serve ad ‘indicare’ la misura della bevanda.

Risale a tu. or. tanu ‘conoscere’, mturc. tanu ‘comunicare, ammonire, esor-tare’ (EWU, EWT).

32. Etr. TAP ‘adorare’

Per Pallottino questa parola e i suoi derivati hanno il senso di ‘dedica’ o ‘devo-tio’. Adile [1985: 264] ricorda che in turco tapma tapmak significa ‘adorare’. Si puòaggiungere che anche tapI significa ‘idolo’, tapInmak ‘adorare’ e tapanak ‘tempio’7.

33. Gli antroponimi etr. TARXUN ‘Tarconte’ e TARXIES ‘Tagete’

Dei due mitici antroponimi etruschi, evidentemente apparentati fra loro, ebase del nome di Tarquinia, il primo designa il fondatore stesso di Tarquinia, fra-

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6 Idem.7 Idem.

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tello di Tirreno e capostipite degli Etruschi (cfr. gr. Tyrsenoi ‘etruschi’), il secon-do designa Tagete, il genietto e fanciullo-vecchio, che a Tarquinia balza dal sol-co arato e rivela a Tarconte l’ Etrusca Disciplina.

L’origine di questi due nomi è da cercare, con ogni probabilità, nell’antico ti-tolo turcico di tarχan (tarkan, tarqan, tarjan) «supreme leader […] a heavenlymandated ruler, whose power and authority in the political, judicial and spiri-tual spheres was much like that of the khagans and the khans of later Turko-Mongolian states» [Golden 1998: 17]: cfr. atu. tarqan ‘capo, alto dignitario, vi-ceré’, mtu. tarχan tärkän, atu. uig. tarχan ‘carica onorifica’, osm., ciag. tarχan‘condizione privilegiata’, cazc. darkan ‘favorito del Can’, mong. dar-qan ‘nobi-le’, tutti da tar ‘titolo’ + Can [EWT: s.v. tarχan].

Adile [1985: 281-283] osserva che tu. tarchan si lascia analizzare in tar ‘ter-ra’ e ‘khan’ padrone, signore, principe, re, imperatore’. Inoltre, spiega il passag-gio da tarchan a Tarquin-(us) con la variante ciuvascia khun anziché khan. Va-riante che spiegherebbe anche l’origine dell’etnonimo Hunni ‘Unni’, il cui si-gnificato originale sarebbe stato quindi ‘signori’.

Ricordo anche che la tesi dell’identità di Tarchon e Tages è stata sostenuta daCanina (cfr. Mansuelli [1986: 101-112]), che però considerava Tarchon l’ haru-spex primus).

34. Etr. TAURA ‘corredo funerario’

A questo termine etrusco e alle sue varianti, gli etruscologi hanno attribuitoil significato di ‘tomba, sepolcro’. Questa interpretazione, pur essendo plausibi-le nella maggior parte delle iscrizioni, è chiaramente contraddetta da quella delcippo di Perugia, che, per ammissione generale, concerne una divisione di pro-prietà, e dove il sintagma velTinaTura és Taura ha certamente a che fare con le‘proprietà’ della gens Velthina, e non con le sue ‘tombe’. L’analisi degli altri te-sti in cui la parola ricorre dimostra che anche il senso di ‘proprietà’ è sempreplausibile, e a volte calzante, e che quindi il termine nelle iscrizioni funerarie si-gnifica certamente ‘corredo (funerario)’, cioè le ‘proprietà’ che il defunto portacon sé nell’oltretomba. Se, come credo, questa interpretazione è corretta, la vo-ce va accostata alla famiglia lessicale altaica rappresentata da calm. tawr ‘beni,proprietà’, Kutadγu bilig tabar ‘merce, proprietà’, uig. tavar ‘averi, merce’, mtu.tavar ‘averi, dote, tributo’, oir., tel., tat. (Lebed) tabar ‘merce’, ciag. e osm. tavar‘bestiame (soprattutto ovino’), osm. e turcm. davar ‘bestiame (soprattutto ovi-no)’, tat. (cazan) tyvar ‘proprietà, soprattutto in bestiame’ ecc. [EWT: 451-452;EWU].

35. Etr. TIURUNIAS ‘stato della nazione’

Questo hapax della Lamina B di Pyrgi [TLE: 875] (che, con Pallottino, leg-go unito, e non diviso in tiur unias, come congettura Rix [Cr 4.5]), secondo glietruscologi è un composto o derivato di tiu ‘mese, luna’, mentre in chiave turcasi lascia accostare a un importante termine (tesi messa in dubbio da EWU, ma

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corrente fra gli specialisti: cfr. Róna-Tas [1999: 112]), fra le cui attestazioni an-tiche vi sono forme come tewruen, tewruenye (XIV secolo) e il cui significato è‘legge, ordine sociale, consuetudini, governo’.Cfr. anche töre ‘consuetudine, tra-dizione, legge morale’, tören ‘cerimonia’8. Nel testo etrusco si lascia tradurre be-ne con ‘stato, condizioni della nazione (etrusca)’, nel contesto dell’alleanza coni Cartaginesi (cfr. Alinei [2003]).

36. Etr. (F[A]SI)TRALS ‘sistemare’

In questo composto, che ho tradotto ‘sistemare i vasi’, il secondo elemento Tralssi lascia avvicinare alla famiglia lessicale altaica rappresentata da uig. tavar, ciag. ta-var, etc. ‘merce, averi, bestiame’ (v. qui sopra Taura e cfr. EWU, s.v. tár2 e tar-).

37. Etr. TRAMA ‘governante’

Hapax attestato in una delle didascalie della tomba Golini I, non studiato dal-l’etruscologia e da me tradotto ‘dispensiera, magazziniera, governante’. Si lasciainterpretare come un composto di origine altaica, da uig. tavar, ciag. tavar, etc.‘merce, averi, bestiame’ (v. sopra Taura e Trals) e ciuv. ama ‘madre, femmina’,mong. eme ‘donna’.

38. Etr. TRESU ‘servo’

Voce etrusca che ricorre due volte nelle didascalie della tomba Golini I, am-bedue associate a una figura di servo al lavoro [TLE: 222, 230]. Si lascia avvici-nare a ciuv. taréz� (� circ.) ‘servo, lavoratore salariato’, cfr. ciag., osm. mtu. ecc.tär ‘sudore’, mtu. anche ‘servizio, salario’, ‘sudore’, mtu. ter- ôci ‘che suda, merce-nario’ [EWT: s.v.].

39. Etr. TUR- ‘offrire in voto’

A tur- e derivati (turce, turuce ecc.), l’ermeneutica etrusca ha attribuito, findai suoi inizi, il significato di ‘dare, donare’ (cfr. Müller-Deecke [1877: II,512]; Pauli [1879-1880: II, 66 sgg.]; Bugge [1890: 9-13]; Torp [1902-1903]).Questi termini si trovano infatti quasi sempre in brevi iscrizioni su vari oggetti,che si lasciano quindi interpretare come il possibile ‘dono’ da parte della per-sona menzionata nell’iscrizione. Se prendiamo per es. la forma turuce -passa-to del verbo-, la troviamo in LarT PaiTunas Prezu turuce [TLE: 256] ‘LPP do-nò’. Oppure in Tucer Hermenas turuce [TLE: 709], o ancora in (M)amarceVexx(x)n ésna és turuce [TLE: 743]; e infine in mini turuce LarT Apunas VeleTna-las [TLE: 760].

La lettura in chiave turca permette una traduzione più precisa – ‘offrire in vo-to’ – con l’accostamento a taranci törpä ‘regalo, che si offre con la prospettiva di

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8 Idem.

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ottenerne uno di valore maggiore’ [ETW: s.v.], che è proprio la connotazione ca-ratteristica della nozione dell’“offerta religiosa’, del ‘voto’ (lat. vovere).

40. Etr. TU éS ‘repositorio funebre’

Adile [1985: 270-271] confronta questo sostantivo con il verbo turco düsmek(pron. tüšmek) ‘discendere’.

41. Etr. TUTA ‘dignità, governatore’

La forma è attestata nella lamina A di Pyrgi, dove precede il nome di Thefa-riei Velianas, re o reggente di Cere. Corrisponde probabilmente alla vocemlk ‘re’o ‘reggente’ del testo fenicio. Già Pallottino aveva notato che nel testo etruscosembra che mancasse una parola esattamente corrispondente al termine feniciomlk, poteva però esserci qualcosa che gli si avvicinasse, e fra le diverse possibili-tà aveva anche indicato quella che il titolo si nascondesse in meχ Tuta (Pallotti-no in AA.VV. [1970: 20]). Bonfante - Bonfante [1985: 75] e D’Aversa [1994:26] adottano la traduzione di ‘signore (del popolo)’.

Si lascia avvicinare ad atu. tudun, da cui gr. biz. toudoûnos ‘dignità turco-caza-ra dell’VIII-IX secolo’. Era particolarmente importante per gli Avari, e inoltre è at-testato nelle iscrizioni antico-turche, in cinese (tu-tun) e in medio persiano (twdwn)(Moravcsik [1958: 317-318]; EWT: 502, che cita anche atu. tutuk ‘governatoremilitare di una provincia’, e lo mette in relazione a cinese tu-tuk < *tuo-tuok; e uig.tutu , ‘governatore civile’, dal cinese tu-’ungh). Per quanto riguarda la forma etru-sca, si potrebbe pensare a un adattamento al nominativo in -a.

42. Etr. URU, URE ‘signore’

Voce attestata nell’iscrizione sulla Tazza di Vetulonia [TLE: 366, v. cap. III]),oltre che su diversi vasi arcaici senza altro contesto. Viene di solito consideratauna voce verbale, di significato incerto (cfr. Camporeale [1967: 604-605]), men-tre si lascia confrontare tramite l’ungh. úr ‘signore, padrone, proprietario’, già at-testato nell’XI sec., al turco: atu. urï ‘giovanotto’, uig. urug ‘seme, grano, se-menza, discendente’, tat. dial. oru ‘capacità riproduttiva’, ciuv. v�r� (acc. circ. su2 voc) ‘seme’, da *uru, urï ‘discendente, parente’ [EWU, cfr. anche EWT s.v.uruγ]. Il senso è chiaramente confermato dall’iscrizione parlante della Tazza diVetulonia, dove la tazza si rivolge all’uru ‘signore’, invitandolo a versare la be-vanda, mentre sui vasi il termine indica semplicemente la proprietà del signore.Anche uri e ure, anch’essi attestati su vasi, andranno tradotti nello stesso modo.

43. Etr. VACAL VACIL VACL ‘legame’

In etrusco ha il significato di ‘legame magico’, e si lascia ricondurre al turci-co *bag-, da *ba ‘legare’, cfr. uig. *baγ ‘legame’, osm. ba ˆg ‘legame magico’, ciuv.pu ‘laccio’ ecc.

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44. Etr. VECU/VECUI ‘nome della ninfa Vegoia’

Come è noto, la cosiddetta “Disciplina Etrusca”, cioè l’insieme di dottrinetradizionali portate in Italia dagli etruschi, veniva tramandata dalle sibille, au-trici dei Libri sibillini, che secondo alcune fonti latine si chiamavano anche li-bri Vegoici, dal nome della ninfa etrusca il cui nome originale era Vecu. Ne re-stano solo alcuni frammenti riportati da Tarquinio Prisco, storico romano diorigine etrusca. Adile [1985: 259-261] propone da un lato un raffronto con ilbeki, secondo alcuni ‘pontefice shamanico’, e dall’altro, sulla base delle attesta-zioni di antroponimi femminili etruschi come pece, pecia, pecni e simili, anchecon ciuv. pige, tu. dial. bike ‘signora, gran dama, regina’; azero pike ‘principessa’9.

45. Etr. VEL ‘prenome’ o ‘pronome’ (?)

Le numerose occorrenze di Vel nei testi etruschi sono state intepretate daglietruscologi come un nome di persona. Adile [1985: 276-277], sulla base delconfronto con i dialetti turchi, propone una lettura come pronome di 3° perso-na, maschile o femminile. Nei dialetti turchi, infatti, tale pronome è ol o ul, ein ciuvascio esattamente vel.

46. Etr. XURVAR ‘nel periodo’

Attestata nella lamina A di Pyrgi, questa voce etrusca si lascia interpretare, amio avviso, come un composto di xur ‘età, tempo, periodo’ e var ‘segnacaso’,col significato di ‘nel periodo’. Sarebbe quindi affine all’uig. qur ‘serie, sequen-za, età etc.’, osm. kur ‘classe, grado, misura; coetaneo, contemporaneo’, chirgh.qur ‘tempo’ ‘(x) volte’.

47. Etr. ZIX ‘scrivere’

Adile [1985: 268-270] confronta questo verbo etrusco, dal significato sicu-ro, con l’uig. çiz-mek ‘scrivere’, che sarebbe una forma metatetica. Si può ag-giungere tu. çiz-mek ‘disegnare, abbozzare, descrivere’10.

48. Etr. ZILA ‘principe’

Come è noto, questo tipo lessicale etrusco è stato ben presto tradotto, in ba-se ai suoi numerosissimi contesti nella documentazione. Già Pauli [1982] pote-va affermare che «Das wort zilaT [...] eine Ambtsbzeichnung enthält, wie langsfestgestellt ist...», rinviando all’opera di Karl Otfried Müller eWilhelm Deecke,del 1877, dove forse per la prima volta viene presentata questa interpretazione.Non solo, ma lo stesso Pauli, nella sua discussione di tutte le varianti di zila –

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9 Idem.10 Idem.

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come zilaT, zilat, zilax, zilac, zilacal, zilc, zilcTi, zilci, zilx, zili ecc.-, poteva giàsostenere che «dessen Nominativ wohl sicher als zila zu erschliessen ist».

Gli etruscologi fanno coincidere la funzione dello zila etrusco con quella chele fonti greche attribuivano al comandante dell’esercito etrusco eletto nell’am-bito della lega, lo strategòs egoúmenos o autokrátor (cfr. Cristofani [1993: 134]),e che si inferisce anche dall’elogium in latino di un praetor di Tarquinia, che exer-citum habuit e con esso condusse una campagna militare in Sicilia (Lambrechts[1959: 103]).

Il termine è affine al pecenego Yila ‘nome tribale’, forse baschiro Yulay, Yu-laman ‘idem’, da una forma *jula (EWU s.v.); mentre presso i Cazari – o Kha-zari – il titolo designava “ein sakrales Fürstentum” (EWU s.v., cfr. Moravcsik[1958: II, 115]; Di Cave [1995: 68, n. 114]).

La forma nominativa etrusca dovrebbe essere zila, in corrispondenza del tur-co *yula e dell’ungh. gyula.

Conclusione

Per concludere, mi sembra che il nuovo quadro del Paradigma della Con-tinuità dal Paleolitico, applicato ora alle lingue altaiche e ai rapporti turco-etruschi, apporti un contributo fondamentale alle nostre conoscenze sul-l’etrusco.

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