approfondimento storia contemporanea

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1 L’armistizio dell’8 settembre 1943 Questo è un anno importante per la svolta della guerra. In particolare, sono due gli eventi che cambieranno le sorti dell’Italia nel ‘43: 1. Il 10 luglio 1943 è la data dello sbarco delle truppe alleate in Sicilia nella zona del siracusano e dell’agrigentino. 2. Il 25 luglio dello stesso anno Mussolini si dimette. Mussolini si presenta al colloquio settimanale che aveva con il re Vittorio Emanuele III, (perché solo il re poteva decidere se mantenere un governo o destituirlo) pensando che gli avrebbe confermato la fiducia, ma stavolta il re gli chiede di dimettersi e di nominare Badoglio come capo del governo, che si era distinto durante la prima guerra mondiale. A questo punto si crea una situazione difficile in Italia, perché gli alleati sono in Sicilia e avanzano, essi riescono ad occupare tutta l’isola ed inoltre essi si apprestano a preparare un altro sbarco nel continente per cacciare i tedeschi. Qui si vede la difficoltà che ha il governo italiano con Badoglio ad affrontare la situazione poiché da una parte si voleva trattare la resa con gli americani e quindi si voleva la pace, ma dall’altra parte Badoglio dichiara che la guerra sarebbe continuata a fianco della Germania, sperando di tranquillizzare Hitler ed i nazisti. Questa situazione ambigua durerà fino il 3 settembre quando viene firmato a Cassibile in provincia di Siracusa l’armistizio. Inizialmente l’armistizio venne tenuto segreto perché l’Italia era piena di tedeschi e le loro azioni contro gli italiani sarebbero state da subito evidenti e immediatamente attuate e, dall’altra parte gli americani erano solo in Sicilia e non ancora nella parte continentale dell’Italia. Il patto iniziale prevedeva quindi che l’Italia doveva arrendersi senza condizioni, assumendo il ruolo di cobelligerante, una sorta di alleata di serie “B”. Tuttavia questo era uno status ambiguo. Solo cinque giorni dopo, cioè l’8 settembre 1943 alle ore 19.45 dai microfoni dell'E.I.A.R., il Maresciallo Pietro Badoglio comunicò agli italiani che: «Il governo italiano riconosciuta l`impossibilità di continuare l`impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell`intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta.

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La storia negata...i militari internati italiani che iniziarono a resistere da partigiani...per chi vuole sapere oltre che ricordare qualcosa che non vedrà in tv

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Page 1: Approfondimento storia contemporanea

  1  

L’armistizio  dell’8  settembre  1943  

 

 

Questo  è  un  anno  importante  per  la  svolta  della  guerra.  In  particolare,  sono  due  

gli  eventi  che  cambieranno  le  sorti  dell’Italia  nel  ‘43:  

1. Il   10   luglio   1943   è   la   data   dello   sbarco   delle   truppe   alleate   in   Sicilia  

nella  zona  del  siracusano  e  dell’agrigentino.  

2. Il  25  luglio  dello  stesso  anno  Mussolini  si  dimette.  Mussolini  si  presenta  

al   colloquio   settimanale   che   aveva   con   il   re   Vittorio   Emanuele   III,  

(perché   solo   il   re   poteva   decidere   se   mantenere   un   governo   o  

destituirlo)  pensando  che  gli  avrebbe  confermato  la  fiducia,  ma  stavolta  

il   re   gli   chiede   di   dimettersi   e   di   nominare   Badoglio   come   capo   del  

governo,  che  si  era  distinto  durante  la  prima  guerra  mondiale.  

A  questo  punto  si  crea  una  situazione  difficile   in  Italia,  perché  gli  alleati  sono  in  

Sicilia   e   avanzano,   essi   riescono   ad   occupare   tutta   l’isola   ed   inoltre   essi   si  

apprestano  a  preparare  un  altro  sbarco  nel  continente  per  cacciare  i  tedeschi.  Qui  

si   vede   la   difficoltà   che   ha   il   governo   italiano   con   Badoglio   ad   affrontare   la  

situazione  poiché  da  una  parte  si  voleva  trattare  la  resa  con  gli  americani  e  quindi  

si   voleva   la   pace,   ma   dall’altra   parte   Badoglio   dichiara   che   la   guerra   sarebbe  

continuata  a  fianco  della  Germania,  sperando  di  tranquillizzare  Hitler  ed  i  nazisti.  

Questa   situazione   ambigua   durerà   fino   il   3   settembre   quando   viene   firmato   a  

Cassibile   in   provincia   di   Siracusa   l’armistizio.   Inizialmente   l’armistizio   venne  

tenuto   segreto   perché   l’Italia   era   piena   di   tedeschi   e   le   loro   azioni   contro   gli  

italiani  sarebbero  state  da  subito  evidenti  e  immediatamente  attuate  e,  dall’altra  

parte   gli   americani   erano   solo   in   Sicilia   e     non   ancora  nella  parte     continentale  

dell’Italia.   Il  patto   iniziale  prevedeva  quindi  che   l’Italia  doveva  arrendersi  senza  

condizioni,  assumendo  il  ruolo  di  cobelligerante,  una  sorta  di  alleata  di  serie  “B”.  

Tuttavia   questo   era   uno   status   ambiguo.   Solo   cinque   giorni   dopo,   cioè   l’8  

settembre   1943   alle   ore   19.45   dai   microfoni   dell'E.I.A.R.,   il   Maresciallo   Pietro  

Badoglio  comunicò  agli  italiani  che:  

«Il  governo  italiano  riconosciuta  l`impossibilità  di  continuare  l`impari  lotta  contro  

la  schiacciante  potenza  avversaria,  nell`intento  di  risparmiare  ulteriori  e  più  gravi  

danni  alla  nazione,  ha  chiesto   l'armistizio  al  generale  Eisenhower,  comandante   in  

capo   delle   forze   alleate   angloamericane.   La   richiesta   è   stata   accolta.  

Page 2: Approfondimento storia contemporanea

  2  

Conseguentemente  ogni  atto  di  ostilità  contro  le  forze  angloamericane  deve  cessare  

da   parte   delle   forze   italiane   in   ogni   luogo.   Esse   però   reagiranno   a   eventuali  

attacchi  da  qualsiasi  altra  provenienza».  

Il  re  Vittorio  Emanuele  III  fuggiva  a  Brindisi  e  il  23  settembre  Mussolini  proclama  

la   Repubblica   Sociale   Italiana   (RSI),   conosciuta   anche   come  Repubblica   di   Salò,  

rivendicando   la   propria   sovranità   (specialmente   nei   territori   del   nord   Italia)    

sostenuto   da   Hitler   e   dall’esercito   tedesco.   In   questo   caos,   ancora   una   volta,  

l’esercito  italiano  fu  lasciato  solo  e  privo  d’indicazioni.  Non  tutte  le  truppe,  infatti,  

vennero   avvisate   che   dovevano   disarmarsi,   dissolvere   l’esercito,   scappare   e  

tornare  a  casa.  Accadde  infatti  che  molti  italiani  vennero  catturati  dai  tedeschi.  

 

 

La  “resistenza”  degli  IMI  

 

Le   parole   di   Badoglio   gettarono   l'Italia   nel   caos   più   completo   e   scatenarono  

l`immediata  reazione  della  Germania  nazista:  mentre  il  re  e  il  governo  lasciavano  

Roma,  i  tedeschi  scatenarono  la  controffensiva.  

In  pochi  giorni  le  truppe  italiane,  prive  di  ordini  precisi,  furono  facile  preda  delle  

milizie   naziste.   Oltre   alla   disorganizzazione,   alle   carenze   strutturali   del   regio  

esercito   e   all’incapacità   dei   comandi   italiani   di   gestire   la   situazione,   in  

quell'occasione  pesò  anche   il   comportamento  disonesto  degli  ufficiali   tedeschi   i  

quali  promisero  in  perfetta  malafede  ai  loro  ex  alleati  che  li  avrebbero  rimpatriati  

una   volta   consegnate   le   armi.   Nella   «retata»   organizzata   dai   nazisti   caddero  

migliaia  e  migliaia  di  soldati:  

«Consegnarono   le   armi   circa   416   mila   italiani   in   Italia,   nella   zona   di   Roma   e  

nell'Italia   meridionale   ne   furono   disarmati   circa   102   mila,   nella   Francia  

meridionale  non  più  di  59  mila  e  nei  Balcani  e  nelle  isole  del  Mediterraneo  orientale  

circa   430   mila.   Complessivamente   furono   disarmati   quindi   1   milione   e   7   mila  

italiani»  .  

Tra   i  disarmati  una  parte  accettò  di  restare  al  servizio  dei   tedeschi  o  di  passare  

alle   milizie   fasciste,   un'altra   riuscì   in   qualche   modo   a   sottrarsi   alla   prigionia,  

mentre   una   terza,   quella   più   numerosa   conobbe   la   tragica   esperienza   della  

deportazione:  tra  soldati  e  ufficiali,  circa  716  mila  uomini,  secondo  il  calcolo  dello  

Page 3: Approfondimento storia contemporanea

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storico  ed  ex  deportato  Claudio  Sommaruga,  vennero  internati  nei  lager  del  Terzo  

Reich.  

L’evento   storico   che   oggi   viene   maggiormente   ricordato   è   ciò   che   avvenne   a  

Cefalonia,   un’isola   greca,   dove  un’armata   italiana   che   era   insieme   ai   tedeschi   si  

rifiutò   di   consegnare   le   armi   e   di   farsi   prendere   prigionieri,   per   tale   ragione    

vennero  tutti  massacrati.  Ma  non  fu  l’unico  evento.  

L’Esercito   Italiano   contava   allora   quasi   2.000.000   di   combattenti   e   territoriali,  

presenti   in   Italia   e   all’estero,  ma   il   giorno   dell’armistizio   fu   fatale:   l’esercito   fu  

assalito  dall’illusione  del   “tutti  a  casa!”  e   fu  piantato  allo  sbaraglio  senza  ordini,  

piani,  mezzi   e   collegamenti,   dal   Re,   da  Badoglio,   da   200   generali   in   fuga   e   nell’  

indifferenza  degli   alleati   americani.   Le   eroiche   resistenze  di   13  nostre  divisioni  

senza   rifornimenti   e   rinforzi,   in   Corsica,   Italia,   nelle   isole   greche   (come   a  

Cefalonia,  Corfù,  Lero…)  e  nei  Balcani  (Montenegro,  Croazia…)  furono  disarmate  

dai  tedeschi  (1.007.000  militari  italiani)  con  la  falsa  promessa  del  rimpatrio.  

“Da   questi   eventi   nacquero   i   primi   “NO”   della   Resistenza   all’oppressore   tedesca,  

dove   fu   istintivo,   corale   e   disarmato   per   la   maggioranza   dei   militari   italiani,   ex  

giovani  fascisti  del  “ventennio”  in  approdo  alla  democrazia.  In  Italia  alcuni  reparti  

con   le   armi,   avviavano   la   resistenza  armata  popolare   partigiana,   a  maggioranza  

social-­‐comunista   e   repubblicana.   In   Grecia   e   nei   Balcani,   la   resistenza   fu  

monarchica   badogliana,   combattuta   da   unità   del   Regio   Esercito   alleate   ai  

partigiani  locali,  per  lo  più  comunisti,  oppure  fu  individuale  o  di  gruppi  di  militari  

sbandati   e   finiti   prigionieri,   ausiliari   o   combattenti,   anche   in   alternanza,   nelle  

contrapposte   bande   partigiane   (comuniste,   nazionaliste   ecc.)   greche   e   slave.  

Successivamente   dall’Italia   del   sud,   ci   fu   la   rimonta   del   CIL,   il   Corpo   Italiano   di  

Liberazione   del   Regio   Esercito,   cobelligerante   degli   Alleati.     In   due   parole,   la  

Resistenza   nacque  monarchica   e   si   sviluppò   preponderantemente   repubblicana   e  

ciò   influì,   come   vedremo,   sull’imbarazzata   accoglienza   in   patria   dei   reduci.   La  

resistenza   degli   IMI,   nota   anche   come   l’altra   resistenza   (o   quella   senza   armi…  

silenziosa…  bianca…)  fu  reiterata  in  ogni  istante,  per  venti  mesi,  stressante  più  della  

fame   e   pagata   con   50.000   caduti.   Si   attuò   direttamente   e   a   rischio   di  morte,   col  

sabotaggio,  la  non  collaborazione,  il  lavoro  rallentato  anche  a  un  terzo  della  norma  

dell’operaio   tedesco   e,   indirettamente,   consumando   risorse   alimentari   ed  

economiche   e   facendo   avvicendare   per   la   custodia,   in   venti   mesi,   60.000  militari  

tedeschi  distolti  dai  fronti.  La  resistenza  degli  IMI  non  fu  quindi  passiva  e  inerme,  né  

fu  moralmente  meno  valida  di  quella  armata!”.  

Page 4: Approfondimento storia contemporanea

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Il  rifiuto  alla  RSI  

 

Immediatamente  dopo  la  cattura,  gli  internati  italiani  furono  sollecitati  a  mettersi  

agli   ordini   dei   comandi   nazisti   o   fascisti:   la   scelta   era   tra   una   vita   di   stenti   nei  

lager  e   il   lavoro  coatto  o  un  «posto»  da  soldato  regolare  del  Terzo  Reich  o  della  

nascente  Repubblica   sociale   (in  quest'ultimo  caso  con   la  possibilità  di   ritornare  

subito   in   patria).   Coloro   che   accettarono   furono   una  minoranza,   nel   complesso  

tra   i   716   mila   internati,   i   «sì»   furono   poco   più   del   14%.   Le   adesioni   maggiori  

furono   raccolte   tra   gli   ufficiali   (40%   circa,   contro   il   13%   dei   soldati).   Tante  

centinaia  di  migliaia  di   prigionieri   italiani   nelle  mani  dei   tedeschi   costituiscono  

un  plebiscito  negativo   così   imponente   contro   la  nascente  Repubblica  di   Salò  da  

indurre   i   responsabili   nazisti   e   fascisti   a   cercare   di   persuadere   gli   internati   a  

continuare  la  guerra  assieme  alle  forze  del  Reich.  Nei  primi  giorni  dopo  la  cattura  

sono   gli   ufficiali   tedeschi   a   far   leva   sul   preesistente   patto   di   alleanza,   sul  

cameratismo   nato   fra   soldati   italiani   e   germanici,   per   ottenere   l'adesione   al  

nazifascismo.   In   questa   prima   fase   l'opera   di   persuasione   tende   ad   avere   il  

consenso  all`inquadramento  nei  reparti  SS,  con   la  rinuncia  alla  divisa   italiana.   Il  

risultato  non  fu  soddisfacente.   Il   regime  nazista  offrì   la   liberazione  dai  campi  di  

prigionia  e  il  rinvio  in  Italia  a  quei  prigionieri  italiani  che  si  fossero  arruolati  nelle  

forze  armate  tedesche.  Una  quota  di  prigionieri  aderì  a  tale  proposta,  ma  il  fatto  

che   la   stragrande  maggioranza   degli   Imi   rifiutò   di   aderire   alla   Rsi   costituì   (per  

Berlino   non  meno   che   per   Salò)   un   affronto   e   un   disconoscimento   di  massa   di  

altissimo   valore   politico.   Vi   sono   interpretazioni   diverse   sulle   ragioni   che  

spinsero   la   stragrande  maggioranza   di   essi   a   rifiutare   l’alleanza   con   i   tedeschi.  

Sommaruga  crede  che:  

“Ebbero   gioco,   senza   dubbio,   anche   il   risentimento   e   la   rabbia   per   le   molte  

umiliazioni   subite.  Ma  è  più  giusto  dire   che  gli   Imi  affrontarono  da   soldati   quelle  

situazioni  e  seppero  resistere  come  se  si  trovassero  su  una  ideale  prima  linea.  Una  

prima   linea   che   ebbe   il   suo   triste   tributo   di   numerosi   caduti,   feriti,   ammalati,  

invalidi  e  dispersi”.  

Uno  studio  statistico  condotto  nel  1994  su  431  Imi  ha  dato  i  seguenti  risultati:  il  

30%  ha  detto  «no»  per  ragioni  militari  («non  volevo  combattere  gli  italiani»,  «ero  

stanco   della   guerra»),   il   26%   per   questioni   etiche   («fedeltà   al   giuramento»,  

Page 5: Approfondimento storia contemporanea

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«dignità»,   «solidarietà   di   gruppo»),   il   24%   per   motivi   ideologici   («anti-­‐

nazifascismo»,   «cattolicesimo»,   «liberalismo»,   «marxismo»),   il   20%,   infine,   per  

valutazioni   diverse.   I   soldati   che   fecero   questa   scelta   subirono   l`immediata  

ritorsione   dei   tedeschi:   gli   uomini   di   truppa   furono   avviati   al   lavoro   coatto,   gli  

ufficiali  vennero  rinchiusi  nei  campi  di  detenzione.  

 

 

La  cattura  e  il  trasferimento  nei  lager  

 

Subito   dopo   la   cattura,   l’efficiente   apparato   burocratico-­‐militare   nazista  

organizzò   il   trasporto   dei   militari   italiani   nei   campi   di   concentramento.  

L'obiettivo  di  Hitler  era  duplice:  

1. eliminare   dallo   scacchiere   di   guerra   uomini   che   schierati   sul   fronte  

opposto,  avrebbero  potuto  creare  problemi  alle  sue  armate  

2. recuperare   braccia   giovani   e   forti,   a   costo   zero,   da   impiegare   nella  

macchina  produttiva  tedesca  impegnata  nello  sforzo  bellico.  

Dopo   l’8  settembre,   i   tedeschi  ricavarono  un  enorme  bottino:  armi,  materiale  di  

ogni   genere   e   soprattutto   uomini.   Proprio   gli   uomini   prigionieri   di   guerra   o  

lavoratori   coatti   furono   una   risorsa   importantissima   poiché   furono   adoperati  

come  manodopera   sia   nelle   fabbriche   che   nei   campi,   mentre   i   soldati   tedeschi  

erano   impegnati   su   molti   fronti.   Gli   uomini   furono   impegnati   come   manovali,  

braccianti  e  anche  le  donne  furono  sfruttare  per  fabbricare  camion  armati,  aerei,  

proiettili,   cannoni   e   anche   prodotti   alimentari   destinati   all'esercito   e   alla  

popolazione   delle   città   bombardate   dagli   angloamericani.   Inoltre,   l’improvvisa  

apparizione   sul   mercato   del   lavoro   dei   nuovi   schiavi   italiani,   che   è   possibile  

impiegare  senza  dover  pagare  loro  alcuna  mercede  stabilita  per  contratto,  viene  

salutata   dagli   imprenditori   gioia.   La   maggior   parte   dei   soldati   italiani   fu  

deportata   nei   territori   del   Reich   nei   giorni   immediatamente   successivi   alla  

cattura.   Gli   spostamenti   avvennero   via   ferrovia   e   via   nave,   in   condizioni  

disumane.  Le  numerose   testimonianze  di   chi   viaggiò   in   treno  parlano  di   vagoni  

merci  pieni  fino  all'inverosimile,  che  non  venivano  aperti  per  giorni  e  giorni,  dove  

mancavano  cibo  e  acqua  e  persino  la  possibilità  di  soddisfare  i  bisogni  corporali.  

Chi   affrontò   il   viaggio   con   la   nave   testimonia   che   furono   emanati   ordini   ben  

precisi,  ad  esempio,  stabilivano  che  lo  spazio  sulle  navi  dovesse  essere  utilizzato  

fino   ai   limiti   estremi   senza   tener   conto   di   alcuna   considerazione   di   comodità   e  

Page 6: Approfondimento storia contemporanea

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sicurezza.  Nelle  stive  alcuni  energumeni,  armati  di  bastoni,  stipavano  fino  all`orlo  

gli   italiani   via   via   che   giungevano.   Il   carico   era   enorme:   si   stava   in   piedi   uno  

accanto  all'altro,  stretti,  senza  la  possibilità  di  muoversi,  e  già  dai  primi  momenti  

l'aria  era  divenuta  irrespirabile.  

I   militari   furono   divisi   in   campi   diversi   a   seconda   del   loro   status:   i   soldati  

vennero  rinchiusi  negli  Stammlager  Stalag,  alle  cui  dipendenze  vi  erano  spesso  gli  

Arbeitskommandos   (distaccamenti   di  minori   dimensioni   ubicati   nelle   vicinanze  

delle   fabbriche   o   dei   luoghi   di   lavoro   in   cui   venivano   impiegati).   Gli   ufficiali  

invece   furono   internati   negli  Oflager.  Altri   campi   erano  poi   i  Dulag   (   i   campi  di  

transito   o   di   smistamento),   gli   Straflager   (i   campi   di   punizione)   e   i   Lazarett   (i  

campi-­‐ospedale,  dove  venivano  ricoverati  i  militari  gravemente  ammalati).    

Gli   italiani   vennero   distribuiti   o   smistati   in   249   lager   principali:   192   ubicati   in  

Germania,  15  in  Polonia,  15  in  Russia,  14  in  Francia,  11  in  Iugoslavia,  2  in  Grecia.  

All'arrivo  a  destinazione,  la  burocrazia  del  Reich  procedeva  all’identificazione  dei  

prigionieri:   i   tedeschi  compilavano  una  scheda  con   tutti   i  dati  anagrafici,  quindi  

assegnavano   a   ognuno   un   numero   che   poi   veniva   riportato   su   una   piastrina  

metallica.    

 

 

Da  prigionieri  di  guerra  (KGF)  a  internati  (IMI-­‐Italienische  Militär-­‐Internierten)  

 

Fin  dal  17  settembre  1943,  Hitler  privò  agli  italiani  il  loro  status  di  prigionieri  di  

guerra  con  le  tutele  internazionali  di  uno  stato  neutrale  e  l’assistenza  umanitaria  

della  Croce  Rossa  Internazionale  (CICR).  I  prigionieri  italiani  vennero  declassati  e  

marchiati   sulle   divise   con   un   IMI,   una   qualifica   arbitraria,   prevista   dalla  

Convenzione  di  Ginevra     del   1929   sui  prigionieri   di   guerra,   solo   in  nazioni  non  

belligeranti.  Appena  arrivati  nel  lager  di  destinazione  i  soldati  italiani  si  rendono  

conto  di  non  godere  dello   status  di  prigionieri  di   guerra  e  quindi  di  non  essere  

tutelati   in   alcun   modo   dagli   accordi   internazionali   in   materia.   Hitler,   il   20  

settembre   1943,   con   un   provvedimento   stabilisce   che   essi   devono   essere  

identificati   come   IMI   (Internati  Militari   Italiani).  Si   tratta  di  una  denominazione  

del   tutto   impropria   poiché   per   internati   si   dovrebbe   intendere   i  militari   che   si  

rifugiano  in  uno  Stato  neutrale   in  attesa  della  fine  delle  ostilità,  ma  la  Germania  

non  era  di  certo  uno  Stato  neutrale.  

Nel  testo  originale  si  legge:  

Page 7: Approfondimento storia contemporanea

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«Per  ordine  del  Fuhrer  e  con  effetto  immediato,  i  prigionieri  di  guerra  italiani  non  

devono   più   essere   indicati   come   tali,   bensì   con   il   termine   di   internati   militari  

italiani»  

Con   questa   decisione   Hitler   si   vendicava   dei   soldati   italiani   ,   considerati  

«traditori»,  e   si  garantiva  mano   libera  sul   trattamento  da  riservare   loro.  Gli   Imi  

non  potevano  avvalersi  delle  protezioni  previste  dalla  Convenzione  di  Ginevra  sul  

trattamento   dei   prigionieri   di   guerra   (27   luglio   1929)   e   non   avevano   diritto  

all'assistenza  della  Croce  rossa;  in  sostanza  erano  abbandonati  a  se  stessi  ,  schiavi  

nelle  mani  della  Germania  nazista.  Come  detto   in  precedenza,   i   soldati   vennero  

subito   utilizzati   nelle   fabbriche   e   nei   campi   agricoli   a   sostegno   dello   sforzo  

bellico,   mentre   gli   ufficiali   restarono   segregati   nei   lager.   Lo   status   degli   Imi  

cambiò,   ancora  una  volta,   e   sempre  per  volere  del  Fuhrer.   Il  20   luglio  del  1944  

Hitler   e   Mussolini   strinsero   un   accordo   in   base   al   quale   i   militari   deportati  

venivano   trasformati   in  «liberi  lavoratori  civili»:  era   l'ennesima   tragica  beffa.  La  

formalizzazione  del  nuovo  status  non  produsse  effetti  particolari  sui  soldati.  Essi  

erano  obbligati   a   lavorare  da   Imi   e   avrebbero   continuato   a   farlo  da   «liberi».  Di  

fatto  Mussolini  non  volle  o  non  potè  far  nulla  per  i  militari  internati,  che  rimasero  

totalmente   alla   merce   dei   nazisti.   Infatti   chi   si   sarebbe   dovuto   interessare   dei  

prigionieri  italiani?  Ufficialmente  il  compito  spettava  all'ambasciata  di  Mussolini  

a  Berlino  presso  la  quale  fu  allestito  nel  febbraio  del  1944  un  Servizio  Assistenza  

Internati  militari  italiani  e  civili  (Sai),  allo  scopo  di  soccorrere  i  connazionali  fatti  

prigionieri   dall'alleato.   Ma,   i   responsabili   di   questo   Servizio   non   poterono   far  

molto.   Essi   potevano   chiedere,   proporre,   insistere,   sollecitare,   ma   non   erano  

assolutamente   in   grado   di   agire   efficacemente   o   prendere   qualcosa   sotto   la  

propria   responsabilità.   Ad   esempio,   i   prigionieri   delle   altre   nazionalità  

ricevevano   settimanalmente   qualche  pacco  dalla   Croce  Rossa   contenente   viveri  

di   conforto,   sigarette   e   altro,   mentre   i   prigionieri   italiani   non   ricevevano   mai  

nulla.   I   tedeschi   si   giustificavano   dicendo   che,   in   virtù   di   un   accordo   fatto   con  

Mussolini,  i  prigionieri  italiani  dovevano  essere  considerati  lavoratori  volontari  e,  

perciò,   non   aventi   diritto   a   godere   di   nessun   aiuto.   I   primi   soccorsi   arrivarono  

con  grande  ritardo,  solo  nel  maggio  del  1944,  e  in  quantità  del  tutto  insufficiente.  

Anche  il  generale  Badoglio  non  si  interessò  di  prestare  aiuto  agli  internati  italiani  

con   la   scusa   che   non   poteva   intervenire   a   causa   del   fronte   di   guerra   che   lo  

separava   da   ogni   possibile   contatto   coi   l'attuale   "nemica"   Germania.   Qualche  

aiuto  venne  dalle  famiglie  in  patria.  La  vicenda  dei  pacchi  e  delle  corrispondenze  

è,   davvero,   illuminante.   Mentre,   come   sottolineato,   i   prigionieri   di   altri   paesi  

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ricevevano   pacchi   con   una   certa   regolarità   dalla   Croce   rossa   o   dai   rispettivi  

governi  ,  gli  italiani  potevano  solo  sperare  nei  propri  cari,  e  per  chi  non  riceveva  

nulla   (cibo,   vestiti,   notizie   da   casa)   il   senso   di   abbandono   diventava  

insopportabile.  

 

 

Prigionieri  di  guerra   Internati  militari   Internati   militari  

italiani  (POW inglese, PDG francese

e italiano, KGF tedesco)

“dichiarata” o “non

dichiarata”. Per la

Convenzione di Ginevra

(1929) sono dei combattenti

nemici catturati e concentrati

in “campi” (“Lager” in

tedesco) di transito,

smistamento o detenzione,

sotto tutela e ispezioni di uno

stato tutore neutrale ed

assistenza umanitaria e

ispezioni della Croce Rossa

Internazionale (CICR).  

Per la Convenzione di Ginevra

sono militari di stati belligeranti

internati in stati neutrali (stati

terzi non coinvolti nel conflitto)

con semilibertà di movimento

e di lavoro, retribuito come ai

civili locali. Non presenti

ovviamente nel Terzo Reich,

stato belligerante ma in

Svizzera e paradossalmente in

Romania (regno alleato del

Terzo Reich e della RSI ma

con buoni rapporti diplomatici

col Regno d’Italia e al riguardo

neutrale ! ).  

Status illegale creato da

Hitler e non previsto dalle

convenzioni perché detenuti

in uno stato belligerante

(Terzo Reich), con uno stato

tutore non neutrale ma

belligerante coinvolto (RSI),

senza assistenza dalla Croce

Rossa Internazionale (CICR)

ma dalla Croce Rossa

fascista della RSI (con sede

a Verona) con assistenza

limitata a recapiti postali e

senza ispezione dei Lager.

Assistenza limitata e

propagandista politica del

SA-IMI (ambasciata RSI di

Berlino).  

 

 

 

I  lager  e  i  continui  trasferimenti  

 

«Il   lager»   era   organizzato   su   un'area   delimitata   da   una   recinzione   costituita   da  

diverse   file   di   reticolati,   alternati   a   fosse   riempite   con   rotoli   di   filo   spinato  

aggrovigliato.   In   alcuni   lager   il   reticolato   era   percorso   dalla   corrente   ad   alta  

tensione.   Un   filo   spinato,   nel   lato   interno   del   perimetro,   preavvertiva   della  

fucilazione  chiunque  l'avesse  toccato  o  sfiorato  accidentalmente.  Esso  costituiva  

così   una   delle   preoccupazioni   maggiori   degli   internati,   e   al   tempo   stesso   era  

anche  l'elemento  più  caratteristico  dell'architettura  del  campo,  poiché  separava  i  

vari   settori,   le   viuzze   e   le   baracche.   La   vigilanza   era   garantita   da  un   sistema   di  

torrette   ubicate   ai   lati   e   agli   angoli   del   campo,   e   dalle   quali   era   possibile  

Page 9: Approfondimento storia contemporanea

  9  

controllare  l`intera  area  interna  al  lager,  illuminandola  con  un  riflettore  di  notte;  

sulle   torrette   prestavano   servizio   guardie   armate   di   fucili   e   mitragliatrici.   Nel  

corso   del   periodo  di   detenzione   fu   abbastanza   frequente   lo   spostamento  da   un  

campo  all'altro.    

«Chi   non   l'ha   provato   difficilmente   può   immaginare   i   disagi,   le   sofferenze   e   le  

umiliazioni  che  comportava  un  trasferimento  da  un  lager  all'altro».    

Accanto   alle   difficoltà   in   cui   si   trovava   la   rete   ferroviaria   tedesca   per   i  

bombardamenti,  sabotaggi,   intasamenti,  mancanza  di  materiale  rotabile,  c'era   la  

volontà   della   scorta   di   rendere   più   dura   possibile   la   vita   degli   internati.  

Mediamente   un   trasferimento   durava   una   settimana,   con   lunghissime   soste   sui  

binari  morti.   I  viveri  della  già  scarsa  razione  erano  distribuiti,  per   tre  o  quattro  

giorni   soltanto.   Vagoni  merci   ghiacciati.   Erano   stipati   con   40,   50   e   in   certi   casi  

perfino  100  uomini  per  carro,  sprangato  all'esterno.  I  portelli  si  aprivano  una  sola  

volta  al   giorno  e  per  appena  un  quarto  d'ora,  per  evacuare  a   comando.  L'acqua  

era   distribuita   quando   faceva   comodo   alle   guardie.   Le   possibilità   di   riposare  

erano   scarsissime,   anche   perché  mancava   lo   spazio   per   sdraiarsi.   Si   facevano   i  

turni,  in  piedi  e  coricati.  Si  doveva  urinare  in  un  barattolo,  che  veniva  poi  passato  

di  mano  in  mano  per  poterlo  vuotare  all'esterno,  da  un  pertugio  sbarrato  dal  filo  

spinato.  E  piuttosto   spesso,  bombardamenti   e  mitragliamenti   aerei,   con  morti   e  

feriti:  ma  i  tedeschi  non  aprivano,  rifiutavano  aiuti  e  il  viaggio  continuava.  

Le  condizioni  di  vita  nei  campi  erano,  nella  maggior  parte  dei  casi,  disumane:   il  

cibo  era  cattivo  e  scarsissimo,  le  baracche  in  legno  (e  raramente  in  muratura)  in  

cui  dormivano  i  prigionieri  (sui  cosiddetti  «castelli»:  letti  di  due,  tre  o  più  piani  in  

tavolaccio)   malsane   e   sovraffollate,   la   situazione   igienica   terribile,   dappertutto  

c’erano  pidocchi,  cimici,  scarafaggi  e  topi;  l'abbigliamento  era  spesso  costituito  di  

pochi   indumenti   laceri,   assolutamente   inadeguati   per   combattere   i   rigori   del  

freddo   pungente   che   d’inverno,   in   certe   zone,   toccava   anche   i   30-­‐40   gradi  

sottozero;   le  malattie  erano  all'ordine  del  giorno,  moltissimi   internati  morirono  

per   sfinimento,   denutrizione,   tubercolosi,   nella   totale   mancanza   di   assistenza  

medica.   Nell'organizzazione   dei   lager   tedeschi   è   previsto   il   funzionamento  

dell’infermeria   del   campo,   nella   quale   vengono   ricoverati   i   malati   più   gravi  

provenienti  dai  campi  di  lavoro,  in  teoria  per  essere  curati,  in  realtà  per  lasciarli  

morire  nei  lager  dove  sono  registrati.  In  tutti  i  lager  manca  l'assistenza  sanitaria  

perché   quella   è   la   direttiva.   I   malati   gravi   vengono   abbandonati   a   loro   stessi  

perché  irrecuperabili  per  il  lavoro.  All'assenza  di  assistenza  medica,  si  devono  poi  

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aggiungere  le  continue  minacce,  umiliazioni,  violenze  e  pressioni  psicologiche  da  

parte  dei  nazisti:  il  lager  è  un  autentico  inferno.  La  sporcizia  come  arma  di  ricatto.  

I   nazisti   volevano   i   pidocchi,   le   cimici,   le   pulci;   volevano   che   gli   indumenti  

cadessero  in  brandelli,  che  maglie,  mutande,  calze  e  pezze  da  piedi  si  portassero  

per  mesi,   stagioni  e   interi  semestri  senza  offrire   i  mezzi  per   lavarli  o  sostituirli.  

Non   facevano  nulla  per  evitare   i  malanni  derivanti  dalla  sporcizia,  dissenteria  o  

peggio   il   tifo.   L’interno   delle   baracche   era   lurido   per   l`impossibilità   di   tenerlo  

pulito.  Se  poi  passiamo  al  capitolo  gabinetti...quando  andava  bene  consistevano  di  

baracche  di  assi  sconnesse  che  circondavano  grandi  buche  malamente  ricoperte  

con   tavolati   pericolanti.   Gli   escrementi   erano   dappertutto.     Si   effettuavano   due  

appelli   giornalieri,   uno   nel   primo   mattino,   il   secondo   verso   sera.   Operazione  

teoricamente   semplicissima:   si   trattava   di   fare   qualche   somma   contando   i  

presenti  in  riga  e  quelli  che,  indisposti,  rimanevano  in  baracca.  Viceversa  era  raro  

che  i  conti  tornassero  velocemente:  essi  venivano  fatti  e  rifatti  più  volte,  baracca  

per   baracca,   poi   bisognava   fare   il   computo   totale.   Conclusione:   si   doveva   stare  

all'aperto  a  lungo,  a  volte  un'ora  o  due,  con  qualunque  tempo,  alla  pioggia  o  sotto  

la  neve,  d’inverno  con  parecchi  gradi  sotto  zero.  Gelando,  denutriti  e  mal  vestiti,  

la  sofferenza  si  moltiplicava.  In  più,  non  di  rado,  i  tedeschi  esigevano  formalismi  

assurdi,  in  quelle  condizioni:  posizione  di  attenti,  niente  coperte,  passamontagna  

(chi  li  aveva)  rialzati.  Spessissimo  erano  urlacci  degli  addetti  alla  conta,  e  di  tanto  

in   tanto   anche   botte,   schiaffi,   e   'carezze'   coi   calci   dei   fucili:   anche   in   faccia.   Le  

spoliazioni  degli  averi  degli   internati  e   i  commerci  per  procurare  cibo,  sono  due  

aspetti   di   un   unico   proposito:   quello   di   rapinare   tutto   ciò   che   era   possibile   a  

gente   indifesa   e   in  momento  di   estremo  bisogno.  All’arrivo  degli   italiani   al   loro  

primo   lager   i   tedeschi   dicevano   che   era   severamente   proibito   tenere   oggetti  

come   radio,   bussole,   binocoli,   macchine   fotografiche,   pinze;   pertanto   li  

sequestrarono,  con  modi  perfino  cortesi,  rilasciando  quasi  sempre  delle  ricevute  

che   -­‐   dicevano   -­‐   sarebbero   servite   per   riavere   gli   oggetti   stessi   alla   fine   della  

guerra.   Inoltre   attuavano   perquisizioni   durante   la   prigionia.   I   tedeschi   si  

prendevano  tutto  quello  che  gli  internati  erano  riusciti  a  salvare  nella  prima  fase  

e   andavano   alla   ricerca   di:   penne   stilografiche,   accendini,   temperini.   Senza  

ricevute.   Durante   le   perquisizioni   "pesanti"   cercavano   valuta,   sterline,   oro,  

quaderni,   appunti.   Misero   in   piedi   dei   veri   e   propri   commerci   all`interno   dei  

lager,  effettuati  personalmente  da  militari  e  sottufficiali  tedeschi,  o  tramite  civili  

che   bazzicavano   nei   lager.   Questo   tipo   di   furto   poteva   essere   estremamente  

redditizio:  un  orologio  d'oro  di  marca,  scambiato  per  due  o  tre  pagnotte  di  pane  

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nero  di  segala,  una  fede  matrimoniale  per  un  paio  di  chili  di  fagioli,  una  catenina  

d'oro  per  poche  patate.  Qualche  volta,  nel  corso  di  questi  commerci  clandestini,  ci  

scappava  il  morto:  la  sentinella,  avuto  l'oggetto  attraverso  il  reticolato,  sparava.    

Le  regole  internazionali  prescrivono  che  ai  prigionieri  di  guerra  sia  riservato  un  

trattamento   alimentare   pari   a   quello   che   la   nazione   detentrice   offre   ai   propri  

soldati   a   riposo.   Col   trucco   di   non   considerarli   prigionieri   i   nazifascisti   elusero  

questa  regola.  La  novità  della  qualifica  di   internati  militari   italiani  offrì   loro  una  

comoda   scappatoia   per   dosare   come   volevano   i   viveri.   E   il   dosaggio   fu  

estremamente  parsimonioso...   erano   razioni   teoriche   che   venivano  decurtate   in  

partenza,   assai   spesso,   per   trame   dei   quantitativi   con   i   quali   si   alimentava   il  

mercato   nero.   Inoltre   bisogna   tenere   conto   della   qualità   dei   vari   alimenti:   ad  

esempio,  era  frequente  il  caso  di  fornitura  di  patate  gelate,  immangiabili;  il  pane  

conteneva  una   certa  percentuale  di   segatura   ed   era   sempre  umido;   la  minestra  

(sbobba)   era   priva   di   grassi   e   di   sostanze   proteiche;   i   cosiddetti   generi   di  

conforto   avevano   molto   saltuariamente,   specie   negli   ultimi   mesi  

dell`internamento.  Comunque  la  razione  teorica  era  questa:  al  mattino,  un  infuso  

caldo  di  erbe  varie  e  fiori  di  tiglio;  per  il  resto  della  giornata,  1  litro  di  sbobba  di  

rape  da  foraggio,  tagliate  a  fettucce,  amare,  disgustose;  300  grammi  di  pane.  Agli  

inizi   del   1944   calò   a   180   grammi   e   perfino   a   150;   200   grammi   di   patate;   25  

grammi   di   margarina;   20   grammi   di   zucchero.   Quello   dell'alimentazione   fu   il  

problema  principale  per  la  sopravvivenza  nei  campi.    

I  medici   e   gli   economisti   nazisti,   avevano   programmato   una   razione   annonaria  

base,  per  i  civili  tedeschi,  i  lavoratori  liberi  stranieri  e  i  prigionieri,  di  quasi  1736  

kcal/giorno,   appena   sufficienti   per   una   vita   vegetativa,   contro   le   2300/3500  

necessarie  per  un  lavoratore.    I  contadini  si  arrangiavano,  i  cittadini  integravano  

la  tessera  con  la  borsa  nera  e  i  lavoratori  con  integrazioni  aziendali.  I  prigionieri  

di   guerra   alleati   (POW   -­‐   prisoners   of   war)   integravano   abbondantemente   la  

razione  coi  pacchi  da  casa  e  della  Croce  Rossa.    

I   prigionieri   senza   tutela   (come   gli   IMI,   i   deportati   civili,   gli   ebrei,   i   KGF   russi,  

ecc.)  avevano  una  speranza  di  vita  programmata  dai   tedeschi  di   soli  nove  mesi,  

ottimizzato  con  un  calcolo  ”costi  /  benefici”,   fondato  su  una  dieta  base  teorica  di  

1736   kcal/giorno   ed   un   ricambio   di   schiavi   dai   territori   orientali,   possibile  

quando  le  armate  tedesche  avanzavano.    

Con   una   dieta   effettiva   di   900/1500   kcal/giorno,   per   furti   delle   guardie   e  

cucinieri,  scarti  di  cucina,  punizioni  e  intimidazioni,  veniva  a    crearsi  un  deficit  di  

500/2000   kcal/giorno,   che   i   prigionieri   cercavano   di   colmare   con   rischiosi  

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espedienti  ed  attingendo  alle  proprie  risorse  corporee  dell’ordine  di  80.000  kcal  

utilizzabili.   In   queste   condizioni,   pressione   sanguigna,   battiti   cardiaci   e   peso   si  

abbassavano   fino  anche  a  dimezzarsi  e   si  dimagriva  anche  di  30/40  kg   (grasso,  

muscoli…)   raggiungendo   un   peso   minimo,   mortale,   di   30/35   kg   (ossa,   acqua,  

organi   vitali,   residuo   muscolare…),   in   stato   d’inedia,   depressione,   debolezza  

estrema   e   malattie   conseguenti!   Gli   IMI   erano   trattati   come   i   prigionieri   russi  

senza   tutele  e  quanti   sopravvissero  (il  92%),   lo  devono  agli  eventuali  pacchi  da  

casa,   qualche   chilo   di   riso   e   gallette   (ma   non   a   tutti)   del   SA-­‐IMI   (“Servizio  

Assistenza  IMI”  dell’Ambasciata  di  Berlino  della  RSI)  e  soprattutto  a  furti  di  patate  

e  rifiuti  di   cucina  (vietati),   svendite  a  borsa  nera  dei  pochi  effetti  personali  non  

rapinati   nelle   perquisizioni   e   autodigerendo   le   proprie   riserve   energetiche  

corporee!  

Secondo  studi  storici  24  mila  dei  circa  50  mila  caduti  nei  lager,  morirono  di  fame  

e  di  malattie  conseguenti.  La  dieta  quindi,  per  apporto  calorico,  era  al  di  sotto  del  

livello  minimo  di  sopravvivenza.  Lo  ammette  anche  l'ambasciatore  a  Berlino  della  

Rsi,  Filippo  Anfuso,  che  in  un  rapporto  sul  lager  di  Luckenwalde  scrive:    

«Gli  internati  si  lagnano  del  nutrimento  assolutamente  insufficiente.  Effettivamente  

si   riscontrano   numerosi   casi   di   edemi   da   fame   e   di   grave   deperimento   organico,  

spesso  seguiti  da  morte».    

La   situazione   era   particolarmente   tragica   per   gli   internati   utilizzati   come  

lavoratori   coatti   nelle   fabbriche   (quelli   che   furono   impiegati   nelle   fattorie   se   la  

cavarono  meglio).  E  spesso  sono  le  industrie  stesse  a  farlo  presente,  lamentando  

che   il   precario   stato   di   salute   di  molti   lavoratori,   provocato   dalla   denutrizione,  

condizionava   il   loro   rendimento.   «Una   dipendenza   della   Mannesmannrohren-­‐

Werken  la  Heinrich-­‐Bierwes-­‐Hutte  di  Duisburg,  riferiva:    

"Il  medico  aziendale  si  è  occupato  in  particolare  del  cattivo  stato  nutrizionale  degli  

internati   militari   italiani,   i   quali   al   momento   del   loro   arrivo   in   fabbrica   erano  

talmente  denutriti  che  un  certo  numero  di  loro  presentava  già  grossi  rigonfiamenti  

(edemi  da  fame)  sulle  gambe".    

Un  altro   impianto  siderurgico  della  Rurh,   la  Gutehoffnungshutte  di  Oberhausen,  

che  nell'ottobre  del  1943  ricevette  1.227  Imi,  ci  offre  un  quadro  simile:    

"La  percentuale  di  ammalati  era  straordinariamente  alta   fra  gli   internati  militari  

italiani.”    

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La  causa  di  ciò  va   individuata  nel   fatto  che  gli   italiani  giunsero  a  Oberhausen  in  

uno   stato   di   totale   debilitazione   e   denutrizione.   All’inizio   quasi   tutti   erano   in  

condizioni   tali   da   non   poter   essere   impiegati   al   lavoro   e   soffrivano   dei   tipici  

sintomi  della  denutrizione.  La  situazione  si  ripete  uguale  dappertutto.  Al  peggio,  

però,   non   c'è  mai   fine.   l   tedeschi,   infatti   ,   per   risolvere   il   problema  della   scarsa  

produttività   degli   italiani,   invece  di   aumentare   la   quantità   delle   razioni   di   cibo,  

inventarono   l’alimentazione   proporzionata   alla   produttività.   Questo   metodo,  

applicato   a   partire   dall'ottobre   del   1942   ai   prigionieri   sovietici   impiegati   nelle  

miniere  di  carbone,  venne  esteso  rapidamente  a  tutto  il  settore  industriale:  Esso  

consisteva  nel  dividere  i  lavoratori  stranieri  in  tre  scaglioni:  il  primo  costituito  da  

coloro   che   avevano   un   rendimento   pari   o   superiore   all`80%   di   quello   di   un  

operaio  tedesco  di  pari  qualifica;  il  secondo  costituito  da  coloro  il  cui  rendimento  

oscillava  tra   l'80%  e   il  60%;  e   il   terzo  costituito  da  coloro   il  cui  rendimento  era  

inferiore  al  60%.  Questi  ultimi  subivano  una  decurtazione  della  razione  standard  

e   ciò   che   veniva   tolto   a   loro   veniva   assegnato,   come  premio,   a   quelli   del   primo  

scaglione.   Oltre   alla   riduzione   del   vitto   erano   inoltre   previste   anche   altre  

punizioni,   come   lavoro   supplementare   e   l'assegnazione   a   incarichi  

particolarmente  sporchi.  

 

 

Il  lavoro  da  schiavi  

 

Nei   Lager   nazisti,   la   speranza   di   vita   di   uno   schiavo,   non   considerando  

l’eventualità   di  morte   violenta   (criminale   o   per   fatti   di   guerra)   erano   ridotte   a  

pochi  mesi,  con  75  ore  settimanali  di  lavoro  duro  in  fabbrica  o  in  miniera,  ma  di  

fatto  100  coi  servizi  al  campo  e  le  marce  al  luogo  di  lavoro,  sempre  con  la  fame,  la  

debilitazione  e  le  malattie  conseguenti.  

Come  già  evidenziato,  una  volta  giunti  nei   lager  i  soldati  e  i  sottufficiali  vennero  

rapidamente  avviati  al  lavoro,  mentre  gli  ufficiali  furono  chiusi  in  campi  a  parte  e  

momentaneamente   esclusi   dall'obbligo   di   lavorare   (ma   subirono   incessanti  

pressioni  fisiche  e  psicologiche  per  convincerli  a  offrirsi  volontariamente).  Il  tutto  

avvenne  con  le  regole  di  un  vero  e  proprio  mercato  degli  schiavi.  Un  mercato  di  

carne   umana:   giovani   da   sfruttare   fino   alla   consunzione.   È   significativo   ciò   che  

scrive,  già  nel  1942,  in  una  circolare  l'Obergruppenfuhrer  Oswald  Pohl:    

«L'impiego  della  manodopera  deve  essere  completo,  nel  vero  senso  della  parola,  al  

fine  di  ottenere  il  massimo  rendimento...  Il  tempo  di  lavoro  non  ha  alcun  limite.  La  

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sua   durata   dipende   dalla   struttura   del   lager...   Tutte   le   circostanze   che   possono  

abbreviare   il   tempo   di   lavoro   devono   essere   ridotte   al   massimo.   Spostamenti   e  

pause  di  mezzogiorno   soltanto  per  mangiare,   che  portano   via   tempo  destinato  al  

lavoro,  sono  vietati...  Il  direttore  di  fabbrica  è  corresponsabile  per  i  danni  aziendali  

o  economici  e  gli   insuccessi...  Deve  essere  ampliato   l`impiego  di  guardie  a  cavallo,  

cani  da  guardia,  torri  di  controllo  mobili  e  ostacoli  mobili».    

Secondo   un'analisi   riferita   al   febbraio   1944,   gli   Imi   furono   utilizzati   in   diversi  

settori  produttivi,  con  una  netta  prevalenza  dell`industria  pesante.  I  dati  parlano  

chiaro:  il  56%  fu  impiegato  in  imprese  minerarie,  metalmeccaniche  e  chimiche;  il  

12%  in  edilizia;   il  10,8%  nei  settori  energia,  trasporti  e  comunicazioni;   il  10,6%  

in   altri   comparti   industriali,   compreso   quello   alimentare;  mentre   solo   il   6%   in  

attività  agricole  o  similari.   In  circostanze  particolari,  ma  non  infrequenti,  gli   Imi  

vennero   anche   utilizzati   per   rimuovere   le   macerie   delle   città   bombardate,   e  

qualcuno  ci  lasciò  la  vita.  Il  lavoro,  nella  maggior  parte  dei  casi,  era  durissimo:  in  

cambio  di  ore  e  ore  di  fatica,  sotto  la  ferrea  sorveglianza  dei  nazisti,  gli  internati  

ricevano  un  misero  vitto  e  (non  sempre)  una  paga  in  lager-­‐mark,  una  moneta  che  

circolava   solo   nei   campi,   ma   non   aveva   alcun   valore   legale   all'esterno.   Sulle  

condizioni  di   lavoro  è  significativo   l'orario:  è   tremendo,   turni  di  12  ore  con  una  

sola  mezz'ora  d`interruzione  per  cibarsi  con  una  zuppa  di  rape.    

Un   esempio:   la   sveglia   al   campo   1011,   dove   si   costruiscono   camion   armati   e  

componenti   degli   aerei,   viene   data   alle   2-­‐2.30   di   notte.   Fino   alle   5.30   si   svolge  

l'appello   all'aperto,   poi   la   colonna   di   forzati   si   mette   in   marcia,   scortata   dagli  

addetti   alla   sicurezza   della   ditta.   Chi   non   è   perfettamente   allineato   o   non  

mantiene   il   passo,   per   qualunque   motivo,   viene   segnalato   al   comandante   del  

campo,  un  maresciallo  tedesco,  il  quale  gli  nega  la  razione  giornaliera  di  pane  e  in  

più  lo  fa  bastonare.  Il  ritorno  avviene  alle  18;  prima  di  andare  a  dormire,  si  beve  

un  litro  di  rancio  caldo  di  rape  e  si  mangia  un  pezzo  di  pane,  un  filone  di  pane  di  

circa  200  grammi  viene  suddiviso  tra  sette  prigionieri  con  un  bilancino,  con  pochi  

grammi  di  margarina,  salame  o  marmellata.  Le  fabbriche,  le  aziende,  le  fattorie  e  

gli   uffici   che   comprano   gli   schiavi   sono   autorizzati   ad   allestire   alloggiamenti   o  

piccoli   lager  nelle  vicinanze  dei  posti  di   lavoro.  Nascono   in   tal  modo  migliaia  di  

centri.    

I   lavoratori   coatti   fanno   parte   di   quelli   che   la   burocrazia   definisce  

Arbeitskommandos,  gruppi  di  lavoro.  Restano  isolati  dagli  altri,  sorvegliati  giorno  

e   notte,   e   vengono   sfruttati   fino   al   midollo.   Molti   muoiono   per   l'esaurimento  

conseguente   alla   fame   che   riduce   la   loro   resistenza   al   lavoro   forzato,   altri   si  

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ribellano   e   vengono   subito   fucilati.   In   questo   scenario   mobile,   i   nazisti   hanno  

anche  modo  di  lamentarsi.  Gli  italiani  vengono  dipinti  come  lazzaroni,  pigri,  gente  

che  non  ha   voglia  di   lavorare,   che   trova  ogni   scusa  per  darsi   ammalata.  Alcune  

testimonianze  al  riguardo  (ma  ve  ne  sono  molte  altre,  dello  stesso  tenore):    

«Alla   miniera   David,   su   quarantadue   lavoratori   dichiaratisi   malati   e   visitati   dal  

medico,  soltanto  cinque  lo  erano  veramente».  

Il  medico  di  Cels  dichiara  che  la  maggior  parte  di  coloro  che  si  danno  malati  vuole  

solamente  allontanarsi  dal  posto  di   lavoro.  A  Lausitz  un   lavoratore   tedesco   si   è  

visto  assegnare  sette  italiani  per  lavori  stradali.    

«Il  tedesco  lavorava  nonostante  il  freddo  mattutino  e  il  sudore  della  fatica,  mentre  

gli  italiani,  con  il  colletto  rialzato,  le  mani  nelle  tasche  dei  pantaloni  o  del  cappotto,  

saltellavano  su  un  piede  e  sull'altro,  infreddoliti,  intorno  all'uomo  che  lavorava».    

Questo   pregiudizio   e   fanatismo   anti-­‐italiano   è   alimentato   ad   arte   dalla  

propaganda   nazista.   Gli   Imi,   quando   attraversano   un   villaggio   per   recarsi   al  

lavoro   scortati   dalle   guardie,   vengono   spesso   insultati   dalla   popolazione   civile,  

dileggiati   con   sputi   e   lanci   di   pietre,   minacciati.   Peri   tedeschi   gli   italiani   sono  

«traditori»,   «badogliani»,   «vigliacchi»,   «maiali»,   «vermi»   e   altre   amenità   del  

genere.  Il  disprezzo  è  profondo  e  condiviso.  

 

 

 

Le  vittime  

 

La   vita   nei   lager   era   durissima.   La   fame,   il   freddo,   la   pesantezza   del   lavoro,   le  

violenze   dei   tedeschi,   la   mancanza   di   assistenza   medica   provocarono   tra   gli  

internati   migliaia   di   morti.   In   mancanza   di   informazioni   certe   si   stima   che   la  

deportazione  costò  la  vita  a  circa  50  mila  persone:  circa  20  mila  morti  nei  lager  -­‐  

in   base   alle   informazioni   tedesche   -­‐   una   cifra   che   dovrebbe   essere   certamente  

incompleta;   circa   5.400   internati   morti   o   dispersi   nella   zona   di   operazioni  

dell'esercito   sul   fronte   orientale;   circa   13.300   che   persero   la   vita  

nell'affondamento   delle   navi   da   trasporto;   fino   a   6.300   trucidati.   Senza   tener  

conto   dei   caduti   in   combattimento   si   tratterrebbe   già   di   45   mila   morti.  

Particolarmente  significativo  è  il  caso  di  Dora,  la  «fabbrica  più  crudele  d'Europa››,  

un'immensa   officina   scavata   nel   cuore   della  montagna,   dove   si   producevano   le  

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temibili   V2,   i  missili   a   cui  Hitler   aveva   affidato   le   ultime   speranze  di   vincere   la  

guerra.   In  queste  officine   i   turni  erano  di  12  ore,  giorno  e  notte,  e  dalle  gallerie  

non   si   usciva   mai.   Morivano   in   media   200   prigionieri   al   giorno.   Racconta   un  

sopravvissuto:    

“Ogni  mattina  assistiamo  alla   raccolta  dei  morti   e  al   loro   trasferimento.  Vengono  

caricati   confusamente   su   camole  o   vagoncini,   con   la   testa  penzoloni   e   le  membra  

consunte  da  cui  sporgono  spaventosamente  i  muscoli  irrigiditi  per  i  crampi  o  per  la  

paura   di   una   morte   infame,   senza   conforto   e   assistenza.   Talvolta   dal   mucchio  

spunta   una   testa   con   le   ossa   sporgenti   e   gli   occhi   che   escono   dalle   orbite.   Uno  

spettacolo   che   diventa   per   noi   una   visione   crudele   e   indimenticabile,   perché   si  

ripete  ogni  giorno.  Molti  prigionieri  vengono  assassinati  per  punizione:  un  nonnulla  

e  si  finisce  sulla  forca.”    

Le  cifre  della  mattanza  sono  impressionanti:  dal  28  agosto  1943  all'aprile  1945,  

sui   60   mila   prigionieri   di   circa   venti   nazioni   che   hanno   popolato   l`intero  

complesso  di  Dora,  i  morti  furono  oltre  20  mila.    

La   situazione   nei   lager   si   fece   particolarmente   grave   verso   la   fine   della   guerra,  

quando   da   Berlino   partì   I'ordine   di   cancellare   le   tracce   della   loro   esistenza,  

distruggendo   i   documenti,   le   strutture   e   facendo   scomparire   i   prigionieri.   La  

decisione  di  Hitler  colpì  anche  gli  Imi,  molti  dei  quali  persero  la  vita  in  esecuzioni  

di  massa.  Come  a  Hildesheim,  popolosa  città  della  Bassa  Sassonia,  dove  le  vittime  

furono   oltre   200.   «I   prigionieri»   vennero   radunati   in   una   baracca,   i   nazisti   li  

interrogarono   e   li   malmenarono,   dopo   di   che   scegliettero   i   condannati  

all’impiccagione,  che  a  gruppi  di  tre  o  quattro,  vennero  fatti  salire  su  un  tavolo.  I  

carnefici  posero  loro  il  cappio  intorno  al  collo,  e  altri  rovesciarono  quel  tavolo  su  

cui  le  vittime  stavano  ritte,  le  mani  legate  dietro  la  schiena,  molte  con  un  pezzo  di  

legno  in  bocca  per  non  gridare.  Appena  terminato  con  quel  gruppo  ne  avanzava  

un  altro,  mentre  altri  prigionieri,  nell'attesa  di  morire,  prelevavano  i  cadaveri,   li  

spogliano  e  li  gettano  in  una  fossa  in  cui  si  trovano  già  altre  vittime  della  Gestapo  

o   delle   ss.   Il   massacro   durò   tutta   la   notte,   alcuni   vennero   uccisi   anche   con   un  

colpo  di  pistola  alla  nuca.  

 

 

 

 

 

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La  liberazione  

 

La  liberazione  dei  lager  avvenne  in  tempi  diversi,  con  l'avanzare  dei  fronti,  già  nel  

1944  in  Ucraina  e  Prussia,  per  lo  più  tra  il  gennaio  e  i  primi  di  maggio  del  1945  in  

Polonia  e  Germania  e  prima  ancora  nei  Balcani.  I  prigionieri  vennero  liberati  dai  

soldati   alleati   (o   si   liberarono   da   soli,   fuggendo   dai   nazisti   man   mano   che  

avanzava  il  fronte  di  guerra).  La  liberazione  fu  un  momento  di  grande  gioia.  Per  

gli  Imi  significava  la  fine  delle  sofferenze  e  il  ritorno  a  casa.  Ma  il  rimpatrio  non  fu  

immediato.   La   gran   parte   di   essi,   prima   di   potere   rivedere   l'Italia,   dovette  

attendere  il  proprio  turno,  anche  a  lungo.  Con  le  fatiche  e  i  dolori  di  venti  mesi  di  

prigionia   sulle   spalle  moltissimi  non   riuscirono   a   rientrare  prima  di   settembre,  

ottobre   e   anche   oltre.   Sulla   vicenda   pesarono   il   caos   seguito   alla   guerra,   i  

problemi   di   organizzazione   e   il   colpevole   disinteresse   mostrato   dal   governo  

italiano.  Gli   Imi  furono,  sostanzialmente,  abbandonati  a  se  stessi.  La  dispersione  

degli   Imi   liberati   ritardò   il   loro   raduno   in   centri   di   rimpatrio   organizzato.  

Parecchi  tentarono  di  raggiungere  l'Italia  per  proprio  conto.  A  complicare  le  cose,  

oltre   al   gran  numero,   era   anche   il   particolare   stato   giuridico   degli   Imi,   ignorati  

dalla   Croce   rossa,   classificati   dagli   inglesi   come   "displaced   persons"   (Dp,  

profughi,  apolidi)  e  dagli  americani  come  "prisoners  of  war"  (Pow),  prigionieri  di  

guerra.  Nell'estate  del  1945  le  vie  e   i  mezzi  di  comunicazione  erano  ingolfati  da  

milioni  di  soldati  vittoriosi  e  sconfitti,  ex  prigionieri  e  profughi  tedeschi  e  di  tutte  

le  nazioni,  che  si  incrociavano  da  tutte  le  direzioni  cardinali,  con  ponti  di  fortuna,  

ferrovie   malridotte,   ingorghi   stradali,   carenze   di   mezzi   di   trasporto.   L'Italia,  

combinata   com'era   all`indomani   del   25   aprile,   non   poteva   fare   molto,   e   fece  

ancora   meno,   per   recuperare   quel   'milione'   (come   lo   valutavano   allora)   di   ex  

internati…   Il   rimpatrio   si   svolse   soprattutto   nell'estate   e   nell'autunno   1945,   da  

Germania,   Francia,   Balcani   e   Russia.   Quello   dalla   Germania   fu   particolarmente  

caotico   e   presentò   ritardi   per   ingolfamenti   e   scarse   sollecitazioni   delle   nostre  

autorità.   Nessun   rappresentante   ufficiale   del   nostro   governo   si   presentò   nei  

nostri   lager   liberati.   Dunque,   nessun   palese   interesse   dell'Italia,   e   i   "liberatori"  

alleati  si  meravigliavano  di  non  vedere  commissioni  italiane  tra  le  molte  straniere  

in  visita  ai  campi  liberati.  Il  rimpatrio,  nella  maggior  parte  dei  casi,  fu  gestito  dagli  

angloamericani  e  avvenne  su  camion  o  via  treno,  lungo  percorsi  spesso  tortuosi  e  

accidentati.  Varcato  il  confine,  gli  Imi  provenienti  dalle  regioni  del  Reich  venivano  

solitamente  dirottati   verso  Pescantina,   nel   veronese,   dove   era   stato   istituito   un  

centro  di  smistamento  e  accoglienza,  e  dove  si  organizzavano  i  trasporti  verso  le  

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destinazioni   interne   al   paese.   Nella   sostanza,   nel   caos   dell'Italia   del   primo  

dopoguerra,   la   tragica   vicenda   degli   Imi   fu   presto   dimenticata.   Di   loro   non   si  

occupò  e  non  parlò  nessuno,  istituzioni  comprese,  come  se  non  fossero  neppure  

esistiti.  Sugli  altari  finirono  i  partigiani,  i  protagonisti  della  Resistenza  in  armi,  ma  

la   resistenza  attiva  degli   ex   internati,   che  pagarono   il   loro  «no»  al   fascismo  con  

venti  mesi  di  durissima  prigionia,  non  venne  riconosciuta.  All`indifferenza  che  li  

aveva  accolti  in  patria  gli  Imi  stessi  risposero  con  il  silenzio,  facendo  scattare  un  

vero   e   proprio   meccanismo   di   rimozione   della   realtà,   come   se   quello   che   era  

successo,   fosse   capitato   a   qualcun   altro.   Dal   loro   esilio   volontario   e   da   una  

resistenza   attiva,   anche   se   disarmata,   dispersi   al   loro   arrivo   in   Italia   e  

politicamente   non   organizzati   essi   furono   accolti   nel   1945   con   indifferenza   e  

diffidenza,  se  non  con  ostilità,  da  un  popolo  che  non  voleva  più  sentir  parlare  di  

guerra   e   stava   in   bilico   tra   il   post-­‐fascismo   della   Resistenza,   prerogativa   dei  

partigiani   e   del   Corpo   di   liberazione,   l'anticomunismo   strumentalizzato   dalla  

"Guerra  fredda"  e  l'agnosticismo  comodo  di  chi  sta  alla  finestra.    

“Gli   IMI,   reduci   dai   Lager,   non   si   sentivano   eroi   perché   erano   tanti   (anche   se  

individuali)  e  gli  eroi  per  definizione  non  possono  che  essere  pochi,  ma  erano  fieri  di  

aver   compiuto   fino   ai   limiti   umani   il   proprio   dovere   patriottico   e   umano,   leali  

all’Esercito,   allo   Stato   legalitario   e   alla   propria   coscienza.   Ma   a   guerra   finita,   il  

rimpatrio  di  questa  marea  apolitica  e  traumatizzata  di  reduci  fu  accolto  con  gioia  

da  milioni  di  mamme,   spose,   fidanzate,  parenti   e  amici   e   con   imbarazzo  generale  

dagli   italiani:   con   diffidenza   dai   politici   (fascisti   e   antifascisti,   monarchici   e  

repubblicani,   resistenti,   dissidenti   e   attendisti,   socialcomunisti   e   laico/cristiani)   e  

con   diffidenza   e   apprensione   dalle   autorità,   tanto   più   che   gli   IMI,   per   venti  mesi,  

erano   stati   camuffati   dalla   propaganda   repubblichina   come   ”collaboratori”   e,  

dall’agosto  1944,  come  “lavoratori  liberi”  volontari!”    

Com’erano   visti   dunque   gli   IMI?     Per   i   tedeschi   e   gl’italiani,   nei   lager   e   dopo   i  

lager,   gli   IMI   erano   un   rebus   di   difficile   soluzione:   di   fronte   ai   tedeschi   si  

dichiaravano   “soldati   leali   di   Sua   Maestà   il   Re   d’Italia”   e   ripudiavano  

coraggiosamente   la   loro   gioventù   fascista,   ma   in   cuor   loro,   soprattutto   i   più  

giovani,   dopo   l’abbandono   sabaudo/badogliano   dell’“8   settembre”,   covavano  

risentimenti  verso  la  monarchia  e  segrete  simpatie  repubblicane!    

Il   ritorno  degli   IMI   si   svolse  quindi  nella   generale   incomprensione,   diffidenza   e  

disinteresse  degli  italiani,  freschi  di  venti  mesi  di  propaganda  repubblichina  che  

camuffava  gli  IMI  da  collaboratori!  

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“Ma   chi   sono   mai?   –   si   chiedeva   il   governo   –   fascisti…   comunisti…   gli   avranno  

lavato  il  cervello…  forse  saranno  da  rieducare…  e  magari  sono  anche  repubblicani…  

e   come   voteranno?”   –   in   una   monarchia   traballante   che   li   aveva   inguaiati   l’   8  

settembre”!   –   “E   che   cosa  mai   rivendicheranno?  Ma,   insomma…  chi   gliel’ha   fatto  

fare  di  non  firmare…  di  non  voler  lavorare…  almeno  mangiavano!”.    

Così   il   governo   non   sollecitò   il   rimpatrio   dei   suoi   prigionieri   (o   addirittura   lo  

ritardò,  come  per  quelli  dalla  Romania,  sospettati  comunisti!),  con  sorpresa  degli  

Alleati   assillati   dagli   altri   paesi   per   il   rimpatrio   dei   propri   concittadini.   Il  

rimpatrio   degli   IMI   si   svolse   un   po’   alla   spicciolata,   per   i   meno   distanti   dalla  

frontiera  e,  per  gli  altri,  grazie  alla  Pontificia  Commissione  di  Assistenza.  

Poi   gli   IMI   erano   troppi,   concorrenti   privilegiati   nel   mercato   del   lavoro   in  

un’Italia   collassata,   piena   di   disoccupati   e   si   sommavano   agli   altrettanti   ex  

prigionieri  degli  Alleati:  erano  apolitici  e  non  interessavano  i  politici,  per  i  media  

non  facevano  notizia  come  i  partigiani,  l’olocausto  e  l’ARMIR,  la  scuola  li  ignorava  

perché   nessuno   gliene   parlava   e   l’insegnamento   della   storia   si   fermava   alla  

Grande  Guerra,  evitando  il  “ventennio”  imbarazzante  e  infine,  la  gente,  dopo  anni  

di  guerra,  non  voleva  confronti  e  rievocare  tristezze!    

Ma  allora  gli   italiani  non  avevano  capito  nulla  del  perché  e  del  duro  prezzo  dell’  

“altra   resistenza”!   E   se   quella   marea   di   700.000   “NO!”   fosse   stata   invece   di  

700.000  “SI”  dando,  fin  dall’  “8  settembre,  il  sostegno  politico  e  militare  a  Hitler  e  

a  Mussolini,  quanti  sarebbero  stati  i  partigiani,  con  quali  armi,  addestrati  da  chi  e  

con   quali   prospettive?   Gli   Alleati   avrebbero   vinto   lo   stesso   la   guerra,   ma   che  

storia   si   sarebbe   scritta   con   un’avanzata   alleata   rallentata,   dando   per   esempio  

fiato  ai  tedeschi  nella  corsa  alle  armi  missilistiche  e  atomiche?  

I   pregiudizi   degli   italiani   offesero   e   avvilirono   gli   IMI   che   finirono,   già  

traumatizzati   dai   Lager,   a   ghettizzarsi   tra   loro,   apolitici   ma   antifascisti,   a  

rimuovere  la  memoria  del  Lager  e  della  loro  scelta,  buona  o  meno  buona  e  forse  

inutile  ed  a  chiudersi  in  sé  stessi,  anche  in  famiglia!    

Così   la   storia   degli   IMI   fu   psicologicamente,   politicamente   e   colpevolmente  

affossata  da  tutti!  

Delusi,  gli  ex  internati  ammutolirono,  chi  per  decenni  e  chi  per  sempre,  rimossero  

il   "trauma   del   reticolato"   convinti   quasi   dell`inutilità   del   sacrificio   loro   e   dei  

caduti.   Del   resto   i   nazisti   l'avevano   previsto   :   "Se  mai   uno   di   voi   sopravviverà,  

qualunque  cosa  dirà  ,  non  gli  crederanno".  E  non  parlando  gli  internati,  gli  'altri'  li  

ignorarono:   la   stampa,   l'opinione  pubblica,   la   scuola,   la  generazione  dei   figli.  Le  

ragioni   che   precipitarono   questa   vicenda   nell'oblio   furono   molteplici.   Nella  

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politica   i   diversi   schieramenti   in   campo   esaltarono   (giustamente,   ma   anche  

appropriandosene  per   il  proprio   interesse)   i  meriti  della   lotta  partigiana,  quella  

con  le  armi,  e  il  molo  decisivo  dei  liberatori  americani.  Degli  Imi,  questo  magma  

così   composito   di   vite   sperse,   nessuno   sapeva   bene   cosa   farne,   dove   collocarli  

politicamente.  Non  solo,  gli  internati  militari,  nonostante  il  sacrificio  personale  e  

il  fatto  che  fossero,  nella  stragrande  maggioranza,  dei  «ragazzotti»  trascinati  loro  

malgrado  in  una  guerra  che  non  avrebbero  voluto  combattere,  rappresentavano  

il   passato,   l'ombra   lunga   del   regime   che   si   stendeva   sulla   nuova   Italia.   Gli   Imi  

erano   infatti   i   resti   dell'esercito,   prima   protagonista   e   poi   vittima   della   guerra  

fascista.  Metterli   al   centro   della   scena   avrebbe   implicato   una  piena   assunzione,  

nell`identità   nazionale,   del   peso   della   guerra   fascista   e   della   quasi   totale  

acquiescenza   con   la   quale   era   stata   portata   avanti,   senza   entusiasmo,   ma  

nemmeno   senza   apprezzabili   forme   di   dissociazione,   fino   al   disastro   finale,   ai  

bombardamenti,  alla  fame,  all'8  settembre.    

Sono  queste,  probabilmente,   le  ragioni  di  fondo  per  cui  per  decenni  gli   internati  

militari   hanno   fruito,   tutt'al   più,   dello   status   di   “assenti   giustificati"   o   di  

protagonisti   di   una   “resistenza   passiva".   L'enorme  massa   dei   reduci   è   prima  di  

tutto   una   massa   di   ex   combattenti   e,   soprattutto,   nel   biennio   1943-­‐45,   di   non  

combattenti.   Nella   guerra   cui   l'antifascismo   militante   ha   affidato   la   rinascita  

morale  e  politica  della  nazione  -­‐  guerra  anche  civile,  di  valori  di  civiltà,  armata  e  

sanguinosa  -­‐  i  militari  internati  non  ci  sono.  L'oblio  è  durato  a  lungo,  gli  studiosi  

hanno  cominciato  ad  occuparsi  degli  Imi  solo  dalla  metà  degli  anni  Ottanta:  tardi,  

ma  forse  ancora   in  tempo  per  far  conoscere  questa  pagina  di  storia  e  rendere   il  

giusto  omaggio  ai  «600  mila»  che,  con  il  loro  sacrificio,  contribuirono  a  portare  la  

libertà  e  la  democrazia  nel  nostro  paese.  Fu  un  vero  atto  di  resistenza.    

Il  segretario  del  partito  comunista  Alessandro  Natta,  ex  internato,  parlò  di  “altra  

resistenza”  ma   il   suo   libro   fu   rifiutato   nel   1954   e   pubblicato   solo   quarantadue  

anni  dopo  da  Einaudi,  che  contribuì  al  riscatto  dell’Italia  e  degli   italiani  verso   la  

democrazia  e  la  libertà.  

L’esperienza   dei  lager   riguardò   (e   segnò)   anche   alcuni   tra   i   più   importanti  

esponenti  della  cultura,  dell’arte,  della  politica  e  delle  professioni  del  dopoguerra,  

di   cui   nel   libro   sono   contenuti   diversi   scritti   inediti   dell’epoca   (come   l’attore  

Gianrico  Tedeschi,  i  senatori  Paolo  Desana  e  Carmelo  Santalco,  lo  storico  Vittorio  

Emanuele   Giuntella,   il  manager   d’industria   Silvio   Golzio,   l’intellettuale   cattolico  

Giuseppe  Lazzati,   il  pittore  Antonio  Martinetti,   il  caricaturista  Giuseppe  Novello,  

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il  filosofo  Enzo  Paci,  il  musicista  Mario  Pozzi,  gli  scrittori  Roberto  Rebora,  Mario  

Rigoni  Stern  e  Giovannino  Guareschi)  

 

 

La  rimozione  degli  IMI  e  la  memoria  storica  

 

Come   si   è   detto,   il   90%  degli   IMI   rimosse   dal   1946,   anche   in   famiglia   e   con   gli  

amici,  la  memoria  traumatica  dei  Lager,  per  di  più  complessata  dal  dubbio  di  una  

scelta   continua,   a   conti   fatti   forse   inutile   o   sbagliata!   Alcune   migliaia   di   diari  

clandestini,   annotati  nei  Lager,  per   lo  più  da  ufficiali  e  a   futura  memoria  di  una  

storia  altrimenti  incredibile  e  rischiosamente  salvati  in  Italia,  finirono  al  macero  

o   sbiadirono   nei   cassetti   dei   ricordi,   rifiutati   dall’editoria   commerciale.   Se   si  

prescinde  dai  bestseller  autobiografici  di  Giovannino  Guareschi  e  di  Primo  Levi  e  

di  quelli  antologici  di  Giulio  Bedeschi,  offerti  in  libreria  ad  un  vasto  pubblico,  nel  

dopo  guerra  sono  stati  pubblicati,  per  lo  più  tardi,  in  proprio  e  fuori  commercio,  

non  più  di  500  memoriali  e  antologie,  con  tirature  modeste  (300-­‐2000  copie  per  

titolo).  Con  poco  più  di  300  saggi  storici,  si  raggiunge  una  tiratura  complessiva,  di  

pubblicazioni  sugli  IMI,  inferiore  al  numero  dei  reduci:  meno  d’un  libro  a  testa  e  

non  è  detto  poi  lo  leggessero!  

 

“Negli   ultimi   vent’anni,   per   il   tempo   libero   dei   protagonisti   ormai   pensionati,   la  

riscoperta  dei  Lager,  dagli  anni   ’80,  dagli   storici   italiani  e   tedeschi  e  dai  media,   il  

battage   popolare   del   “caso   Leopoli”   (1988),   le   celebrazioni   pluri   decennali   e   le  

testimonianze  degli  ultimi  superstiti  nelle  scuole  e  nelle  “giornate  della  memoria”,  

sono   riaffiorati   o   rielaborati   dai   dimenticatoi   svariati   memoriali,   ma   sempre   di  

difficile  pubblicazione  per   la  mancanza  di   lettori   interessati.  Purtroppo  gli  archivi  

istituzionali,   trascurati   a   memoria   fresca,   sono   ancora   oggi,   colpevolmente   e  

irrimediabilmente  poveri  e  lacunosi.        

Questa   è   la   storia   ignorata   degli   IMI,   schiavi   di   Hitler”,   “traditi,   disprezzati,  

dimenticati…”  come   li  definì   lo   storico   tedesco  Gerhard  Schreiber  e  vittime  di  una  

beffa   (annunciata)   della   repubblica   Federale   Tedesca!   Questa,   infatti,   dopo   avere  

illuso   gli   IMI,   invitandoli   a   presentare   domanda   di   indennizzo   come   “schiavi   di  

Hitler”   e   che   nessun   risarcimento   potrà   mai   saldare,   poi   li   discrimina  

pretestuosamente,   riclassificandoli   “prigionieri   di   guerra”,   obbligati   dalle  

Convenzioni  a  lavorare,  sorvolando  sul  fatto  che,  a  differenza  degli  altri  prigionieri,  

gli   IMI,   in   quanto   “internati”   non   godevano   di   tutela   e   assistenza   internazionale,  

Page 22: Approfondimento storia contemporanea

  22  

dissociando   lo   stato   tedesco   dalle   violazioni   dei   diritti   umani   di   Hitler,   giudicato  

criminale  di  guerra.  

Gli   IMI   sono   pure   ignorati   se   non   osteggiati   dallo   stato   italiano,   salvo   tardivi  

attestati   di   benemerenza,   rare   formali   rievocazioni   ed   inevase   proposte   di  

cavalierati  ed  oboli  una  tantum  agli  ormai  meno  di  90.000  reduci  ultra  ottantenni  

ancora   (per   poco)   viventi!   Ma   i   pochi   IMI,   schiavi   di   Hitler   superstiti   dai   KZ,  

vengono  sistematicamente  esclusi  dai  relativi  benefici  di   legge  italiani  e  non  difesi  

dalla  Germania  che  li  beffa.  Infine,   i  contributi  alle  associazioni  combattentistiche,  

forse   perché   antifasciste,   sono   stati   vistosamente   tagliati,   accelerandone   la  

chiusura.  

Gli  IMI,  col  loro  NO  individuale  e  corale,  fin  dall’8  settembre,  scagliarono  contro  gli  

invasori   tedeschi   il   primo   sasso  della  Resistenza,   presto   seguito  da  quella  armata  

dalla  Corsica  a  Roma,  a  Cefalonia  e  nelle  altre  isole  greche  e  nei  Balcani  ed  infine  a  

quella   partigiana.   L’8   settembre   non   c’erano   ancora   in   piazza   Mussolini,   la  

repubblica  di  Salò  e  i  neofascisti:  la  Resistenza  si  svolse  come  lotta  di  liberazione  e,  

solo   in   un   secondo   tempo   e   marginalmente,   anche   come   guerra   civile   coi  

repubblichini,  vassalli  fiancheggiatori  dei  tedeschi!”  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

Page 23: Approfondimento storia contemporanea

  23  

CRONOLOGIA  

 

 

 

1929  

• Convenzione  di  Ginevra  sui  ”prigionieri  di  guerra”,  tutelati  da  un  paese  

neutrale,   assistiti   dalla   Croce   Rossa   Int.,   col   lavoro   obbligatorio   ma  

retribuito   dei   soldati,   ma   non   al   fronte   o   in   industrie   belliche.   Co-­‐

nvenzione   non   firmata   dalla   Russia,   largamente   disattesa   dalla  

Germania  (come  nel  caso  degli  IMI)  e  spesso  anche  dagli  Alleati.  

1933  

• Hitler  sale  al  potere  (col  31-­‐44  %  dei  voti  all’SNDAP  (il  partito  nazista)  

ed  è  nominato  Cancelliere  del  Reich.  

• 20  mar.  –  Apertura  del  primo  Lager  a  Dachau  (Monaco),  destinato  agli  

oppositori   –   Istituzione  della  Gestapo  (polizia  politica)  e  del  Tribunale  

Speciale.  –  “Rogo  dei  libri”  non  graditi.  

•   Creata  l’Organizzazione  Todt  (O.T.)  per  lavori  pubblici  e  poi  militari,  

con   volontari   tedeschi   in   un   primo   tempom   poi   anche   stranieri  

volontari   o   obbligati,   Nel   1944   conterà   1,5   milioni   di   Arbeiter   Sklave  

(anche  italiani  civili)  e  P.O.W  e  20.000  deportati,  anche  IMI,  dai  Lager  

1934  

• I  campi  di  concentramento  passano  sotto  il  controllo  delle  SS.    

1936  

• ”Asse   Roma-­‐Berlino”–   Guerra   civile   di   Spagna   con   partecipazione   di  

Italia   e   Germania   (alleati   dei   falangisti   di   Franco)   e   di   volontari  

internazionali   (perlopiù   comunisti,   alleati   dei   repubblicani)   –   (mar.  

1936  /  mar.  1939).  

1938  

• mar.  –  Il  Reich  annette  l’Austria  (Anschluss).  

• 29   set.   –   “Conferenza   di  Monaco”.   Il   Reich   annette   i   Sudeti   e   il   resto  

della  Cecoslovacchia  

• 1  set.  –  “Leggi  razziali”  italiane  

• 11   nov.   –   Grande   pogrom   in   tutto   il   Reich   e   prima   deportazione   di  

massa  dei  primi  10.000  ebrei  tedeschi.  

1939  

• 6  apr.  –  L’Italia  invade  l’Albania  

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  24  

• 22  mag.  –  Firma  del  Patto  d’Acciaio  tra  Italia  e  Germania.  

• 15   lug.   –   Accordo   italo-­‐tedesco   sull’Alto   Adige:   i   cittadini   di   lingua  

tedesca  hanno  tre  anni  di  tempo  per  trasferirsi  in  Germania.  

• 1   set.   –  L’invasione  lampo  (Blitzkrieg)  tedesca  della  Polonia  scatena  il  

II°  Conflitto  Mondiale.  L’Italia  dichiara  la  “non  belligeranza”.  

• 30  nov.  1939  –  12  mar.  1940  –  Guerra  di  Finlandia  /  Russia    

1940  

• –   Occupazione   tedesca   della   Norvegia.   e   degli   stati   neutrali   di   Belgio,  

Olanda  e  Lussemburgo    

• 10  giu.  –  L’Italia  si  schiera  in  guerra  con  la  Germania  nazista  controlla  

Gran  Bretagna  e  alla  Francia  (che  firmerà  l’Armistizio  con  l’Italia,  il  24  

giu.).    

• 27  set.  –  Firma  del  Patto  Tripartito  fra  Italia,  Germania  e  Giappone.  

1941      

• 22   giu.   –   Il   Reich   apre   il   fronte   russo   con   l’appoggio   dei   rumeni,  

ungheresi,  italiani,  finlandesi,  slovacchi  e  

• spagnoli.    

• 7  dic.  –  Attacco  giapponese  di  sorpresa  a  Pearl  Harbour.  Inizia  la  guerra  

americana  del  Pacifico.  

• 28   ott.   –   Attacco   fallimentare   italiano   alla   Grecia.   Le   truppe   italiane  

ripiegano  in  Albania.  

• 7  dic.  –  Decreto  tedesco  ”Nacht  und  Nebel”  per   la  deportazione,  anche  

senza   riscontri   burocratici   (=   sparizione   nella   ”notte   e   nella   nebbia”!)  

dei  sospettati  d’attività  sovversive  o  di  spionaggio  o  boicottaggio.  

• 11  dic.  –  La  Germania  dichiara  guerra  agli  USA.    

1942  

• 20   feb.   –   Operazione   Kñgel   (“pallottola”)   che   autorizza   l’uccisione,  

senza  processo  degli  evasi  e  oppositori.    

• 23   ott./4   nov.   –   3a   battaglia   di   El   Alamein.   L’8a   Armata   inglese  

travolge  italiani  e  tedeschi.  

1943    

• gennaio   –   Si   conclude   drammaticamente   la   ritirata   di   Russia  

dell’ARMIR:   per   l’Italia   è   il   principio   della   fine,   con   80.000   morti,  

dispersi  e  prigionieri.    

• 31  gen./  2  feb.  –  Resa  dei  tedeschi  a  Stalingrado.    

Page 25: Approfondimento storia contemporanea

  25  

• 9  mag.   –  Hitler  ordina   il   piano  per  una   futura  occupazione  dell’Italia,  

alla  prima  occasione.    

• 12  maggio  –  Si  completa  in  Tunisia  la  conquista  alleata  del  Nord  Africa.    

• 10  giugno  –  Sbarco  alleato  a  Lampedusa,  Linosa  e  Pantelleria.    

• 10  luglio  –  Sbarco  alleato  in  Sicilia  

• 25   luglio   –   Caduta   del   fascismo   e   arresto   di   Mussolini.   Governo  

repressivo  non  democratico  di  Badoglio:   sciolti   il  Partito  Fascista  e   il  

Tribunale   Speciale,   vietati   i   partiti   politici,   le   riunioni   e   gli   scioperi,  

mantenute   le   leggi   razziali.   Liberati   i   detenuti   politici   fuorché   i  

comunisti.  “La  guerra  continua!”,  ma  i  tedeschi  iniziano  a  calare  altre  15  

divisioni  in  Italia,  in  aggiunta  alle  3  preesistenti  

• 3  settembre  –  Firma  dell’armistizio  segreto  tra  Italia  e  alleati.  Il  patto  

iniziale   prevedeva   che   l’Italia   doveva   arrendersi   senza   condizioni,  

assumendo  il  ruolo  di  cobelligerante,  una  sorta  di  alleata  di  serie  “B”.  

• 8   settembre   –   Proclamazione   dell’Armistizio   segreto   Italia   /Alleati.  

Scatta   l’operazione   tedesca   “Asse”   per   la   deportazione   dell’Esercito  

Italiano  nel  Reich   come   forza   combattente  o  di   lavoro   secondo   i  piani  

del  9  maggio.  

• 9   settembre   –   Fuga   del   Re,   Badoglio   e   Alti   Comandi.   Esercito   allo  

sbando,   abbandonato   senza   piani,   ordini,  mezzi,   collegamenti   e   senza  

aiuti   degli   Alleati,   alla   furia   tedesca   –   “NO!”   a   Hitler   del   90%   degli  

800.000  militari  italiani  catturati.  

• 11   settembre   –   Radio   Brindisi   precisa   che   i   tedeschi   devono   essere  

considerati  nemici.  

• 12  sett.  –  I  tedeschi  liberano  Mussolini.  

• 13  sett.  –  Badoglio  ordina  di  attaccare  i  tedeschi,  ma  è  troppo  tardi.  Chi  

combatte  contro  i  tedeschi  è  combattente  di  “guerra  non  dichiarata”  ma  

considerato   dai   tedeschi   come   “franco   tiratore”   passibile   di   morte  

(come  a  Cefalonia).  

• 17   sett.   –   Hitler   considera   i   prigionieri   italiani,   con   un   falso   storico,  

come  “disertori  di  Badoglio  e  soldati  di  Mussolini  in  attesa  d’impiego”  e  li  

classifica,  violando  la  Convenzione  di  Ginevra  (1929)  sui  prigionieri  di  

guerra,  come  “Internati  Militari  Italiani”  (IMI),  senza  tutele,  status  non  

applicabile  ai  belligeranti,  in  stati  belligeranti!  

• 21-­‐25   sett.   –   Rappresaglia   tedesca   e   assassinio   di   militari   italiani  

resistenti   catturati   nei   Balcani,   Egeo,   Cefalonia   e   Corfù.   Nasce   la  

Page 26: Approfondimento storia contemporanea

  26  

Resistenza.  21.000  superstiti  di  truppa  saranno  inquadrati  dai  tedeschi  

come   prigionieri   (KGF)   senza   tutele   e   ausiliari   in   battaglioni  

militarizzati  al  servizio  della  Wehrmacht,  ai  fronti  balcanico  e  russo.  

• 23   settembre   –   Fondazione   a   Salò   della   RSI   (“Repubblica   Sociale  

italiana)  

• 7   ott.   –   Rivolta   ed   evasione   in   massa   di   ebrei   dal   KZ   di   Soribor.   I  

tedeschi  rafforzano  la  sicurezza  nei  Lager  degli  IMI.  

• 13  ott.  –  Badoglio,  sollecitato  da  Eisenhower,  dichiara  guerra  al  Reich  

e   alla   RSI.   In   conseguenza  RSI   costituisce  un   suo  esercito   comandato  

dal   Maresciallo   Graziani   e   impostato   sulle  Divisioni   Graziani   (Italia,  

Littorio,  S.Marco  e  Monterosa)  e  sul.  Bando  Graziani  per  il  ricupero  dei  

militari  italiani  ancora  sbandati  dopo  l’8  settembre  e  dei  coscritti  delle  

classi  1924/1926  (Leva  Graziani),  con  minacce  di  morte,  carcere,  pene  

ai  parenti  dei  disertori  e  renitenti  e,  ciò  nonostante,  molte  defezioni.  

• 20  ott.  –  Apertura  in  Italia  del  KZ  Risiera  di  San  Sabba  (Trieste),  unico  

campo  di  sterminio  in  Italia.  Vi  transitarono  25.000  persone,  con  5.000  

caduti.  

• 22  ott.  –  Prime  richieste  di  lavoro  volontario  agli  ufficiali  italiani.  

• Fine   novembre   –   Sospensione   delle   opzioni   per   le   SS   e   inizio   delle  

opzioni  per  la  RSI.    

1944  

• 5   gen.   –   “Frana”   dell’Oflag   di   Biala   Podlaska,   ora   battezzato   “Campo  

Graziani”,  con  2450  optanti  e  solo  147  “NO!”.  

• 30  gen.  –  Resa  tedesca  di  Stalingrado,    

• gennaio/maggio   –   Offensiva   sovietica   sul   fronte   orientale,   con   suo  

arresto  in  Estonia  e  sui  confini  polacchi  e  romeni.  

• marzo   –   ”Operazione   “Eule”   (“gufo”)   di   trasferimento   degli   IMI   dalla  

Polonia  alla  Germania,  per  l’avanzata  dell’  Armata  Rossa  avvio  al  lavoro  

degli  ufficiali.  

• 1   mar.   –   Scioperi   nelle   grandi   città   Italiane   e   rastrellamenti   e  

deportazioni  in  Germania.  

• 11   mar.   –   Costituzione   clandestina,   allo   St.   544/28   di  

Magdeburgo/Lemsdorf,   dell’associazione   IMIG   (“Internati   Militari  

Italiani  in  Germania”)  

• 13  mar.  –  L’URSS  riconosce  il  governo  di  Badoglio  

• 19  mar.  –  La  Germania  occupa  l’Ungheria.    

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  27  

• 28  mar.  –  L’Armata  Rossa  penetra  in  Romania.  

• 21  apr.  –  L’O.K.W.  sancisce  che  i  prigionieri  di  guerra  di  Badoglio  (KGF  

del   CIL,   n.d.r.)   vanno   trattati   come   i   prigionieri   di   guerra   occidentali  

(POW,   n.d.r.)   e   separati   dagli   IMI   nei   Lager,   sul   lavoro   e   nei  

trasferimenti   e   che   il   loro   trattamento   “deve   differenziarsi   in  maniera  

evidente   da   quello   degli   IMI,   nel   senso   che   a   questi   vanno   assegnati   gli  

alloggi  e  i  posti  di  lavoro  meno  favorevoli”.  (cfr.  Dok.  n.  38  Z/OR  ,  inv.  N.  

58  in  “Arch.  Commissione  per  i  crimini  di  guerra  in  Polonia”  presso  “Min.  

della  Giustizia”  in  Varsavia).  

• 4  giu.  –  Liberazione  di  Roma.    

• 6   giu.   –   “D-­‐day”:   operazione   “Overlord”,   sbarco   americano   in  

Normandia.    

• 14   giu.  –  Comincia   il  bombardamento  dell’Inghilterra  con   le  V1  (armi  

segrete).  

• Estate   /   inverno   –   Offensiva   alleata   a   tutto   campo:   liberazione   del  

Belgio,   Romania,   Bulgaria,   Finlandia,   Ungheria,   Iugoslavia   e   Grecia.   In  

Italia  dopo  l’arresto  dell’  avanzata  alleata  sulla  Linea  Gotica  si  attivano  

maggiormente  i  partigiani  e  sono  proclamate  17  repubbliche  autonome,  

ma  di  breve  durata.  

• Luglio  –  Battaglia  di  Vilno/Minsk   (fronte  orientale)  e  cattura  a  Vilno,  

Minsk,   ecc.   di   circa   5500   prigionieri   italiani   (dati   per   dispersi)   dei  

battaglioni   lavoratori   militarizzati   della   Wehrmacht,   considerati   loro  

collaboratori   ed   avvio   in   seconda   prigionia   in   Russia   (Bielorussia,  

Russia,  Siberia).  

• 20   lug.   –   Fallito   attentato   a   Hitler   a   Rastenburg   –   Incontro  

Mussolini-­‐Hitler   che   decidono   la   “civilizzazione”   degli   IMI.   –   Il   21  

inizia   la   repressione   nazista   ai   congiurati,   con   5000   giustiziati,   la  

Wehrmacht   passa   sotto   il   controllo   delle   SS,   Himmler   è   nominato  

comandante   delle   riserve   della   Wehrmacht   e   il   saluto   militare   viene  

sostituito  da  quello  nazista.  

• 1  ago.  /  5  ott.  –  Insurrezione  anti  tedesca  di  Varsavia:  l’Armata  Rossa  

sta  a  guardare!  

• 2/19  ago.  –  Deportazione  “politica  civile”,  come  “nemici  dell’  Europa”  di  

369   giovani   ufficiali   puniti   col   lavoro   forzato   nello   Straflager   /AEL   di  

Colonia,   dipendente   dal   KZ   di   eliminazione   di   Buchenwald   e   gestito  

dalla  Gestapo  con  gursie  della  Wehrmacht.  Tre  caduti.  

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  28  

• 3   ago.   –   Proclamazione   degli   accordi   Mussolini   /   Hitler   sulla  

smilitarizzazione  illegale  e  ”civilizzazione”  forzata  degli  Italiani.  

• 18  ago.  –  Insurrezione  e  liberazione  di  Parigi.    

• 20  ago.  /  1  set.–  Inizio  dell’attuazione  della  “civilizzazione”  degli  IMI.  In  

alcuni  Lager  si  celebra  l’“apertura  dei  cancelli”.    

• 22  ago.  -­‐  Liberazione  di  Firenze.  Ritiro  dei  tedeschi  sulla  “Linea  Gotica”.  

• 23/31   ago.   –   Romania:   Bucarest   è   liberata   dall’Armata   Rossa   dopo  

un’insurrezione  popolare.  Colpo  di  Stato  filo  monarchico,  armistizio  con  

la  Russia  e  dichiarazione  di  guerra  alla  Germania.  

• 29  ago.  –  L’  “Armata  Rossa”  entra  in  Ungheria.  

• 30  ago.  –  La  Romania  dichiara  guerra  alla  Germania.  

• 3  set.  –  Liberazione  del  Belgio  

• 5/9  set.  –  L’URSS  invade  la  Bulgaria  che  dichiara  guerra  alla  Germania.  

• 6  set.  –  Inizio  dei  bombardamenti  tedeschi  dell’Inghilterra  con  le  V2.  

• 15   set.   –   Marcia   d’evacuazione,   per   l’avanzata   alleata,   dei   deportati  

italiani   dello   Straflager   di   Colonia,   testimoni   imbarazzanti   di   crimini  

nazisti.  

• ottobre  –  Fronte  balcanico:  cattura   in  Serbia  di  circa  5000  prigionieri  

italiani   dei   battaglioni   lavoratori   militarizzati   della   Wehrmacht,  

considerati  collaboratori  ed  avviati  in  seconda  prigionia  nell’URSS  

• 4  ott.  –  Gli  Inglesi  liberano  la  Grecia.  

• 6   ott.   –   Inizio   della   demolizione   delle   camere   a   gas   nei   campi   di  

sterminio,  per  non  lasciare  prove..  

• 13  ott.   –  Liberazione  di  Atene  

• 21  ott.   –  L’armata  Rossa  e  i  “titini”  liberano  Belgrado.  Governo  di  Tito.  

• 23/26  ott.  –  Invasione  sovietica  dell’  Ungheria  

• 18  nov.  –  L’esercito  partigiano  albanese  libera  Tirana.  

• 16  /  24  dic.  –  Controffensiva  alleata  nelle  Ardenne.    

1945  

• 20   gen.   –   Evacuazione   dell’Of.   64/Z   di   Shokken   (il   “lager   dei   209  

generalii”)   per   l’avanzata   dell’“Armata   Rossa”,   con   44   ospedalizzati   e  

una  marcia  della  morte  di   111   generali   (con   7   caduti   e   12   evasi),   per  

220  km  verso  Lukenwalde  ma  abbandonati  dalla  scorta  a  Wugarten.  

• 27  gen.  –  L’Armata  Rossa  libera  il  KZ  di  Auschwitz  e  Varsavia  

• 31   gen.   –   Ultime   opzioni,   tra   gli   IMI,   per   gli   “ausiliari   lavoratori”  

Page 29: Approfondimento storia contemporanea

  29  

Wehrmacht   e   Luftwaffe   e   ordine   di   lavoro   obbligatorio   per   tutti   gli  

ufficiali  internati.  

• 7  mar.  –  Gli  americani  varcano  il  Reno.  

• 13  apr.  –  I  russi  occupano  Vienna.  

• 25  apr.  –  Insurrezione  generale  del  Nord  Italia  e  liberazione  di  Milano  e  

Genova.  

• 26  apr.  –  Storico  incontro  a  Torgau,  sull’Elba,  tra  gli  Alleati  da  ovest  e  

l’Armata  Rossa  da  est:  inizia  la  Guerra  Fredda  

• 27  apr.  –  Cattura  di  Mussolini  a  Dongo  e  sua  fucilazione  il  giorno  dopo.    

• 29   apr   /1  mag.   –  Hitler   sposa  Eva  Braun,  nel  bunker  di  Berlino  e   si  

suicida.   Gli   succede   l’Amm.   Donitz   come   Cancelliere   e   Presidente   del  

Reich.  

• 1  mag.  –  Occupazione  slava  di  Trieste,  con  migliaia  di  infoibati  tedeschi,  

repubblichini   e   italiani,   da   parte   dei   titini,   su   una   tradizione   di  

infoibamenti  di  partigiani  italiani  e  slavi  da  parte  dei  nazidasxisti.  

• 2   mag.1945   –   I   russi   occupano   Berlino.   Resa   delle   forze   tedesche   in  

Italia.    

• 8mag.  –  Resa  della  Germania:  fine  della  guerra  in  Europa.    

• 16   ago.   –   Viene   fondata   nel   campo   ufficiali   di   GrossHesepe  

un’Associazione  Internati  in  Germania  (AIG)  

• 2  set.  –  resa  incondizionata  del  Giappone    

• 20  ott.  –  Inizio  del  Processo  di  Norimberga  ai  criminali  nazisti  

1946  

• 20  mar.  –  Fine  del  “Processo  di  Norimberga”  

• 2  giu.  –  Fine  della  monarchia  e  nascita  della  Repubblica  Italiana  

• Nasce   l’Associazione   Nazionale   Combattenti   e   Reduci   (ANCR)   dalla  

fusione   della   Associazione   Nazionale   Reduci   (ANR)   con   la   storica  

Associazione  Nazionale  Combattenti  (ANC).  

• Dopo  le  sezioni  provvisorie  di  Torino  e  Canelli  (dal  luglio/agosto  1945),  

si   costituisce   ufficialmente   l’Associazione   Nazionale   Ex   Internsati  

(ANEI)   che   tiene   il   suo   primo   Congresso   nazionale   ed   è   riconosciuta  

come  Ente  Morale.  

• 26  ott.  –  Il  Corriere  della  Sera  segnala  l’eccidio  di  2  IMI  di  Chelm  (1944)  

dissotterrati  in  fosse  comuni  nel  bosco  di  Borek,  battezzato  dai  polacchi  

“la   padella   degli   italiani”   .   Non   fa   notizia.   La   Magistratura   polacca  

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indaga.  

• Autunno  –  Prima  segnalazione,  inosservata,  del  caso  Leopoli  (v.  1966  e  

1987)    

1947  

• 20  mar.  –  Fine  del  processo  di  Norimberga.    

• 22   dic.   –   Viene   votata   la   Costituzione   italiana,   democratica   e  

repubblicana.  

1948  

• Dalla   contestata   fusione   nell’ANCR   dell’ANC   e   ANR   (v.1945),   dalle  

ceneri   di   questa   ultima   nasce   l’Associazione   Nazionale   Reduci   dalla  

Prigionia  e  dalla  Guerra  di  Liberazione  (ANRP)  

1961  

• 2   giu.   –  La  Germania  mette  a  disposizione  dell’Italia  61  milioni  di  DM  

per  i  perseguitati  dal  nazismo  ma  la  Commissione  istituita  nel  1963  ne  

distribuirà  solo  40  milioni  di  DM  a  14.500  cittadini  italiani  dei  350.000  

aventi   diritto   (dichiarazione   del   23.01.1985   del  Ministro   del   Tesoro).  

Gli  IMI  sono  praticamente  esclusi!  

1962    

• Riaffiora  il  “caso  Leopoli”,  ritenuto  a  priori  inattendibile  dalle  autorità  

italiane  e  dall’  On.  Andreotti  pleer  non   incrinare   i   rapporti  con   la  DFR  

(Germania)  

1964  

• Ferruccio  Parri  riconosce,  al  Congresso  ANEI,  le  incomprensioni  iniziali  

verso  gli  IMI  e  riafferma  il  valore  fondamentale  del  “NO!”  degli  IMI  per  

la  nascita  della  Resistenza  

1977    

• 24  set.  –  La  Gazzetta  Ufficiale  tedesca  (Bundesgesezblatt,  n.64)  pubblica  

un   elenco,   non   esaustivo,   di   1634   campi   riconosciuti   come   KZ   e  

dipendenze.  

1980  

• 18  nov.  –  Col  DPR  n.791  viene  istituito  un  vitalizio  (pari  alla  pensione  

sociale,   reversibile   dal   1994)   a   favore   degli   ex   deportati   viventi,   nei  

campi   di   sterminio   (KZ)   per   ragioni   di   razza,   fede   o   ideologia   (di   cui  

all’art.  1  del  citato  DPR  06.10.1963).  Viene  istituita  presso  la  Presidenza  

del  Consiglio  una  apposita  Commissione  KZ  per   l’esame  delle  domande  

del  vitalizio.  

Page 31: Approfondimento storia contemporanea

  31  

1982  

• 3   dic.   –   La  Germania,   nel  Bundgesetzblatt  n.   46,   aggiorna   l’elenco   dei  

campo  KZ  del  1977.    

1984  

• 4/5   ott.   –   Primo  Convegno   storico,   a  Mantova,   sui   prigioneri   italiani  

che  affronta  anche  la  storiografia  dell’internamento  fino  allora  affidata  

alla  memorialistica.  

• 15   set.   –   I°   Raduno   del   Gruppo   Ufficiali   Internati   nello   Straflager   di  

Colonia  (GUISCO),  che  si  costituirà  in  associazione  l’8  maggio  1986,  con  

sede   a   Napoli,   particolarmente   attivo   nel   campo   delle   ricerche   e  

pubblicazioni  sull’  ”internamento”  e  valorizzazione  del  ruolo  degli  IMI.  

1985  

• 14/15   nov.   –   Primo   Convegno   storico   specifico   sull’internamento:  

ANEI  Firenze,  14-­‐15  nov.,  “I  Militari  Italiani  Internati,  ecc.”  

1987  

• Riscoppia   il   ”caso   Leopoli!”,   già   affossato   nel   1962.   Dopo   un   nuovo  

tentativo   di   insabbiamento,   indaga   una  Commissione  del  Min.Difesa   e  

Procura   Mil.   con   una   relazione   di   maggioranza   contestata   da   una   di  

minoranza,  

1988  

• Scoppia  il  “caso  Deblin”  con  un  supposto  non  dimostrato  eccidio  di  IMI  

nel  1944.    

• 15  set.  –  GUISCO:  Convegno  storico  di  Napoli,  “Schiavi  allo  sbaraglio”  .  

1990  

• Abbattimento   del   “Muro   di   Berlino”,   fine   della   “guerra   fredda”   e  

autocritica  dei  post  comunisti.    

1991  

• Lo  storico  tedesco  Gerhard  Schreiber  pubblica  in  Germania,  dopo  una  

ricerca   archivistica   ventennale,   l’opera   “Die   italienische  

Militarinternierten  ecc.”  fondamentale  per  la  storiografia  degli  IMI  e  che  

verrà  ripubblicata  dallo  SME,  in  italiano,  nel  1992.  

1992  

• Apertura   degli   archivi   russi   (del   KGB,   ex   NKVD),   con   gli   elenchi   dei  

prigionieri   rimpatriati   (20.000)   e   dei   deceduti   (40.000),   nei   Gulag  

dell’ARMIR   e   degli   ex   prigionieri   italiani   dei   tedeschi   superstiti  

(11.000)   e   deceduti   nei   Gulag   (1000)   catturati   nel   1944   sui   fronti  

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  32  

orientale  e  balcanico  

1994  

• Col   “Polo”   di   Silvio   Berlusconi,   riemergono   al   governo   gli   eredi  

nostalgici  del  fascismo  e,  con  ipocrisia  e  retorica,  si  comincerà  a  parlare  

di  ”colpi  di  spugna”,  dimenticare,  pacificazione,  perdono,  uguaglianza  dei  

morti  (anche  se  da  vivi  erano  diversi),  rivalutazione  dei  “ragazzi  di  Salò”  

e   delle   “due   patrie”,  ma   anche   di   “Mussolini,   il   più   grande   statista   del  

secolo!”,“il   fascismo  è  morto  con  Mussolini,   l’antifascismo  non  ha  senso”,  

onoriamo   allo   stesso   modo   gli   IMI   e   i   “ragazzi   di   Salò”,   ecc.!   Ma  

riaffiorano  anche  rigurgiti  razzisti,  neo  nazisti  e  neo  fascisti!  

1998    

• 14   gen.   –   La   Corte   dei   Conti,   a   sezioni   riunite   (sentenza   n.6/98/QM)  

definiva   la  qualificazione  dei  campi  KZ,   fino  allora  vaga  e  controversa,  

annullando  numerosi  rigetti  della  Commissione  KZ.  2000  

• 30  lug.  –  Con  la  legge  n.  177  (GU  31.07.2000)  viene  istituito  il  “Giorno  

della   Memoria”   “in   ricordo   dello   sterminio   e   delle   persecuzioni   del  

popolo  ebraico  e  dei  deportati  militari  e  politici  italiani  nei  campi  nazisti.  

Sarà  celebrato  particolarmente  nelle  scuole.  

1999–2004  

• Gli  IMI  sono  nuovamente  beffati  dalla  Germania,  che  dal  17  set.  1943  li  

aveva   declassati   da   KGF   (prigionieri)   a   IMI   (internati)   e   dopo   averli  

imvitati   a   presentare,   entro   il   31   dic.   2001,   all’   OIM   domanda  

d’indennizzo,  pretestuosamente  li  riclassifica  “prigionieri  di  guerra”  non  

risarcibili   come   “schiavi   di   Hitler”,   dalla   Fondazione   “Memoria,  

Responsabilità  e  Futuro”  (G.U.   I   p.1263,   2   ago.   2000).   Gli   abusi   nazisti  

sugli   IMI,   sono   riconosciuti   deprecabili   ma   non  mutano   il   loro   status  

burocratico   di   prigionieri   e   civilizzati,   discriminando   tra   l’altro,   gli  

italiani  dagli  ex  prigionieri  polacchi.  

2004  

• mar.   –   La   Suprema   Corte   di   Cassazione   italiana   ammette   cause   di  

risarcimento   danno   davanti   ai   Tribunali   italiani,   non   riconoscendo  

l’immunità  dello  Stato  Tedesco  

• 28   giu.–  La  Corte  Costituzionale  Federale  tedesca  conferma  che  gli   IMI  

sono   prigionieri   di   guerra,   anche   se   civilizzati   nel   1944   e   rigetta   il  

ricorso  costituzionale  dell’ANRP  (con  altri  942  ricorrenti)  

• 9  set.  –  Sentenza  del  Tribunale  Amministrativo  di  Berlino  che  respinge,  

Page 33: Approfondimento storia contemporanea

  33  

ecc.  ecc.    

2005  

• 30   mar.   –   Ultimo   termine   per   gli   IMI   (respinti   al   31   dic.   2004)   per  

ricorrere...  La  beffa  della  Germania  continua.  

2006    

• Riconoscimento  Medaglia  d’onore  ad  ex   internati   -­‐  Legge  27  dicembre  

2006,  n.  296  

2008    

• 5   Giugno   -­‐   La   Cassazione   a   Sezioni   Unite   rende   giustizia   agli   italiani  

(militari   e   civili)   deportati   e   internati   dai   nazisti   dopo   l’8   settembre  

1943,  ritenendo  "l'assoggettamento  di  quegli  uomini  al  lavoro  forzato”  

un  crimine  contro  l'umanità.  

2009    

• Marzo   -­‐   Viene   istituita   una   commissione   formata   da   storici   italiani   e  

tedeschi   con   lo   scopo   di   approfondire   sul   passato   di   guerra   italo-­‐

tedesco  e  in  particolare  sugli  Internati  Militari  Italiani,  come  contributo  

alla  costruzione  di  una  comune  cultura  della  memoria.  

2011    

• 12  Aprile  -­‐  La  corte  d'appello  di  Firenze  ha  condannato  la  Germania  a  

risarcire  un  ex  deportato  italiano  per  i  danni  subiti  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Page 34: Approfondimento storia contemporanea

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