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Appendice

Un Egitto… da fantascienza!

Abbiamo parlato diffusamente, nel corso della presente ricerca, della teologia, della cosmologia e dell’astronomia degli antichi egi-zi, correlate tra loro, nell’ambito di ipotetici viaggi nel cielo, attra-verso lo spazio profondo, sia da parte degli dèi, che del faraone stesso o della sua anima. Questo spostamento poteva, forse, realizzarsi attraverso il sinuoso snodarsi delle spire del “serpente Mehen”, o all’interno dei condot-ti “Qerrt”, possibile ipostasi, in ambito astro-fisico, di “Worm Ho-les attraversabili”.Di tali ipotesi, non abbiamo il minimo accenno nell’egittologia ufficiale, ma inaspettate tracce di questi argomenti ci vengono da Hollywood e dal suo mondo di celluloide, dove vengono trattati come prodotto della “science-fiction”.Il film di successo Stargate, del 1994, infatti, per la regia di Roland Emmerich, e per la sceneggiatura di Dean Devlin e dello stesso Emmerich, tratta proprio di queste tematiche, e, all’epoca della sua uscita sugli schermi, ottenne un notevole successo nelle sale cinematografiche. La pellicola ebbe, poi, un lungo e articolato “se-quel” televisivo, sembra già concepito nelle intenzioni degli sce-neggiatori fin dall’uscita del film, articolato in ben 10 serie del ci-clo “Stargate SG-1”, dove esso assunse le caratteristiche di un telefilm seriale di fantascienza.

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Gli sceneggiatori del film hanno arruolato nel “cast”, per fornire un’assistenza e un competente supporto per la lingua egizia e per la pronuncia dei geroglifici, l’egittologo americano Stuart Tyson Smith, della California University di Santa Barbara (vedi Figura 1).

Figura 1. L’egittologo americano Stuart Tyson Smith, della California University di Santa Barbara, ha fornito la propria consulenza agli sceneggiatori del film Stargate, per la scrittura e la pronuncia dei geroglifici. A sinistra in alto immagine di Smith, proveniente dal sito “web” dell’egittologo, a destra in alto immagine tratta da una delle campagne di scavo in Nubia, compiute dallo stesso Smith. In basso, l’egittologo con tre degli attori del film

Stargate. Queste ultime due immagini provengono dal sito della rivista «Egypt Revealed», presente nello stesso sito “web” di Smith.

Smith stesso, autore di studi pubblicati su campagne archeologi-che in Nubia e di altre pubblicazioni (“Wretched Kush”, “Askut in Nubia”, “Valley of the Kings”, “Anthropology and Egyptology”) non fa mistero, nel suo sito “web”, di questa sua consulenza cinemato-grafica, estesa poi anche ad altri due film di successo dall’inequivo-cabile contesto egittologico, quali La Mummia e La Mummia 2. Anzi, la rivista «Egypt Revealed» (del Marzo-Aprile 2001) ha dedicato un servizio illustrato, inerente la collaborazione di Smith alla sceneggiatura del film Stargate, nel corso della quale l’egittologo

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non fa mistero di disprezzare il Dictionary di Wallis Budge, rite-nendolo incompleto e poco attendibile, già al tempo della sua pri-ma edizione, nel 1920 (!). Questo suo pensiero, peraltro, traspare chiaramente, nel corso del film, nei dialoghi in cui l’esperto e gio-vane egittologo Dr. Jackson, interpretato dall’attore James Spader, si esibisce in disarmanti, dettagliate e rapidissime traduzioni dei testi geroglifici, ma manifesta una ben scarsa considerazione del testo di Wallis Budge. La trama del film Stargate ha il suo prologo in un imprecisato luo-go del deserto nord-africano, risalente al generico 8000 a.C., quin-di largamente antecedente il periodo pre-dinastico dell’antico Egitto (vedi Figura 2).

Figura 2. Ecco, nelle prime scene del film Stargate, la comparsa della scritta “North African Desert, 8000 b.C.”, che correla l’inizio dell’intera vicenda, narrata dalla pellicola, in un luogo imprecisato del deserto nord-africano, risalente all’8000 a.C., quindi, migliaia di anni prima dell’avvento del periodo Pre-Dinastico della

storia dell’antico Egitto. (Questo e tutti gli altri fotogrammi del film Stargate saranno proposti per “Courtesy of Metro Goldwyn Mayer”).

Qui si vede un accampamento umano molto rudimentale, che vie-ne svegliato da un forte rumore, da bagliori di luce, e da uno spo-stamento d’aria. Uno degli indigeni si avvicina impaurito, ma an-che incuriosito, alla sorgente di questo frastuono, finché viene investito da una forte luce.La scena si sposta, poi, sull’altopiano di Gizah, nel 1928, durante una delle tante campagne di scavi, effettuate dagli europei, che coin-volge molta mano d’opera locale egiziana. All’arrivo dei finanziatori

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dello scavo, un signore e sua figlia, una bambina di nome Catherine Langford, vediamo come il direttore locale dei lavori, molto eccita-to, porti subito i suoi committenti sul luogo del rinvenimento di uno strano coperchio di pietra molto pesante, costituito da un cer-chio centrale e da 13 “spicchi”, ognuno dei quali reca delle iscrizioni geroglifiche sul suo bordo esterno (vedi Figura 3 a sinistra).A una cinquantina di metri di distanza, poi, vediamo come i brac-cianti locali stiano sollevando, con molte corde, una strana e pe-sante struttura metallica ad anello (vedi Figure 3 e 4).Sotto questa struttura vengono ritrovati, nella sabbia, degli oggetti che vengono descritti dalla didascalia come “somiglianti a dei fos-sili”, uniti a qualche possibile resto umano, peraltro non identifi-cabile con sicurezza (vedi Figura 4 a destra).

Figura 3. A sinistra il momento in cui viene fatto vedere, per la prima volta, il coperchio di roccia dello “Stargate”, sulla piana di Gizah, nel 1928. A destra, il sollevamento dello “Stargate” con molte funi.

Figura 4. A sinistra, altra immagine del sollevamento, dello “Stargate”, a opera degli operai egiziani. A destra, un primo piano sugli strani fossili rinvenuti subito sotto lo “Stargate”. La duplice legenda (inglese-italiano) ci informa che “assomiglia a una specie di fossile”.

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Figura 5. Immagine del coperchio dello “Stargate” con le iscrizioni geroglifiche presenti.

Da questo momento in poi la scena del film si sposta ai giorni nostri, du-rante una conferenza americana di Da-niel Jackson, giovane egittologo emer-gente ma squattrinato, inerente sue nuove personali teorie, che ricevono ben poca considerazione dall’uditorio.

Una signora anziana lo avvicina all’uscita, invitandolo in una base militare segreta del Colorado per cercare di coinvolgerlo nella tra-duzione di un antico e misterioso testo geroglifico.Jackson accetta e viene condotto nella base sotterranea di Creek Mountain dove, come apprendiamo, sono stati portati sia lo “Star-gate”, sia il suo pesante coperchio di pietra, che gli strani fossili rinvenuti a Gizah, quasi subito dopo la loro scoperta nel 1928. Una volta superato lo stupore alla vista del coperchio di pietra, posto in verticale (vedi Figura 5), Jackson viene salutato dalla vec-chia signora, che si rivelerà essere la piccola Catherine, delle scene iniziali del film, ormai invecchiata (interpretata dall’attrice Viveca Lindfors) e che è a capo di un progetto che riguarda la decrittazio-ne del testo geroglifico e, di conseguenza, del funzionamento dello “Stargate” vero e proprio.Il giovane egittologo rivolge poi la sua attenzione su di una vicina lavagna su cui sono stati trascritti i geroglifici presenti sul bordo esterno dei 13 spicchi (vedi Figure 6 e 7).

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Figura 6. A sinistra, Jackson mostra il geroglifico della “Gamba”, dalla fonetica di “b”, componente del termine “Qebhu”. Alle sue spalle, sulla lavagna nera, il testo completo dell’iscrizione geroglifica del coperchio dello “Stargate”. A destra, Jackson inizia la sua revisione del testo.

Figura 7. Due fotogrammi che mostrano il giovane Dr. Jackson mentre opera le correzioni sul testo della frase tratta dal coperchio di pietra dello “Stargate”.

Dopo averli osservati solo per pochi secondi (!!), Jackson avvia questo dialogo serrato con il traduttore dell’iscrizione geroglifica, assistente di Catherine, che qui leggiamo nella versione italiana (ove le parole di Jackson sono scritte in corsivo, mentre quelle del traduttore iniziale della base sono in tondo):

– Beh, la traduzione della fascia interna è sbagliata! Avete usato il dizionario di Wallis Budge! Chissà perché lo stampano ancora?

– Ehi, Ehi… mi scusi, che sta facendo? Ci siamo serviti di tutte le ricerche fatte fino a oggi!

– Strano l’uso di questo termine “Khabed”… (Indicando il singo-lo carattere geroglifico, della “Gamba”, fonetizzato come “B”, vedi Figura 6).

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– Già!…– … seguito dall’avverbiale “Sediemenef ”, “Sigillata e sepolta”.– Mi scusi… ma cosa sta facendo?– Questo non è “Sarcofago”, è… “per sempre”. Chi diavolo l’avrà

tradotto? – L’ho tradotto io!– Allora il testo dice “Un milione di anni (fa) nel cielo è Ra, dio

del Sole… sigillata e sepolta (sigillò e seppellì) per sempre”… Qui non è “Porta del cielo”… è “Porta delle stelle”… “Stargate”!”

In realtà, nel testo inglese originale l’espressione “un milione di anni fa” è semplicemente “un milione di anni”, e questo, come vedremo, ha importantissimi significati e valenze peculiari, mentre la locuzione “sigillata e sepolta”, nel testo originale è “sealed + bu-ried” che, in inglese, ha valore sia del “participio passato”, “sigillata e seppellita”, che del “passato remoto”, “sigillò e seppellì”.La locuzione avverbiale “sediemenef”, citata da Jackson, corrispon-de al geroglifico “Sdm.n=f”, che è la forma grammaticale corrente-mente usata, per convenzione didattica, dalla comunità egittologi-ca, per indicare il passato remoto. Essa usa, infatti, per gestire il paradigma, il verbo “Sdm” (fonetica “Sediem”), dal significato di “ascoltare”, proprio come i testi di grammatica italiana usano il verbo “lodare”. Quindi l’opzione “sigillò e seppellì”, nel testo, sembrerebbe quella da ritenersi teoricamente più plausibile, anche se, come vedremo, potrebbe non essere quella giusta.Dopo 15 giorni di tempo e di ricerche assidue, ma infruttuose, Jackson riesce a capire, quasi per caso, che molte immagini presen-ti sul coperchio di pietra e replicate sull’anello esterno dello “Star-gate” sono in realtà sei costellazioni, che, partendo da un punto di

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origine, la Terra in questo caso, identificano, all’interno di un enorme spazio tridimensionale, coinvolgente un intero settore dell’Universo, una sorta di rotta nel cielo. Con la tecnologia della base americana viene poi “aperto” lo “Stargate” con effetti speciali di forte impatto emotivo (vedi Figura 8).

Figura 8. Ecco, in due sequenze successive, il momento in cui il fluido energetico semi-liquido di plasma, determinato dall’apertura dello “Stargate”, si espande da entrambi i lati “dell’anello”, prima di stabilizzarsi.

Viene quindi inviata, attraverso lo “Stargate”, dapprima una sonda cingolata, poi un drappello di soldati, comandati dal colonnello Jonathan “Jack” O’Neill (interpretato da Kurt Russell) a cui si ag-grega lo stesso Jackson, in qualità di esperto di geroglifici. Con ulteriori accattivanti scene, condite da buoni effetti speciali, inizia il viaggio che proietta il drappello di soldati e lo stesso Jackson in un pianeta agli estremi limiti dell’Universo. Qui, dopo una trama densa di azione e di “suspence”, la vicenda prosegue e si conclude con (l’inevitabile e atteso!) finale positivo. Jackson, in questo pianeta, decodificando rozzi petroglifi, ci infor-ma che il dio Ra trasferiva periodicamente un certo numero di antichi proto-egizi per farli lavorare alacremente sul pianeta lonta-no, collocato dall’altra parte dell’Universo, transitando attraverso lo “Stargate”, nell’estenuante attività di estrazione di un minerale indispensabile per l’alta tecnologia del dio.

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Un giorno, tuttavia, gli egiziani rimasti sulla Terra, stanchi delle vessazioni e delle sopraffazioni di Ra, fecero una rivolta, in assenza del dio, uccisero i guardiani di Ra sulla Terra, seppellirono lo “Star-gate” e vi posero sopra il coperchio di pietra.Fin qui la trama del film Stargate, che, come tutti i film e, partico-larmente, quelli di fantascienza, ha un’attendibilità storica tutta da verificare.Sicuramente interessante è una figura duplice e simmetrica, presen-te nella porzione centrale del coperchio di roccia dello “Stargate”. Tale figura mostra la dea “Nut”, con una veste disseminata di stelle, incurvata ad arco sopra il dio “Geb”, con entrambe le divinità poste sopra una barca rituale, secondo un “cliché” rappresentativo che abbiamo trovato molto spesso nel corso di questa ricerca. Nel pun-to ove è abitualmente posto il dio “Shu”, qui mancante, troviamo un “Ankh” posto sopra un pilastro “Djed”, simbolo di “stabilità”.

Figura 9. A sinistra, dettaglio del coperchio in pietra, a destra disegno dello stesso particolare dello “Stargate”. Si nota in una delle due immagini, del tutto simmetriche e uguali fra loro, la dea “Nut”, con il corpo ricoperto di stelle, e il dio “Geb”, sopra una barca rituale, presenti a entrambi i lati, al centro del coperchio. Nel punto ove è posto, di solito, il dio “Shu” abbiamo un “Ankh”, posto sopra un pilastro “Djed”, con due anime “Ba”, in forma di uccello, ai lati. In prossimità dell’addome delle due dee “Nut”, troviamo uno strano piccolo avvallamento del bassorilievo (indicato dalla freccia nera a sinistra). Subito dietro l’apice dell’arco della dea “Nut” troviamo il simbolo del “Disco Alato”, tipico emblema della Divinità egizia.

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Poco sotto, da entrambi i lati osserviamo due uccelli “Ba”, posti sopra il geroglifico “Heb”, “Festival”.In entrambe le immagini osserviamo, poco sopra “l’Ankh” posto sopra lo “Djed”, in stretta prossimità dell’addome delle due dee “Nut”, un avvallamento rispetto al piano in cui è collocato il dio “Geb” e le due anime “Ba” in forma di uccello (vedi Figura 9). La porzione del corpo di “Nut”, prospiciente questo avvallamento scuro, contiene, sicuramente, “l’Utero di Nut”, quel “Khat Nut” di cui abbiamo ripetutamente parlato nel capitolo 2. L’immagine della dea “Nut” posta sopra il coperchio dello “Stargate” rammenta in maniera sorprendente un’immagine proveniente dal papiro di Nisti-Ta Nebet-Ta-wy, risalente alla XXI Dinastia, che sem-bra aver ispirato Tyson Smith per la creazione (vedi Figura 10 in alto).In quest’immagine vediamo la dea “Nut”, piegata ad arco sopra il dio “Geb”, mentre un dio in piedi, posto al centro, con la stessa postura del dio “Shu”, ma con la faccia di una scimmia, e il geroglifico di “Montagna” posto sopra il capo, la “sostiene”, con le braccia alzate, poste in prossimità della “gola” e “dell’utero” (“Khat Nut”) di “Nut”.Ai lati del dio in piedi compaiono due anime “Ba” in forma di uccello, poste sopra il geroglifico di “Heb”, “Festival”, mentre, all’esterno della dea “Nut”, troviamo due figure antropomorfe, dalle braccia innaturalmente lunghe, che reggono “l’Ankh” e il pi-lastro “Djed”. Subito sotto sono posti il geroglifico di “Pet”, “Cie-lo”, e quello di “Amenti”, “Occidente” o “Luogo nascosto”.Se noi, però, eliminiamo le figure poste all’esterno dell’arco della dea “Nut” e la figura del dio centrale in piedi e la sostituiamo con il simbo-lo “dell’Ankh” + il pilastro “Djed” (vedi Figura 10), otteniamo la stessa immagine presente sul coperchio dello “Stargate” (vedi Figura 9).Ma concentriamo ora la nostra attenzione sul testo della frase gerogli-fica, posta sul coperchio di pietra dello “Stargate”, presumibilmente

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ideato e costruito con cura e attenzione proprio da Stuart Tyson Smith, l’egittologo assoldato dagli sceneggiatori del film.Come vedremo, infatti, quest’iscrizione, oltre a parlare diffusa-mente degli argomenti che abbiamo affrontato nel corso di questa ricerca, contiene diversi enigmi.

Figura 10. In alto, immagine tratta dal papiro di Nisti Ta Nebet Ta-wy, della XXI Dinastia, che mostra la dea “Nut”, con una veste disseminata di stelle, incurvata ad arco sopra il dio “Geb”, a terra. Tra i due, ove dovrebbe essere collocato il dio “Shu”, è posto, invece, un dio a testa di scimmia, che ha, sul capo, il geroglifico di “Montagna” che “sostiene” la dea “Nut” in prossimità “dell’utero” (“Khat Nut”) e della “gola”. A entrambi i lati del dio, troviamo due anime “Ba”, in forma di uccello, mentre, all’esterno della dea “Nut”, troviamo, dall’alto verso il basso, da entrambi i lati, una figura antropomorfa, dalle braccia innaturalmente lunghe, che reggono i geroglifici “dell’Ankh” e del pilastro “Djed”. Subito sotto troviamo, prima, il simbolo di “Pet”, il “Cielo” e quello di “Amenti”, “l’Occidente” o “Luogo nascosto”.In basso osserviamo la stessa immagine di prima, ripulita dalle figure poste all’esterno di “Nut” e senza il dio in piedi al centro, che appare sostituito dai simboli di “Ankh” + “Djed”, posti al centro. La somiglianza con la Figura 9 è assoluta.

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I misteri dell’iscrizione

Il testo della frase del coperchio di pietra dello “Stargate” mostra di appartenere, per la forma lessicale, all’Antico Regno, con il senso di lettura dei geroglifici, sistemati su 13 spicchi circolari, che pro-cede in senso orario. Essa evidenzia, salvo un unico punto, una buona attendibilità intrinseca dal punto di vista della grammatica e della sintassi geroglifica. L’iscrizione mostra, tuttavia, un andamento un po’ scolastico e for-male del testo geroglifico, avvalorando l’ipotesi della sua creazione a tavolino da parte dell’egittologo Stuart Tyson Smith. Un fatto relativamente strano, peraltro, è che questa iscrizione non venga mai fatta vedere nella sua totalità allo spettatore del film, ma parzialmente, e solo per qualche secondo, con il Dr. Jackson che ne oscura sempre, alternativamente, una metà. Soltanto grazie a dei fermo-immagine dedicati si riesce a dedurne l’aspetto.In questa mia analisi lessicale, estrinsecata in tre tabelle successive, presento il testo geroglifico, con la traslitterazione sottostante, scritta in nero. La traduzione che trova Jackson, fatta dall’assisten-te nella base di Creek Mountain, risulta scritta in rosso. Seguono poi, nella tabella successiva, le modifiche, in rosso, fatte dallo stes-so Jackson.Abbiamo, poi, la suddivisione dell’intero testo dell’iscrizione in singoli brevi settori, che divengono la chiave per i miei singoli ap-profondimenti lessicali sui vocaboli e sulle locuzioni, scelte, molto verosimilmente, dall’egittologo Stuart Tyson Smith.

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Tabella 1. Il testo dell’iscrizione del coperchio di pietra dello “Stargate”, esattamente come lo trova Jackson sulla lavagna nella base di Creek Mountain. Sotto i geroglifici, da me raggruppati in base alle linee grigie verticali, troviamo, in nero, la fonetizzazione reale dei geroglifici, e, in grigio, il testo inglese.Notiamo, nella riga superiore, un cerchio che circoscrive il simbolo di “Pet”, “Cielo”, cui corrisponde, inferiormente, il termine “Sky”, e un altro cerchio nella riga centrale che racchiude due determinativi, sotto cui troviamo il vocabolo “Coffin”, “Sarcofago”.

Nella terza e ultima tabella troviamo, infine, la possibile reale tra-duzione completa del testo.Sulla lavagna della base di Creek Mountain il testo dell’iscrizione risulta posto, continuativamente, su due righe orizzontali comple-te e una parziale. In realtà, in ognuno dei 13 settori separati, che compongono i settori circolari del coperchio dello “Stargate”, vi sono dei geroglifici. Per cui è stato scelto, dai traduttori della base di Creek Mountain, uno di questi settori, quello più plausibile secondo le regole del lessico e della grammatica geroglifica, per dare inizio alla lettura di tutto il testo, procedendo in senso orario.Vediamo ora in dettaglio le singole parole dell’iscrizione, cercando di capirne il vero significato.

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Tabella 2. Vediamo qui le correzioni apportate da Jackson al testo. Nella riga superiore, al termine “Time” viene sostituito il vocabolo “Year”, al singolare. Nella riga centrale vediamo la comparsa dei termini “Sealed + Buried”, l’eliminazione del termine “Coffin” e la sostituzione delle parole “Forever to eternity” con l’espressione “For all time”. Nella riga inferiore, infine, la locuzione “Door to Heaven” viene cambiata in “Stargate”.

Figura 11. I quattro settori A, B, C, D ed E del testo geroglifico che corrispondono alla traslitterazione «Renpt-u Hefen Met r-QebhuPet Khaset Pu Ra m-Aton».

Settore A (Figura 11). La parola egizia “Renpt-u”, come possiamo vedere dal Dictionary di Wallis Budge, significa “Anno” e, con la desinenza del plurale, “-u” ha, così, il significato di “Anni”.

Settore B (Figura 11). La locuzione “Hefen Met” è data dal geroglifico della “Rana”, talora raffigurata come “Girino”, stante per il numerale “100.000”. Il geroglifico “Met” corrisponde al numerale “10”. Appa-rentemente, il numerale globale, facendo un’addizione tra i due simbo-li, starebbe per “100010”, tuttavia, come conferma Alan Gardiner173,

173 A. Gardiner, op. cit., p. 191.

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nell’Antico Regno, valori numerici molto elevati venivano scritti ser-vendosi della moltiplicazione fra i due singoli numerali presenti, che venivano interpretati, quindi, come fattori di moltiplicazione.Non a caso la dottrina pitagorica, plasmata sul messaggio della sapienza egizia, appresa da Pitagora durante la sua permanenza nella terra del Nilo, riteneva l’addizione un’operazione integral-mente umana e la moltiplicazione un’operazione integralmente divina, senza dimenticare, inoltre, che i geroglifici erano conside-rati, dagli stessi egizi, “Medu Neter-u”, cioè “Parole divine”.Quindi 100.000 x 10 fa esattamente “1.000.000”. Soltanto nel Nuovo Regno e in periodo tolemaico, il geroglifico del dio “Heh” divenne espressione diretta del numero “1.000.000”. La locuzione risultante del testo dell’iscrizione dello “Stargate”, che vuole, almeno nelle intenzioni, apparire come risalente all’An-tico Regno, è, perciò: “un milione di anni”.

Figura 12. A sinistra in alto il vocabolo “Renpt”, “Anno”, come compare nel Dictionary di Wallis Budge.A destra in alto il termine “Qebhu”, indicato dal Dictionary, identifica il significato di “cielo”. In basso altra versione del vocabolo “Qebhu”, che, nelle versioni del vocabolo sottolineate in grigio, tradotto con il termine “la grande profondità del cielo”, abbinano i determinativi delle “acque cosmiche celesti”, simili a quelle del “Nu”, a quello dell’Oca, possibile correlazione con la costellazione “dell’Oca”, “Apd”, e a quello di “Paese straniero”, sia nella sua forma singolare, che plurale.

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Interessante è rilevare come la traduzione italiana dell’iscrizione, a differenza di quella inglese, avesse letto la locuzione come “un mi-lione di anni fa”, per il fatto, che, di solito, nel lessico quotidiano, gli anni sono concettualmente intesi in senso cronologico. Tutta-via, gli egizi, come abbiamo visto, erano soliti usare dei conteggi, per le distanze celesti, molto ampi ed estesi, usando il termine di spazio/tempo “Ater”, ripetuto per “Milioni di volte”. Inoltre, all’inizio di “Stargate” (vedi Figura 2), avevamo osservato come la vicenda del film prenda le mosse dall’8000 a.C. nel deserto nord africano, per cui, all’interno della logica degli avvenimenti de-scritti, non avrebbe davvero senso parlare di “un milione di anni fa”.Frequentemente, poi, questo vocabolo veniva adoperato proprio a proposito della marcia celeste del dio Ra sulla “Barca dei milioni di anni”, intesi come unità di misura per la distanza, essendo, proba-bilmente, un avveniristico, anche se grossolano, corrispettivo del nostro “Anno Luce”.

Settore C (Figura 11), particolare attenzione deve essere posta all’espressione “r Qebhu”, visto che, tanto la traduzione del testo originale dell’iscrizione del coperchio dello “Stargate”, che la cor-rezione effettuata dallo stesso Jackson, si guardano bene dal pren-derla in considerazione.La preposizione “r”, come apprendiamo dall’Egyptian Grammar di Alan Gardiner174, aveva il valore di “Verso, in direzione di”, asso-ciata, spesso, a verbi di moto. Il termine “Qebhu”, compariva molto spesso nei Testi delle Pirami-di, rinvenuti nelle piramidi di Pepi I, Pepi II, Merira e Unas. Qui, esso rappresentava un ambiente astronomico a forte conno-

174 A. Gardiner, op. cit., p. 125.

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tazione acquatica, come sono il “Nu”, o le acque celesti del “Mu”, e inteso dal Dictionary come “Grande profondità del cielo”. Il “Qebhu” era correlato al luogo dove era nato il dio Ra, il cui acces-so, oltre che da molteplici “Qerrt”, era garantito, a quanto riporta Brugsch, da particolari «besondere Thore den Eingang gestalteten», “Portali particolari la cui entrata è strutturata” (vedi Figura 12).Essi, come, riportava l’egittologo tedesco, erano incentrati sul ter-mine “Sbekht”, dal senso di “varco” o “cancello” che consentiva al faraone defunto, o alla stessa “barca di Ra”, di avanzare nel cielo. Il “Qebhu” era un luogo celeste estremamente lontano, ben distin-to, sia lessicalmente, che cosmologicamente, da “Pet”, il “nostro” “cielo”, inteso come la volta celeste “vicino” alla Terra, che compa-re poco dopo nell’iscrizione. Ma il “Qebhu” veniva anche connesso con il determinativo “dell’O-ca”, forse intesa come la costellazione “dell’Oca”, “Apd”, di cui ab-biamo estesamente parlato nel capitolo 1, e, infine con il determi-nativo di “Khaset”, inteso come reale “terra straniera, non egiziana”, talora con una desinenza plurale. L’uso della preposizione “r”, dal senso di “Verso, in direzione di”, che necessitava, quindi, di un luogo reale, per espletare a pieno la sua funzione grammaticale, trova la sua collocazione sintattica pro-prio nel termine spaziale-astronomico di “Qebhu”, che potremmo, così, tradurre come “Spazio profondo (acquatico), o abisso celeste”.

Settore D (Figura 11). L’espressione “Pet Khaset Pu” comprende il termine “Pet”, “Cielo”, che viene misteriosamente cerchiato da un circolo sulla lavagna della base militare del Colorado, per for-mare la dizione proposta e confermata dallo stesso Jackson, di “nel cielo è Ra dio solare”, ove il contesto stesso lascia supporre che si parli di un “Cielo” terrestre.

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Tuttavia il termine “Pet”, posto nella parte superiore del registro, è usato, nell’iscrizione, in parallelo e in associazione con il termine sottostante “Khaset”, “terra straniera”, cioè non-egizia. Trattandosi di un evidente contesto astronomico, l’espressione, molto proba-bilmente, deve essere considerata in relazione reciproca, correlan-do il concetto di “territorio straniero” con il “cielo” che lo sovrasta. L’utilizzo del termine “Khaset”, adoperato in parallelo con “Pet”, richiama l’analogo uso, nell’Inno a Osiride (vedi Figura 13), citato nel capitolo 4, del termine “Pet” + “Ta”, “Cielo + Terra”, di chiara matrice terrestre, inteso come “terra egizia”, per un significato di “Cielo e Terra”. Essi erano entrambi visti quasi come un’unica en-tità indivisibile, nella quale questo “cielo” comprenderebbe “la sola volta celeste che avvolge la Terra ed è da questa visibile”.

Figura 13. A sinistra dettaglio dell’Inno a Osiride che mostra la stretta associazione dei termini “Pet” e “Ta”, “Cielo” e “Terra”, questa volta entrambi totalmente egizi. A destra dettaglio della pagina 176 dell’Astronomische Inschriften Brugsch, che mostrava l’iscrizione, letta da destra verso sinistra, che parlava di “Khaset” nello spazio profondo: «Mu Khaset-u Akhet Mehtet Pet», “Acque cosmiche e terre straniere del luogo luminoso settentrionale del cielo della Coscia (Orsa Maggiore)”.

Nell’iscrizione del coperchio dello “Stargate”, tale concetto si estenderebbe, per analogia sintattica, anche se con diversi contesti di significato, alla coppia “Pet + Khaset”, per un globale senso di “Terra straniera + cielo” (“vicino” a essa e “da essa visibile”). D’altro canto, il termine “Khaset” era spesso presente in ambiti co-smologici a sviluppo astronomico, come dimostrato sia dal deter-minativo associato al vocabolo “Qebhu”, sia dall’iscrizione proposta da Brugsch (Astronomische Inschriften, p. 176) (vedi Figura 13).

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Tutta la locuzione avrebbe, pertanto, il valore di “Questo luogo straniero e la sua vicina volta celeste”, contrapposta al precedente lontano “Qebhu”, lo “Spazio profondo”.Il contesto di questo luogo, citato, nel testo, dopo lo “Spazio pro-fondo”, farebbe ipotizzare un possibile pianeta o un luogo che era costituito, in ogni caso, da un territorio e da una volta celeste, eventualmente dotata di una potenziale atmosfera, abitualmente fornita, nel nostro pianeta, secondo la teologia egizia, dal dio “Shu”. Questo “luogo” per l’ideatore dell’iscrizione, sarebbe stato molto simile, anche se non necessariamente uguale, alla struttura geo-astronomica della Terra.Nell’iscrizione del coperchio dello “Stargate”, la locuzione “Pet Khaset” è, completata dal dimostrativo “Pu”, che ha il senso di “questo, codesto”, posposto ai nomi precedenti. Tuttavia, come apprendiamo dalla Egyptian Grammar di Alan Gardiner175, che, a sua volta, la riprendeva da H. Abel, «se il predicato logico consiste di diverse parole (il dimostrativo) “Pw” (“Pu”) può essere interca-lato fra queste» e, perciò, può essere riferito a tutti i termini. Inol-tre, l’aggettivo dimostrativo “Pu”, quando è usato in funzione av-verbiale, ha funzione di copula, in pratica, del verbo “essere”, e può afferire a entrambi i termini a cui esso è correlato.Il tempo grammaticale del verbo “essere” deve, in ogni caso, ve-nire modulato sul tempo del verbo, presente nella frase in cui esso è inserito. Poiché, come vedremo fra poco, l’altro verbo, pre-sente nell’iscrizione, usa il modo verbale “Sdm.n=f”, cioè il “pas-sato remoto”, deve intendersi che il modo verbale dell’iscrizione, imperniato sul dimostrativo verbale “Pu”, sia, perciò, “Erano” o “Furono”.

175 A. Gardiner, op. cit., pp. 103-104.

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In effetti, nell’iscrizione dello “Stargate”, l’aggettivo “Pu” è colloca-to tra il gruppo “Pet” + “Khaset” e il dio “Ra”. Lo stesso Gardiner cita, peraltro, una locuzione, a sua volta attinta da Georg Stein-dorff176, che usa l’aggettivo “Pu”, insieme alle due divinità Hu e Sia, che sono spesso presenti sulla “barca di Ra”, ove costituivano il regale equipaggio di Ra.In questo caso, come accade anche per il testo dell’iscrizione in esame, l’aggettivo “Pu”, pur essendo posto dopo Hu, si rivolge concretamente a entrambe le divinità (vedi Figura 14).

Figura 14. Locuzione tratta dalla Egyptian Grammar di Alan Gardiner, che mostra l’espressione «essi sono Hu e Sia», l’equipaggio della “barca di Ra”, ove “Pu”, all’interno del riquadro grigio, pur essendo posposto al dio “Hu”, ha funzione di verbo “essere” e risulta, perciò, connesso a entrambi gli dèi.

Curiosamente, sia il traduttore della base miltare, che lo stesso Jackson, parlano di “Sky”, desunto dal solo geroglifico “Pet”, cer-chiato in grigio, ignorando il sottostante “Khaset”. Ciò sembrereb-be suggerire la falsa impressione che si stesse parlando della Terra.Il testo dell’iscrizione, invece, parla di un lungo viaggio attraverso il “Qebhu”, per giungere a un “pianeta” (“luogo straniero con la propria volta celeste sovrastante”) che, dalla Terra, era lontanissi-mo, essendo immerso nella lontana zona celeste delle acque cosmi-che del “Mu”. Non è un caso che, nel film Stargate, il sensore che segue il rapido spostamento nello spazio celeste della sonda, invia-ta dai militari americani attraverso lo “Stargate”, faccia, in pochi secondi, un percorso tanto rapido, quanto estremamente lungo,

176 G. Steindorff, Urkunden des Aegyptisches Altertums, J. C. Hinrichs, 30, 2.

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posizionandosi in un luogo, che la stessa Catherine nel film defini-sce come «posto agli estremi limiti dell’Universo conosciuto».

Settore E (Figura 11). Sul geroglifico che mostra il dio Ra non occorre fornire alcuna delucidazione.

Settore F (Figura 11). La locuzione “m Aton” è formata dalla preposizione “m”, che, come ci conferma l’Egyptian Grammar177, significa “in, dentro”.Segue poi il termine “Aton” con il determinativo che avevamo già visto a proposito degli “Henmemet”, di cui avevamo parlato nel capitolo 4, e che era correlato a termini qualificativi di “Splendore, luminosità, brillantezza”. Essi erano spesso connessi al sole, ma erano anche associati ad altri corpi celesti come pianeti, comun-que, in possesso di una certa quantità di luminosità propria.Il vocabolo “Aton”, già conosciuto nell’Antico Regno, e citato nei Testi delle Piramidi, era il “Disco”, e la divinità che lo presiedeva veniva spesso associato a Ra. D’altronde, troviamo spesso, nella let-teratura egizia, frasi del tipo: “Ra è colui che è nel suo disco (Aton)”.Tuttavia, alcuni ricercatori ritenevano che “Aton” fosse associato allo spostamento e al movimento del dio Ra nel cielo, quasi fosse una specie di “carro del Sole”, sopra il quale il dio viaggiava, anti-cipatore di millenni dell’idea greca del carro di “Helios” o di Apol-lo, sul canovaccio delle successive tradizioni ellenistica e mithraica. Durante il regno di Amen-Hotep III, e soprattutto, con il figlio, il faraone “eretico” Amen-Hotep IV, meglio conosciuto come Akhen-Aton, il dio “Aton” soppiantò, poi, l’importanza del dio Amun, divenendo l’unica divinità adorata in Egitto.

177 A. Gardiner, op. cit., p. 125.

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La locuzione “Ra m-Aton”, pertanto, potrebbe essere intesa come “Ra dentro il Disco luminoso”. Dal punto di vista lessicale si può obbiettare che, formalmente, in segno di rispetto religioso verso la divinità, molto sentito nella lin-gua geroglifica, l’associazione tra il pianeta (cielo + terra straniera) e il dio Ra, avrebbe richiesto che il dio Ra venisse citato prima del pianeta, tuttavia questo è quello che troviamo scritto nell’iscrizione.È stupefacente considerare come in tutta la frase dell’iscrizione, secondo la costruzione, presumibilmente architettata da Stuart Tyson Smith, non vi sia il minimo reale accenno alla Terra, visto che, tutto ciò che viene scritto riguarda un luogo che, dalla Terra, appare, al contrario, estremamente lontano. Tale fatto è, peraltro, del tutto ignorato da entrambi i due traduttori dell’iscrizione del coperchio, i quali, anzi, approfittano dell’ambiguità dei pochi termini da loro concretamente tradotti sulla lavagna, per far ipotizzare un possibile contesto terrestre, che, invece, appare del tutto assente.Emerge, quindi, dall’analisi del reale testo dell’iscrizione, che, nel mo-mento in cui si sta per svolgere l’azione descritta, il dio Ra non si tro-vasse sulla Terra, ma in questo lontano pianeta, posto “agli estremi li-miti dell’Universo”, che, secondo il testo geroglifico, risulterebbe essere “immerso” nel “Qebhu” o nelle acque cosmiche celesti del “Mu”.

Figura 15. I quattro settori G, H e I accomunati in un unico gruppo. I settori G, H e I mostrano la dizione “m Khetem.n=f Qeres=f ”. La prima locuzione,

tuttavia, sposta il simbolo della “t”, dopo quello della “m”, per un teorico, ma inesistente, “Kemet”. Tuttavia, talora, questa metatesi geroglifica era lessicalmente consentita agli scribi, che raggruppavano diversamente i simboli geroglifici “corti”, rispetto a quelli “lunghi”, ma che lasciava inalterato, per gli egizi, il significato globale.Nel settore I osserviamo il termine “Qeres-f” che mostra, come indicato dai quattro numeri in sequenza, la bellezza di quattro determinativi, opzione improponibile nella lingua geroglifica. Due di questi vengono raggruppati, sulla lavagna della base del Colorado, in un cerchio interpretato come “Sarcofago”.

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Settore G (Figura 15). A quanto ci informa l’Egyptian Grammar178, la preposizione “m”, usata prima del verbo, sia che questo si pre-senti nell’indicativo presente “Sdm=f”, sia nel passato remoto “Sdm.n=f”, ha valore di “Quando”.

Settore H (Figura 15). Il verbo “Khetem”, “Sigillare”, usato nell’i-scrizione, viene trascritto, in questo caso, come “Khemet”, che non ha un senso compiuto. Tuttavia, quest’erronea trascrizione era virtual-mente possibile, in quanto, talvolta, alcuni termini geroglifici veniva-no trascritti dagli scribi egizi, alterando l’ordine dei singoli simboli geroglifici, che componevano le parole, in base alle loro dimensioni grafiche, per licenze grafiche stilistiche, consentite, in quanto, in base al contesto, era, comunque, comprensibile il testo stesso.Nell’iscrizione, l’errore nella grafia del verbo “Khetem” potrebbe apparire, perciò, un tentativo, compiuto dallo stesso Stuart Tyson Smith, di rendere più “naturale” la trascrizione simulando un in-tervento del potenziale scriba egizio. Il verbo “Khetem” è qui usato con la desinenza “n=f”, che lo quali-fica come forma del passato remoto del verbo stesso. Il verbo usato nell’iscrizione, peraltro, affianca due determinativi: quello del “Si-gillo” vero e proprio, e quello della “Porta”, riferendosi, indubbia-mente, allo stesso “Stargate”. Tale uso è lessicalmente possibile, come testimonia il Dictionary di Wallis Budge (vedi Figura 16).La traduzione, questa volta in pieno accordo con la correzione fat-ta da Jackson, è: “Egli sigillò”, ove il soggetto di questa azione è, obbligatoriamente, per mancanza di altre alternative sintattiche, il dio Ra, citato poco prima.Il luogo dove avvenne quest’azione compiuta da Ra deve essere, in

178 Ibidem.

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base al logico contesto della frase geroglifica, ma anche allo svolgi-mento della trama del film, che prevede che gli “Stargate” lavorino, necessariamente, in “parallelo”, il pianeta lontanissimo dalla Terra, posto dentro lo spazio profondo del “Qebhu”.

Figura 16. Il Dictionary ci mostra il termine “Khetem”, “Sigillare, chiudere”, che, talora, mostra due determinativi, proprio come troviamo nel caso tipico dell’iscrizione del coperchio dello “Stargate”.

Fin qui la frase ha una certa coerenza e una discreta attendibilità grammaticale e sintattica della lingua geroglifica, anche se il conte-nuto ci fa restare a bocca aperta, sia per il fatto in se stesso, sia perché, invece, nella traduzione dell’iscrizione, fatta dall’assistente di Catherine e dalle correzioni dello stesso Jackson, non vi è il mi-nimo accenno alle descrizioni ora emerse.I problemi lessicali e glottologici, tuttavia, nascono con il termine “Qeres”, dove l’egittologo americano, redattore del testo, si è spin-to un po’ troppo oltre la sfera lessicale geroglifica.

Settore I (Figura 15). Questa locuzione, infatti, contiene un er-rore grammaticale geroglifico, che contribuirebbe a porre in grave crisi di attendibilità lessicale l’intera iscrizione. Ricordiamo che, nel film, il testo sulla lavagna della base del Colo-rado riportava la cerchiatura di due simboli, sotto i quali troviamo la scritta “Coffin”, “Sarcofago”.

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Jackson cancella questo nome e vi appone la correzione “buried”, che, in inglese, significa, come detto, “Seppellì” o “Seppellita”, sempre inteso, però, come una forma verbale. Il problema è che i vocaboli “Qeres” e “Qeres-t”, come ci informa il Dictionary, significano “Sarcofago, equipaggiamento della mum-mia, catafalco, funerale, sepoltura”, rivelando di essere entrambi sostantivi e non verbi (vedi Figura 17 a sinistra e destra).In realtà, tuttavia, il termine “Qeres” dell’iscrizione sulla lavagna della base del Colorado, mostra la bellezza di quattro determinativi.Si tratta del determinativo per “Osso”, o “Seppellire” (serie XX, simbolo nr. 51, secondo la lista di Wallis Budge), seguito “dall’Of-ficiante di una cerimonia” (serie I, simbolo nr. 32), dal “Sarcofago” (serie XVI, simbolo 31) e, infine, dal “Catafalco con cadavere” (serie XVI, simbolo nr. 9). Tutti e quattro i determinativi sono variamente associati al termine “Qeres-t” (vedi Figura 17), soltanto che essi vengono, correttamen-te e abitualmente, associati tra loro, a due a due.

Figura 17. A sinistra il vocabolo “Qeres”, a destra il termine “Qeres-t”, che hanno il significato di “Sarcofago, equipaggiamento della mummia, catafalco, funerale, sepoltura”. Si tratta, cioè, grammaticalmente, di nomi, e non di verbi. Nei riquadri grigi troviamo quattro determinativi ma raggruppati a gruppi di 2, nei due riquadri superiori, e in forma singola in quello inferiore, che troviamo nell’iscrizione dello “Stargate”. La contemporanea presenza di quattro determinativi, pertanto, non viene affatto contemplata.

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L’errore sintattico di porne addirittura quattro insieme sarebbe sta-to inaccettabile per gli scribi dell’Antico Egitto, paragonabile, in questo senso, a un errore blu di un compito di grammatica dei nostri tempi. Inoltre, l’utilizzo dei determinativi del “Sarcofago” e del “Catafal-co con cadavere”, concettualmente, è del tutto infondato in quan-to, nel film, non vi è nessun “Sarcofago” e, soprattutto, nessun “Cadavere”, a meno di considerare quegli aspecifici resti descritti come “simili a dei fossili”, rinvenuti sotto lo “Stargate” (vedi Figu-ra 4), come resti umani.In realtà, il Dr. Jackson non considera, propriamente, il termine “Qeres” come un verbo, ma come un’apposizione esplicativa del solo verbo “Ketem”. Egli, infatti, traduce “Sealed + Buried” e non “Sealed and Buried”. L’utilizzo del suffisso “f ”, posto subito dopo il termine “Qeres”, pone, inoltre, altri interrogativi. Si tratta del pronome personale “egli”, nuovamente riferito al dio Ra, come avevamo visto nel caso della precedente locuzione “Khetem.n=f”?Tuttavia, il contesto della trama del film ci dice che il dio Ra subi-sce il seppellimento dello “Stargate” a opera della rivolta sulla Ter-ra, per cui appare invero strano che egli stesso sia attivamente coin-volto nel seppellimento dello “Stargate terrestre”.Il suffisso “f ” potrebbe, invece, rappresentare l’uso, contemplato dalla grammatica geroglifica, della forma grammaticale del “neu-tro”, correlando tale suffisso al termine “porta”?Questa possibilità, che troverebbe conferma in traduzioni dell’i-scrizione del film “Stargate”, rinvenute su alcuni siti “web” e “blog” a essa dedicati, tuttavia, si deve poggiare sul solo determinativo della “porta”, presente nel precedente termine “Khetem.n=f ”, in

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quanto il termine “Porta”, pur presente nell’iscrizione, non viene ancora citato in questo punto, anche se lo sarà più avanti.Si può, pertanto, dedurre che, secondo la logica proposta dalla trama cinematografica del film, se l’azione del “Sigillamento” ope-rata dal dio Ra avviene sul pianeta posto “agli estremi limiti dell’u-niverso conosciuto”, il “Seppellimento” verrebbe fatto sulla Terra, a seguito della rivolta, organizzata dagli antichi proto-egizi, per sfuggire alle costanti angherie di Ra.In questo caso, però, occorre dire, un po’ fiscalmente, che manca del tutto il soggetto di chi compie o coordina quest’azione di seppelli-mento. Secondo la mentalità culturale e lessicale dell’Antico Egitto, il soggetto di qualsiasi azione che venisse compiuta era desideroso di far sapere il proprio nome a chiunque leggesse un’iscrizione.Secondo la coerenza dello sviluppo della vicenda del film, però, si potrebbe formalmente obbiettare che un’azione così determinata contro l’odiato dio Ra potesse, forse, richiedere, per ragioni pruden-ziali, l’anonimato grafico da parte di chi la compiva personalmente.

Figura 18. I settori L, M e N propongono la locuzione «n Djet r Neh Heh Sba-n Sba-n Sba-u=f».

Settore L (Figura 18). La preposizione “n”, visibile nel settore precedente, ha il significato, come evidenziato dalla Egyptian Grammar179, della preposizione “per”. La locuzione geroglifica “n

179 A. Gardiner, op. cit., p. 127.

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Djet r Neh Heh”, a carattere prettamente idiomatico, usata in que-sta parte dell’iscrizione, era stata tradotta dall’assistente di Cathe-rine in senso letterale “Eternità verso l’Infinito”, dove il tempo li-neare “Djet” si integrava sinergicamente e concettualmente con il tempo ciclico “Neheh”. La preposizione “r”, “Verso, in direzione di”, usata qui nello stesso contesto del precedente “r Qebhu” (“verso lo spazio profondo”), get-ta, pertanto, un ponte ideale tra le due concezioni egizie di tempo lineare e di tempo ciclico, di cui avevamo diffusamente parlato nel IV capitolo del libro Stargate – Il Cielo degli Egizi (vedi Figura 18).Jackson la corregge, invece, in “Per tutto il Tempo”. In realtà, i con-cetti di “Djet” e “Neheh”, rispettivamente il “Tempo lineare” e il “Tempo ciclico”, sono strettamente articolati e precisamente struttu-rati nella mentalità dell’Antico Egitto, per creare l’idea di un’Eterni-tà davvero globale, unificata sotto l’ègida della “Spirale del Tempo”.

Figura 19. La locuzione idiomatica “Djet r Neheh”, evidenziata nel riquadro grigio, mostra proprio la forma presente nell’iscrizione del coperchio dello “Stargate”. Essa propone il senso de: “Il Tempo Lineare verso il Tempo Ciclico”, unificando la totalità del concetto dei due termini, fondendoli nel significato di “Spirale del Tempo”.

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Settore M (Figura 18). Il vocabolo “Sba” ha il significato di “Por-ta”, sulla falsariga del termine “Sbekht”, proposto da Brugsch, che, non a caso, ha quasi lo stesso utilizzo del vocabolo “Sba”, “Stella”. Il suffisso “n” con il simbolo del plurale ha il senso dell’aggettivo possessivo “nostro/a”, fatto ancora confermato, peraltro, dai siti “web” o “blog”, che parlano della possibile traduzione dell’iscrizio-ne del coperchio dello “Stargate”.

Settore N (Figura 18). Il vocabolo “Sba-u”, dalla stessa fonetica, ma dalla grafia diversa, rispetto al precedente, ha, invece, il signifi-cato di “stelle”. Il suffisso “f” ha, in questo caso, la valenza di “di lui”, quindi “sue”, riferito alle stelle. Tuttavia, non si può escludere l’allusione alle “sue” “Porte delle stelle”, ove questo “lui” corrispon-derebbe, in ogni caso, al dio Ra.L’utilizzo dell’aggettivo possessivo “nostra”, connesso al termine “porta”, ha logiche ripercussioni concettuali di due tipi sulla com-prensione dell’iscrizione. La prima è che, evidentemente, c’è un soggetto “noi” sottinteso, na-scosto all’interno dell’iscrizione. Esso è, con ogni probabilità, riferito a coloro che fecero, sulla Terra, l’opera di “seppellimento” dello “Star-gate” e della sua copertura con il suo pesante coperchio di pietra.L’opzione lessicale suggerita da Smith, di un plurale anonimo sotteso dal termine “noi”, è, peraltro, inedita nella cultura egizia, che confe-riva un nome e un ruolo sociale all’autore di qualsiasi documento (papiraceo o lapideo che fosse), venisse scritto nell’Antico Egitto.Emerge, da questo contesto, che i potenziali antichi proto-egizi, re-dattori dell’iscrizione geroglifica, in accordo con l’egittologo Stuart Tyson Smith, che l’aveva creata, e con gli sceneggiatori, sapevano che queste “porte delle stelle” erano più di una, visto che è solamente la “nostra (terrestre) porta”, a essere disattivata (“sigillata”) e sepolta.

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Appare, invece, strano, che sia i traduttori della base del Colorado, che, soprattutto, il Dr. Jackson, non si accorgano della gran quan-tità di informazioni contenute nell’iscrizione, che giustifica e con-ferma l’esistenza comprovata di almeno due “Stargate”, che lavora-no in parallelo. Ma questo era mediaticamente intuibile e voluto, per non ridurre il “pathos” e la “suspence” allo spettatore, che assi-ste al “climax” della vicenda della storia narrata nel film. Non solo, ma, nell’iscrizione, la presenza del plurale “Stelle”, pro-babilmente riferita al plurale geroglifico “porte delle stelle”, fa in-tuire, come accadrà poi nello sviluppo del “sequel” televisivo “SG-1”, nato come intenzionale costola del film “Stargate”, che di “Porte delle stelle” ce ne siano diverse, disperse nell’Universo. Ciò, peraltro, era in pieno accordo formale con i «Besondere Thore den Eingang gestaltenen», “Portali particolari, la cui entrata è costi-tuita, organizzata”, di cui parlava Brugsch180, riferendosi ai miste-riosi geroglifici di “Sbekht”, la “Torre del cancello, varco”.Inoltre il suffisso “sue”, posto al termine della frase, riferito alle “stelle”, fa anche pensare che esse erano, potenzialmente, gestite o controllate tutte dallo stesso dio Ra. L’intera frase dell’iscrizione, sorvolando sull’errore dei quattro De-terminativi della locuzione “Qeres=f”, diviene così: «(Ad) un milio-ne di anni in direzione dello spazio profondo (delle acque cosmiche celesti) vi erano un pianeta (cielo + terra straniera) e il dio Ra; quan-do egli (Ra) sigillò il seppellimento di questa (porta) per l’Eternità li-neare e ciclica della nostra porta delle sue porte delle stelle».

180 K. H. Brugsch, op. cit., p. 176.

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Il testo dell’iscrizione, parla, così, di azioni che si erano svolte, qua-si contemporaneamente, in due luoghi distinti dello spazio, lontani tra loro un milione di Anni “Luce”, a seguito della rivolta e all’in-surrezione contro la tirannide del dio Ra, avvenuta sulla Terra.Il primo era teatro del seppellimento dello “Stargate” della Terra a opera di un ignoto gruppo di antichi proto-egizi, che avevano ini-ziato la rivolta proprio durante il periodo di permanenza del dio Ra sul pianeta lontanissimo dalla Terra.Il secondo avveniva sul pianeta posto a “un milione di Anni” (Luce) dalla Terra, dove ci fu la disattivazione del “condotto” (singolare o plurale) “spazio-temporale” che collegava lo “Stargate” del pianeta lontano, a quello terrestre, operata dal dio Ra, che si trovava, ap-punto, nel pianeta posto “dall’altra parte dell’Universo conosciuto”.Come abbiamo detto nel capitolo 2, questi “condotti, corridoi” nel cielo, chiamati “Qerrt” nel Libro dell’Amduat e nel Libro delle Porte (“Sbekht”) del Duat, o “Thepht” nei Testi delle Piramidi, era-no muniti di “porte” o “portali”, definiti, appunto, “Sbekht”. Anche se la traduzione originale dell’assistente di Catherine, come la traduzione rivista dal Dr. Jackson, hanno una loro logica intrin-seca, esse risultano entrambe volutamente molto ridotte e incom-plete rispetto alla forma originale dell’intera iscrizione, celandone molti significati.L’espressione “nostra porta delle sue (porte delle) stelle” viene, infatti, ridotta a solo “Stargate”.

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Tabella 3. Ecco il risultato conclusivo della traduzione dell’iscrizione geroglifica del coperchio dello “Stargate”, dedotta dall’attenta analisi del testo geroglifico: «(Ad) un milione di anni in direzione dello spazio profondo (delle acque cosmiche celesti) vi erano un pianeta (cielo + terra straniera) e il dio Ra nel disco che manda luce, quando egli (Ra) sigillò il (nostro) seppellimento, per l’eternità lineare e ciclica, della nostra porta delle sue (porte delle) stelle».

Mentre la corposa frase iniziale “(Ad) un milione di anni in direzio-ne dello spazio profondo (delle acque cosmiche celesti) vi erano un pianeta (cielo + terra straniera) e il dio Ra nel disco che manda luce”, dopo l’emendamento e le cospicue revisioni o amnesie, diventa semplicemente, e molto riduttivamente: “Un milione di anni nel cielo è Ra dio solare”.Questa evidente ablazione del testo fa, logicamente, tramutare la locuzione “un milione di anni”, se considerata isolata dal resto del-la frase, in un apparente dato cronologico, come, infatti, fa la ver-sione italiana del testo, quando essa ha, invece, a tutti gli effetti, chiare valenze spaziali di distanza, in pieno accordo, peraltro, con quanto rivelato nella letteratura dell’Antico Egitto (Testi delle Pira-midi, Testi dei Sarcofagi e Libro dei Morti).

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Inoltre, viene fatto scomparire, dai traduttori dell’iscrizione, ogni accenno al pianeta lontanissimo dalla Terra, nel quale si trova il dio Ra, per non anticipare allo spettatore quello che sarebbe successo nel prosieguo del film, eliminando, in tal modo, l’emozione del viaggio epocale attraverso lo “Stargate”, di Jackson, del colonnello O’Neill e della spedizione dei “marines”. Il momento in cui essi scoprono, trepidanti, dopo un lunghissimo viaggio nel cosmo, ma durato pochi secondi effettivi (Milioni di “Ater-u” in un singolo breve “At”!), l’aspetto reale del “cielo + terra straniera”, posto all’altro capo dello “Stargate”, è uno dei momenti “topici” del film.Tuttavia, la stessa iscrizione del coperchio aveva già anticipato, fin dalla sua scoperta, sia l’esistenza, oltre a quella dello “Stargate terre-stre”, di un analogo “Sbekht n Qerrt”, “Porta del condotto celeste”, sia il fatto che c’era un altro pianeta (cielo + terra straniera) all’altro capo dello “Stargate”, anche se gli sceneggiatori del film, che pure avevano commissionato la frase a Stuart Tyson Smyth, impedisco-no sempre, allo spettatore, di vedere la locuzione nella sua globalità.Ma alcune scene di “Stargate”, unitamente agli effetti speciali con cui sono state create, presentano strane somiglianze con immagini reali provenienti dalle tombe dell’Antico Egitto.

Strane somiglianze con una prua che… sta scomparendo

Infatti, nella raffigurazione del fluido di plasma che compare all’in-terno del diaframma dello “Stargate”, una volta che esso è stato aperto, nella base di Creek Mountain, troviamo strane similitudini con la rappresentazione egizia della “barca di Ra”, e con gli dèi che

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scortavano il dio nel suo viaggio celeste. In talune immagini pro-venienti dalle tombe, come avevamo notato, la prua della “barca di Ra” era posta all’interno della struttura dello “Sbekht”, ma risultava visibile, in trasparenza, il suo alto e snello profilo, tipico di un’im-barcazione “d’altura”.Nel film, come vediamo nella Figura 20, esiste un preciso istante, in cui le mani e la parte anteriore del volto del Dr. Jackson sono poste “al di là” del fluido plasmatico che costituisce il diaframma aperto dello “Stargate”, frazioni di secondo prima di iniziare il “fol-le volo”, mentre la restante parte del corpo è collocata ancora “al di qua” dello “Stargate”.

Figura 20. Due suggestivi fotogrammi del film che mostrano il momento in cui il Dr. Jackson sta per attraversare lo “Stargate”, una volta che esso è stato aperto. A sinistra vi ha introdotto le mani, a destra, invece, compare la parte anteriore del suo volto, mentre sta attraversando la “soglia”, con la parte posteriore del corpo che, invece, è ancora al di qua del varco.

Questo preciso momento richiama realmente dei passi degli anti-chi testi egizi. Nel Papiro Carlsberg 1, infatti, leggiamo che il dio Ra, che prove-niva dalle acque celesti del “Mu”, «ha la sua “fine” (parte posterio-re) in “Retehu Kebt” (distante regione del cielo, intesa come un cerchio celeste immerso nelle tenebre assolute di “Keku Smau”, all’interno delle acque del “Mu”, N.d.A.) che è oscurità, mentre la sua “fronte” (parte anteriore) è in “Serk -Ithyt”, che è luce».

UN EGITTO… DA FANTASCIENZA! 313

D’altro canto, nella 12a ora di “Ciò che è nel Duat” veniva detto che «Parte del corpo del dio è nel “Duat”, mentre l’altra parte è in questo mondo».In entrambi i casi abbiamo, pertanto, la descrizione di un punto, ove si nota un preciso e millimetrico passaggio fra due “luoghi” diversi dello spazio/tempo.Ma questi fotogrammi di Stargate rievocano, altresì, alcune imma-gini originali egizie, tratte dalla Prima Ora del Libro dell’Amduat, o da affreschi murari (vedi Figure 21 e 22).Nell’immagine proveniente dalla Prima Ora del Libro dell’Amduat osserviamo la prua della “barca di Ra” incastonata nella consueta struttura a graticciata, simile al geroglifico di “Sbekht”.Lo “Sbekht” appare, qui, sospeso nell’aria, non avendo alcun rappor-to con il mezzo “liquido” su cui si spostava nel cielo la “barca di Ra”. Ma, fatto ancora più rilevante, compare, in trasparenza, la “silhouet-te” della prua alta e slanciata della barca del dio, completamente in-serita all’interno della struttura a graticciata (vedi Figura 21).

Figura 21. Due particolari della 1a Ora del Libro dell’Amduat. In entrambi i casi si nota l’alta prua della “barca di Ra”, visibile, per trasparenza, all’interno della struttura a graticciata, corrispondente allo “Sbekht”, “Torre del varco (soglia)”. Questa “Torre” non è appoggiata “sull’acqua” virtuale, ipostasi del cielo, sopra cui si sposta la barca del dio Ra, ma risulta sospesa nell’aria, dando proprio l’idea di una “porta” all’interno dello spazio celeste. Quest’immagine potrebbe focalizzare il

preciso momento in cui la barca di Ra sta per entrare all’interno dello “Stargate”, prima di iniziare il velocissimo spostamento all’interno del “Qerrt” o “Thepht”, il “condotto” verso le stelle, divenendo, in quel singolo preciso istante, non più completamente visibile all’eventuale osservatore.

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Figura 22. Dettaglio del Libro dei Morti, che mostra la “barca di Ra” sopra il geroglifico di “Pet”, “Cielo”, con la prua, posta a sinistra, mentre sta per entrare in una “porta”, o “uscio”, dall’apice ad arco, lievemente sopra-elevato rispetto al piano della barca stessa. Questa sorta di “porta” è di colore azzurro scuro, al pari del geroglifico di “Cielo”, ed è disseminata di stelle gialle a cinque punte, molto ravvicinate fra loro, disposte su sette file orizzontali, per 29 stelle totali. Oltre questa possibile “Porta delle Stelle” poteva aprirsi il “Qerrt” o il “Thepht”, che immetteva in un’altra parte dell’Universo in direzione del “Qebhu”.

Un’altra immagine del tutto peculiare, ci giunge, peraltro, da una delle vignette tratte dal Libro dei Morti, che mostra nuovamente la “barca di Ra”, al cui interno trova posto il dio a testa di falco, se-duto, con il disco solare sulla testa e “l’Ankh” posto sulle ginocchia.Il natante è posto al di sopra del geroglifico di “Pet”, “Cielo”, di colore azzurro scuro e ha la prua rivolta verso sinistra, che sta per “entrare” entro una struttura a “porta” o “uscio”, dalla caratteristica sommità ad arco, anch’essa lievemente distaccata dal piano in cui giace il natante. Il colore azzurro, sia della “porta”, che del vicino geroglifico di “Cielo”, su cui è posta l’imbarcazione del dio, testimonia che en-trambe sarebbero, appunto, “collocate” nel cielo. All’interno di questa “porta”, troviamo 29 stelle gialle a cinque punte (secondo la tipica iconografia egizia) disposte su sette file,

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molto ravvicinate fra loro, che, probabilmente, suggeriscono il concetto di molte stelle ravvicinate, proprio come vedrebbe lo spa-zio esterno colui che starebbe transitando attraverso un “Worm-Hole” “attraversabile” (vedi Figura 22).D’altro canto, la raffigurazione del passaggio attraverso il “Worm Hole” nel film Stargate, con molte stelle ravvicinate tra loro, perché viste ad alta velocità, risulta davvero molto simile alla rappresenta-zione tratta dal Libro dei Morti (vedi Figure 23 e 24).

Figura 23. Due fotogrammi di “Stargate” che ci mostrano le stelle molto ravvicinate, essendo viste a enorme velocità da chi è all’interno del “Worm Hole”, che ha sezione dapprima ellittica e poi circolare.

Figura 24. Come si può vedere nei due fotogrammi, una volta stabilizzato, il “Worm Hole” ha l’aspetto di un tubo lungo e sinuoso, le cui pareti sono virtualmente molto simili alle scaglie del corpo di un serpente.

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Contact e “Worm Holes”

Descrizioni molto simili a quelle del film Stargate, inerenti il po-tenziale transito attraverso un “Worm Hole”, che consentiva di spo-starsi fra le stelle, si hanno anche con un’altra nota pellicola del genere fantascientifico. Si tratta di Contact, girato nel 1997, e trat-to dall’omonimo romanzo, edito nel 1985, di Carl Edward Sagan (1934-1996), noto divulgatore e scienziato che lavorò per la nasa e fu tra i fondatori del s.e.t.i (acronimo di “Search for Extra Terre-strial Intelligence”) (vedi Figura 25 in basso a destra).Anche qui il “Worm Hole” descritto si manifesta con una sezione circolare (vedi Figura 25 in alto a sinistra), un decorso sinuoso e tortuoso (vedi Figura 25 in basso), un aspetto esterno che simula le scaglie della pelle esterna di un rettile, e un aspetto interno che imita la costituzione interna delle fasce muscolari e le costole ela-stiche di un serpente, rievocando i multiformi aspetti del serpente “Mehen”. Carl Sagan era anche molto interessato alle antiche civiltà, tra cui quella egizia. Abbiamo, infatti, una sua foto in cui il ricercatore, sorridente, ha, alle spalle, il disco alato con due serpenti cobra ai lati, emblema tipico della massima divinità nella Terra del Nilo. Ma la scienza si è occupata dei “Worm Holes”, i “Qerrt” o “Thepht” degli antichi egizi. Secondo gli astro-fisici, infatti, i “cunicoli spa-zio-temporali intra-universo” connettono due posizioni differenti dello spazio in un tempo differente. D’altro canto, i “Worm Holes attraversabili”, che appartengono ai “Worm Holes” di Lorentz, a livello teoretico, consentirebbero il transito, a un essere umano, fra le due aperture dello stesso “condotto”.

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Kip Thorne e Mike Morris181, nel 1988, proposero un modello di “Worm Hole attraversabile”, tenuto aperto da un guscio sferico di materia esotica. L’anno successivo, tuttavia, Matt Visser182 ipotizzò l’esistenza di questi “Worm Holes” anche senza “materia esotica”, mentre lo stesso autore, insieme a Cramer183, teorizzò che questo genere di “Worm Hole” si fosse formato naturalmente, durante la creazione primordiale dell’Universo.

Figura 25. Anche nel film Contact, assistiamo alla rappresentazione di un “Worm Hole” visto dall’interno, con la sua sezione circolare. Anche qui sono evidenti le linee di forza circolari che assomigliano molto alle costole e alla struttura muscolare, estremamente elastica, tipica del corpo di un serpente, di cui si intravede il decorso sinuoso e l’aspetto simile a scaglie, in basso a destra (Questi fotogrammi per “Courtesy of Warner Bros”).In basso a sinistra, immagine di un sorridente Carl Sagan, autore di Contact, con un disco alato egizio alle sue spalle.

181 K. S. Thorne – M. S. Morris, Wormholes in spacetime and their use for interstellar travel: a tool for teaching general relativity, in «American Journal of Physics», 56 (1988), pp. 395-412.182 M. Visser, Traversable wormholes: some simple examples, in «Physical Review D», 39 (1989) pp. 3182-3194.183 AA.VV., Natural Wormholes as Gravitational Lenses, «Physical Review D», 51 (1995), pp. 3117-3120.

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Infine, secondo la moderna astrofisica, l’entrata di un “Worm Ho-le”, o “Black Hole”, potrebbe essere quasi immobile, mentre l’usci-ta, che potrebbe essere accelerata, chiamata “Fontana Bianca”, si muoverebbe fino a sfiorare la Velocità della Luce. Ciò consentireb-be di arrivare, all’uscita del “Worm Hole”, in un punto del passato, seppure non molto remoto. Invece, se la Velocità interna al “Worm Hole” fosse superiore a quella della Luce, si potrebbe effettuare un viaggio nel passato, ma in un ambito più remoto del precedente. Ecco così che alcuni aspetti della sceneggiatura del film Stargate, pur impregnati di una forte matrice culturale egizia, grazie alla consulenza dell’egittologo Stuart Tyson Smith, hanno rivelato qualche elemento in comune con il vasto e articolato “background” culturale, teologico e cosmologico, proprio dei vetusti abitatori della Terra del Nilo.L’iscrizione geroglifica del coperchio dello “Stargate” sarebbe, per-ciò, molto verosimilmente, una costruzione linguistica moderna. Tuttavia, sicuramente, l’egittologo californiano si basava, per la sua ricostruzione lessicale, sul vasto “corpus” della letteratura egizia, costi-tuito dai Testi delle Piramidi, dai Testi dei Sarcofagi, dal Libro dei Morti e dai due libri sul “Duat”, rinvenuti nelle tombe dei sovrani defunti…È un dato di fatto, tuttavia, che la traduzione del testo geroglifico, presente sul coperchio di pietra, curata da Stuart Tyson Smith, nel suo reale aspetto lessicale, anticipi, in maniera precisa, pur nella sua essenzialità, buona parte della trama successiva dello stesso film e appaia, sostanzialmente, in piena sintonia e in accordo con tutte le complesse cognizioni astronomiche e teologiche degli an-tichi egizi emerse nel corso di questa lunga e dettagliata ricerca.D’altro canto, non a caso il ricercatore americano Joseph Allen Hynek ebbe a dire a Firenze, nel 1984, che il mondo di

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«Hollywood ha sviluppato delle produzioni orientate, realizzando così, per il piccolo e il grande schermo, una vera e propria forma di “condizionamento occulto”, a carattere pedagogico, anche di ordine sub-liminale»184.

Voglio concludere l’Appendice di questo libro proprio con due frasi dell’indimenticato Carl Sagan. La prima è fortemente impre-gnata dello spirito di serenità e di intimorimento per la grandezza dell’Universo, che promana dal film Contact, e costituisce un po’ un messaggio in bottiglia o una sorta di manifesto programmatico per l’Umanità, da parte del suo autore. Essa afferma:

«Per piccole creature come siamo noi (umani) la vastità è sopportabile soltanto tramite l’amore».

La seconda dice:

«Da qualche parte, qualcosa di incredibile sta aspettando di essere conosciuto».

Forse, questa mia ricerca può costituire il primo passo per cercare di svelare quel “qualcosa di incredibile”!

184 R. Pinotti, Fantacinema: effetto UFO, Olimpia, p. 20.