“il vangelo a tutti” - diocesi manfredonia€¦ · sericordioso di dio per ogni uomo e per ogni...

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Nella stessa collana: “ANDATE ANCHE VOI A LAVORARE NELLA MIA VIGNA” (Mt 20, 7) Lettera pastorale alla Chiesa di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo. Novembre 2010. “SACERDOTI DELL’UOMO, SACERDOTI DELLA STRADA” Linee Pastorali per l’anno 2011/2012 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo. Settembre 2011. “PIETRE VIVE PER LA COSTRUZIONE DEL TEMPIO” Linee Pastorali per l’anno 2012/2013 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo. Settembre 2012. “PRENDETE IL LARGO E GETTATE LE RETI” Linee Pastorali per l’anno 2013/2014 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo. Settembre 2013. “NON CI ARDEVA FORSE IL CUORE?” Passione per il Vangelo tra corresponsabilità e misterialità Linee Pastorali per l’anno 2014/2015 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo. Settembre 2014. «VÀ E D’ORA IN POI NON PECCARE PIÙ» (Gv 8, 11) Generare nella misericordia Lettera pastorale alla Chiesa di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo Settembre 2015. IL SOGNO CONDIVISO: CRISTIANI SULLA SOGLIA Linee Pastorali per l’anno 2016/2017 Settembre 2016. IL VANGELO A TUTTI Linee Pastorali per l’anno 2017/2018 Settembre 2017. LINEE PASTORALI 2017-2018 “IL VANGELO A T UTTI” MICHELE CASTORO ARCIVESCOVO DI MANFREDONIA-VIESTE-SAN GIOVANNI ROTONDO LA VIA DELL’«ANNUNCIARE» «Rallegrati», dice l’angelo a Maria (Lc 1,26). L’annuncio ha da subito il sapore della “gioia”. Come la Vergine, sperimentiamo davvero l’Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo. E prima di inoltrarci nella sintesi mi piace restituire uno stato d’animo che mi è stato condiviso dai moderatori della via Annunciare, da molti facilitatori e partecipanti. Confrontarci sul Vangelo ha generato gioia. Quello del convegno è stata l’occasione preziosa per fare un’esperienza positiva di Chiesa, in un tempo di tensione che ha affaticato e fatto soffrire molti fedeli. Annunciare è gioire, è aumentare la propria vita (EG 10); è «osa- re», afferma un gruppo; «è condividere», perché non esiste gioia che non senta il bisogno di essere condivisa. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione (BENEDETTO XVI, 13 maggio 2007, cit. in EG 14). Annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, né superficialità, né senso di superiorità, né sarcasmo, né cinismo, ma profon- dità, leggerezza e umiltà. Annunciare è la novità che si matura nell’ascolto, e nei gruppi è emerso un grande desiderio di mettersi in ascolto, ancor prima di parlare. Come ascoltare? Lasciandoci guidare dai misteri centrali della nostra fede. «Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio» (Discorso di papa Francesco). Proprio il kerygma ci restituisce la dinamica complessiva dell’annunciare: il Verbo incarnato (che dà attenzione alla concretezza delle situazioni reali delle persone con le quali Gesù ha comunicato mediante una parola semplice, diretta, chiara, carica di verità), Gesù che è morto (e che muore nelle difficoltà, nei fal - limenti, nella sofferenza e nell’esperienza della morte che ognuno di noi può aver fatto), Gesù che è risorto (perché la morte offerta per amore non è l’ultima parola, perché quello che all’uomo sembra impossibile e assurdo non è impossibile a Dio, perché si possa sperimentare la salvezza e la gioia di una esistenza trasfigurata, carica di prospettive e capace di sperare). Prof.ssa Flavia MARCACCI (Relazione finale - Firenze 2015) “...E PRESE A MANDARLI A DUE A DUE”

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Page 1: “IL VANGELO A TUTTI” - diocesi Manfredonia€¦ · sericordioso di Dio per ogni uomo e per ogni donna. Ri-cordiamo il mandato consegnato agli Apostoli da parte del Risorto: «Andate

Nella stessa collana:

“ANDATE ANCHE VOI A LAVORARE NELLA MIA VIGNA” (Mt 20, 7) Lettera pastorale alla Chiesa di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo.

Novembre 2010.

“sACERDOTI DELL’uOMO, sACERDOTI DELLA

sTRADA” Linee Pastorali per l’anno

2011/2012 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo.

Settembre 2011.

“PIETRE VIVE PER LA COsTRuZIONE DEL TEMPIO” Linee Pastorali per l’anno

2012/2013 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo.

Settembre 2012.

“PRENDETE IL LARGO E GETTATE LE RETI” Linee Pastorali per l’anno

2013/2014 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo.

Settembre 2013.

“NON CI ARDEVA fORsE IL CuORE?” Passione per il Vangelo tra corresponsabilità e

misterialità Linee Pastorali per l’anno

2014/2015 sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo.

Settembre 2014.

«Và E D’ORA IN POI NON PECCARE PIù» (Gv 8, 11) Generare nella misericordia Lettera pastorale alla Chiesa di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo

Settembre 2015.

IL sOGNO CONDIVIsO: CRIsTIANI suLLA sOGLIA Linee Pastorali per l’anno

2016/2017

Settembre 2016.

IL VANGELO A TuTTI Linee Pastorali per l’anno

2017/2018

Settembre 2017.

L I N E E P A S T O R A L I 2 0 1 7 - 2 0 1 8

“IL VANGELO A TUTTI”

✠ Michele castoroA r c i v es c ovo d i M A n fr e d o n i A -v i es t e - s A n G i ovA n n i r oto n d o LA VIA

dELL’«ANNUNCIArE»

«Rallegrati», dice l’angelo a Maria (Lc 1,26). L’annuncio ha da subito il sapore della “gioia”. Come la Vergine, sperimentiamo davvero l’Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo. E prima di inoltrarci nella sintesi mi piace restituire uno stato d’animo che mi è stato condiviso dai moderatori della via Annunciare, da molti facilitatori e partecipanti. Confrontarci sul Vangelo ha generato gioia.

Quello del convegno è stata l’occasione preziosa per fare un’esperienza positiva di Chiesa, in un tempo di tensione che ha affaticato e fatto soffrire molti fedeli. Annunciare è gioire, è aumentare la propria vita (EG 10); è «osa-re», afferma un gruppo; «è condividere», perché non esiste gioia che non senta il bisogno di essere condivisa. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione (BENEDETTO XVI, 13 maggio 2007, cit. in EG 14).

Annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, né superficialità, né senso di superiorità, né sarcasmo, né cinismo, ma profon-dità, leggerezza e umiltà. Annunciare è la novità che si matura nell’ascolto, e nei gruppi è emerso un grande desiderio di mettersi in ascolto, ancor prima di parlare. Come ascoltare? Lasciandoci guidare dai misteri centrali della nostra fede. «Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio» (Discorso di papa Francesco).

Proprio il kerygma ci restituisce la dinamica complessiva dell’annunciare: il Verbo incarnato (che dà attenzione alla concretezza delle situazioni reali delle persone con le quali Gesù ha comunicato mediante una parola semplice, diretta, chiara, carica di verità), Gesù che è morto (e che muore nelle difficoltà, nei fal-limenti, nella sofferenza e nell’esperienza della morte che ognuno di noi può aver fatto), Gesù che è risorto (perché la morte offerta per amore non è l’ultima parola, perché quello che all’uomo sembra impossibile e assurdo non è impossibile a Dio, perché si possa sperimentare la salvezza e la gioia di una esistenza trasfigurata, carica di prospettive e capace di sperare).

Prof.ssa Flavia Marcacci(Relazione finale - Firenze 2015)

“...E PrESE A MANdArLI A dUE A dUE”

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“Cari Missionari,dal Sudan a Cuba, dal Brasi-le alla Costa d’Avorio, dal Pa-kistan all’Argentina, dal Pe-rù allo Sri Lanka, dal Liba-no al Mozambico, dalla Sviz-zera all’Australia, dallo Zaire all’Indonesia... Non c’è ango-lo della terra dove un “fram-mento eucaristico”, staccatosi dall’ostia delle nostre Chiese locali, non sia andato a depo-sitarsi per divenire fermento di nuove Comunità Cristiane!Avete inteso bene: vi ho chia-mati “frammento eucaristi-co” a ragion veduta. Non so-lo per le profonde motivazio-ni teologiche, che ci mostra-no come Chiesa ed Eucari-stia siano due realtà che si ri-chiamano, si completano e si sovrappongono. Ma anche perché mi date l’idea di tan-te particole che il vento del-lo Spirito, soffiando sul no-stro Altare, ha disseminato lontano. E, nonostante tutto, la mensa non si è impoveri-ta. Non è l’Eucaristia, infat-ti, che diminuisce: è l’Altare che si dilata.Così pure voi: portati appa-rentemente alla deriva dal vento di Pentecoste, a appro-dati su spiagge remote, non avete depauperato il “recin-to”, ma avete dilatato il “Ta-bernacolo”.(...) Grazie, Sacerdoti, Suore e laici di ogni angolo d’Italia, che vi consumate come lam-pade in terra di missione!Grazie, perché ci avete impa-rentati col mondo.

Grazie, perché, controbilan-ciando la nostra anima se-dentaria, voi ci salvate la fac-cia.

Grazie, perché ci provocate all’essenziale. E perché, tra i percorsi alternativi che con-ducono al Regno, ci indica-te i rettilinei della semplicità, del coraggio, della donazio-ne totale.

Grazie, perché la leggerezza del vostro bagaglio mette in crisi l’ottusa caparbietà con cui qui trasciniamo rassegna-ti il “tir” delle nostre impro-duttive tradizioni.

Grazie, soprattutto, per quel-lo che un giorno forse ci da-rete! Se, infatti, continuere-mo a fare resistenza passi-va all’urto dello Spirito, pro-babilmente il vento di Pente-coste comincerà a soffiare in senso contrario. Le “favelas” delle vostre “bidonvilles”, o le capanne dei vostri villaggi, saranno il nuovo Cenacolo di Gerusalemme... E le nostre vecchie città Oc-cidentali diventeranno “gli estremi confini della terra”, bisognosi di redenzione!”

DON TONINO BELLO( Novembre 1986 )

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✠ Michele castoroarcivescovo di

Manfredonia-vieste-san Giovanni rotondo

“IL VANGELO A TUTTI” “…E PRESE A MANDARLI A DUE A DUE”

Linee Pastorali per l’anno 2017/2018

PER UNA ChIESA SINODALE

“Generare nella misericordia”

(EG 23)

(MC 6,7)

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Foto di copertina:

Lezionario CEI - anno ABruno CECCoBELLI - Solennità del SS. Corpo e Sangue di CristoTecnica mista su carta

Impaginazione, grafica e stampa:Grafiche Grilli srl - Foggia

Finito di stampare10 settembre 2017

INTRODUZIONE

Carissimi,queste pagine delle Linee pastorali per l’anno 2017-2018

vi giungono in un momento molto particolare della mia vi-ta. A causa della malattia ero quasi sul punto di rinunciare a scriverle, ma con trepidazione e per tenere fede al mio ministero ho maturato l’idea che proprio questo momen-to di prova potesse diventare per me un’occasione ancora più opportuna per poter testimoniare la bellezza del Van-gelo e la potenza del Mistero pasquale.

È inutile dirvi che questi mesi di sofferenza mi hanno insegnato molte cose.

Ho imparato a fare i conti con la mia debolezza e la mia fragilità, la quale – se nella logica umana rappresenta un ostacolo – nel cammino di fede costituisce invece un ca-nale privilegiato per vivere in modo più aderente alla cro-ce di Cristo (cf. Col 1,24). Grazie alla Parola di Dio, che in questi mesi mi sta accompagnando più che mai, e alla pre-ghiera ho capito che tutto è grazia.

Con Simone Weil, filosofa a me tanto cara, ho imparato che «la sofferenza della sventura non è altro se non un con-tatto doloroso con l’amore di Dio, come la gioia è un contat-to pieno di dolcezza con il medesimo amore»1.

La malattia mi ha fatto capire ancor più da vicino quan-to importanti sono tutte quelle persone che vivono un per-corso di dolore. Esse sono come un sacramento invisibi-le che rendono presente il Cristo sofferente da amare e da soccorrere, da visitare e da curare, da liberare e da soste-nere (cf. Mt 25, 31-46). Esse sono la colonna portante di tutta la nostra pastorale. Per questo dovremmo prestare loro maggiore attenzione e un’infaticabile cura.

1 S. WEIL, Attesa di Dio, Adelphi, p. 64.

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Eppure non avrei mai avuto il coraggio né la forza di affrontare la mia malattia senza la vicinanza, l’affetto e la premura di tutti voi – sacerdoti, religiosi e religiose, laici, persone della società civile, anche non credenti – che mi avete mostrato sempre tanta comprensione e sollecitudi-ne, elevando al Signore preghiere e suppliche perché mi sostenesse in questo momento di prova.

Grazie di cuore! Il vostro amore per me è stata una me-dicina per la mia anima e motivo per me a non mollare.

Ed è con questa consapevolezza che vi consegno questo testo sull’Annuncio, affinché possiamo tutti insieme, come Chiesa diocesana, vivere il servizio alla Parola per genera-re nella gioia nuovi figli alla fede, alla speranza e alla cari-tà, per una vita pienamente umana e cristiana.

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ANNUNCIARE A TUTTI IL VANGELO DELL’AMORE

Dopo aver riflettuto nell’anno precedente sul tema dell’Uscire, quest’anno ci lasceremo guidare dal verbo An-nunciare.

Facendo mie le parole di Papa Francesco, vi dico che desidero una «stagione evangelizzatrice più fervorosa, gio-iosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vi-ta contagiosa!» (EG 260).

Mons. Staglianò all’ultimo Convengo Ecclesiale Dioce-sano, maggio 2017, ci ha invitati a passare da un “cattoli-cesimo convenzionale” ad un “cattolicesimo più cristiano”. Le sue riflessioni hanno fatto sorgere in tutti noi numero-se provocazioni.

1. Annunciare il Dio-Amore

Per comprendere bene cosa comporti l’impegno dell’annuncio è necessario in primo luogo chiederci non tanto “che cosa” annunciare, quanto piuttosto “chi” annun-ciare. Non si tratta di definire dei contenuti, ma avere chia-ra l’idea che siamo chiamati ad annunciare una persona vi-va e presente nella nostra vita: Gesù Cristo, il Dio-con-noi, il Dio fatto uomo che aiuta ogni uomo ad essere più uomo.

Non dobbiamo solo annunciare la divinità di Cristo, ma anche la sua profonda umanità, perché oggi l’uomo non ha solo bisogno di ritrovare Dio, ma anche di ritrovare se stesso.

Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica Amo-ris laetitia ci ha invitati a mettere al centro dell’annuncio l’Amore di Dio.

Annunciare l’Amore che “è” Dio e annunciare che Dio “è” Amore (cf. 1 Gv 4,8). E noi sappiamo che questo amo-

Chi annunciare?

Convegno Ecclesiale DiocesanoSan Giovanni Rotondo, 11-12 maggio 2017Archivio fotografico dell’UCS dell’Arcidiocesidi Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo

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ta. Dovremmo anche rivedere i nostri linguaggi che spesso sono astratti e stereotipati, che a volte possono raffreddare la potenza del Vangelo. Le nostre parrocchie, più che del-le dogane che fanno pagare il pedaggio morale per entrare nella vita della grazia, sono chiamate ad essere come delle locande in cui portare i malcapitati del nostro tempo, luogo che guarisce le ferite che quasi sempre sono ferite che ri-guardano la nostra incapacità di amare e di lasciarci amare.

Dio con il suo amore vuole guarire proprio questa no-stra fragilità e abilitarci con il dono dello Spirito ad amare come ama Lui.

Non è forse questo lo scopo di ogni annuncio?

Parlando dello stile che ogni cristiano deve avere quan-do testimonia il Vangelo, Papa Francesco afferma che l’an-nuncio «esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, aper-tura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non con-danna» (EG 165).

3. I destinatari dell’annuncio

Se ci chiediamo “a chi” dobbiamo annunciare, cioè chi sono i destinatari, non possiamo dimenticare che il Vange-lo è destinato a “tutti”, nessuno escluso.

Non siamo noi la misura dell’annuncio, ma l’amore mi-sericordioso di Dio per ogni uomo e per ogni donna. Ri-cordiamo il mandato consegnato agli Apostoli da parte del Risorto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vange-lo a ogni creatura» (Mc 16,15). Esso vale per tutti i cristia-ni, per tutto il popolo di Dio. Colpiscono due termini: “tut-to” e “ogni”, termini che servono per indicare la totalità e l’universalità sia in senso spaziale che in senso temporale.

Non ci sono frontiere per chi evangelizza, ma solo strade su cui incamminarsi per incontrare ogni uomo e ogni donna.

re è stato riversato nei nostri cuori con il dono dello Spi-rito Santo (cf. Rm 5,5). Per fare questo, dobbiamo aiuta-re la gente a percepire che Dio ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi.

Allo stesso tempo annunciare il Vangelo è rivelare la fa-me più grande che l’uomo si porta dentro che è fame d’a-more. L’uomo infatti ha bisogno di amare e di essere ama-to. E solo il Vangelo risponde in modo adeguato a questo anelito che si agita nel cuore degli uomini e delle donne di sempre, ancor più in quelli a noi contemporanei.

2. Come annunciare?

Ma l’amore, quale vera natura di Dio rivelata in Cristo, non è solo il contenuto del nostro annuncio. Esso è anche la via per realizzare l’annuncio. La via stessa per evangeliz-zare. Perché, parafrasando una famosa frase di San Tom-maso, l’amore è come il bene: è diffusivo di per sé (bo-num est diffusivum sui). Infatti, siamo chiamati ad annun-ciare l’amore di Dio amando noi per primi. Arrivare a fare del nostro stesso amore la via per giungere al vero amo-re che è solo Dio. Come ha fatto Cristo, il quale “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1), anche noi siamo chiamati ad evangelizzare aman-do, nella consapevolezza che è l’amore il compimento del-la Legge. Di ogni legge.

Per tale ragione quando ci chiediamo “come” annuncia-re, non si tratta solo di trovare delle metodologie o delle tec-niche, ma capire anzitutto quali stili comunicativi assumere, come ispirare la nostra pastorale all’ascolto e all’ospitalità, al dialogo e all’accoglienza, all’accompagnamento e all’af-fiancamento, al sostegno e all’incoraggiamento, alla ricerca continua del fratello perduto, ma anche all’iniziazione alla vita di fede intesa come esperienza che ti fa vivere l’incon-tro con Gesù Cristo come un incontro che ti cambia la vi-

Evangelizzareamando

L’incontro con Gesù

cambia la vita

Non ci sono frontiere per chi evangelizza

A chi annunciare?

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lasciati soli e questo loro desiderio, che in loro nasce pu-ro, viene sviato verso forme di amore egoistico e posses-sivo, non riuscendo invece, come suggerisce il Vangelo, a diventare capace di mettere l’altro al centro.

Siamo chiamati ad aiutare i giovani a comprendere che Dio non è lontano dal loro cuore, anzi è più vicino di quan-to credano. Dio è proprio quell’amore che essi cercano, so-lo che non lo sanno. Tocca a noi, che lo abbiamo incontra-to come Amore vero, rivelare loro questa grande verità. Ma chi può evangelizzare i giovani sull’amore se non gio-vani credenti a loro volta innamorati, e innamorati di Dio e dell’uomo? Nell’annuncio penso che molto ci giocheremo se sapremo educare i nostri adolescenti e i nostri giovani all’affettività portandoli alla scuola del Vangelo.

Tuttavia annunciare il Dio-Amore alle famiglie e nel-le famiglie, ai giovani, non ci esime dal farlo anche a quel mondo che pare il più smarrito di tutti: il mondo degli adulti.

È sotto gli occhi di tutti la fatica che fanno gli adulti di oggi nel vivere le proprie responsabilità a qualsiasi livello. Adulti rinunciatari, delusi e disincantati, spesso assenti e in fuga, alla ricerca di un giovanilismo per nulla proponi-bile, che li vede ripiegati su se stessi piuttosto che aperti alle nuove sfide derivanti dai grandi cambiamenti in atto.

Con il Vangelo dell’Amore dobbiamo aiutare gli adul-ti a ritrovarsi, a rifare un percorso di autentica libertà inte-riore per resistere alle seduzioni del nostro tempo e a tor-nare all’essenziale. Siamo chiamati, annunciando il Vange-lo dell’Amore, ad aiutarli a non confondere l’amore con il piacere, il bene con l’utile, la verità con la pura opinione, la giustizia con il compromesso.

Per aiutare gli adulti a trovare nella fede e risvegliar-li dal torpore di una vita che sembra aver perso sapore, ci vogliono a loro volta cristiani - sacerdoti, religiosi e laici - doppiamente adulti: sia in umanità e maturità, sia nell’am-bito della fede, in un cammino di continua conversione e

L’annuncio non deve lasciare fuori nessuno, perché è per gli uomini di tutti i tempi. Dio, infatti, «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della ve-rità» (1Tm 2,4). Ce lo ricorda Papa Francesco nell’Evange-lium gaudium: «Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tut-ti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repul-sioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popo-lo, non può escludere nessuno» (EG 23).

Il Vangelo non esclude nessuno, anzi privilegia chi vie-ne escluso. Come comunità ecclesiale dovremmo vedere con occhi di compassione l’immensa folla umana che ha bisogno del Vangelo. Dovremmo fare nostra la medesi-ma angoscia che Cristo provava di fronte alle folle sbanda-te e sfinite perché erano considerate da Lui «come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36) e ripetere con Lui le sue stesse parole: «Sento compassione per la folla» (Mt 15,32).

Ancora una volta e con più incisività, dobbiamo favo-rire le famiglie, perché esse costituiscono il luogo primo dell’annuncio del Dio-Amore.

Chi meglio di una coppia che si ama può annunciare l’a-more di quel Dio Trinitario di cui essa è un riflesso?

Chi meglio di una madre che ama suo figlio può annun-ciare il Dio-madre che non si dimentica dei figli delle pro-prie viscere? (cf. Is 49,15)

E chi meglio di un padre che ama suo figlio, rispettan-do la sua libertà, può dare testimonianza della paternità di Dio che pur lasciandoci andare via di casa, al ritorno usa misericordia perdonandoci e bandendo il banchetto e fare festa? (cf. Lc 15,11-32) Illuminanti sono a riguardo gli sti-moli di Papa Francesco nell’Amoris laetitia, la cui lettura e il cui studio propongo a tutte le parrocchie e le associazio-ni, ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici e agli operatori pastorali.

Altra priorità sono i giovani, in quanto la loro età è quel-la in cui cominciano a sperimentare la bellezza dell’amore. Spesso purtroppo in questo loro cammino i giovani sono

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Come chiesa siamo chiamati ad affrontare diverse sfi-de, come l’ateismo e il secolarismo, l’indifferenza religiosa e il relativismo etico che a vario titolo influenzano le scel-te di vita a livello culturale e sociale, affettivo, familiare ed educativo. La nostra azione evangelizzatrice non può igno-rare queste grandi sfide, né lasciarci scoraggiare dall’incre-dulità corrente, né farci impaurire e indurci a nasconder-ci dietro posizioni di conservazione e di semplice difesa. Al contrario, siamo chiamati a cercare i mezzi e il linguag-gio adeguati per proporre o riproporre alla gente, special-mente alle nuove generazioni, la rivelazione di Dio e la fe-de in Gesù Cristo, la dignità dell’uomo chiamato ad esse-re figlio ed erede di Dio.

5. Chi deve annunciare?

“Chi” deve annunciare? Lo sappiamo: tutto il popolo dei battezzati. Cioè la Comunità intera: io per primo, che come Vescovo, sulla scia del Buon Pastore, sono chiamato a da-re la vita per le pecore; i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici. Ma a che punto è la nostra formazione per essere davvero annunciatori del Vangelo? Siamo pronti a rispon-dere con un discernimento e una lettura sapienziale degli eventi di oggi alle grandi domande e alle grandi sfide del nostro tempo?

Siamo in grado di tradurre negli ambienti di vita il Van-gelo dell’amore capace di sanare i legami e gli affetti fra-gili di oggi?

Sappiamo annunciare il Vangelo della giustizia sociale e della fraternità solidale?

Riusciamo ad incarnare il Vangelo della famiglia in una genitorialità all’altezza delle grandi sfide educative di oggi?

Sfidati da queste domande è auspicabile che in que-sto nuovo anno pastorale ogni parrocchia si interroghi su questi aspetti e faccia un cammino di verifica e di rilan-

sequela Christi, vissuto nella libertà del cuore e nel dono totale di sé agli altri.

Possiamo accontentarci di quelli che vengono a chiede-re solo i sacramenti? Quanto della realtà sacramentale rie-sce ad entrare nel vissuto e nelle scelte di tutti i giorni del-la gente che li riceve? Quanta vita entra nelle celebrazioni e quanto delle celebrazioni entra nella vita?

4. Dove annunciare?

Se ci chiediamo “dove e quando” annunciare il Vangelo dell’amore, è scontato che non si debba circoscrivere l’an-nuncio al solo perimetro dei locali delle nostre chiese e ai gruppi che frequentano le nostre liturgie.

Pensiamo a quanti non sono amati da nessuno, a quan-ti l’amore lo hanno perduto, a quanti vivono un amore fe-rito. Ma anche a quanti lo calpestano, lo offendono o a quanti lo vivono al modo di Zaccheo, Matteo il pubbli-cano, l’Adultera, la Samaritana… Tutti costoro erano i privilegiati della predicazione di Gesù. Essi, dai farisei che si ritenevano giusti, venivano chiamati “peccatori” e “pubblicani”.

Anche oggi c’è una marea di gente che non ha ancora conosciuto l’amore e soprattutto l’amore di Dio.

La parrocchia non è forse parte del quartiere? Quanto conosciamo del nostro quartiere e della gente che vi abita?

Possiamo continuare ad escludere gli ambienti lontani come quelli dove la gente lavora, vive il proprio tempo li-bero, si aggrega in associazioni, fa cultura ed educa, pro-duce beni e consuma?

Possiamo limitarci a giudicare tali luoghi come profa-ni e indegni?

Non dobbiamo disegnare una nuova “geografia” delle nostre parrocchie? Una nuova mappa dei luoghi dove Dio è visto come inutile e insignificante?

Nell’aeropago

Dove annunciare?

Col dialogo

Con un linguaggiocomprensibile

Chi deve annunciare?

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ICONA BIBLICA“pREsE A MANDARLI A DUE A DUE”

1. Dal Vangelo di Marco (6,7-13)

“Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pa-ne, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque en-triate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltasse-ro, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungeva-no con olio molti infermi e li guarivano”.

Quest’anno il commento all’icona biblica contiene in sé già alcune indicazioni pastorali a livello pratico e operati-vo, non tanto per dire che cosa fare, ma per indicare lo stile con cui fare ciò che da sempre già facciamo2. Il brano dell’e-vangelista Marco va letto in sinossi, parallelo, con lo stesso episodio narrato da Matteo (10,1-15) e da Luca (10, 1-20)

2. Gesù: il primo evangelizzatore

Il primo gesto riguarda Gesù che chiama i discepoli. Li chiama a sé. Prima di mandare e di inviare Gesù chiama. Gesù chiama chi ama e ama chi chiama. Si tratta di un ap-

2 CoNGREGAZIoNE PER LA DoTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, 2007.

cio a partire da queste semplici provocazioni che mi sen-to di indicarvi.

Dobbiamo però essere consapevoli che nell’annuncia-re non siamo soli. Gesù non ci ha lasciati “orfani” (cf. Gv 13,18), ma ci ha inviato un nuovo “Consolatore”, lo “Spiri-to Paraclito”.

Senza l’azione dello Spirito l’evangelizzazione non sa-rà mai veramente feconda. Gesù stesso ha iniziato la sua predicazione e il suo ministero «con la potenza dello Spiri-to» (Lc 4,14). Sappiamo che anche gli apostoli hanno tro-vato il coraggio di annunciare il Cristo risorto solo dopo la discesa dello Spirito Santo dirigendosi verso tutte le di-rezioni del mondo. Ricordiamo come lo Spirito Santo, che ha fatto parlare Pietro, Paolo e gli altri apostoli, in seguito è sceso anche «sopra tutti coloro che ascoltavano la Paro-la” (At 10, 44). Tutti i mezzi e le strategie per evangelizza-re sono utili, ma non possono sostituire l’azione dello Spiri-to. Infatti è per mezzo di lui che il Vangelo penetra nel cuo-re delle persone. A noi spetta solo di preparare il terreno.

Chiamata

II

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Solo chi ha incontrato Cristo in modo gioioso lo può an-nunciare con altrettanta gioia ed entusiasmo, con passio-ne e coerenza.

3. Annunciare Dio in un mondo senza Dio

Gesù, l’inviato del Padre, chiama e invia i suoi discepo-li ad annunciare la Buona Novella.

Questo significa che siamo tutti degli inviati l’iniziativa non è nostra, ma è sua.

Il nostro annuncio è prolungamento del suo. Noi siamo non iniziatori, ma semplici cooperatori della

grazia divina. Come ebbe a dire Benedetto XVI:

«Solo il precedere di Dio rende possibile il cammi-nare nostro, il cooperare nostro, che è sempre un co-operare, non una nostra pura decisione. Perciò è im-portante sempre sapere che la prima parola, l’inizia-tiva vera, l’attività vera viene da Dio e solo inseren-doci in questa iniziativa divina, solo implorando que-sta iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui – evangelizzatori. Dio è l’inizio sem-pre, e sempre solo Lui può fare Pentecoste, può crea-re la Chiesa, può mostrare la realtà del suo essere con noi. Ma dall’altra parte, però, questo Dio, che è sem-pre l’inizio, vuole anche il coinvolgimento nostro, vuo-le coinvolgere la nostra attività, così che le attività so-no teandriche, per così dire, fatte da Dio, ma con il coinvolgimento nostro e implicando il nostro essere, tutta la nostra attività. Quindi quando facciamo noi la nuova evangelizzazione è sempre cooperazione con Dio, sta nell’insieme con Dio, è fondata sulla preghie-ra e sulla sua presenza reale»3.

3 BENEDETTo XVI, Meditazione – XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 8 ottobre 2012.

pello a restare uniti alla sua persona. Appello a conformar-si a Lui vero evangelizzatore. Gesù chiama a sé i discepoli nella consapevolezza che è Lui il primo evangelizzatore.

È Lui che ci ha introdotti nel mistero del Padre. Miste-ro nascosto da secoli e che Lui ci ha rivelato e annunciato (Gv 1,18). Lui ce lo ha raccontato e narrato. Egli è venuto perché conoscessimo il Padre (Gv 17,26). Fin dall’inizio del suo ministero pubblico Gesù applica a se stesso la profezia fatta da Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per que-sto mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a por-tare ai poveri il lieto annuncio...» (Lc 4, 18-19).

Consacrato dal Padre, Egli ci consacra. La nostra mis-sione nasce dalla comunione con Lui. Di essa si nutre e ad essa conduce.

Inoltre questo gesto, con il quale Gesù chiama a sé i suoi discepoli, indica anche un momento di profonda in-timità e unità con Cristo da cui scaturisce la spinta all’an-nuncio. Momento fatto di ascolto e di discepolato vero e stabile.

Se molti non annunciano il Vangelo o lo annunciano ma-le è perché sono poco intimi con Cristo. Un buon evan-gelizzatore ama stare con Gesù. Egli ce lo ha detto «Rima-nete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frut-to da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me… perché senza di me non potete far nul-la» (cf. Gv 15, 4-5).

L’annuncio nasce anzitutto da un incontro personale e intimo con Cristo Risorto che avviene soprattutto nella ce-lebrazione eucaristica quale incontro gioioso e prorom-pente, innovativo e trasformante, costante e sempre pie-no di sorprese. Mai bisogna separare l’azione dell’annun-cio dalla Liturgia dalla quale esso sempre scaturisce. Af-ferma Papa Francesco: «La Chiesa evangelizza e si evan-gelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche cele-brazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnova-to impulso a donarsi» (EG 24).

…Egli ci consacra

…L’annuncionasce da

un incontro personale

…noniniziatori, ma cooperatori

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Gesù li manda ovunque e a chiunque. La geografia di Dio non conosce frontiere. La sua è la geografia del cuo-re e il suo cuore è ovunque. Anche noi dovremmo essere ovunque e andare verso chiunque. oggi siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in primo luogo a «coloro che non co-noscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato» (EG 14)4. Siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in una società che spesso prescinde dalla religione, o che ha sostituito la re-ligione cristiana con nuove forme di salvezza (la tecnica, i riti di massa, il fitness, il divertimento, etc.), con nuovi ri-ti e nuove forme di iniziazione, nuove forme del “sacro”.

In questo nuovo scenario, siamo chiamati ad abitare la “Galilea delle genti” di oggi, cioè ad entrare nel nuovo areo-pago delle nostre città, dove è richiesto il ritorno ad un cri-stianesimo meno apologetico, più esistenziale e meno ce-lebrativo. Siamo chiamati a passare da un cristianesimo so-ciologico ad un cristianesimo più profetico. Con questo spi-rito, le persone non vanno aspettate, ma vanno cercate per essere incontrate sul terreno della loro fragilità.

Mi chiedo se siamo pronti ad accogliere quella schie-ra di adulti che sempre più numerosi vogliono ri-mettersi nel cammino di fede che si è interrotto e che sarà, di cer-to, diverso da quello da cui si sono staccati.

Siamo pronti per un annuncio che sia capace di sorpren-dere e stupire o siamo ancora prigionieri di un annuncio ri-petitivo e noioso? Non dobbiamo temere la crisi della fede, ma dobbiamo con la nostra fede fare andare in crisi chi la fede l’ha abbandonata.

Tuttavia, se siamo inviati ai lontani, non dobbiamo da-re per scontato che i cosiddetti “vicini” siano alfabetizzati e catechizzati abbastanza da non meritare anche loro una certa attenzione. oggi, dobbiamo impegnarci ad annun-

4 CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, orienta-menti Pastorali 2000-2010.

ciare il Vangelo anche a quanti vivono un cristianesimo di facciata o superficiale, abitudinario, senza passione e sen-za impegno per sé e per altri. A chi celebra la liturgia sen-za però portare autentici frutti di conversione, a chi sepa-ra la fede dalla vita e solo ogni tanto frequenta i sacramen-ti senza però mai aderire veramente alla sequela di Cristo. Anche a costoro dobbiamo annunciare la gioia dell’amore che ci spinge a donarci agli altri.

4. Non da soli ma insieme

Gesù invia i discepoli “a due a due”. Qui c’è tutto il profu-mo della fraternità che dà calore e colore all’annuncio. L’an-nuncio, anche se a volte viene fatto dal singolo, ha sempre ha sempre la valenza comunitaria. L’efficacia dell’evangeliz-zazione è legata anche alla nostra capacità di saper vivere la comunione e l’unità, evitando divisioni e gelosie, mettendo da parte i conflitti e le divergenze. Se annunciamo la riconci-liazione degli uomini con Dio e tra di loro, noi per primi dob-biamo essere riconciliati tra di noi. Non possiamo annunciare il Vangelo e poi essere divisi tra di noi. Le nostre divisioni in-terne compromettono l’esito e l’efficacia dell’annuncio. Sen-za comunione e senza fraternità l’annuncio è poco credibile.

Qui l’indicazione “a due a due” richiama la bellezza dell’episodio dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-53). Anche in questo brano evangelico i due discepoli, dopo es-sere stati catechizzati dal Risorto, tornano dai fratelli a Ge-rusalemme e annunciano l’esito di quell’incontro che li ha resi come trasfigurati, rendendoli uomini nuovi, aprendo loro gli occhi e scaldando loro il cuore.

Questa indicazione evangelica ci dice che l’annuncio esige partecipazione e corresponsabilità, valorizzazione di tutti i carismi e coinvolgimento di tutti i membri della comunità. Implica la sinodalità fatta di dialogo e di condi-visione, di attenzione reciproca e di convivialità.

“ovunque e a chiunque”

“insieme per annnunciare”

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Libertàinteriore

Libertàdai ruoli…

La logicadel servizio

5. Lo stile di chi annuncia: distacco e gratuità

“E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’al-tro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cin-tura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche” (Mt 6, 8-9).

Gesù fa alcune raccomandazioni perché l’annuncio sia incisivo e fecondo.

Per andare e annunciare bisogna avere il cuore libero da ogni seconda preoccupazione o secondo fine.

Per annunciare bisogna essere persone interiormente libere. Avere una profonda libertà interiore che solo l’amo-re per Dio può rendere possibile. Avere il cuore libero si-gnifica non anteporre all’annuncio alcun altro fine.

Chi annuncia non deve mai attaccarsi a nulla: ai ruo-li, agli incarichi, ad eventuali titoli, al prestigio che ne po-trebbe derivare, ma soprattutto non deve utilizzare la pro-pria posizione e il proprio carisma come una forma di po-tere sugli altri, ma viverla sempre nella logica del servizio che è propria dei “servi inutili” (Lc 17,10).

L’annuncio è anche frutto di una certa ascesi. E la gente se ne accorge quando dietro quello che diciamo o facciamo c’è un’autentica e coerente scelta di vita ispirata al Vangelo.

L’annuncio non deve essere un’occasione per mettersi in mostra o per ostentare le proprie capacità. Questo vale per i sacerdoti e i religiosi, come pure per i laici, chiamati per vocazione a «cercare il regno di Dio trattando le cose tempo-rali e ordinandole secondo Dio» (LG 31). La libertà del cuo-re procura nell’evangelizzatore un parlare lieto e franco – parresia – che rende molto più incisiva la comunicazione della fede e la testimonianza di vita. Senza questo stile, gli annunciatori del Vangelo e gli operatori pastorali si espor-ranno a tutte quelle tentazioni che sono state denunciate da Papa Francesco nell’Evangelium gaudium (cf. EG 78-101).

Gesù dice di non portare nulla per il viaggio. È la nudità della croce.

Gesù ci chiede di riprodurre nel nostro andare il suo volto di uomo che cammina povero e libero, senza un luo-go dove posare il capo (cf. Lc 9,58) e tuttavia pieno di ami-ci, di relazioni. La ricchezza sono le relazioni quali canali di vera evangelizzazione.

L’evangelizzatore, infatti, è un uomo che sa intrattene-re rapporti con tutti, esperto nelle cose di Dio e in umani-tà. Diventa punto di riferimento per chi è disorientato, per chi, smarrito, si sente confuso e soggiogato dalle false pro-messe che oggi pullulano. Gesù ci invita a non portare nul-la, perché tutto ciò che si possiede alla fine finisce per divi-derci dall’altro, dal fratello, da noi stessi e soprattutto dal-la nostra missione. Perché la vita di un uomo non dipende da ciò che possiede. Ci chiede di partire appoggiandoci al solo bastone, consapevoli che anche se attraversiamo una valle oscura Egli è sempre con noi: il suo bastone e il suo vincastro ci danno sicurezza (cf. Sal 23,4). Questa libertà e questa povertà affascineranno soprattutto i giovani che oggi cercano non tanto dei maestri5, quanto dei testimoni, degli annunciatori che non siano soltanto credenti, ma an-che e soprattutto credenti credibili.

Eppure il distacco da solo non basta. L’evangelista Matteo oltre ad alludere al distacco ag-

giunge il senso di gratuità: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

L’annuncio esige lo stile di chi sa donare, di chi sa do-narsi.

Per evangelizzare è necessario essere interiormente poveri, liberi da ogni condizionamento, da schemi o da in-teressi, per giocarsi in una donazione totale nella fedeltà alla Parola, rispettosi della libertà degli altri che possono accogliere o meno il messaggio evangelico. Ed è qui che il Vangelo dell’Amore si rivelerà in tutta la sua bellezza che ri-sveglierà nella gente quelle domande vere, ripercorrendo

5 PAoLo VI, Evangelii Nuntiandi, 1975, n. 41.

L’evangelizzatore

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al disprezzo e alla marginalità, e a riguardo non ci ha illusi o ingannati, ma dicendoci la verità ci ha avvisati.

Tradotto nel nostro contesto attuale, questo monito si-gnifica che dobbiamo resistere al rifiuto e annunciare il Vangelo anche a chi si mostra indifferente perché forse è distratto o sedotto da altri messaggi più ammalianti. E l’in-differenza la si vince con la passione e la coerenza, con la credibilità e la testimonianza. A costoro dobbiamo annun-ciare un Gesù che dia un senso ultimo ad una vita troppo spesso ripiegata sul solo presente, che dia sapore ad una esistenza spesso trafitta da molte forme di fallimento6.

7. La sapienza della croce

Lo abbiamo già detto: annunciare non significa parlare “di” Dio o parlare “su” Dio, ma lasciare che sia Dio a parla-

6 «Dalla Contemplazione al Servizio. Dalla Testa ai Piedi. Dal Pati divina al Pati umana. Dal fiducioso, e senza alcuna riserva, ab-bandono a Lui fino al porsi al servizio di ogni Ultimo, senza nulla aspettare in cambio.

“Si alzò da tavola”, “Depose le vesti, cingendosi un asciugatoio” e… “Riprendendo le vesti, sedette”.

Non c’è scetticismo che possa attenuare l’esplosione di questo an-nuncio: “le cose vecchie sono passate: ecco ne sono nate nuove”.

Cambiare è possibile. Per tutti. Non c’è tristezza antica che tan-ga. Non ci sono squame di vecchi fermenti che possano resistere all’urto della grazia. La Pasqua frantumi così le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”.

Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo.

Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le qual scor-geremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo».

Vostro+ don Tonino Bello

Meditazione sul misero pasquale.

le quali cominceranno a cercare di nuovo il volto di quel Dio che ai loro occhi sembrava inutile e superato.

6. soffrire per il Vangelo

Quando annunciamo il Vangelo dobbiamo valorizzare il tesoro di grazia che Dio ha riversato nei nostri cuori, nel-la consapevolezza che «…noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria poten-za appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, sia-mo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non di-sperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la mor-te di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel no-stro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo con-segnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale» (2 Cor 4,7-11).

E se qualche volta annunciando e testimoniando il Van-gelo saremo costretti a subire delle umiliazioni, delle forti in-comprensioni o delle avversità di vario tipo, ricordiamoci del-le parole dell’apostolo Pietro: «nella misura in cui partecipa-te alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rive-lazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi» (1 Pt 4, 13-14).

Infatti, l’annuncio non è cosa facile e non è al riparo da difficoltà. Gesù avverte i suoi discepoli: «Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (Lc 10,3). Questa par-te è molto dura, ma anche molto reale ed è forse la più diffi-cile da accettare. Essa però ci aiuta nei momenti di incom-prensione e di difficoltà di fronte all’insuccesso e al rifiu-to. Non dobbiamo aspettarci il successo, né cercare il pro-tagonismo e il consenso personali. Non dobbiamo temere se a volte veniamo disprezzati. Non dobbiamo cercare la gratificazione personale ed emotiva. Gesù ci ha preparati

Resistereal rifiuto

Annunciare…lasciare che sia Dio a parlare

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La stessa parrocchia deve proporsi come una casa tra le case. Sarebbe bello mettere in atto una pastorale delle case, per ritessere una socialità del vicinato, legami di fraternità e di solidarietà ispirati alla prossimità. Penso ai tanti piccoli centri del nostro Gargano dove questo modo di vivere for-se può essere recuperato quale via per un’evangelizzazio-ne che si faccia anche promozione umana7.

9. Le consegne di Gesù e i quattro verbi dei discepoli

Poi ci sono i quattro verbi dei discepoli: partire, procla-mare, scacciare i demoni, ungere e guarire.

Partire: è il verbo della sequela di chi aderisce a Cristo in pienezza di vita. L’annuncio è coinvolgente se colui che annuncia è egli per prima coinvolto. Partire è anche il ver-bo di chi è disposto a fare esodo, per uscire dal proprio “io” e saper andare seguendo i passi del Maestro.

È stare sempre sulla soglia pronti a condividere le er-ranze dell’uomo di oggi.

Questo esige dagli annunciatori varie capacità: la ca-pacità di rintracciare i segni della grazia di Dio; la capaci-tà di riconoscere aperture audaci; la capacità di mantene-re aperta la mente e il cuore; la capacità di conoscere gli uomini etc.

Proclamare: significa seminare nel campo delle varie situazioni la Parola di Dio che come un seme scende nei terreni più disparati, anche i più resistenti, e là porta frut-to in percentuali diverse. Significa trovare le parole giuste per narrare la misericordia del Padre, suscitando stupore e domande, sfidando l’indifferenza e le chiusure.

7 CEI, Il volto missionario della Chiesa in un mondo che cambia, 2004.

re di sé attraverso di noi in ogni occasione e in ogni ambi-to del nostro vivere quotidiano, attraverso le nostre scelte, i nostri gesti, il nostro stile di vita, i nostri atteggiamenti, le nostre relazioni, le nostre attenzioni. Questa sapienza de-ve plasmare di sé ogni ambito della nostra vita.

Annunciare significa pertanto saper tradurre la sapien-za della croce nelle varie vicende della vita, riuscendo a co-niugare il messaggio che proviene da una vita di fede, di speranza e di carità con i grandi temi e le grandi sfide del-la cultura di oggi: dai temi della bioetica a quelli inerenti la giustizia e la distribuzione dei beni secondo la Dottrina so-ciale del Chiesa; dall’ecologia integrale suggerita da Papa Francesco alla questione della legalità; dall’idea di una po-litica intesa come servizio onesto e trasparente ad un’eco-nomia che non metta al primo posto il profitto, ma il lavoro e lo sviluppo della persona e delle famiglie; dalla sfida edu-cativa da vivere a vario livello alla questione dei legami af-fettivi per una vita virtuosa fondata su un amore maturo e responsabile.

8. La casa metafora dell’umano

Gesù esorta i discepoli a cercare la gente nelle loro ca-se. La casa indica il luogo della vita più vera, là dove la vita nasce, cresce e si rafforza, ma anche dove possono anni-darsi feroci conflitti. Dove si vive la fatica dell’amore, dove la solitudine si trasforma in comunione, ma anche dove a volte l’amore diventa prigioniero dell’abitudine e della noia. È inutile dirlo: come evangelizzatori abbiamo perso il con-tatto con le case. Un contatto che dobbiamo riprendere. Il cristianesimo deve tornare ad essere significativo proprio lì, nelle case, nei giorni della festa e in quelli del dramma dei figli prodighi, quando Caino si arma di nuova violenza, quando l’amore sembra finito e ci si separa, quando l’anzia-no perde il senno o la salute.

…arrivare con l’annuncio

al cuore

Partire

Proclamare

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marci alle persone che sono in cerca di verità, di bellez-za e di gioia vera.

Ci ricorda Papa Francesco: «La comunità evangelizza-trice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umani-tà in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati pos-sano essere» (EG 24). Pertanto, chi annuncia non deve li-mitarsi a parlare di Dio, ma deve accompagnare il fratello all’incontro con Dio.

Una Chiesa che annuncia è una Chiesa che sa ascoltare e dialogare. Chi annuncia deve mettersi nei panni di chi ri-ceve l’annuncio, mostrando capacità di ascolto e di discerni-mento: «Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimi-tà, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’a-scolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risve-gliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il me-glio di quanto Dio ha seminato nella propria vita» (EG 171).

In definitiva, come si è notato, c’è uno stretto legame tra il momento dell’Uscire e quello dell’Annunciare. È an-cora Papa Francesco a parlarci: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e fe-steggiano […] La comunità evangelizzatrice sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incon-tro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita miseri-cordia del Padre e la sua forza diffusiva» (EG 24).

Sollecitati dalla Parola di Dio e dal Magistero della Chie-sa, mossi dall’azione dello Spirito, usciamo e annunciamo

È annunciare con gioia e passione, con entusiasmo e coraggio.

Non si tratta di ripetere parole già sentite, ma di saper cogliere la portata innovativa della Parola che annuncia-mo. Essa scuote, penetra come una spada a doppio taglio (cf. Eb 4,12) e scruta il cuore di chi ascolta. Ma allo stesso tempo è una Parola che si fa lampada (cf. Sal 119, 25) per i passi incerti e per i cuori titubanti.

Annunciare è lasciare libera la Parola di operare laddo-ve il suo seme viene gettato. Infatti: «La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cf. Mc 4,26-29). La Chiesa deve accet-tare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spes-so le nostre previsioni e rompere i nostri schemi» (EG 22).

Scacciare i demoni, ungere e guarire. Son qui concen-trate tre azioni salvifiche, di liberazione e di umanizzazio-ne, di cura e di redenzione. La prima azione indica che l’an-nuncio è anche lottare contro tutte le forme del male, con-tro coloro che spargono semi di morte, che diffondono un senso di sfiducia e di scoraggiamento, togliendo potenza alla Bella Notizia che Cristo è risorto e che in Lui sono ri-messi tutti i peccati. È lottare contro il diabolico, cioè con-tro tutto ciò che ci divide dentro e fuori. Qui l’annuncio si fa denuncia, profezia.

Ungere e guarire indicano l’azione dello Spirito che ci trasforma e ci rinnova, facendo nascere in noi l’uomo nuo-vo che non vive più secondo la carne. Quante ferite sia-mo chiamati a sanare e quante piaghe siamo chiamati a fasciare e questo su ogni fronte. Che il nostro sia un an-nuncio salvifico e non solo un annuncio apologetico o puramente celebrativo. Ma per ungere e guarire dobbia-mo in primo luogo accompagnare, farci vicini, approssi-

Ungere e guarire

Accompagnare

Legame tra uscire e annunciare

Scacciarei demoni

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il Vangelo dell’amore. Prendiamo il largo e gettiamo le no-stre reti (Lc 5,4), perché, in virtù del nostro battesimo e ciascuno secondo il proprio carisma, siamo tutti pescatori di uomini (cf. Mt 4,19). Facciamo nostra la passione dell’a-postolo Paolo il quale affermava: «Infatti annunciare il Van-gelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si imone: guai a me se non annuncio il Vangelo» (1 Cor 9,16), perché non si può accogliere il Vangelo e tenerselo per sé. Chi lo ha accolto sente il bisogno di comunicarlo e diffon-derlo, incarnarlo e viverlo. Non tanto per fare proselitismo, ma per rivelare ad ogni uomo la grande vocazione alla qua-le è chiamato: quella cioè di essere stato reso figlio di Dio.

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LA FAMIGLIA:LUOGO pRIVILEGIATO

DELL’ANNUNCIO

1. “Ogni casa è un candelabro”

La famiglia – luogo dell’amore gratuito, della reciproci-tà e del dialogo, della comunione dei due sposi, spazio del dono e del perdono, dell’attesa e della promessa, della fe-deltà e della cura – può essere l’ambito privilegiato per an-nunciare il Vangelo dell’Amore. Papa Francesco nell’Amo-ris laetitia ha scritto che “ogni casa è un candelabro” (AL 8), come a voler sottolineare che in essa e attraverso essa passa la luce e il calore del Vangelo necessari per cresce-re umanamente e cristianamente, psicologicamente e spi-ritualmente. Per questo la famiglia, vera chiesa domesti-ca, resta al centro del nostro annuncio sia come soggetto sia come destinataria dell’annuncio.

Ma la famiglia non nasce dal niente. Essa comincia a germogliare nell’età adolescenziale, quando nel cuore dei giovani si formano i primi sentimenti di amore e si conso-lida il bisogno di donarsi e di completarsi in una relazio-ne con l’altro sesso. Per questo non bisogna slegare mai la pastorale familiare con la pastorale giovanile. Ma so-prattutto bisogna intercettare i fidanzati molto prima che ci vengano a chiedere la preparazione al matrimonio, nel-la consapevolezza, come scrive Papa Francesco, che “ac-compagnare il cammino di amore dei fidanzati è un bene per le comunità stesse. Come hanno detto bene i Vescovi d’I-talia, coloro che si sposano sono per la comunità cristiana «una preziosa risorsa perché, impegnandosi con sincerità a crescere nell’amore e nel dono vicendevole, possono con-tribuire a rinnovare il tessuto stesso di tutto il corpo eccle-siale” (AL 207).

III

Convegno Ecclesiale DiocesanoSan Giovanni Rotondo, 11 maggio 2017Archivio fotografico dell’UCS dell’Arcidiocesidi Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo

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di doni e di beni, radicati nell’amore vissuto senza riser-ve, e condiviso soprattutto con i più deboli e bisognosi. La valorizzazione del carisma della “sponsalità” degli sposi e della loro “genitorialità” permetterà a molti coniugi di af-fiancare i sacerdoti, per aiutare la comunità ad essere luo-go di accoglienza e di crescita nella fede per tutti e in mo-do particolare per le famiglie con le loro storie, le loro fati-che, le loro povertà e i loro fallimenti. Le famiglie che con-dividono la loro sponsalità nella parrocchia sono “il valo-re aggiunto” del cammino comunitario e parte integrante ed unificante di tutta la pastorale, in quanto protagoniste di un servizio amorevole e autentico.

Alla luce di questo, faccio mie alcune indicazioni emer-se durante i Tavoli del nostro Convegno.

Innanzitutto bisogna valorizzare meglio le occasioni in cui le famiglie si sentono più coinvolte nell’accompagna-re i figli alla celebrazione dei sacramenti della iniziazione cristiana.

La catechesi battesimale potrebbe essere svolta nelle case dei genitori, possibilmente in orario concordato, in cui sia presente tutta la famiglia, ma anche i nonni, il padrino/madrina con cui avviare o consolidare rapporti di amici-zia e di vicinanza, che possano proseguire nel tempo e in-cidere nella formazione e nella vita di fede delle famiglie.

Anche i genitori dei bambini della prima confessione, della prima comunione e quelli dei ragazzi della cresima hanno bisogno di essere accompagnati in percorsi di for-mazione che né il catechista né il parroco possono portare avanti da soli. È questo un campo molto vasto di impegno, in cui occorre la disponibilità di coppie di sposi che curino una vera e propria rete di relazioni con le famiglie e sup-portino la formazione dei genitori, che sono i responsabili dell’educazione dei figli e della loro crescita nella fede. La presenza di famiglie formate è senza dubbio da promuove-re e sostenere accanto ai catechisti, agli educatori e ai gio-vani che svolgono attività negli oratori e nei Grest estivi.

In questa prospettiva è necessario tenere ben in vista alcune priorità.

In primo luogo bisogna aiutare le famiglie a vivere con maggiore consapevolezza la propria soggettività e la pro-pria identità, affinché non si lascino condizionare dai nu-merosi messaggi fuorvianti che oggi la bombardano e la invadono, e che la vorrebbero ridotta a semplice spazio af-fettivo basato sulle sole emozioni e sulle sole gratificazioni personali, privo di regole e di ruoli, senza impegno educati-vo e senza responsabilità intergenerazionale. Tutti i mem-bri della famiglia, in prima istanza i coniugi, devono esse-re aiutati a vivere quotidianamente l’amore fedele e gratu-ito attraverso relazioni interpersonali ispirati alla fiducia, al dialogo e al rispetto reciproco. È quanto ci chiede Papa Francesco: “È necessario non fermarsi ad un annuncio me-ramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone. La pastorale familiare «deve far sperimentare che il Vange-lo della famiglia è risposta alle attese più profonde della per-sona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nel-la reciprocità, nella comunione e nella fecondità” (AL 201).

In secondo luogo bisogna comprendere che le fami-glie non vanno trattate come destinatari passivi dell’evan-gelizzazione, quanto piuttosto come soggetti di evangeliz-zazione. oltre che annunciare il Vangelo alle famiglie dob-biamo far sì che siano le famiglie ad annunciare il Vange-lo ad altre famiglie.

2. La parrocchia: “famiglia di famiglie”8

Questo aspetto esige un rinnovato senso di correspon-sabilità delle famiglie per permettere alla parrocchia di tra-sformarsi essa stessa in una sorta di “famiglia di famiglie” (AL 202), che vive di uno scambio prezioso e arricchente

8 CEI, Comunione e comunità, 1981, 23.

La parrocchiafamiglia

di famiglie

Alcune indicazioni

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quali sono una risorsa importante, i loro talenti una vera ricchezza per tutta la comunità parrocchiale, in cui devo-no sentirsi protagoniste e “a casa” con l’aiuto di famiglie più mature ed esperte. Con Papa Francesco siamo convin-ti che “i primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato, durante il quale le coppie crescono nella consape-volezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’e-sigenza di un accompagnamento pastorale che continui do-po la celebrazione del sacramento. Risulta di grande impor-tanza in questa pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movi-menti ecclesiali e nuove comunità” (AL 223).

Non sempre questo avviene, pur riconoscendo che i primi anni di matrimonio sono di vitale importanza per la formazione della coppia e per la comprensione del signifi-cato del matrimonio.

Tutta la comunità deve sentirsi mobilitata per non la-sciare sole queste coppie e trovare il modo di incontrarle e di occuparsi di loro. Si sottolineano alcune iniziative con-crete da valorizzare: centri di ascolto della Parola, momen-ti di preghiera e di condivisione, la peregrinatio Mariae, la benedizione delle famiglie, recita del S. Rosario nel mese di maggio ecc.

È auspicabile che in ogni parrocchia ci sia un gruppo “visibile” di famiglie, che portano la testimonianza chiara della gioia di essere famiglia, pur con le preoccupazioni e le fatiche della vita quotidiana. Queste famiglie, che hanno maturato il senso della ministerialità coniugale e familia-re e che hanno acquisito le “competenze del cuore” molto possono fare nell’accogliere altre famiglie, andare incon-tro a quelle che “si affacciano” nelle nostre comunità, la-vorare concordemente con i sacerdoti e i catechisti nei va-ri percorsi comunitari, avere un’attenzione speciale verso le coppie separate, divorziate, in nuova unione.

Nessuno può affrontare da solo la complessità dei pro-cessi sociali e culturali oggi in atto. È necessario pertan-to fare rete. In molte città della nostra diocesi si è adottata la linea delle alleanze educative tra parrocchia, famiglie e scuola. La Chiesa non si sostituisce alla famiglia né favori-sce atteggiamenti di delega da parte di famiglie che si limi-tano a “parcheggiare” i propri figli in parrocchia.

Questa metodologia fatta di alleanze che sta portando molti frutti va rafforzata ed estesa. Una alleanza educativa non solo è possibile oggi, ma rappresenta una sfida impre-scindibile per l’educazione integrale delle nuove genera-zioni. Gli insegnanti di ispirazione cristiana, i docenti di re-ligione e gli educatori/catechisti potrebbero fare da ponte tra le famiglie, la parrocchia e la scuola.

3. Le giovani coppie: una risorsa

La preparazione immediata al matrimonio non sempre porta a una ripresa della fede, soprattutto quando questa è stata abbandonata negli anni dell’adolescenza. Urge in-vestire risorse nell’educazione all’affettività con la prepa-razione remota degli adolescenti e dei giovani, per comu-nicargli la bellezza dell’amore umano e il senso della voca-zione al matrimonio. Si propone di coinvolgere i nubendi nelle attività della parrocchia come la Caritas, l’aiuto agli ammalati, l’animazione liturgica e altre. L’èquipe degli ope-ratori potrebbe avvalersi della testimonianza di coppie di sposi, provenienti da altri settori della pastorale, per por-tare la loro esperienza di fede e di vita coniugale e familia-re. Può essere preziosa anche la testimonianza di famiglie ferite, che hanno sperimentato il dolore del fallimento del matrimonio e del loro progetto d’amore in cui avevano cre-duto e, tuttavia, hanno elaborato la loro sofferenza e han-no scelto di fare un cammino di vita cristiana.

È necessario valorizzare le giovani coppie di sposi le

Le giovanicoppie: risorsa

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Ancora più cura dobbiamo avere nei riguardi delle co-siddette famiglie ferite, nei confronti delle quali si percepi-sce oggi una più sincera apertura rispetto al passato, in cui non mancavano diffidenza e pregiudizi anche nelle parroc-chie. Alla luce del magistero di Papa Francesco, dopo le in-dicazioni dei due sinodi sulla famiglia, si riscontra un gra-duale mutamento di mentalità verso persone che vivono la prova e l’angoscia della separazione. L’annuncio di Cri-sto ai separati, ai divorziati, a chi ha formato una nuova fa-miglia, si traduce in queste semplici azioni: l’accoglienza, l’ascolto, l’accompagnamento e il discernimento.

L’accoglienza e l’ascolto di queste persone si possono tradurre in gesti semplici e immediati di vicinanza e in ini-ziative di integrazione e coinvolgimento nelle attività par-rocchiali. Questi due gesti competono alla comunità par-rocchiale tutta, a ciascuno di noi, chiamati a mostrare il vol-to materno della Chiesa. Non siamo autorizzati ad abban-donare nessuno né siamo chiamati ad esprimere giudizi.

L’accompagnamento e il discernimento, a loro volta, ri-chiedono più specifiche competenze e preparazione per le famiglie che sono disposte, insieme ai sacerdoti, a impe-gnarsi in questo delicato campo. Un’attenzione prioritaria va riservata ai figli delle famiglie ferite, affinché possano trovare nella grande famiglia/parrocchia, da parte di sa-cerdoti, catechisti, educatori e famiglie, una testimonian-za concreta di amore e di cura, indispensabile ad una cre-scita sana ed equilibrata.

5. Evangelizzare i legami familiari

In definitiva, annunciare il Vangelo della famiglia è an-nunciare l’amore trinitario che si riflette in modo partico-lare nell’amore sponsale della coppia, chiamata ad amarsi con un amore che viene da lontano, da Dio che “è amore” (cf. 1Gv 4). Significa annunciare la bellezza della genito-

4. Curare i legami fragili

Una particolare cura dobbiamo avere verso i cosiddetti “lontani” e “ricomincianti”. Per loro è necessario fare di più come ci invita Papa Francesco: “È vero che molte coppie di sposi spariscono dalla comunità cristiana dopo il matrimo-nio, ma tante volte sprechiamo alcune occasioni in cui tor-nano a farsi presenti, dove potremmo riproporre loro in mo-do attraente l’ideale del matrimonio cristiano e avvicinarli a spazi di accompagnamento: mi riferisco, per esempio, al Bat-tesimo di un figlio, alla prima Comunione, o quando parte-cipano ad un funerale o al matrimonio di un parente o di un amico. Quasi tutti i coniugi riappaiono in queste occasioni, che potrebbero essere meglio valorizzate. Un’altra via di av-vicinamento è la benedizione delle case, o la visita di un’im-magine della Vergine, che offrono l’occasione di sviluppare un dialogo pastorale sulla situazione della famiglia. Può an-che essere utile affidare a coppie più adulte il compito di se-guire coppie più recenti del proprio vicinato, per incontrar-le, seguirle nei loro inizi e proporre loro un percorso di cre-scita. Con il ritmo della vita attuale, la maggior parte degli sposi non saranno disposti a riunioni frequenti, e non possia-mo ridurci a una pastorale di piccole élites. Oggi la pastora-le familiare dev’essere essenzialmente missionaria, in usci-ta, in prossimità, piuttosto che ridursi ad essere una fabbri-ca di corsi ai quali pochi assistono” (AL 230).

L’errore che molte volte commettiamo, nell’avvicinare i “lontani” e “ricomincianti” è quello di presentare una fede che spesso rispecchia le nostre caratteristiche perso-nali e non il volto vero di Cristo, che consiste nell’assume-re lo stile proprio di chi attende e cerca, di chi accoglie e propone, di chi si approssima e accompagna, nella logica di un amore aperto alle fragilità e alle cadute, che fa speri-mentare l’infinita misericordia del Padre e che porta a con-fidare nell’azione dello Spirito Santo, il quale in ogni circo-stanza ci è sempre di aiuto.

Accoglienzae ascolto

Accompagna-mento e discernimento

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rialità che si coniuga nella maternità e della paternità qua-le capacità di accogliere il figlio come un dono di Dio da custodire, da far crescere e da orientare nelle scelte della propria vita; significa evangelizzare i rapporti di fraternità come esercizio alla prossimità, alla responsabilità recipro-ca, alla solidarietà e alla condivisione, perché da questa fra-ternità intra-familiare possa scaturire la fraternità sociale; da ultimo significa aiutare i figli ad essere figli, a coltivare il senso della gratitudine per la vita ricevuta, a sapersi pren-dere per mano per un uso costruttivo della propria libertà.

Se sapremo annunciare il Vangelo alla famiglia e della famiglia, penso che potremmo raggiungere tutte le fasce di età unite e collegate tra loro per un cammino completo e continuo sia umanamente che cristianamente.

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I GIOVANI: DA DEsTINATARI A pROTAGONIsTI DELL’ANNUNCIO

1. Evangelizzare in un contesto di fluidità

Come Chiesa diocesana, siamo chiamati a fare un cam-mino sinodale con tutta la Chiesa universale. Si tratta di “in-terrogarsi su come accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza, e an-che di chiedere ai giovani stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia”9.

Come sappiamo, le prime cose da fare sono: capire chi abbiamo davanti, fare discernimento e comprendere i grandi cambiamenti oggi in atto allo scopo di leggerli alla luce del Vangelo. Questo atteggiamento se vale per ogni attività pastorale, vale ancor più per i giovani10.

Dalla verifica fatta durante il Convegno Diocesano, è emerso che la gran parte dei giovani che frequentano le nostre comunità cristiane, come anche quelli più lontani dall’appartenenza ecclesiale, sono in realtà ancora nella fa-se adolescenziale, in età di scuola media superiore. Molti giovani oltre l’adolescenza non riescono a prendere parte a cammini di fede e vocazionali ordinari, perché si trasfe-riscono fuori diocesi, per motivi di studio o di lavoro. Il no-stro ascolto della realtà giovanile, di conseguenza, si rife-risce in buona parte alla fase adolescenziale.

Tuttavia, per annunciare il Vangelo ai giovani dobbia-mo tenere conto del fatto che ci troviamo “in un contesto di fluidità e incertezza mai sperimentato in precedenza […]

9 SINoDo DEI VESCoVI, “I giovani, la fede e il discernimento vo-cazionale”. Documento Preparatorio, Introduzione, sito internet vatican.va, 2017.

10 Ivi, VI.

Discernimento

Chi sonoi nostri giovani?

IV

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Questa situazione richiede di assumere uno sguardo integra-le e acquisire la capacità di programmare a lungo termine, facendo attenzione alla sostenibilità e alle conseguenze del-le scelte di oggi in tempi e luoghi remoti”11.

I giovani non vogliono essere percepiti come un proble-ma da risolvere, ma come una risorsa da impiegare. Non un ostacolo, ma un punto di forza su cui fare leva per spin-gere in avanti processi che a vario livello si sono blocca-ti. Non possiamo pretendere dai giovani di impegnarsi nel presente se non cominciamo a prospettare loro un futuro chiaro e trasparente, credibile e affidabile12.

I giovani sono depositari di una dignità che non deve essere elemosinata, ma riconosciuta e valorizzata. Non vo-gliono essere trattati come dei soggetti passivi che subi-scono le scelte decise da altri, ma vogliono partecipare at-tivamente nella costruzione del proprio futuro. «Non pochi tra loro desiderano essere parte attiva dei processi di cam-biamento del presente»13.

A livello religioso, i giovani più che essere “senza” Dio e “contro” la Chiesa, hanno “sostituito” Dio con altre forme di assoluto e aderiscono a nuovi riti e a nuove forme identi-tarie meno istituzionalizzate rispetto a quella della Chiesa. Essi non negano Dio, semplicemente lo ignorano perché nessuno lo annuncia loro in modo adeguato. Anche il rap-porto con la Chiesa è tale che proprio perché la contestano, la cercano. Eppure basta che incontrano una figura credibi-le – sia essa un sacerdote, un religioso o una religiosa, o un laico adulto affidabile – che testimoni loro la bellezza della fede, che subito si innamorano del Vangelo. I giovani non cercano adulti trasmettitori di verità astratte, né difensori di dogmi, ma testimoni di un amore affidabile e credibile14.

11 Ivi, I, 1.12 Ivi, I, 2.13 Ivi, III, 4.14 Cf. NoTE DI PASToRALE GIoVANILE, Editoriale, gennaio 2017.

2. Accogliere, ascoltare e accompagnare

La comunità cristiana, grazie alle sue figure educative (laici formati, giovani educatori, insegnanti, religiosi/e e presbiteri), incontra i giovani in diversi contesti, come ad es. la scuola, la famiglia, la parrocchia e alcune associazio-ni laicali. La questione è: come rapportarsi?

I giovani vanno accolti e ascoltati. Infatti, come è emer-so dai Tavoli del Convegno, l’ascolto attento è una necessi-tà che s’impone nella complessità dell’attuale società nel-la quale i giovani vivono e interpretano se stessi attraver-so una serie di messaggi spesso confusi e ambigui. Solo un’accoglienza premurosa dell’universo adolescenziale, fatto di bisogni e desideri propri, può far sorgere relazioni generatrici di senso che possano fare da presupposto per un vero cammino di fede e rendere concreto l’annuncio.

Le nostre comunità devono essere più pronte ad ascol-tare i giovani, approfittando delle molteplici occasioni che si presentano, da quelle informali agli incontri più forma-li e formativi, dove si può raggiungere una maggiore inte-sa e un buon livello di profondità. Ascoltare i giovani non significa “starli a sentire”, ma creare tante occasioni per cercarsi, per conoscersi, per dialogare anche con se stes-si, per fare - in compagnia di quanti si prendono cura di lo-ro - un viaggio nel loro mondo interiore spesso caotico e disarticolato, allo scopo di trovare dentro di sé quella fa-me e quella sete di amore che è la stessa sete di Assoluto, di Bene, di Bellezza e di Verità, che se ben guidati li porte-rà ad aprirsi alla ricerca di Dio.

Dagli adulti, e in modo particolare dai sacerdoti, i giova-ni e gli adolescenti si aspettano d’essere accolti così come sono, senza pregiudizi, e di essere ascoltati profondamen-te, per essere guidati e non plagiati, rispettati e non usati. Se si innescano rapporti ispirati alla fiducia e alla relazio-ne, accoglieranno volentieri anche indicazioni e consigli, attendendosi qualcosa di davvero importante.

Accoltie ascoltati

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seguente innesto nella vita di fede ordinaria della Comu-nità (post-cresima), che comprende la consapevole parte-cipazione alla messa domenicale e l’inserimento dei giova-ni cresimati nei percorsi educativi rivolti agli adolescenti.

Un innesto che è facilitato quando s’instaura una rela-zione solida tra la comunità educante e la famiglia, come nel caso di alcune parrocchie, dove tutti i cresimati parte-cipano alla vita parrocchiale, proprio grazie al legame tra educatori e genitori.

Ben vengano i Weekend vocazionali organizzati dal Servizio diocesano per la pastorale giovanile e la pastorale vocazionale, unitamente al Seminario Diocesano. Un cam-mino importante per tanti adolescenti e giovani, da poten-ziare ulteriormente sia nel numero degli incontri, sia nella proposta, per far sperimentare, attraverso contributi e per-sone significative, la bellezza della chiamata di Dio e del-le grandi scelte di vita.

Un’altra opportunità rilevata per i giovani sono i Cen-tri di ascolto, tipici di una Chiesa in uscita e missionaria, dove in passato è stato possibile rendere protagonisti i gio-vani e instaurare legami significativi nel quartiere e quin-di nella parrocchia di riferimento.

Anche i luoghi di aggregazione giovanile sono una sfida. Tra quelli di maggiore successo fuori dall’ambito ec-clesiale, sicuramente vi è il volontariato, nelle sue molte-plici forme. Il volontariato è, in effetti, un grande catalizza-tore di energie giovanili anche in ambito intra-ecclesiale.

Nel contesto parrocchiale, invece, oltre ai consueti in-contri del gruppo giovani, raccolgono consenso incontri specifici sulla preghiera, sperimentata in maniera più con-sapevole e profonda, che sa valorizzare il corpo come espe-rienza di crescita e tutte le facoltà umane al fine di approfon-dire la relazione con Dio e intuire doni e carismi personali.

Ricordo anche in queste linee pastorali il campo volon-tari Io CI STo, è uno dei modi nostri di metterci a servi-zio dei migranti.

Sentono il bisogno di toccare il Vangelo con le loro ma-ni, vivendolo nel quotidiano, per trovare risposte a tutte quelle domande che nessuno nella società di oggi sa ascol-tare davvero, perché interessati più a speculare sui loro bi-sogni che a soddisfare la loro domanda di senso e di feli-cità autentica.

Eppure tutto ciò non basta. Con i giovani bisogna innan-zitutto starci, vivere, passando (o “perdendo”) tempo con loro. Quando i giovani scoprono che si vuole stare con lo-ro, poiché la presenza comunica loro dedizione, cura e af-fidamento, allora facilmente cadono le barriere e si viene a instaurare quella relazione educativa fondata sulla fiducia e sulla valorizzazione del proprio mondo personale, ren-dendo così possibile un cammino insieme.

3. Le sfide che diventano opportunità

I giovani rappresentano una sfida per la nostra Chie-sa, che noi dobbiamo trasformare in vere e proprie op-portunità.

La prima sfida, forse la più evidente, è quella della par-tecipazione: gli adolescenti e i giovani hanno il desiderio di passare da spettatori passivi della vita sociale ed ecclesiale ad attori responsabili della loro crescita e di quella della co-munità. In questo passaggio hanno bisogno però di un buon coordinamento da parte delle varie agenzie educative e di un buon accompagnamento nella fede, oltre che di un reale coinvolgimento, non solo nelle attività pedagogiche, ma an-che nei vari organismi di partecipazione, sociali ed ecclesiali.

Connessa a questa vi è poi la sfida del lavoro e dell’occu-pazione, che incide notevolmente sul vissuto dei giovani, desiderosi di costruire il loro futuro.

In riferimento al contesto ecclesiale invece, una sfida ormai evidente è quella legata all’ultimo passo del cam-mino di iniziazione cristiana, che è la cresima, e al con-

Partecipazione

Lavoro

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3.1 partecipazione e missionarietàMa che cosa chiedono concretamente i giovani alla

Chiesa di oggi e alle nostre comunità ecclesiali? Sicuramente si attendono che mostriamo più chia-

ramente la gioia della nostra fede e la sincerità della no-stra carità. Sperano di poter trovare nelle nostre comu-nità quanto manca nelle loro famiglie, lacerate dalla divi-sione, quanto manca nella società segnata dall’individua-lismo sfrenato.

Quanti partecipano alle nostre liturgie, segnalano due cose concrete che riguardano la celebrazione dell’eucare-stia: chiedono da un lato che il linguaggio delle omelie e in generale l’annuncio sia semplice, più legato al quotidia-no che alle grandi categorie teologiche; dall’altro, chiedo-no liturgie più partecipate, il che significa partecipazione attiva dei fedeli laici e uno spazio maggiore di espressione della fede, come ad esempio nell’organizzazione dei canti della messa. E per tutti gli ambiti poi chiedono cose meno specifiche, ma altrettanto importanti: credibilità, presen-za, testimonianza e un maggiore spazio di libertà e di valo-rizzazione delle idee.

Un punto critico riguarda proprio gli spazi di parteci-pazione dei giovani nella comunità ecclesiale. Una picco-la parte dei giovani che frequentano le nostre comunità trova certamente il loro spazio di partecipazione come educatori dei gruppi di età inferiore (ragazzi e giovanis-simi); spesso non possiedono strumenti formativi suffi-cienti, ma con la loro presenza sul campo si rendono di-sponibili, responsabili e, come fratelli maggiori, trainano i più piccoli nell’esperienza di fede e di fraternità. Caren-te invece è la presenza dei giovani negli altri ambiti della vita ecclesiale, come ad esempio negli organismi di par-tecipazione e in altri incarichi pastorali, dove potrebbero quantomeno affiancare gli adulti o il parroco, ad esem-pio nella liturgia, nella benedizione delle famiglie, nella visita ai malati etc.

Per superare questi punti di criticità è auspicabile pre-disporre nelle parrocchie una maggiore partecipazione dei giovani alla vita ecclesiale, affidando compiti di responsa-bilità con l’accompagnamento degli educatori più esper-ti e del parroco.

Per i giovani l’annuncio si realizza uscendo. Per questo è necessario promuovere la missionarietà

dei giovani soprattutto negli ambiti di loro pertinenza co-me la famiglia, la scuola e il mondo dei pari.

Essi sono attratti dalla gioia e dalla vitalità. Annuncia-re la Parola di Dio, oggi, significa abbandonare gli schemi classici ecclesiali e correre incontro alle loro esigenze, rag-giungendoli nei luoghi della loro quotidianità.

Le parrocchie si facciano interpreti attente delle doman-de non sempre esplicite dei giovani e sappiano farsi cari-co del grido di protesta delle nuove generazioni che, ango-sciate dalla noia, si allontanano da un ambiente che sento-no opprimente se non addirittura superato.

3.2 Giovani “fuori”Un’attenzione particolare va data poi ai luoghi in cui riu-

sciamo ad incontrare i giovani che non frequentano gli am-bienti ecclesiali, quelli che qualcuno ha definito “fuori dal recinto”. I principali sono la scuola e la famiglia. Altri sono il volontariato, le associazioni e alcuni movimenti ecclesia-li, che hanno nel proprio carisma il recupero all’esperienza di fede e sacramentale di chi si è allontanato, per vari mo-tivi, dall’appartenenza ecclesiale o di chi semplicemente è ancora in ricerca spirituale.

Per poter predisporre un incontro con i giovani “lonta-ni”, è necessaria una maggiore formazione degli edu-catori e dei presbiteri ai linguaggi e alle esperienze del-le attuali generazioni, perché l’annuncio del Signore Ge-sù non risulti estraneo alla loro esperienza, ma sia invece incarnato nel loro vissuto quotidiano fino a rappresentar-

I “luoghi” dei giovani

Spazi di partecipazione

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ne il senso autentico. Se la parrocchia non riesce più a es-sere il punto di aggregazione e di attrazione dei giovani, deve andare da loro attraverso dei percorsi non specifica-tamente “religiosi”, ma impregnati di gesti di amore con-creto, che si realizza in un accompagnamento paziente e significativo proprio nel periodo della vita di maggiori in-certezze e sperimentazioni.

Questo esige che la Chiesa diventi sempre più una co-munità di “esploratori della Misericordia”, in uscita e capa-ci di farsi carico delle fatiche esistenziali dei giovani.

Con il Progetto Policoro si prova a dare ascolto alle dif-ficoltà concrete dei giovani a livello sociale ed economico, affiancandosi ad essi e avviandoli verso una progettualità imprenditoriale.

3.3 Gli accompagnatoriIn tutte le parrocchie ci sono incontri di formazione di

gruppo per fasce di età, rivolti a ragazzi, giovani, fidanzati e famiglie, e momenti di preghiera comunitari per le voca-zioni alla vita consacrata e matrimoniale. Per accompagna-re i giovani nel loro cammino di fede e nella crescita voca-zionale, occorre una formazione continua e specifica degli educatori. Non venga mai meno l’offerta di momenti for-mativi a livello diocesano, vicariale e cittadino.

Vi sia una maggiore collaborazione tra sacerdoti ed edu-catori. Infatti, gli accompagnatori affiancati dal sacerdote sentono maggiore sicurezza e autorevolezza. I ragazzi, ve-dendo la stretta collaborazione tra le due figure di riferimen-to, creano un rapporto empatico con l’educatore e si lascia-no coinvolgere maggiormente nelle attività avvicinandosi.

Gli accompagnatori vanno formati. Da qui la necessità di organizzare percorsi di formazione permanente con un taglio culturale, umano, spirituale e pastorale, per conosce-re la realtà dei giovani e predisporre un accompagnamento nella fede autentico, non improvvisato e che trasmetta con-tenuti e atteggiamenti autenticamente cristiani.

Per quanto riguarda l’equipe dei formatori essa deve es-sere multi-generazionale, con più figure specializzate che siano riferimento per i ragazzi: educatori adulti con espe-rienza in vari campi, educatori giovani più vicini nella com-prensione delle problematiche giovanili, sacerdoti e reli-giose che fungano da guide spirituali e, se presenti in par-rocchia, esperti in campi specifici (come psicologi, edu-catori professionisti ecc) Si propone che anche in parroc-chia si crei un’equipe della pastorale giovanile sulla scia dei Weekend vocazionali: un sacerdote, un religioso/a, una coppia di sposi che possano assicurare uno scambio rela-zionale e vocazionale maggiormente efficace.

In alcune esperienze, è emerso quanto sia stato provvi-denziale che ad accompagnare il gruppo sin dall’infanzia ci sia stata una figura costante di riferimento. L’educatore ha un ruolo di grande responsabilità perché diventa spesso la prima figura con cui il giovane si interfaccia, è un primo accompagnatore che non può e non deve deludere un gio-vane che ha sete di scoprire la bellezza della vita con tutti i suoi alti e bassi. L’educatore deve accompagnare il giova-ne verso un sacerdote; è bene che il giovane senta “l’odo-re del pastore” così come il sacerdote debba poter sentire “l’odore delle pecore”, per citare Papa Francesco.

3.4 sinergie con le famiglieAnche le famiglie dei nostri giovani non sempre sono

raggiunte dalle proposte della pastorale giovanile. Lì do-ve sono coinvolte le famiglie è maggiore anche la parte-cipazione dei figli. È necessaria un’alleanza reale tra par-rocchia – giovani – famiglia. L’educazione dei figli diventa un’occasione di rinascita e di ripresa del cammino di fede anche per i genitori. Diventa importante, dunque, creare maggiore sinergia tra i gruppi giovani e i gruppi famiglia.

Formare gli accompagnatori

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3.5 Liturgia e vocazioniIn ambito liturgico, è necessaria una verifica dei lin-

guaggi e dell’armonia celebrativa, oltre a un maggiore coinvolgimento dei giovani nei vari ambiti dell’animazio-ne. A riguardo è fondamentale che ogni parrocchia abbia il Gruppo dei ministranti, occasione per tanti di formazione alla fede celebrata. Si può fare tale proposta anche ai gio-vani, e non solo ai bambini, in maniera tale che, coordina-ti dai catechisti o da altre figure ministeriali, potrebbe di-ventare un’esperienza generativa della fede e delle voca-zioni alla vita consacrata e al ministero ordinato.

3.6 Affettività e social networkL’evangelizzazione dei giovani passa in modo partico-

lare attraverso una adeguata alfabetizzazione affettiva, do-ve, fin dall’età della preadolescenza, si deve fare chiarezza della grande vocazione all’amore alla quale tutti, uomini e donne, siamo chiamati. Il già citato Documento pre-sino-dale sottolinea che “la vocazione all’amore assume per cia-scuno una forma concreta nella vita quotidiana attraverso una serie di scelte, che articolano stato di vita (matrimonio, ministero ordinato, vita consacrata, ecc.), professione, mo-dalità di impegno sociale e politico, stile di vita, gestione del tempo e dei soldi, ecc. Assunte o subite, consapevoli o incon-sapevoli, si tratta di scelte da cui nessuno può esimersi. Non possiamo lasciare soli i nostri giovani in questo cammino di scoperta della propria identità e delle loro potenzialità, e, di conseguenza della loro vocazione. Per assolvere a tale com-pito difficile e delicato ci vogliono educatori accorti e dispo-nibili, ma anche capaci di aiutarli a fare “discernimento”, il cui scopo è scoprire come trasformare [le loro aspirazio-ni], alla luce della fede, in passi verso la pienezza della gio-ia a cui tutti siamo chiamati”15.

15 Ivi, Introduzione.

È necessario puntare molto l’attenzione sulle dinami-che affettive e relazionali, accompagnando i giovani nel ri-conoscere quanto vivono e come interiorizzano i vissuti, ed educarli ad esporsi in maniera sana e oblativa in rela-zioni autentiche e libere.

I giovani di oggi certamente sono più soli rispetto a quelli di una volta, come afferma il Documento pre-sinoda-le: “Le giovani generazioni sono oggi caratterizzate dal rap-porto con le moderne tecnologie della comunicazione e con quello che viene normalmente chiamato “mondo virtuale”, ma che ha anche effetti molto reali. Esso offre possibilità di accesso a una serie di opportunità che le generazioni prece-denti non avevano, e al tempo stesso presenta rischi. È tut-tavia di grande importanza mettere a fuoco come l’esperien-za di relazioni tecnologicamente mediate strutturi la conce-zione del mondo, della realtà e dei rapporti interpersonali e con questo è chiamata a misurarsi l’azione pastorale, che ha bisogno di sviluppare una cultura adeguata”16.

Per tali ragioni è opportuno che la questione dei social network sia affrontata assieme ai giovani per conoscere il loro modo di rapportarsi con i media, tanto diverso da quel-lo degli adulti che non sono “nativi digitali”.

Dai giovani si può apprendere tutto il potenziale di ta-li mezzi soprattutto come “condizionino” la visione della realtà.

Gli adulti possono far emergere il giusto sospetto per alcune derive possibili dall’uso inadeguato di tali mezzi.

In conclusione ben vengano tutte quelle iniziative pasto-rali che possono mettere a contatto i giovani più in profon-dità con la bellezza della chiamata di Dio e della scelta di vita proposte dal Vangelo, affinché possano, da protagoni-sti, sentirsi stimolati dal confronto con gli altri, pronti ad al-largare gli orizzonti della loro vita anche con nuove amici-zie, gioiosi nel condividere il cammino di fede che stanno

16 Ivi I, 2.

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vivendo. Penso ad es. alle Giornate Mondiali della Gioven-tù, sia a livello internazionale che diocesano: si presenta-no come un’occasione per ripartire, dato che queste espe-rienze favoriscono conoscenze, confronto con altre cultu-re e il possibile riavvicinamento e riscoperta della fede.

Anche i campi scuola parrocchiali e diocesani sono luo-ghi di formazione, scuola di preghiera, conoscenza e con-divisione. Queste iniziative uniscono e creano alleanze, so-no l’inizio per andare oltre con generosità e gratuità; sono occasioni di crescita ed esperienze che si portano dentro per tutta la vita; sono momenti in cui è possibile verifica-re il proprio orientamento vocazionale. È opportuno per-mettere che i giovani sperimentino le relazioni in contesti propositivi e positivi e riportino queste esperienze nel vis-suto ordinario.

Infine, si auspica un miglior collegamento tra il mon-do della scuola e il mondo del lavoro, partendo da risorse già presenti in diocesi come il MSAC e il Progetto Policoro.

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pAsTORALE sOCIALE:LE CONsEGUENZE sOCIALI

DELL’ANNUNCIO

1. La dimensione sociale dell’annuncio

Un’altra priorità che ci sta dinanzi riguarda la necessità di annunciare il “Vangelo sociale”, intendendo con quest’ul-timo l’insieme delle conseguenze che il Vangelo può pro-durre nei vari ambiti della vita sociale seguendo le indica-zioni della Dottrina Sociale della Chiesa. Infatti come sot-tolinea il Papa: “Il kerygma possiede un contenuto ineludi-bilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui cen-tro è la carità” (EG 177).

Dai Tavoli del Convegno è emerso che nelle parrocchie si parla troppo poco di temi sociali, o quasi per nulla. Molti pensano che siano scollegati dalla liturgia e dalla cateche-si, come anche dalla carità. Tutt’altro. L’attenzione ai temi sciali è la conferma di quanto crediamo e di quanto celebria-mo. È il banco di prova di quanto annunciamo.

Purtroppo, spesso manca nel cammino di catechesi un riferimento serio e costante alla dimensione sociale, ai te-mi ambientali, ai temi di morale economica e di etica delle professioni. Solo in poche parrocchie si parla della Dottri-na Sociale della Chiesa. Sia chiaro che senza la formazione sociale dei battezzati e degli operatori pastorali – special-mente dei laici – non ci potrà mai essere un’animazione cri-stiana del territorio, delle istituzioni, del mondo del lavoro, dei luoghi di produzione e di commercio, né potranno sor-gere autentiche vocazioni di laici impegnati nella società ci-vile e nella politica, nella scuola e nel mondo della cultura, nelle opere di volontariato e nelle associazioni. Dobbiamo

V

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Illegalità

Il lavoro

evitare di cadere in quella povertà formativa denunciata al Convegno di Firenze: “Molti nostri operatori sono animati da un grande cuore, ma il grande cuore non basta». Quan-do prevalgono questi elementi, l’annuncio si fa difficile, im-possibile o sterile. Serve piuttosto formazione, comunione, creatività e credibilità per annunciare”17.

A riguardo, nella nostra diocesi, in questi ultimi anni, sono stati proposti dall’Ufficio per la Pastorale Sociale e dai responsabili del Progetto Policoro molti percorsi di for-mazione come opportunità per aprirsi ad un annuncio che fosse in grado di tradurre il Vangelo in quei processi la cui posta in gioco era l’idea di uno sviluppo equo e solidale, ri-spettoso dei diritti di tutti e soprattutto di quelli meno tu-telati. È stato anche fatto notare che a tali percorsi hanno aderito pochissime parrocchie.

Come si può portare avanti l’annuncio del Vangelo alle famiglie e ai giovani se poi questi sono distratti da proble-mi e da processi, la cui origine si trova proprio nelle disu-guaglianze e nelle ingiustizie di tipo economico, sociale, civile e politico? Pensiamo ad alcune questioni come il la-voro che non c’è, lavoro sottopagato, il lavoro nero, le varie forme di ingiustizia sociale che generano povertà che cal-pesta la dignità delle persone coinvolte e che spesso sono motivo di contrasti familiari che possono portare alla rot-tura dei legami in essi istituiti; o si pensi all’idea sbagliata di politica che invece di perseguire il bene comune diven-ta uno strumento in mano a pochi per tutelare gli interes-si di una ristretta casta, compromettendo lo sviluppo delle nostre città e il futuro dei nostri giovani; oppure si consi-deri il fenomeno increscioso della illegalità, specie di quel-la gestita dalla criminalità organizzata che anche nel no-stro territorio diocesano non disdegna di reclutare nuova manovalanza presso i più giovani, promettendo loro facili

17 5° Convegno Ecclesiale Nazionale Firenze 9-13 Novembre 2015 “ANNUNCIARE” Sintesi e proposte Prof.ssa Flavia Marcacci)

guadagni, compromettendo la loro libertà e lo sviluppo in-tegrale della loro personalità; oppure, da ultimo, si pensi ai temi dell’ambiente che esigono che si assuma una pro-spettiva di ecologia integrale che sappia coniugare insie-me sviluppo economico, sviluppo umano, sviluppo urbani-stico e rispetto per l’ambiente.

A riguardo, faccio mio l’invito di Papa Francesco: “Nes-suno può esigere da noi che releghiamo la religione alla se-greta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vi-ta sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avveni-menti che interessano i cittadini. […] Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere va-lori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passag-gio sulla terra” (EG 183).

2. Alcune indicazioni

Alla luce di quanto esposto fin qui ecco alcune indica-zioni.

ogni parrocchia, abbia tra i componenti del proprio Consiglio Pastorale Parrocchiale, un referente per la pasto-rale sociale. L’insieme di questi referenti parrocchiali po-tranno costituire il gruppo di formatori che, formati loro per primi, dovranno in seguito formare nelle varie parroc-chie altri operatori e con questi stilare progetti di anima-zione sociale. L’obiettivo è quello di far arrivare nella ca-techesi ordinaria tutte le più importanti tematiche sociali contenute nella Dottrina Sociale della Chiesa.

In ogni città si può pensare a istituire un Forum sociale delle parrocchie, il quale, attraverso laboratori interparroc-chiali su tematiche relative alla vita civile e politica, possa favorire quella coesione tra credenti necessaria alla elabo-razione di iniziative di promozione umana e sociale e alla

Ambiente

Alcuneindicazioni

Referenteparrocchialeper la pastoralesociale

Forum sociale

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denuncia di tutti quei processi e fatti che sono palesemen-te in contrasto con il Vangelo.

Auspico inoltre una maggiore collaborazione tra la Ca-ritas, la pastorale giovanile e la pastorale sociale.

Le Caritas e le comunità parrocchiali devono essere in grado di fare un salto di qualità, educando i propri giovani ad una mentalità imprenditoriale e di cooperazione, e an-che, laddove questo è possibile, alla costituzione di impre-se e di cooperative, con l’idea che bisogna produrre una ric-chezza non solo di natura finanziaria, ma anche e soprat-tutto di natura sociale. A questo scopo, dai Tavoli del Con-vegno è venuta fuori la proposta della creazione di un “cre-dito diocesano” in favore di iniziative progettuali volte alla realizzazione di attività sociali e lavorative che passino at-traverso una adeguata formazione.

Sono però necessarie due cose: la prima riguarda una maggiore apertura alle istituzioni e ad altre associazioni per dialogare e confrontarsi con tutti, senza tuttavia per-dere la nostra specificità e identità. La seconda riguarda la creazione di una rete tra le parrocchie e le varie realtà asso-ciative ecclesiali per lo scambio e la condivisione di buone prassi e di iniziative progettuali in favore delle comunità e di quanti vivono in situazioni di precarietà e di povertà.

LA MIssIONE DEI LAICI

1. I laici, tra parrocchia e territorio

Se l’annuncio del Vangelo deve essere fatto al mondo e nel mondo, chi meglio di coloro che già stanno nel mon-do possono farlo? Costoro sono i laici. Sono infatti convin-to che l’apporto di laici ben formati potrebbe essere de-terminante per l’annuncio del Vangelo in alcuni settori che difficilmente sarebbero raggiungibili da una pastora-le ordinaria18.

I laici, infatti, sanno intercettare le domande dell’uomo di oggi, sanno interpretare i processi e sanno leggere al-la luce del Vangelo i grandi cambiamenti che sfidano il no-stro annuncio.

Una Chiesa che desidera uscire per farsi vicina alla vi-ta delle persone, delle famiglie, delle comunità, è per for-za di cose una Chiesa che deve fidarsi dei laici e affidar-si ai laici, perché sono proprio loro che per primi possono condurre la Chiesa per le strade della vita quotidiana, ne-gli spazi della convivenza civile, nel cuore dei processi cul-turali, economici e sociali del nostro tempo.

I laici non sono i “cristiani della domenica”, ma al con-trario sono i “credenti nel quotidiano”. Essi stanno dapper-tutto e abitano anche le “periferie del mondo”, fino ad arri-vare alle “periferie esistenziali”19. Grazie ai laici impegnati, come Chiesa possiamo raggiungere ogni ambiente e ogni ambito della vita, ogni angolo della nostra città e portare il Vangelo non a parole, ma con la testimonianza.

18 PAPA FRANCESCo, Discorso alla plenaria del Pontificio Con-siglio per i laici, 2016.

19 http.//…/IL-VANGELo-DEL-QUoTIDIANo-201611.pdf

VICollaborazionetra Caritas,

Pastorale Giovanile

e Pastorale Sociale

Laicinel mondo

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2. Annunciare il Vangelo sulle soglie della vita

Il Vangelo è sempre da incarnare nelle varie situazio-ni di vita e nei passaggi esistenziali. Tocca ai laici saper coniugare il Vangelo con i grandi interrogativi di og-gi. Tenendo conto del lavoro svolto ai Tavoli del Conven-go e delle tante sfide a cui è chiamata a rispondere la no-stra fede, mi sembra che i laici possano annunciare il Van-gelo privilegiando alcune dimensioni in esso contenute.

a) In primo luogo c’è la sfida dell’analfabetismo affetti-vo, che impone l’esigenza di annunciare il “vangelo degli affetti”. oggi assistiamo ad un’affettività diluita, frammentaria e fragile che rende precarie e instabi-li tutte le relazioni umane con gravi conseguenze sul-la serenità e sulla maturità delle persone e che spes-so è di ostacolo all’accoglienza della fede. Gesù stes-so, d’altronde, durante tutto il suo ministero ha incon-trato persone con un’affettività disordinata e confusa, bisognosa di essere indirizzata e valorizzata nel sen-so giusto. Annunciare il “vangelo degli affetti” signifi-ca evangelizzare l’amore e i sentimenti sia nel loro na-scere che nel loro maturare. Con la loro testimonian-za di vita, i laici sono chiamati ad essere adulti affida-bili che si fanno garanti di legami duraturi e profondi.

Il “vangelo degli affetti” riguarda soprattutto gli adole-scenti e i giovani che si affacciano per la prima volta all’esperienza dell’innamoramento, o che scoprono il proprio corpo e sono dibattuti se trattarlo come un og-getto da esibire o come un sacramento il cui alfabeto è tutto da scoprire. Esso riguarda anche gli sposi lun-go il cammino del loro matrimonio. I laici annuncian-do il “vangelo degli affetti” riusciranno a orientare e a dare un senso più ampio e profondo ai sentimenti e a quelle altre emozioni che riguardano tutti gli stati di vita, le attese e le speranze, i desideri e le delusioni21.

21 PAPA FRANCESCo, Udienza, 2 settembre 2015.

Due pertanto sono i compiti dei laici: portare tutta la ric-chezza della vita della comunità parrocchiale nel cuore del territorio-quartiere e portare la vita e i problemi del terri-torio-quartiere nel cuore della comunità parrocchiale. Essi sono coloro che, attenti al territorio e ricchi di una fede ma-turata in parrocchia, alla scuola della Parola, si fanno garan-ti di questa feconda osmosi tra parrocchia e territorio. Non siamo chiamati a giudicare, ma ad inserirci, ad essere nel-la pasta come lievito e non come scure che taglia l’albero per il solo fatto che non porta ancora frutto (cf. Lc 13,6-9).

Dai Tavoli del Convegno è emerso che il ruolo dei laici è determinante nell’aiutare la nostra diocesi a passare da una “pastorale di conservazione” ad una “pastorale più mis-sionaria”, per fare dialogare fede e vita, Vangelo e cultu-ra. Se non si lasciano clericalizzare, consapevoli della pro-pria vocazione, i laici possono dare quella svolta missio-naria necessaria alla pastorale, affinché questa sia davve-ro “capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale di-ventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mon-do attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma del-le strutture, che esige la conversione pastorale, si può inten-dere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tut-te più missionarie” (EG 27).

Mi aspetto molto dai laici nella misura in cui sapran-no fare la scelta di mettersi a servizio del contesto sociale, culturale, ecclesiale nel quale vivono per trasformarlo dal di dentro (cf. LG 31)20, gettando in esso il seme buono del Vangelo e per generare nuovi dinamismi, come il fermen-to del Vangelo che fa lievitare tutta la pasta.

20 È opportuno riprendere i testi del Concilio Vaticano II: Lumen Gentium, Apostolicam Actuositatem, Gaudium et Spes.

Una pastorale che osa…

“Vangelodegli affetti”

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b) Un altro fronte sul quale i laici oggi sono impegna-ti a vivere l’impegno dell’evangelizzazione è quello di annunciare il “vangelo della generatività” che ri-guarda tutte le varie forme del generare. Esso ab-braccia il “vangelo della paternità e maternità” re-sponsabili, sia quando nasce un figlio sia quando i genitori aiutano gli altri genitori ad accogliere i figli come un dono di Dio e non come una semplice sod-disfazione del proprio desiderio. Esso abbraccia an-che il “vangelo della genitorialità” quando i laici spo-sati e i genitori affiancano altri genitori nella diffici-le arte di educare, per aiutare i propri figli a svilup-pare la propria personalità nel rispetto della liber-tà. I laici sono impegnati ad annunciare il “vangelo dell’educazione”, alla luce del quale possono aiuta-re gli educatori a impostare una relazione educati-va significativa nei vari ambienti: dalla famiglia alla scuola, dalle associazioni alla parrocchia, dai grup-pi amicali alle relazioni sociali di quartiere. Solo co-sì i laici sapranno essere generativi, dando speran-za e fiducia a quanti, sentendosi impotenti di fron-te alla grande sfida educativa di oggi, appaiono sco-raggiati e rinunciatari22.

c) Poi c’è da annunciare il “vangelo del lavoro” special-mente quando il lavoro è ridotto alla sola dimensio-ne produttiva e remunerativa; o quando lo si perde e ci si sente morsi dalla precarietà e dall’abbandono; o quando lo si cerca senza trovarlo e si incappa nel-lo scoraggiamento che può portare molte persone, specie giovani e adulti-giovani, ad aderire a forme il-legali di lavoro e di sfruttamento. Il vangelo del lavo-ro riguarda anche la necessità di illuminare il modo

22 M. SEMERARo, La comunità cristiana grembo capace di gene-rare, Relazione di fondo al CED della diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, 2015.

con cui il lavoro deve essere organizzato in rappor-to ai diritti delle persone e nel rispetto della propria dignità e dell’ambiente, o anche in rapporto al biso-gno di fare festa per onorare nel giorno del Signore il proprio Creatore23.

d) Vi è poi il “vangelo della fragilità” che caratterizza la nostra vita fin dalla nascita e che ci colpisce nelle varie fasi della vita, prima fra tutte la fragilità lega-ta alla nostra libertà e quindi al peccato che ci divi-de dentro e fuori, che ci fa perdere la radice del no-stro essere, e che ci fa smarrire la mèta del nostro esistere. La fragilità affettiva che ci impedisce di in-staurare legami duraturi e solidi, che non ci fa vive-re con responsabilità gli impegni assunti, ma che ci fa cedere alla seduzione di emozioni facili. Grazie al Vangelo, i laici sono chiamati a farsi compagni di viaggio di tutte le persone che soccombono nelle lo-ro fragilità, consapevoli che la Grazia è superiore al-la caduta24.

e) A questo si aggiunge il “vangelo della sofferenza”: quando la malattia, propria e altrui, bussa alla por-ta della nostra vita e ci costringe a fare i conti con la nostra capacità di credere e di non disperare. Il dolore trafigge le nostre credenze e mette alla pro-va le nostre verità, a volte ci fa sentire Dio lontano e indifferente. I laici nelle varie forme di volontaria-to e di carità sono chiamati ad evangelizzare il dolo-re non per avere la pretesa di eliminarlo, ma per da-re un senso nuovo al nostro soffrire alla luce del mi-stero della passione e della croce di Cristo25.

23 PAPA FRANCESCo, Discorso ai lavoratori di Terni, 2014.24 PAPA FRANCESCo, Amoris Laetitia, nn. 256-291-297-306-308-

312.25 GIoVANNI PAoLo II, Salvifici doloris, cap. VI, 1984.

Vangelo della generatività

Vangelo della genitorialità

Vangelo dellaeducazione

Vangelo del lavoro

Vangelo della fragilità

Vangelo della sofferenza

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f) Infine, i laici, specie se sposati, sono chiamati ad an-nunciare il “vangelo della famiglia” che illumina la bellezza dei legami di amore e di cura che in essa si creano: quello della sponsalità ispirata al dono di sé, alla fedeltà, alla reciprocità e alla complementarie-tà. Grazie ad Amoris laetitia (AL 89-119) sappiamo che l’Inno alla carità di S. Paolo (1 Cor 13,1-13) può essere il testo di riferimento per scrivere una nuova grammatica delle relazioni familiari.

Laici formati e appassionati, afferrati da Cristo e in-namorati del Vangelo sono i veri annunciatori di og-gi. In questo modo non si vuole parcellizzare o ac-comodare il Vangelo rischiando di fargli dire cose che non dice, ma avere una sorta di mappa variegata di persone che potranno essere raggiunti nelle loro situazioni di vita. Questo esige però da parte nostra quella doppia conversione “pastorale” e “missiona-ria” tanto auspicata da Papa Francesco.

Solo laici aperti e capaci di dialogare, laici capaci di fare discernimento potranno aiutare le nostre co-munità a spostarsi e a traslocare nei vari vissuti della gente, a trasformare gli ambiti di vita in vere soglie della fede.

I laici sono i credenti che ci aiuteranno non solo ad essere una chiesa capace di uscire, ma addirittura di essere nomade, di dialogare e di andare a cercare la gente nei punti di passaggio e nei crocevia, spes-so fatta di valli oscure, dove il Vangelo può costitui-re una luce di speranza26.

26 Cf. Ps 23.

Vangelo della famiglia

Laici formati appassionati e

afferrati da Cristo

Conversione pastorale

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CONCLUsIONE

Al termine di queste Linee pastorali vorrei solo enu-cleare tre aspetti riepilogativi di quanto detto nelle pagi-ne precedenti.

Primo aspetto. Per annunciare il Vangelo dobbiamo co-minciare dall’ascolto della Parola e dalla celebrazione eu-caristica. È lì che Gesù ci costituisce discepoli. Senza con-templazione del Mistero non c’è vera evangelizzazione. Solo se ci lasciamo evangelizzare, potremo evangelizza-re gli altri. Senza questo continuo e rinnovato ritorno alla fonte della Parola e dell’Eucaristia, che nella preghiera ci plasmano e ci rafforzano interiormente, potremmo cade-re nell’abitudine e nella routine, e saremmo visti più come dei “mestieranti” che dei discepoli appassionati del Vange-lo e innamorati di Cristo.

Secondo aspetto. Per annunciare dobbiamo vincere la paura di esporci, di uscire e di sporcarci le mani. Come ho ricordato altre volte, ci dobbiamo fare guidare dall’esorta-zione di Papa Francesco: “preferisco una Chiesa acciden-tata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di ag-grapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa pre-occupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un gro-viglio di ossessioni e procedimenti” (EG 49).

Terzo aspetto. Per annunciare il Vangelo le parrocchie devono proseguire il cammino di conversione sia pastora-le che missionaria. Devono rivedere il proprio modo di fa-re pastorale, passando da una “pastorale di attesa” e di con-servazione ad una “pastorale di ricerca”, più profetica. Per le nostre comunità lo stile non deve tanto essere quello di

Primoaspetto

Secondoaspetto

Terzoaspetto

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 3

I. ANNUNCIARE A TUTTI IL VANGELO DELL’AMORE » 91. Annunciare il Dio-Amore » 92. Come annunciare? » 103. I destinatari dell’annuncio » 114. Dove annunciare » 145. Chi deve annunciare » 15

II. ICONA BIBLICA “ChIAMATI A sE’ LI INVIò A DUE A DUE” » 171. Dal Vangelo di Marco » 172. Gesù: il primo evangelizzatore » 173. Annunciare Dio in un mondo senza Dio » 194. Non da soli ma insieme » 215. Lo stile di chi annuncia: distacco e gratuità » 226. Soffrire per il Vangelo » 247. La sapienza della croce » 258. La casa metafora dell’umano » 269. Le consegne di Gesù e i quattro verbi dei discepoli » 27

III. LA FAMIGLIA: LUOGO pRIVILEGIATO DELL’ANNUNCIO » 351. “ogni casa è un candelabro” » 352. La parrocchia: “famiglia di famiglie” » 363. Le giovani coppie: una risorsa » 384. Curare i legami fragili » 405. Evangelizzare i legami familiari » 41

chi aspetta, ma quello di chi va alla ricerca. Dobbiamo vin-cere l’analfabetismo religioso con una nuova grammatica della fede capace di utilizzare “linguaggi coinvolgenti”, che siano in grado – come ad Emmaus – di scaldare il cuore e di aprire le menti. Dobbiamo vincere l’indifferenza con un tipo di dialogo che sia in grado di risvegliare la sete di bel-lezza, di bene e di verità che ogni uomo porta dentro e che solo Cristo Gesù può veramente saziare.

Per questo dobbiamo assumere uno stile di prossimità quotidiana con le famiglie, con i giovani, con gli ultimi, assu-mendo una logica di accompagnamento e di affiancamento, caratterizzata da un duplice movimento: l’«Andate …» (Mt 28,19-20) e il «…Venite e vedrete» (Gv 1,38-39).

Maria santissima ci insegna che, per annunciare il Van-gelo, bisogna anzitutto credere nell’adempimento di ciò che il Signore ci dice (cf. Lc 1,45). Lei, donna in cammi-no verso la casa di Zaccaria, ci insegni anche la dinamica dell’andare per le strade allo scopo di portare il lieto an-nuncio ai poveri e ai piccoli. Lei, «donna del primo passo» (don Tonino Bello), ci insegni a suscitare la gioia in quanti ci vedranno testimoniare la bellezza della fede.

Manfredonia, 11 settembre 2017

+ Michele Castoro, arcivescovo

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IV. I GIOVANI: DA DEsTINATARI A pROTAGONIsTI DELL’ANNUNCIO » 451. Evangelizzare in un contesto di fluidità » 452. Accogliere, ascoltare e accompagnare » 473. Le sfide che diventano opportunità » 48

3.1 Partecipazione e missionarietà » 503.2 Giovani “fuori” » 513.3 Gli accompagnatori » 523.4 Sinergie con le famiglie » 533.5 Liturgia e vocazioni » 543.6 Affettività e social network » 54

V. pAsTORALE sOCIALE: LE CONsEGUENZE sOCIALI DELL’ANNUNCIO » 611. La dimensione sociale dell’annuncio » 612. Alcune indicazioni » 63

VI. LA MIssIONE DEI LAICI » 651. I laici, tra parrocchia e territorio » 652. Annunciare il Vangelo sulle soglie della vita » 67

CONCLUsIONE » 73

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