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Antonio Antonuccio IL FENOMENO CRIMINALITA’ NEL MERIDIONE, LE FILOSOFIE PUNITIVE ED IL SERVIZIO SOCIALE NEL SISTEMA PENITENZIARIO

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Antonio Antonuccio

IL FENOMENO CRIMINALITA’ NEL MERIDIONE,LEFILOSOFIEPUNITIVEEDILSERVIZIOSOCIALE

NEL SISTEMA PENITENZIARIO

Alla carissima memoria dell’indimenticabile Peppino, mio padre, e dell’amato maestro Ciccio Dato,

che ringrazio, per avermi entrambi avviato alla conoscenza,

fondamento dell’uomo libero.

Indice PAGINA

Introduzione 7Presentazione 9

1. Il fenomeno della devianza: livello teorico e risposta sociale 11

2. Il fenomeno criminalità nel meridione: origine ed evoluzione 23

3. Mafia e camorra: un progetto strumentale di potere politico ed economico 354. Cultura e sub-cultura deviante: quale ruolo? 455. Politica e criminalità, un dibattito aperto 536. Le filosofie punitive e la pena nella sua evoluzione storica

fino ai giorni nostri 577. La filosofia del trattamento e la riforma penitenziaria 678. Il servizio sociale per adulti nel quadro della

esecuzione penale italiana 79Conclusioni 91Appendice 97Attività in favore della società nell’esecuzione penale in misura alternativaStatistiche 113Bibliografia 135

Presentazione

Il presente lavoro tenterà di soddisfare l’istanza di far propria una conoscenza più ampia dei fenomeni delinquenziali del meridione e, lato sensu, della criminalità.

Lo scrivente ha avvertito tale necessità in quanto operatore del settore giustizia che svolge la propria attività di assistente sociale nel Centro di Servizio Sociale per Adulti di Reggio Calabria.

Questo studio si prefigge l’obiettivo di acquisire maggiori informazioni (che saranno strumento consapevole di lavoro) e, non potendo (per umano limite) avere i caratteri dell’esaustività, pur tuttavia vuole precorrere una fase di aggiornamento continuo che possa agevolare l’esercizio del mandato professionale.

La criminalità, manifestazione patologica del genere umano, che determina nella società effetti devastanti, tanto quanto lo sono gli effetti che producono le cellule cancerogene in un essere vivente (ed è ormai risaputo), può e deve essere combattuta soltanto se la si anticipa in tutte le sue dinamiche (nascita, sviluppo e azione) proprio come è necessario prevenire la genesi e conoscere la crescita e gli effetti di un cancro per evitare l’invasione e/o per affrancare il corpo che, obtorto collo, lo ospita.

Tale ricerca, focalizzata la devianza come manifestazione umana, muove le mosse dallo studio delle origini dell’insediamento criminale nel Sud ed esamina quello che è stato, ed attualmente è, il progetto finalizzato all’acquisizione di potere politico (controllo del territorio) ed economico (ingenti fortune e investimenti per aumentare i guadagni).

Importante è l’attenzione dedicata al ruolo rivestito dalla cultura o sub-cultura deviante presente nei territori di pertinenza.

Nella sua evoluzione, parte dell’indagine analizza, in un primo momento, lo sviluppo dell’intreccio perverso politico-criminale (ed il dibattito che ne consegue) ponendosi come azione finalizzata alla repressione dello stesso fenomeno; successivamente, descrive ciò che è afferente alle filosofie punitive, all’impianto penitenziario, in particolare dal punto di

vista dell’esecuzione della pena in misura alternativa.Con quest’ultimo argomento ci si addentra nello

specifico del ruolo dell’operatore sociale penitenziario e sull’attività specialistica dell’assistente sociale impegnato nella osservazione della personalità del soggetto reo, finalizzata al suo reinserimento nel tessuto sociale sano, di riferimento e non.

L’Autore

1. Il fenomeno della devianza: livello teorico e risposta sociale

La società è portata a giudicare l’agìre dell’uomo sulla base delle proprie aspettative e l’individuo, da solo o raggruppato, quando si discosta da un dato comportamento definito “standard”, non conformandosi alle stesse aspettative sociali, viene definito deviante.

Con il termine “devianza” Gallino ha inteso “ogni atto o comportamento o espressione del membro di una collettività che la maggioranza dei membri della collettività stessa giudicano come uno scostamento o una violazione, più o meno grave, sul piano pratico o su quello ideologico, di determinate norme, aspettative o credenze che essi giudicano legittime od a cui di fatto aderiscono ed al quale tendono a reagire con intensità proporzionale al loro senso di offesa”.

La sfera della devianza, nel suo concetto, è molto ampia, generalmente è identificabile nel dissenso, nella diversità, nell’immoralità e, in maniera allarmante, nella criminalità.

A partire dagli “illuministi” fino ai recenti studi il fenomeno della devianza è stato sempre preso in grande considerazione da illustri teorici. Nel tempo, quindi nella sua evoluzione, l’orientamento si è mosso dai tratti della persona deviante ai fattori sociali e culturali che possono produrre il comportamento deviante.

E’ utile sottolineare come buona parte della devianza che persiste non è sempre compiuta dal singolo individuo, bensì da una collettività1 (Parsons 1937, Merton 1938 e Johnson 1960). La mancanza dei limiti che ogni società impone con le norme legali o culturali all’uomo per il soddisfacimento delle proprie aspirazioni diventa “anomia”.

Tale termine è stato introdotto da Durkheim nei suoi scritti con l’intento di definire la “frattura delle regole sociali” e, in 1 Tra gli studi sulla devianza collettiva importanti furono quelli dedicati al

fenomeno delle cc.dd. “gangs” o bande criminali giovanili, inteso come prodotto della sottocultura delinquenziale dei giovani di bassa estrazione. Si annoverano, a tal proposito, gli studi del ‘55 di Cohen che identificò tale sottocultura come il conflitto contro la cultura della classe media che rappresentava i valori dominanti (n.d.A.).

particolare, chiamò anomia la situazione che si instaura in certe società, che genera nei componenti disagio e condotta dissociale.

Sempre secondo Durkheim, riportato in Ponti, “le cause dell’anomia sono da ricercarsi nell’iperstimolazione delle aspirazioni che la società industriale ha indotto” che ha introdotto la c.d. “legge del mercato”. “Lo sviluppo industriale eccessivo, la meta del benessere economico fine a sè stesso, il mito del successo, il miraggio dell’ascesa sempre più rapida e concorrenziale hanno provocato irrequietezza, esasperazione e malcontento per tutti”.

Afferma ancora Ponti che ciò ha ingenerato l’anomia sfociante in contraddizione, incoerenza e ambivalenza delle norme stesse, ma non in assenza di norme come vuole il termine letterale, in quanto “nessuna società può esistere senza norme” (ubi societas, ibi ius).

Il comportamento deviante, così come descritto da Merton, spesso origina dalla disomogeneità di accesso, mediante sistemi o modi leciti, alle mete considerate quali successo in una società. La discrepanza, che si realizza tra le aspirazioni prodotte dalla socializzazione tra i membri di una società ed i mezzi disponibili dati dalla società stessa, genera come risultato finale la devianza.

L’uomo mertoniano, come affermato da De Leo e Patrizi, si confronta con una struttura sociale fondata su un evidente dislivello fra mete culturali diffuse e proposte in maniera omogenea (il denaro, il successo, l’ascesa sociale) e offerte istituzionali evidentemente differenziate secondo criteri di classe2.

2 “Turati, nel suo breve saggio “Il delitto e la questione sociale” (2a ed.,

Milano, 1883), affermò «che la causa prima dei delitti è il disordine degli istituti sociali, la sperequazione delle proprietà, l’antagonismo delle classi, l’ineducazione e lo sfruttamento dei ceti inferiori»” (Treves R., La sociologia del diritto, Milano, Comunità ed.,1966).

2. Il fenomeno criminalità nel meridione: origine ed evoluzione.

Le classificazioni simbolico-culturali prevalenti e/o ricorrenti hanno dato ragione della corposità, della sfaccettatura e della effettiva trama imbastita dalle organizzazioni criminali presenti nel Mezzogiorno d’Italia. Spesso, si sono dovute registrare rappresentazioni ideologiche che le hanno progressivamente svuotate di senso materiale, fino a sospingerle alla spettacolarizzazione; sono state ridotte a minaccia, a questione di allarme sociale, a grave fattore di turbativa della sicurezza e dell’ordine politico-sociale.

Non che esso non rappresenti un grave attentato alla sicurezza, ma è anche più complesso e intimamente radicato nella storia civile e sociale del Mezzogiorno, pericoloso perché non è separabile dalla storia d’Italia e d’Europa di questi ultimi cinquecento anni, riducendolo a elemento di diffusione del panico sociale, alimentando pericolosi processi di semplificazione socio-culturale che finiscono inevitabilmente col generare fenomeni di demonizzazione simbolico-culturale e forme di razzismo.

Pertanto, è questione che pertiene ai comportamenti sociali, alle culture e alle modalità con cui la comunità affronta razionalmente il problema.

In questi ultimi venti-trent’anni la criminalità del Mezzogiorno è stata scandagliata e classificata.

Tali classificazioni si sono articolate secondo tre approcci generali:a) la lettura culturalista, per la quale l’insorgenza e l’esplosione

del crimine sarebbero, nel Mezzogiorno, un fatto antropologico collegato alle culture d’origine locali;

b) la lettura imprenditorialista, per la quale il salto di qualità del crimine, nel Mezzogiorno d’Italia, starebbe tutto nel passaggio alla “grande impresa” criminale, allocata sul mercato finanziario come “legittimo” soggetto economico;

la lettura politicista, per la quale il grande crimine organizzato meridionale sarebbe una sorta di “Stato nello

3. Mafia e camorra: un progetto strumentale di potere politico ed economico.

Il tratto distintivo di fondo che rende specifico e, per molti versi, originale il presente dello spazio criminale risiede nella circostanza che esso somma in sé la duplicità delle funzioni statuali e mercatistiche: accanto alle funzioni di monopolio della forza e della violenza, mutuate e sottratte allo Stato, tende a centralizzare anche quelle della pianificazione, organizzazione e realizzazione dei profitti, mutuate e sottratte al mercato.

La funzione della mediazione mafiosa è quella di competere e cooperare con lo Stato nella qualità di potere autonomo ad esso pari. Si tratta di un sottosistema che non ambisce a sostituirsi allo Stato tout court, ma anela a difendere dallo Stato la sua attività pubblica di mediazione, le sue professioni e i suoi interessi.

4. Cultura e sub-cultura deviante: quale ruolo?

Un’analisi delle “facilitazioni culturali” della crescita dei poteri criminali nel Mezzogiorno è indispensabile e determinante per la rilevanza dell’elemento cultura per l’agglomerato mafioso, fin dalle sue origini.

Nemmeno l’impresa mafiosa sfugge alla necessità di legittimazioni di tipo culturale, tanto al suo interno che all’esterno di a tal che, in relazione al potere e alla violenza, oltre che al mercato, elabora proprie culture in parte connesse alle tradizioni dell’ascesa del capitalismo e della società borghese e in parte elaborate e rielaborate in proprio.

5. Politica e criminalità, un dibattito aperto.

I recenti studi storici, sociologici e politici fanno pensare che l’attuale criminalità organizzata è espressione dei fenomeni di modernizzazione sociale e politica che si sono affermati via via a partire dall’unità d’Italia fino ai giorni nostri.

E’ un gioco complesso che finisce con il tenere debitamente in conto l’intreccio tra le “reti mafiose” ed i circuiti politici dominanti.

L’approccio politicista ha catalogato il “problema delle mafie” alla questione del ricambio della classe politica dirigente nazionale ed in particolare meridionale.

In maniera riduttiva sono stati sottovalutati i nessi culturali sociali simbolici e antropologici che hanno accompagnato l’insediamento criminale.

Frange politiche di stampo apertamente conservatore, riducendo ulteriormente il campo d’azione, hanno identificato la “questione criminale” con la “questione meridionale” trascurando l’ipotesi che entrambi sono da intendersi come espressione di un’unica “questione nazionale”.

6. Le filosofie punitive e la pena nella sua evoluzione storica fino ai giorni nostri.

Ogni società nei vari contesti storici si è adoperata per combattere e contenere i delitti3, ovvero le azioni umane maggiormente lesive delle leggi basilari che disciplinano e regolamentano i rapporti tra i singoli individui, in quanto il fine principale della stessa società è la salvaguardia della omogeneità dei propri valori portanti.

Lo scopo di assicurare l’osservanza della norma è perseguito impiegando strumenti e sistemi di controllo formali quali le leggi, gli apparati giudiziari e di polizia, ed informali forniti da agenzie educative quali la famiglia, la scuola, la chiesa, ecc.

Il principale tra gli strumenti di controllo sociale contro le azioni criminali è il sistema delle sanzioni penali, facendo comunque attenzione alla salvaguardia dei valori e alla dignità dell’individuo reo. Non essendo possibile organizzare e far funzionare qualsiasi forma di società, la pena va intesa, realisticamente, come un irrinunciabile strumento di controllo sociale.

3 “Nel campo degli studi penalistici, la sociologia del diritto ebbe in Italia

uno sviluppo ancor più ampio di quello avuto negli altri campi, raggiungendo il maggior grado di maturità e di prestigio. [...] Con gli studi di Lombroso (L’uomo delinquente, 1a ed., Torino 1876), non solo si è creata una nuova scienza, l’antropologia criminale, ma si è anche dato il via agli studi della sociologia criminale in quanto non si limitò ad analizzare le cause individuali del delitto, ma fissò l’attenzione sulle cause sociali del medesimo”. (Treves R., op. cit.).

Con l’avvento del pensiero illuministico e la diffusione, ormai generalizzata, dei “codici scritti” e, conseguentemente, l’osservanza alle norme intese come principio regolatore dei rapporti sociali, ebbe luogo la metamorfosi della sanzione penale. In prima istanza vengono abolite la tortura e le pene corporali; successivamente si ravvisa la necessità di circoscrivere in maniera drastica l’utilizzo della condanna a morte comminata solo per reati di c.d. pericolosità sociale. Di contro, la carcerazione assurge a strumento elettivo di punizione e si avvia la politica dell’edilizia carceraria e l’edificazione dei primi stabilimenti penitenziari costruiti con criteri particolari quali il sistema panottico4 5.

4 Il sistema panottico, od a raggiera, fu ideato da J. Bentham al fine di

agevolare il controllo del soggetto recluso. In tali strutture, a cilindri concentrici, nella parte interna si situavano le cc.dd. guardie che costantemente avevano sotto controllo i detenuti alloggiati nella parte esterna (n.d.A.).

5 “In questa applicazione estremamente razionale della trasparenza allo sguardo, non a caso ai detenuti non veniva quasi concessa alcuna intimità, come del resto nella versione contemporanea delle celle controllate giorno e notte dalle telecamere a circuito chiuso. In queste prigioni, circolari e con una torre di osservazione al centro della circonferenza su cui erano costruite le celle, nulla era celato, poichè in ogni cella le pareti dei due lati intersecati dal raggio che collegava centro e periferia erano trasparenti, per cui il detenuto era sempre potenzialmente visibile; va da sè che l’intimità che questa struttura gli lasciava era pressoché nulla. [...] L’implacabile visibilità [...] come principio di controllo. (Secondulfo D., Come al circo dei gladiatori, da “Famiglia Oggi”, anno XXIV° n. 1, gennaio 2001).

7. La filosofia del trattamento e la riforma penitenziaria

Come già anticipato nel precedente capitolo, partendo dal concetto di “giusta pena”, pilastro portante dell’ideologia penitenziaria classica, che veniva comminata in base: a) a principi etici assoluti, per i quali il delitto è il male e la pena è il suo prezzo; b) alla concezione secondo la quale la pena ha finalità retributiva ed espiativa e sarà scontata in carcere; c) al principio della proporzionalità, secondo cui più grave è il reato più lunga è la pena; d) secondo i principi di determinatezza e certezza, per i quali la pena sarà definita nei tempi e sarà sicuramente scontata, nel tempo tale filosofia - che si basava sul concetto retribuzionistico - si è svuotata nella sua valenza giustificativa a vantaggio della nuova concezione che legittimava la pena come risposta socializzativa.

8. Il servizio sociale per adulti nel quadro dell’esecuzione penale italiana

Nel sistema dell’esecuzione penale italiano, come si è detto in precedenza, dopo una lunga gestazione la legge di riforma dell’ordinamento penitenziario ha introdotto il servizio sociale per adulti, anche se in effetti è stata preceduta da altre realizzazione sperimentali6; per i minori l’attività era ormai consolidata.

Ciò, di fatto, è stata la diretta conseguenza di quanto la novella legge si proponeva per la pratica realizzazione del trattamento penitenziario e dell’esecuzione delle misure alternative per il reo; altresì ha portato in istituto un contributo di risorse professionali e di testimonianze culturali eterogenee rispetto all’esperienza propria del panorama carcerario tradizionale.

Lo sviluppo delle scienze sociali e criminologiche e della più moderna filosofica penitenziaria aveva, infatti, già da tempo, evidenziato la incongruenza di programmi la cui intenzione rieducativa non era in pratica sostenuta da una visione globale della situazione personale e relazionale del detenuto a cui l’intervento era diretto e nei confronti del quale l’istituto agiva ignorando le realtà affettive, culturali e sociali alle quali la vicenda umana del detenuto e le stesse prospettive della sua evoluzione erano, nel bene e nel male, così evidentemente legate.

Grazie all’ausilio della professionalità dell’assistente sociale, dei costituendi C.S.S.A. del Ministero della Giustizia7, trovano soddisfacimento le necessità da una parte

6 Le prime esperienze di servizio sociale per adulti furono realizzate a metà

degli anni ‘50 nel Centro per l’Osservazione Scientifica della Personalità di Roma-Rebibbia e altri istituti (Di Gennaro G.-Bonomo M.-Breda R., op. cit.).

7 I nascenti Centri di Servizio Sociale per Adulti, ai quali fanno capo come organico gli assistenti sociali impiegati sia per l’attività di istituto di competenza che per il trattamento del soggetto in esecuzione alternativa alla detenzione, sono stati costituiti come unità amministrative autonome rispetto agli istituti penitenziari e alle strutture giudiziarie e, dirette dallo

Conclusioni

Gli studi sulla devianza e sul comportamento illecito paradossalmente non forniscono una soluzione completa e definitiva sull’oggetto del suo indagare: nè soluzioni, nè certezze sul perchè dell’agìre delittuoso. In generale, esso è assai sovente frutto di una concomitanza di fattori psicologici e sociali, oltre che di situazioni esistenziali di difficile individuazione ed interpretazione.

Certo ciò non significa che correlazioni fra condizioni socio-economiche sfavorevoli e criminalità devono far pervenire ad una sorta di vittimizzazione del colpevole, nè tantomeno che bisogna abbandonare il fine risocializzativo della sanzione. Cultura della tolleranza significa necessità dell’attribuzione della responsabilità, e quindi necessità della pena, ma anche farne un uso ragionevole e mite e di discriminare la sanzione. E’ infine la cultura della tolleranza comporta anche che il reo si deve far carico, senza equivoci, del male compiuto e della colpa che da esso gliene deriva. Vano è ogni discutere di risocializzazione se non vi è presa di coscienza da parte del reo delle proprie responsabilità: egli deve sapere, senza che gli vengano forniti alibi, che è colpevole e l’operatore penitenziario deve moralmente responsabilizzarlo, pur senza violare la libertà di scelta.

Probabilmente i capi mafia, i capi ‘ndranghita, ed i capi camorra, di fronti ai colossali guadagni ed al conseguente potere hanno operato una c.d. analisi economica del tipo costi-benefici ed hanno scelto di restare criminali.

stesso personale di servizio sociale.Con questo assetto, si è voluto evitare, da un lato, il rischio che il servizio sociale perdesse le proprie caratteristiche originali, finendo in tutto o in parte assorbito dal mondo operativo istituzionale (come sarebbe accaduto istituendoli amministrativamente all’interno dell’istituto penitenziario) dall’altro, che il collegamento funzionale evidentemente esistente fra il servizio sociale e magistratura di sorveglianza si trasformasse in una dipendenza del primo dalla seconda (come sarebbe avvenuto collocando il servizio sociale nelle strutture della magistratura di sorveglianza) (n.d.A.).

Allora, quale l’azione di servizio sociale di un assistente sociale di un Centro di Servizio Sociale per Adulti?

Egli (e questa non è una certezza operativa ma uno sforzo professionale), evitando una lettura personalistica del vissuto del soggetto; cercando di raggiungere una comprensione più globale del caso; evitando di cadere in eventuali mistificazioni, deve fornire all’organo deputato a decidere uno strumento (la relazione sociale) il più aderente possibile per aiutarlo nella decisione.

Altresì, per contribuire ad arginare lo strapotere dei capi irriducibili della criminalità organizzata (la c.d. “cupola”) deve tentare di individuare quei soggetti (la c.d. “manovalanza”) che non hanno operato la scelta criminale in maniera irreversibile allontanandoli dal sistema delinquenziale (indebolendo la struttura criminale) grazie ad un programma risocializzante che, con interventi mirati, serva al soggetto per il definitivo affrancamento dall’azione deviante e lo riconcilii, mediante le attività di riparazione, con la società violata dal reato8.

RIFERIMENTI:

“Relativamente al nominato in oggetto dai colloqui effettuati con la moglie sig.ra XXX, il padre dello stesso sig. XXX e dalle indagini ambientali è emerso quanto segue:L’esaminato, originario di XXX, piccolo centro agricolo dell’omonima costiera, è stato l’unico figlio di XXX, di anni 66, già vigile urbano in pensione e di fu XXX, deceduta quando il soggetto aveva circa 21 anni.Il padre, 66 enne, nel suo racconto ha evidenziato un quadro familiare armonico. In tale contesto il soggetto è cresciuto serenamente e sempre secondo il genitore, mantenendosi “qualche vizio in più rispetto ad altri giovani”, visto che, le loro condizioni economiche lo permettevano. A tal proposito ha precisato che la loro famiglia oltre agli emolumenti provenienti dal suo lavoro di vigile urbano poteva disporre di ulteriori entrate, non trascurabili, provenienti dalla conduzione di terreni di loro proprietà, coltivati ad uliveti, agrumeti e vigneti, stimati, a suo dire, per circa tre ettari.Continuando, il genitore ha detto che il loro status ha consentito al figlio di

8 A tal proposito importanti sono le esperienze progettuali di giustizia

riparativa esperite dal C.S.S.A. di Reggio Calabria grazie ad un progetto pilota (redatto dallo scrivente) del quale si riporta, in appendice, il testo integrale. (n.d.A.)

dedicarsi allo studio, così come altri loro parenti in seguito divenuti dei professionisti. Pertanto, il soggetto dopo la maturità si è iscritto alla facoltà di medicina e chirurgia presso l’università di Roma. In questo ateneo ha seguito gli studi regolarmente fino alla morte della madre. Secondo il XXX padre, l’evento luttuoso è stato determinante per il soggetto. Da quel momento in poi “avendo sofferto molto” si è lasciato andare e non è riuscito a completare il corso di laurea.Dal 1985 in poi si è sempre dedicato alla conduzione dei terreni di loro proprietà che gli hanno consentito di condurre una vita “più che decorosa”. A ragione di ciò, secondo il genitore, sostenendolo come prova a conforto dell’innocenza, l’esaminato non ha mai avuto “nè la necessità nè la volontà di delinquere”.E’ da precisare che il padre nel 1989 si è risposato con tale XXX, donna di 63 anni, maestra d’asilo. Con la stessa il figlio ha sempre mantenuto, secondo l’uomo, un buon rapporto.Nei colloqui avuti con la moglie, donna trentaquattrenne, di aspetto ben curato, che si è dichiarata bracciante agricola (in questo periodo sta frequentando anche un corso regionale per il conseguimento di un diploma di tecnico-vivaista) si è avuta una descrizione particolarmente amorevole del soggetto. Il XXX è stato definito “uomo premuroso” e “molto attento alla cura della famiglia”. La donna, continuando, ha espresso soddisfazione per il comportamento del marito che a suo dire è dedito ad uno stile di vita tranquillo: al lavoro ed alla famiglia ha sempre alternato una comune vita sociale. Ancor di più ha riferito di essere molto dispiaciuta per la vicenda in corso che lo vede ristretto in istituto, non tanto “perchè manca a lei ma in quanto sono i loro bambini a soffrire notevolmente”. A tal proposito si è augurata la concessione della misura alternativa.Stranamente la sig.ra XXX non ha ricordato bene come e quando è iniziato il rapporto d’amore con l’esaminato, sebbene si sia tentato di capirlo facendo riferimento all’età del primo figlioletto XXX di attuali undici anni. Continuando ha lasciato intendere che per scelta è stata una ragazza-madre. Non appena è nato il bimbo, secondo la stessa, ha continuato a vivere con i genitori; dopo circa due anni ha iniziato la convivenza con il soggetto. Nel 1993 si sono sposati. L’anno successivo è nata la seconda figlioletta, XXX, di attuali quattro anni.Entrambi i congiunti hanno definito la personalità del soggetto in maniera completamente diversa e mal coniugabile con quella che, al contrario, è emersa dal successivo studio degli atti. Sebbene in sede di colloquio si è cercato di evidenziare i capi di imputazione gli stessi, dapprima in maniera elusiva, successivamente glissando, hanno sottovalutato i trascorsi del XXX; per certi aspetti come se non gli appartenessero. In particolare la moglie ha dichiarato di non essere a conoscenza del passato del marito, trascurando che, in quel passato, ella stessa è stata attrice in quanto compagna dell’esaminato.Tale atteggiamento e tale descrizione dei fatti ha lasciato perplessità allo

scrivente.Le successive indagini ambientali facendo chiarezza, hanno riportato l’oggetto della questione nell’alveo percorso con la lettura degli atti. In tale contesto è emerso che il XXX, latore di una personalità di spicco, è inserito in un organigramma malavitoso con una posizione apicale. Tale sodalizio sembra essere dedito alle attività che più destano allarme e pericolosità sociale. Relativamente al suo rapporto con la moglie è risultato piuttosto travagliato. La stessa in passato è stata sposata con tale XXX, soggetto che successivamente è deceduto per omicidio in circostanze non ancora chiarite.”

***

“Il soggetto è originario di XXX, piccolo centro, di estrazione agricolo-pastorale arroccato nell’immediato entroterra dell’omonima costiera. Tale sito urbano, come del resto gli altri viciniori, a causa della scarsità di lavoro è stato oggetto, e lo è tuttora, di una non trascurabile migrazione umana. In effetti i giovani residenti, in età di lavoro, sono costretti ad operare una scelta su poche variabili: emigrare accantonando il proprio bagaglio storico-socio-familiare; restare nel luogo conducendo una vita stentata, con pochissime ovvero nessuna gratificazione; farsi ammaliare dal canto delle sirene della delinquenza organizzata, rinunciando alla propria dignità di uomini liberi.L’esaminato in tale contesto è cresciuto ed ha evoluto la propria personalità.E’ stato secondo genito di tre figli appartenenti ad una famiglia di umili ascendenti, da molti anni insediati nel luogo. Dei genitori ha detto che hanno fatto il possibile, per garantire, a tutti i membri del nucleo familiare, una vita onesta e dignitosa. Pur tuttavia, oltre al soggetto, anche il fratello XXX ha avuto procedimenti penali per associazione a delinquere.XXX ha studiato fino al conseguimento della licenza media. All’epoca, ormai pago della raggiunta sufficiente conoscenza culturale, si è avviato al lavoro, utile al raggiungimento della propria autonomia.A suo dire ha sempre svolto mansioni di operaio nei settori dell’agricoltura o dell’edilizia. Attualmente, proprio in quest’ultimo settore, è impegnato per la ditta “Impresa Edile XXX” di XXX, con sede in XXX via XXX.Da contatti avuti con tale sig. XXX si è appreso che, la citata impresa è di piccole dimensioni ed opera con pochi operai che, al bisogno, si spostano, anche nella stessa giornata nei cantieri di pertinenza, aperti in un breve raggio di territorio. Relativamente all’esaminato ha riferito che, a suo avviso, è affidabile e ben disponibile al lavoro.XXX all’età di 23 anni ha contratto matrimonio con l’allora 18 enne XXX. Tale donna, indirettamente esaminata, osservata nel suo contesto di riferimento, nella fattispecie nell’ambito della propria casa è apparsa dimessa, relegata al ruolo tipico assegnatole dall’ambiente socio-culturale

già descritto, sfiorita sebbene appena 37 enne. Ciò nondimeno è risaltata la cura dedicata all’abitazione (di recente fabbricazione e secondo gli stessi, di loro proprietà) arredata peraltro più che dignitosamente.La coppia XXX ha avuto due figli dei quali la maggiore 17 enne, presente alla visita domiciliare, sebbene istruita con la scuola dell’obbligo, è attualmente in itinere nello studio della disciplina musicale, è apparsa educata ed indirizzata ad un ruolo sulla falsa riga della madre. Relativamente al minore dei figli, di 9 anni, è da precisare che è scolarizzato e frequenta la scuola elementare (assente alla visita per tale motivo).La XXX oltre ad essere moglie e madre, stagionalmente è occupata come operaia in un’azienda floro-vivaistica sita in un centro viciniore.Tale nucleo al di là della descrizione dei ruoli degli attori, è apparso ben integrato ed armonico. L’aggettivo “armonico” apparentemente è dissonante con la personalità delle figure femminili descritte. Pur tuttavia questa discrasia è superabile nel momento in cui si considera che, certe donne storicamente hanno accettato questo ruolo, di buon grado, come se fosse qualcosa di ineluttabile.Circa l’esaminato è da sottolineare che attualmente è in regime di misura preventiva (X anni di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza) ed in passato ha scontato in istituto una detenzione per un anno e dieci mesi.XXX si è posto all’osservazione con molta disponibilità. A tratti ha evidenziato atteggiamenti apparentemente furbeschi, probabilmente riconducibili ad un “habitus posticcio”, ad un fare stereotipato. Ciò ha ipotizzato che al contrario possa essere stato “terreno fertile” per soggetti “geneticamente furbi”. Non è parso essere latore di una tipica personalità avvezza al crimine. E’ parsa rilevabile una sudditanza insita nella sua indole. La sua devianza probabilmente non è stata una scelta, al contrario è presumibile che sia stato scelto per le sue caratteristiche.Al colloquio, pur manifestando un certo “timor”, ha abbozzato una certa criticità sul passato, riconducibile ad una larvata resipiscenza.E’ stata evidente nell’esaminato una povertà di strumenti socio-cognitivi.L’eventuale concessione della misura alternativa con il supporto del servizio sociale potrebbe incanalare decisamente il soggetto nel processo di revisione del passato e conseguentemente nella maturata e definitiva resipiscenza e la piena affermazione della parte buona della sua indole immune da atteggiamenti stereotipati.La carcerazione, al contrario, potrebbe agevolare la definitiva appropriazione di un “habitus” attualmente ancora vistosamente “posticcio” proiettandolo verso modelli appartenenti a soggetti che per perseguire i propri obiettivi sono pronti a servirsi di tutto e di tutti.Dalle indagini ambientali è risultato che XXX uomo non di spicco, non goda di particolare stima.”

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