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I percorsi di cura e di inclusione sociale della salute mentale nella Regione Friuli Venezia Giulia Fabio Samani - Ceformed Il trattamento farmacologico dei disturbi psicotici nei pazienti affetti da demenza - aggiornamento Gianni Tubaro - MMG - Codroipo Note in tema di contenzione (meccanica, ma non solo...) in campo sanitario Federico Frezza e Francesco Antoni - Maistrati - Tribunale di Trieste Cuore, droghe e psicofarmaci Ceformed Organizzazione di uno screening uditivo neonatale universale di area vasta: un esempio di collaborazione ospedale-territorio Flavia Ceschin, Giuseppe Montanari, Franca Ruta, PLS ASS6 “Friuli Occidentale” Paola Bolzonello, Mauro Tassan, Centro di Audiologia e Fonetica, Ospedale di Pordenone GIRO GIRO MONDO (2 a edizione) Flavia Ceschin - PLS Pordenone La comunicazione non verbale: concluso il progetto FACS Alberto Giammarini Barsanti - MMG Ceformed Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci Ceformed Linee guida in tema di referti on-line Ceformed a cura del Centro Regionale di Formazione per l’Area delle Cure Primarie Anno XIII / N. 4 - Ottobre-Dicembre 2009 Direttore Responsabile Doriano Battigelli Coordinatore Redazionale Marina Tutta Gruppo Redazionale L. Canciani, G. Latella, G. Lucchini, F. Samani, G. Simon, R. Vallini, D. Venier Stampa e grafica Stella Arti Grafiche - Trieste Stampato su carta riciclata Iscrizione al Tribunale di Trieste n. 976 del 13.01.1998 Via Galvani n. 1 - 34074 Monfalcone - tel. e fax 0481 487578 E-mail: [email protected] http://www.ceformed.it a cura del Centro Regionale di Formazione per l’Area delle Cure Primarie Anno XIII / N. 4 - Ottobre-Dicembre 2009

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I percorsi di cura e di inclusione sociale della salutementale nella Regione Friuli Venezia GiuliaFabio Samani - Ceformed

Il trattamento farmacologico dei disturbi psicoticinei pazienti affetti da demenza - aggiornamentoGianni Tubaro - MMG - Codroipo

Note in tema di contenzione(meccanica, ma non solo...) in campo sanitarioFederico Frezza e Francesco Antoni - Maistrati - Tribunale di Trieste

Cuore, droghe e psicofarmaciCeformed

Organizzazione di uno screening uditivo neonataleuniversale di area vasta:un esempio di collaborazione ospedale-territorioFlavia Ceschin, Giuseppe Montanari, Franca Ruta, PLS ASS6 “Friuli Occidentale”Paola Bolzonello, Mauro Tassan, Centro di Audiologia e Fonetica, Ospedale di Pordenone

GIRO GIRO MONDO (2a edizione)Flavia Ceschin - PLS Pordenone

La comunicazione non verbale:concluso il progetto FACSAlberto Giammarini Barsanti - MMG Ceformed

Linee guida per la classificazione e conduzionedegli studi osservazionali sui farmaciCeformed

Linee guida in tema di referti on-lineCeformed

a cura delCentro Regionale di Formazioneper l’Area delle Cure Primarie

Anno XIII / N. 4 - Ottobre-Dicembre 2009

Direttore Responsabile Doriano BattigelliCoordinatore Redazionale Marina TuttaGruppo Redazionale L. Canciani, G. Latella, G. Lucchini,F. Samani, G. Simon, R. Vallini, D. Venier

Stampa e grafica Stella Arti Grafiche - Trieste

Stampato su carta riciclata

Iscrizione al Tribunale di Trieste n. 976 del 13.01.1998

Via Galvani n. 1 - 34074 Monfalcone - tel. e fax 0481 487578E-mail: [email protected]://www.ceformed.it

a cura delCentro Regionale di Formazioneper l’Area delle Cure Primarie

Anno XIII / N. 4 - Ottobre-Dicembre 2009

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I percorsi di cura e di inclusione socialedella salute mentalenella Regione Friuli Venezia Giulia 3Fabio Samani - Ceformed

Il trattamento farmacologicodei disturbi psicotici nei pazientiaffetti da demenza - aggiornamento 4Gianni Tubaro - MMG - Codroipo

Note in tema di contenzione(meccanica, ma non solo...)in campo sanitario 21Federico Frezza e Francesco Antoni - Maistrati - Tribunale di Trieste

Cuore, droghe e psicofarmaci 32Ceformed

Organizzazione di uno screening uditivoneonatale universale di area vasta:un esempio di collaborazioneospedale-territorio 64Flavia Ceschin, Giuseppe Montanari, Franca Ruta, PLS ASS6 “Friuli Occidentale”Paola Bolzonello, Mauro Tassan, Centro di Audiologia e Fonetica, Ospedale di Pordenone

GIRO GIRO MONDO (2a edizione) 64Flavia Ceschin - PLS Pordenone

La comunicazione non verbale:concluso il progetto FACS 65Alberto Giammarini Barsanti - MMG Ceformed

Linee guida per la classificazionee conduzione degli studiosservazionali sui farmaci 67Ceformed

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Ha recentemente preso avvio un’iniziativa regionale di formazione interdisciplinare sul tema della salute mentale.

Il progetto trae origine da una richiesta formulata dalle associazioni di familiari di pazienti psichiatrici e costituisce unainiziale risposta strategica a una necessità di sistema. Nella nostra regione infatti, pur in presenza di una tradizione psichia-trica particolarmente ricca, non è mai stato adottato un piano regionale di settore, vi è una disomogenea adesione ai principidi Evidence Based Medicine e la separatezza tra medicina generale e psichiatria è considerevole, a discapito di un rapportodi continuità delle cure.

L’articolazione progettuale è stata sviluppata attraverso momenti di condivisione tra Direzione Centrale Salute eProtezione Sociale, Agenzia Regionale Sanità, Ceformed, Dipartimenti di Salute Mentale e Cattedre di Psichiatria delleUniversità della regione.

Il percorso formativo si articola in più fasi, di cui la prima ha avuto inizio nel novembre 2009 con una serie di eventi tenu-tisi presso l’auditorium del palazzo della Regione di Udine.

La prima giornata, aperta anche alla partecipazione delle associazioni dei familiari e dei pazienti, ha visto la presenza dipiù di duecento professionisti ed il coinvolgimento di relatori di fama nazionale ed internazionale. Sono state affrontatetematiche di natura epistemologica ed epidemiologica, fino a toccare il dettaglio delle esigenze sanitarie speciali e degliaspetti regolatori delle prescrizioni dei farmaci nell’ambito della salute mentale.

Un aspetto importante, ancorché non esaustivo del concetto di “cura” intesa come “presa in carico”, è rappresentatoinfatti dalle terapie farmacologiche oggi disponibili sul mercato. Gli attuali trattamenti per la cura dei disturbi mentali offro-no al paziente nuove alternative per la guarigione e/o la gestione della patologia ma, nondimeno, lo costringono a uncostante monitoraggio degli effetti collaterali. Pertanto, sia per il prescrittore sia per il paziente (e per la sua famiglia) assu-me grande rilevanza la valutazione del profilo di rischio/beneficio delle terapie farmacologiche, nonché la prevenzionedegli effetti collaterali, di sindromi correlate al trattamento e di eventuali fallimenti di terapia.

Nelle giornate successive di questa prima fase progettuale, dedicate agli operatori del settore, i temi sono statiapprofonditi anche rispetto le criticità operative e le possibili soluzioni ad un tema di fondamentale importanza, per chiun-que si occupi di salute pubblica.

Questa prima fase è preliminare allo svolgimento dell’annuale congresso regionale delle cure primarie, previsto a set-tembre 2010 e organizzato da Ceformed, rivolto a tutti gli operatori professionali interessati al tema della salute mentale, dicui la terapia farmacologica rappresenta un elemento trasversale ai percorsi integrati della presa in carico assistenziale.

Successivamente, un’ulteriore fase operativa si svilupperà articolandosi in iniziative formative distrettuali e in formazio-ne sul campo, con l’obiettivo di migliorare l’integrazione professionale tra tutti i diversi attori coinvolti su questo tema difondamentale importanza clinica e sociale.

L’originale spirito di questa serie di iniziative è quello di definire una serie di domande cui cercar di dare risposta attra-verso un percorso di confronto e di condivisione, più che di proporre risposte preconfezionate.

Molti sono i temi che si intendono affrontare, quali ad esempio (senza pretesa di esaustività):

• gli antipsicotici tra indicazioni d’uso, appropriatezza, piani terapeutici e responsabilità della presa in carico;

• il male di vivere: quanto e come la medicina generale identifica e tratta la depressione e i sintomi depressivi, conquale grado di integrazione con gli specialisti;

• i disturbi comuni della sfera psichica in medicina generale: quale approccio, quali risposte per ansia, insonnia,stress vari e nuove dipendenze;

• la decodifica dei segnali d’allarme per una diagnosi precoce dei disturbi psichiatrici maggiori (con particolare riguar-do all’adolescenza e alle sue fragilità);

• l’identificazione e la gestione dei disturbi cognitivi nelle forme iniziali di demenza; cosa, come e con chi farequando la demenza avanza;

I percorsi di cura e di inclusione sociale della salute mentalenella Regione Friuli Venezia GiuliaFabio SamaniCeformed

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i • tra sogno e realtà: quali rapporti, quale aiuto, quale col-laborazione con i DSM (com’è oggi il rapporto tra MMG epsichiatra, come vorremmo fosse): stepped care (gradua-zione degli interventi in base alla gravità clinica) e colla-borative care (integrazione tra medicina generale e psi-chiatria di consultazione) sono possibili anche da noi?!

Le domande sono molte, perché il problema della salutementale ha un impatto trasversale sulla società: non si limitaad investire esclusivamente il settore sanitario, ma coinvolgesu diversi piani tutte le istituzioni.

La vastità del problema è tale che esso è da anni uno deitemi centrali di numerosi piani sanitari nazionali ed interventicomunitari. Tra le finalità principali di tali interventi figuranocostantemente, oltre al miglioramento dell’assistenza, la lottaalla stigmatizzazione e alla discriminazione delle personeaffette da disturbi psichici, il miglioramento delle informazionie delle conoscenze, la promozione dell’inclusione sociale, ilrispetto dei diritti umani e della dignità delle persone affetteda disturbi psichici, nonché il sostegno alle famiglie dei pazien-ti. Senza dimenticare che il problema della salute mentale col-pisce anche bambini e adolescenti, assumendo dimensionirilevanti in tutto il Paese.

La prevenzione, l’identificazione precoce e la gestione dellamalattia psichica rappresentano, quindi, punti di primariaimportanza, sia per le ricadute sociali che per quelle sanitarie.

Il trattamento farmacologico dei disturbi psicoticinei pazienti affetti da demenza - aggiornamentoGianni TubaroMMG - Codroipo

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La demenza è una sindrome multifattoriale caratterizzata da disfunzione cronica e progressiva delle funzionicerebrali ed ingravescente declino delle facoltà cognitive della persona.

La demenza può essere determinata da cause di diversa origine e può essere suddivisa in due categorie principali:

Forme patogenetiche della demenza.

Ad ulteriore completamento degli strumenti di rapida consultazione per l’impostazione terapeutica delle demenze siinclude lo schema per il trattamento delle demenze reversibili predisposto dal Gruppo Emiliano.Romagnolo di NeurologiaCognitva e Comportamentale.

Forme reversibili Forme irreversibili

• Tumori cerebrali • M.Alzheimer(Primari CNS, metastatici) • Vascolare• Deficit nutritivo • Alcoolica• Infettivo • Post traumatica• Metabolico • Post-anossica• Infiammatorio • M. di Parkinson• Endocrino • Epilessia• Psichiatrico/neurologico • Corpi di Lewy• M.di Pick

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1) Fornire un adeguato livello di cure specifiche:- trattamento farmacologico specifico dei deficit cognitivi- terapie non farmacologiche- trattamento delle patolgie concorrenti- prevenzione delle complicanze e riabilitazione neuropsicologica e neuromotoria.

2) Ottimizzare lo stato funzionale:- evitare farmaci con effetti potenzialmente dannosi sul SNC, se non strettamente necessari- valutare l’ambiente e suggerire modifiche, quando necessarie- stimolare l’attività fisica e mentale- evitare situazioni che affaticano le funzioni intellettuali, utilizzare supporti mnesici quando possibile- stimolare una adeguata nutrizione- riabilitazione neuromotoria

3) Identificare e trattare i sintomi non cognitivi

4) Identificare e trattare le complicanze:- rischi di caduta e di smarrimento- incontinenza- malnutrizione

Principali aspetti del trattamento del paziente demente

Criterio diagnostico Terapia

Pseudodemenza depressiva Dist. di memoria,attenzione e funzioni esecutive.Non deficit linguistici e/o visuospaziali

Preferire SSRI o antidepressivi atipici.Evitare farmaciad azione anticolinergica

Da disordini metabolici: ipotiroidismo,alterazioni elettrolitiche,insuff. epatica, insuff. renale

Test di screening appropriati Correzione del deficitMetabolico

Iatrogena Farmaci imputabili(ADT, anticolinergici, antistaminici,barbiturici, BDZ, diuretici,cortisonici, indometacina)

Sospensione del farmaco

Da carenza di Vit. B12 e folati Non sempre è presenteanemia megaloblastica

Terapia sostitutivaAppropriata

In corso di collagenopatie Segni clinici, autoanticorpi Cortisonici, immunosoppressori

Da alcool Anamnesi Sospensione dell’alcool,terapie comportamentali

Da ipossia cronica (sleep-apnea).Forme centrali e forme ostruttive.

Sonnolenza, stanchezza,deterioramento mnestico >al mattino, ansia, depressione,nausea e cefalea al mattino

Ossigenoterapia, Cannula di Mayo,riduzione del peso, clomipramina,CPAP, Bi-PAP

Demenza vascolare(Definita, probabile, possibile)

Criteri NINDS-AIREN(Roman, et al. 1993; Lopez et al. 1994);scala di Hachinski

Terapia preventivadegli incidenti cerebrovascolari

Da idrocefalo normoteso Triade clinica:- demenza (ma non dist.di linguaggio e aprassia)- astasia-abasia progressiva- incont. urinaria;TC cerebrale (dilatazione ventricolaresenza atrofia corticale)

Derivazione ventricolope-ritoneale.

Non inviare al chirurgoin assenza del quadro clinico tipico(in tal caso la derivazione non serve)

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i5) Fornire informazioni al paziente ed alla famiglia:

- natura della malattia- evoluzione e prognosi- possibilità di prevenzione e trattamento

6) Fornire supporti socio-assistenziali e consulenze al paziente ed alla famiglia:- servizi territoriali e residenziali sociali ed assistenziali, temporanei o definitivi;- supporto economico- consulenza legale ed etica- supporto psicologico per il superamento dei conflitti

Quello che si fa più abitualmente:la terapia farmacologica per i disturbi cognitivi

e i disturbi di comportamento – la contenzione fisicaLa terapia farmacologica dei sintomi cognitivi nelle demenze degenerative

Il trattamento farmacologico dei sintomi cognitivi, in passato piuttosto deludente sul piano dei risultati clinici, ha vistonegli ultimi anni una ridefinizione degli obiettivi e delle stretegie di intervento, anche se limitatamente alla malattia diAlzheimer. Tradizionalmente l’attenzione era concentrata sulla ricerca di farmaci efficaci sul deficit mnesico; tale approccio,oltre che deludente sul piano dei risultati, è poco coerente con la realtà clinica della malattia di Alzheimer, nella quale i defi-cit neuropsicologci sono complessi e non riconducibili solo a quello mensico (Bianchetti e Trabucchi, 2000). I primi sforzisono stati focalizzati sul tentativo di compensare i deficit neurotrasmettitoriali (quello colinergico in particolare) sia attra-verso l’inibizione dell’enzima di degradazione dell’acetilcolina, l’acetilcolinesterasi, che attraverso una diretta stimolazionedei recettori colinergici post-sinaptici (muscarinici in particolare) (Geroldi et al, 1997). Questo approccio ha permesso didimostrare che questi farmaci dispongono di una efficacia clinicamente dimostrabile (cioè l’impatto non è solo sui test neu-ropsicologici, ma anche sul quadro clinico complessivo, sull’autosufficienza ed è rilevabile anche da parte dei familiari) neltrattamento dei sintomi dell’AD, sebbene in una percentuale limitata di pazienti (40%) (Core-Bloom et al, 1998; Rogers et al,1998; Kelly et al, 1997; Knopman et al, 1997; Emilien et al, 2000; Hirai, 2000). In Italia sono attualmente due le molecoleapprovate per il trattamento della malattia di Alzheimer: il donepezil e la rivastigmina, anche se altre sono in fase di avanza-ta sperimentazione (metrifonato, galantamina tra gli altri) (Farlow et al, 1998; Giacobini, 1998). Accanto agli effetti sulle fun-zioni cognitive alcuni di questi farmaci si sono dimostrati efficaci anche sui sintomi non cognitivi, nel rallentare la disabilitàdel paziente; inoltre è stato dimostrato un minor ricorso all’istituzionalizzazione nei pazienti trattati (Geroldi et al, 1997). Siritiene che, nei pazienti “responders”, l’uso degli inibitori dell’AChe rallenti il decorso della malattia di circa 7-12 mesi.Nonostante questi indubbi progressi, la terapia colinergica non modifica la storia naturale dell’AD; ciò ha portato alla ricercadi farmaci in grado di modificare la progressione della malattia (Aisen et al, 1997). Le strategie sono diverse ed alcune sonoin una fase ancora preclinica. La tabella 4 mostra le indicazioni, le controindicazioni e gli effetti collaterali più frequenti conl’uso di inibitori dell’AChe.

Altre sostanze sperimentate nell’AD, quali la nimodipina, l’hydergina, l’l-acetilcarnitina, sebbene abbiano portato a risul-tati in parte positivi, non hanno ottenuto l’impatto clinico degli inibitori dell’AChe e vanno perciò considerati di secondascelta, eventualmente utilizzabili in soggetti nei quali gli inibitori dell’AChe sono controindicati o non tollerati (Rabins et al,1997; Thal et al, 1996; Fritze et al, 1995; Emilien et al, 2000). Per sostanze di altra natura (quali ginko-biloba, huperazina,propentofillina) l’efficacia nel trattamento sintomatico dell’AD deve essere ancora comprovata in trials clinici ampi e meto-dologicamente corretti (Skolnick, 1997; Giacobini, 2000). Per altri provvedimenti farmacologici (anti-infiammatori, estroge-ni), sebbene vi siano basi biologiche ed epidemiologiche convincenti, i trial linic fino ad ora condotti non hanno portato arisultati conclusivi, e non se ne può, ad oggi, consigliare l’uso sistematico (Small et al, 1997; Eccles et al, 1998; Emilien et al,2000; Halliday et al, 2000; Henderson et al, 2000).

Recentemente è stato dimostrato che trattamenti a base di sostanze ad azione antiossidante (vitamina E, selegilina)sono in grado di rallentare la comparsa di disabilità grave, istituzionalizzazione o morte (Sano et al, 1997). Per tale ragione lavitamina E viene attualmente consigliata nel trattamento dell’AD e delle altre forme di demenza degenerativa (Rabins et al,1997)

Sebbene non siano ancora a disposizione i dati di trials clinici su ampia scale, è ipotizzabile che la terapia con inibitoridell’AChe sia efficace anche nella demenza corpi di Lewy, in cui è stato dimostrato un deficit significativo del sistema coli-nergico, mentre non è ad oggi ragionevole utilizzare tali farmaci per la terapia su larga scale di altre forme di demenza dege-nerativa o nella demenza vascolare, in assenza di risultati di trials clinici che eventualmente confermino le esperienze ane-dottiche e personali fino ad ora disponibili.

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i La terapia farmacologica con inibitori dell’AChe pone numerosi problemi, per ora risolti solo in parte, che possono esserecosì riassunti:

• il range di gravità entro il quale è indicata l’introduzione di tali farmaci• quando interrompere una terapia• quali indicatori di efficacia utilizzare• quali i predittori di risposta• quale sovrapposizione esiste fra le diverse molecole disponibili• quale combinazione di farmaci è possibile utilizzare.

Il protocollo recentemente emanato dal Ministero della Sanità (DM 20/7/2000) relativo al monitoraggio del trattamentodella malattia di Alzheimer con i farmaci inibitori dell’AchE definisce i criteri entro i quali il paziente ha diritto alla rimborsa-bilità del trattamento ed i criteri di interruzione della terapia (vedi più avanti). Questi criteri non si discostano sostanzial-mente da quelli disponibili in letteratura, anche se restano gli elementi di problematicità sopra esposti che solo la disponibi-lità di casistiche più ampie potrà chiarire (Rabins et al, 1997; Lovestone et al, 1997).

Non esistono indicatori di efficacia standardizzati; è opportuno che ogni team abbia a disposizione un test per le funzio-ni cognitive (il MMSE, l’ADAS-Cog o altri simili), una scala per l’autosufficienza ed una per la valutazione dei sintomi noncognitivi (quale l’NPI, ad esempio); inoltre è opportuno valutare in modo sistematico il livello di stress dei caregivers. È inte-ressante notare come talora vi sia una discrepanza fra l’efficacia misurata in modo oggettivo con strumenti psicometrici el’impressione clinica dei caregivers; questo fatto da un lato esprime i limiti dell’osservazione e misurazione degli outcomedel trattamento, dall’altro la necessità, comunque, di un rapporto molto stretto con i caregivers e di una osservazione atten-ta del paziente, non limitata alle sole valutazioni strutturate (Bianchetti e Trabucchi, 1998).

Nell’ambito del protocollo ministeriale sono previsti come indicatori di efficacia il MMSE e lo stato funzionale (utilizzandole scale per le ADL e IADL). Tali indicatori vanno considerati di minima.

I predittori di risposta alla terapia con inibitori dell’AChe fino ad ora studiati (quali l’età del soggetto, la funzionalità delsistema neurovegetativo, l’EEG, la percentuale di inibizione dell’AChe eritrocitaria, il genotipo ApoE) hanno fornito dati con-trastanti e, comunque, non sembra ad oggi ragionevole utilizzarli quali variabili per decidere l’inizio o meno della terapia.

La comparazione fra le molecole ad oggi disponibili non permette di trarre conclusioni sull’efficacia relativa, in quanto icriteri di inclusione dei trials sono stati diversi e possono quindi giustificare le lievi differenze osservate. Non esistono, inol-tre, indicazioni sulla sovrapposizione fra le varie molecole nel singolo paziente; cioè se i reponders al donepezil sono ancheresponders alla rivastigmina. Sembra ragionevole, comunque, proporre un tentativo con una molecola diversa quando visono intolleranza, mancanza di efficacia o ripresa del declino cognitivo.

Sebbene non esistano dati basati su trials controllati, è largamente utilizzata la combinazione fra inibitori dell’AChEe vitamina E; sono invece necessari ancora dati sicuri per ciò che riguarda la combinazione di questi farmaci con estro-geni o FANS.

L’aspirina (75-160 mg/die) e la ticlopidina (250-500 mg/die) possono ridurre il rischio di ulteriori eventi ischemici in sog-getti con demenza su base vascolare, ma l’impatto di tale terapia sul deficit cognitivo è incerto (Eccles et al, 1998).

In tutte le forme di demenza va dedicata particolare attenzione alla terapia delle patologie concomitanti; tali condizioni,infatti, rappresentano un rischio per un peggioramento dei deficit cognitivi, per la comparsa di episodi di delirium o peggio-ramento dei sintomi comportamentali (Rozzini e Franzoni, 1998).

Le procedure presentate rispondono alla necessità di basare la pratica sulla Evidence Based Medicine, ma questo nonimplica che procedimenti diversi, purché in ambiti clinici di grande rigore metodologico ed esperienza e con la possibilità diseguire i pazienti nel tempo, non possano essere attuati in singoli casi (Lovestone et al, 1997).

L’utilizzo dei farmaci inibitori dell’Ache ha avuto recentemente nel nostro Paese una sistematizzazione con norme speci-fiche per la prescrizione in regime di rimborsabilità di tali farmaci (Decreto Ministro della Sanità del 20/7/2000). Il documen-to in oggetto prevede che possano essere prescritti i farmaci ad azione di inibizione dell’Ache (donepezil e rivastigmina) ipazienti che rispettano i seguenti criteri:

• Malattia di Alzheimer probabile secondo i criteri NINDS-AIREN• gravità lieve-moderata della malattia (punteggio di MMSE corretto compreso fra 14 e 26)• sintomi presenti da almeno 6 mesi.

Ai Consultori/Centri esperti, che svolgono anche le funzioni di Unità Valutative Alzheimer (UVA) previste dal Decreto, èaffidato il compito di effettuare la diagnosi o di confermare una diagnosi precedente e di stabilire il livello di gravità dellamalattia.

La Regione Emilia-Romagna, sulla base delle indicazioni delle AUSL, ha individuato i Consultori/Centri esperti, indicandola possibilità che i Consultori individuino anche centri delegati. I Centri così individuati sono autorizzati a prescrivere i far-maci, in collaborazione con i medici di famiglia secondo lo schema seguente:

• accesso al Consultorio/Centro Esperto o Centro delegato (che svolgono anche le funzioni di UVA) con invio da partedel medico di medicina generale o di altro specialista del servizio sanitario nazionale sulla base di un sospetto diagno-stico o sulla base di documentazione clinica;

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i• nei casi eleggibili per il trattamento viene iniziato il trattamento con donepezil o rivastigmina, alle dosi più basse

(donepezil 5 mg/die e rivastigmina 1,5 mg x 2/die); le dosi verranno aggiustate nelle successive visite in relazione allatolleranza ed alla risposta clinica fino al massimo di 10 mg/die per il donepezil e di 6 mg x 2/die per la rivastigmina)

• ad un mese valutazione di tollerabilità e adeguamento del piano terapeutico• a 3 mesi valutazione della risposta e monitoraggio della tollerabilità• a 6 mesi ulteriore valutazione della risposta e tollerabilità• visite di monitoraggio successive ogni 6 mesi.Il farmaco viene fornito direttamente dal Consultorio /Centro esperto per i primi 4 mesi di terapia e successivamente i

farmaci sono erogati tramite la prescrizione del medico di medicina generale.Al di fuori delle visite previste dalle Unità di Valutazione i pazienti saranno seguiti dal medico di medicina generale che

ha il compito di sorvegliare la comparsa di effetti collaterali e di valutare l’andamento clinico.

La terapia farmacologica dei sintomi comportamentali nei soggetti con demenza

Il trattamento dei sintomi non cognitivi richiede il coinvolgimento attivo e l’educazione dei caregivers, ed una serie diterapie farmacologiche e non farmacologiche (Teri et al, 1992). I sintomi maggiormente responsivi alla terapia sono l’agita-zione, la depressione, l’insonnia, i sintomi psicotici ed i deliri. In ogni caso il trattamento è indicato quando i sintomi stessisono disturbanti per i familiari o per i caregiver o quando provocano sofferenza nel paziente. Il primo passo è quello diintervenire sull’ambiente e sul comportamento dei caregivers, identificando, quando possibile, i fattori scatenanti i compor-tamenti anomali; successivamente si potranno mettere in atto strategie non farmacologiche; solo alla persistenza dei sinto-mi si passerà alla terapia farmacologica.

L’introduzione dei farmaci descritti nella flow-chart impone un follow-up del paziente che dovrà avvenire ogni 4-8 setti-mante nel caso di uso di neurolettici o di 3 mesi nel caso di ansiolitici o antidepressivi. Naturalmente le condizioni delpaziente, l’ambiente di vita e le capacità di osservazione e gestione dei caregivers, il livello di gravità dei sintomi condiziona-no sia gli interventi terapeutici che la durata del follow-up.

Per la terapia dei sintomi psicotici è indicato l’uso di neurolettici quali aloperidolo (0.25-1 mg x 3/die) oppure tioridazina(25-75 mg bid) (Salzman et al, 1995; Goldberg et al, 1997). L’uso dell’aloperidolo è controverso; sebbene, infatti, vi sianoindicazioni rispetto all’efficacia, la frequenza di effetti collaterali di tipo extrapiramidale va attentamente considerata(Devanand et al, 1998). Sempre maggiore attenzione ricevono nuove molecole, quali il risperidone, l’olanzapina e la clozapi-na, che hanno, rispetto all’aloperidolo, minori effetti collaterali (soprattutto di tipo extrapiramidale) e maggiore efficacia.Nonostante ciò, nel nostro paese, non ne è ancora autorizzato l’uso nel trattamento dei disturbi comportamentali dellademenze.

Nel trattamento farmacologico dell’agitazione gli antipsicotici non sono generalmente di prima scelta; sono prefe-ribili il trazodone (50-200 mg tid), inibitori del reuptake della serotonina, beta-bloccanti a basse dosi (propranololo 10-30 mg tid), carbamazepina a basse dosi (da 50 mg tid a 200 mg tid), buspirone (5-20 mg bid oppure tid) (Rabins et al,1997). Di seconda scelta sono neurolettici selettivi a basse dosi e benzodiazepine a breve emivita, quali oxazepam otemazepam (15-30 mg) (Tariot et al, 1995).

I pazienti dementi che presentano sintomi depressivi dovrebbero essere trattati indipendentemente dalla corrispondenzao meno ai criteri per una sindrome depressiva (Small et al, 1997; Teri, 1994). L’uso di farmaci dovrebbe essere guidato dallecondizioni generali del paziente e dalla tipologia degli altri sintomi eventualmente presenti. Se è presente insonnia trazodoneo nortriptilina potrebbero essere indicati in somministrazione serale. Se invece non vi sono problemi di insonnia gli inibitorisellettivi del reuptake della serotononia sono di prima scelta (fluoxetina, paroxetina, o sertralina) (Knesper, 1995).

Gli antidepressivi triciclici sono efficaci, ma possono peggiorare le funzioni cognitive ed hanno rilevanti effetti collaterali;sono perciò da considerare di seconda scelta (Rabins et al, 1997).

LE CONTENZIONI NEL PAZIENTE DEMENTE: ASPETTI TEORICI

(Su questo argomento, si consiglia la lettura anche dell’approfondimento giuridico fatto dai Magistrati di Trieste in questostesso numero di “Medicina e Sanità” NdR).

Spesso di fronte ad un paziente demente con sintomi comportamentali si ricorre, soprattutto negli ospedali o negli isti-tuti geriatrici, alle contenzioni fisiche (Zanetti, 1997).

L’uso sistematico della contenzione fisica non previene le cadute né controlla la confusione; è anzi associato ad unaumento di cadute e vi sono studi che confermano che le conseguenze più gravi dopo una caduta riguardano soggetti checadono mentre sono sottoposti a contenzione (Rubenstein et al, 1994). La contenzione fisico può essere pertanto conside-rata come raramente appropriata nei pazienti affetti da demenza; è stato dimostrato che una organizzazione dell’assistenzamirata al paziente, la formazione del personale, l’adeguamento degli ambienti ai particolari bisogni dei pazienti dementiriduce in modo significativo il ricorso alla contenzione (Belleli et al, 1998).

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i La pratica della contenzione fisica nelle persone anziane ricoverate in strutture non psichiatriche è recente.Da una revisione della letteratura di Nursing, pubblicata negli USA dal 1885 al 1950, emerge l’indicazione ad evitare in

ogni caso la contenzione fisica negli anziani e il primo textbook di nursing geriatrico non ne menziona mai il ricorso(Evans et al, 1991: Newton, 1950). Negli anni successivi al 1960 si assiste invece ad un notevole incremento nell’uso dellacontenzione fisica; una ricerca del 1977 evidenziò che il 25% dei residenti nelle nursing homes era generalmente conte-nuto (US Dept of Heath, 1979) e nel 1988 questa percentuale era salita al 41,3% (US Health Care Admin, 1988).In uno stu-dio del 1986 il 20% dei soggetti con oltre 70 anni di età sono sottoposti a contenzione durante la degenza in ospedaleper acuti (Mion et al, 1986).

Il ricorso così frequente alla contenzione fisica sembra determinato da una serie concomitante di fattori: l’aumento dellapopolazione anziana, la perdita del valore sociale degli anziani, l’aumento, nelle nursing homes, di anziani con deficit cogni-tivi, gli attuali modelli medici di cura, nonché preoccupazioni per vertenze legali derivanti dalla responsabilità delle istituzio-ni per la protezione dell’ospite (Strumpf et al, 1990).

Sono definiti mezzi di contenzione fisici e meccanici i dispositivi applicati al corpo o nello spazio circostante la personaper limitare la libertà dei movimenti volontari. Questi includono: corpetti, bende per polsi e caviglie, uso di cinghie, bardatu-re, lenzuola per legare parti del corpo, vesti per tutto il corpo, sedia geriatrica con piano d’appoggio fisso, reti e spondineper il letto. Non sono inclusi gessi ortopedici, bracciali che impediscono la flessione del braccio durante un’infusione veno-sa, dispositivi d’allarme al letto o alle porte, protezioni in velcro, speciali serrature a scatto e spondine che proteggano metào tre quarti del letto (Evans et al, 1991).

Contenzione: dove e perché:

L’utilizzo della contenzione fisica aumenta sistematicamente in relazione all’età del paziente e alla severità del dannocognitivo (Evans et al, 1989). Il deficit cognitivo è l’unico predittore indipendente dell’utilizzo del contenimento. L’età avan-zata, la difficoltà nella deambulazione, la prognosi riservata, risultano predittori significativi solo se associati a una cogniti-vità compromessa (Burton ety al, 1992) (Tabella 10).

Riveste anche grande importanza nel maggior ricorso all’uso della contenzione l’attitudine dello staff e la stessa disponi-bilità dei mezzi di contenzione all’interno del setting assistenziale. In una ricerca condotta per valutare l’ attitudine delleinfermiere rispetto ai mezzi di contenzione fisica (si faceva riferimento a mezzi e dispositivi per limitare il movimento delpaziente a letto e sulla sedia) l’82% delle 117 infermiere intervistate erano d’accordo nel definire comodo l’assistere pazientiin contenzione. Gli autori precisano che al termine “comodo” possono essere attribuiti diversi significati e, poiché da partedel maggior numero di intervistate il ricorso alla contenzione è unicamente finalizzato alla sicurezza del paziente, è possibi-le presupporre che se la sicurezza è l’obiettivo, la contenzione appare come il mezzo “più comodo” per raggiungerlo.(Scherer et al, 1991).

Le ragioni più comuni che sono addotte per la contenzione fisica della persona anziana nelle strutture residenziali (caseprotette/RSA, case di riposo) sono la prevenzione di traumatismi da cadute, la minor difficoltà a somministrare un tratta-mento medico senza l’interferenza del paziente e la modificazione di comportamenti disturbanti quali l’aggressività o ilvagabondaggio (Evans et al, 1991; Ouslander et al, 1991; Brungardt, 1994; Marks, 1992).

In alcune strutture residenziali si ricorre alla contenzione anche per far fronte alla carenza di personale di assistenzaoppure per punire i degenti con deficit cognitivi per il loro comportamento (Ouslander et al, 1991).

Nelle divisioni ospedaliere per acuti la più precisa e seguita indicazione per il contenimento sembra essere la pre-venzione dei comportamenti autolesivi, come lo scendere dal letto in assenza del necessario aiuto o l’interruzioneingiustificata di un trattamento medico (Pajusco et al, 1994). La protezione di presidi medicali, necessari per il tratta-mento medico del soggetto, conduce sovente all’uso della contenzione I dispositivi terapeutici più comunementeprotetti sono i cateteri venosi periferici e centrali, il sondino nasogastrico ed endotracheale, e il catetere vescicaleFoley (Marks, 1992).

Altri contenimenti sono applicati esclusivamente per l’irrequietezza o l’agitazione dei pazienti o per evitare che questiarrechino disturbo agli altri degenti (Robbins et al, 1994) (Tabella 11).

La contenzione fisica della persona anziana appare spesso come antitetica alla definizione stessa di assistenza e spesso èapplicata non come estrema ratio, ma come metodica routinaria di fronte ai pazienti che manifestano disturbi comporta-mentali o che mettono a repentaglio la propria o altrui sicurezza.

Il ricorso ai mezzi di contenzione è inoltre spesso privo di qualsiasi evidenza di beneficio per il soggetto a fronte di un’evidente lesività della dignità personale, ben note e gravi complicanze, nonché notevoli ripercussioni sulla qualità della vitadei soggetti.

L’uso sistematico della contenzione fisica non previene le cadute (Rubenstein et al, 1994; Brady et al, 1993; Ginter et al,1992) nè controlla la confusione (Marini et al, 1994); anzi l’uso dei mezzi di contenzione è associato ad un aumento di cadu-

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ite e vi sono studi che confermano che le conseguenze più gravi dopo una caduta riguardano soggetti che cadono mentresono sottoposti a contenzione (Marks, 1992; Tinetti, 1987; Tinetti et al, 1992).

L’uso della contenzione per ridurre il vagabondaggio è più dannoso che benefico (Marini et al, 1994).Petrini sulla base di una ampia e circostanziata rassegna scientifica critica tre delle principali ragioni che sono alla base

della decisione di ricorrere alla contenzione: la convinzione che essa diminuisca il pericolo di incidenti e cadute, la conside-razione che sia utilizzata per il bene dell’ospite nella prevenzione dell’autodanneggiamento, l’idea che il contenimento fisi-co possa aumentare l’efficienza dello staff e diminuirne le preoccupazioni (Petrini et al, 1991).

Contenzione: quando?

La discussione sorta negli ultimi quindici anni, soprattutto negli USA, sull’utilità della contenzione fisica in geriatria hadeterminato un ampio consenso sui gravi rischi del suo utilizzo e sulla sua inefficacia rispetto alle motivazioni che ne hannosostenuto il ricorso. La contenzione può essere pertanto considerata come raramente appropriata nei pazienti anziani(Evans et al, 1989).

Le indicazioni al ricorso alla contenzione riportate in letteratura, spesso all’interno delle linee guida che ne regola-mentano l’utilizzo, sono esclusivamente: circostanze eccezionali (Wright, 1989); situazioni di emergenza, quando ilcomportamento del paziente rappresenti un immediato pericolo per sè o/e per altri, e l’uso della contenzione sidimostri la scelta migliore; protezione di presidi medicali specialmente quando necessari per l’immediato benesseredel paziente (Scherer et al, 1991).

Rubenstein et al. definiscono ragionevole e necessario il ricorso alla contenzione (almeno nella forma delle spondine)nelle seguenti circostanze, indipendentemente dall’età del soggetto: iperattività associata a stato confusionale, traspor-to con barella, periodo pre- e post sedazione, stato di incoscienza o di ebbrezza e quando è in pericolo la sicurezzadel paziente (Rubenstein et al, 1983).

Vi sono pareri contrastanti circa l’utilizzo della contenzione per mantenere correttamente seduto sulla sedia o poltrona ilpaziente: alcuni autori indicano che la soluzione migliore debba essere ricercata nella possibilità di disporre di diversi tipi disedie e poltrone adattabili alle esigenze del paziente e nell’incremento dell’uso di tecniche riabilitative appropriate(Tideiksaar, 1989: Herzberg, 1993). Altri autori giustificano invece il ricorso alla contenzione, valutato caso per caso, permantenere il corretto allineamento posturale (Rose, 1987).

L’obiettivo principale di una rivalutazione della pratica della contenzione è volto a ridurne il ricorso sebbene ciò non siprospetti nè immediato nè facile, poiché richiede uno sforzo non indifferente e dei cambiamenti culturali, organizzativi eprofessionali notevoli.

Un lavoro pubblicato sulla rivista Geriatric Nursing del 1991 riporta un interessante percorso realizzato ai fini di ridurre ilricorso alla contenzione (Rader et al, 1991). Le due autrici, Rader e Donius, presentano il percorso da loro intrapreso presso ilBenedectine Nursing Center per eliminare le contenzioni inutili e che in due anni ha ridotto la percentuale di pazienti in con-tenzione dal 25 a meno del 5% e questi solo saltuariamente. Le motivazioni che rendevano ancora necessario il ricorso allacontenzione fisica, sebbene limitata nel tempo erano esclusivamente: necessità di trattamenti intensivi, auto ed eterolesio-nismo, cadute conseguenti ad ogni tentativo del paziente di alzarsi o camminare

La riduzione del ricorso alla conten-zione ha rappresentato negli USA unodegli obiettivi indispensabili alla promo-zione della qualità della vita nei residen-ti delle nursing homes e un significativoavanzamento nell’umanizzazione del-l’assistenza (Ejaz et al, 1994). Un impor-tante iniziativa di politica pubblica, notacome “OBRA 87” (Omnibus BudgetReconciliation Act) (OBRA, 1987), aven-te fra altre finalità quella di aumentarela qualità della vita nei residenti dellenursing homes, riconosce nella riduzio-ne della contenzione fisica un’impor-tante obiettivo da perseguire (Ejaz et al,1994).

La riflessione e la ricerca finalizzatead una riduzione del ricorso alla conten-zione, anche nella nostra realtà, nonpuò sottrarsi ad una riflessione piùgenerale sul ruolo e gli obiettivi dellacura e dell’assistenza in geriatria.

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Tab. III. Trattamenti non farmacologici per la persona affetta da demenza

Aspetti organizzativi e socio-ambientalinella gestione dei soggetti affetti da demenza

UNA TRIADE DA COSTRUIRE E DA DIFENDERE:LA PERSONA NON AUTOSUFFICIENTE, IL CAREGIVER, I SERVIZI

Per poter affrontare una tematica così complessa in modo adeguato, qual è la gestione della persona non autosufficien-te, è opportuno suddividere l’argomento in tre parti:

• la problematica ed i bisogni della persona non autosufficiente;• il caregiver;• i servizi sanitari e sociali.

L’incremento di durata della vita media ed il decremento delle nascite hanno determinato nei Paesi industrializzati unaprogressiva trasformazione demografica della società, caratterizzata da un aumento della popolazione anziana.

L’Italia è il paese tra i più longevi del mondo, assieme ad Andorra e Giappone, in cui, secondo l’ultimo censimento, gliultra65enni costituiscono il 18% dell’intera popolazione

Anche se le condizioni cliniche degli anziani sono significativamente migliorate rispetto a quelle del passato se confron-tate per pari età, l’invecchiamento globale della popolazione comporta un inevitabile aumento di morbilità e di gravedisabilità nelle classi di età più avanzate.

Con il progredire degli anni la disabilità fisica si associa sempre più frequentemente a quella psichica per l’aumen-to dell’incidenza delle demenze senili; infatti, se si considerano i disabili con età > 65 anni, la percentuale dei pazientiaffetti da demenza si amplifica significativamente.

In Europa, si prevede il raddoppio della prevalenza delle demenze ogni 5 anni a partire dal 65esimo anno di età.

In Friuli Venezia Giulia risiedono 52.000 persone non autosufficienti prevalentemente anziane, in una situazione chetende ad aggravarsi di anno in anno.

L’assistenza di 30.000 persone grava direttamente sulle famiglie; oltre 10.000 persone sono ospiti delle case di riposo;10-12.000 sono seguite a domicilio da assistenti familiari (di cui circa 8.000 “non regolari”).

In Provincia di Gorizia gli ultra-65enni rappresentano il 22,57% dell’intera popolazione.

Si può stimare che una percentuale di circa 6% delle persone ultrasessantacinquenni sia affetta da demenza. NelBacino d’utenza Basso Isontino quindi, su 15276 anziani ultra-65enni (2001) possiamo ipotizzare un numero di circa900 persone affette da una forma di demenza.

Considerato l’elevato numero di persone affette da demenza tra i disabili ultrasessantacinquenni, il relativo lentodecorso di questa patologia cronico degenerativa, l’impegno ed il coinvolgimento emotivo familiare, l’ampiezza dellagamma dei servizi sanitari e sociali necessari alla soddisfazione dei bisogni nell’arco del decorso della malattia costellatodalle più svariate complicanze, si ritiene che essa possa fungere da emblema e paradigma della condizione di nonautosufficienza di cui abbraccia e comprende tutta la vasta complessità della problematica nei vari gradi di gravitàdi forme ed espressioni.

La demenza e tutte le problematiche ad essa correlate (molte delle quali in comune anche alle altre patologie che com-portano la perdita della autosufficienza) hanno sensibilizzato l’opinione pubblica e strati eterogenei della popolazione, eparticolarmente:

Stimolazione: Attività ricreative, arte terapia, terapia occupazionale. Questi interventi determinano il piacere senso-riale derivante al paziente dallo svolgimento di una attività

Stimolazione: Interventi quali la psicoterapia di supporto, la reminescenza, la terapia di validazione emozionale el’integrazione sensoriale

Stimolazione Tecniche varie quali la terapia di riorientamento alla realtà,cognitiva

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• coloro che vivono tale esperienza all’interno della propria famiglia;• coloro che la temono;• gli addetti ai lavori;• coloro che desiderano occuparsi di situazioni coinvolgenti per umana solidarietà;• coloro che sono sensibili alla voce dei mass media che si occupano con assiduità dell’argomento.

Questo ampliamento di interesse, nota senz’altro positiva, comporta il rischio della perdita di specificità e competenzache la complessità che questa condizione richiede; può e deve pertanto essere utilizzato, indirizzato e pilotato.

La gestione del paziente demente può preoccupare gli stessi medici e gli operatori sanitari, perché è difficile prevederepossibilità di successo in una condizione destinata, nella maggior parte dei casi, ad una inesorabile progressione.

Il ricovero ospedaliero tradizionale, per il tempo strettamente necessario, è riservato solo ad alcuni momenti di neces-sità, quali un evento acuto di competenza internistica o chirurgica,.

CAREGIVER

Per caregiver intendiamo un individuo responsabile che, in ambito domestico, si prende cura di una persona disa-bile.

L’attività del caregiver è espressione di tutela e garanzia per il non autosufficiente; nella routine quotidiana svolgeil ruolo significativo di accompagnamento ai singoli interventi sanitari.

Età sesso parentela professione del Caregiver

Età• fino a 45 anni 31,9%• tra i 46 e 60 anni 38,2%• tra 61 e 70 anni 17,9%• oltre i 70 anni il 13%

Sesso• femminile tra il 73,8%- l’81% (con incremento proporzionale alla gravità delle condizioni cliniche)

Parentela con l’assistito• figli/e degli assistiti nel 49,6%• partner/coniuge nel 34,1%

Professione• pensionato 31,9• casalinga 27,7%• impiegato/insegnante 20,6%• artigiano/commerciante 5,7%• professionista/dirigente 4,4%.

In questi ultimi anni si riscontra con frequenza crescente, una nuova figura, il caregiver-collaboratore o assistentefamiliare (altrimenti detto badante), rappresentato di solito da un immigrato/a che accudisce il malato, con la verificadi un familiare.

L’attività svolta dal caregiver non è sempre adeguata alle reali esigenze del paziente per carenza del necessariosupporto sanitario per la formazione, verifica e monitoraggio delle attività assistenziali (Tab. IV).

Tab. IV. Fonti informative effettive dei caregivers (dati bibliografici)

I

• Medico di famiglia 7,8 %• Medico specialista 48,1 %• Associazione di familiari di malati 16,9 %• Mass-media 16,1 %• Parenti o conoscenti 7,9 %• Altro 3,8 %

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iSERVIZI SANITARI E SOCIALI

La famiglia rappresenta la risorsa fondamentale nel circuito dell’assistenza alla persona che ha perso l’autosufficienza.

L’impatto economico stimato per la demenza è molto elevato a causa dei costi di gestione per l’assistenza sanita-ria e sociale del carico che la perdita dell’autosufficienza determina sui familiari, talora costretti anche al prepensio-namento.

E’ pertanto necessario salvaguardare l’autonomia possibile con il fine di consentire alle persone di ottenere l’op-portuna assistenza prioritariamente nel proprio domicilio ed evitando il vincolo di ricorrere all’istituzionalizzazione;

devono allora essere previsti interventi finalizzati a fornire un efficace supporto al nucleo familiare per sostener-ne le capacità di assistenza.

L’obiettivo primario è quello di garantire uniformi livelli di assistenza:

• facilitare ed assicurare l’accesso ai servizi a tutti i cittadini non autosufficienti• favorire la socializzazione e il mantenimento del capitale sociale• privilegiare e sviluppare l’assistenza domiciliare creando una rete di servizi territoriali innovativi

Tab. IV Azioni dei servizi

Tab. V Interventi di supporto per la persona non autosufficiente e la sua famiglia

Modello operativo

Il MMG

La centralità dell’assistenza è sicuramente rappresentata dal medico di medicina generale (MMG)

Il ruolo del MMG si inquadra in un contesto di competenze essenziali per la diagnosi, terapia e prognosi della malattia,continuità assistenziale e collegamento-integrazione con i servizi della rete.

E’ evidente la necessità di individuare le risposte sociali e sanitarie più adeguate e coerenti ad ogni singola situa-zione costruendo un Piano Individuale di assistenza definito in sede di Unità di Valutazione Multidimensionale per l’e-rogazione di servizi alla persona.

Il MMG (come anche gli altri nodi della rete) dispone dell’UVD quale strumento indispensabile per la stesura del program-ma assistenziale individuale e l’attivazione dei servizi di rete.

a) Indicazioni e supporto per conseguimento dell’indennità di accompagnamentob) Deducibilità fiscale per le spese sostenute per l’assistenza al malato a domicilioc) Assegno di cura ed assistenzad) Aiuto economico per le famiglie e basso redditoe) Attivazione SIDIf) Accoglimento presso i Centri Diurnig) Organizzazione di ricovero di sostegno temporaneo presso una RSA

• diagnosi precoce ed individuazione del programma terapeutico-assistenziale più adeguato• valutazione della comorbilità quale fattore condizionante l’evoluzione della patologia• individuazione e coordinamento dei servizi territoriali e residenziali, sociali ed assistenziali temporanei o defi-

nitivi idonei all’assistenza• corsi di formazione del personale addetto all’assistenza• attivazione dei servizi di Assistenza Domiciliare Integrata• supporto alle famiglie dei malati, in collaborazione con le associazioni di volontariato

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iCompito del MMG è quindi anche quello di guidare la famiglia all’utilizzo più appropriato e congruo dei servizi

disponibili nell’ambito della rete che integra i vari livelli di competenza:• azienda sanitaria-ente locale• ospedale-territorio (servizi sanitari e sociali)• istituzioni - associazioni• operatori-nucleo familiare.

Il rinnovamento della rete con la creazione di nuovi servizi di cui disporre nella stesura del piano individuale diassistenza (ad es. formalizzazione di attività educativo-formative per gli assistenti familiari) ed una maggiore flessibi-lità degli stessi, offre ulteriori possibilità e rappresenta la condizione fondamentale per il conseguimento di risultatitangibili

Ambulatorio psicogeriatrico ed Unità di Valutazione Alzheimer

Ha lo scopo di svolgere attività di valutazione, diagnosi, prescrizione del programma di terapia farmacologia specifica, incollaborazione con MMG e rete assistenziale geriatrica

Servizio Infermieristico Domiciliare (SID) e di Riabilitazione Domiciliare

Secondo programma stilato in sede di UVD, il SID o il Servizio di Riabilitazione Domiciliare vengono attivati per le necessità:• Assistenziali sanitarie di competenza infermieristica• Riabilitative• Educativo-formative: prevenzione formazione ed educazione alla salute: formazione educazione e supporto ai familiari

e assistenti familiari.Questi servizi operano in stretta collaborazione con il MMG, i Servizi Sociali (eventuale attivazione di SAD etc.) e la rete

dei servizi in modo tale da poter soddisfare in forma integrata la globalità dei bisogni sanitari e sociali (ADI).

Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA)

La RSA può accogliere persone con disturbi cognitivi.Svolge attività di sostegno al nucleo familiare esausto a causa del carico assistenziale o in occasione dell’assenza/ferie

dell’assistente familiare, accogliendo la persona non autosufficiente per un periodo di durata concordata e definita.Essa deve essere intesa non come contenitore sociale, ma come sede di cura flessibile e plurifunzionale, come punto di

aggregazione di professionalità e di servizi, e centro di erogazione di prestazioni multispecialistiche, con funzioni specifi-che:

• Socio-assistenziali,• Riabilitative• Educativo-formative: Prevenzione formazione ed educazione alla salute: formazione del personale, di educazione e

supporto ai familiari e caregivers, e di sensibilizzazione sociale

Centro diurno

Ha la finalità di garantire una permanenza più lunga ed autonoma possibile, nel proprio ambiente familiare, ritardandol’istituzionalizzazione definitiva; offre una pausa ai familiari dallo stress assistenziale, nonché un fondamentale sostegnopsicologico ed informativo.

L’inserimento del demente nel Centro Diurno riduce inoltre l’uso di psicofarmaci in concomitanza all’attenuazione deidisturbi comportamentali, al miglioramento delle performances motorie, al riequilibrio del ritmo sonno-veglia.

Necessita di ampi spazi con aspetto domiciliare, organizzati secondo criteri di semplicità e facile accessibilità per favorirela mobilità dei pazienti, che in tutte le fasi della demenza deve essere incoraggiata e non soppressa

1. L’utilizzo mirato di risorse familiari non sufficientemente valorizzate in precedenza oppure o di assistentifamiliari che precedentemente non era stato possibile considerare formalmente

2. Un incremento delle abilità residue della persona malata3. Una diminuizione dello stress del malato, dello staff di cura e dei familiari4. Una riduzione dell’uso dei farmaci ove possibile5. Un miglioramento del rapporto tra i costi di assistenza ed i risultati

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i I compiti si riferiscono a:– assistenza farmacologica e non farmacologica a pazienti che non necessitano la istituzionalizzazione e che, per motivi

vari, non possono essere gestiti a domicilio;– continuità assistenziale a coloro che vengono deistituzionalizzati, ma necessitano ancora di cure, soprattutto non far-

macologiche (riabilitative-occupazionali etc) che non possono essere effettuate a domicilio;– sono di supporto al caregiver/familiare.

Hospice

Tale struttura è dedicata alle persone che versano in condizioni di terminalità clinica. Esse vengono accolte in Hospice nelcaso in cui pur non avendo necessità di ricovero in un reparto per acuti, non possono essere gestite a domicilio a causa del-l’assistenza particolarmente intensa e continuativa o per difficoltà del nucleo familiare.

Il ruolo dell’ambiente nella cura della persona con demenza.

La persona colpita da demenza perde la dimensione temporale dell’esistenza, cosicché passato e futuro cessano di esse-re le coordinate che dirigono il vivere quotidiano e tutto si cristallizza in un presente apparentemente senza radici e senzaprospettive. In questa situazione la dimensione spaziale assume in sé la funzione di legare l’individuo alla dimensione tem-porale, quasi vicariandone il significato vitale; in particolare lo spazio modellato dal lento scorrere del tempo, segnato daglieventi che hanno costituito la storia della persona, diviene la modalità residuale di vivere il tempo nella sua dimensione pas-sata. Così la casa, i luoghi abituali, gli oggetti frequentati, i volti conosciuti costituiscono gli engrammi della memoria, letracce permanenti (ovvero più resistenti alla disgregazione conseguenza della malattia) di un passato ancora significante. Aldi fuori di questa dimensione spaziale il tempo diviene un baratro in cui perdersi, un abisso nel quale non vi è più identitàpersonale né significato per il presente. L’impossibilità ad apprendere nuove informazioni impedisce alla persona affetta dademenza di conoscere nuovi luoghi, di attribuire significati vitali a nuovi spazi; così il nuovo è un non-senso, un luogo invivi-bile perché non identificabile con nessuna esperienza.

Nelle fasi più avanzate della malattia, anche quando apparentemente la persona perde ogni capacità di relazionerazionale con ciò che la circonda, resiste una dimensione affettiva di legame con l’ambiente, una capacità di riconosci-mento non razionale, ma ugualmente significativa per l’individuo. La presenza, e la persistenza fino nelle fasi più estre-me del decadimento cognitivo, di questo riconoscimento pre-semantico, che probabilmente utilizza strategie rappre-sentative e procedurali, è dimostrata dal comportamento dell’individuo in risposta a situazioni ambientali diverse. Ildisagio, la confusione, l’agitazione che conseguono all’inserimento di un demente in un ambiente per lui nuovo,soprattutto se impersonale ed asettico come un ospedale, od alla frequentazione di persone sconosciute, od all’ap-proccio sgarbato o violento e viceversa la tranquillità, a volte il sorriso, che si manifestano quando lo circondano cose evolti noti, quando una mano si posa sulla spalla, sono la dimostrazione della capacità della persona anche gravementedemente di percepire lo spazio e l’ambiente al di là della compromissione delle facoltà mnesiche, verbali e non verbali,e delle funzioni noetiche.

In ogni fase della malattia l’ambiente può compensare (assumendo una valenza prostetica) o al contrario accentuare ideficit cognitivi e condizionare perciò lo stato funzionale ed il comportamento. Le modificazioni ambientali non incidonocomunque sulla storia naturale della malattia e sul declino delle funzioni cognitive, ma riducono i problemi comportamen-tali (quali agitazione, affaccendamento, wandering, aggressività, insonnia), i sintomi psicotici e rallentano il declino dellecapacità funzionali dei soggetti con demenza.

Lo spazio e l’ambiente vitale rappresentano perciò per la persona affetta da demenza da un lato il motivo scatenante dimolte alterazioni del comportamento e dall’altro una risorsa terapeutica, purtroppo spesso sottoutilizzata.

Lo spazio vitale della persona con demenza va considerato come un sistema integrato, che comprende aspetti architet-tonici e componenti legate all’organizzazione ed al contesto sociale.

La componente organizzativa si riferisce principalmente ai programmi di strutture e servizi, quali centri diurni, residenzeprotette o assistenziali. La componente sociale è rappresentata dai caregivers informali (familiari o amici), e formali (staffdei servizi domiciliari e residenziali), dai vicini o dai residenti nelle istituzioni. Infine, la componente architettonica si riferi-sce agli spazi fisici per le persone con demenza (siano esse al domicilio o in strutture diurne o residenziali) ed all’organizza-zione di questi spazi (arredamento, materiali, attrezzature, proprietà sensoriali e spaziali).

Naturalmente sono le caratteristiche della persona con demenza ed i bisogni determinati dalla malattia che permettonodi definire gli obiettivi terapeutici e questi determinano le scelte ambientali.

Gli obiettivi terapeutici ed i conseguenti interventi ambientali possono variare ampiamente, da semplici modifiche, qualirimuovere gli oggetti ingombranti in casa o insegnare al caregiver come evitare situazioni stressanti per il paziente, fino allacreazione di ambienti (spazi fisici ed organizzazione) totalmente nuovi (tabella 8).

Le linee generali entro cui muoversi sono comunque simili per qualsiasi setting (casa, ospedale, centro diurno, residenzasanitaria assistenziale) si tratti.

Il primo obiettivo di ogni ambiente terapeutico è assicurare che gli utenti non subiscano alcun danno. I soggetti affetti dademenza sono particolarmente vulnerabili in conseguenza dei deficit cognitivi e funzionali, è perciò essenziale assicurare

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iloro sicurezza fisica e psicologica. Dovranno essere utilizzati accorgimenti (nell’uso dei materiali e degli arredi), ausili e sup-porti tecnologici finalizzati a garantire la sicurezza, quali l’impiego di materiali ignifughi, la disponibilità di adeguate uscitedi emergenza, l’utilizzo di fornelli a gas con sistemi di sicurezza, di ausili per l’equilibrio e la deambulazione (nei corridoi enei bagni, per esempio), l’eliminazione degli ostacoli, la progettazione degli spazi in modo da facilitare la sorveglianza deiresidenti da parte dello staff.

L’ambiente deve essere strutturato in modo da compensare le limitazioni funzionali presenti (ad esempio corrimanoper facilitare la deambulazione, programmi di controllo sfinteriale per l’incontinenza, ecc.) e stimolare le abilità residue.Gli interventi ambientali devono perciò essere personalizzati e conseguenti ad una valutazione attenta e strutturata dellostato funzionale.

Nella persona con demenza i problemi sensoriali accentuano i deficit cognitivi e la disabilità. Particolare attenzione vaperciò posta affinchè i soggetti con problemi di vista od udito utilizzino le protesi e riescano a gestirle correttamente.Inoltre, gli ambienti devono essere adeguatamente illuminati, evitando disturbanti bagliori e riflessi (dalle finestre e dallelampade). I colori delle pareti e degli oggetti dovrebbero determinare un buon contrasto per migliorare la definizione dispazi diversi e degli oggetti dallo sfondo; vengono per questo più spesso consigliati i colori primari, evitando le tonalitàtroppo morbide ed uniformi.

L’ambiente, sia esso la casa, l’ospedale, un centro diurno od una residenza assistenziale, deve aiutare il paziente,attraverso la progettazione degli spazi, gli arredi, l’organizzazione ed i programmi delle attività, a “sapere chi è” e“sapere dove è”. Mantenere il più a lungo possibile la persona al proprio domicilio e conservare i legami con il passatoè naturalmente il modo più efficacie per sostenere la memoria ed evitare il disorientamento. Anche qui un accorto uti-lizzo degli oggetti (in particolare quelli personali), degli stimoli visivi (quali fotografie, calendari, orologi) ed uditivi(suoni o musiche) può essere un buon ausilio alla memoria ed all’orientamento ed un’opportunità per stimolare laconversazione. Nelle strutture residenziali gli ambienti impersonali ed uniformi facilitano il disorientamento e la com-parsa di ansia e agitazione. I dementi accolti in residenze assistenziali o in strutture ospedaliere sperimentano unaserie di modificazioni in se stessi e nel mondo che li circonda e, perdendo i legami con l’ambiente significativo, accen-tuano il disorientamento e la confusione; perciò è importante mantenere il più a lungo possibile legami significativicon la famiglia e con il proprio passato, attraverso l’uso di oggetti personali (quadri, fotografie, soprammobili, piccolimobili, ecc.) ed il contatto frequente con i familiari. I diversi ambienti, inoltre, devono essere chiaramente riconoscibi-li (con l’utilizzo di colori, simboli, indicazioni), i percorsi devono essere facilitati (da indicazioni colorate e simboli) e leforme ripetitive eliminate.

I soggetti affetti da demenza possono avere difficoltà a sostenere elevati livelli di stimoli senza sperimentare ansiae stress; d’altra parte molti setting istituzionali presentano un grado elevato di deprivazione sensoriale e sociale, chenon è terapeutico. L’ambiente fisico deve fornire stimoli non ossessivi (come schemi colorati, oggetti da toccare) chenon sovraccaricano i pazienti; inoltre nei programmi (condotti in istituti o al domicilio) va prevista la somministrazio-ne controllata di stimoli verbali e non verbali, che possibilmente suscitino l’interesse del paziente (lettura di parti digiornale o di riviste con fotografie colorate, ascolto di musica classica, ecc.). Generalmente poco tollerati sono il cine-ma e la televisione. L’affollamento di molte persone, anche nell’ambiente domestico, deve essere evitato, in particola-re quando non è finalizzato a particolari attività, quali celebrazioni liturgiche o esercizi di gruppo. Le famiglie e lestrutture residenziali devono comunque fornire opportunità di relazioni sociali, specialmente nelle fasi iniziali dellademenza, per ridurre la deprivazione sensoriale, mantenere le funzioni residue e migliorare la qualità della vita. Visono comunque ampie differenze individuali, sia per ciò che riguarda il numero di persone che la dimensione deglispazi tollerati senza generare confusione.

Lo sforzo dedicato al miglioramento dell’ambiente di vita delle persone affette da demenza, sebbene non incida proba-bilmente sulla durata della malattia, certamente migliora la qualità della vita dei pazienti e delle famiglie e rappresenta atutt’oggi uno dei pochi risultati realmente terapeutici ottenibili nella demenza.

Il ruolo della famiglia

I familiari hanno un ruolo centrale nella gestione del paziente demente; infatti rappresentano la risorsa principale perl’assistenza e l’elemento che può ridurre il ricorso all’istituzionalizzazione. Chi fornisce assistenza a soggetti con demenza èparticolarmente a rischio di accusare sintomi quali nervosismo, astenia, inappetenza ed insonnia. Frequentemente è rileva-bile depressione dell’umore; ciò si correla ad un consumo di farmaci psicotropi significativamente superiore rispetto allapopolazione generale. L’uso di programmi di educazione e di sostegno dei familiari è uno dei mezzi più efficaci per ridurrelo stress e diminuire il rischio di ricorso all’istituzionalizzazione (Zanetti et al, 1996).

Flow-chart per la terapia delle demenze

Le flow-chart che seguono descrivono in modo schematico il percorso terapeutico che è stato delineato nei paragrafiprecedenti.

Come tutti gli strumenti di sintesi rappresentano un ausilio di facile consultazione e non vogliono in nessun modo (népotrebbero) sostituire un approccio clinico individualizzato che tenga conto della complessità dei problemi e delle risposte.

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Prevenire le complicanzeIn tutte le fasi della demenza la comparsa di complicanze può determinare un rapido peggioramento delle funzioni

cognitive, del comportamento e dell’autonomia del paziente. Nelle fasi più avanzate, inoltre, l’equipe di assistenza si trovaquotidianamente ad affrontare i problemi dell’incontinenza, del rischio di piaghe da decubito, di cadute ed i problemi legatiall’alimentazione (Zanetti, 1991).

CaduteNel decorso della demenza, particolarmente nelle fasi avanzate, possono comparire alterazioni dell’equilibrio e della mar-

cia che pongono il soggetto ad elevato rischio di caduta, particolarmente se si trova in un ambiente a lui poco noto, come unreparto di ospedale od una casa diriposo (Franzoni et al, 1993).

Nel 30-50% dei casi, le cadutesono dovute a cause accidentali: inrealtà molte cadute attribuite ad inci-denti sono provocate dall’interazionetra fattori ambientali ben identificabilie una aumentata suscettibilità indivi-duale, attribuibile soprattutto aglieffetti dell’età e delle malattie sull’e-quilibrio e l’andatura.

Nel paziente e anziano, e più inparticolare nel paziente demente,l’andatura è meno sicura e menocoordinata che nell’adulto, i riflessiposturali, il tono e la forza muscola-re, l’altezza del passo diminuisco-no, modificando la capacità di evita-re una caduta di fronte ad un osta-colo improvviso. Le alterazioni dellavista e dell ’udito accrescono i lrischio di caduta.

Spesso la caduta rappresenta laconseguenza propria anche dellepatologie concomitanti presenti nelsoggetto (cardiopatie, malattiecerebrovascolari, malattie metaboli-che), oppure può essere legata allaterapia farmacologica che il pazien-te sta assumendo.

Occorre quindi un’assistenzamirata alla definizione dei pazienti arischio di caduta attraverso una cor-retta valutazione globale dei fattori,sia individuali che ambientali, chepredispongono alla caduta.

Lesioni da decubitoFra tutti i fattori che condiziona-

no la comparsa di lesioni, l’immobi-lità è certamente una della piùimportanti, insieme ad altre cause

che possono diminuire la tolleranza tissutale. L’immobilità agisce principalmente tramite due meccanismi: la compressionee lo stiramento, che bloccano l’afflusso di sangue alla cute.

Nelle persone sane non si sviluppano le lesioni da decubito anche se stanno a letto o sedute per lungo tempo, perchè lezone compresse sono dolenti ed inducono al movimento. Nel soggetto demente agli ultimi stadi, la sensibilità tattile e dolo-rifica è inefficiente o può essere addirittura mancante. L’immobilità riduce o elimina totalmente la capacità di compieremovimenti volontari ed involontari necessari per scaricare periodicamente le zone sottoposte a compressione.

La macerazione della cute, dovuta ad incontinenza urinaria e fecale, la malnutrizione, alcune terapie farmacologiche,sono altre cause predisponenti all’insorgenza di lesioni.

Ancora una volontà l’obiettivo assistenziale non può prescindere da una attenta valutazione dei fattori che consentonodi individuare i pazienti a rischio, per poter predisporre un piano di interventi preventivi, che devono avere sempre come

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iprimo obiettivo la mobilizzazione periodica del paziente, ad intervalli di due ore, giorno e ridurre la durata della pressionelocalizzata, permettendo la ricircolazione del sangue.

L’utilizzo di presidi antidecubito, può essere di aiuto per ridurre la pressione locale, ma risulterebbe del tutto inutile,oltre che costoso, se non si mobilizzasse il paziente.

Particolare attenzione va posta dagli operatori, nell’utilizzo della padella, del catetere, delle lenzuola e dei velli, per evita-re con gli stiramenti, le pieghe delle lenzuola, o la pressione del catetere, di provocare danni alla cute.

MalnutrizioneUn aspetto essenziale nell’assistenza ai pazienti dementi è assicurare un adeguato apporto nutrizionale; le alterazioni

dell’apporto alimentare sono infatti frequenti sin dalle fasi iniziali della malattia: il paziente tende più spesso ad alimentarsipoco, in modo monotono o a dimenticarsi del tutto di mangiare; più raramente vi sono casi di bulimia.

Nella fase moderato-severa della demenza vi sono problemi nell’autonomia dell’alimentazione, che richiedono in misuravariabile un aiuto, fino alla necessità di imboccare completamente il paziente o di alimentano attraverso sondino naso-gastrico, quando compare il rifiuto del cibo o la disfagia. Attualmente si assiste ad un ampio dibattito sugli aspetti etici,deontologici relativi alle procedure di sostegno alla vita nelle fasi terminali della demenza (Bianchetti et al, 1998).

I rischi a cui va incontro un soggetto demente sono: la malnutrizione e la disidratazione.Ci sono comunque alcuni aspetti da presidiare, almeno nelle prime fasi della malattia, per aiutare il paziente a conserva-

re le sue capacità residue e per stimolano a mangiare.Molto spesso il paziente non mangia perché non ha posizionato correttamente la protesi dentaria, oppure presenta una

candidosi: ciò deve portare gli operatori ad un accurato controllo e igiene del cavo orale.Altrettanto frequentemente il paziente non mangia perchè non “vede” il cibo nel piatto o non riconosce gli oggetti sul

tavolo, ha difficoltà a distinguere i colori: acquista particolare importanza, in questi casi, predisporre un ambiente gradevo-le, più simile ad una sala da pranzo o cucina di casa, che ad un’asettica mensa, si possono utilizzare piatti colorati, tovaglieantirovesciamento, ausili diversi che lo possono aiutare.

Un’importanza particolare assumono il rispetto dei tempi come orario dei pasti e come tempo necessario al paziente permangiare; può essere utile, nel caso di problemi amnesici, far vedere l’ordine di utilizzo delle posate, a cosa servono, por-tando magari il cucchiaio alla bocca, ecc.

Durante il pasto, è bene osservare il paziente per rilevare la quantità degli alimenti che mangia, il tempo che ci impiega(se troppo lungo, i cibi si potrebbero raffreddare); èaltrettanto utile conoscere le abitudini e le preferenze del paziente perevitare che non mangi, perché quell’alimento non è gradisce.

IncontinenzaLa comparsa di incontinenza accompagna costantemente ogni forma di demenza. L’incontinenza può essere il primo e

precoce segno, accanto al disturbo di memoria e a difficoltà nella deambulazione, di una forma di demenza.L’obiettivo assistenziale principale è certamente quello di mantenere il più a lungo possibile la continenza.Spesso il paziente demente non è in grado di inibire la minzione per il tempo necessario a raggiungere la toilette: può

essere un valido aiuto l’impiego di un abbigliamento facile da togliere, sostituendo cerniere e bottoni con chiusure a strap-po, ciò può facilitare la continenza. Spesso il paziente demente non sa localizzare la toilette; in questo caso possono servireindicazioni colorate che tracciano il percorso verso il bagno, l’impiego di colori per aiutare a identificare e localizzare i varilocali e il loro uso.

Una volta instaurata un’incontinenza irreversibile è opportuno programmare la minzione, utilizzando una scheda appo-sita, accompagnando periodicamente in bagno il paziente ogni 2-3 ore, soprattutto appena si sveglia al mattino, prima dicoricarsi e una volta durante la notte. Può essere utile limitare l’apporto di liquidi nelle ore serali.

Tendenzialmente è preferibile l’utilizzo del pannolone, ricorrendo in casi eccezionali all’utiilizzo del catetere vescicale,che oltre ad essere causa di complicanze, non risolverebbe il problema, perché solitamente all’incontinenza urinaria è asso-ciata un‘incontinenza fecale.

Assume invece un’importanza particolare l’igiene intima della persona soprattutto per la prevenzione delle lesioni dadecubito, oltre che per garantire al paziente la sua dignità di persona.

Educare e sostenere la famigliaÈ necessario innanzitutto ricordare come la maggioranza dei malati (circa Ì 80%) vive in famiglia ed è assistita dal sistema

di supporto informale, ossia da familiari o amici (Zanetti et al, 1995). I familiari che assistono un paziente demente devonosostenere un pesante carico assistenziale. Sono soprattutto i disturbi comportamentali (agitazione, vagabondaggio, inson-nia ed inversione del ciclo sonno veglia) a incidere più pesantemente sulle risorse assistenziali dei familiari introducendonell’ambito familiare elementi di crisi, spesso “invisibile” (Tompson et al, 1982), che favoriscono la richiesta di istituzionaliz-zazione. Non vi è dubbio però che per i soggetti che hanno un significativo supporto familiare, il vivere in casa piuttosto chein istituto consente una migliore qualità della vita e probabilmente rallenta la comparsa di deficit funzionali. Appare quindievidente l’importanza di considerare la famiglia come oggetto di attenzione e dì “cure” -di supporto e di informazione -affinchè possa conservare un ruolo terapeutico ed assistenziale e possa essere salvaguardata la qualità della vita della fami-glia accanto a quella del paziente.

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Federico Frezza & Francesco AntoniMagistrati – Tribunale di Trieste

Breve premessa

Ovvio ed indefettibile presupposto di quanto si dirà sulla liceità della contenzione è che la stessa sia utile ad evitare lesio-ni ad un paziente; vale a dire: ogni considerazione legale è per così dire neutra rispetto alle considerazioni sanitarie, chesono del tutto autonome.

Per cui, se si perviene alla conclusione che la contenzione dal punto di vista sanitario è inutile o dannosa (però: non sonocerto che tale valutazione possa venire fatta una volta per tutte, e non invece caso per caso), la sua liceità astratta rimaneappunto... astratta; perché poi, in concreto, qualsiasi trattamento dannoso (soprattutto se reputato a priori certamente esempre dannoso) sarà altresì illecito. Direi: consequenzialmente illecito.

Ancora: il breve scritto che segue verte principalmente sulla contenzione meccanica; però è difficile valutare la neces-sità e/o l’opportunità della contenzione meccanica, senza prendere in considerazione la contenzione farmacologica; èchiaro che se esistono dei trattamenti alternativi (contenzione meccanica o farmacologica) è d’uopo comparare benefici erischi di entrambi.

Dunque, il giudizio medico/sanitario, empirico più che non scientifico in senso stretto, condiziona le valutazionilegali, perché è ovvio che non è consentito un trattamento che si reputi a priori dannoso; con l’avvertenza, però, che in uneventuale processo il giudice valuterà da zero e in piena autonomia l’esattezza delle considerazioni mediche, sicché ilgiudizio del tutto negativo, che pare venga espresso in letteratura sulla contenzione meccanica, avrà un qualche valore solose risulterà fondato, condiviso, valido …

Non escludo (non vedo come potrei farlo) che quella sulla nocività della contenzione sia un’opinione valida; non sonoperò che troppo sicuro che, allo stato, sia adeguatamente supportata/argomentata, né che sia largamente condivisa.

Cos’è la contenzione?

È contenzione l’azione finalizzata a controllare, limitare, ridurre o escludere i movimenti di una persona o comun-que a condizionarne il comportamento.

Possiamo definire contenzione manuale quella attuata da una persona (operatore sanitario o altro soggetto non impor-ta) senza utilizzo di strumenti di sorta.

Possiamo definire contenzione meccanica quella attuata per mezzo di strumenti fisici, sia che vengano applicati allapersona (es.: fasce e cinture di contenzione), sia che vengano posti nell’ambiente in cui essa si trova (es.: sponde applicateal letto).

Possiamo definire contenzione farmacologica quella attuata per mezzo di farmaci (es.: tranquillanti, sedativi).

Possiamo definire contenzione ambientale quella che confina la persona in un ambiente, anche vasto (es.: in un repartoospedaliero; in una casa di cura), vietandogli di uscire liberamente; è la forma più diffusa (e meno evitabile) di contenzione,e la maggior parte della giurisprudenza in tema di contenzione attiene alla responsabilità di medici o direttori sanitari per lelesioni riportate (o arrecate a terzi) da pazienti usciti senza controllo da reparti psichiatrici, da strutture protette, etc.

Tutte le forme di contenzione incontrano i medesimi problemi giuridici, pur nella loro apparente diversità, perché iprincìpi dell’ordinamento sono i medesimi.

Ciò posto, occorre affrontare, forse senza esiti risolutivi, un punto di grande rilievo, vale a dire: la contenzione puòessere oggetto di prescrizione medica ?

NOTE in TEMA diCONTENZIONE (MECCANICA, ma non solo …)

in campo SANITARIO

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Infatti a noi sembra, prima facie, che la risposta non sia né sì né no; ed è importante esporre non solo la conclusione, mal’intero discorso, o ragionamento, che facciamo per tentare di rispondere al quesito.

Perché in prima battuta ci sembra che la risposta non sia né sì né no?

Perché non esiste una definizione rigida e immutabile di “atto medico”.

Perché è corretto parlare di tante contenzioni, ognuna con i suoi peculiari presupposti di fatto, e, quindi, di diritto.Insomma: fattualmente, non ravvisiamo continuità né omogeneità: a) tra l’ospedale e la piccola casa di riposo; b) tra urgen-za e cronicità; c) tra medico ospedaliero, la cui presenza è continua, e medico di base, che magari non vede l’assistito damesi; etc.

Perché occorre distinguere un potere certificativo, che di certo è proprio del medico (diagnosi di demenza e di possibileagitazione, per es.), da quello che, poi, a quella certificazione consegue nella pratica, vale a dire: l’applicazione della conten-zione piuttosto che non la presenza continua di personale infermieristico, o altro.

In altri termini: reputiamo certo che sia il medico il soggetto che quasi sempre è chiamato a diagnosticare, ad accer-tare, a certificare l’esistenza dei presupposti clinici (fisici/psichici) che potrebbero dar luogo ad una contenzione; manon è affatto scontato che debba essere il medico ad attuare ciò che alla certificazione consegue, cioè a decidere - caso percaso, momento per momento - come ovviare alla situazione ‘difficile’.

Dovrebbe essere ovvio, tra l’altro, che la scelta tra sorveglianza, contenzione, sedazione dipenderà anche dai mezzia disposizione, e che potrà essere fatta da soggetti diversi dal medico, e ciò sia se il medico non è presente, sia se nonconosce i mezzi a disposizione, oppure se non ne dispone (p. es., il medico di base non ha potere sull’organizzazionedi una casa di riposo).

Altro punto: occorre preoccuparsi anche dei diritti dei terzi, che rientrano nel novero di quelli tutelati dall’art. 54 delcodice penale; in altri termini, non c’è solo il diritto del paziente a non venire conculcato, ingabbiato, legato, compres-so; c’è anche il diritto degli altri pazienti a non venire aggrediti o, sia pure solo colposamente, feriti-lesionati; e paridiritto ha il personale infermieristico, tant’è che la Cassazione civile ha statuito che all’infermiere del centro di salutementale aggredito spetta un risarcimento dal datore di lavoro perché il paziente non era sedato-controllato a sufficienza.

Sicchè l’azienda sanitaria potrebbe trovarsi a dover decidere tra la contenzione (in danno del paziente) e la non-conten-zione (in danno dell’infermiere)... sempre che, ovviamente, non esista una terza via.

Ancora: esistono diritti diversi da quello alla libertà personale; il paziente ha diritto a venir tutelato da cadute, dafughe rovinose, dall’impulso al suicidio (argom. ex artt. 40 cpv., 51, 328, 591, 593 cod. pen.).

Tra tutti i dubbi prospettati dianzi, richiamo l’attenzione sulle caratteristiche della struttura che dovrà attuare la conten-zione.

Ciò a livello sia oggettivo che soggettivo: invero, è intuitivo che la situazione di un ospedale è del tutto diversa da quelladi una casa di riposo (struttura non sanitaria) o addirittura dal domicilio del paziente; dal pari, è ovvio che i doveri di unmedico ospedaliero sono del tutto diversi da quelli di un medico di base.

E quelli di un medico di base sono diversi a seconda della situazione: se il suo paziente è in ospedale, il medico di basenon ha alcun obbligo; se il paziente è in una struttura parasanitaria o addirittura a casa, il medico di base può avere, come daconvenzione, qualche obbligo in più (se non altro quello di visitarlo a richiesta).

Facendo un primo punto fermo, diamo per scontato che quasi sempre (salvo emergenze o mancanza del medico) debbaessere un medico a diagnosticare/accertare il bisogno di contenzione; cioè:

a) di norma è compito del medico valutare, ed attestare, che un paziente è agitato e/o pericoloso e/o tendenza allafuga, etc.;

b) quello che invece non è scontato è che debba essere sempre/necessariamente il medico a stabilire come (inche modo, con quali mezzi) impedire gli eventi negativi quali cadute dal letto, fughe, etc.

Quanto ad a), va osservato una cosa che sfugge a molti, vale a dire che l’intervento certificativo del medico può esserci opuò non esserci: p. es., il medico di base non ha, né contrattualmente né di fatto, il controllo del paziente, non ne è il guar-diano; il medico di base opera solamente se ed in quanto un suo paziente si rivolge a lui (p. es., io ho l’allergia alle gramina-cee, ma se non lo vado a dire al medico, non posso pretendere che di sua iniziativa mi prescriva un antistaminico …); sicchè:se il paziente (o un parente) non si rivolge a lui, il medico di base ignora incolpevolmente che il paziente è a rischio, e, quindi,nulla è tenuto a fare.

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aQuanto a b), occorre tenere conto di vari fattori, non ultimo dei quali è la crescita culturale e professionale degli infer-

mieri, ai quali sono demandati i compiti di nursing, con spazi di autonomia decisionale dai contorni non (ancora) netti, macomunque proporzionali alla loro accresciuta professionalità; altro fattore essenziale è la struttura presso cui il paziente sitrova: il medico estraneo ad una RSA non ne ha il controllo, non può imporre nulla; e, soprattutto, come può sapere qualisono i mezzi a disposizione, quale è il loro stato di manutenzione, etc.?

Qui arriviamo al cuore del problema: in un mondo ideale, si potrebbe/dovrebbe evitare pressochè sempre la con-tenzione, in quanto una forte presenza di infermieri ed inservienti sarebbe idonea ad evitare tutti i pericoli, attivi a passivi,che si tenta di evitare a mezzo della contenzione.

Ma … tale mondo ideale non esiste; e allora, ogni determinazione sulla contenzione non potrà che essere un com-promesso, frutto di una comparazione costi/benefici (sia chiaro: non in senso economico, o non solo in senso economi-co).

Ed una siffatta comparazione si fonda su quelli che sono i mezzi a disposizione: personale, sedie attrezzate, bandine,etc.; ne consegue che solo chi conosce - in concreto e in quel singolo caso - quali sono esattamente i mezzi disponibili,le loro caratteristiche, il loro stato di conservazione, o di degrado, può adottare una determinazione valida.

E non solo; non basta conoscere i mezzi disponibili; occorre anche il potere di disporne; il che evidenzia più che maila non-esistenza di una soluzione valida sempre e comunque: il medico ospedaliero ha parecchi mezzi ed ha una certadisponibilità dei medesimi; il medico di base, non ha né gli uni né l’altra.

Sicchè: la contenzione (se la si può/deve fare; chi la può disporre) dipende anche dalla struttura.

Perché? Perchè il diritto non è un coacervo di regole assurde, astratte, incomprensibili; il diritto è il modo di conciliareinteressi contrapposti, entrambi meritevoli di tutela; e il tribunale è il luogo in cui il conflitto tra tali interessi contrappostiviene risolto; e viene risolto attraverso l’adattamento al singolo caso di una regola di diritto.

Per cui: il diritto è intessuto nel fatto, non c’è maniera di separarli; e per questo dico che “la contenzione (se la si puòfare, chi la può disporre) dipende dalla struttura”.

Nondimeno, un punto fermo è che la contenzione di norma è vietata, il che ne fa un metodo eccezionale, non usualené routinario. Ma non è del tutto chiaro chi la possa/debba disporre; è forse più facile dire quando la si può disporre, piutto-sto che non dire chi lo può fare.

Settore penale

Il problema della liceità della contenzione va affrontato alla luce dei principi generali del diritto, e invece facendosiconfondere dalle norme di dettaglio, dai regolamenti, dalle circolari, dai pareri, etc. etc.

Seguiamo perciò un percorso logico-normativo lineare:

– è ovvio che in linea di massima non si può limitare l’altrui libertà di movimento, di autodeterminzione, etc.; oltreche ovvio, ciò è statuito dalla Costituzione, artt. 13 e 32 (testo alla fine) e, nel settore penale, principalmente dagli artt.605 e 610 c.p. (testo alla fine);

– è del pari notorio che, in deroga a quanto detto dianzi, esistono decine e decine di situazioni in cui l’ordinamentotollera che la libertà del singolo venga limitata; i casi più importanti sono quelli correlati alla giustizia ed alla sanità,ma non sono gli unici: p. es., è ovvio che gli alunni non possono uscire a piacimento dalla scuola; che i militari non pos-sono uscire dalle caserme quando e come vogliono; che chi è affetto da determinate malattie infettive viene trattenu-to, lo voglia o meno, in quarantena; che chi sta per buttarsi dal 10° piano può venire trattenuto a forza; che chi è sotto-posto a TSO può venire trattenuto;

– dunque, un primo punto fermo è che solo una ingiusta limitazione della libertà personale integra reato (es.: chiposteggia in modo da ostruire un passo carrabile, commette il delitto di violenza privata … ma poi non è punibile se,p. es., ha messo lì il veicolo per correre a spegnere un incendio); ciò ad esemplificare quanto le circostanze del casoconcreto incidano sulle valutazioni (e, non dimentichiamolo, incide anche la prova, o la mancata prova, della loro esi-stenza);

– per converso, non è illecita una limitazione della libertà personale che non sia ingiusta, vale a dire che sia consen-tita, o addirittura imposta, dall’ordinamento;

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– occorre adottare il linguaggio e le forme logiche del diritto penale, e capire molto bene una cosa: la limitazione dellalibertà altrui (nel nostro caso: la contenzione) integra quasi sempre la materialità del delitto di violenza privata;quello che può mancare è l’ingiustizia (di solito perché c’è una scriminante), o l’elemento psicologico in capo achi agisce; il che equivale a dire che c’è uno dei presupposti di un reato, ma non c’è alcun colpevole; ma cercherò direndere questi concetti il più semplici possibile, anche perché in realtà non sono complicati.

Quello che risulterà alla fine del nostro excursus è che l’operatore sanitario (attenzione: non necessariamente il medico)potrà trovarsi tra Scilla e Cariddi:

a) da un lato egli ha l’obbligo di tutelare l’incolumità del paziente, e se l’unico mezzo per farlo è la contenzione, deveadottarla (cfr. art. 40 cpv. cod. pen. e sentenze riportate alla fine); se non lo fa, rischia di commettere un reato.

b) dall’altro deve rispettare la personalità del paziente e i suoi diritti fondamentali alla libertà di movimento, all’au-todeterminazione, etc., sicchè se usa la contenzione a sproposito, rischia di commettere un reato.

Ovvero: gli operatori sanitari anzitutto devono curare il paziente ma, più in generale ed inoltre, debbono tutelarela sua incolumità; tale obbligo di prestare cura e tutela può discendere da fonte contrattuale (es.: operatori della sanità pri-vata), oppure da norme di carattere pubblicistico (es.: operatori sanitari di una A.S.L.) e si traduce nell’individuazione di unaposizione di garanzia in capo all’operatore sanitario.

Di norma, un cittadino qualsiasi non può venire chiamato a rispondere penalmente per il semplice fatto che un suo pos-sibile intervento soccorritore avrebbe scongiurato la lesione di beni giuridici altrui; ma esistono soggetti particolari - genito-ri, insegnanti, guide alpine, bagnini di salvataggio, etc. etc.- che hanno una posizione detta di garanzia: a costoro l’ordina-mento (ovvero, nella pratica: la legge o un contratto) affida la cura della tutela di terze persone da determinati perico-li/rischi.

Tale dovere (correlato ad una posizione di garanzia) di impedire eventi lesivi a carico di soggetti terzi ha carattere deltutto eccezionale e ricorre soltanto qualora il soggetto abbia un obbligo giuridico di impedire l’evento.

Il vero problema è l’individuare le posizioni di garanzia; ciò è decisivo sotto il profilo penale (perché non impedire unevento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo), ma non è di agevole individuazione, giacché non tutti gli obbli-ghi giuridici di fare una determinata cosa e di attivarsi al verificarsi di certe condizioni si tramutano poi nell’obbligo di impe-dire un evento. Come già detto sopra, la posizione di garanzia può avere fonte legale o contrattuale.

Ad esempio, è stata più volte affermata la penale responsabilità dello psichiatra, che non ha adottato le dovute precau-zioni per scongiurare il rischio di suicidio di un paziente; il rovescio della medaglia è che lo psichiatra (o l’infermiere, o ildirettore della struttura) è tenuto a fare qualcosa, è tenuto - per esempio - ad evitare che il soggetto ‘debole’ possa uscireliberamente e da solo dal reparto. Cioè: deve ordinare una contenzione ambientale, che dovrà essere blanda, rispettosa,proporzionata … ma non bisogna nascondersi dietro ad un dito: è una vera e propria contenzione, perché la realtà nuda ecruda è che quel determinato paziente non può uscire a suo piacimento. E tale contenzione è doverosa ed obbligatoria.

Iniziamo ora a cercare di capire quando -e perchè- la limitazione della libertà personale non è ingiusta perché è consen-tita; le norme che ci interessano sono gli artt. 50, 51, 54 c.p.:

a) art. 50 c.p., “consenso dell’avente diritto”: “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso dellapersona che può validamente disporne”

E’ il caso più banale, dato che presuppone un paziente sveglio, lucido e collaborante, ma c’è pur sempre qualche que-stioncina da chiarire; e occorre ribadire che la condotta (contenzione) è di principio vietata, ma il divieto viene rimosso dalconsenso, che deve vertere su diritti ‘disponibili’ (es.: nessuno può prestare un valido consenso a farsi mutilare, a farsiasportare un organo essenziale, etc.). Esattamente come è vietato entrare a casa mia, ma io posso invitare un amico a cena ecosì facendo rimuovo il divieto; posso però cambiare idea in qualsiasi momento, ed allora il divieto torna in vigore.

Ciò è ovvio, ma è bene tenerlo presente, perché un errore che molti fanno è quello di non tenere conto della possibi-lità del paziente di cambiare idea in qualsiasi momento e, se ciò si verifica, dell’immediato nuovo vigore del divieto; percui può accadere che taluno voglia farsi togliere un menisco, venga portato in sala operatoria, e all’ultimo momento, mentreè già era stata iniziata la preparazione dell’operazione, cambi idea: mica si può continuare l’operazione contro la sua volontà! (salvo che egli sia in pericolo di vita, ma questa è un’altra questione … ed è difficile che lesioni al menisco provochino ildecesso).

In tema di contenzione, è nota la vicenda MUCCIOLI:

– il giudice di primo grado aveva ritenuto del tutto privo di valore il consenso del tossicodipendente, ricoverato incomunità chiusa, a sottoporsi a trattamenti terapeutici includenti forme di restrizione della libertà personale;

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a– viceversa il giudice d’appello aveva ritenuto che il consenso anticipato del tossicodipendente scriminava la condotta

illecita (nella specie: sequestro di persona), ed era irrilevante il successivo dissenso (cfr. Trib. Rimini in Foro ital. 1985,II, 431, e C. App. Bologna in Foro ital. 1988, II, 588).

Peraltro, l’inciso sull’irrilevanza del successivo dissenso è davvero difficile da condividere, e l’intera vicenda è paradigma-tica dell’impossibilità di pervenire a soluzioni nette ed univoche; senza peraltro scordare che quello di MUCCIOLI era un casotroppo particolare ed ‘estremo’ per poter costituire un precedente significativo nei casi di ordinaria contenzione sanitaria.

Il consenso deve essere valido, è deve provenire dal soggetto titolare dell’interesse protetto (cioè: dal paziente,dal genitore, dal tutore; non da un parente quidam).

Il consenso deve altresì essere attuale, vale a dire che deve precedere il fatto lesivo (non vale la ratifica successiva) eperdurare per tutto il tempo in cui dura il fatto lesivo.

Non c’è alcuna forma specifica per la manifestazione del consenso, che può avvenire in forma orale, o persino tacita;è però intuitivo che la forma scritta del consenso facilita la prova della sua esistenza (sia chiaro: l’onere della prova dell’esi-stenza del consenso incombe sull’operatore sanitario; non è il paziente, o il PM, a dover provare che mancava il consenso).

Ma che fare in caso di dissenso, manifestato ed esplicito? Dato che “nessuno può essere obbligato a un determinatotrattamento sanitario se non per disposizione di legge” (art. 32 Cost.), la questione è spinosetta.

In altri termini, vi è chi sostiene che ciascuno ha un diritto assoluto ed incoercibile a non farsi curare - salvo che una leggelo imponga; ma ciò è tutt’altro che pacifico, e l’evoluzione del modo di affrontare il tema porta a far emergere la considera-zione che ognuno di noi è al contempo:

a) un individuo singolo, libero di disporre di sé come meglio crede;

b) un membro della società con precisi doveri e con precisa aspettative in capo a terzi (p. es., i figli, che hanno un’a-spettativa - qualcosa di più di un’aspettativa, per il vero - a che il loro genitore resti in salute, venga curato e si facciacurare).

Per questa ragione il rifiuto delle trasfusioni da parte dei testimoni di Geova solleva interrogativi e questioni di non pococonto, e non è poi così pacifico che in futuro, se e quando si affermerà la linea di pensiero di cui ad b), il rifiuto della trasfu-sione verrà rispettato.

Io reputo che la contenzione del dissenziente può venire posta in essere se è indispensabile (direi: assolutamenteindispensabile) per evitare un danno grave (direi: molto grave) alla salute o all’incolumità fisica, e nel prosieguo emer-geranno le norme e le ragioni che supportano questa mia opinione.

Vi sono poi almeno due sub-casi un po’ particolari: il consenso presunto, ed il consenso putativo (art. 59 c.p.).

Il consenso presunto non è ammesso sic et sempliciter dal nostro ordinamento, nel senso che l’art. 50 c.p. non ne facenno, e per ammetterlo sarebbe necessario fare dei ragionamenti alquanto bizantini, intortolati e, soprattutto, non condi-visi dalla maggior parte degli interpreti; sicché, dal punto di vista dell’operatore sanitario, è meglio non tenerne conto.

Il che non vuole affatto dire che non si possa operare una contenzione nei confronti di chi non ha espresso il proprioconsenso (è questo, infatti, il vero problema: quello della contenzione di chi non può dare il consenso, o, peggio, proprionon la vuole); ma, a mio avviso, la norma che viene in rilievo non è l’art. 50 c.p.; quindi, è preferibile affermare che in deter-minati casi è lecito porre in essere una contenzione senza il consenso del paziente, piuttosto che cercare di costruire un‘consenso presunto’.

Il consenso putativo (art. 59 ult. co. c.p.) è cosa del tutto diversa: qui è pacifico che il consenso non c’è, ma per errore siriteneva che ci fosse; dunque, c’è il delitto è c’è un responsabile, che però non è colpevole, perché difetta il dolo. Un esem-pio banale: il paziente è di Stoccarda, il diniego di consenso viene espresso in tedesco, ma l’infermiere capisce male e pensache il paziente abbia consentito.

b) art. 54 c.p., “stato di necessità”: “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità disalvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona … pericolo non altrimenti evitabile”

Secondo me è la scriminante tipica dell’attività sanitaria (pur se taluno tende a privilegiare l’art. 51 c.p., sub specie eserci-zio del diritto): quello che si fa per salvare una persona “dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimentievitabile”, è sempre scriminato.

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Quindi, se un ferito in stato di incoscienza viene operato d’urgenza perché ogni ritardo peggiorerebbe le sue condizioni,la condotta del sanitario non è illecita; e, del pari, se in fase post-operatoria una persona, ancora semiaddormentata, èagitata e rischia di cadere dal letto, è - in astratto - lecito mettergli le bandine laterali acciocché non cada.

La norma è alquanto lineare e chiara; basta non scordare l’importantissimo inciso “non altrimenti evitabile”.

Passiamo ora ad un altro punto di vista, e vediamo ora di capire quando - e perché - la limitazione della libertà personalenon è ingiusta perché è imposta; le norme che ci interessano sono gli artt. 40 cpv., 51, 328, 589-590, 591, 593 cod. pen.

In altri termini, come si diceva all’inizio, in determinate situazioni il sanitario non può restare inerte, ed ha invece ilpreciso dovere di prevenire/evitare situazioni di potenziale danno al paziente; se nulla fa, commette un reato. Cioè: lasua inerzia (omissione) è punibile, e/o lo sono le conseguenze dannose della sua inerzia.

c) art. 51 c.p., “esercizio di un diritto // adempimento di un dovere”: “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di undovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo, esclude la punibilità”

La norma in questione va letta in consonanza sia con l’art. 593 c.p., sia più in generale con l’intera normativa deontologi-ca del settore sanitario.

Chiunque, e non solo il sanitario, ha l’obbligo di “prestare l’assistenza occorrente” quando si trovi in presenza “diuna persona ferita o altrimenti in pericolo”; se il “chiunque” è un sanitario, è evidente che il contenuto dell’obbligo èpiù ‘forte’.

E significa che se la ferita peggiora, se la lesione si aggrava, il sanitario che sia rimasto inerte rischia di rispondere anchedel delitto di lesioni, perlomeno colpose, in forza del principio generale esplicitato nell’art. 40 cpv. c.p.: “non impedire unevento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Invito a riflettere bene ed a fondo sull’art. 40 cpv. cod. pen, dianzi citato: tenerlo a mente può evitare molti dubbi sullacontenzione, e sull’adozione da parte del sanitario di mezzi contenitivi-coercitivi.

d) art. 328 c.p., “rifiuto di atti d’ufficio; omissione”: “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebita-mente rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni di sanità deve essere compiuto senza ritardo, è punito …”

Ne parlo non per quanto attiene all’aspetto repressivo-sanzionatorio, né per la cospicua differenza tra semplice omissio-ne e vero rifiuto, bensì per il contenuto precettivo della norma, che è uno dei punti di emersione esplicita del dovere di soli-darietà che connota il nostro ordinamento.

In sostanza, non interessa in questa sede stabilire se e quando è punibile un medico o un infermiere, che sia incaricato dipubblico servizio e che abbia omesso una cura, bensì constatare che l’ordinamento penale non si nutre di soli divieti (“nonuccidere, non rubare”), ma altresì impone dei (correlativi) obblighi di fare, in forza dei doveri che fanno capo a determinatisoggetti.

La norma va letta assieme ad altre (tra le quali l’art. 593 c.p. - v. oltre -), perché dalla loro lettura sinottica/sistematicaemerge il tema di fondo che qui interessa, vale a dire l’esistenza di un dovere di intervento in capo al sanitario … il chesignifica che nel dubbio sulla opportunità o anche sulla liceità di una condotta, non è consentita la pura e semplice asten-sione dall’agire, l’inazione. Perché dall’omissione deriva, o può derivare, un danno alla salute.

Pertanto, se la contenzione - meccanica o di diverso tipo - risultasse indispensabile, non solo sarà scriminata (inparole povere: non sarà punibile), ma sarà addirittura doverosa; al punto che la punibilità potrebbe derivare dallamancata contenzione, piuttosto che dall’averla posta in essere o ordinata.

E, come detto, la sanzione non è solo quella di cui all’art. 328 o 593 c.p.; la sanzione è quella dei delitti di lesioni o diomicidio (colposi), se a causa della mancata contenzione il paziente si è ferito o è morto.

e) art. 593 c.p., “omissione di soccorso”: “chi trovando un corpo che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita oaltimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente, è punito …”

Anche qui, ne parlo non per quanto attiene all’aspetto repressivo, ma per il contenuto precettivo della norma, che è unaltro dei punti di emersione esplicita del dovere di solidarietà che connota il nostro ordinamento.

Non vi è molto da aggiungere a quanto scritto sub art. 328 c.p., sicché ancora una volta viene in rilievo che se la conten-zione - meccanica o diversa - risulta indispensabile, non solo è scriminata e non punibile, ma anzi potrebbe risultaredoverosa (salvo che esistano valide alternative, farmacologiche o d’altro tipo). Sicchè può darsi che sia la mancatacontenzione a costituire un illecito.

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af) artt. 589, 590 c.p., “omicidio colposo, lesioni colpose”:

Qui vengono presi in considerazione la morte o le lesioni personali che derivino non da una condotta (errore medico),bensì da un’omissione: le due norme, coniugate all’art. 40 cpv. c.p., pongono a carico del sanitario un obbligo di fare; e l’ina-zione antidoverosa viene considerata causa delle lesioni o della morte. P. es., se un infermiere viene chiamato insistente-mente dal malato, ma anziché accorrere resta nella sua stanzetta a guardare la televisione, la morte evitabile del paziente gliviene accollata; e poco importa che di solito la prova della mancata attivazione è difficile da raggiungere, e che è solo perquesta ragione che casi del genere emergono raramente.

Dunque, in astratto la mancata contenzione può essere illecita tanto quanto la contenzione dannosa; e solo unavalutazione del singolo caso concreto consentirà di valutare quale sarebbe stata la condotta corretta.

Il che deve far capire anche un’altra cosa: che invocare a propria giustificazione la carenza di risorse e/o i deficit organiz-zativi vale fino ad un certo punto; perché dobbiamo distinguere molto nettamente tra il piano dei principi della correttapolitica sanitaria (per cui è giustissimo invocare una maggiore disponibilità di personale o una migliore formazione o undiverso approccio culturale) ed il piano del singolo caso concreto, in cui taluno risponde in prima persona di quanto ha fatto(o non ha fatto).

A conclusione di questa esposizione, è utile riportare talune argomentazioni della Cassazione sull’uso della forza versusmalati/assistiti e sulla contenzione sia fisica che farmacologica (che dal punto di vista del diritto non diverge poi troppodalla contenzione meccanica).

Iniziamo da Sez. V 22/1/’98 – 15/4/’98, Belpedio, ced 211045:

“Il 18 luglio 1992,De Rosa Speranza veniva ricoverata, in località Taborre di Pellezzano, nella casa di cura “La Quiete”, con-venzionata con il servizio sanitario nazionale, perché affetta da schizofrenia e diabete mellito. Il 23 agosto successivo, ladonna si allontanava dalla clinica, senza permesso, attraverso il “cancelletto pedonale”, affidato alla custodia di GioiaAlfonso, operatore socio-sanitario. Il suo cadavere veniva rinvenuto, il 25 ottobre, in avanzato stato di decomposizione,nella campagna circostante. La causa della morte, risalente a circa due mesi prima, veniva individuata dal medico legale,sulla base dell’esame esterno e dell’anamnesi, in un collasso cardiocircolatorio, conseguente a coma diabetico. Veniva eser-citata l’azione penale, per il reato previsto dall’art. 591, commi 1 e 3 c.p, nei confronti di Belpedio Domenico, medico psi-chiatrico e direttore sanitario della casa di cura, e di Gioia Alfonso, per aver violato i doveri di cura e di custodia nei con-fronti dell’incapace De Rosa, il primo, “disponendo che il cancelletto d’ingresso pedonale fosse sempre aperto o, comun-que, non dando apposite disposizioni” e, il secondo, per averlo lasciato incustodito. La Corte di Assise di Salerno assolvevaentrambi perché il fatto non sussiste. Alle stesse conclusioni perveniva, a seguito dell’impugnazione della Procura Generale,la Corte di Assise di Appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non è fondato.

L’elemento oggettivo del reato previsto dall’art.591 c.p. è costituito da qualunque azione od omissione contrastante conil dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sull’agente, da cui derivi uno stato di pericolo per l’incolumità della perso-na, incapace di provvedere a se stessa per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o altra causa. Venendo in considera-zione un reato di pericolo, che non può essere commesso da chiunque, ma soltanto dal soggetto qualificato dal rapportodi protezione che lo lega alla vittima la condotta deve essere oggettivamente idonea a determinare, anche in via potenzia-le, l’aggressione del bene protetto dalla norma incriminatrice.

Ne consegue, che il criterio giuridico di determinazione del fatto oggettivo, necessario per accertare se una determinataazione o omissione costituisca abbandono di persona incapace, deve essere correlato, da una parte, alla pericolosità delfatto e, dall’altra parte, al contenuto dell’obbligo violato e alla natura dell’incapacità. Gli uni e gli altri elementi, pur se esoge-ni, finiscono con il limitare o estendere e, comunque, con il delimitare il concetto di abbandono, penalmente rilevante, conuna duplice prospettazione. Una relativa a norme generali, nella parte in cui pongono divieti di predisposizione, nelle moda-lità di custodia, di invasive e illecite cautele.

Le libertà elementari vanno garantite anche nei confronti dei soggetti che non possono esercitarle pienamente opossono attuarle nelle forme e nei limitati modi consentiti dall’età, dalle condizioni fisiche e psichiche e da vincoli giudiziari.

Di conseguenza, non si può pretendere dalla persona obbligata una custodia, così ristretta e incisiva, da costituireuna lesione della libertà e della dignità della persona umana. È ius receptum nella giurisprudenza di questa supremaCorte, infatti, che il reato di sequestro di persona, che prescinde dal dolo specifico dell’agente e dalla capacità della vittima

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ad esprimere un valido consenso-dissenso, è ipotizzabile anche nei confronti del malato di mente, dell’infante, del para-litico e del detenuto, tutte le volte in cui, per le modalità e l’intensità di assoggettamento della residuale libertà di azione e dimovimento all’arbitrio e alla sopraffazione, sia possibile presumere un dissenso a quelle limitazioni. L’altra prospettazioneinveste le regole particolari, normative o convenzionali che, operando come fonte primaria del rapporto che unisce il sog-getto obbligato e quello destinatario delle cure o della custodia, disciplinano, implicitamente ed esplicitamente, anche ilcontenuto ed i limiti della protezione e le modalità custodiali, con riferimento ad una specifica incapacità.

Il ricovero in una casa di cura o in una comunità terapeutica, frequentemente disciplinate da rigide regole interne,comporta, infatti, l’obbligo di cura e di custodia, gravante su plurimi soggetti -direttore sanitario, medico, primario, tera-peuta, infermiere ma anche limitazioni all’incapace, le quali, liberamente accettate con un valido consenso o non contrasta-te da un evidente dissenso, non sono penalmente apprezzabili per la non antigiuridicità del fatto, funzionale alla terapia, sein tali limiti contenuto. Dal destinatario dell’obbligo, quindi, non si può pretendere ne’ una sorveglianza che, per la suaconsistenza e per le invasive modalità, costituisca violazione delle regole generali di rispetto della dignità e delle libertà dellapersona, ne’ una custodia che travalichi i termini terapeutici e le finalità ed i tempi del volontario ricovero.

E, invero, per gli alienati, la soluzione del problema non può prescindere dalle profonde innovazioni introdotte dallaLegge 13 maggio 1978 n. 180 e dalla legislazione che la integra, istitutiva anche del servizio sanitario nazionale, atteso cheper essi l’incapacità di provvedere a sè stessi discende dall’incapacità di autodeterminazione.

Queste norme, che esaltano la dignità e la libertà del malato, confinando a casi del tutto eccezionali la terapia coerciti-va e intramuraria, non possono non incidere sull’obbligo di custodia e sulla definizione del concetto di abbandono. Siffattiprincipi, però, non comportano un affievolimento della protezione, ma soltanto una modifica delle modalità di attuazione.

Nei limiti in cui la necessità della terapia e la mancanza di un evidente dissenso da parte dell’incapace, che non puòesprimere un valido consenso, giustificano il ricovero, che in tal senso è supposto come volontario, è cogente anche l’ob-bligo di custodia, anche se non può comportare l’uso di mezzi coercitivi ne’ per imporre la terapia ne’ per protrarre un rico-vero non più necessario.

Ciò che è vietato non è soltanto la coercizione in sè, che è insita anche in un ricovero sine die, ad arbitrium et nutum, maanche la coazione strutturale, relativa all’ambiente che, oggettivamente coattivo per l’isolamento interno ed esterno, perle strutture e i servizi e l’anacronistico sistema di sbarramento di porte e finestre, finisce con trasformare una casa di cura inuna casa di reclusione, finisce, cioè, con il reintrodurre una realtà manicomiale che la Legge ha voluto eliminare-artt.6,7 esegg-La custodia va adeguata, quindi, alla nuova normativa che prevede, nel trattamento sanitario volontario, sintomatica-mente, il ricovero dell’ammalato in strutture aperte, e va attuata con servizi alternativi, forse meno economici, ma più fun-zionali alla finalità perseguita.

Realizzate misure adeguate, non è giuridicamente possibile far derivare la responsabilità, a norma dell’art.591cod. pen.,dall’omissione di sbarramenti strutturali contra legem. La questione è, quindi se e in quali limiti sia legittimo, nell’ambitodel trattamento sanitario non obbligatorio, trattenere, nell’esercizio del potere-dovere di cura e custodia, il soggetto chemanifesti, eventualmente anche con la fuga, l’intenzione di allontanarsi dal luogo di ricovero “volontario”, sia purecon una volontà viziata dalla malattia, che è pur sempre presupposta dalla normativa che privilegia la libertà terapeutica.

Si tratta di conciliare, in una superiore sintesi, la forza autoritativa della custodia, finalizzata a soddisfare esigenze diordine individuale, sociale e giuridico, comprese quelle della prevenzione di atti autolesivi ed eterolesivi, con la libertàterapeutica e la dignità del malato.

La soluzione va individuata nell’ordinamento giuridico che consente, ricorrendone i presupposti, l’uso legittimo dellaforza fisica, quale brevis et modica vis imposta dalle circostanze, anche in via putativa, per un soccorso di necessità, persottrarre l’incapace al pericolo di gravi danni e per pretendere la sottoscrizione dell’atto di formale interruzione delladegenza contro la volontà del medico. Stante la natura dell’incapacità, l’uso di tale vis rientra nei doveri di custodia ondeapprezzare l’urgente necessità di trasformare in obbligatorio il trattamento volontario, soprattutto se il paziente dimostri divivere una fase acuta della malattia e, con un comportamento incongruo e non necessario, quale la fuga, di volersi sottrarread una terapia volontaria.

Passando all’esame della fattispecie, si osserva che la sentenza, nonostante la rilevata fondatezza di alcune doglianze delricorrente, non merita censura. Per quanto riguarda il Belpedio, infatti, per i principi di diritto esposti, non è penalmenteapprezzabile l’atto con il quale il direttore sanitario dispone che rimanga sempre aperto il cancello d’ingresso pedonale dellaclinica, appositamente custodito da un operatore.

Passiamo a Sez. VI, 5/12/’07 n. 6581, Di Popolo, in Guida al dir. n. 12 2008, pagg. 83 ss., sulla contenzione farmacologica:E’ ravvisabile il reato di maltrattamenti a carico del personale di una ‘casa protetta’, destinata al ricovero di persona inca-

paci perché affette da problemi psichici che, per mantenere tranquilli i pazienti e non doversene prendere cura durante ilservizio notturno, li abbia abitualmente sottoposti a eccessi di sedazione farmacologica, così da determinare uno stato diartificioso intorpidimento indotto.

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aIn ordine ai rapporti che devono sussistere tra gli operatori di una struttura parasaniatria e di degenti malati di mente,

l’uso della violenza fisica è circoscritto al ricovero coatto in regime di TSO e ai mezzi di contenzione diretti ad evitare ilpericolo attuale del compimento di atti etero lesivi o autolesivi, e sempre solo per il tempo strettamente necessario alloscopo.”

Ancora in tema di contenzione farmacologica è la recentissima Cass. Sez. IV 14/11/’07 – 11/3/’08, Pozzi, afferente acondanna per omicidio colposo dello psichiatra a seguito dell’omicidio doloso commesso da un paziente psicotico,cui era stato (imprudentemente) sospeso il trattamento farmacologico:

“Il caso può essere risolto solo dopo che si accerti l’esistenza di una posizione di garanzia del medico, vale a dire se sudi lui incombesse l’obbligo di impedire l’evento... com’è noto, l’obbligo di garanzia si fonda sul capoverso dell’art. 40 cod.pen., secondo cui non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

Il fondamento di questa disposizione è da ricercare nei principi solidaristici che impongono la qualità di garanti della sal-vaguardia dell’integrità di beni, i cui titolari non sono in grado di proteggerli adeguatamente; a questa qualità devonoaccompagnarsi poteri impeditivi dell’evento.

Quali fonti dell’obbligo (giuridico) in questione vi sono la legge e il contratto, nonchè la precedente condotta illecita opericolosa di taluno; insomma, è pacifico che l’obbligo può avere una fonte normativa non necessariamente di dirittopubblico, ma anche di natura privatistica, anche non scritta, e che possa trarre origine addirittura da una situazione di fatto.

Una posizione di garanzia del medico può sorgere esclusivamente con l’instaurazione della relazione terapeutica trapaziente e medico, su base contrattuale ma anche in base alla normativa pubblicistica (caso di ricovero in ospedale e simili).

La legge 180 ha conferito ai pazienti psichiatrici la stessa dignità che hanno le persone affette da altre patologie, e halimitato il contenimento personale ai soli casi di necessità, in una prospettiva di cura e di superamento, ove possibile, deldisagio e della malattia... scopo primario delle cure psichiatriche è quello di eliminare o lenire la sofferenza psichica delpaziente, ma quando la situazione sia idonea a degenerare -anche con atti di auto/etero aggressività- il trattamento obbli-gatorio (TSO) è diretto ad evitare tutte le conseguenze negative; il TSO va disposto anche nei casi di aggressività verso terzinon diversamente contenibili.

La struttura complessa della comunità e la presenza di operatori attrezzati non poteva che indurre il medico a fare affi-damento sulla corretta condotta di coloro che operavano all’interno della struttura; infatti, in linea di principio nessunorisponde dell’eventuale violazione delle regole cautelari da parte di altri partecipi all’attività o di persone che operino a variotitolo nella struttura; solo se viene a conoscenza della violazione di regole da parte di altri partecipi all’attività, ha l’obbligo diattivarsi per evitare eventi dannosi (nota: vale anche il reciproco, tant’è che erano stati imputati anche gli infermieri)”

Infine, in tema di contenzione ambientale è la recente Cassazione, sez. IV penale, sent. n. 10430 del 6.11.2003, rv.227876, Guida:

1. Il Tribunale di Como, in composizione monocratica, con sentenza del 13 novembre 2000 dichiarava il prof. AugustoGuida colpevole del reato di omicidio colposo e lo condannava alla pena di anni uno di reclusione, con i benefici dellasospensione condizionale della pena e della non menzione.

2. Il Dott. Guida era stato chiamato a rispondere del reato in questione in qualità di direttore della casa di cura “LeBetulle” e di medico curante di Piccinetti Clara, affetta da sindrome depressiva psicotica, ricoverata dal 30.6.1997presso la suindicata Casa di Cura e deceduta in data 10.7.1997 per suicidio attuato mediante defenestrazione inluogo esterno alla casa di Cura. A carico del Dott. Guida erano stati formulati i seguenti addebiti: a) aver consentitoche la paziente fosse affidata alla custodia di Morandi Maria accompagnatrice volontaria, priva di specializzazione e diconoscenza medico - infermieristica; b) aver omesso di fornire all’accompagnatrice medesima qualsivoglia informa-zione sullo stato mentale della paziente e financo sui pregressi tentativi di suicidio della stessa attuati mediante defe-nestrazione; c) aver consentito che la paziente fosse condotta fuori dalla clinica dalla accompagnatrice e pertanto insituazione di diminuita custodia prima del superamento della fase di latenza del trattamento psicofarmacologicoantidepressivo, con conseguente aumento del rischio suicidano, cosicché la Piccinetti, condotta dalla Morandi nellapropria abitazione e recatasi da sola nel locale adibito a servizio igienico, si gettava dalla finestra in tal modo procu-randosi un grave politraumatismo da cui derivava nell’immediatezza il decesso.

3. La Corte di appello di Milano, con la sentenza in data 4.2.2002, confermava la sentenza in primo grado e condannaval’appellante alle ulteriori spese del giudizio, La Corte di appello territoriale, nel confermare la penale responsabilitàdel Guida, richiamava i contenuti motivazionali della sentenza di primo grado sulla prevedibilità ed evitabilità dell’e-vento nonché sulla esigibilità di una condotta atta a prevenire l’evento.

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In ordine alle censure di merito dedotte dall’appellante, sotto il primo profilo (prevedibilità dell’evento), la Corte eviden-ziava, ad integrazione delle argomentazione già esposte dal primo giudice che: la Piccinetti era soggetto ad alto rischio sui-cidario in considerazione della natura della malattia diagnosticata e dei tre pregressi tentativi messi in atto in Toscana inepoca immediatamente precedente e che tale pericolo concreto, e non astratto, si presentava elevatissimo; i tentativi di sui-cidio messi in atto dalla Piccinetti, soprattutto in base alla ricostruzione effettuata a posteriori ed anche in dibattimento,avevano evidenziato la sicura serietà delle intenzioni, consentendo di escludere il mero intento dimostrativo.

Sotto il profilo dell’esigibilità di una condotta atta a prevenire l’evento, i giudici di appello, nel passare in rassegna i sin-goli addebiti colposi evidenziati dalla sentenza di primo grado a carico del Guida, rimarcavano che la decisione del primogiudice prescindeva del tutto dalle problematiche della L. 13.5.1978 n. 180, intrattenendosi invece su connotati della con-dotta (mera esternazione di dissenso alla manifestazione della volontà della Piccinetti di uscire dalla casa di cura, l’appresta-mento di un‘assistenza più informata o più qualificata) che nulla avevano a che fare con il sistema di assistenza sanitariaintrodotto da quella legge, fondato sulla volontarietà delle cure mediche e sulla proibizione della custodia del malato dimente, al di fuori del trattamento sanitario obbligatorio.

Ciò premesso in termini generali, deve ritenersi che, proprio con riguardo all’apparato argomentativo a supporto delritenuto addebito di colpa, la sentenza di merito appare congruamente motivata in relazione a tutti i profili di interesse, concorretta applicazione dei principi in tema di nesso di causalità, con particolare attenzione alla prevedibilità ed evitabilitàdell’evento dannoso verificatosi (suicidio) nonché alla esigibilità in concreto da parte del sanitario cui era affidata lapaziente di una condotta atta a prevenirlo.

Sotto il primo profilo, è stato correttamente evidenziato che la Piccinetti era soggetto ad alto rischio suicidano in consi-derazione della natura della malattia diagnosticata e dei tre pregressi tentativi messi in atto in Toscana in epoca immediata-mente precedente e che tale pericolo concreto, e non astratto, si presentava elevatissimo; i tentativi di suicidio messi in attodalla Piccinetti, costituivano, del resto, circostanza fattuale obiettiva assolutamente inequivoca.

In una tale prospettiva, sotto l’altro profilo, è stato anche sottolineato che l’uscita dalla casa di cura della Piccinetti, costi-tuiva circostanza fattuale tale da determinare un aumento del rischio che la paziente ponesse in essere un ennesimo gestodi autosoppressione, qualora non fosse stata accompagnata dal contestuale apprestamento di un’assistenza più informatao più qualificata da parte dell’assistente volontaria cui la medesima era stata affidata dal prevenuto, tale da evitare il verifi-carsi della evidenziata situazione di rischio di recidiva. Rischio di recidiva che non vi sarebbe stato laddove il prevenutoavesse adeguatamente informato, come avrebbe potuto e dovuto, l’assistente volontaria delle condizioni della paziente.

Non può sostenersi in senso in senso contrario, per farne discendere l’incongruenza e l’inesattezza della decisione, chela Corte di merito abbia basato la decisione su una ricostruzione dei rapporti tra medico e paziente non autorizzata dalla L.180/1978. È vero il contrario, giacché la scelta del sanitario di accedere all’uscita dalla struttura della paziente è stata dal giu-dicante valutata positivamente.

E non poteva essere altrimenti giacché la coercizione del malato avrebbe potuto ammettersi solo in presenza delle con-dizioni per il trattamento sanitario obbligatorio, qui all’evidenza insussistenti. L’addebito, piuttosto, è stato rinvenuto, nellemodalità di affidamento della paziente all’assistente volontaria, nelle quali si è ritenuto, in modo argomentativamente con-vincente, di apprezzare una superficialità comportamentale qualificata dalla mancata considerazione e dei pregressi com-portamenti della paziente (con rischio di recidiva) e della inesperienza della volontaria (cui comunque non venivano rappre-sentate la reale condizione della paziente e le cautele che dovevano caratterizzare l’uscita per evitare rischi di recidiva).

Da questa premesse, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza delnesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censu-re, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile: l’autorizzazione all’uscita con l’affidamentoalla volontaria aveva rappresentato la premessa imprescindibile per la realizzazione delle condizioni che avevano reso possi-bile il gesto suicidano.

Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogi-co. In senso contrario, piuttosto, potrebbe valere l’eventuale rilievo riconosciuto ad una causa eccezionale, sopravvenuta,tale da interrompere il nesso tra la rilevata condotta colposa e l’evento dannoso. Causa che, in via di ipotesi, potrebbe rinve-nirsi nella condotta della volontaria che è risultata non aver rispettato il programma di uscita sottoposto all’attenzione delDott. Guida (andare a prendere il gelato), con la deviazione verso la propria abitazione. Trattasi di profilo correttamente evi-denziato anche nei motivi di ricorso che, peraltro, non può trovare qui accoglimento. Infatti, il giudicante di merito, sia purecon motivazione implicita ma chiaramente desumibile dal complessivo apprezzamento della parte esplicativa della decisio-ne, ha escluso che potesse integrare tale causa eccezionale la decisione della volontaria pur se “derogativa” rispetto al pro-gramma originario rappresentato al sanitario per ottenerne l’autorizzazione all’uscita.

Ciò perché, a ben vedere, alla base della medesima vi è stata pur sempre la condotta colposa del Guida, il quale, non rap-presentando adeguatamente il caso della paziente e le cautele che dovevano essere garantite ed, oltretutto, aderendo ad

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aun programma piuttosto generico (l’uscita doveva essere “ per fare un giretto”, “per prendere un gelato”, v. pag. 4 sentenzaimpugnata), ha posto egli stesso le condizioni per la verificazione della condotta che ha reso possibile l’evento. In tal modo,i giudici di merito, nel fondare il giudizio di responsabilità dell’imputato, pur in presenza di un comportamento della volon-taria sviluppatosi in violazione del “mandato” concessole, hanno fatto corretta applicazione, nella subiecta materia, del prin-cipio dell’equivalenza delle cause (v. Cassazione, Sezione 5^, 14 luglio 2000, Falvo), accolto dal nostro ordinamento penale(art. 41 del C.p.), secondo il quale il nesso causale può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma e successiva,rispetto alla quale la precedente sia da considerare tamquam non esset e trovi nella condotta precedente solo l’occasioneper svilupparsi; cioè quando tale causa si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico ed imprevedibile (art.41, comma 2, del C.p.); mentre il nesso non può essere escluso quando la causa successiva abbia solo accelerato la produ-zione dell’evento, destinato comunque a compiersi. In una tale prospettiva, all’evidenza, negando alla condotta violativadella volontaria il rilievo richiesto dal sistema normativo per recidere il nesso causale tra l’evento lesivo e la ritenuta condot-ta colposa dell’imputato.

Nè, per escludere la responsabilità del prevenuto a fronte di un evento dannoso ragionevolmente ritenuto prevedibi-le (per il rischio di recidiva obiettivamente riscontrabile) ed evitabile (laddove la volontaria fosse stata adeguatamentepreavvisata di tale rischio) potrebbe valere il “principio dell’affidamento”, ossia il principio secondo il quale ogni consociatopuò confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente pro-prio della attività che di volta in volta viene in questione. Tale principio, infatti, pacificamente, non è invocabile allorché l’al-trui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali normalmente riferibili al modello diagente che viene in questione, si innesti sull’inosservanza di una regola precauzionale da parte di chi invoca il principio:ossia allorché l’altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specificheo comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse (Cass., Sez. 4^, 29 aprile 2003, PG Torino ed altri in proc.Morrà). Ciò che nella specie è indubitabile a fronte della rilevata mancanza di adeguato preavvertimento della volontaria, cuila paziente era affidata, circa le condizioni di questa, di cui pure il prevenuto era “garante”.

Trieste, il 18 maggio 2008Federico Frezza & Francesco Antoni

Magistrati

Art. 13 Costituzione“La libertà personale è inviolabile; non è ammessa alcuna forma di detenzione, se non per atto motivato dell’autorità giu-

diziaria” La norma non riguarda la sanità, ma il potere repressivo penale; nondimeno, se ne ricava a contrario che se l’auto-rità giudiziaria può, con dei limiti, disporre la reclusione di taluno, nessun’altra autorità può farlo.

Art. 32 Costituzione“La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure

gratuite agli indigenti.Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge; la legge non può

in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”Il richiamo alla salute come interesse della collettività spiega perché sia stato poi imposto al sanitario con norme cogenti,

anche penali, il dovere di curare; per cui la contenzione, se indispensabile, trova ragion d’essere nella Costituzione. Peraltro,vigono due principi:

1. la riserva di legge, per cui solo se una norma lo consente, si può applicare una cura, un trattamento, etc. tra cui rientrala contenzione; per questa ragione nel testo si è cercato di indicare talune -non tutte- specifiche norme di legge, evitandoun generico ed inammissibile richiamo a ‘regole generali’, ‘principi-cardine’, et similia.

2. il divieto di imporre un trattamento al dissenziente. Il tema è difficilissimo, ed il caso Welby lo inegna; ai nostri limitatifini, peraltriìo, serve a far capire che non è facile giustificare la contenzione imposta a chi l’abbia esplicitamente rifiutata.

Art. 589 cod. pen.“chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione.”Art. 40 cpv. cod. pen. (da leggere assieme all’art. 589, di cui sopra)“non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.”

Art. 591 cod. pen. “chiunque abbandona una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o peraltra causa, di provvvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione.”

Art. 605 cod. pen.“chiunque priva taluno dela libertà personale è punti con la reclusione da 6 mesi a 8 anni.”

Art. 610 cod. pen. “chiunque con violenza o minaccia,costringe altri a fare, tollerare o omettere qualche cosa è punitocon la reclusione fino a 4 anni”

(trattazione reperibile nel sito dell’Ordine dei Medici di Trieste: http://www.omceotrieste.it)

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CEFORMEDCENTRO REGIONALE DI FORMAZIONE

PER L’AREA DELLE CURE PRIMARIE

Cuore, droghee psicofarmaci

Sabato12 settembre 2009

Palmanova (UD)

Centro Congressi

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Le Cardiomiopatie e le Sindromi Coronariche Acutenei soggetti con dipendenze patologiche

Dr. Andrea Di LenardaCentro Cardiovascolare, ASS1, TS

Mondo vario, scarsamente conosciuto…...dal cardiologo e dal paziente

• Pazienti giovani, sani, senza fattori di rischio CV;• non consapevolezza del problema; difficile anamnesi (utile la valutazione socio-ambientale)• poli-abuso; associazione con fumo ed alcool;• attenzione alle sostanze adulteranti• scarsissima compliance• problema della dipendenza

Sostanze stupefacenti…e cuore: Problema vasto e difficile da studiare

• Le più conosciute e studiate:• Sostanze simpatico-mimetiche:Cocaina,Amfetamine• Anabolizzanti: Ormoni maschili• Inalanti: Colle e coloranti (Toluene), Popper• Cannabinoidi• Oppioidi: Eroina, …• Allucinogeni

• Ma anche:• Alcool• Fumo• HIV e cuore

cuore, droghe e psicofarmaci

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COCAINAalcaloide naturale

• forma cristallina (neve), solubile in acqua, ottenuta per dissoluzione dell’alcaloide con acido cloridrico• forma granulare (crack), più potente, ottenuta per estrazione in soluzione di bicarbonato di sodio o ammoniaca• incremento dell’abuso: 5.4% 2004 -> 7% 2007 15-54 aa• Aumento ++ degli eventi cardiaci dovuti alla cocaina• Sostanza illecita causa più comune di eventi CV in PS (57% dolore toracico, 6% IMA) facile somministrazione,

disponibilità e purezza, costo ridotto, rischi non conosciuti• Metaboliti idrosolubili, escreti con le urine, che risultano positive fino a 36 – 72 ore

COMPLICAZIONI ACUTE E CRONICHE

• cardiache: aterosclerosi coronarica, ischemia-infarto, aritmie, ipertensione, miocarditi, endocarditi, cardiomio-patie

• vascolari: dissezione e rottura aorta, tromboflebiti, trombosi venosa• polmonari: edema, infarto, emoftoe• gastrointestinali: ischemie-infarti intestinali, perforazioni• genitourinarie e ostetriche: infarti renali, testicolari, distacco di placenta, aborti, nascite premature, ritardi di

crescita• neurologiche: emicrania, convulsioni, infarti ed emorragie• muscoloscheletriche e dermatologiche: rabdomiolisi, ischemia cutanea

Sindromi coronariche acute:

• IMA non Q > IMA Q• Sede IMA variabile• Complicanze: rare ed in genere nelle prime 12 h:

• aritmie ventricolari 4-7%• Scompenso cardiaco 5-7%• morte < 2%

• Markers di necrosi:• mioglobina: scarsa specificità (potendo aumentare con l’iperpiressia ed in conseguenza di lesioni da rabdo-

miolisi)• troponina I: risulta di aiuto non essendo influenzata dall’uso della droga

• Possibile effetto acuto sulla disfunzione VS dovuto ad alterazioni del metabolismo del Ca, equilibrio acido-base,effetto tossico diretto

CARDIOMIOPATIE

• Dilatativa (7% dei long term-abusers)• Ipertrofica

• Possibili meccanismi• Ischemia miocardica (consumo O2, spasmo, trombosi)• ipertrofia VS• Apoptosi e alterata espressione genica (collageno, miosina)

• Miocarditi: da assunzione i.v. (agenti esterni)• o da tossicità diretta da catecolamine (necrosi a banda)• citochine

Table 1 Pharmacokinetics of cocaine according to the route of administrationRoute of administration Onset of action Peak effect Duration of action

Inhalation (smoking) 3-5 seconds 1-3 minutes 5-15 minutesIntravenous 10-60 seconds 3-5 minutes 20-60 minutesIntranasal or mucusal 1-5 minutes 15-20 minutes 60-90 minutesGastrointestinal Up to 20 minutes Up to 90 minutes Up to 180 minutes

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cuore, droghe e psicofarmaci

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• Il concomitante abuso di alcool associato a cocaina determina la formazione di cocaetilene che potenzia l’effet-to simpatico-mimetico aumentando il rischio di SD di 20x (nei pazienti ischemici)

• L’overdose di cocaina si raggiunge a dosaggi molto inferiori se abuso di alcool concomitante• In associazione all’eroina: “speed-ball” (“overdose ritardata)• L’utilizzo del betabloccante deve essere cauto per la potenziale facilitazione dello spasmo coronarico con mec-

canismo alfa adrenergico (alfa bloccante …)

25 anni, ipoKaliemia, abuso alcohol, 3 gg prima cocaina, non storia di cardiopatia, Apical ballooning, (Tako-tsubo), TdP, FV

Take home message:

In considerazione degli effetti accertati a carico del cuore la cocaina deve essere considerata a pieno titolo

fattore di rischio cardiovascolare

Particolare attenzione deve essere posta ogni qual volta giunge in osservazione un soggetto di giovane età condolore toracico

Sostanze simpatico-mimetiche: Anfetamine

Metanfetamina (SPEED)

• Numerose sostanze con effetti diversi sul SNC: amfetamina, metamfetamina, efedrina, fenilefrina, metossami-na, metaraminolo…

• Stessi effetti della cocaina ma meno potenti (cocaina dei poveri)• In passato amfetamine utilizzate come anoressizzanti• Consumo in crescita (++ tra i giovanissimi)• Meccanismo d’azione/modalità d’assunzione

• Simpaticomimetico (famiglia delle feniletilamine, derivato dall’efedrina):• tossicità diretta, Ca-overload, ↑ Radicali liberi dell’ossigeno• Pattern di assunzione: week-end - astinenza per una settimana - week-end• Assunta per via orale, intranasale, endovena oppure fumata

• Determina acutamente incremento acuto FC e PA (crisi ipertensiva)• Può causare: emorragia cerebrale, dissezione aortica, Infarto del miocardio, Ipertensione arteriosa polmonare,

aritmie ipercinetiche

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• Effetti cronici: non sempre reversibili• Necrosi e infiltrazione linfocitaria (miocardite)• Fibrosi ed ipertrofia miocellulare -> Tipica CMPD (dilatazione e disfunzione sistolica VS)• Wijetunga et al, 2003: 120/1260 CMPD ad eziologia tossica (9%), 21/120 con uso di metamfetamine• Terapia tradizionale (l’utilizzo dei beta-bloccanti potrebbe favorire il vasospasmo coronarico)• Azione immunosoppressiva: (apoptosi a livello timico e splenico, diminuzione di IL-2 e scarsa azione delle NK-

cells)• Potrebbe facilitare la miocardite virale• Sembra potenziare la cardiotossicità dell’HIV• Si associa a + frequenza dell’HIV (2.5% degli abusers sono HIV +) (predisposizione e trasmissione)• Stimola comportamenti predisponenti l’infezione da HIV (aumenta la libido e comportamenti sessuali promi-

scui)

MDMA (ecstasy)

• Derivati amfetaminici, usate come sostanze ricreative in riunioni sociali – droghe da discoteca-• Popolarità dell’ecstasy: consente a chi l’assume di vivere l’effetto soggettivo senza che gli altri si accorgano

dello stato di intossicazione• Facilità con cui viene prodotta, costi contenuti accessibili a tutti, semplicità di assunzione• Derivati amfetaminici, usate come sostanze ricreative in riunioni sociali – droghe da discoteca-• Popolarità dell’ecstasy: consente a chi l’assume di vivere l’effetto soggettivo senza che gli altri si accorgano

dello stato di intossicazione• Facilità con cui viene prodotta, costi contenuti accessibili a tutti, semplicità di assunzione• Danno cardiaco:

– coronarico: IMA (+ FC e PA)– miocitario: miocardite, CMPD, aritmie

• Meccanismi:– Ischemia miocardica– Ca+ overload– + radicali liberi– azione diretta (tossica/apoptosi)– + rilascio serotonina, blocco reuptake

Cannabinoidi:

Effetti a carico dell’apparato cardiovascolare:• Tachicardia (dovuta a stimolazione beta-adrenergica)• Ipertensione• Ipotensione in posizione eretta• Possibile aumento dell’attività fattore VII• “Triggering Myocardial Infarction by Marijuana” (Circulation 2001):

• 3882 pz di cui 1258 donne, ricoverati per IMA• 123 l’anno precedente• 37 nelle 24 ore precedenti• 9 nell’ora precedente l’insorgenza dei sintomi

Oppiacei – Eroina:

• endocarditi (prevalentemente sulle valvole destre, da funghi o microorganismi strani, vegetazioni molto grandi)• forte associazione con l’HIV• poli-abuso• Edema polmonare non cardiaco (depressione respiratoria ed ipossia)• occasionali e singoli casi di danno miocardico simulanti IMA non Q in corso di rabdomiolisi

L’alcol (etanolo) è una sostanza tossica e provoca patologie a carico del sistema CV:

• Già alla fine del secolo scorso (Bollinger - 1884) era noto il cosiddetto cuore di birra, il Münchener Bierherz degliautori tedeschi.

• Il termine alcoholic heart disease, ‘cardiopatia alcolica’, è stato usato per la prima volta da Mackenzie nel 1902.• All’inizio del secolo si notò una qualche correlazione fra alcolismo e beriberi. La Occidental beriberi ‘beriberi alco-

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lico’, o cardiomiopatia alcolica, può essere conseguenza della carenza di vitamina B1(tiamina).• Nel 1951 White mise in correlazione aritmie parossistiche e scompenso cardiaco con l’assunzione di alcol, ipotiz-

zando un effetto tossico diretto dell’etanolo.

Fra le bevande alcoliche le più conosciute sono:• la birra con una concentrazione di alcol di 4-5 Vol.%• il vino di uva, in alcuni Paesi ricavato anche da altra frutta, con una concentrazione di alcol di 5-15 Vol.%• i liquori, con una concentrazione di alcol di 20-40 Vol.%• La deidrogenasi alcolica (ADH) converte l’alcol in acetaldeide (C2H4O) -> acetato -> CO2 + H2O.• Metabolismo epatico anche da un altro enzima il citocromo P450IIE1 (CYP2E1), che risulta aumentato nei bevito-

ri cronici.• Effetti dell’alcol dipendono dalla sua concentrazione:

0.5-1.0 g/L: euforia1.5 g/L: ebbrezza2 g/L: ubriachezza3-4 g/L: coma

• A causa del suo basso peso molecolare l’alcol etilico attraversa facilmente le mucose, viene velocemente assor-bito e passa nel sangue dove la concentrazione massima si ottiene dopo 30-60 minuti dall’assunzione dellabevanda alcolica

• Negli Stati Uniti, in entrambi i sessi ed in tutte le razze, l’abuso prolungato di alcol è la seconda causa di cardio-miopatia dilatativa, dopo la cardiomiopatia ischemica.

• La cardiomiopatia alcolica (ACM) rappresenta il 3.8% di tutte le cardiomiopatie.• La prevalenza della ACM nella popolazione generale varia fra il 23 e 40% di tutte le forme dilatative.• Le donne sono meno rappresentate (14%); ma più sensibili agli effetti nocivi• L’alcol può agire attraverso tre meccanismi:

• un effetto diretto dell’alcool e dei suoi metaboliti;• problemi nutrizionali, comunemente associati alla deficienza di assorbimento di tiamina (beri-beri);• raramente, effetti tossici da parte di additivi (cobalto – stabilizzante della birra).

• Effetti diretti dell’etanolo e del suo metabolica acetaldeide sulle diverse funzioni cellulari e di membrana:• il trasporto ed il legame del Ca++• i processi energetici mitocondriali• il metabolismo lipidico miocardico• la sintesi proteica• la trasduzione del segnale

EFFETTI DA INTOSSICAZIONE CRONICA DA ALCOOL:

• sul sistema nervoso: neuropatia periferica, degenerazione cerebellare, deficienze cognitive, sindromi psichia-triche

• sul sistema gastrointestinale: esofagiti, gastriti, varici esofagee, epatite alcolica, cirrosi epatica, pancreatitiacute e croniche

• sul sangue: anemie, ridotta aggregazione piastrinica e difese immunitarie• sul sistema cardiovascolare: incremento P.A., aritmie, cardiomiopatia, vasculopatie cerebrali• sul sistema genito-urinario: diminuzione capacità erettile, atrofia testicolare, ginecomastia, amenorrea, aborti

spontanei, steriltà

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Meccanismi fisiopatologici della cardiomiopatia alcoolica:

Sistemici:• Attivazione del SNS (+ norepinefrina), SRA (+AII), PN• Aumento delle citochine ed endotelina• Alterazione del s. emocoagulativo

Ipertensione.• l’aumento di attività del sistema nervoso simpatico e RAS (vasocostrizione).• la riduzione della sensibilità dei barorecettori situati sulle pareti arteriose,• lo sbilanciamento nell’equilibrio fra magnesio e calcio con predominio degli ioni calcio (vasocostrizione).

Diminuzione dell’effetto ipotensivo dei farmaci• L’alcol aumenta l’eliminazione del propanololo e contrasta l’azione della clonidina.• Nei bevitori controindicato l’uso di diuretici (accentuare la perdita di magnesio, favorita dall’alcool)

Aspetti clinici:Fase I (disfunzione VS asintomatica)

• Compare in media dopo 5 anni di alcolismo• E’ caratterizzata dalla comparsa di rimodellamento atriale e ventricolare, disfunzione diastolica e sistolica• L’astensione dal bere è prognosticamente favorevole

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Fase II (SCC sintomatico):• Compare dopo 6-10 anni di etilismo• Fenotipo della cardiomiopatia dilatativa• Ridotta tolleranza allo sforzo (anche miopatia), dispnea (spesso fumatori), congestione, aritmie (FA)

Morte Improvvisa e alcol• Secondo ricerche finlandesi il 5,2% delle morti per aritmie ventricolari con decesso improvviso nel gruppo di età

15-49 anni sono da attribuirsi all’alcol.• Un prolungamento del QT in alcolisti affetti da epatopatia alcolica è stato correlato ad una prognosi avversa

come morte cardiaca improvvisa verificatasi in 6 casi su 69 soggetti nell’arco di 4 anni.• L’effetto proaritmico dell’alcol è tanto maggiore quando si associa a danno d’organo:

• Cardiomiopatia• Malattia ischemica cardiaca

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iCuore e HIV:In Italia: Dati COA-ISS (anno 2005)

• 110.000 soggetti HIV +• 6,7 nuovi casi/100.000 abitanti/anno (84% trasmissione sessuale)• 3500 nuove infezioni/anno; 1141 nuove diagnosi di AIDS• 351 decessi (di cui 103 con diagnosi nel 2005)• picco di diagnosi e decessi negli anni ’93-96• progressiva riduzione della letalità (>90% fino al 1992 -> ca 10% nel 2005)

Effetti cardiovascolari dell’infezione da HIV:• Miocardite• Pericardite• Cardiomiopatia dilatativa• Endocardite infettiva• Endocardite abatterica• Aterosclerosi accelerata – cardiopatia ischemica (pazienti in HAART)• Aritmie (farmaci e prolungamento QT)• Vasculiti• Cuore polmonare• Ipertensione polmonare primitiva (0.5%)• Neoplasie (sarcoma di Kaposi cardiaco, linfoma immunoblastico a cellule B)

Miocardite• Prevalenza (bioptica/autoptica) 12-53%• Miocardite da HIV primaria (infezione diretta da HIV): Il danno miocardico diretto del virus HIV non è stato chia-

ramente dimostrato e vi sono evidenze limitate e non univoche sulla possibilità del virus di penetrare il cardio-miocita

• Miocardite secondaria a rilascio di enzimi proteolitici in corso di replicazione virus HIV nell’ interstizio• Infezione opportunistica (Toxoplasma, Candida, Histoplasma, Staphilococcus Aureus, CMV, EBV, coxsackie, ade-

novirus...)• Meccanismo autoimmunitario (anticorpi anti cuore)• Spesso forme lievi a risoluzione spontanea• Possibile evoluzione in cardiomiopatia dilatativa

Pericardite• Prevalenza: 11%• Cause:

• Batterica (da opportunisti, soprattutto tubercolare)• Virale: HIV, HSV, CMV, adenovirus, echovirus• Neoplastica• Altro (ipotiroidismo, uremia, immunodeficienza grave)

• Forme lievi a risoluzione spontanea nel 42% dei casi• Prognosi negativa (sopravvivenza 36 vs 93% a 6 mesi)• Terapia:

• trattamento causa sottostante• pericardiocentesi/finestra pericardica

Cardiomiopatia Dilatativa• Prevalenza: 8-25%• Associata a più severa immunodepressione (CD4<100/mm3)• Possibili cause:

• Farmaci: Zidovudina, IL-2, doxorubicina, interferon• Post-miocarditica: HIV, toxoplasma, coxsackie B, EBV, CMV, adenovirus• Metaboliche/endocrine: deficit di selenio/carnitina (Keshan disease)• Alterazioni citochiniche: TNF-a, TGF-b …• Autoimmunità (anticorpi anticuore

• Terapia:• Terapia standard (diuretici, ACE-i, Betabloccanti …)• Possibili terapie specifiche:

• Terapia delle infezioni sottostanti• Intensificazione della terapia antiretrovirale• Integrazione nutrizionale

• Prognosi:

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CD 4 > 500 mm3

CD 4 < 200/mm3

Droghe e cuore: take home message• Problema grandemente sottostimato: pensarci sempre di fronte a giovani con dolore toracico, sospetta malattia del

mocardio, aritmie• Quadri eterogenei e sfumati: anamnesi difficile; compliance bassa; poliabuso costante;• Interferenza tra stile di vita, abuso e patologie (abuso-comportamenti sessuali-HIV, assunzione iv e miocarditi, anfe-

tamine-miocardite-HIV, alcool-cocaina-cardiopatia ischemica, stupefacenti e sostanze da taglio,...)• Problema grandemente sottostimato: pensarci sempre di fronte a giovani con dolore toracico, sospetta malattia del

mocardio, aritmie• Quadri eterogenei e sfumati: anamnesi difficile; compliance bassa; poliabuso costante;• Interferenza tra stile di vita, abuso e patologie (abuso-comportamenti sessuali-HIV, assunzione iv e miocarditi, anfe-

tamine-miocardite-HIV, alcool-cocaina-cardiopatia ischemica, stupefacenti e sostanze da taglio,...)

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i • Meccanismo comune: tossicità da catecolamine; possibile meccanismo infettivo;• Coinvolgimento miocardico <10%; fenotipo CMPD non tipico; frequente miocardite ed espressività aritmica; reversibi-

lità? (dipendenza); attenzione ai bloccanti!;• La cocaina è il problema principale; possibile danno miocardio da anfetamine, colle, anabolizzanti. Raro l’interessa-

mento cardiaco da oppiacei e cannabis• Coinvolgimento miocardico in ca 20-30% dei pazienti con HIV; protezione (e tossicità?) della terapia HAART; lunga

sopravvivenza -> frequenza crescente?

Le sostanze d’abuso:Dr.ssa Maria Grazia Baldin

Direttore SOC Cardiologia ASS 5 “Bassa Friulana”

Nel DSM-IV sono considerate 11 classi di sostanze:• tre sono le cosiddette “droghe domestiche” (alcol, nicotina, caffeina)• due sono gli psicostimolanti (cocaina, amfetamine)• tre sono definibili psicodislettici (cannabis, allucinogeni, fenciclidina)• due sono genericamente sedativi (oppioidi, ipnotici-tranquillanti)• e infine le “droghe dei poveri”: gli inalantiLe “top five” sono: gli oppiacei, i cannabinoidi, gli alcoolici, la cocaina, il tabacco

La dipendenza da sostanze (addiction) è un tipico esempio di interazione tra fattori genetici e ambientali nel quale l’in-fluenza dei fattori genetici è largamente prevalente: dal 63% (Kendler et al., 2003) al 78% (Van den Bree, 1998). Al contrario,il semplice uso di sostanze risulta determinato prevalentemente da fattori ambientali: 61% (Van den Bree, 1998)

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I 4 CAVALIERI DELL’APOCALISSE

Benefici del bere moderato Danni del bere eccessivoRiduzione delle placche dell’ateroma Aumento del rischio di miopatia cardiaca

Protezione nei riguardi della formazione dei trombi Aumento del rischio di aritmie

Promozione della dissoluzione del trombo Aumento del rischio di ipertensione

- Molecole di adesione, + HDL, + anti ossidanti, Aumento del rischio di ictus emorragico+ tPA, - trombossano A2

Distribuzione dell’alcolismo per sesso ed età

L’alcol ed i giovani

Proporzione dei ragazzi e delle ragazze che si sono ubriacati almeno tre volte nel corso degli ultimi 30 giorni scolastici. 1999

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Consumo alcoolico acuto e aritmie:• Fibrillazione atriale• Flutter atriale• Extrasistolia ventricolare frequente• Extrasistolia sopraventricolare• Fibrillazione ventricolare

Basi elettrofisiologiche• Alterazione degli elettroliti (ipokaliemia, ipofosfatemia, ipomagnesiemia)• Aumento delle catecolamine circolanti• Assottigliamento del tessuto connettivo cardiaco ed aree cicatriziali• Dilatazione della parte specializzata dei dischi intercalari nel miocardio• Accorciamento del potenziale d’azione e del periodo refrattario (effeto lipolitico)

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• Rallentamento della velocità di conduzione cardiaca a tutti i livelli• Inducibilità di aritmie sostenute allo Studio Elettrofisiologico• Dispersione dei potenziali (disomogeneità)• Neuropatia alcolica autonomica• Riduzione della soglia per la fibrillazione ventricolare• Ipossia

Morte Improvvisa ed alcolSecondo ricerche finlandesi il 5,2% delle morti per aritmie ventricolari con decesso improvviso nel gruppo di età 15-49

anni sono da attribuirsi all’alcol.Un prolungamento del QT in alcolisti affetti da epatopatia alcolica è stato correlato ad una prognosi avversa come morte

cardiaca improvvisa verificatasi in 6 casi su 69 soggetti nell’arco di 4 anni.L’effetto proaritmico dell’alcol è tanto maggiore quando si associa a danno d’organo:→ Cardiomiopatia→ Malattia ischemica cardiaca

Conclusioni:• La proaritmia alcolica è un fenomeno complesso e multifattoriale.• Sebbene le numerose segnalazioni in letteratura riguardino solo report sporadici e piccole casistiche l’effetto

aritmogeno dell’alcol è indubbio.• Le aritmie cardiache e la morte improvvisa rappresentano un problema emergente fra i bevitori, che sono ad

oggi sempre più numerosi e più giovani

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In letteratura case-report:• Fibrillazione atriale parossistica• Aritmie ventricolari• Fibrillazione ventricolare immediatamente dopo aver fumato marijuana• Presincope poche ore dopo aver fumato marijuana: tachicardia ventricolare• Il consumo di marijuana può essere associate alla genesi di tachiaritmie ventricolari mediante l’attività di triggering

nelle fibre di Purkinje. E’ stato ipotizzato che la marijuana può avere effetti avversi sul flusso coronarico attraversospasmo e/o a livello micro circolatorio

Secondo recenti indagini nazionali, in Europa una percentuale della popolazione adulta compresa tra lo 0,5% e il 6% rife-risce di aver provato la cocaina almeno una volta (prevalenza una tantum); Italia (4,6%), Spagna (4,9%) e Regno Unito (6,8%)figurano in cima alle statistiche. Il consumo recente di cocaina (ultimi 12 mesi) viene segnalato, in generale, da meno dell’1%degli adulti; nella maggior parte degli Stati l’intervallo è compreso tra lo 0,3% e l’1%. In Spagna e nel Regno Unito i dati piùrecenti sulla prevalenza superano il 2%.

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Il consumo di cocaina è maggiore tra i soggetti di sesso maschile. Per esempio, da sondaggi effettuati in Danimarca,Germania, Spagna, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito è emerso che, nella popolazione di sesso maschile e di età compresa tra i15 e i 34 anni, l’esperienza una tantum è del 5-13%. In sei paesi il dato sul consumo recente superava il 3%; di questi, Spagnae Regno Unito hanno riferito una prevalenza del 6-7%

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PROFILO FARMACODINAMICO DELLA COCAINA• Azione anestetica locale• Azione simpaticomimetica• Azione anoressizzante• Azione stimolante psicomotoria• Azione euforizzante (rinforzo positivo)• Azione psicotomimetica

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La maggior parte delle morti non traumatiche da cocaina sono causate da tachiaritmie. Altre cause di morte improvvisaassociata all’uso di cocaina includono l’ictus, l’emorragia sub aracnoidea, l’ipertermia, e le conseguenze del delirio agitato.L’infarto miocardico può essere causato da vasospasmo acuto, aritmie, o da malattia aterosclerotica cronica accelerata.

Gl effetti cardiovascolari della cocaina derivano in primo luogo da azioni dirette sul cuore e in secondo luogo dagli effettisul sistema nervoso centrale. La cocaina potenzia gli effetti delle catecolamine endogene, producendo tachicardia, iperten-sione, vasocostrizione e aumento del consumo miocardico di ossigeno. Benché le aritmie correlate alla cocaina risultinosoprattutto dall’aumento dei livelli di catecolamine, le proprietà anestetiche locali della cocaina possono alterare la condu-zione dell’impulso elettrico nei ventricoli, fornendo un substrato per le aritmie ventricolari da rientro.

I cocainomani possono essere esposti a livelli tossici di catecolamine circolanti. In uno studio, 48 mg di cocaina più cheraddoppiano i livelli ematici di noradrenalina (420 pg/ml aumentano a 900 pg/ml). Tuttavia, la maggior parte degli eventifatali correlati alla cocaina si verificano nei pazienti che consumano dose basse o modeste di cocaina. Questo dato suggeri-sce che il meccanismo della morte può essere differente nei soggetti che usano cocaina da lungo tempo, nei quali la morteimprovvisa è molto probabilmente la conseguenza degli effetti adrenergici e della tossicità cronica da catecolamine, rispet-to ai soggetti che fanno un uso occasionale della droga.

Nel ratto, la somministrazione cronica di cocaina aumenta marcatamente il contenuto di noradrenalina del ventricolo sini-stro; è quindi possibile che chi usa cocaina da molto tempo, accumulando un eccesso di noradrenalina, sia a rischio di aritmiemaligne. Parallelamente all’aumento della concentrazione di catecolamine ventricolari si riduce la sintesi delle catecolamine,riflettendo il tentativo fisiologico di ridurre il tono simpatico secondariamente alla stimolazione cronica da cocaina.

Le alterazioni nell’istologia cardiaca possono produrre uno substrato anatomico aritmogeno. Indipendentementedalla presenza di coronaropatia o d’infarto miocardico documentato, l’uso di cocaina può provocare foci disseminati dimiocardite, fibrosi miocardica e necrosi a banda da contrazione, la cui gravità è correlata con le concentrazioni sieriche eurinarie di cocaina.

Altre condizioni che forniscono un simile substrato anatomico per le aritmie includono la sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) e la dilatazione ventricolare sinistra. In queste condizioni persino bassi livelli di cocaina possono causare arit-mie. In uno studio di 19 soggetti sopravvissuti ad arresto cardiaco associato all’uso di cocaina, 8 avevano avuto un arrestosistolico (5 in corso di overdose massiva) e gli altri 11 un arresto in corso di fibrillazione ventricolare. In quest’ultimo grup-po, tutti avevano un substrato anatomico per l’aritmia: 2 paziente avevano avuto un infarto miocardico, 3 una WPW, e 6avevano un’ipertrofia ventricolare sinistra o una cardiomiopatia. La conduzione elettrica diventa disorganizzata nei cuoridilatati, fenomeno particolarmente significativo dal momento che la dilatazione cardiaca si osserva spesso negli utilizzato-ri cronici di cocaina. Gli studi nel ratto dimostrano che la cocaina produce alterazioni genetiche nei miociti cardiaci. Ilsovraccarico emodinamico causa la produzione di elevati livelli di fattore natriuretico atriale (ANF), e dopo 28 giorniaumentano i livelli di RNA messaggero che codifica la sintesi di collageno e miosina a catene pesanti, e la massa ventricola-re sinistra aumenta del 20%. L’aumento della produzione di collageno e della massa ventricolare sinistra sono fattori dirischio indipendenti per la morte improvvisa.

Altri effetti cardiovascolari da cocaine:• Endocarditi

• Aspetto in comune con eroina (assunzione ev.)• Più frequentemente coinvolte le valvole sinistre

• Dissezione aortica• crisi ipertensiva

• Aneurismi cerebrali• Probabilmente causati dall’effetto ipertensivo• Aneurismi micotici

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cuore, droghe e psicofarmaci

Per il metadone attualmente è possibile spiegare le alterazioni della ripolarizzazione cardiaca sulla base della documen-tazione in vitro dell’inibizione delle correnti dei canali del potassio attraverso i canali HERG-K+.

In alcuni casi tuttavia è verosimile che gli effetti proaritmici del metadone siano attribuibili ad un aumento della sua con-centrazione plasmatica conseguente all’inibizione del citocromo P450 isoenzima CYP3A4 da parte di altri farmaci assunti inconcomitanza del metadone.

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i Indicazioni cliniche all’ECG nei pazienti che assumono metadone:

Sicure:• Storia di sindrome da QT lungo o di tachiacardie ventricolari a torsione di punta• Storia di tachiaritmie ventricolari accertate o blocchi di conduzione di grado elevato (blocco A-V di 2° e 3° grado)• Sincope inspiegata• Convulsioni tonico-cloniche inspiegate

Probabili:• Storia familiare di sindrome da QT lungo o di morte improvvisa• Episodi presincopali inspiegati• Anoressia nervosa• Deplezione elettrolitica (potassio, calcio, magnesio)• Pazienti HIV positivi in terapia anti-retrovirale multipla• Alterazioni strutturali cardiache note• Uso concomitante di cocaina• Dosaggi di metadone superiori a 150 mg/die• Inzio di assunzione di un farmaco che inibisce il citocromo P450• Inzio di assunzione di un farmaco che allunga l’intervallo QT

CONCLUSIONI:Sostanze a rischio di aritmie minacciose per la vita: cocainaSostanze a rischio di fibrillazione atriale: alcoolSostanze a basso rischio aritmico: allucinogeni, cannabis (anche se…)

Metanfetamina (SPEED)• Determina acutamente incremento acuto della frequenza cardiaca e PA (crisi ipertensiva)• Può causare: emorragia cerebrale, dissezione aortica, Infarto del miocardio, Ipertensione arteriosa polmonare,

aritmie ipercinetiche• Effetti cronici: non sempre reversibili

– Necrosi e infiltrazione linfocitaria (miocardite)– Fibrosi ed ipertrofia miocellulare -> Tipica cardiomiopatia dilatativa (dilatazione e disfunzione sistolica VS)

l’utilizzo dei beta-bloccanti nella terapia tradizionale della tachicardia e dell’ipertensione indotte da tale sostanzapotrebbe favorire il vasospasmo coronarico

MDMA (ecstasy)• Danno cardiaco:

– coronarico: IMA– miocitario: miocardite, cardiomiopatia dilatativa, aritmie

• Meccanismi:– Ischemia miocardica– Ca+ overload– + radicali liberi

azione diretta (tossica/apoptosi

Anabolizzanti:

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• Effetti cardiaci– Acuti

• Aritmie → MORTE IMPROVVISA– Cronici

• Ipertensione arteriosa• Ipertrofia miocardica• Fibrosi irreversibile -> Cardiomiopatie

• Meccanismo: sensibilizzazione all’effetto tossico delle catecolamine• Effetti vascolari

• Vasospasmo → INFARTO MIOCARDICO ACUTO• aumento LDL, stato ipercoagulativo• Trombosi acuta → INFARTO MIOCARDICO ACUTO

• Le colle e i coloranti: il toluene• Problema sociale:

– radicato nei paesi in via di sviluppo;– emergente in occidente (poco costoso e facilmente reperibile)

• Meccanismi: azione tossica diretta; sensibilizzazione all’effetto tossico delle catecolamine; perossidazione lipidica

• Problemi cardiovascolari (case reports)• IMA: vasospasmo• Miocardite• Cardiomiopatia dilatativa: reversibile dopo astinenza dalla sostanza• FV/TVS:

Cannabis/Eroina/Allucinogeni• Cannabis

– vasodilatatore → tachicardia– possibile accesso in PS

• Eroina– endocarditi (prevalentemente sulle valvole destre, da funghi o microorganismi strani, vegetazioni molto grandi)– forte associazione con l’HIV– poli-abuso– Edema polmonare non cardiaco (depressione respiratoria ed ipossia)

• Allucinogeni– Ketamina: spesso usata per “tagliare” cocaina o ecstasy– Poco noti gli effetti sul cuore (descritto effetto sinergico con altre sostanze su PA, FC e trigger di aritmie)

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i “POPPER”:Popper è originariamente nitrito di amile o di butile, oggi in varie forme di nitriti, Il popper si presenta sotto forma di

liquido, contenuto in fiale o bottigliette. L’assunzione avviene, quasi sempre, per inalazione. Il nome deriva dal verbo ono-matopeico inglese to pop, il suono provocato dall’apertura della fiala di vetro in cui nel passato veniva commercializzatoquesto prodotto. Ha goduto di una discreta notorietà all’interno delle comunità gay, a causa delle proprietà euforizzanti e alcontempo anestetizzanti e miorilassanti che agevolavano la penetrazione anale. Il popper è legale in alcune nazioni europeecome, la Francia, la Spagna e l’Inghilterra ed è generalmente venduto nei sexy shop.

Gli effetti del popper sono molto brevi ma intensi (definiti generalmente come rush), durano circa 30/40 secondi e sonoseguiti da una brusca caduta della pressione con conseguente sensazione di abbassamento delle funzioni psico-fisiche. Altrieffetti sono forte sensazione di caldo, cefalee intense e gravi aritmie.Si assume tramite aspirazione nasale e produce:

• forte euforia• vasodilatazione massiva con forte sensazione di caldo ed eccitazione che dura circa un minuto[5]• aumento della frequenza cardiaca e brusca riduzione della pressione arteriosa• cefalea intensa e gravi aritmie

• Effetti acuti cardiaci:◦ forti tachicardie associate a crisi ipertensive e respiratorie

• Effetti cronici cardiaci:◦ non è noto se possa causare necrosi e/o flogosi miocitaria◦ spesso non viene utilizzato singolarmente (mix con alcool, cocaina, ecstasy, amfetamine)

• Il mix aumenta il rischio di crisi ipertensive e respiratorie

Endocarditi infettive da droghe:

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La prevenzione del rischio cardiovascolaree metabolico nei pazienti con disturbi psichiatrici

e/o che assumono psicofarmaciDoriano Battigelli – MMG Ceformed

For every affection of the mind that is attendedwith either pain or pleasure, hope or fear, is the causeof an agitation whose influence extends to the heart.

– William Harvey

PSICOSI:• I soggetti con severa malattia mentale (per es. schizofrenia o disturbo bipolare) sono a rischio cardiovascolare aumen-

tato rispetto alle persone senza queste malattie• Motivazioni: fumo, maggiore prevalenza di diabete mellito, sindrome metabolica, dislipidemia. Problema chiave: mag-

giore prevalenza di obesità• Gli antipsicotici di seconda generazione (con l’eccezione forse di quetiapina) possono esacerbare la sindrome metabo-

lica, compresa l’alterata tolleranza glucidica e la dislipidemia (probabilmente per aumento dell’appetito e azione diret-ta di riduzione della sensibilità all’insulina), ma i soggetti sono a rischio anche senza tali farmaci

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DEPRESSIONE:• La potenziale associazione tra depressione e malattie cardiovascolari ha ricevuto poca attenzione per oltre 300 anni,

finché Frasure-Smith e coll. pubblicarono uno studio (JAMA 1993) che i pazienti già depressi all’insorgere di un infartomiocardico hanno un’elevata mortalità in rapporto ai pazienti non depressi.

• Da allora oltre 100 studi hanno investigato la relazione, fornendo le prove che la depressione è prevalente (20-35%) neisoggetti con malattie cardiovascolari, ed è predittiva di esiti avversi nei soggetti con malattie cardiache preesistenti.

• Non è chiaro se la depressione è un fattore di rischio causale, direttamente correlato alla malattia cardiovascolare e alsuo esito o sia un marker di rischio, correlato indirettamente attraverso variabili comportamentali o sia un eventosecondario, prodotto da eventi medici importanti come la chirurgia cardiaca

• E’ associata con alterazioni fisiologiche che possono contribuire alla malattie cardiovascolari e ai loro esiti infausti,quali:

• Tono simpatico aumentato

• Ipercortisolemia

• Elevati livelli di catecolamine plasmatiche

• Attivazione piastrinica aumentata

• Aumento dei marker d’infiammazione

• Disfunzione endoteliale

• Esse sono presenti anche nei depressi senza malattie cardiovascolari (sono legate alla depressione di per sé) e anchequando non in fase attiva, i pazienti con storia di depressione hanno alcune di tali anomalie (per es. iperattivazionepiastrinica) in rapporto ai pazienti che non sono mai stati depressi

• E’ stato suggerito da uno studio recente che l’aumento del grasso viscerale rappresenta la via mediante la quale ladepressione aumenta il rischio CV e l’incidenza di diabete

• L’uso di farmaci antidepressivi è associato a un aumentato rischio di infarto miocardico. La dimensione del rischio èsimile per i triciclici e i SSRI

• Tuttavia, la mancanza di specificità tra i tipi di antidepressivi e il rischio basso emerso nelle analisi singole suggerisceche quest’associazione è dovuta più probabilmente a fattori correlati con lo stato depressivo e all’utilizzo dei servizisanitari piuttosto che a un effetto avverso dei farmaci

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i • Il trattamento della depressione con farmaci o terapia cognitivo-comportamentale nei pazienti con malattie cardiova-scolari è associato con un modesto miglioramento dei sintomi cardiovascolari ma non degli esiti.

• Nessun trial clinico ha stabilito se lo screening per la depressione migliora i sintomi cardiaci o gli esiti nei pazienti conmalattie.Thombs BD et al. JAMA. 2008; 300(18): 2161-2171

Ruolo del MMG nella prevenzione cardiovascolare nei pazienti che fanno uso di droghe o psicofarmaci:

1. Non “abbandonare” il paziente dal punto di vista della tutela globale della salute in quanto affetto da patologie psi-chiatriche o utilizzatore/dipendente da droghe

2. Migliorare il raccordo e la comunicazione di dati con le strutture psichiatriche che seguono il paziente ® NO MEDICI-NA “SCHIZOFRENICA” con binari paralleli e non comunicanti tra MMG e psichiatria

3. Il problema vale anche per lo psichiatra: l’esperienza frequente della MG è che i pazienti sono seguiti dai SerT e CSMcome un’”enclave” psichiatrico; rarissime sono le lettere di comunicazione al MMG “curante” dopo avvenuti ricoveri(anche con TSO), modifiche della terapia, eventi acuti; quando un nuovo paziente si iscrive come assistito da unMMG, spesso non comunica di essere seguito da strutture psichiatriche, né al MMG arriva alcuna comunicazionediretta

4. Molti farmaci antipsicotici che aumentano il rischio CV sono erogati direttamente dalle strutture psichiatriche; il MMGnon viene a sapere nulla della loro posologia, modalità d’uso, ecc. se non per quanto il paziente decide (ed è in grado)volontariamente di raccontare

Il malato psichiatrico va considerato dal MMG dal punto di vista cardiovascolare generalmente come soggetto adalto rischio, per

• Ambiente socio-economico e familiare

• Stile di vita (fumo, alcool, alimentazione, attività fisica, ecc.)

• Controlli clinici e aderenza a programmi di screening

• Aderenza (scarsa) alle terapie cardiovascolari → Trattamento subottimale o addirittura assente

• Uso di farmaci o sostanze da abuso comportanti aumentato rischio cardiovascolare e/o metabolico

• Ritardo nel richiedere assistenza in caso di eventi acuti

• Facile sottovalutazione/mascheramento dei sintomi a causa dei disturbi psichici o comportamentali edell’”etichettatura” (“labeling effect”) del soggetto

Priorità per il MMG:

• La prevenzione cardiovascolare nei pazienti ad alto rischio CV è la priorità indicata dalla Linea Guida (LG) sulla preven-zione CV e l’intervento caratterizzato dal miglior rapporto costo/beneficio.

• I dati di letteratura indicano che, in questi pazienti, il trattamento è sub-ottimale e che questo è causa, ogni anno, dimigliaia di eventi CV potenzialmente evitabili.

• L’ottimizzazione degli interventi preventivi deve essere realizzata e, soprattutto, sostenuta nel lungo periodo, solita-mente a vita, e deve essere integrata in un progetto globale di salute.

• importante è l’unitarietà di approccio da parte di tutte le figure professionali coinvolte, negli anni, a qualunque titolonell’assistenza sanitaria al paziente.

• possiamo stimare che un MMG con 1000 assistiti deve gestire circa 100-130 pazienti ad elevato rischio CV a cui devonosommarsi i pazienti con disturbi psichici gravi e/o con abuso di sostenze.

• In base ai dati sopra riportati e all’efficacia degli interventi preventivi si identificano le seguenti priorità:

1) conoscenza e registrazione in cartella clinica dei dati necessari per la prevenzione CV;

2) ottimizzazione della prescrizione farmacologica;

3) miglioramento della continuità ed aderenza della terapia farmacologica.

4) stretto raccordo bidirezionale con le strutture psichiatriche

• Pur in presenza di studi numericamente e qualitativamente limitati e di risultati generalmente modesti, gli strumentidimostratisi efficaci nel migliorare la pratica clinica sono:

• avvisi computerizzati automatici;

• feed-back informativo;

• audit;

• hospital discharge planning; riunioni periodiche con gli specialisti sui pazienti

• accordi economici volti a migliorare la qualità di registrazione del dati clinici.

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Monitoraggio

Monitoraggio dei pazienti psicotici in terapia con antipsicotici di 2° generazioneCohn TA, Can J Psychiatry 2006;51:492–501

Il passaggio territorio ←→ ospedale:al momento della dimissione devono essersi realizzate le seguenti condizioni:• educazione del paziente e familiari alla prevenzione e, soprattutto, partecipazione attiva e convinta;• valutazione del livello di rischio del singolo paziente (elemento fondamentale per stabilire l’intensità degli interventi

preventivi e le modalità di follow-up) e comunicazione al MMG in termini chiari e condivisi;• comprensione da parte del paziente e dei familiari che esiste una strategia preventiva perfettamente condivisa da car-

diologo, psichiatra e MMG;• rassicurazione del paziente e dei familiari sul fatto che esistono modalità di collaborazione chiare e ben definite tra

cardiologo, psichiatra e MMG;• spiegazione che la strategia preventiva prevede la modulazione dei singoli interventi a seconda delle necessità perso-

nali del singolo e che queste possono variare nel tempo;

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i informazione che le eventuali modifiche negli interventi preventivi “standard” verranno usualmente proposte e gestitedal MMG (ovviamente dopo averle discusse e condivise con il paziente

Sostanziale consenso sull’utilità di:a) una lettera di dimissione che risponda a standard qualitativi adeguati;b) momenti di formazione/discussione comune per specialisti e MMG;c) definizione di percorsi gestionali concordati a livello locale;d) disponibilità di materiale informativo/educazionale comune/concordato.e) fornire da parte del MMG allo specialista tutte le informazioni necessarie, in modo facilmente fruibile.

Che cosa può fare il MMG per tutelare il paziente (e se stesso)?Situazione attuale:• La legislazione italiana riserva il trattamento del tossicodipendente esclusivamente ai centri autorizzati, i SerT, tranne

specifici accordi.• Al MMG spetta solo il compito (per altro obbligatorio per qualsiasi medico) di intervenire in caso di intossicazione

acuta.• Ai servizi spettano anche la prevenzione e la cura delle patologie organiche correlate all’uso di sostanze psicotrope.• questa situazione incontra il favore di molti MMG che vedono di buon occhio l’essere sollevati da un compito difficile,

povero di gratificazioni professionali e umane• Però il ruolo di prima linea della medicina generale implica comunque un contatto con i soggetti dipendenti o consu-

matori occasionali di sostanze psicotrope• Esiste generalmente (ma non sempre!) un rapporto nel tempo fra il medico di famiglia e i suoi assistiti, possibilità di

dialogo fra il medico stesso e la famiglia, possibilità per il sanitario di entrare nelle case degli assistiti e rendersiconto della realtà sociale oltre che medica della famiglia stessa.

• Con relativa frequenza si affrontano situazioni ai margini della professione, come i primi contatti di adolescenti consostanze psicotrope, le preoccupazioni dei genitori, le richieste pressanti di psicofarmaci da parte di dipendenti daeroina di vecchia data, ecc.

• Le sostanze che producono i principali effetti cardiovascolari negativi (cocaina, ecstasy e altre amfetamine, raramenteallucinogeni) consentono spesso un consumo occasionale

• Il MMG “vede” questi pazienti solo se c’è già un buon rapporto di fiducia già instaurato e un buon indice di attenzio-ne da parte del medico (per es, palpitazioni, crisi ipertensive, dolori al torace, comparsa o precipitazione di cambia-menti di umore, ansia, irritabilità, ideazioni psicotiche o turbe del sonno)

• Generalmente è difficile che un giovane discuta con il proprio medico l’assunzione di ectasy• Sono spesso genitori a parenti a chiedere un parere o degli interventi al MMG

Margine d’intervento del MMG:• Fornire spiegazioni scientifiche - depurate da connotazioni moralistiche – sul pericolo dell’uso di droghe e offrire con-

sigli – nell’ottica della politica del minor danno – sulle modalità d’uso meno pericolose• Fornire informazioni generali sui farmaci, sulla loro utilità, e sulla pericolosità di un uso consumistico, nell’ottica di

una diminuzione del ricorso al farmaco quale unico o principale risposta a malattie, malesseri e difficoltà divivere

• Il MMG può cogliere e provare a intervenire (magari inviando a consulenti qualificati) in situazione di disagio familiare esociali

PAZIENTI CHE NECESSITANO DI FARMACI ANTIPSICOTICI:

Determinazione AIFA del 28 febbraio 2007 sull’uso degli antipsicotici

L’Agenzia Italiana del Farmaco, con la determinazione del 28 febbraio 2007, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n° 60 del13 marzo 2007 impone la modifica degli stampati di specialità medicinali contenenti:

1. Aloperidolo (HALDOL, SERENASE)2. Amisulpiride (DENIBAN, SOLIAN, SULAMID)3. Bromperidolo (IMPROMEN)4. Clorpromazina (LARGACTIL, PROZIN)5. Clotiapina (ENTUMIN)6. Clozapina (LEPONEX)7. Dixirazina (ESUCOS)

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8. Droperidolo (SINTODIAN)9. Flufenazina (MODITEN DEPOT)10. Levomepromazina (NOZINAN)11. Levosulpiride (LEVOBREN, LEVOPRAID)12. Perfenazina (TRILAFON ENANTATO)13. Periciazina (NEULEPTIL)14. Pimozide (ORAP)15. Proclorperazina (STEMETIL)16. Promazina (TALOFEN)17. Quetiapina (SEROQUEL)18. Risperidone (BELIVON, RISPERDAL)19. Sulpiride (CHAMPIONYL, DOBREM, EQUILID)20.Tiapride (ITALPRID, SEREPRILE)21. Trifluoperazina (MODALINA)22.Veralipride (AGRADIL)23.Zuclopentixolo (CLOPIXOL)

Infatti il Pharmacovigilance Working Party final public assessment report riguardante i neurolettici e la sicurezza cardia-ca, del Group Manager, Pharmacovigilance Risk Management, Vigilance Risk Management of Medicines; Medicines andHealthcare products Regulatory Agency del maggio 2006, ha evidenziato il rischio cardiotossico degli antipsicotici suddivi-dendolo in tre categorie sulla base delle prove disponibili: elevato, intermedio, basso.

Gli stampati dei farmaci devono essere modificati come segue:

ALOPERIDOLO, DROPERIDOLO, PIMOZIDE:• Con questi farmaci sono stati osservati casi molto rari di morte improvvisa, e casi rari di prolungamento del QT, aritmie ven-

tricolari come torsione di punta, tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco• Controindicati se malattie cardiache significative (recente infarto acuto del miocardio, insufficienza cardiaca scompen-

sata, aritmie trattate con farmaci antiaritmici di classe Ia e III), prolungamento dell’intervallo QT, storia familiare di tor-sione di punta o di aritmia, ipopotassiemia non corretta, uso concomitante di farmaci che allungano il QT

• Usare con cautela nei pazienti con malattie cardiovascolari o con una storia familiare di prolungamento QT.• Effettuare un ECG di base prima di iniziare il trattamento.

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i • Effettuare un monitoraggio dell’ECG nel corso della terapia, sulla base delle condizioni cliniche del paziente.• Nel corso della terapia, ridurre il dosaggio se si osserva un prolungamento del QT e interrompere se il QT e’ >500 ms.• Si raccomanda un controllo periodico degli elettroliti.• Evitare una terapia concomitante con altri neurolettici (o con altri farmaci che aumentano l’intervello QT (= antidepres-

sivi SSRI. venlafaxina e triciclici, alcuni antibiotici (claritromicina, eritromicina, telitromicina, levofloxacina, moxifloxaci-na, cotrimossazolo), antimicodici imidazolici, diversi anti-istaminici (astemizolo, ciproeptadina, fexofenadina, dimeni-drato, mizolastina), molti antiaritmici (dofetilide, Ibutilide. chinidina, sotalolo, amiodarone, flecainide), metadone,metoclopramide, domperidone, ondansetron, salmeterolo, tamoxifene, antimalarici (chinina e meflochina)

• Non somministrare in concomitanza con altri farmaci che determinano alterazioni degli elettroliti (es. diuretici)

AMISULPIRIDE, BROMPERIDOLO, CLORPROMAZINA, CLOTIAPINA, CLOZAPINA, FLUFENAZINA, LEVOMEPROMAZINA,QUETIAPINA, RISPERIDONE, SULPIRIDE, TRIFLUOPERAZINA, VERALIPRIDE, ZUCLOPENTIXOLO

• Con questi farmaci sono stati osservati casi molto rari di morte improvvisa, e casi rari di prolungamento del QT, aritmie ven-tricolari come torsione di punta, tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco

• Usare con cautela nei pazienti con malattie cardiovascolari o con storia famigliare di prolungamento del QT• Evitare una terapia concomitante con altri neurolettici• Quando questi neurolettici sono somministrati con farmaci che prolungano il QT il rischio di aritmie aumenta• Non somministrare in concomitanza con altri farmaci che determinano alterazioni degli elettroliti (es. diuretici)

DIXIRAZINA, LEVOSULPIRIDE, PERFENAZINA, PERICIAZINA, PROCLOPERAZINA, PROMAZINA, TIAPRIDE:• Con questi farmaci sono stati osservati casi molto rari di morte improvvisa, e casi rari di prolungamento del QT, aritmie ven-

tricolari come torsione di punta, tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco• Usare con cautela nei pazienti con malattie cardiovascolari o con storia famigliare di prolungamento del QT• Evitare una terapia concomitante con altri neurolettici• Quando questi neurolettici sono somministrati con farmaci che prolungano il QT il rischio di aritmie aumenta• Non somministrare in concomitanza con altri farmaci che determinano alterazioni degli elettroliti (es. diuretici)

(Torsione di punta preceduta da QT lungo in paziente trattata con aloperidolo per psicosi schizofrenica, claritromicina perinfezione respiratoria intercorrente e clortalidone per ipertensione arteriosa)

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Quali sono i margini d’intervento del MMG nei confronti del paziente che necessita di una terapia con antipsicotici?

• Le linee-guida per il trattamento delle emergenze psichiatriche, pubblicate nel 2005 dal National Institute for Healthand Clinical Excellence (NICE), prevedono, oltre alla combinazione aloperidolo/ lorazepam, il possibile uso di antipsi-cotici di seconda generazione come olanzapina (che il MMG non può prescrivere, senza piano terapeutico) nel tratta-mento del paziente agitato, evitando in questo caso la somministrazione contemporanea di benzodiazepine

• nella necessità di utilizzare l’aloperidolo per il trattamento di una psicosi acuta, il medico può assumersi laresponsabilità di somministrare il farmaco anche senza una preventiva valutazione della funzione cardiaca delpaziente.

• Questa potrà essere eseguita in una seconda fase, successiva alla sedazione del paziente, nel caso in cui il medicoritenga opportuno mantenerlo in terapia con il farmaco.

• Infatti, il rischio di fenomeni cardiotossici da parte dell’aloperidolo si riferisce soprattutto al suo uso ripetuto enon tanto a quello acuto.

• Il MMG e lo psichiatra devono conoscere ognuno quello che prescrive l’altro!

Antipsicotici nel soggetto con demenza (Comunicato AIFA del 28 dicembre 2006 ad oggetto “Trattamento farma-cologico dei disturbi psicotici nei pazienti affetti da demenza”):

1. Valutare attentamente il disturbo da trattare, infatti il trattamento va riservato al controllo dei disturbi comporta-mentali gravi che non abbiano risposto all’intervento non farmacologico;

2. Iniziare la terapia con una dose bassa e raggiungere gradualmente il dosaggio clinicamente efficace;

3. Se il trattamento è inefficace, sospendere gradualmente il farmaco e prendere eventualmente in considerazione undiverso composto;

4. Se il trattamento è efficace, continuare a trattare e monitorare il soggetto per un periodo di 1/3 mesi e poi tentare disospendere gradualmente il farmaco;

5. Evitare di somministrare due o più antipsicotici contemporaneamente;

6. Alla luce della specifica dichiarazione dell’EMEA, evitare l’uso concomitante di antipsicotici e benzodiazepine;

7. Somministrare con estrema cautela gli antipsicotici a soggetti con fattori di rischio cardiovascolare;

8. Monitorare attentamente sicurezza ed efficacia degli antipsicotici e segnalare tempestivamente tutti gli effetti inde-siderati, con specifica scheda di segnalazione e al Responsabile della Farmacovigilanza della propria struttura (D. L.vo95/2003).

Quindi:

1. il Medico di Medicina Generale, non deve più prescrivere, a carico del S.S.R., per i propri assistiti affetti dademenza con disturbi psicotici, nessun farmaco antipsicotico di prima (aloperidolo, ecc.) o di seconda genera-zione (olanzapina, ecc.), perché devono essere consegnati direttamente dalla Struttura Ospedaliera presso laquale opera lo Specialista che ha fatto la diagnosi.

• Restano invariate le modalità prescrittive e distributive degli antipsicotici di prima e seconda generazione ai pazientiaffetti da patologie psichiatriche non associate alla demenza.

Quanto sopra appartiene al percorso di Farmacovigilanza attiva disposto dall’AIFA che, tuttavia, non esonera il Medicodi Medicina Generale dall’obbligo di constatare e di segnalare gli eventuali effetti indesiderati da utilizzo di tutti gliantipsicotici disponibili

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Organizzazione di uno screening uditivo neonataleuniversale di area vasta:un esempio di collaborazione ospedale-territorioFlavia Ceschin, Giuseppe Montanari, Franca Ruta,PLS ASS6 “Friuli Occidentale”Paola Bolzonello, Mauro Tassan,Centro di Audiologia e Fonetica, Ospedale di Pordenone

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L’esecuzione di un progetto di screening comporta difficoltà organizzative e richiede comunque competenze cliniche erelazioni tra diverse specializzazioni, spesso carenti o presenti in forma dispersa nel nostro sistema sanitario. Per tale moti-vo risulta fondamentale approntare, in via preliminare, adeguate forme di collaborazione e dialogo tra le diverse figure pro-fessionali interessate al progetto di screening.

I pediatri di libera scelta dell’ASS 6 Friuli Occidentale, nell’ambito di un progetto di screening dei difetti uditivi, hannoavviato un programma di collaborazione con il Centro di Audiologia e Fonetica dell’Azienda Ospedaliera di Pordenone. Taleiniziativa non è finalizzata solo all’ identificazione precoce di tali difetti ma anche alla creazione di uno stabile rapporto dicollaborazione volto a seguire nel tempo i casi così identificati

Il Centro di Audiologia e Fonetica ha approntato un progetto di screening universale che è stato condiviso fin dalla fasedi progettazione con i pediatri di famiglia e i colleghi ospedalieri, preliminarmente in riunioni ristrette e successivamente inun incontro che ha visto la partecipazione di tutti i soggetti interessati. I dati sono stati gestiti in forma centralizzata ondegarantire eventuali valutazioni retrospettive ed un adeguato follow-up. E’ stata altresì fornita adeguata informazione allefamiglie anche con supporto cartaceo.

Tra gennaio 2008 e giugno 2009 sono stati esaminati nei tre punti nascita della provincia di Pordenone, 3123 neonati su3149 nati, raggiungendo una copertura del 99,2%. Sono stati identificati due casi di ipoacusia neurosensoriale bilaterale etre di ipoacusia monolaterale.

Il successo di un progetto di screening, come documentato dall’alta copertura ottenuta, è il frutto di una strettissimacollaborazione tra le diverse figure che si prendono carico del bambino, in primis dei pediatri di famiglia, quindi dello spe-cialista audiologo e audiometrista, fondamentali per la diagnosi. Numerose altre figure risultano indispensabili. tra queste ilogopedisti, gli psicologi e i neuropsichiatri infantili. Un rigoroso lavoro di squadra, già da tempo sperimentato nella provin-cia di Pordenone, ha permesso, pur in presenza di una fortissima immigrazione (il 25% dei nati è figlio di una donna non ita-liana), di raggiungere e seguire nel tempo la quasi totalità dei bambini. E’ nostra convinzione che il modello operativoapprontato possa essere applicato ai numerosi altri progetti educativi e di screening che vedono protagonista la pediatria difamiglia.

GIRO GIRO MONDO (2a edizione)Flavia CeschinPLS Pordenone

Il Friuli e in particolare la provincia di Pordenone, da zona di emigrazione è diventato zona d’immigrazione sempre piùstabile. Il numero di immigrati è in costante crescita e sono sempre più numerosi i minori stranieri sia a motivo del fenome-no del ricongiungimento famigliare che per le nascite da genitori immigrati, tanto da poter affermare che siamo entrati nellacosiddetta “fase d’integrazione” del processo migratorio, con l’osservazione di soggetti di seconda generazione.

I bambini migranti hanno rappresentato e rappresentano a tutt’oggi per molti dei responsabili dei servizi socio-sanitari escolastici una nuova scommessa. Perché? Perché hanno messo e mettono in discussione la metodologia di lavoro, i proto-colli diagnostici e terapeutici elaborati sugli e per gli occidentali. I bambini migranti ci impongono di reinventare le nostrecristallizzate professionalità e di pensare all’esistenza di un altro modo di cura.

Questa constatazione ha rappresentato lo stimolo principale per i pediatri di libera scelta, interlocutori privilegiati dellefamiglie soprattutto nei primi anni di vita dei loro figli, a riproporre un secondo convegno che si è tenuto a Pordenone inottobre. Il precedente incontro, svoltosi due anni fa, aveva l’obiettivo ambizioso di condividere il cambiamento in atto nellanostra realtà territoriale, interrogandoci sulle pratiche e routine quotidiane partendo dall’alimentazione e dal rischio di pato-logie particolari.

Si è dato così inizio ad un cammino di “riprogettazione dei propri saperi” agevolando ed integrando atteggiamenti e

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saperi diversi che sono diventati il filo conduttore della nuova edizione in cui si è trattato, oltre ad argomenti di carattere piùspecificatamente sanitario, il tema della lingua e del linguaggio, “ noi siamo fatti di parole”, come possibile fonte di difficoltàdel bambino straniero, analizzandone le diverse implicazioni, tra cui il problema di quale lingua si parla in casa: è bene che igenitori parlino la loro lingua perché è nella loro lingua che essi possono tramandare, raccontare cioè la loro storia, esercita-re il loro ruolo-potere di genitori, arricchire la mente loro e dei figli; se la loro lingua è ricca sarà ricca anche la lingua acquisi-ta, e i figli non dovranno così caricarsi del ruolo impegnativo di interpreti dei genitori

La “multidimensionalità” della presa in carico dei piccoli più fragili, mal si adatta alla frammentazione dei servizi presentisul territorio. Essa esige che si creino dei percorsi facilitanti e ciò è possibile solo se tutti gli attori comunicano ed integranotra loro i diversi saperi. E ancora, gli interventi devono essere coordinati in modo da concentrare gli sforzi verso gli stessiobiettivi.

L’obiettivo quindi di questo convegno, la cui organizzazione ha coinvolto fin dalle prime fasi, oltre ai pediatri di famiglia,i rappresentanti della pediatria ospedaliera, della neuropsichiatria infantile e del centro di audiologia, rivolto anche a psico-logi, logopedisti e infermieri, è consistito nell’ “agire” l’integrazione tra i molteplici servizi con le diverse figure professionali,e le varie istituzioni del territorio, non ultima la scuola, luogo privilegiato per il processo di integrazione, in realtà luogo dovesi appalesa un aspetto consistente del disagio socio-culturale del minore, accogliendo inoltre anche la voce dei rappresen-tanti delle comunità straniere quale ulteriore indicatore della direzione intrapresa due anni fa e guidata dalla semplice maallo stesso tempo ambiziosa domanda: come prendersi cura del bambino migrante e della sua famiglia all’interno dei servizidi salute?

Nessuna carovana ha mai raggiunto un miraggio,ma senza un miraggio nessuna carovana sarebbe mai partita.

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La comunicazione non verbale: concluso il progetto FACSAlberto Giammarini BarsantiMMG Ceformed

Nel percorso di comunicazione fra medico e paziente possono esserci atteggiamenti da seguire e altri da evitare, mal’obiettivo resta sempre uno: riuscire ad entrare il più possibile in sintonia con il paziente e, nel caso del pediatra, con i geni-tori dei piccoli assistiti.

Il FACS (Facial Action Coding System) è un sistema di codifica (1) che si basa sull’identificazione e la misurazione di unitàvisibili di comportamento facciale. Il FACS decodifica le espressioni facciali associandole a emozioni specifiche. Il voltosecondo gli Autori (2) è in grado di veicolare informazioni attraverso quattro classi di segnali: 1. segnali «statici»; 2. segnali«lenti»; 3. segnali «artificiali; 4. segnali «rapidi». È proprio quest’ultimo tipo di segnali (modificazioni muscolari rapide e visi-bili) che può essere individuato e categorizzato attraverso questo sistema.

Utilizzando il metodo FACS (Facial Action Coding System) dal 2007 al 2009 è stato realizzato un progetto di ricerca cheha coinvolto i pediatri (PLS) e i medici (MMG) della Regione Friuli Venezia Giulia. Il progetto, frutto della collaborazione fral’IRCSS Burlo Garofolo, il Ceformed e la SIMG (3), prevedeva l’arruolamento di 25 medici: 15 MMG e 10 PLS.

Questi medici sono stati formati in un primo corso, svoltosi presso la sede del Ceformed (4), in cui è stato spiegato ilmetodo FACS nell’ambito della comunicazione non verbale. I discenti inoltre sono stati addestrati all’utilizzo di due teleca-mere che riprendevano contemporaneamente il proprio volto, collo e spalle e quelli del paziente/genitore, escludendo l’au-dio, per valutare le proprie performances nell’ambito della comunicazione non verbale. Tale procedura veniva ripetuta adun anno di distanza, dopo un successivo trial in cui ognuno ha potuto rivedere e discutere le registrazioni ottenute nelprimo anno (ogni partecipante allo studio ha prodotto, in media, 10 interviste). Il materiale prodotto ed i trials sono stati ela-borati e condotti dalla dott.a Vanessa Greco.

Gli obiettivi del progetto di ricerca erano:• Valutazione e autovalutazione delle qualità dell’interazione MMG/PLS e paziente-genitore nei singoli MMG/PLS par-

tecipanti attraverso la discussione individuale ed eventualmente collettiva (focus group) delle immagini registratemediante il metodo F.A.C.S.

• Valutazione soggettiva dell’utilità e della soddisfazione del progetto da parte dei MMG/PLS e dei pazienti (utilizzo diun questionario sul grado di soddisfazione da parte del MMG/PLS e del paziente).

In base alle analisi dei questionari somministrati ai MMG e PLS, l’applicazione del metodo FACS e quindi la codifica edecodifica del linguaggio corporeo sono risultati essere utili strumenti professionali.

L’esperienza di autovalutazione ha permesso di constatare il miglioramento generale nelle abilità dei MMG e PLS: in

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una scala di valori da 1 (per nulla) a 5 (moltissimo) si è passati, nel livello 5, dal 48% del primo anno al 54,7% del secondoanno mentre nel livello 3 si è scesi dal 12% all’8%.

Sono stati valutati come utili i seguenti aspetti:• l’attenzione alla comunicazione non verbale dello stato emotivo del paziente/genitore• la coerenza del comportamento/atteggiamento non verbale• la maggiore attenzione posta alla risposta al problema posto dal paziente (5)

Dall’analisi dei questionari (1° e 2° anno) somministrati ai pazienti sono state analizzate 3 macro aree:1. Distanza interpersonale, disponibilità all’ascolto da parte del MMG/PLS2. Ascolto e comprensione delle emozioni da parte del MMG/PLS3. Ascolto e comprensione dei segnali non verbali da parte del MMG/PLS.

Da questi dati risulta che, al secondo anno, i MMG e PLS hanno ricevuto un giudizio completamente positivo in merito atutte e 3 le macro aree prese in considerazione. (6)

La comunicazione efficace tra il medico e il paziente deve essere considerata, quindi, come una funzione clinica fonda-mentale da non trascurare. Instaurando un processo di comunicazione interpersonale il medico può non solo ottenere delleutili informazioni per indirizzare il percorso diagnostico e terapeutico, ma anche suscitare un buon livello di soddisfazione edi consenso che finisce per incidere positivamente sui risultati clinici complessivi. In questo percorso vi possono esseredegli atteggiamenti da seguire, altri da evitare e, per dirlo con una frase fatta, ma sicuramente applicabile al metodo FACS,l’occhio “spietato” della telecamera permette di rendersi conto dei successi e, soprattutto, degli insuccessi nella comunica-zione non verbale.

Il medico che si sforza di capire il disagio dei pazienti, cercando di non trascurare i loro sentimenti e le speranze di salu-te, è quello che otterrà il miglior risultato nella relazione e conseguentemente nell’intero processo di cura.

Alberto Giammarini Barsanti°, Vanessa Greco°°° MMG CEFORMED-SIMG°° Ricercatrice IRCSS Burlo Garofolo

MEDICI PARTECIPANTI AL PROGETTOPLS:VINCENZO COLACINO, MANUELA DEL SANTO, STEFANO MARINONI, CARMEN MUZZOLINI, FLAVIA NICOLOSO, DANIELA

ROSENWIRTH, GIUSEPPINA SCORNAVACCA, MARINA SPACCINI, LIDIA TION,

CLINICA PEDIATRICA:ALESSANDRO VENTURA

MMG:CLAUDIA ADAMO, FABIO BURIGANA,ROBERTO DELLA VEDOVA, FABRIZIO GANGI, ALBERTO GIAMMARINI BARSANTI, OLI-

VIA GIANNINI, NADYA GRECO, CARMELO MACAUDA, ALESSANDRO PARMA, URSULA PORT, LUCIANO PRELLI, CLARA RICCI,BRUNO RUPINI, WALTER ZENNARO, DANJEL ZERJAL,

Riferimenti bibliografici:

1. P. Ekman and W. Friesen. Facial Action Coding System: A Technique for the Measurement of Facial Movement.Consulting Psychologists Press, Palo Alto, 1978

2. P. Ekman and W. Friesen. Facial Action Coding System: A Technique for the Measurement of Facial Movement.Consulting Psychologists Press, Palo Alto, 1978

3. «Analisi della comunicazione tra pediatra e madre attraverso l’applicazione del metodo F.A.C.S. – Facial Action CodingSystem – di P. Ekman e W.V. Friesen» a cura di Ph.D. Vanessa Greco, marzo 2007 (tesi di dottorato di ricerca in medicinamaterno – infantile presso il Burlo Garofolo di Trieste)

4.: ALCRFMG_TS031 Ottimizzazione del rapporto Medico-Paziente attraverso l’applicazione di un metodo per l’analisidella comunicazione non verbale: FACS Monfalcone (GO) – CEFORMED 19 gennaio 2008

5. «La comunicazione tra pediatra e madre nella struttura ambulatoriale. Analisi svolta con il metodo F.A.C.S. di P. Ekman& W. V. Friesen», V.Greco - Dottore di ricerca in medicina materno – infantile, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste, Rivista Medico eBambino, 9/2008, pagg. 597 – 598. Disponibile all’indirizzo: http://www.medicoebambino.com/?id=RI0809_10.html.

6.Ottimizzazione del rapporto Medico – Paziente attraverso l’applicazione di un metodo per l’analisi della comunicazio-ne non verbale: F.A.C.S. (Facial Action Coding System). Risultati dello studio di efficacia con i medici di medicina generale e ipediatri di famiglia del FVG e proposta di un nuovo studio con gli operatori sanitari dell’IRCCS Burlo Garofolo”- Aula magnadel Burlo Garofolo di Trieste, 16 Novembre 2009 (Responsabile della Clinica Pediatrica: prof. Alessandro Ventura –Ricercatrice: Ph.D Vanessa Greco).

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aLa Medicina Generale si trova sempre più impegnata nella programmazione e nello svolgimento di studi scientifici, la maggior

parte dei quali è di tipo “osservazionale” (per esempio di post-marketing surveillance o in fase IV) e non comporta l’effettuazionedi un intervento sperimentale di tipo preventivo, diagnostico o terapeutico la cui efficacia va valutata nei confronti di un gruppodi controllo (o nell’ambito dello stesso gruppo, prima e dopo l’intervento, per dati appaiati), intervento che può comportare eventisfavorevoli e rischi aggiuntivi per i pazienti. Per questa ragione era fino a poco tempo fa opinione comune che tali studi osserva-zionali non dovessero essere sottoposti all’approvazione o alla notifica dei Comitati Etici. Sempre secondo tale opinione, moltistudi “d’intervento” venivano camuffati sotto le meno impegnative spoglie di studi “osservazionali”. Per fare chiarezza sull’argo-mento l’AIFA ha emanato il 20 marzo 2008 una determinazione contenente le linee-guida per la classificazione e la conduzionecorretta degli studi osservazionali. Crediamo pertanto utile riportarne qui il testo, ad uso dei numerosi Medici di MedicinaGenerale che desiderano fare ricerca.

AGENZIA ITALIANA DEL FARMACODETERMINAZIONE 20 marzo 2008.

Linee guida per la classificazione e conduzionedegli studi osservazionali sui farmaci.

(GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, Serie generale - n. 76, 31-3-2008)

1. Premessa

In tutti i Paesi sono adottate regole e normative molto dettagliate finalizzate a tutelare i pazienti coinvolti nelle speri-mentazioni cliniche di tipo interventistico. In Italia questo settore è regolamentato soprattutto dal decreto legislativo211/2003 “Attuazione della Direttiva 2001/20/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa all’applicazione della buonapratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali ad uso umano“.

L’Italia ha inoltre adottato una specifica normativa sui Comitati Etici (DM 12/5/2006) attraverso cui ha affidato loro l’attoautorizzativo sulle ricerche cliniche.

Infine, da Settembre 2002 è presente una regolamentazione riguardante i criteri per la valutazione degli studi cliniciosservazionali (o non sperimentali o non interventistici) (Circolare 6 del 2/9/2002).

Gli studi osservazionali sui farmaci sono di particolare importanza per la valutazione del profilo di sicurezza nelle norma-li condizioni di uso e su grandi numeri di pazienti, per approfondimenti sull’efficacia nella pratica clinica, per la verifica del-l’appropriatezza prescrittiva e per valutazioni di tipo farmacoeconomico.

Per le loro caratteristiche, gli studi osservazionali non comportano rischi aggiuntivi per i pazienti ai quali sono offerte lemigliori condizioni di assistenza clinica. Di conseguenza richiedono procedure differenziate rispetto a quanto previsto neglistudi clinici sperimentali.

Una particolare cautela è richiesta per evitare che una sperimentazione sia presentata come uno studio osserva-zionale.

A questo proposito va ricordato che gli studi riguardanti un farmaco per poter essere considerati non sperimentali devo-no soddisfare le seguenti condizioni:

1. Il farmaco deve essere prescritto nelle indicazioni d’uso Autorizzate all’Immissione in Commercio in Italia;2. La prescrizione del farmaco in esame deve essere parte della normale pratica clinica;3. La decisione di prescrivere il farmaco al singolo paziente deve essere del tutto indipendente da quella di includere il

paziente stesso nello studio;4. Le procedure diagnostiche e valutative devono corrispondere alla pratica clinica corrente

Si ritiene indispensabile che i Comitati Etici siano informati sullo svolgimento di questi studi nella struttura o sul territo-rio di loro pertinenza. E’ quindi necessario che, a seconda dello studio osservazionale proposto, i Comitati Etici riceva-no sempre una notifica dello studio oppure una richiesta formale per la formulazione di un parere.

2. Protocollo:

Ogni Studio osservazionale deve fondarsi su un protocollo in cui gli obiettivi ed il disegnodello studio devono essere definiti in modo chiaro e coerente.Nel protocollo presentato deve essere chiaramente valutabile l’ipotesi della ricerca, i risultati attesi, il tipo di studio

osservazionale, la scelta della dimensione campionaria, le informazioni che saranno raccolte, l’eventuale coinvolgimento

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della struttura e/o degli operatori sanitari, le risorse richieste, l’origine del finanziamento, le modalità di partecipazione e diinformazione rivolte al paziente.

Modifiche sostanziali al protocollo dello studio dovranno essere notificate ai Comitati Etici secondo quanto previsto perquella specifica tipologia di studio.

3. Gestione Reazioni Avverse

Le reazioni avverse dovranno essere segnalate analogamente a quanto previsto dalle norme in vigore per le segnalazionispontanee (post-marketing).

4. Siti presso i quali si effettuano gli studi

Gli studi osservazionali possono essere condotti presso le strutture sanitarie pubbliche (o ad esse equiparate), presso lestrutture sanitarie private convenzionate con il SSN, presso i Medici di Medicina Generale e/o Pediatri di Libera Scelta facen-do riferimento per le notifiche e le approvazioni allo specifico Comitato etico competente per il territorio.

5. Aspetti Economici

Gli eventuali compensi previsti per gli operatori coinvolti devono essere notificati al Comitato Etico insieme alla docu-mentazione dello studio.

L’erogazione delle somme deve sempre avvenire per il tramite dell’Ente di appartenenza (le ASL nei casi di sperimenta-zione in Medicina Generale e Pediatria di Libera Scelta).

E’ importante che tali compensi siano commisurati all’effettivo impegno richiesto alla struttura e comunque di valoretale da non influenzare l’operato del personale sanitario coinvolto.

6. Copertura assicurativa

Data la natura osservazionale degli studi proposti, non sono necessarie polizze assicurative aggiuntive rispetto a quellegià previste per la normale pratica clinica.

7. Pubblicazione dei risultati

In funzione di quanto già previsto dalla circolare di Settembre 2002 ci deve essere un impegno scritto da parte del pro-ponente alla stesura di un rapporto finale e a rendere pubblici i risultati al termine dello studio.

8. Registro degli studi osservazionali

Viene istituito presso l’Agenzia Italiana del Farmaco il Registro Nazionale studi osservazionali al dovranno essere inviati idati relativi agli studi in modo esclusivamente telematico.

9. Implicazioni operative per i proponenti e i Comitati Etici

Si individua di seguito la documentazione che i proponenti devono allegare per la presentazione degli studi ai ComitatiEtici:

• Dichiarazione del proponente sulla natura osservazionale dello studio (appendice 1);• Protocollo;• Elenco delle informazioni che si vogliono raccogliere;• Dettagli riguardanti il responsabile e la sede in cui si svolgerà lo studio, al fine di consentire eventuali accertamenti

ispettivi;• Lista dei centri partecipanti e relativi responsabili (nell’ipotesi di studi multicentrici)• Eventuali costi aggiuntivi derivanti dalla conduzione dello studio (e relativa copertura);• Identificazione delle fonti di finanziamento;• Nota informativa al paziente e modulo di consenso al trattamento dei dati personali (nel casi di studi che prevedano

un rapporto diretto con il paziente);• Descrizione delle procedure messe in atto per garantire la confidenzialità delle informazioni;• Proposta di convenzione con riferimento particolare agli aspetti finanziari (se previsto);• Eventuali compensi previsti per il responsabile dello studio nonché per gli sperimentatori coinvolti

10. Procedure generali per l’avvio degli studi osservazionali

Per gli studi di coorte prospettici nei quali i pazienti sono inclusi nello studio in base all’assunzione di un determinatofarmaco e seguiti nel tempo per la valutazione degli esiti,

deve essere sempre richiesta la formale approvazione al Comitato Etico.lin

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aIn questa tipologia, nel caso di studio multicentrico, il proponente dovrà individuare tra i Comitati Etici dei centri parteci-

panti quello che avrà le funzioni di coordinamento. Tale Comitato Etico avrà il compito di rilasciare al proponente, per iscrit-to entro 45 giorni dalla data di presentazione, il parere unico sullo studio.

Contestualmente il proponente potrà sottomettere anche agli altri Comitati di Etica la documentazione dello studio pre-vista nell’appendice 2 al fine di consentire loro, se del caso, di inviare eventuali osservazioni al Comitato Etico coordinatore.

Tali Comitati Etici avranno poi il compito di rilasciare al Proponente, per iscritto ed entro 30giorni dalla ricezione del parere unico, formale accettazione o motivato rifiuto per la partecipazione allo studio.

Nel caso di Parere unico negativo il proponente avrà la facoltà di rivedere il protocollo e riproporlo allo stesso ComitatoEtico. Nel caso di un secondo parere unico negativo lo studio non potrà essere condotto in Italia.

Per quanto concerne le altre tipologie di studi osservazionali, sarà sufficiente la notifica ai Comitati Etici dei centri par-tecipanti; in seguito lo studio potrà iniziare dopo 60 giorni dalla notifica utilizzando la procedura del silenzio/assenso.

Resta inteso che tutti i Comitati Etici hanno comunque facoltà di valutare tutti gli aspetti degli studi (anche solonotificati) in accordo alle proprie procedure interne segnalando, ove rilevato, incongruità rispetto a quanto dichiara-to dal promotore dello studio.

Indipendentemente dalla tipologia dello studio, valgono per tutti gli studi osservazionali i principi generali e le regolevigenti che riguardano il trattamento dei dati personali.

Tabella 1: Tipologia di studi osservazionali1) studi di coorte prospettici2) altri studi osservazionali di tipo eziologicoa) studi di coorte retrospettivi)b) studi caso-controlloc) studi solo su casi (“case cross-over” e “case series”)d) studi trasversalie) studi ecologici3) studi descrittivia) studi di appropriatezza* in ciascuno degli studi indicati possono essere anche presenti obiettivi di valutazione economica dell’uso dei farmaci(farmacoeconomia).

DICHIARAZIONE DEL COORDINATORE DELLO STUDIO

Coordinatore dello Studio Osservazionale_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ (persona fisica che ha il compito di coordinare lo studio) (nome e cognome)

Struttura pubblica o struttura no-profit nella quale opera il Coordinatore

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Azienda promotrice dello studio (se diversa da quella già indicata)

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Io sottoscritto ____________________________________________________________________ In qualità di coordinatore dello studioosservazionale (riportare il titolo)

DICHIARO che:

1. Il/i farmaco/i è/sono prescritto/i nelle condizioni indicate nell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio in Italia;

2. La prescrizione è parte della normale pratica clinica;

3. La decisione di prescrivere il farmaco al singolo paziente è del tutto indipendente da quella di includere il pazientestesso nello studio;

4. Le procedure diagnostiche e valutative corrispondono alla pratica clinica corrente.

Data ______________________________________________ Firma del Coordinatore ______________________________________________Si ricorda che per poter essere considerare uno studio di tipo osservazionale devono essere rispettate congiuntamente tutte e 4 le condizioni sopra riportate

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Sono da considerare procedure di pratica clinica corrente anche:

1) le visite di follow up purché sostanzialmente corrispondenti alla pratica clinica corrente o a quanto prescritto da lineeguida nazionali e/o internazionali;

2) la somministrazione di questionari, interviste, diari, indagini di economia sanitaria e farmacoeconomia, valutazionisoggettive da parte del paziente sul proprio stato di salute, scale di valutazione ed esami ematochimici, il cui uso siagiustificato dal razionale dello studio.

Non sono considerati studi osservazionali quelli in cui gli esami siano finalizzati a studi di farmacogenetica e/ofarmacogenomica.

Tipologia di studiosservazionali

Coperturaassicurativa

Notificaal Comitato Etico

Richiestadi approvazionedel Comitato Etico

Documentazione da inviareal Comitato Eticoper tutti gli studi osservazionali

Studi di coorteprospettici

NO NO SI’• Dichiarazione del promotore

sulla natura osservazionali dello studio• Protocollo;• lista delle informazioni da raccogliere;• Dettagli riguardanti il responsabile

e la sede in cui si svolgerà lo studio,al fine di consentire eventualiaccertamenti ispettivi;

• Lista dei centri partecipantie relativi responsabili(nell’ipotesi di studi multicentrici)

• Eventuali costi aggiuntivi derivantidalla conduzione dello studioe relativa copertura;

• Identificazione delle fontidi finanziamento;

• Nota informativa al pazientee modulo di consenso al trattamentodei dati personali *;

• Descrizione delle proceduremesse in atto per garantirela confidenzialità delle informazioni;

• Proposta di convenzionecon riferimento particolareagli aspetti finanziari (se previsto).

• eventuali compensi previsti per ilresponsabile dello studio nonché pergli sperimentatori coinvolti personali *;

• * riguarda solo gli studi nei quali vi siaun rapporto diretto con i pazienti

Altri studi osservazionali:a) studi di corteretrospettivib) studi caso-controlloc) studi solo su casi(“case cross-over”e “case series”d) studi trasversalie) studi ecologici

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Studi descrittivi:a) Studi di appropriatezza

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aGARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

DELIBERAZIONE N. 36, 19 novembre 2009(Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 288 dell’ 11 dicembre 2009)

LINEE GUIDA IN TEMA DI REFERTI ON-LINE

1. AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA

L’Autorità ritiene opportuno fornire alcune indicazioni in merito all’utilizzo dei dati personali nell’ambito di alcune inizia-tive sorte nel processo di ammodernamento della sanità pubblica e privata che ha generato un maggiore sviluppo delle retie una più ampia gestione informatica e telematica di atti, documenti e procedure.

All’interno di tali iniziative è stato riscontrato essere di recente molto diffusa in numerose strutture sanitarie, soprattuttoprivate, l’offerta di servizi gratuiti generalmente riconducibili all’espressione “referti on-line”, consistenti nella possibilitàper l’assistito di accedere al “referto” –inteso come la relazione scritta rilasciata dal medico sullo stato clinico del pazientedopo un esame clinico o strumentale- con modalità informatica.

Analogamente è concessa all’assistito la possibilità di decidere -di volta in volta o una tantum- di ricevere telematica-mente i predetti esiti clinici direttamente attraverso il proprio medico curante o il medico di medicina generale/pediatra dilibera scelta (MMG/PLS).

Tale modalità di conoscibilità dei referti viene generalmente realizzata attraverso due modalità:1) la ricezione del referto presso la casella di posta elettronica dell’interessato;2) il collegamento al sito Internet della struttura sanitaria ove è stato eseguito l’esame clinico, al fine di effettuare il

download del referto.

In quest’ultimo caso, che sembra essere il più utilizzato, al paziente viene generalmente fornito un nome utente ed unapassword all’atto della prenotazione o dell’effettuazione dell’esame.

In alcune delle iniziative esaminate è anche possibile effettuare il download del “reperto” (inteso come il risultato dell’e-same clinico o strumentale effettuato, come ad es.un’immagine radiografica, un’ecografica o un valore ematico) assieme alreferto stilato dal medico.

Talvolta, il paziente viene avvisato della possibilità di visualizzare il referto attraverso una delle modalità sopra descrittemediante l’invio di uno short message service (sms) sul numero di telefono mobile fornito alla struttura sanitaria dallo stessopaziente all’atto dell’adesione al servizio.

Le presenti linee guida non intendono disciplinare gli aspetti relativi alla validità legale del referto -che rimane regolatadalla specifica normativa di settore- ferme restando, ovviamente, anche le disposizioni relative alla firma elettronica deldocumento informatico, con specifico riferimento alle metodologie dell’autenticazione informatica ove applicabili (d.lg. 7marzo 2005, n. 82).

Allo stato delle notizie acquisite, non consta l’esistenza di una normativa in merito a tali modalità di consegna dei referti.Ciò stante, si è osservato che nella quasi totalità delle iniziative esaminate, la refertazione on-line non sostituisce le normaliprocedure di consegna dei referti, che restano, in ogni caso, disponibili in formato cartaceo -ai sensi e per gli effetti di legge-presso la struttura sanitaria dove è stata erogata la prestazione. Il paziente, infatti, può generalmente ritirare i referti in ori-ginale. Tali servizi, infatti, non si propongono -di regola- di sostituire la refertazione cartacea, bensì di anticiparla, fornendoun’anteprima dei referti, attraverso la visualizzazione e la stampa dei documenti stessi non appena questi siano resi dispo-nibili dalla struttura erogatrice della prestazione sanitaria.

Si ritiene opportuno precisare che i servizi oggetto delle presenti linee guida sono da considerare del tutto distinti eautonomi dal Fascicolo sanitario elettronico (Fse), consistendo quest’ultimo nell’insieme delle informazioni relative ai diver-si eventi clinici (e, quindi, non solo quelle sui referti) occorsi ad un individuo durante la sua vita, messo in condivisione logi-ca dai professionisti o organismi sanitari-in qualità di autonomi titolari del trattamento- che assistono nel tempo l’interessa-to, al fine di offrirgli un migliore processo di cura.

Con le presenti linee guida si intende individuare uno specifico quadro unitario di garanzie per i cittadini nei confronti dialcuni servizi, attualmente in uso, consistenti nella possibilità di ricevere via posta elettronica o di consultare telematica-

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mente il referto relativo ad un singolo evento sanitario (es. analisi cliniche) non appena lo stesso sia reso disponibile da partedell’organismo sanitario presso il quale si è rivolto l’interessato.

2. FRUIZIONE FACOLTATIVA DEL SERVIZIO DI REFERTAZIONE ON-LINE

In base alle disposizioni contenute nel Codice dell’amministrazione digitale, deve essere assicurata la disponibilità, lagestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale utilizzando le tec-nologie dell’informazione e della comunicazione nel rispetto della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati per-sonali e, in particolare, delle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (art. 2, d.lg. 7 marzo 2005, n.82).

Come già anticipato, la mancanza di specifiche disposizioni normative in merito a tali modalità di consegna dei refertidetermina che tali servizi devono essere considerati facoltativi per l’interessato, ovvero offerti con modalità tali da renderepossibile a quest’ultimo di potere comunque scegliere di ritirare il referto in formato cartaceo.

All’interessato deve essere consentito, infatti, di scegliere -in piena libertà- se accedere o meno al servizio di refertazio-ne on-line, garantendogli in ogni caso la possibilità di continuare a ritirare i referti cartacei presso la struttura erogatrice dellaprestazione.

La struttura sanitaria deve, anche, garantire all’interessato di decidere liberamente -sulla base di una specifica informati-va e di un apposito consenso in ordine al trattamento dei dati personali connessi a tale servizio- di aderire o meno a tali ser-vizi di refertazione, senza alcun pregiudizio sulla possibilità di usufruire delle prestazioni mediche richieste.

Qualora l’interessato abbia scelto di aderire ai suddetti servizi di refertazione, deve essergli concesso -in relazione ai sin-goli esami clinici a cui si sottoporrà di volta in volta- di manifestare una volontà contraria, ovvero che i relativi referti nonsiano oggetto del servizio di refertazione on-line precedentemente scelto.

Anche nel caso di comunicazione del referto presso l’indirizzo della casella di posta elettronica fornito dall’interessato, aquest’ultimo deve essere concessa la possibilità di confermare l’indirizzo di posta elettronica in cui ricevere tale comunica-zione in occasione dei successivi accertamenti clinici. Resta ferma l’operatività del sistema che verrà adottato ai sensi deld.P.C.M. 6 maggio 2009 in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini.

Per quanto riguarda la possibilità per l’interessato di acconsentire alla comunicazione dei risultati diagnostici almedico curante o al MMG/PLS dallo stesso indicato, tale volontà deve essere manifestata di volta in volta.All’interessato deve, infatti, essere concesso il diritto di non comunicare sistematicamente al medico curante tutti irisultati delle indagini cliniche effettuate, lasciandogli la possibilità di scegliere, di volta in volta, quali referti mettere adisposizione del proprio medico. Tale garanzia deve intendersi operante sia nel caso più frequente in cui l’interessatoautorizzi la comunicazione del referto presso la casella di posta elettronica del medico curante, sia in quello in cuiautorizzi la struttura sanitaria a fornire le credenziali di autenticazione direttamente al medico, affinché quest’ultimoeffettui il download del suo referto.

Nel caso di utilizzazione del servizio di avviso tramite sms della disponibilità alla consultazione dei referti attraverso lemodalità sopra descritte, nel messaggio inviato deve essere data solo notizia della disponibilità del referto e non anche deldettaglio della tipologia di accertamenti effettuati, del loro esito o delle credenziali di autenticazione assegnate all’interessa-to.

3. INFORMATIVA E CONSENSO

Per consentire all’interessato di esprimere scelte consapevoli in relazione al trattamento dei propri dati personali, il tito-lare del trattamento deve previamente fornirgli un’idonea informativa sulle caratteristiche del servizio di refertazione on-line (artt. 13, 79 e 80 del Codice).

Tale informativa, che può essere resa anche unitamente a quella relativa al trattamento dei dati personali per finalità dicura ma distinta da essa, deve indicare, con linguaggio semplice, tutti gli elementi richiesti dall’art. 13 del Codice. In partico-lare, deve essere evidenziata la facoltatività dell’adesione a tali servizi, aventi la finalità di rendere più rapidamente conosci-bile all’interessato il risultato dell’esame clinico effettuato.

L’informativa deve rendere note all’interessato anche le modalità attraverso le quali rivolgersi al titolare per esercitare idiritti di cui agli artt. 7 e ss. del Codice.

Al fine di assicurare una piena comprensione degli elementi indicati nell’informativa, il titolare deve formare adeguata-

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amente il personale coinvolto sugli aspetti rilevanti della disciplina sulla protezione dei dati personali, anche ai fini di un piùefficace rapporto con gli interessati.

Dopo aver fornito l’informativa, il titolare del trattamento deve acquisire un autonomo e specifico consenso dell’interes-sato a trattare i suoi dati personali, anche sanitari, attraverso le suddette modalità di refertazione.

4. ARCHIVIO DEI REFERTI

In alcune delle iniziative di refertazione on-line in essere, è offerto all’interessato anche un servizio aggiuntivo, solita-mente gratuito, consistente nella possibilità di archiviare, presso la struttura sanitaria, tutti i referti effettuati nei laboratoridella stessa. Il suddetto archivio è generalmente consultabile on-line dall’interessato, il quale può anche effettuare il down-load dei referti ivi raccolti.

Il titolare del trattamento che intenda offrire all’interessato tale servizio di archiviazione è tenuto a fornire allo stessouna specifica informativa ed ad acquisire un autonomo consenso.

Tali archivi, raccogliendo tutti i referti effettuati nel tempo dall’interessato ed essendo realizzati presso un organismosanitario in qualità di unico titolare del trattamento (es., laboratorio di analisi, clinica privata), ricadono nella definizione didossier sanitario,secondo quanto indicato nel richiamato Provvedimento del Garante del 16 luglio 2009,recante “Linee guidain tema di Fascicolo sanitario elettronico (FSE) e di dossier sanitario”.

Ciò stante, il titolare del trattamento che intenda offrire all’interessato la possibilità di raccogliere i referti in tali archivideve tenere conto delle garanzie –anche di sicurezza individuate nel citato provvedimento per i dossier sanitari.

5. COMUNICAZIONE DEI DATI ALL’INTERESSATO

Secondo quanto previsto dall’art. 84 del Codice, i dati personali inerenti allo stato di salute devono essere resi noti all’in-teressato solo per il tramite di un medico designato dallo stesso o dal titolare. Il secondo comma di tale disposizione preve-de che il titolare o il responsabile possano autorizzare per iscritto esercenti le professioni sanitarie diversi dai medici, chenell’esercizio dei propri compiti intrattengono rapporti diretti con i pazienti e sono incaricati di trattare dati personali idoneia rivelare lo stato di salute, a rendere noti i medesimi dati all’interessato.

L’abilitazione all’accesso dei suddetti sistemi di refertazione deve, pertanto, essere consentita all’interessato nel rispettodelle cautele previste dalla disciplina di settore già applicabili anche per il cartaceo e richiamate dal Garante nel provvedi-mento generale del 2005. In particolare, nel caso di specie, l’intermediazione può essere soddisfatta accompagnando lacomunicazione del reperto con un giudizio scritto e la disponibilità del medico a fornire ulteriori indicazioni su richiesta del-l’interessato.

I titolari del trattamento, nell’offrire tali servizi, devono tenere conto delle disposizioni di settore che prevedono -nellacomunicazione dei referti e nella illustrazione del loro significato diagnostico- una specifica attività di consulenza da partedel personale medico (ad esempio, nel caso di indagini cliniche volte a rivelare direttamente o indirettamente l’infezione daHIV). La necessità di assicurare una consulenza genetica appropriata nell’effettuazione di test genetici -anche prenatali- faritenere di potere, poi, escludere la possibilità di offrire tali servizi di refertazione nel caso in cui l’interessato si sottoponga atali indagini cliniche.

6. MISURE DI SICUREZZA E TEMPI DI CONSERVAZIONE DEI DATI

La particolare delicatezza dei dati personali trattati mediante i servizi di refertazione on-line impone l’adozione di speci-fici accorgimenti tecnici per assicurare idonei livelli di sicurezza ai sensi dell’art. 31 del Codice, ferme restando le misureminime che ciascun titolare del trattamento deve comunque adottare ai sensi del Codice (artt. 33 e ss.) e, in particolare, lad-dove applicabili, quelle richieste dalla regola 24 del Disciplinare tecnico in materia di misure minime di sicurezza, allegato B)al Codice, laddove per il trasferimento di dati idonei a rivelare l’identità genetica di un individuo viene richiesto il ricorso allacifratura.

Per la consegna degli esiti dell’attività diagnostica e di analisi biomedica si prospettano attualmente i due diversi scenarisopra descritti che pongono problemi di protezione dei dati da affrontare con differenti approcci.

Scenario 1 – consultazione on-line dei referti tramite servizi Web accessibili da Internet.

Nel caso in cui il servizio che si intenda offrire consti nella possibilità per l’interessato di collegarsi al sito Internet della

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struttura sanitaria che ha eseguito l’esame clinico, al fine di effettuare la copia locale (download) o la visualizzazione interat-tiva del referto, devono essere adottate delle specifiche cautele quali:

1. protocolli di comunicazione sicuri, basati sull’utilizzo di standard crittografici per la comunicazione elettronica deidati, con la certificazione digitale dell’identità dei sistemi che erogano il servizio in rete (protocolli https ssl – SecureSocket Layer);

2. tecniche idonee ad evitare la possibile acquisizione delle informazioni contenute nel file elettronico nel caso di suamemorizzazione intermedia in sistemi di caching, locali o centralizzati, a seguito della sua consultazione on-line;

3. l’utilizzo di idonei sistemi di autenticazione dell’interessato attraverso ordinarie credenziali o, preferibilmente, trami-te procedure di strong authentication;

4. disponibilità limitata nel tempo del referto on-line (massimo 45 gg.);

5. possibilità da parte dell’utente di sottrarre alla visibilità in modalità on-line o di cancellare dal sistema di consultazio-ne, in modo complessivo o selettivo, i referti che lo riguardano.

Scenario 2 – spedizione del referto tramite posta elettronica.

Qualora il titolare del trattamento intenda inviare copia del referto alla casella di posta elettronica dell’interessato, aseguito di sua richiesta, per il referto prodotto in formato digitale devono essere osservate le seguenti cautele:

1. spedizione del referto in forma di allegato a un messaggio e-mail e non come testo compreso nella body part delmessaggio;

2. il file contenente il referto dovrà essere protetto con modalità idonee a impedire l’illecita o fortuita acquisizione delleinformazioni trasmesse da parte di soggetti diversi da quello cui sono destinati, che potranno consistere in una pas-sword per l’apertura del file o in una chiave crittografica rese note agli interessati tramite canali di comunicazione dif-ferenti da quelli utilizzati per la spedizione dei referti (Cfr. regola 24 del Disciplinare tecnico allegato B) al Codice).Tale cautela può non essere osservata qualora l’interessato ne faccia espressa e consapevole richiesta, in quanto l’in-vio del referto alla casella di posta elettronica indicata dall’interessato non configura un trasferimento di dati sanitaritra diversi titolari del trattamento, bensì una comunicazione di dati tra la struttura sanitaria e l’interessato effettuatasu specifica richiesta di quest’ultimo;

3. convalida degli indirizzi e-mail tramite apposita procedura di verifica on-line, in modo da evitare la spedizione didocumenti elettronici, pur protetti con tecniche di cifratura, verso soggetti diversi dall’utente richiedente il servizio.

In ogni caso, per il trattamento dei dati nell’ambito dell’erogazione del servizio online agli utenti deve essere garantita ladisponibilità di:

1. idonei sistemi di autenticazione e di autorizzazione per gli incaricati in funzione dei ruoli e delle esigenze di accessoe trattamento (ad es., in relazione alla possibilità di consultazione, modifica e integrazione dei dati), prevedendo ilricorso alla strong authentication con utilizzo di caratteristiche biometriche nel caso del trattamento di dati idonei arivelare l’identità genetica di un individuo;

2. separazione fisica o logica dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dagli altri dati personali trattatiper scopi amministrativo-contabili.Il titolare del trattamento deve, inoltre, prevedere apposite procedure che rendano immediatamente non disponibiliper la consultazione on-line o interrompano la procedura di spedizione per posta elettronica dei referti relativi a uninteressato che abbia comunicato il furto o lo smarrimento delle proprie credenziali di autenticazione all’accesso alsistema di consultazione on-line o altre condizioni di possibile rischio per la riservatezza dei propri dati personali.

In ogni caso devono essere adottate tutte le misure di sicurezza necessarie per rispettare il divieto di diffusione dei datisanitari prescritto dal Codice (artt. 22, comma 8 e 26, comma 5).

1 Al riguardo, cfr. art. 5, comma 8, legge 29 dicembre 1990, n. 407 e art. 4, comma 18 legge 30 dicembre 1991, n. 412.2 Provvedimento del Garante del 16 luglio 2009, recante “Linee guida in tema di Fascicolo sanitario elettronico (FSE) e di dos-

sier sanitario”, pubblicato in G.U. n. 178 del 3 agosto 2009 e consultabile sul sito: www.garanteprivacy.it [doc.web n.1634116].

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a3 Cfr. punto 4 del provvedimento del Garante del 9 novembre 2005 “Strutture sanitarie: rispetto della dignità” consultabile

sul sito www.garanteprivacy.it - doc. web n. 1191411.4 Cfr. art. 5, l. 5 giugno 1990, n. 135, Relazione al parlamento sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteg-

giare l’infezione da HIV nell’anno 2006, Ministero della salute, Dipartimento della prevenzione e della comunicazione,Direzione generale della prevenzione sanitaria e Manuale di informazioni pro-positive, a cura della Consulta del volonta-riato per i problemi dell’AIDS presso il Ministero della salute, in merito all’assistenza psicologica e alla consulenza speciali-stica alle persone che hanno effettuato il test HIV.

5 Cfr. art. 12, Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, Oviedo il 4 aprile 1997 e Autorizzazione al trattamentodei dati genetici del 22 febbraio 2007, pubblicata in G.U. n.65 del 19 marzo 2007, consultabile sul sito:www.garanteprivacy.it -doc. web n. 1389918 la cui efficacia è stata differita con provvedimento del 19 dicembre 2008 pub-blicato in G.U. n. 15 del 20 gennaio 2009- doc. web n. 1582871.

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CALENDARIO GIORNATE DI FORMAZIONE CONTINUA ANNO 2010PER I MEDICI DI MEDICINA GENERALE ED I PEDIATRI DI LIBERA SCELTA

DELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

Calendario:

Giovedì 25 Febbraio 8 oreGiovedì 15 Aprile 8 ore

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L’ Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e la Fondazione “per il Tuo cuore” annunciano lacampagna nazionale per la ricerca cardiovascolare dal 29 gennaio al 14 febbraio 2010.

Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nei paesi industrializzati ed i medici di medicina generale, insie-me ai cardiologi sono da sempre in prima linea per la diagnosi, la cura ed il follow-up dei pazienti con malattie di cuore.

I cardiologi del Friuli Venezia Giulia ti invitano a sostenere la campagna esponendo all’interno del tuo studio, dal 29gennaio prossimo al 14 febbraio, il manifesto che troverai allegato a questo bollettino.

Un sincero ringraziamento per il tuo sostegno alla ricerca cardiovascolare.

Dott. Tullio Morgera Dott. Andrea Di Lenarda Dott. Luigi CancianiPresidente ANMCO FVG Comitato Scientifico ANMCO Direttore Scientifico CEFORMED FVG

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Corso di formazione“Supporto vitale avanzato sul campo di gara”

5 e 6 marzo 2010PIANCAVALLO (Aviano)

PROGRAMMA

1° GIORNO Lezioni

08:00 08:30 30’ Registrazione

08:30 09:00 30’ ALS per lo Sport in prospettiva– presentazione del corso

09:00 09:20 20’ Cause e prevenzione dell’arresto cardiaco

09:20 09:50 30’ Sindrome coronarica acuta

09:50 10:15 25’ La morte improvvisa dell’atleta

10:15 10:40 25’ Coffee break

10:40 11:00 20’ Dimostrazione scenario d’arresto cardiaco con DAE

11:00 11:40 40’ Algoritmo universale con DAE

11:40 12:30 50’ 1° addestramento pratico:vie aeree + collare/casco+ tav spinale

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oMonfalcone, 11 Gennaio 2010tel. 0481/487578 – fax 0481/487292E-mail: [email protected] web: www.ceformed.it

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12:30 13:30 60’ Pausa pranzo

13:30 14:20 50’ 2° addestramento pratico:vie aeree + collare/casco+ tav spinale

14:20 15:10 50’ 3° addestramento pratico:vie aeree + collare/casco+ tav spinale

15:10 17:00 110’ Valutazione primaria e secondaria: teoria e pratica

17:00 17:20 20’ Coffee break

17:20 18:00 40’ Patologia d’alta montagna

18:00 18:15 5’ Chiusura giornata

2° GIORNO Lezioni

08:30 09:30 60’ arresto cardiaco in circostanze speciali(asma anafilassi ipotermia disturbi elettrolitici)workshop

09:30 10:15 45’ Il trauma nel paziente pediatrico

10:15 10:35 20’ Coffee break

10:35 11:05 30’ Patologia speciale: sport invernali

11:05 11:35 30’ Patologia speciale: annegamento

11:35 12:20 45’ Trauma cranico e rachide

12:20 13:30 70’ Pausa pranzo

13:30 14:15 45’ Trauma toraco addominale

14:15 15:00 45’ Shock

15:00 15:30 30’ Traumi degli arti

15:30 17:00 90’ addestramento pratico: scenari simulati

17:00 17:30 30’ Test scritto finale

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IL CEFORMED INVITA A COMUNICARE ALLAREDAZIONE DI “MEDICINA E SANITÀ” TUTTE LEATTIVITÀ, I PROGETTI, LE SPERIMENTAZIONI,LE LINEE-GUIDA, I PERCORSI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI RIGUARDANTI LE CURE PRIMA-RIE ELABORATE DALLE AZIENDE SANITARIE,DAI DISTRETTI O DA REALTÀ PROFESSIONALIDEL FRIULI VENEZIA GIULIA, AI FINI DELLALORO DIVULGAZIONE E DISCUSSIONE NELLARIVISTA.

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