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PAN P ARCHI AMBIENTE NATURA NEL L AZIO ANNO 1/ NR 0 NAZZANO trenta anni di aree naturali protette nel Lazio LE NOSTRE FARFALLE nostalgie d’Africa e bellezze scandinave ROMA gli architetti dell’acqua e il sistema idrico più esteso e avanzato del mondo antico PAN-P ARCHI , A MBIENTE , N ATURA NEL L AZIO Nr. 0 COP DEF PAN.qxd 27-04-2009 22:52 Pagina 1

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PAN PARCHI AMBIENTE NATURA NEL LAZIO

ANNO 1 / NR0

NAZZANOtrenta anni di aree naturali protette nel Lazio

LE NOSTRE FARFALLEnostalgie d’Africa e bellezze scandinave

ROMAgli architetti dell’acqua e il sistema idrico più esteso e avanzato del mondo antico

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PAN è nata su iniziativa di:

REGIONE LAZIOASSESSORATO AMBIENTEE COOPERAZIONE TRA I POPOLI

Assessore Filiberto ZarattiDirettore Regionale Ambiente e Cooperazione tra i Popoli Giovanna BargagnaDirigente Area Conservazione della Natura Claudio Cattena

ARPAGENZIA REGIONALE PARCHI

Direttore Vito Consolii

SISTEMA DELLE NATURALI PROTETTEDELLA REGIONE LAZIO

PAN è realizzata a zero emissioni di CO2.Le emissioni stimate di CO2 per la realizzazione della rivista saranno bilanciate grazie a un accordo con il Parco Naturale Regionale dei Castelli Romani, che destinerà un’area del parco a bosco. Informazioni su: www.parcocastelliromani.it

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EditorialePARCHI · AMBIENTE · NATURA

È nata PAN.PAN, come il dio greco legato alle forze della terra, alla natura, ai boschi, alla fertilità dei campi,simbolo di fecondità e di rinascita, protettore della pastorizia e cultore della vita selvaggia; maanche come Parchi Ambiente e Natura.Frequentatore dei prati, delle selve e delle montagne, Pan veniva descritto come un dio bonario,che accorreva in aiuto di chiunque ne avesse bisogno, un dio sempre allegro, amante del piace-re e del bello e tuttavia capace di incutere timore, emettendo delle urla terrificanti.Una divinità piena di contraddizioni, quindi, proprio come la natura della nostra regione: splen-dida, legata ad antiche tradizioni e culture, ma anche in pericolo, attaccata spesso da modelli disviluppo che non hanno tenuto conto della sostenibilità. Una natura in grado di regalarci innu-merevoli occasioni di svago, ottimi prodotti agricoli, risorse preziose - come l'acqua che sgorgaancora abbondante e pulita sia ai piedi di grandi massicci calcarei che alle falde di ciò che rima-ne di antichi apparati vulcanici - ma che può anche far paura, per esempio quando la terra trema,come è tragicamente accaduto nel vicino Abruzzo.Una natura, un ambiente, il nostro, che oltre settanta aree protette regionali e diversi parchi eriserve nazionali tutelano “con lo sguardo proiettato sul futuro”, per conservare un importantepatrimonio di biodiversità, paesaggi, emergenze geologiche, storia, tradizioni e cultura anche allegenerazioni che verranno. La rivista PAN è al servizio di questo patrimonio, della gente che vuolescoprirlo, goderne i benefici in termini di divertimento, di cibi genuini e squisiti, di sviluppo eco-nomico e sociale sostenibile, nonché di tutti coloro che ogni giorno si impegnano a difenderlo.È nata PAN. Con un numero zero, realizzato per metterci alla prova, per capire se e come anda-re avanti, per raccogliere suggerimenti critici, ma anche - ci contiamo - aspettative, proposte,entusiasmi.Non la consideriamo una sfida, perché preferiamo non utilizzare neppure una parola che evochipensieri di guerra. Non la consideriamo una scommessa, perché ci siamo affidati a un attento escrupoloso lavoro di ideazione e realizzazione, non certo giocato d'azzardo. Sappiamo, piuttosto,che è un grosso impegno, quello che ci attende e ci siamo preparati per affrontarlo. Abbiamopuntato su alcune scelte editoriali e organizzative in cui crediamo e che vogliamo dichiarare sindall'inizio. Innanzitutto una redazione molto professionale, che ha condiviso il progetto sin dal-l'inizio, affiancata da un gruppo di lavoro dell'Agenzia Regionale per i Parchi, della RegioneLazio, capace di mettere in campo, oltre alle competenze professionali, un altissimo grado di sen-sibilità e di motivazione. Secondo: un gruppo di giornalisti specializzati, tra cui alcune firme sto-riche del giornalismo naturalistico e ambientalista del Lazio, con l'aggiunta di qualificate colla-borazioni provenienti dal mondo della ricerca scientifica. Terzo: una veste editoriale di pregio,con una grafica molto curata e immagini fotografiche di qualità, al fine di suggerire atteggiamentie sensazioni positive nei confronti dell'ambiente naturale e del nostro territorio. Quarto, ma noncerto ultimo per importanza, il tentativo di non fare solo una testata istituzionale, bensì di lascia-re spazio - accanto alla divulgazione e al reportage - al dibattito, alla critica, al giornalismo d'in-chiesta. Una rivista, dunque, nata per emozionare, per mostrare, ma soprattutto con la convin-zione di avere qualcosa da dire.È nata PAN. Accogliamola con un sorriso.

Vito Consoli

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3 PAN - aprile 2009

obiettivoPARCHI LAZIO

Asphodelus microcarpusFoto archivio A.R.P – Marco Scalisi

Alba invernale al Lago della DuchessaFoto archivio A.R.P – Foto Archivio Riserva Naturale Montagne della Duchessa

Natrice tassellataFoto archivio A.R.P – Lydia Linda Ruscitto

2 PAN - aprile 2009

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4 PAN - aprile 2009 5 PAN - aprile 2009

La solforata nella riserva di Decima Malafede Foto archivio A.R.P – Fabrizio Petrassi

Una cima innevata sui Monti SimbruiniFoto archivio A.R.P – Vito Consoli

Luci nel bosco a Monte RufenoFoto archivio A.R.P – Massimo Tufano

obiettivoPARCHI LAZIO

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SommarioPARCHI · AMBIENTE · NATURA

In evidenza

In questo numeroI parchi del Lazio compiono 30 anni: è una soglia psi-cologica, quella dei trenta, dopo la quale la giovinez-za viene contaminata da chiare tracce di maturità.Un’inchiesta sul trentennale delle nostre aree protet-te ci racconterà come sono nate, le tappe e i perso-naggi fondamentali di un cammino a volte contrasta-to, le luci e le ombre dello stato attuale della naturanel Lazio.Ma è bene precisare che questo “excursus” storiconon serve ad auto-incensare i nostri parchi; piuttosto,intende offrirci le coordinate di un territorio che ètutto da esplorare… Proprio a queste esplorazionisono dedicati due reportage dalle aree protette, laprima in assoluto ad essere stata istituita e, in ordinedi tempo, l’ultimo dei grandi parchi: la Riserva diNazzano, Tevere-Farfa, una straordinaria zona umida,all’inizio creata dall’uomo con una diga, artificial-mente, poi ritornata alla natura, un vero paradiso peril birdwatching; il Parco dei Monti Ausoni e del Lagodi Fondi, nel sud del Lazio, dove l’ambiente montanosi mescola a quello lacustre e marino, e dove l’equili-brio tra l’uomo e questo ambiente appare sempre unasfida, che l’istituzione del parco intende appunto rac-cogliere.Numerosi sono gli approfondimenti naturalistici diquesto numero: a cominciare da un coloratissimo ser-vizio sulle farfalle e da un altro articolo che ci aggior-na sullo stato dell’Orso bruno marsicano sul nostroAppennino. Un reportage sui boschi più importantidel Lazio ci affascina con immagini cariche di miste-ro. Per gli appassionati di geologia, si parla del Pozzodel Merro, una delle grotte più profonde al mondo.Per gli amanti delle stelle, si consigliano i luoghi pro-tetti dove è più bello osservarle.I parchi del Lazio però non sono solo natura: la storia,la cultura e le attività dell’uomo sono parte integrantedi queste aree protette. A cominciare dalle terre delmito e delle origini, dai luoghi di Ulisse e della magaCirce, ovvero dal Parco della Riviera d’Ulisse e dalParco Nazionale del Circeo, cui è dedicato uno spe-ciale articolo. La storia è protagonista in un reportagesugli acquedotti romani nel Lazio. Il sacro permea lavalle reatina e la Riserva dei Laghi Lungo eRipasottile, terre in cui visse a lungo Francescod’Assisi, come raccontato da un altro servizio. Infineuno sguardo al rapporto tra l’uomo e le più comunierbe spontanee commestibili, alla scoperta delle carat-teristiche di queste piante e delle usanze collegate.

È già molto, d’accordo… ma potremmo sorprenderciscoprendo che, in questo numero (e nel Lazio), c’èancora di più.

Trent’anni di Parchi del Lazio

Andar per farfalle nel verde dei Parchi

26

32 Il gioiello del Tevere

16

42

Ausoni di acqua e di pietra

Selve oscure

50

58Il Laziodegli orsi

62

80Le erbe nel piatto

1Editoriale

2Obiettivo Parchi

8In Primo Piano

70La “natura” delle stelle

74Vent’anni dell’AFNI

84Le terre della Maga Circe

90Il Pozzo delle meraviglie

94Il Cammino di Francesco

100Campanili

101Natura in Campo

102Geositi

103Alberi monumentali

104PAN, i primi passiL’acqua di Roma

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8 PAN - aprile 2009

Convegni1-5 settembreECCB 2009 – II Congresso Europeo di Biologia della ConservazioneA Praga si discuterà dell’evoluzione di questarecente branca della ricerca scientifica e suisuoi effetti sulle politiche ambientali e di con-servazione della biodiversità.Per informazioni: www.eccb2009.org 9-11 settembreGeoitalia 2009 Si terrà a Rimini il settimo congresso dellaFederazione Italiana di Scienze della Terra,con numerose tematiche di carattere geologi-co all’ordine del giorno. In particolare, se-gnaliamo una sezione del convegno dedicataalla tutela dei geositi.Per informazioni:www.geoitalia.org10-12 settembreLife – Co.Me.Bi.S. - Convegno conclusivoSi terrà a Roma, presso la Società GeograficaItaliana, in Villa Celimontana, via della Na-vicella 12, il convegno conclusivo del proget-to Life – Co.Me.Bi.S. (Conservation Measu-res for Biodiversity of Central-MediterraneanSea), nel cui ambito sono stati effettuati im-portanti interventi di ripristino e valorizza-zione di habitat costieri del Lazio.Per informazioni: www.lifecomebis.eu 14-18 ottobre XV Convegno Italiano di OrnitologiaAl Parco Nazionale del Circeo, durante lecinque giornate di lavoro, tra sessioni plena-rie, workshop e tavole rotonde, si discuterà dimolteplici tematiche tra le quali avifauna ecambiamenti climatici, impatto delle speciealiene e problematiche, tecnologia e nuovisoftware al servizio dell’ornitologia, strategieper comunicare l’ornitologia.Per informazioni:www.sropu.it/xvcio/

Scoprire i ParchiGiugno – LuglioTrekking lungo la Via dei LupiLa “Via dei Lupi” è un percorso escursioni-stico di più giorni, che collega alcune tra leprincipali Aree Protette del Lazio edell’Abruzzo. Lungo i 120 km vengono tocca-te: la Riserva Naturale Regionale MonteCatillo, il Parco Naturale Regionale MontiLucretili, il Parco Naturale Regionale MontiSimbruini, la Riserva Naturale Zompo loSchioppo e il Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e Molise.

L’Agenzia Regionale per i Parchi organizzeràattività domenicali “Parco anch’io” lungo il per-corso, predisponendo un pullman gratuito inpartenza da Roma. È inoltre in corso di stampa la pubblicazione“Via dei Lupi”, a cura di Stefano Ardito per laIter edizioni.Le date delle escursioniTrekking (per informazioni: www.viadeilu-pi.eu; FIE: 06.7211301, 18:30 – 20:00). 12-14 giugno (RNR Monte Catillo e PNR MontiLucretili)19-21 giugno (PNR Monti Simbruini)26-28 giugno (PNR Monti Simbruini e RNRZompo lo Schioppo)03-05 luglio (PN d’Abruzzo, Lazio e Molise)Parco anch’io (per informazioni e prenotazio-ni n. verde 800.5931963, lun-ven, 10:00/13:00)14 giugno / 21 giugno / 28 giugno / 05 luglio. Domenica 7 giugnoRiserva Naturale Tor CaldaraLiberiamo le aliMattinata dedicata alle tecniche di cura eriabilitazione degli uccelli rapaci: potrannoessere osservati gli esemplari presenti inRiserva, imparando a riconoscere le varie spe-cie, assistendo infine alla liberazione degliuccelli curati e recuperati per il volo. Nelpomeriggio visita guidata all’area protetta. Perinformazioni e prenotazioni: tel. 06.9864177,334.3879138 (dalle 09:00 alle 13:00, dalle14:00 alle 16:00, lun.-ven.) Domenica 14 giugnoParco dei Castelli Romani Infiorata di GenzanoDa oltre due secoli, nella domenica successivaal Corpus Domini, un immenso tappeto florealesi estende sul selciato, articolandosi in vari qua-dri, per circa 2000 mq sulla centrale Via ItaloBelardi di Genzano. Per la realizzazione deiquadri occorrono, oltre alle essenze vegetali,almeno 350.000 fiori, i cui petali vengono uti-lizzati come i colori di una tavolozza. Per infor-mazioni: n. verde 800.000015 (dalle 08:00 alle13:30, dalle 15:00 alle 16:30, lun.-ven.)

Sabato 20 giugnoParco dei Castelli RomaniLa notte delle stregheLa notte di San Giovanni si celebra una festache testimonia la commistione tra pagano ecristiano. I riti legati all’evento sono ricchi di elemen-ti ciclici dell’antichità: i fuochi, la raccoltanotturna della rugiada e di erbe selvatiche,l’acqua purificatrice, le pratiche divinatoriee lo scambio di promesse. Una notte magica tra acqua e fuoco.Appuntamento alle ore 20:00 presso l’Aziendaagricola Capodarco, a GrottaferrataPer informazioni: n. verde 800.000015(dalle 08:00 alle 13:30, dalle 15:00 alle16:30, lun.-ven.)Domenica 28 giugnoParco di Veio – Archeologia lungo l’antica via Flaminia Malborghetto e il suo museoUn monumento di particolare interesse cheha vissuto trasformazioni e diverse utilizza-zioni nel corso del tempo: da arco monu-mentale costruito in onore dell’imperatoreCostantino, a fortilizio, a casale agricolo eosteria di passo. Il museo ospita i materiali archeologici pro-venienti dal territorio.Per informazioni: n. verde 800727822 (dallunedì al venerdì dalle 9:30 alle 16:30;sabato e domenica dalle 9:30 alle 12:30)Parco dei Monti SimbruiniUna giornata in compagnia dei caprioli nell’Area Faunistica di Colle DruniIl parco invita a conoscere da vicino la vitadel capriolo: la sua alimentazione, le abitu-dini e la quotidianità. Gli operatori del settore naturalistico spie-gheranno anche il funzionamento del radio-collare di cui sono dotali gli esemplari del-l’area faunistica. Per informazioni: Centro visita Trevi, tel.0775 527663 (8:00 – 14:00)

I Parchi in MostraUn calendario di mostre itineranti per valorizza-re la ricchezza ambientale e culturale del Lazioe delle sue aree naturali protette. Di seguito pre-sentiamo le mostre e le prossime località in cuisaranno ospitate (ingresso gratuito). Per infor-mazioni sul calendario completo e gli orari diapertura: www.parchilazio.it – 800 021 431 (dallunedì al venerdi dalle 10:00 alle 13:00).Si fa presto a dire querciaApprofondimento sulle specie di querce e i loroadattamenti, sull’utilizzo che ne fa l’uomo datempo immemorabile, sugli animali la cui vitadipende da questi alberi.8 maggio – 15 giugno Parco Regionale dellaValle del Treja – Calcata, Palazzo Baronale15 giugno – 30 luglio Capranica Prenestina,Museo Civico Naturalistico dei Monti PrenestiniAlla scoperta della geodiversità del LazioLa genesi e la complessità geologica del territo-rio; l’evoluzione delle specie nel tempo e nellospazio. Numerosi e importanti reperti di rocce efossili guideranno “dal vero” i visitatori in unaffascinante viaggio nel tempo e nello spazio.1 giugno – 30 giugno Monumento Naturaledi Campo Soriano – Centro di educazioneambientale – Campo Soriano (LT)1 luglio – 26 luglio Museo Civico diAllumiere A. Klitsche De La Grange –Allumiere (RM).Tutt’intorno Roma – Mostra Fotograficasulla Campagna Romana L’autore, Marco Scataglini, con le sue splendi-de foto in bianco e nero ci fa rivivere le sensa-zioni provate dai grandi viaggiatori e intellet-tuali che nei secoli passati hanno descritto ilfascino della Campagna Romana.4 maggio – 15 giugno Parco regionale

dell’Appia Antica – Roma, ex Cartiera Latina16 giugno – 14 luglio Parco regionale Valledel Treja – Calcata (VT), Palazzo BaronaleNaturArte – La natura nella RiservaNaturale Nazzano, Tevere-FarfaLa mostra è composta dalle migliori opere chehanno partecipato al Premio “NaturArte 2009”,concorso di illustrazione naturalistica promossodall’ARP e dalla Riserva Naturale RegionaleNazzano, Tevere-Farfa in occasione del trenten-nale delle Aree Protette della Regione Lazio.20 maggio – 6 luglio CREIA CentroRegionale di Educazione e InformazioneAmbientale – Fondi (LT)7 luglio – 11 agosto Museo del Fiore –Acquapendente (VT)

Appuntamento in libreriaL’acqua, i falchi e il ButrangoTre nuove uscite della Collana Verde JuniorNegli ultimi mesi, la Collana Verde Junior,edita da Palombi e Agenzia Regionale per iParchi, si è arricchita di tre nuove opere. Laprima, uscita nell’autunno 2008, si intitola“Un sorso dopo l’altro” e tratta il tema dell’ac-qua. Il libro è strutturato in 13 sorsi, ovverocapitoli, ciascuno dei quali parla di un diver-so aspetto di questo elemento essenziale perla vita dell’uomo: si va dalle trasformazionidell’acqua nei vari stati (liquido, solido, gas-soso), ai modi di dire nei quali è presente,dagli usi e abusi dell’acqua ai giochi che vi sipossono fare. La particolarità del libro, che lodistingue dagli altri della collana e lo rendeadatto anche al pubblico adulto, è data anchedalle fresche e talvolta dissacranti vignette diFrancesco Tonucci (a firma Frato) che costi-tuiscono il nucleo principale dell’opera,accompagnate dai piacevoli testi a cura diFilippo Belisario e Marta Letizia.La seconda opera è una raccolta di tre favole

in Primo PianoAPPUNTAMENTI

Interventi per il progetto Life – Comebis (foto di Fulvio Cerfolli)

Allestimento della Mostra NaturArte presso ilMuseo del Fiume di Nazzano (foto di Nicoletta Benedetti)

dal titolo “IlButrango e altrestorie”, scritte daVito Consoli eillustrate daLaura Piano;anche in questocaso, come già inpassato per“Parchi da favo-la” (dello stessoautore), le illustra-zioni che accompa-gnano il testo nonr a p p r e s e n t a n odirettamente ciò dicui il testo parla;per esempio, maiviene mostrato ilbutrango, che ècertamente unanimale ma le cuisembianze posso-no solo essere ilfrutto dell’immagina-zione di ciascun gio-vane lettore. Le illu-strazioni presentiprendono spuntodalle favole, maparlano in realtàd’altro, di animali,piante e ambientireali, e sonoaccompagnate dainteressanti dida-scalie scientifico-divulgative che aggiungono all’im-maginario evocato dalle favole una dimensio-ne educativa e divulgativa.Infine, l’ultima opera, uscita a maggio 2009:“Figli del vento. Il falco pellegrino tra leggen-da e realtà”, con testi di Nicoletta Benedetti,Vito Consoli e Federico Gemma e illustrata daFederico Gemma. Prendendo spunto dallanidificazione di una coppia di falchi pellegri-no nella Riserva Naturale di Nazzano, Tevere-Farfa, il libro accompagna il giovane lettorealla scoperta dell’universo zoologico e mitolo-gico dei falchi.La Collana Verde Junior, nata nel 2005, ècostituita al momento da 11 opere; oltre ailibri appena commentati include raccolte difavole, manuali di riconoscimento, guide turi-stiche per ragazzi. Notevole il successo dipubblico, anche grazie a un accordo con l’edi-tore Palombi che ha permesso di portare l’in-tera collana in libreria. Un primo riconosci-mento è arrivato nel 2006, quando“Birdwatching in giardino”, tra le prime pub-blicazioni della collana, è stata selezionata trale tre opere finaliste del Premio Nazionale“Libro Ambiente per Ragazzi” organizzato daLegambiente.

NATURARTE 2010 Campagna: Agricoltura e Natura

È in uscita il bando per il premio di illu-strazione naturalistica NaturArte2010, quest’anno dal tema evocativo“Campagna: Agricoltura e Natura”. Lemigliori sette opere riceveranno unpremio in denaro e saranno riprodottein una cartellina artistica. Inoltre, insie-me a una selezione più ampia, saran-no parte di una mostra collettiva, itine-rante nelle aree protette del Lazio nelcorso del 2010.Il premio si rivolge sia agli illustratoriprofessionisti sia ai semplici cittadiniamanti della natura e del disegno. Lascadenza per partecipare è il 16 otto-bre 2009.Il bando può essere scaricato dallasezione “Avvisi e bandi” del portalewww.parchilazio.it

8 PAN - aprile 2009 9 PAN - aprile 2009

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10 PAN - aprile 2009 11 PAN - aprile 2009

geologi, botanici, zoologi, insieme ai pianificato-ri territoriali, discipline che non è facile coordi-nare nella stesura di un piano intergrato di azio-ni sul territorio. Oggi la sfida è proprio questa e tutte questecompetenze sono impegnate nella costruzione diuna proposta di Rete Ecologica Regionale cherisponda alle esigenze del Piano Parchi, cioèche sia utile a valutare il sistema attuale dellearee protette rispetto alle sue capacità di con-servare la biodiversità regionale e a indirizzarele eventuali azioni correttive per il miglioramen-to delle sue prestazioni “dentro” e “fuori” daiparchi.

Danni da fauna selvaticaLa Regione Lazio risponde con tecnologiae risorse economicheAnche nel Lazio si sta affrontando l’annoso masempre attuale problema dei danni da fauna sel-vatica alle colture e alla zootecnia che affliggel’intero territorio nazionale, causando perditeeconomiche talvolta ingenti e un diffuso mal-contento da parte di agricoltori e allevatori.Al riguardo, la Regione Lazio ha recentementecreato un fondo speciale di 1,5 milioni di ? fina-lizzato alla realizzazione di progetti per la pre-venzione dei tali danni nelle aree protette regio-nali. L’iniziativa permetterà agli Enti gestoridelle aree protette di dare alle popolazioni resi-denti una risposta concreta a questo problema.I progetti presentati riguardano principalmentela prevenzione dei danni causati alle colture dalcinghiale, la specie in assoluto più “problemati-ca”. Molti dei progetti presentati prevedono lacostruzione di recinzioni di protezione, alcunedelle quali fisse e in rete metallica, altre, posi-zionate solo nel periodo di maturazione dellecolture, fatte da fili elettrificati a basso voltaggio,alimentati mediante un piccolo pannello solare.Particolarmente innovativa sarà la realizzazionedi iniziative espressamente finalizzate allagestione dei “conflitti sociali”; attraverso l’uso diquestionari si cercherà di delineare meglio lanatura dei conflitti e individuare le aree più cri-tiche, in modo da effettuare interventi mirati diprevenzione del danno e riduzione del malcon-tento. La produzione e diffusione di appositomateriale informativo permetterà, inoltre, di farconoscere le iniziative di gestione attuate dalleAree protette e di diffondere una conoscenzaoggettiva e non aneddotica sulle caratteristichee il comportamento della specie.Al di là di quanto verrà realizzato con i progettipresentati, nel campo della gestione della faunaselvatica e dei suoi impatti molte attività sonogià in corso di realizzazione nelle Aree protettedel Lazio. Vale la pena citare alcune di queste“buone pratiche responsabili”.Nella Riserva Naturale del Lago di Vico, da anniè ormai attivo un sistema di recinzioni elettrifi-cate utilizzate per preservare dai danni da cin-

ghiale le preziose piantagioni di nocciole (le“nocchie”), prodotto vanto e motore dell’econo-mia locale. Sempre attraverso le recinzioni, main questo caso di rete metallica e pali di casta-gno, al Parco Naturale dei Monti Simbruini stan-no cercando di proteggere i preziosi orti che lepopolazioni di montagna faticosamente coltiva-no in prossimità degli abitati. La RiservaNaturale di Nazzano Tevere-Farfa (la prima natatra le aree protette del Lazio), a partire dalloscorso anno, ha cominciato la cattura e rimozio-ne dei cinghiali dalle aree in cui i danni alle col-ture estensive avevano raggiunto un’entità eco-nomica troppo elevata per essere sopportabile.Queste esperienze pilota costituiscono unimportante esempio di come nelle aree protettesia possibile integrare efficacemente le attivitàumane e le esigenze di conservazione dellanatura.

Parchi accessibiliIl sentiero per tutti del Parco dei MontiAurunciTra le tante iniziative nate nel mondo dei parchidel Lazio nell’ambito dell’accessibilità, nesegnaliamo una realizzata nel Parco Regionaledei Monti Aurunci: il “Sentiero Natura per tutti eGiardino delle farfalle”. Perché “Sentiero Naturaper tutti”? Nel progettarlo, grazie alla collabora-zione del Dott. Guido Prola, si è data particolareattenzione all’accessibilità nel senso più ampiodel termine. Le accortezze tecniche utilizzatesono molte e non facilmente riassumibili. In soli400 metri, attraverso un percorso circolare conlieve pendenza, accessibile a persone con dis-abilità motorie, si ha la possibilità di apprezzarela natura attraverso i sensi in genere meno usaticome l’olfatto, il tatto e l’udito. Dalla tabella d’in-gresso parte un corrimano in legno che accom-pagna i visitatori non vedenti o ipovedenti lungoil percorso. Un tassello in legno lungo il corrima-no indica i punti sosta. Tre tasselli consecutivisul corrimano indicano che si è giunti al terminedel sentiero natura. Vi sono una decina di stazio-ni “tattili” attrezzate con pannelli e bachecheinterattive. Ogni tabella, pannello o bacheca hale scritte sia in nero con caratteri accessibili apersone ipovedenti sia in linguaggio Braille. Perla realizzazione di questi ausili didattici ci si èavvalsi della collaborazione del laboratorio dellaFederazione Nazionale delle Istituzioni pro cie-chi. Il tutto è inserito in un contesto che, comun-que, stimola “naturalmente” gli organi di sensograzie agli odori delle piante aromatiche o aicanti degli uccelli che popolano il giardino.Una parte del percorso è dedicata interamentealla conoscenza del mondo delle farfalle. Questoavviene non solo con pannelli didattici. In questazona, infatti, sono state piantate particolari spe-cie vegetali, creando un ambiente che attiradurante tutto l’anno varie specie di farfalle e dàloro la possibilità di compiere interamente il

in Primo PianoPARCHI & PROGETTIAl via la Rete degli EcoPointSviluppo sostenibile alla portata dei cittadiniTra aprile e dicembre 2009 apriranno i batten-ti cinque punti informativi all’interno delleAree Naturali Protette Regionali: sono gliEcoPoint. Solo che definirli punti informativiappare riduttivo, perché queste strutture si pro-pongono come partners di un cittadino “consa-pevole”, scintille che intendono accendere lafiamma di un cambiamento di mentalità.Di cosa si tratta esattamente?Gli EcoPoint offrono informazioni e soluzioniconcrete per modelli di consumo e di vita eco-logicamente sostenibili: agricoltura biologica,biodinamica e sostenibile; alimentazione; turi-smo eco-sostenibile; bioarchitettura, risorse edenergie da fonti rinnovabili, eco-efficienza;incentivi e facilitazioni per chi adotta compor-tamenti eco-compatibili e sostiene l’ambiente.Rivolgendoci agli operatori presenti nei puntiinformativi, possiamo essere messi in contattocon esperti e associazioni che, a titolo gratuito,sono in grado di rispondere, consigliare, e daresoluzioni concrete sulle tematiche della soste-nibilità.I primi cinque siti pilota che ospiteranno gliEcoPoint si trovano presso la Riserva NaturaleMonte Rufeno, la Riserva Nazzano, Tevere-Farfa, il Parco Naturale dei Monti Simbruini, ilCREIA del Parco Naturale dei CastelliRomani, e, a Roma, presso le strutturedell’Ente Regionale RomaNatura.Gli sportelli EcoPoint si rivolgono ai singoli cit-tadini, alle scuole, agli enti locali e alle impre-se.La Rete degli EcoPoint è un progetto che è statofortemente voluto dall’Assessorato Ambiente eCooperazione tra i Popoli della Regione Lazio,e realizzato grazie alla collaborazione tral’Agenzia Regionale Parchi e il Sistema delleAree Naturali Protette regionali.Si tratta di una scommessa che ha presuppostimolto solidi. Il progetto nasce infatti dalla rile-vazione di un bisogno sempre crescente tra lapopolazione, quello di assumere uno stile divita caratterizzato da un rapporto diverso con

L'interno dell'EcoPoint di RomaNatura, a Monte Mario (foto Archivio RomaNatura)

l’ambiente, improntato ad una maggiore armo-nia e a un minore impatto. Se è vero che lamappa non è il territorio, è però vero che, perimparare a muoverci e orientarci in modo nuovosul territorio, abbiamo bisogno di una nuovamappa. La Rete degli EcoPoint intende aiutarei cittadini a costruirsi questa nuova mappa.Informazioni dettagliate, attività, indirizzi eorari saranno presto consultabili sul sito inter-net www.ecopointlazio.it

Pianificazione territorialee Regione LazioMolti strumenti a disposizione ma poca infor-mazione al riguardo: a che punto siamo con lapianificazione territoriale delle aree protette delLazio?Le aree protette della Regione Lazio formano unsistema integrato, costituito per la conservazio-ne in situ del patrimonio ambientale regionale. La pianificazione territoriale del Sistema e dellesingole aree protette regionali ha quindi il com-pito fondamentale di migliorare l’efficacia e l’ef-ficienza del tutto e delle parti, coordinando gliinterventi necessari per la conservazione dellabiodiversità regionale.Per comprendere meglio quali sono i processi inatto per arrivare a tale fine, abbiamo parlato conla dirigente del settore Pianificazione dell’ARP- Agenzia Regionale per i Parchi, dott.ssa SilviaMonica Montinaro e con un funzionario dellostesso settore arch. Massimo Bruschi.Dott.ssa Montinaro, considerato che l’ARP svol-ge, sin dalla sua istituzione, diverse attività tra lequali il supporto tecnico-scientifico allaDirezione Regionale Ambiente per la redazionedel Piano dei Parchi e l’assistenza alle aree pro-tette, nell’elaborazione degli strumenti di pro-grammazione e pianificazione, a che punto è laprogrammazione delle attività di pianificazioneterritoriale del Sistema delle Aree Protette nelLazio?La pianificazione delle Aree Protette nel Laziosi sta muovendo su due piani di azione comple-mentari: il primo punta a dotare il sistema distrumenti di programmazione e pianificazionedi livello regionale, con il Piano Regionale dellaAree Naturali Protette, ai sensi dell’art. 7 dellaL.R. 6 ottobre 1997, n. 29; il secondo, dedicatoalle singole aree protette, mira ad incrementarela loro dotazione di strumenti di pianificazione edi gestione locale, attraverso la redazione delPiano del Parco, il Regolamento ed ilProgramma Pluriennale di PromozioneEconomica e Sociale, come previsto dalla suc-citata L.R. 29/97.Arch. Bruschi può dirci cos’è il Piano deiParchi? Il Piano Parchi è il documento con cui laRegione individua le aree protette, istituite e daistituire, che formano il Sistema di tutela dellerisorse naturali del territorio regionale.

È un piano territoriale di settore che può porre,per un periodo limitato, un primo vincolo di sal-vaguardia su alcune aree, in attesa che questedivengano aree protette con specifiche leggiistitutive.Già nel 1993 era stato redatto ed adottato unoSchema di Piano regionale delle aree protette,prima dell’entrata in vigore dell’attuale leggequadro regionale n. 29 del 1997. L’ARP, sin dal 2001, ha avuto l’incarico di pre-disporre il documento di sintesi e di program-mazione, per l’aggiornamento e l’adeguamentodello Schema del 1993 del Sistema delle AreeProtette del Lazio. Per questo ha prodotto e coordinato, nel corso diquesti ultimi cinque anni, numerosi studi chehanno riguardato una vasta gamma di temati-che: dalla pianificazione della conservazionedella vegetazione e della fauna, alla definizione,sulla base di parametri complessi, di ambiti ter-ritoriali per la pianificazione; dalla classifica-zione delle aree protette in base alle loro carat-teristiche e obiettivi, alla valutazione delle com-ponenti socio_economiche nei territori protetti;dall’esame delle sinergie tra Piano Parchi, areedella rete Natura2000 (Direttiva CE Habitat) earee protette regionali, ai rischi indotti dallapressione insediativa. (La sintesi di alcuni diquesti lavori è stata pubblicata nel 2007 nelvolume ARP “Biodiversità ed aree protette”).Dott.ssa Montinaro, a che punto è il Piano deiParchi della Regione Lazio?Le attività in corso ruotano intorno alla defini-zione di Rete Ecologica Regionale, elemento disintesi fondamentale per la formulazione degliindirizzi per la gestione e di tutela del territorio.La Rete ecologica è una strategia di tutela delladiversità biologica e del paesaggio, basata sulcollegamento di aree di rilevante interesseambientale-paesistico, in una rete continua.Rappresenta un’integrazione al modello di tute-la, ormai obsoleto, focalizzato esclusivamentesull’individuazione di aree protette. A questo fine l’elaborazione della ReteEcologica Regionale prevede l’individuazionedegli elementi residuali delle reti ecologicheesistenti, di quelli da riqualificare e delle misu-re appropriate per completare il “disegno” dellarete ecologica da realizzare. L’individuazione della Rete Ecologica diventacosì uno degli strumenti operativi più importan-ti per la riduzione della frammentazione territo-riale, riconosciuta come una delle principalicause di degrado ecologico degli habitat natura-li, con la conseguente perdita di biodiversità.La Rete Ecologica, un tema attuale e fortementedibattuto dalle comunità scientifiche. Arch.Bruschi, come si pone il Piano Parchi dellaRegione Lazio su questo argomento?L’aver posto al centro del processo di pianifica-zione del Sistema dei Parchi del Lazio la defini-zione della Rete Ecologica Regionale implicaun importante lavoro di composizione interdi-sciplinare di competenze tecnico-scientifiche;

ciclo vitale. Un’ultima nota interessante: il coin-volgimento di una impiegata dell’ente, DanielaPecchia, centralinista del parco non vedente.Daniela ha collaborato all’operazione, primasperimentando le soluzioni tecniche utilizzatedai progettisti, poi collaborando alle visite guida-te lungo il sentiero. La sua autonomia nellagestione di gruppi di adulti e bambini è la dimo-strazione migliore della riuscita del progetto.Questa esperienza ci mostra come l’accessibilitàsia parte del più ampio concetto di qualità del-l’accoglienza, relativa all’offerta di strutture eall’erogazione di servizi. Già da alcuni anni leAree Protette della Regione Lazio hanno intra-preso diverse iniziative specificatamente rivoltealle persone con disabilità. In questa direzionepunta il progetto “Accessibile?…Naturalmente!” che nasce con l’obiettivo princi-pale di favorire e sostenere azioni di sistema perfare in modo che la questione dell’accessibilitàalle persone con disabilità sia praticata nellagestione ordinaria di un area protetta e non con-siderata come un aspetto di cui occuparsi (even-tualmente) a parte. Il progetto realizzato, oltreche dalle aree protette, dall’Agenzia RegionaleParchi in collaborazione la FAND Lazio(Federazione tra le Associazioni Nazionali deiDisabili) e con la FISH (Federazione per ilSuperamento dell’Handicap) si è svolto secondoalcune fasi distinte. Dopo alcuni seminari intro-duttivi si è avviata l’elaborazione del metodo dimonitoraggio sulla fruibilità ed accessibilità deiservizi e delle strutture delle Aree Protette,metodo condiviso con i referenti locali durantealcuni corsi di formazione propedeutici alla suc-cessiva campagna di monitoraggio. A conclusio-ne del progetto si è realizzato un programma for-mativo su accessibilità ed accoglienza con gior-nate specifiche per le diverse figure professiona-li delle aree protette, dai dirigenti ai guardiapar-co, dai tecnici ai comunicatori.Il “Sentiero Natura per tutti e Giardino delle far-falle” è adiacente ai locali del Vivaio e dellaFalegnameria del Parco Regionale dei MontiAurunci, nei pressi di Itri. Per informazioni ulte-riori sulle modalità e gli orari di visita si può con-sultare il sito del parco (www.parcoaurunci.it) otelefonare al 0771.598114/30.

L'intxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxrio

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da negativamente, sia che vogliamo fare unprelievo sostenibile in una ottica venatoriamoderna. Forse proprio perché questa sem-plice base scientifica manca quasi dapper-tutto, il problema del cinghiale permaneinsoluto in gran parte del territorio italiano,in particolare in quello protetto.Ma c’è di più. Sapere quanti cinghiali abbia-mo in un’area e ridurne il numero sembra siadiventata l’ossessione principale di granparte delle nostre aree protette. Ma, se esa-miniamo il problema con occhio critico emente logica, scopriamo subito che la veraossessione non è il numero di cinghiali ma ilnumero di danni che questi fanno alle colti-vazioni. Tuttavia, in una sorta di corto circuito chenulla ha di scientifico, molti gestori di areeprotette cadono nella trappola del seguenteragionamento: i cinghiali fanno i danni, ridu-co i cinghiali e mi aspetto che i danni dimi-nuiscano. In un approccio scientifico questalogica è tutta da dimostrare perché la relazio-ne tra numero di cinghiali e danni prodotti èlungi dall’essere lineare ed è influenzata damoltissime variabili, come la topografia, lanatura del suolo, la idrografia, i predatori, ecosì via. L’attenzione del responsabile dell’a-rea protetta dovrebbe quindi spostarsi dalnumero di cinghiali al numero, distribuzionee natura dei danni. Questi sono i veri argo-menti di una ricerca scientifica utile allasoluzione del problema. L’analisi scientifica-mente corretta di questi dati è la unica baseper un piano di gestione serio e affidabile. Adesempio, quanta parte del danno può essereevitata attraverso la prevenzione ? Quantaparte non può essere evitata e dovrà esserecompensata? Quali sono le strategie perusare in maniera ottimale le risorse tecniche,economiche e di personale ai fini della miti-gazione del problema? Queste sono domandedi gestione, ma la risposta è nella letturascientifica dei dati.Quanto sopra dovrebbe essere banale e ovvioalla maggior parte delle persone, ma non loè. Purtroppo, la scarsa cultura scientificadella società italiana fa sì che le risorsespese in ricerche e analisi vengano presespesso con sospetto, quasi un lusso che puòessere superfluo. Ed è anche vero che lascarsa preparazione di tanti sedicenti esper-ti produce relazioni del tutto inutili se nonaddirittura dannose. Ma su questo possiamoe dobbiamo lavorare: formulare domandechiare e obiettivi non ambigui, cercare lecompetenze giusto attraverso una analisi cri-tica dei curricula degli esperti e, soprattutto,valutare con estremo rigore se le azionimesse in atto hanno raggiunto l’obiettivo. E’un importante cambio di mentalità, manecessario ad usare sempre meglio le scarserisorse a disposizione.

Luigi Boitani

in Primo PianoNATURA E RICERCAIl cinghiale: quanto ne sappiamo?Spesso sono considerati un problemaanche nelle aree protette, ma la ricercascientifica potrebbe migliorarne la gestio-ne.Sono davvero poche le aree protette italianeche non hanno problemi di coesistenza conle popolazioni di cinghiali. Questa specie,dopo aver attraversato uno stretto collo dibottiglia demografico negli anni intorno allaseconda guerra mondiale, ha avuto un enor-me successo ecologico e si è di nuovo distri-buita su gran parte della penisola italiana. Èstata massicciamente aiutata dalle organiz-zazioni venatorie e da molte province eregioni che per anni hanno continuato adimmettere cinghiali dalle provenienze piùdisparate (Bulgaria, Ungheria, ecc) al fine diaumentare le popolazioni oggetto di caccia.Ma, a fronte di un fenomeno biologico dicosì vaste proporzioni, quali sono le infor-

mazioni scientificamente attendibili a dispo-sizione di chi gestisce le aree protette? Sonopochissime e di scarsa qualità. E non solonella letteratura scientifica italiana, maanche in quella europea. Per qualche stranaragione, il cinghiale non è mai stato oggettodi ricerca scientifica con progetti di vasteproporzioni nel tempo e nello spazio.Eppure, una specie che causa così tanti con-flitti con l’agricoltura dovrebbe essere stu-diata a fondo per capire dove, come e quan-do ci sono margini per un intervento tecni-camente corretto. La maggior parte dellearee protette italiane non possiede nemmenouna stima approssimata del numero di cin-ghiali. Per stima approssimata, in linguaggioscientifico, non si intende un numero basatosulla intuizione di un esperto o sulla tradi-zione di vecchi cacciatori: queste non sonostime ma solo opinioni personali. Per stimasi intende un numero ricavato con una meto-dologia ripetibile e che, in virtù del piano diricerca attuato, viene prodotto insieme aduna valutazione del suo grado di attendibili-

tà. In altre parole, dire che ci sono 500 cin-ghiali non è una stima numerica scientifica-mente utile, ma dire che ce ne sono 500 ±50 oppure ± 100 è fornire una valutazione diquanto ci possiamo fidare di quel numero.Questa piccola differenza può costare moltisoldi: mentre produrre un numero secco avolte non costa nulla, produrre quella valu-tazione richiede la impostazione di unametodologia di rilevamento esplicita e con-grua con il grado di confidenza che si vuoleraggiungere. Questo è mestiere per biologi enaturalisti che abbiano avuto una specificaistruzione sui metodi di stima di popolazio-ni. Purtroppo non conosco molte aree protet-te dove questo si stato messo in atto. Eppurela stima di popolazione è il numero di baseper fare qualunque altro piano per la gestio-ne della popolazione. Se vogliamo prendereun certo numero di cinghiali, dobbiamosapere quanti ce ne sono e come si riprodu-cono, altrimenti non possiamo conoscerel'impatto che avrebbe sulla popolazione, siache vogliamo fare un’asportazione che inci-

Il cinghiale grazie alle sue doti di resistenza edadattabilità è oggi uno dei mammiferi a più ampiadiffusione e risulta arduo tracciarne un profilo tassonomico preciso.Sulla doppia pagina in senso orario:foto archivio PN Marturanum; foto di Vito Consoli;19xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx; foto di VitoConsoli; foto archivio RN Montagne dellaDuchessa.

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fase di allestimento un Museo del grano, visi-tabile su prenotazione. Anche la foresteria è stata completamenteristrutturata ed è stata restituita alla suadestinazione originaria.Nel 2006, nel corso dei lavori, sono venutialla luce l’abside e parte del transetto dellachiesa medievale e con essi uno straordinariociclo di affreschi sulla vita di San Benedetto,collocabili entro il secolo XI. Gli studiosiritengono sia un ciclo abbreviato ma comple-to. Riviviamo così, attraverso queste pregevo-li pitture parietali gli episodi salienti dellavita del santo; la vocazione, gli anni della vitaeremitica, fino alla morte. Di notevole sugge-stione l’episodio conviviale in cui è raffigura-to l’incontro tra San Benedetto e sua sorellaSanta Scolastica; quest’ultima rappresentatacurva sul tavolo nell’atto di implorare il fra-tello di trascorrere la notte nel suo monaste-ro. Lo studio diagnostico storico e artisticodegli affreschi è tutt’oggi condotto da unaequipe di studiosi dell’Università dellaTuscia e dell’Università Pontificia.Impegnativo e centrale è stato l’interventosulla chiesa rinascimentale. In una primafase si è provveduto al consolidamento dellestrutture murarie, fortemente compromesse,alla ricostruzione del tetto e al rafforzamentodel grande arco trionfale. Fino ad arrivare alcompletamento del restauro. Nel luglio 2007la chiesa, intitolata a San Benedetto, è statariaperta al culto e ai cittadini di Fondi. Un rudere adibito a ricovero per capre, dice-vamo. Senza più nulla da raccontare. Nel girodi pochi anni le cose sono totalmente cam-biate. Interi capitoli dimenticati, di storia edi arte, sono tornati alla luce e sono andati adarricchire le conoscenze della collettività; leopere d’arte riportate in vita possono essere,oggi, ammirate da tutti coloro che siano inte-ressati a farlo; la chiesa è tornata a vivere edè a disposizione dei fedeli.Un’operazione culturale ottimamente riusci-ta, quindi, in cui si integrano conoscenza,valorizzazione e fruizione del territorio, in uncontesto geografico dalle radicate tradizionispirituali.L’opera di recupero del complesso di SanMagno non può dirsi tuttavia conclusa.L’impegno delle istituzioni continua, testimo-nianza ne sia la costruzione del Criptoporticoinaugurato lo scorso febbraio: un’imponentestruttura progettata per valorizzare e renderefruibile ai visitatori l’area medievale dovesono conservati gli affreschi del ciclo di SanBenedetto.Per informazioni sugli orari di aperturadell’Abbazia di San Magno e le modalità divisita:Parco Regionale dei Monti Aurunci www.par-coaurunci.it tel. 0771598114 - 0771598130

Paola Della Rosa

in Primo PianoI PARCHI ALL’OPERAIl restauro dell’Abbaziadi San Magno a FondiLa tradizione vuole che nel punto in cui lependici del Monte Arcano incontrano ilCampo Demetriano, S. Onorato scelse di fon-dare nel 522 d.C. un complesso monasticoper commemorare la figura di San Magno daFondi e ricordarne il martirio avvenuto, sem-bra, proprio in quest’area tre secoli prima. Lastruttura comprendeva la chiesa, una curtis,il chiostro, il dormitorio e il refettorio per imonaci. Fino al 1072 il monastero fu gover-nato autonomamente dagli abati ordinari,finché il console di Fondi non lo donòall’Abbazia di Montecassino. Nel 1492 ilmonastero fu ceduto all’Ordine Olivetano eintorno al 1500 furono avviati ingenti lavoridi ampliamento e la completa riedificazionedella chiesa su iniziativa di ProsperoColonna.La lunga e affascinante storia del monasterodi San Magno continua, dunque, con alternevicende, attraverso i secoli. Una storia, spes-

so, difficile e dolorosa. I saccheggi e le deva-stazioni di cui nel tempo è stato vittima nonne hanno tuttavia impedito il cammino, né lohanno del tutto privato del suo ruolo econo-mico e sociale. Al 1798 risale l’ultima, deci-siva, devastazione del complesso ad operadei francesi. Nel corso degli ultimi due seco-li le tracce dell’antico splendore dell’abbaziasono state via via cancellate, per essere sosti-tuite da un’immagine diversa, che parlava didegrado più che di un glorioso passato: unachiesa diroccata, senza tetto, adibita a rico-vero per le capre.E’, quindi, in tali condizioni di estremoabbandono che l’abbazia di San Magno siaffaccia alle soglie del terzo millennio. L’opera di recupero inizia nel 2000, su solle-citazione della parrocchia di San Pietro aFondi. La Regione Lazio e il Parco Regionaledei Monti Aurunci acquisiscono l’Abbazia.La rinascita di San Magno ha inizio. Il pro-getto, estremamente impegnativo e ambizio-so, ha permesso di portare alla luce opereche nel corso dei secoli si sono sedimentatee che fanno di San Magno, come ha osserva-

to Raniero De Filippis, un “vero e propriomuseo del tempo”. E l’indagine archeologica che, parallelamen-te al progetto di recupero, ha preso avvio(grazie a una convenzione stipulata tra ilDipartimento Ambiente e Cooperazione tra iPopoli della Regione Lazio, laSovrintendenza per i Beni Archeologici delLazio e il Pontificio Istituto di ArcheologiaCristiana) lo ha confermato. Gli scavi, infat-ti, hanno permesso di portare alla luce ungran numero di reperti che testimonianocome l’area in esame sia stata interessata dadiversi insediamenti umani, dall’età romanafino all’inizio del XIX secolo. Il primo inter-vento, in ordine cronologico, ha riguardato ilmulino medioevale, alimentato dalla sorgen-te del fiume Licola, situata proprio sottol'Abbazia. Consolidate le mura, ricostruiti iltetto e la pavimentazione, ne è stata, infine,ripristinata l’attività grazie al recupero delsistema idrodinamico e al ripristino dellepale che azionano il movimento delle maci-ne. Il mulino, dunque, è oggi perfettamentefunzionante. Nei locali attigui, inoltre, è in

Pagina a lato: l’abbazia di San Magno dopo il recupero (foto di Giulio Ielardi)

Dall’alto: il complesso di San magno prima dell’intervento di recupero (foto di Claudio Spagnardi;particolare degli affreschi dell’XI secolo (foto di Vittorio Brusca);Criptoportico (foto di Claudio Spagnardi).

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1978 – 2009: un resoconto di cosa abbiamo fatto e di quello che faremoTrent’anni di storia con tanti protagonisti, problemi e anche successi

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ParchiTrent’anni di

del Lazio

testo di Giulio Ielardifoto di Giulio Ielardi e archivio ARP

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Escursioni e splendide passeggiate istruttive aiutano i trekker a capirequanto sia importante il territorio naturale di questaimmensa regione.

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NELL’APRILE DEL 1979 VENIVA ISTITUITA DALLA

REGIONE LA PRIMA AREA PROTETTA: LA RISER-VA NATURALE TEVERE-FARFA. DA ALLORA NE

È PASSATA DI ACQUA SOTTO AI PONTI E NON SOLO DEL-L’EX-BIONDO FIUME. IL RACCONTO DI UNA STORIA CON

TANTI PROTAGONISTI, PROBLEMI E ANCHE SUCCESSI.

È un giorno di primavera di trent’anni fa, una Fiat850 guadagna le sponde del fiume avanzando tra isobbalzi lungo una stradina polverosa. A guidarla èGiuseppino, professione “guardiano campestre”.L’auto sale sul traghetto a fune e sull’acqua corre labrezza che porta le strilla degli uomini scesi coi mulida sopra, da Nazzano e Torrita. Sul sedile del passeg-gero c’è Maurizio, giovane e appassionato biologoancora fresco d’università, e messe le ruote sull’altrasponda la vettura s’avvia caracollando tra i campiabbracciati dal meandro del Tevere. “Con la guardia dell’Università Agraria diventammopresto amici”, dice Maurizio Gallo, primo direttoredella prima area protetta istituita dalla Regione Lazio,la riserva del Tevere-Farfa, “e assieme a lui per quel-la campagna tiberina facevamo mille scoperte”.Datata 4 aprile 1979, quella legge istitutiva arrivavadue anni dopo la prima legge sui parchi, la n. 46 del1977. Ed è all’oasi del lago di Nazzano – come veni-va anche chiamata la riserva – che davanti alla digadell’Enel in quegli anni si compie un doppio miraco-lo laico: il ritorno della natura, dopo il brusco cam-biamento del paesaggio seguito allo sbarramentoidroelettrico sorto negli anni Cinquanta, e la nascitadal nulla di un luogo nuovo della identità geografica eculturale di una comunità. Un luogo di lotta e digoverno. Il Lazio dei parchi.

I primi anni OttantaI primi tempi sono febbrili e con l’entusiasmodegli inizi a Nazzano s’avviano le attività. Tra lealtre, una serie di campi di servizio civile interna-zionale: giovani di tutto il mondo a sistemare iprimi sentieri, che a sera si ritrovano con i ragaz-zi del paese al bar sotto il castello Savelli. Il per-corso del bosco allagato, tuttora uno dei più bellidel Lazio, viene allestito per la prima volta con letraversine ferroviarie comprate all’asta dalle FS.Sono i primi anni Ottanta. L’Italia protetta sta tuttain una piccola mappa dove quasi si perdono i rife-rimenti dei parchi nazionali storici, cinque tra cuiil Circeo, con la recente e bella novità dei primiparchi regionali: Ticino lombardo e Maremma intesta. Il piccone dei vandali in casa, come li chia-ma un giornalista cocciuto e documentato di nomeAntonio Cederna, non mena più i fendenti deidecenni passati, ma il Bel Paese soffre ancora.Ancor prima del condono edilizio varato dalgoverno Craxi-Nicolazzi (1985) anche nel Lazio simoltiplicano abusi e attentati al paesaggio, persi-no nei luoghi più belli. Come una miniera di cao-linite, a cielo aperto, che minaccia di deturpare laconca del lago di Vico. Davanti all’eterno ricattodei posti di lavoro perché un sindaco dice no?“Perché avrebbe sfregiato il nostro territorio e aquel solo pensiero ci rivoltammo tutti”, raccontaoggi Alessandro Bruziches che all’epoca ammini-strava Caprarola e che attualmente gestisce unodegli agriturismi del posto. “Andammo a Roma aprotestare e poi all’idea della riserva ci portò unfunzionario della Regione che si chiamava

In apertura: tra i programmipiù importanti messi in attodai Parchi del Lazio ci sonoquelli di educazione ambientale, particolarmenterivolti ai bambini.

Le ho contate, per curiosità celebrativa, le ana-

tre catturate dalla foto di copertina dei due volu-

mi che segnano la storia dei parchi del Lazio.

Sono una cinquantina, Moriglioni per lo più, sul-

l’azzurro liquido incorniciato dall’oro dei canneti

autunnali.

“Regione Lazio, Cartografia delle Aree di partico-

lare valore naturalistico-Volume 1 e 2; Cartografia

e relazione”, si legge sulle copertine, ma la foto-

grafia è una specie di “falso”.

Fu scattata non nel Lazio, ma nell’Oasi WWF del

Lago di Burano, in Toscana, perché prima della

Legge 46 del 1977, da noi esisteva un solo posto,

l’Oasi WWF di Nazzano, dove poter andare a

fotografare uccelli liberi, al tempo più oggetto

delle attenzioni delle doppiette che dei bird-wat-

chers. Le aree dove gli uccelli possono starsene

in pace oggi sono molte, ma il documento rimane

unico e, credo, anche una specie di “reliquia”.

A leggerli ora, i due volumi sembrano quasi pate-

tici nella loro semplicità: in uno le riproduzioni di

carte IGM con aree perimetrate e colorate di

verde; nell’altro, una breve descrizione dell’inte-

resse scientifico di ogni area segnalata, con rela-

tivi ettari e citazioni bibliografiche. A redigerli, la

“Commissione straordinaria per l’individuazione

delle aree di particolare valore naturalistico del

Lazio”, voluta nel 1973 dall’allora Assessore

all’Agricoltura, Foreste, Caccia, Pesca, Difesa

della Natura (!) Mario di Bartolomei, coordinata

da Longino Contoli, della Commissione

Conservazione della Natura del CNR, e compo-

sta da noti esperti universitari e dal sottoscritto,

meno noto di tutti ma pomposamente “responsa-

bile del Centro Studi del WWF Italia”.

Tutti a titolo volontario. La storia dei parchi del

Lazio comincia anche da qui, da una sensibilità

politica ecologista non comune per l’epoca, dalla

motivazione di illustri accademici fatta concretez-

za, dalla visione e dalla perseveranza di chi, nel-

Parchi del Lazio: la nostra riserva di futuro

Maurilio Cipparone, conosce?”. A Vico fino aglianni Sessanta c’era la lontra, un sogno per i natu-ralisti laziali di oggi. “Il Wwf aveva avanzato unaproposta di parco dei monti Cimini”, ricorda ildirettore dell’area protetta Felice Simmi. La riser-va che arriva nel 1982 comprende solo metà lago,quella a nord. “Però la posizione di quel sindacolungimirante ha fatto breccia, se oggi dopo larichiesta del Comune di Ronciglione la riserva hapiù che raddoppiato la sua estensione includendola sponda sud”. Con Vico in quegli anni arrivano altre aree pro-tette: il parco urbano di Castelfusano nel 1980(poi entrato a far parte della riserva statale delLitorale romano), quello della Valle del Treja nel1982 e l’anno seguente Macchiatonda, PostaFibreno, Monte Rufeno. E naturalmente arrivanopure i guardiaparco, senza i quali qualunque areaprotetta lo è solo sulla carta. “All’inizio in paeseci chiamavano guardiette per distinguerci dalleguardie vere, quelle comunali”, ricorda con unsorriso uno della prima ora come GianfrancoGelsomini, guardiaparco a Monte Rufeno dal1986: “perciò io sul mio biglietto da visita ho fattoscrivere guardietta e anche adesso, che siamoconosciuti e rispettati, è ancora così”. In quegli anni viene istituito pure il primo grandeparco del Lazio, quello dei monti Simbruini, nonsenza problemi a cominciare dagli accesi contra-sti con una parte della popolazione di uno deiComuni coinvolti, Camerata Nuova, contrariaall’area protetta. Il suo decollo verrà costante-mente rimandato: l’istituzione è del 1983, l’inse-diamento dell’organo di gestione del 1987, l’ado-

l’amministrazione regionale, ha tradotto in deli-

bere e leggi le istanze di conservazione che

venivano dalla neonata coscienza ambientalista

del nostro Paese.

La Cartografia, pubblicata nel 1975 (dopo le ele-

zioni regionali, se no i cittadini potevano preoc-

cuparsi per i possibili vincoli…ma in questo la

storia in trent’anni non è molto cambiata), è stata

lo strumento principale per contrastare gli assal-

ti alla Natura del Lazio, per negoziare nuovi sce-

nari, per proporre la tutela di specie animali e

vegetali e, infine, per redigere e approvare, in

due anni di lavoro, la nostra prima Legge sulle

Aree Protette, la 46/77. Una legge straordinaria

e moderna, ancora oggi, per la sua visione di

“sistema”, per la creazione di uno speciale

Ufficio per i Parchi, per l’operatività attribuitagli,

per le tipologie articolate di aree protette. Il suo

percorso è stato difficile: in assenza del concet-

to di sostenibilità, le spinte per lo sviluppo a tutti

i costi erano forti. Per arrivare ad una legge di

principi altrettanto forte, si sono fatti le ossa nelle

capacità di negoziazione, in innumerevoli con-

fronti tra le varie anime della politica del tempo,

personaggi che ancora oggi sono sulla scena

regionale, in ruoli importanti.

Uno addirittura come Vice Presidente. A loro

dobbiamo dire grazie, ma chiedere anche se si

ricordano, se fa loro piacere pensare “io c’ero”.

Se è così e se ci siete, battete un colpo. Non per

autocelebrazione, ma per riflettere, valutare ed

incidere ancora, positivamente, sui Parchi del

Lazio: la nostra riserva di futuro.

Maurilio CipparoneComitato Esecutivo per l’Europa,Commissione Mondiale per i Parchi-WCPA.Unione Mondiale per la Conservazione della Natura-IUCN.

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zione del piano del ’91 e l’approvazione definitivasolo del 1999. Nei giovani parchi lo scontro sociale prende leforme talvolta degli atti violenti, come le gommetagliate alle auto degli ambientalisti o i danni alleproprietà private; talatra, dei pregiudizi diffusi adarte sui parchi che vieterebbero ora la raccoltadelle nocciole ora della legna, seminando in cam-bio … vipere! A contrastare gli uni e gli altri siaffanna l’Ufficio Parchi nato in Regione primapresso l’assessorato all’Agricoltura di Mario DiBartolomei, poi a quello della Programmazionecon Enzo Bernardi e Anna Maria Fontana, doveMaurilio Cipparone con Maurizio Aiello e nonmolti altri getta le basi di un progetto di lungorespiro che troverà sbocco nella nascita dell’Arp,l’Agenzia Regionale per i Parchi. Mentre sul ter-ritorio a fargli da sponda c’è talvolta un attorenuovo, spesso frutto dell’incontro tra giovani delposto e associazioni come il Wwf, e cioè le coope-rative. Accade per esempio a Monterano con lacooperativa Agrifoglio, a Monte Rufeno con lacooperativa Elce, alla Duchessa con i ragazzi e gliagricoltori della cooperativa Prime Prata. Quelleesperienze sono state anche un’importante pale-stra per futuri dipendenti delle aree protette, com-presi alcuni direttori. “Qui le aree protette sonostate davvero un pezzo della storia sociale, cultu-rale e democratica del Lazio”, dice Mino Calò, exdirettore alla Duchessa e oggi a Bracciano-Martignano, “perché è stato con loro che i temiambientalisti hanno cessato di essere esclusivoappannaggio di Roma, riuscendo a contaminare ecoinvolgere tante persone del posto, giovani dis-occupati e pastori, allevatori e anche cacciatori”.

Arrivano gli anniNovantaI parchi aumentano quasi anno per anno. Nel1985 sono già 11 per 52.000 ettari, nel 1990 pra-ticamente il doppio. Sono aree protette di mediaestensione come i Lucretili, dove persone comeGilberto De Angelis si battevano per il parco daanni, e piccoli gioielli come Campo Soriano, ilprimo monumento naturale istituito nel Lazio edin Italia. “Eravamo all’avanguardia, in sana com-petizione col Piemonte e il suo consolidato siste-ma di aree protette”, rivendica MaurilioCipparone; “primi coi monumenti naturali, primicoi parchi urbani, primi e unici con l’Agenzia,primi per il forte investimento nelle risorse umanecol progetto Foresta (rivolto alla formazione per-manente del personale e dei tanti collaboratoriesterni delle aree protette del Lazio, ndr)”. Nuova infornata di aree protette e diverse novità –tra cui l’affidamento della gestione agli enti e nonpiù ai consorzi - le porta la legge sui parchi fir-mata dall’assessore Giovanni Hermanin, la n.29del 1997. Norma importante e tuttora alla base del

sistema, al suo varo applaudita e insieme critica-ta, istituisce i parchi di Veio e dei monti Aurunci,nonché numerose riserve, molte delle quali nelterritorio del Comune di Roma e per la cui gestio-ne nasce un ente apposito, cioè RomaNatura. Ches’impegna nel compito originale e strategico diavvicinare alla sorprendente natura dietro casa icittadini della Capitale, più o meno la metà diquelli del Lazio. Nella legge non ci sono però altriparchi, quelli più importanti dal punto di vistanaturalistico. A cominciare dai monti della Tolfa,da sempre nel cuore dei naturalisti romani, para-diso di pascoli e colline appartate e rapaci. Pochianni prima a far nascere il parco ci aveva provatoArturo Osio, l’unico ambientalista doc (ex segreta-rio nazionale Wwf) giunto alla presidenza di unaRegione italiana. E in una prima versione la suariforma dei parchi prevedeva pure l’istituzione didue altri gioielli, vale a dire i parchi degli Ernicie dei Lepini. Ma a maggio ’95 il governo Dini boc-cia la nuova legge del Lazio e il parco della Tolfa,oggetto di studi e proposte fin dagli anni Settantaavanzate in particolare dalla CommissioneConservazione Natura del Cnr di Longino Contolied altri, riprende il largo. Nel ’99 arriva invece ilparco di Bracciano-Martignano.

Germani reali nuotano inuno dei tanti specchi d’acqua che segnano il territorio laziale

Ogni giorno guardiaparco,guardie forestali e volontarisi impegnano affinché siapreservato il territorio intutta la sue bellezza.Un lavoro quotidiano, svoltocon passione e dedizioneda pochi, ma validi elementi.

In basso:i due loghi dell’AgenziaRegionale per i Parchi eRiserve Naturali Regionali, in fondo il logo elaborato inoccasione del trentennaledelle Aree ProtetteRegionali

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Intervista aFiliberto ZarattiAssessoratoall’Ambiente eCooperazione tra i Popoli della Regione Lazioa cura di Italo Clementi,editore della rivista TREKKING

Italo Clementi Le aree protette dei parchidel Lazio custodiscono notevolissimeemergenze sia sotto l’aspetto ambientaleche sotto quello storico e archeologico.Come si possono conciliare la valorizza-zione turistica e la tutela di questi patri-moni?Filiberto Zaratti Il modo più semplice diproteggere un patrimonio è quello di valo-rizzarlo, renderlo vivo, fruibile da tutti inqualsiasi momento. Abbandonarlo o sem-plicemente dimenticarlo lo fa morire.Quindi tutto il patrimonio storico-archeo-logico presente nei territori delle areenaturali protette deve essere restaurato,

valorizzato e reso fruibile. Per renderlofruibile è necessario, fra le altre iniziative,creare un’offerta di accoglienza sul terri-torio e questo può essere fatto perché sulterritorio sono presenti molte strutture, frale quali numerosi antichi casali in stato diabbandono, numerosi fabbricati facentiparte di aziende agricole e solo parzial-mente utilizzati. Ora se tutto questo impor-tante patrimonio edilizio esistente vienerecuperato con attenti progetti di restauroe destinato all’accoglienza e ai serviziconnessi si viene a creare un’offerta turi-stico-ricettiva molto interessante e chepuò intercettare parte del flusso turistico

che ogni anno si riversa sulla capitale.In parte questo processo si è già avviatocon la nascita di numerosi agriturismo efattorie didattiche.

I. C. I parchi possono diventare un fonda-mentale volano di sviluppo economicoanche per il territorio circostante? Conquali strategie e prospettive?F. Z. Perché un parco si possa dire “rea-lizzato” oltre ad assolvere la funzione diproteggere, incrementare e valorizzare ilpatrimonio naturalistico deve promuoverelo sviluppo economico delle popolazionipresenti sul suo territorio. Questo lo siottiene con lo sviluppo di un turismo eco-sostenibile (agriturismo, fattorie didatti-che ecc.) e con la valorizzazione delleproduzioni agricole tipiche locali, le pro-duzioni biologiche, la tracciabilità dellestesse, la denominazione di origine pro-tetta o tipica dei prodotti del territorio.

I. C. Oltre che dalla bellezza dell’ambien-te naturale e dagli importanti siti d’inte-resse storico, i territori dei parchi lazialisono caratterizzati anche dal forte radica-mento della cultura, del folclore, delle tra-

dizioni e delle produzioni tipiche locali.Elementi che possono rappresentare unagrande risorsa per il territorio. La presen-za e l’attività dei parchi come possonocontribuire alla loro conservazione e valo-rizzazione?F. Z. Uno degli impegni dell’Ente gestoredei parchi è l’analisi puntuale del territo-rio, del suo patrimonio naturalistico, stori-co e culturale, lavoro necessario per defi-nire sia i criteri di tutela che individuare lepossibilità di intervento che rendano faci-le ai cittadini la conoscenza, l’accesso ela fruizione del parco. Questo attraversoanche la creazione di servizi, centri visitee “Case del Parco” che diventano il puntodi riferimento e scambio di tutti i “saperi”del territorio.

I. C. In Italia l’outdoor e il turismo lento(escursionismo, cicloescursionismo, ecc.)stanno conoscendo una straordinaria cre-scita, quali strategie sta mettendo in atto,o quali ha in fase di studio, per lo svilup-po del settore?F. Z. Ci stiamo impegnando molto per fardecollare un programma e anche un mar-chio legato al turismo sostenibile nellanostra regione, con la finalità di arrivare acertificare la qualità delle strutture ricetti-ve e dei servizi che permettono questotipo di turismo… Già da alcuni anni però,nell’ambito delle aree naturali protetteregionali, è attivo il progetto “Strade deiParchi”, che intende incentivare proprio ilturismo “lento”, suggerendo itinerarilungo strade di viabilità secondaria, dapercorrere in auto o in bicicletta. In questomodo proponiamo ai turisti di non utiliz-zare la strada più veloce, o quella piùbreve, per raggiungere una destinazioneprefissata; al contrario, proponiamo lastrada meno conosciuta, forse più lungama certamente di maggiore valore pae-saggistico, suggeriamo cioè di fare delpercorso la propria destinazione, e deltempo dedicato allo spostamento un’oc-casione di svago e di ricreazione.

I. C. Lei pensa che il sistema parchi possaessere risorsa e importante integrazioneper quei flussi turistici focalizzati sulladestinazione Roma, dando modo di arric-chire con una offerta natura i pacchettituristici?F. Z. Roma è una città che offre al turista

infinite opportunità di ammirare un patri-monio artistico immenso, ma esiste unaseconda possibilità, diversa ma non perquesto meno affascinante che è il pae-saggio inconfondibile della CampagnaRomana, fatto da scenari sorprendenti epieno di insospettabile ricchezza. Questoè possibile senza varcare i confini dellacittà e grazie ai parchi naturali di Roma.

I. C. Perchè avete deciso di realizzare unarivista dei parchi laziali, rivolta a un vastopubblico e con una grande attenzione allaqualità dei contenuti e della grafica?Quanto è diventata importante la comuni-cazione per il ruolo svolto dai parchi?F. Z. Comunicare ad un pubblico il piùvasto possibile l’esistenza di una realtàcosi importante come quella dei parchi èdeterminante per l’esistenza stessa dei

parchi. Una parte importante della popo-lazione del Lazio ancora non conosce oconosce poco la realtà dei parchi, perden-do così una occasione importante di arric-chimento e conoscenza.

I. C. Quest’anno cade il trentennale dell’i-stituzione dei parchi del Lazio, come ècambiato il ruolo dei parchi in questi 30anni? La funzione preminente è rimastaquella della tutela del territorio o a questosi sono affiancati altri obiettivi.F. Z. La tutela era l’obiettivo iniziale, sot-trarre parti del territorio molto importantidal punto di vista naturalistico ad uno svi-luppo sconsiderato. Ora l’obiettivo è quel-lo della valorizzazione, della conoscenza,della promozione del territorio sia per gliaspetti culturali che economici e per unafruizione vera da parte dei cittadini.

L’INTERVISTA

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In tutti i Parchi sono presentiPunti d’Informazione cheillustrano al visitatore le infinite possibilità di divertimento offerte dallearee protette.

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I Duemila si aprono conuna nuova accelerazioneNel primo mese del millennio la “gente dei par-chi” del Lazio si conta e si confronta nella primaConferenza Regionale delle aree naturali protette.Mezzo migliaio di persone discute strategie e condi-vide esperienze nei magnifici ambienti dell’IstitutoSan Michele a Roma, chiamato a raccolta dall’asses-sorato Risorse ambientali e dall’Arp che presenta ilsuo corposo biglietto da visita: quindici progetti stra-tegici – da Gens a Giorni Verdi, a Natura in Campo,per citarne solo alcuni – sui quali i parchi del Laziosaranno invitati a fare sistema negli anni a venire. Ditutto rilievo, per restare agli eventi, anche la confe-renza internazionale su Biodiversità e paesaggio orga-nizzata dall’Arp in collaborazione con l’Iucn-Unionemondiale per la conservazione della natura nel 2001.Istituita nel 1993, unica nel panorama nazionale, l’a-genzia regionale avvia in concreto la sua attività dal1999 con la nomina del consiglio d’amministrazionepresieduto da Cipparone e, soprattutto, dal 2001 conl’apertura di una sede e l’arrivo dei primi dipendenticompreso il direttore Giuliano Tallone. “È stata un’e-sperienza che ha dimostrato in concreto l’enormepotenzialità dei sistemi di parchi”, dice oggi Talloneche prima di andare a dirigere il parco del Circeo èrimasto all’Arp per sei anni; “non dei singoli parchi”,precisa, “ma dei parchi che funzionano insieme. Leha fatte balenare e le ha anche realizzate in qualchecaso”.

Le aree protette continuano a costruire, un mattonedopo l’altro, nonostante le difficoltà che in questi anniassumono anche la veste politica e istituzionale deicommissariamenti. Tanti e protratti nel tempo,seguendo un vento che soffia pure a livello nazionalee che deprime non poco il personale delle aree pro-tette, prima ancora che gli interlocutori sul territorio.Paventati tagli alle estensioni dei parchi si ridimen-sionano assai, mentre resta il sostanziale e robustorafforzamento delle risorse: in particolare, a seguito diuna serie di concorsi il personale complessivo dellearee protette del Lazio – compresi gli uffici regionali,dunque – assomma all’assoluto record di oltre 800persone e cioè il doppio del Piemonte, il triplo dellaLombardia, il sestuplo della Toscana per stare aglialtri sistemi regionali più consolidati. Quasi la metàdi quegli 800 sono guardiaparco, e tra i giovani indivisa verde vi sono anche alcuni figli di quei cac-ciatori che anni addietro contestavano le neonatearee protette. Proprio ai contesti socio-economici deiterritori coinvolti dai parchi sono dedicati azioni estudi originali, come quello affidato dall’Arp all’eco-nomista Paolo Belloc e presentato nel 2004.Nel 2006 la Regione vara le regole che danno sostan-za anche nel Lazio alla rete Natura 2000, vale a direl’insieme di Sic (Siti d’Importanza Comunitaria) e Zps(Zone di Protezione Speciale) che, applicando ledirettive comunitarie, negli anni s’è andato affiancan-do alle aree protette per la tutela di ambienti e biodi-versità. Nel Lazio Natura 2000 è costituita da 44 Zpse 183 Sic che interessano complessivamente quasi il15% del territorio regionale (più di 156.000 ettari), e

le misure di conservazione ivi previste – tra cui ildivieto di nuovi grandi impianti eolici, cave e disca-riche – anticipano quelle poi decretate dal Ministerodell’Ambiente che necessiteranno per gli aggiusta-menti del caso di una nuova deliberazione di giuntanel 2008.Ma nel 2007 è ancora la politica sulla ribalta, conl’opportuno e sospirato rinnovo di undici consiglidirettivi di parchi e riserve: al bando pubblicorispondono in più di mille, e a fronte della nomina didiversi validi amministratori alcune esclusioni tracui in particolare quella di Cipparone accendono lapolemica. A fine 2008 nasce il Coordinamento regio-nale del Lazio della Federparchi, l’associazione cheunisce e rappresenta le aree protette italiane, con ilcompito di rilanciare “una politica di alleanze con ilmondo economico, il mondo sociale e quello istitu-zionale” che gravita attorno ad un patrimonio checonta ormai circa 80 siti protetti e una superficie dioltre 278 mila ettari, pari a circa il 17% del territorioregionale. Tra questi, ultima novità, il parco deimonti Ausoni istituito a novembre 2008: 13.000 etta-ri di territorio a cavallo delle province di Frosinone eLatina. “Risalgono agli anni Settanta i primi studipromossi dalla Regione sull’importanza di quest’areavoluti da quell’antesignano dei parchi del Lazio cheè stato Maurilio Cipparone”, dice Raniero DeFilippis, per anni alla guida della Direzione regiona-le Ambiente e nominato dall’attuale assessoreFiliberto Zaratti a capo del Dipartimento Territorio.“Auguriamoci che il nuovo parco”, aggiunge DeFilippis, che nell’’82 si era laureato in Scienze fore-stali proprio sui pagliari (caratteristiche costruzionirurali) di uno dei paesi degli Ausoni e cioè MonteSan Biagio, “serva a conservare gli habitat e anchecome corretto elemento di sviluppo del Sud pontino”.Dopo le disposizioni della finanziaria regionale del2007 l’Arp non ha più un consiglio di amministra-zione ed è una struttura regionale a tutti gli effetti.Alla guida tanto dell’Agenzia che della Direzioneregionale Ambiente siedono oggi due persone conuna lunga esperienza nel mondo dei parchi del Lazio,rispettivamente Vito Consoli e Giovanna Bargagna.“Lavoriamo in perfetta sintonia e collaborazione”,dice quest’ultima. “Sotto l’impulso e l’incoraggia-mento del presidente Marrazzo e dell’assessoreZaratti”, aggiunge Consoli, “è pure ripresa l’appro-vazione dei piani di assetto, ora in vigore in una deci-na di aree protette. Quanto all’Arp, continuiamo afare ogni sforzo per costruire governance e dare aiparchi opportunità che possano essere spese a livel-lo locale. Quello che in ciascuna area protetta si devefare, cioè mettere insieme le risorse di un territorio,delineare e condividere le strategie”, continuaConsoli, “noi lo facciamo con la gente dei parchi: ditutte le aree protette del Lazio. Che, nonostante letante difficoltà, vanno avanti e crescono grazie all’im-pegno ma anche alla passione di tanti guardiaparco,tecnici, funzionari, collaboratori, dirigenti e ammi-nistratori”. Come quel giorno di primavera sulfiume, trent’anni fa, bisogna crederci.

Musei naturalistici, tavolerotonde, pannelli informativie programmi educativi esplicano e divulganole attività dei parchi.

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L’Italia è un paese meraviglioso per le farfalle, e il Lazio forse ne rappresenta la migliore sintesi

FAndar per

nel verde dei parchi

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testo di Alberto Zilli (Museo Civico di Zoologia di Roma)foto di Paolo Mazzei

CARDUCCI STIGMATIZZAVA CHI SI PERDE IN PICCO-LE COSE DINANZI ALLA MAESTÀ DELLE GRANDI,MA CHE ESEMPIO SBAGLIATO! ANDARE ALLA

SCOPERTA DELLE FARFALLE NELLA NOSTRA REGIONE

PUÒ INFATTI RIVELARSI MOLTO INTERESSANTE.

Quando pensiamo alle farfalle di solito affioranoalla nostra mente due immagini: quella di svolaz-zanti creature che da ragazzi vedevamo durante legite di famiglia in campagna oppure quella dipaesi esotici nel cui cielo planano insetti maesto-si dalle ali ampie e colorate come drappi di pre-ziosi tessuti. La prima immagine, romantica, è lar-gamente influenzata dal fatto che la vita modernaci porta sempre meno a contatto del mondo natu-rale, nel quale, anche se con diversi problemidovuti al degrado ambientale, le farfalle ancora sitrovano. La seconda è più che altro evocata daglistupendi documentari cui assistiamo stando inpoltrona davanti alla televisione, situazione cheperò dimostra ulteriormente il nostro allontana-mento dalla natura. In entrambi i casi ci sembrache la migliore soluzione sia quella di uscire perandare a fare del buon butterfly-watching nellanostra regione. L’Italia, infatti, è un paese meravi-glioso per le farfalle, ed il Lazio forse ne rappre-senta la migliore sintesi.

arfalle

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L’effetto ponteNonostante l’Italia sia un paese relativamente pic-colo, una circostanza che forse non viene mai ade-guatamente sottolineata è che lungo di essa si svi-luppa l’incontro di due biomi. I biomi sono le mas-sime unità ecologiche che riuniscono ambienticon condizioni simili; sono cioè le grandi “fami-glie” di ecosistemi che caratterizzano il nostropianeta e, come tali, si contano sulla punta delledita: la foresta pluviale tropicale, i deserti, la step-pa, la tundra... e pochi altri. Tra questi, quelli chein Italia si affiancano, il bioma mediterraneo e laforesta temperata di latifoglie decidue. Non sonomolti i paesi europei e mediterranei in cui si assi-ste all’unione di due biomi e, tra questi, l’Italia èquello in cui l’abbraccio è più prolungato, graziealla catena degli Appennini che come un pontedella biodiversità porta al sud specie settentriona-li, mentre lungo le coste ai suoi lati quelle meri-dionali risalgono a nord. È per questo motivo chesulle montagne del Mezzogiorno osserviamo anco-ra specie e comunità biologiche nordiche, amantidel fresco, mentre in alcune zone del Settentrionesopravvivono elementi meridionali che prediligo-no condizioni calde. Ed il miglior mélange tra ledue componenti si può osservare al centro, giac-ché al sud per trovare le faune settentrionali biso-gna salire molto di quota, mentre al nord le speciemeridionali persistono lungo i litorali ed in pochezone interne, come le valli alpine continentali eattorno ai grandi laghi. Poiché per motivi biocli-matici la fascia mediterranea è meglio sviluppatalungo il versante tirrenico che quello adriatico,

ecco che seguendo un ideale percorso dal marealla montagna, nel Lazio assistiamo in un brevetragitto ad una straordinaria ricapitolazione del-l’incontro dei due biomi. Se poi aggiungiamo aquesto quadro generale la grande eterogeneitàgeomorfologica della regione, con paludi e lagunecostiere, coni vulcanici, grandi pianure alluviona-li, massicci calcarei e laghi d’ogni tipo e origine,si spiegano i motivi della grande diversificazionee ricchezza delle farfalle laziali.

Nostalgie d’Africae bellezze scandinaveOltre a specie tipicamente mediterranee, come labella Cleopatra (Gonepteryx cleopatra) che ai primitepori esce dai ricoveri invernali e chiazza di giallovivo ed arancione il cupo verde di macchie e boschilitoranei, lungo le coste laziali possiamo osservarediverse farfalle originarie delle zone calde delVecchio Mondo che sono entrate e si sono diffuseintorno al Mare nostrum, probabilmente dopo l’ulti-ma fase glaciale. Senza ricorrere agli escrementi dileone, di cui sono ghiotti i suoi parenti africani, conun semplice avanzo di pesche al vino o un fico

In apertura in senso orario:la Danaus chrysippusmeglio conosciuta come“Monarca del VecchioMondo”;i particolari disegni di unaMelanargia arge;una coloratissima larva diBrithys crini.

Sopra: il blu intenso simescola al marrone e a tonalità ocra in un esemplare di Apatura ilia.

A lato in senso orario:sfumature di rosso, arancioe blu sulle ali di questaCharaxes jasius;gli straordinari colori di unaLimenitis camilla;il bianco maculato dellaParanassius apollo.

Le farfalle, diurne e notturne, vengono sempre più utilizzate nel monitoraggio

biologico degli ecosistemi, per diversi motivi:

• rispecchiano fedelmente la flora e la vegetazione di un luogo poiché sono

vincolate alle piante, sia come bruchi erbivori sia da adulti nettarivori;

• rispondono in maniera sensibile alle alterazioni ambientali

(es. riscaldamento climatico);

• si possono campionare facilmente;

• le specie esistenti sono così numerose (circa 5.000 in Italia)

da rappresentare in modo adeguato le diverse situazioni ambientali;

• sono sempre state studiate e quindi si sa molto della loro biologia

e distribuzione.

Nelle aree protette del Lazio sono stati condotti parecchi studi in cui le farfalle

hanno permesso di comprendere diverse dinamiche ecologiche; per esempio:

al Parco Regionale di Veio, alla Riserva Naturale di Canale Monterano, alla

Riserva Naturale di Torre Flavia, alla Riserva Naturale Montagne della

Duchessa, all’Oasi WWF di Macchiagrande di Focene, al Monumento Naturale

Caldara di Manziana, al Parco Nazionale del Circeo e al Parco Nazionale

d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Attualmente è allo studio la possibilità di avviare un programma sistematico di

monitoraggio dello stato di salute dell’ambiente nelle aree protette del Lazio

mediante le farfalle.

Le farfalle come strumento per valutare la qualità ambientale

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arge), diffusa nei gramineti aridi soprattutto vicino lecoste, la Serraria (Megalycinia serraria), presente neiboschi di pianura e collina, l’Epialo appenninico(Pharmacis aemilianus), che all’imbrunire si lanciacome un parapendista giù per i pendii del M.Terminillo o, sempre sullo stesso monte, l’istoriataPlusia italica (Euchalcia italica), rappresentante diun antico gruppo con affinità fino sulle montagnedell’Asia centrale. Non di rado la nostra regione ospi-ta, spesso in ristretti biotopi circondati da attivitàumane sempre più aggressive, le popolazioni piùperiferiche dell’intera area di distribuzione di alcunespecie. Così per l’Ilia (Apatura ilia) lungo l’Aniene,Paucgraphia erythrina sui Monti Tiburtini ePrenestini, Agrochola haematidea a Castelporziano eArchiearis notha nella foresta del Parco Nazionale delCirceo, lembo relitto dell’antica selva Pontina.L’esposizione a sud-ovest verso il Mediterraneo, infi-ne, espone il Lazio a sempre nuovi arrivi dal mare.Infatti, le migrazioni non sono prerogativa degliuccelli, ma numerose farfalle tendono più o menoregolarmente a disperdersi su vaste distanze, oltre-passando in volo anche il Mediterraneo. Anche aseguito del riscaldamento climatico che, nonostantele affermazioni contrarie di alcuni studiosi, le farfalleci dimostrano al di là di ogni dubbio, nel Lazio osser-viamo sempre più spesso degli elementi extraeuropeiche ci hanno raggiunto in questo modo. Negli ultimianni si sono aggiunte così alla nostra fauna almenouna dozzina di specie, tra cui Thria rubusta,Mythimna languida e il Monarca del Vecchio Mondo(Danaus chrysippus), per citarne solamente alcune.

Un laboratorio naturaleVi sono dei casi in cui la diversificazione ambienta-le del Lazio si riflette direttamente in specie che, puressendo diffuse in tutta la regione, si presentano conuna livrea differente secondo le zone. Gli individuidelle popolazioni di pianura di Poecilocampa alpinae di Asteroscopus sphinx differiscono notevolmente daquelli delle zone appenniniche interne. Nel Laziocentro-meridionale le normali forme rosse e nere diZygaena transalpina lasciano il posto ad individui incui subentra il colore giallo ed il nero è maggior-mente esteso. Nel settore dei Monti Simbruini-ErniciThyris fenestrella e Zygaena romeo diventano mela-niche, cioè nere. A seguito dell’eterogeneità bio-geografica del popolamento del Lazio, inoltre,quando esistono coppie di specie affini che sispartiscono il territorio europeo, in alcuni casi danoi se ne trova una, in altri casi l’altra, ma non dirado tutt’e due, che danno spesso luogo a popola-zioni con caratteristiche intermedie che rappre-sentano degli eccellenti modelli per studiare imeccanismi con cui si originano le specie. Così,attraverso delle “insignificanti” farfalle, ancheuna piccola regione come la nostra può fornire unimportante contributo alla comprensione dellameravigliosa storia della vita sulla Terra.

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oramai eccessivamente maturo possiamo attirarein estate il maestoso Iasio (Charaxes jasius), poten-te volatore le cui larve si nutrono di foglie di corbez-zolo, mentre sulle spiagge ancora non devastate dalturismo balneare pattuglia il suo territorio di pochimetri quadrati il Gegene minore (Gegenes pumilio),piccolo ma dal volo straordinariamente rapido erobusto. Qua e là non è difficile incontrare un vario-pinto bruco intento a nutrirsi di Giglio marino(Pancratium maritimum). Si tratta della larva dellaNottua del Pancrazio (Brithys crini), una specie dif-fusa in tutti i tropici del Vecchio Mondo. QualcheOphiusa tirhaca, poi, si aggira nottetempo alla ricer-ca di frutti da assaporare con la sua lingua perforan-te, ignara che sue consimili stiano facendo lo stessodalla Namibia al Tonchino. Nelle paludi costiereavviene inoltre un fenomeno singolare: specie dallepiù disparate origini convivono tranquillamente,accomunate dal fatto di amare l’umidità, ed ecco chea pochi metri dalla pista d’atterraggio di Fiumicinola baltica Laelia coenosa condivide con l’africanaMythimna joannisi lo stesso stelo di canna.Addentrandoci all’interno il paesaggio vegetale cam-bia e così le farfalle. Nei boschi decidui è tutto unflorilegio di specie, dalla Libitea (Libythea celtis) edil Silvano (Limenitis reducta) in quelli più caldi viavia alla Camilla (Limenitis camilla) e la Sfinge delsalice (Smerinthus ocellatus) in quelli più umidi efreschi. E bisogna guardarsi dai piedi in su, se si

vogliono vedere tutte le specie. Alcune infatti siaggirano nel sottobosco come l’Egeria (Parargeaegeria), altre frequentano la chioma degli alberi,come le Tecle (Thecla betulae e Neozephyrus quer-cus). Dove osano le aquile, infine, cambia tutto nuo-vamente, ed è come se facessimo una passeggiatanei dintorni di Oslo. Gli Apollo (Parnassius apollo)stazionano pigri su centauree e cardi violetti imbrat-tandosi di polline, la Pandrose (Erebia pandrose)domina il paesaggio dalla cima dei Monti della Lagae la Dasipolia (Dasypolia templi), non soddisfattadella frescura estiva, vola addirittura di notte ininverno, anche sotto la neve.

Oriente e occidenteNon è solo il cocktail tra elementi settentrionali emeridionali a rendere il Lazio particolarmente riccodi farfalle. La posizione dell’Italia al centro delMediterraneo ha fatto sì che la Penisola potesse esse-re colonizzata sia da specie orientali sia occidentali.Così, sui Monti della Tolfa troviamo la levantinaOrthosia rorida assieme alla ponentina Agrochola bli-daensis, sugli Aurunci la balcanico-danubianaRileyana fovea con l’occitana Euphydryas auriniaprovincialis. Né mancano gli endemiti, ovvero specieesclusivamente italiane, come l’Arge (Melanargia

In basso:Gli esemplari di Tecle(Theacla betulae)prediligono le alte chiomedegli alberi.

Pagina a lato, dall’alto:due esemplari di Zyganea transalpina,farfalla che vive soprattutto nella parte centro-meridionale del Lazio.Il verde delle alidella Gonepterix cleopatragli consente di mimetizzarsiefficacemente

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La Riserva Naturale Regionale Nazzano, Tevere-Farfa paradiso segreto della terra e dell’acqua

TevereIl gioiello del

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testo di Carlo Rocca foto Archivio Arp e Christian Angelici, Filippo Belisario, Fabrizio Petrassi, Archivio Clemonti

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In apertura:La splendida livrea del Martin Pescatore(foto di Christian Angelici).

Sulla doppia pagina in senso orario:panorama della RiservaNaturale RegionaleNazzano, Tevere-Farfa(foto di Christian Angelici);una moretta tabaccata in riposo sull’acqua(foto di Christian Angelici);lo sguardo attento di un gufocomune, predatore notturnomolto importante per l’equilibrio faunistico del Parco (foto di ChristianAngelici).

AMBIENTI INCONTAMINATI, ANTICHE TRADIZIO-NI E AVANZATISSIME TECNOLOGIE PER LA PRO-DUZIONE DI ENERGIA PULITA. IL RITMO DELLA

NATURA, DEL FIUME E DELLE STAGIONI ACCOGLIE CHI,CON LO SPIRITO GIUSTO, SA APPREZZARNE I DETTAGLI.ALLA SCOPERTA DELLA RISERVA NATURALE

REGIONALE NAZZANO, TEVERE-FARFA, INDICATA

DALLA CONVENZIONE INTERNAZIONALE DI RAMSAR

COME UNA DELLE ZONE UMIDE DI MAGGIORE INTERES-SE MONDIALE

Quando il grande airone bianco plana lentamentecon le ali distese a fendere l'aria, ti chiedi qualeingegnere aeronautico sarebbe in grado di proget-tare un miracolo simile, che sembra quasi sfidarela legge di gravità.Il nostro airone rappresenta bene questo paradisosegreto di terra e acqua che è la Riserva NaturaleRegionale Nazzano, Tevere-Farfa. Situata al con-fine tra le provincie di Roma e Rieti, a pochipassi dalla Capitale, la Riserva rappresenta ununicum in Italia ed uno dei più affascinanti terri-tori paludosi d'Europa.L'area protetta è un esempio di come sia possibi-le coniugare le esigenze concrete della societàcon la salvaguardia del territorio, della flora edella fauna, spesso in pericolo proprio per l'inva-denza della comunità umana. La Riserva in quan-to tale venne istituita nel 1979 e l'area paludosa èl’esito finale della costruzione di una diga per unacentrale idroelettrica poco più a valle della con-fluenza del fiume Farfa, uno dei maggiori affluen-ti laziali del Tevere.La presenza della diga provocò l'innalzamentodell'acqua a monte, dando origine ad un bacino, il

Lago di Nazzano, di circa 300 ettari, che per ledimensioni si rivelò ben presto un polo di attra-zione per gli uccelli migratori in transitodall'Europa Settentrionale.La sempre maggiore importanza naturalistica dellago, in qualche modo decretata dagli stessi ani-mali che, per così dire, la elessero a spazio privi-legiato di transito, indusse l'uomo a convincersidella necessità di tutelare la nascita di questonuovo ecosistema. Così, grazie ad un’intesa traEnel, WWF e Comune di Nazzano l'area fudichiarata nel 1968 “Oasi di protezione dellafauna”, venne poi indicata tra le zone umide diimportanza internazionale tutelate dallaConvenzione di Ramsar ed infine, nel 1979, ebbeil riconoscimento quale Riserva Naturale: laprima area naturale protetta istituita dallaRegione Lazio. Attualmente è in fase avanzata distudio un possibile ampliamento della riservalungo il corso del Farfa.

Terra e acquaL’acqua, si sa, è sinonimo di vita. Di vita che resi-ste, che lotta per perpetrarsi anche nelle situazio-ni più ostili. Per questo si insinua, piega dovepuò, seguendo l’orografia del territorio e, al tempostesso, lo trasforma. Così fanno anche il Tevere eil Farfa, nel loro incedere verso il mare. Infinitesono le anse create dal corso lento dell’acqua,infiniti i piccoli bacini lacustri che si succedonouno dopo l’altro. Se a ciò si aggiunge la difficileaccessibilità, si capisce perchè ha preso vita unasuccessione di microcosmi di fauna e di flora cheraramente si trovano in altre parti d’Italia e che al

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Sulla doppia pagina in senso orario:airone bianco maggiorea caccia sull’acqua(foto di Christian Angelici)nido di airone cenerino;saltimpalo (Saxicola torquata) che In Europacentrale e orientale è presente da marzo a novembre (foto diChristian Angelici);suggestiva immagine della vallata del Tevere;uno splendido airone ardeapurpurea (foto di ChristianAngelici)

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Subito a ridosso dell’intricato canneto si sviluppainvece un bosco umido, composto da alberi chevivono con la base del fusto quasi sempre immersanell’acqua. Un apposito percorso rialzato in passe-rella consente ai visitatori di camminare tra tronchidi ontani neri e salici che emergono magicamentedalle acque. Il salice rosso costituisce invece laparte più cospicua del bosco alveale vicino al fiumee a diretto contatto con la corrente. Nell’eterna lottaper la sopravvivenza, questi alberi resistono e gene-rano altra vita più a valle, attraverso i loro rami che,trascinati dalla corrente, producono nuove radicinella fanghiglia delle anse fluviali. Il pioppo, piùrestio al contatto con la corrente, si colloca invecepiù indietro rispetto al corso dell’acqua.

I luoghi della palude:l'uomo e il territorioLa riserva è ricca di attrattive non solo naturalisti-che, ma anche storico - artistiche e culturali, tutteperfettamente inserite nel contesto ambientaledell'area, valorizzate da numerose strutture per lafruizione. A cominciare dal Sentiero Natura, checonsente di attraversare questa meraviglia di terrae acqua, e dal Sentiero del Fiume, che disegna unpercorso in battello tra acque e canneti. Una seriedi iniziative si rivolgono direttamente ai più pic-coli come i Campi scuola ambiente e sono possi-bili attività sportive come la canoa, mentre ilcurioso Museo della Notte ci fa esplorare la molti-tudine di vita che popola il bosco quando il solescompare. È in fase di realizzazione inoltre unafattoria didattica. Anche i dintorni della Riserva

tempo stesso ci fanno fare un salto nel passato, aigiorni lontani in cui tutta l’area era palude.Acqua e terra, dunque. Da questi due elementi,nascono i canneti, creati proprio dal rallentamentodella corrente causato dalla diga e diventati un veroe proprio microcosmo in cui molte specie di uccel-li costruiscono il proprio nido. Gli animali si spar-tiscono lo spazio a disposizione: la folaga, la galli-nella d’acqua e lo svasso maggiore nidificano allabase delle canne, se non addirittura sul terrenoacquitrinoso o su piattaforme galleggianti, mentre ipiani alti sono riservati alla cannaiola e al canna-reccione. Sverna nel Parco anche l’alzavola cosìcome il moriglione e i cigni che durante l’invernoappaiono numerosi. A riprova di quanto sia intattoe preservato l’ambiente qui nidifica il falco pelle-grino e di recente è stata accertata la presenza sta-bile dell’airone cenerino, primo straordinario casodi nidificazione di questo uccello acquatico nelLazio.Oltre al canneto, che al centro del fiume forma veree proprie isole, un’altra specie vegetale che crescelungo il corso d’acqua è il tifeto, formato cioè datife, con la curiosa infiorescenza a forma di sigaro ele foglie tradizionalmente utilizzate per impagliarefiaschi e realizzare stuoie.I labirinti di canneti e tifeti sono habitat ideali permolti uccelli, quali il pendolino, il porciglione, iltarabusino, mentre con un po d’attenzione sarà pos-sibile scorgere le raganelle o le nutrie spostarsiguizzando tra una sponda e l’altra.La primavera regala a questo ambiente, già fatato,un ulteriore splendente colore: in questa stagioneinfatti la fioritura del giglio di palude riscalda l’am-biente con il suo giallo inconfondibile.

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In alto sulla doppia pagina insenso orario:il volo rapido e sicuro di una libellula;il corso del fiume è teatro di manifestazioni importanticome la discesa in canoa;un piccolo ramarro fa capolino dalla sua tana:in questo ambiente incontaminato si riescono a preservare diverse speciealtrimenti in pericolo di estinzione (foto diChristian Angelici);battelli alimentati con pannelli fotovoltaici accompagnano i visitatorilungo il “Sentiero del Fiume”in entusiasmanti visite guidate alla scoperta del Tevere (foto di FabrizioPetrassi);il giallo vivace dell’iris(foto di Filippo Belisario).

Nel box:sgarza ciuffetto(foto di Christian Angelici).

In basso: il cormorano aprele sue ali grigio argentee(foto di Christian Angelici).

Il fiume, il silenzio, solo lo scorrere dell’acqua e qualche battito d’ali. Pochi

territori in Italia sono in grado di incuriosire e affascinare gli appassionati di

osservazione degli uccelli, di quella disciplina nota ai naturalisti con il termine di

“birdwatching”. Un vero paradiso nascosto, a poca distanza dalla capitale, dove

in assoluto silenzio, mimetizzato da rami e arbusti, armato solo di un binocolo e

di una grande pazienza, un attento birdwatcher scruta lo svolgersi della vita

degli uccelli della Riserva. Il Sentiero Natura offre un percorso privilegiato per

chi si appassiona a questa pratica. L’orizzonte della palude è ideale: lungo la

sponda destra sono predisposti capanni in legno, a volte rialzati dal suolo,

nascosti alla vista degli uccelli di passo e stanziali. Il momento migliore per

osservarli è sul far del mattino o prima del crepuscolo. Dalle feritoie il

birdwatcher potrà avvistare stormi di anatre in volo o ammirare il tuffo predatore

del martin pescatore che si lancia alla ricerca di cibo sul fondo melmoso. Potrà

scorgere la maestosa planata dell’airone bianco o rimanere affascinato

dall’eleganza delle garzette, dalla poderosità del cormorano, dalla solennità del

germano reale. Un punto di vista molto stimolante è offerto da un interessante

libro recentemente uscito, opera di Christian Angelici e Massimo Brunelli, “Gli

Uccelli della Riserva Naturale Tevere-Farfa”, nato dalla collaborazione tra gli

autori e l’area protetta dalla quale il volume è stato commissionato per effettuare

un censimento delle specie presenti nella Riserva.

Birdwatching

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hanno molto da offrire. Nazzano regala un bel cen-tro storico disposto tutt'intorno a un castello due-centesco e l’originale Museo del Fiume. Grazie aesposizioni e postazioni multimediali viene rac-contata la storia del Tevere e il mondo che lo cir-conda. Due torri duecentesche annunciano ilborgo di Torrita Tiberina che ospita nel minuscolocimitero le spoglie di Aldo Moro. E poi Montopolidi Sabina che dalla cresta della collina su cui èadagiata offre una successione di panorami sullavalle del Farfa. Il più noto centro di interesse storico dell'area è ilcomplesso abbaziale benedettino di Farfa.Costruito sui primi dolci colli della Sabina, l'edi-ficio si fa risalire addirittura all'antico fondatoreLorenzo di Siro nel V secolo. L'abbazia assunseun ruolo sempre maggiore nello sviluppo e nellabonifica dell'area, tanto da diventare una verapotenza temuta e rispettata tanto a Roma quantodai principi, svincolata com'era dal controllopapale. Carlo Magno soggiornò qui lungo il viag-gio che l'avrebbe portato, la notte di Nataledell’Ottocento, a essere incoronato Sovrano delSacro Romano Impero in San Pietro. Pur se tra-sformata nel corso dei secoli, l'Abbazia conservaancora oggi il ricordo delle glorie trascorse: ilcampanile a quattro ordini di trifore danno il ben-venuto ai visitatori. Da qui si accede alla biblioteca e nella criptadella chiesa di Santa Maria. L’itinerario si conclu-de ammirando gli straordinari affreschi conserva-ti all'interno del campanile.Quest’anno, in occasione del Trentennale dell’isti-

Località di partenza e arrivo Torrita Tiberina Difficoltà TDislivello irrilevanteTempo di percorrenza 4.30 ore Lunghezza del percorso 6 km in bicicletta + 1,5 km circa a piedi Periodo consigliato tutto l’anno, ad eccezione dei mesi estivi,troppo caldi

Da Torrita Tiberina si scende in direzione Poggio Mirteto fino a un bivio sulla

destra. Pochi metri prima del ponte di Montorso si lascia l’auto di fronte a un

pannello della Riserva Naturale, vicino a uno degli imbarcaderi dei battelli. Da

qui si segue la sterrata lungo il fiume, tra boschetti, canali di irrigazione e campi

coltivati. Si oltrepassano un paio di bivi sulla sinistra e si prosegue fino a un

laghetto artificiale, sulla destra, popolato da rane e girini. Pannelli didattici della

Riserva illustrano le caratteristiche del territorio che stiamo attraversando.

Dopo un paio di chilometri, l’unica breve salita dell’itinerario permette di

raggiungere un punto panoramico sul paese di Nazzano e sull’ansa formata

dal Tevere. Superato un parco giochi e alcuni capanni per l’osservazione, si

giunge al punto d’attracco del traghetto e a un piazzale con un piccolo Centro

Visite e tavoli da picnic. Scendiamo dalle bici e le conduciamo a mano

attraverso i camminamenti lastricati di tavole che attraversano la zona

successiva, caratterizzata dal terreno paludoso formatosi dopo la costruzione

della diga. È la zona naturale più interessante della Riserva. I cartelli spiegano

la formazione della zona umida e illustrano le specie animali e vegetali viventi

nell’ambiente acquitrinoso. Si giunge ad altri capanni, che permettono di

osservare le colonie di uccelli che vivono sulle rive del fiume e tra i canneti. È

molto facile, in questo tratto, avvistare aironi, garzette, gallinelle d’acqua,

cormorani. Si segue il percorso principale oppure si sale lungo una sterrata più

distante dal fiume. In leggera salita, si costeggiano un fontanile sulla sinistra,

e alcuni recinti di pastori sulla destra, giungendo alla sede dell’Ecoturismo

Tevere-Farfa (ristorante, alloggio e corsi di educazione ambientale per gruppi

di bambini e scolaresche). Pochi metri dopo, sulla destra, la ripida strada

asfaltata in discesa torna al punto in cui abbiamo iniziato a condurre le bici a

mano. La gita qui descritta può essere fatta completamente in bicicletta da

Roma usufruendo del treno per l’aeroporto di Fiumicino e scendendo a Poggio

Mirteto Scalo.

Camminando / Escursione lungo il fiumeUn itinerario tra scenari d’acqua e di silenzio,da percorrere a piedi o in bicicletta

tuzione della Riserva, sono previste numerose ini-ziative. Fra queste segnaliamo il premio di illustra-zione naturalistica “Naturarte 2009”, che si è con-cluso con una mostra sulle migliori illustrazionipresentate (dal 19 aprile, presso il Museo del Fiumee poi itinerante nel Lazio); la discesa internaziona-le del Tevere (30 Aprile) in canoa, con tappe di 20-30 km e accoglienza nei comuni rivieraschi; unConvegno internazionale su Ramsar e sulla tuteladelle zone umide, promosso in collaborazione colMinistero dell’Ambiente, l’ARP e la LIPU, cuiprenderanno parte ornitologi di fama internaziona-le; lo spettacolare Palio dei Dragoni, corso tra i varipaesi della costa su imbarcazioni dalla caratteristi-ca golena. Non mancherà una interessante iniziati-va golosa e di studio: in collaborazione con SlowFood, l’Università degli Studi di ScienzeGastronomiche e Legambiente: 50 studentidell’Università seguiranno un percorso che tocche-rà i principali punti di interessse storico, culturaleo gastronomico lungo l’intero corso del Tevere.

L’energia pulita? Qui ce l’hanno fattaUno dei fili conduttori della Riserva NaturaleRegionale Nazzano, Tevere-Farfa è la produzionedi energia pulita. Nata a seguito della creazionedi una centrale idroelettrica, la Riserva ha damolti anni iniziato un percorso virtuoso versol’autonomia e la produzione di energie non inqui-nanti. Questo impegno ha raggiunto il suo culmi-

ne nel dicembre scorso, quando l’Assessoreall’Ambiente della Regione Lazio ha annunciatoil completamento dei cinque impianti fotovoltaicisul tetto degli edifici che si trovano all’internodell’area. Non si tratta di una novità assoluta perla riserva che da circa 10 anni fa solcare le acqueda due battelli, il Martin Pescatore e l’Airone, ali-mentati con il fotovoltaico (a breve subirannoimportanti innovazioni tecnologiche), particolar-mente apprezzati dai visitatori per il loro lento esilenzioso incedere sull’acqua lungo un appositopercorso, il Sentiero del Fiume. I cinque impianti fotovoltaici sopra menzionatisono stati installati sul tetto dell’edificio princi-pale della Riserva, su quello del Museo dellaNotte, al Punto d’informazione del Porto diNazzano, alla Casetta della Mola alla foce delFarfa e presso la Fattoria Didattica. Si calcola cheverranno prodotti ogni anno circa 15000KWh dienergia pulita riducendo le emissioni di CO2 dicirca 6000 Kg l’anno. Tutto ciò si tradurrà, oltreché in un sollievo perl’ambiente, anche in un notevole risparmio, comericorda il Direttore della Riserva PierluigiCapone: “Contiamo di coprire in questo modocirca il 60 per cento del fabbisogno totale dell’a-rea protetta e riteniamo di poter raggiungere il100 per cento, vale a dire l’autonomia totale,entro il 2010”. Non solo, ma piccole imbarcazio-ni elettriche assicureranno la vigilanza in acqua,utilizzando, per scivolare silenziosamente sulfiume, proprio l’energia prodotta dai pannellifotovoltaici della Riserva.

La copertina della pubblicazione “Gli uccellidella Riserva NaturaleTevere-Farfa”.

Pagina a lato:Il lungo becco di una garzetta s’immerge nell’acqua del Tevere per pescare la sua preda(foto di Christian Angelici).

Nel box:scoprendo la vita degliuccelli (foto di Aldo Frezza).

In basso:un falco di palude(Circus aeruginosus)spiega le robuste ali(foto di Christian Angelici).

COME ARRIVAREIn auto.Da Roma: con la SP Tiberina sino al Km. 34 circa;

con la Via Salaria sino alla immissione per lo svin-

colo della A1 in direzione Firenze; si viaggia in

Autostrada sino all'uscita del casello di Roma Nord-

Fiano Romano e si prosegue in direzione Nazzano

e Torrita Tiberina; con il GRA sino alla immissione

per lo svincolo della A1 in direzione Firenze; si viag-

gia in Autostrada sino all'uscita del casello di Roma

Nord-Fiano Romano e si prosegue in direzione

Nazzano e Torrita Tiberina.

Da Firenze: con la A1 in direzione Roma; si viaggia

in Autostrada sino all’uscita del casello Ponzano-

Soratte e si prosegue in direzione Nazzano e Torrita

Tiberina.

In treno.Con il treno FS Roma-Orte sino alla Stazione di

Poggio Mirteto Scalo dove si può proseguire a

piedi o in bicicletta all'ingresso della Riserva in

Torrita Tiberina

NUMERI UTILIRiserva Naturale Regionale Nazzano,Tevere-Farfa Via Tiberina Km 28,100 - 00060 Nazzano (Roma)

Tel. 0765.332795 / 332226

www.teverefarfa.it [email protected]

Ecoturismo Tevere-Farfa – Escursioni ed educazione ambientaleTel 0765.331757

Museo del Fiumepresso il Comune di Nazzano

Tel. 0765.332002

Museo della NotteTel.06.8621083 www.le1000e1notte.it

[email protected]

Gite in battelloTel. 338.1714070/330.753420

www.raftingmore.com/italiano/navigazionetevere.htm

[email protected]

Sito ufficiale della Convenzione di Ramsarwww.ramsar.org

Notizie utili

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La regina delle acquei Romani sono ricordati per la loro grande abilità nel costruire acquedotti

l’Acquadi Roma

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SE GLI EGIZI VENGONO RICORDATI PER LE LORO

PIRAMIDI, I FENICI PER L'ABILITÀ NEL NAVIGA-RE, I GRECI PER I TEMPLI GRANDIOSI, NON SI

PUÒ DUBITARE DEL FATTO CHE I ROMANI VADANO

RICORDATI SOPRATTUTTO PER LA LORO STRAORDINA-RIA ABILITÀ NEL COSTRUIRE GLI ACQUEDOTTI.

In verità i Romani non inventarono gli acquedot-ti, la cui tecnologia era già nota agli altri popolidell’antichità, ma di certo la perfezionarono almassimo grado: basti pensare che la pendenzamedia del canale dove scorreva l’acqua (specus)era appena del 2 per mille, e che ancora sino alXIX secolo si utilizzavano calcoli, unità di misu-ra e tecnologie di epoca romana per realizzare isistemi idraulici! Plinio il Vecchio, quindi, benpoteva chiosare: “chi vorrà considerare con atten-zione la quantità delle acque di uso pubblico per leterme, le piscine, le fontane, le case, i giardini sub-urbani, le ville; la distanza da cui l’acqua viene, icondotti che sono stati costruiti, i monti che sonostati perforati, le valli che sono state superate,dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è maiesistito di più meraviglioso”. E Sesto GiulioFrontino, che in qualità di Curator Aquarum atte-se a ben 9 acquedotti dell’antica Roma -e dunqueera uno dei massimi esperti della materia- definìgli acquedotti “la più alta manifestazione dellagrandezza romana”. Prima che nel 312 a.C. ilcensore Appio Claudio (lo stesso a cui dobbiamola realizzazione della consolare Appia) conduces-se in città l’acqua prelevata da alcune sorgentilungo la Prenestina, gli abitanti della città eternaerano costretti ad utilizzare quella del fiumeTevere. Da allora, e nel corso di cinque secoli,verso Roma furono condotti ben 11 acquedotti(oltre all’Acqua Appia vanno ricordati l’Aniovetus, l’Acqua Marcia, l’Acqua Tepula, l’AcquaGiulia, l’Acqua Vergine, l’Acqua Alsietina, l’Anionovus, l’Acqua Claudia, l’Acqua Traiana el’Acqua Alessandrina) e non è un caso se l’Urbefu definita Regina aquarum: nessuna città almondo, né nell’antichità né nei tempi moderni(fatte le debite proporzioni), ha avuto così tantaacqua a disposizione dei propri abitanti. Acquache finiva ad alimentare 11 grandi terme, quasi900 stabilimenti balneari minori, 15 fontanemonumentali, 3 laghi artificiali e circa 1300 fon-tane pubbliche, da cui si prelevava il preziosoliquido per gli usi quotidiani. Quando, nel 537,durante l’assedio di Roma, i Goti di Vitige taglia-rono e resero inservibili gli acquedotti, i cittadinidovettero tornare ad utilizzare l’acqua del Tevere,con effetti catastrofici sulla sanità pubblica.

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testo e foto di Marco Scataglini

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L’acqua che viene dall’estSe si escludono gli acquedotti Alsietino (realizza-to nel 2 a.C. derivando l’acqua dal Lago diMartignano) e l’Acqua Traiana (che risale allaseconda metà del I secolo d.C. e prendeva l’acquadal lago di Bracciano), tutti gli altri provenivanodal quadrante est della Campagna Romana ed inparticolare dalla valle dell’Aniene. Visto da Tivoli,questo territorio appare come un vasto altipianoverdeggiante, ma in verità è interamente solcatoda profonde e selvagge gole: per superarle gliingegneri romani edificarono strutture come PonteLupo (115 metri di lunghezza per un’altezza dioltre 27 metri ed uno spessore di ben 18 metri) oPonte S.Antonio, che svetta ad oltre 32 metri sulFosso dell’Acqua Raminga. In tutto, sono quasiuna quindicina i ponti presenti in questo angolodi Lazio poco conosciuto. Quattro degli acquedot-ti che rifornivano Roma -l’Anio Vetus, l’AnioNovus, l’Aqua Claudia e l’Aqua Marcia- preleva-vano l’acqua da sorgenti nella zona dell’Aniene (iprimi due direttamente dal fiume) e raggiungeva-no Porta Maggiore con un percorso che andavadai 63 chilometri dell’Aniene Vecchio ai 91 chilo-metri della Marcia. La loro monumentale presen-za ha attirato per secoli l’interesse di viaggiatori estudiosi. Gli artisti raggiungevano Tor Fiscale edil Casale di Roma Vecchia (oggi nel Parco degliAcquedotti) per rappresentare nelle loro pittureuno dei simboli più tipici dell’Urbe: la lunga seriedi arcuazioni dell’Aqua Claudia con lo sfondo deiColli Albani.

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IL MUSEUM GRAND TOURIl Museum Grand Tour (www.museumgrandtour.it) raccoglie le strutture museali

del territorio dei Castelli Romani e Prenestini, oltre ad una serie di percorsi e strut-

ture di grandissimo interesse, tra cui appunto i sentieri per gli acquedotti di

Gallicano (www.comune.gallicanonellazio.roma.it). Anche l’area archeologica del

Tuscolo, a Rocca di Papa, rientra nel Museum: qui, le guide dell’Associazione

“Sotterranei di Roma” (www.sotterraneidiroma.it) conducono i visitatori a scoprire

le gallerie legate ad un complesso sistema idraulico, nell’ambito dell’iniziativa del

Parco dei Castelli Romani “Cose mai viste” (www.cose-mai-viste.it).

Un’esperienza simile è possibile effettuarla presso il monastero di San Cosimato,

nel territorio di Vicovaro.Collocato proprio all’uscita della A 24 ed a picco sulle gole

dell’Aniene, conserva diversi eremi ed offre l’opportunità di penetrare nello speco

dell’Acqua Claudia (rivolgersi all’“Oasi Francescana”, tel. 0774.492391,

www.oasifrancescana.it. Dal giardino dell’Oasi è possibile accedere agli

eremi ed allo speco).

Informazioni pratiche

In apertura:La selvaggia gola del FossoPonte Terra, a San Vittorino(circoscrizione di Roma),conserva alcune sistemazio-ni idrauliche romane di gran-de interesse ed un ambienteintatto, dove vegeta anche larara felce Pterys cretica.

Sulla doppia pagina in senso orario:Ponte Lupo, una delle maggiori opere di ingegneriaidraulica romana, è parte dell'acquedottodell'Acqua Marcia;le arcate dell'Acqua Claudiaa Roma, nel Parco degliAcquedotti (Appia Antica);acquedotto Agro Polense,un particolare delPonte San Pietro a SanGregorio da Sassola.

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Sulla doppia pagina in senso orario:le arcate dell’Acqua Claudiaa Roma nel Parco degliAcquedotti (Appia antica);rana agile (rana dalmatina);acquedotto agro polense.xxxxxxxxxxxxxxxxx

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Quel che resta dell’AgroI ponti degli acquedotti presenti alle pendici deiMonti Prenestini, in particolare nel territorio diPoli, Gallicano e San Gregorio da Sassola, rappre-sentano una delle ultime testimonianze dell’au-tentico paesaggio della Campagna Romana, in cuila natura selvaggia ed i ruderi, insieme, danno vitaad un ambiente di straordinaria suggestione, edanche ricchissimo dal punto di vista ecologico.Nella gola di Fosso Ponte Terra, vicino SanVittorino, nel 1976 il Montelucci scoprì l’unicastazione laziale della rara felce termofila a diffu-sione pantropicale Pteris cretica; le gole fluvialialle pendici dei Prenestini, che tanti problemiavevano creato agli ingegneri Romani, ospitanoanche piante ed animali di grande interesse natu-ralistico, come anfibi (tra cui la Salamandrinadagli occhiali), rettili ed uccelli (molto numerosi irapaci notturni). E’ un patrimonio di inestimabilevalore, purtroppo ancora non adeguatamente pro-tetto, sebbene esistano diversi progetti di salva-guardia. Fortunatamente, molti dei tratti iniziali degli anti-chi acquedotti sono oggi compresi nel ParcoRegionale dei Monti Simbruini o in quello deiCastelli Romani. Anche i laghi di Bracciano eMartignano, che rifornivano d’acqua l’Urbe, sonooggi protetti. Quando Thomas Ashby, il grandetopografo inglese direttore alla fine del XIX seco-lo della British School at Rome ed autore di unapprofondito studio sugli acquedotti romani, viag-giava per l’Agro scoprendone le meraviglie, prefi-gurava un futuro in cui quel territorio sarebbediventato un giardino, popolato da amanti delbello. Magari non è troppo tardi per realizzare lasua ottimistica visione!

Castatelle lungo il percorsoper le Forme Rotte non lontano da Ponte San Pietro.

In basso in senso orario:rinolofo nello speco di unacquedotto romano;granchio di acqua dolce;esemplare di biscia dal collare.

Seguendo da Roma la Prenestina in direzione di

Gallicano, subito dopo la tagliata di Cavamonte e

Ponte Amato si prende la sterrata a sinistra sino

ad uno slargo dove si può parcheggiare. In breve il

sentiero porta al primo ponte di acquedotto, il

Ponte della Bullica (Aqua Marcia, 144 a.C.). La

stradina sterrata – che ricalca un’antica strada di

servizio romana – prosegue poi sino a raggiungere

un antico mulino abbandonato e, passando su un

ponticello moderno, scavalca il Ponte Pischero

(Anio Vetus, 270 a.C.), in gran parte crollato.

L’ambiente della forra è davvero impressionante -vi

si vedono anche importanti tracce di una

sistemazione idraulica d’epoca romana, con una

ben conservata galleria- peccato solo per la gran

quantità di rifiuti (un problema serio che riguarda

quasi tutte le forre della zona). Dal bivio sino a qui

sono in tutto 1,7 km (a/r circa 1 ora). Ripresa la

strada per Gallicano, si prosegue passando una

seconda tagliata (via cava San Sebastiano) e si

imbocca il bivio per Poli (via Poli, a sinistra): poco

oltre, si prende via di Colle Caipoli, una stradina in

salita che in circa tre chilometri, tra campi verdi e

bei panorami, che porta ad un sentiero –segnalato

da un tabellone esplicativo- per il Ponte Taulella.

Lasciata l’auto si segue il sentiero che inizia a

scendere nel fitto bosco che copre la profonda forra

del Fosso Secco tra muschi, felci, licheni e

numerose tracce di animali, sino ad un tavolo da

picnic. Uno stradello sospeso nel vuoto

(attenzione!) indica la parte alta del ponte: si

traversa e si scende ripidamente sulla destra sino

al torrente (generalmente asciutto nella bella

stagione) e da qui si ammira in tutta la sua bellezza

questa splendida struttura dell’Anio Vetus (270

a.C.), dalle forme massicce ed imponenti.

Una visita agli acquedotti di Gallicano

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Il Parco Naturale dei Monti Auso ni e Lago di Fondiè la più recente vasta area protetta sorta nel territorio regionale

Ausoni

50 PAN - aprile 2009 51 PAN - aprile 2009

di acqua e di pietra

testo e foto di Giulio Ielardi

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In apertura:vista del Lago di Fondi dallesue sponde meridionali: inprimo piano, una sughera.

Sulla doppia pagina in senso antiorario:il ponte romano diSant’Aneglio pressoAmaseno;in un ambiente carsicocome quello del Parco, i fontanili rappresentano elementi di grande importanza per il popolamento faunistico inparticolare degli anfibi;uno scorcio della magnificasughereta di San Vito, una delle più importantid’Italia;cippo dell’antico confine tra Stato Pontificio e Regno di Sicilia al Passodella Quercia del Monaco.

ISTITUITO DA POCHI MESI NEL LAZIO MERIDIONALE,QUELLO DEI MONTI AUSONI E DEL LAGO DI FONDI

È IL PIÙ RECENTE PARCO VARATO DALLA REGIONE.L’ULTIMA TAPPA, PER ORA, DI UN CAMMINO CHE A

TRENT’ANNI DAL SUO INIZIO NON S’È PIÙ FERMATO.

Alle Torri del Leano un falco pellegrino disegna incielo traiettorie senza senso apparente. Roteasugli uliveti che s’arrampicano sul costone in fileordinate seguendo i terrazzamenti in pietra, varcain aria il nastro grigio dell’Appia dove auto e tirsono in fila per un rallentamento, poi sfila decisoverso il Circeo. Diverse groppe di calcare e boschie piccole valli coltivate più a nord-est, anche oggila cascata sotterranea delle grotte di Pastenalascia a bocca aperta i visitatori: quest’invernofinalmente la pioggia non s’è fatta desiderare edunque lo spettacolo è assicurato. Mentre allefalde meridionali del massiccio, non lontano dalsinuoso specchio azzurro del lago di Fondi, all’an-tica abbazia di San Magno gli operai stannotogliendo i ponteggi dei lunghi lavori di restauro.E il porpora e l’indaco delle vesti di santi e profe-ti negli affreschi medievali, rimasti finora segreti,dopo secoli d’incuria e interramento s’accendonodi nuovo vigore.

2008! È nato il parcoAncora fresco di varo, il Parco Naturale dei MontiAusoni e Lago di Fondi – com’è scritto fin dall’art.1della legge istitutiva che risale al novembre 2008 –tutela insieme natura e cultura di un lembo di Laziodiciamo pure sconosciuto. Con i suoi circa 13.000ettari di estensione è la più recente vasta area protet-ta sorta nel territorio regionale. Siamo nel settore cen-trale della piccola catena montuosa dei Volsci, altri-menti conosciuta come Antiappennino laziale: la dor-sale calcarea che, orientata in direzione nord-ovest/sud-est, si allunga tra Colleferro e Formia, acavallo delle province di Roma, Frosinone e Latina. Iconfini del gruppo sono così delineati dagli studiosi:a nord le acque del fiume Sacco, a sud quelle delmare Tirreno, ad ovest il corso del fiume Amaseno,mentre ad est il limite con gli Aurunci, meno eviden-te, segue grosso modo il tracciato della strada Pico-Lenola-Fondi. Ben altri i confini del parco, disegnatiin modo assai frastagliato a seconda delle adesionidelle numerose amministrazioni comunali coinvolte:quattro in provincia di Frosinone (Amaseno, Castrodei Volsci, Pastena, Vallecorsa) e cinque in quella diLatina (Fondi, Lenola, Roccasecca dei Volsci,Sonnino, Terracina).

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go Sergio Zerunian, che sta curando per contodell’Arp il piano d’azione sui pesci d’acqua dolcenel Lazio. Qui sopravvivono specie altrove scom-parse da tempo come la rovella, il cobite, il barboe soprattutto il ghiozzo di ruscello, seppureminacciato dall’alloctono ghiozzo padano intro-dotto incautamente negli anni Ottanta del secoloscorso. Recentemente estinte, invece, due speciecome la lampreda di ruscello e la trota macro-stigma, per le quali il citato piano d’azione ipo-tizzerà la reintroduzione. Come nei vicini Aurunci, la necessità d’acquaper il bestiame e le piccole colture ha portato inmontagna alla costruzione di pozzi-cisterna inpietra calcarea a secco, spesso risalenti a diversisecoli addietro. Di forma circolare, profondi eanche molto ampi, sono il sito riproduttivo dialcune specie di anfibi come il tritone crestato,una delle 8 rinvenute sugli Ausoni durante unostudio pluriennale effettuato da Luigi Corsetti eAntonio Romano (tra le altre, va segnalata la sala-mandrina dagli occhiali, qui diffusa in modo sor-prendente).

Natura protagonistaNonostante la limitata estensione e le quote con-tenute – la vetta più elevata è quella di monteCalvilli, alto 1116 metri; tra gli altri rilievi sonoquelli del Monte delle Fate, della Cima delMonte, del Leano – la flora degli Ausoni contaqualcosa come 1513 specie differenti. Più delmitico (ed enorme) Parco statunitense diYellowstone! I botanici Fernando Lucchese edEdda Lattanzi che l’hanno studiata vi hanno cen-sito la presenza di fiori rari come la viola salerni-tana, la campanula napoletana e numerose orchi-dee, oppure di singolari distese di salvia che dallafine della primavera tingono di rosa i prati aridi. Iboschi sono composti soprattutto da lecci, cerri,roverelle, ma la formazione forestale più singolaredel parco è rappresentata dalle sugherete. I duelembi più estesi, nelle località San Vito e ValleMarina a Monte San Biagio, sono considerati tra ipiù importanti dell’Italia peninsulare e il lorofascino di bosco mediterraneo è grande, seppureminacciato dalle strade e dagli spazi sottratti dal-

Un tratto del fiume Amasenopresso l’omonimo centroabitato.

In basso: un particolare del complesso ipogeo delle Grotte di Pastena.

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Monumenti naturaliLa prima ricchezza degli Ausoni sta scritta nellaroccia. Si tratta delle variegate forme del carsi-smo, il fenomeno di dissoluzione chimica dei cal-cari operato dalle acque, forse in nessun luogo delLazio a tal punto concentrate. Tra i luoghi più notic’è Campo Soriano, stupefacente distesa di pin-nacoli tra Terracina e Sonnino, protetto fin dal1985 dal primo monumento naturale del Lazio.Ora la piccola area protetta fa parte del nuovoparco, così come il monumento naturale diAcquaviva-Cima del Monte-Quercia del Monacoistituito dalla Regione nel 2004 e quello del Lagodi Fondi sorto nel 2006 (e al futuro Ente parcosarà affidata anche la gestione di un quartomonumento naturale, quello del Tempio di GioveAnxur, sopra Terracina). Dalla parte opposta cisono le già citate grotte di Pastena, tra i comples-si speleologici più noti della regione, scoperte giànel 1926 e attrezzate per le visite turistiche. Mail campionario di forme carsiche comprende altreparticolarità geologiche quali doline e karren,

campi solcati e inghiottitoi come la VoragineCatausa presso Sonnino. Tutte disegnate dall’ac-qua meteorica che la roccia calcarea degliAusoni perlopiù assorbe come una spugna, resti-tuendola principalmente dalle numerose sorgentiallineate lungo il margine settentrionale dellapiana di Fondi (ma vi sono anche sorgenti sotto-marine lungo la costa tirrenica). Proprio le paretidei roccioni isolati (o hum) più maestosi presen-tano cenge o piccole cavità dove depone le sueuova il falco pellegrino, tra le 6 specie di rapacidiurni probabilmente nidificanti nell’area secon-do le recenti ricerche promosse dall’Arp-AgenziaRegionale per i Parchi. E stessi ambienti fre-quenta il raro corvo imperiale, il più grande deicorvidi europei, mentre le grotte ospitano alcunespecie di chirotteri.Quanto a idrografia superficiale, invece, cometutti i comprensori carsici gli Ausoni non spicca-no di certo. Fa eccezione il fiume Amaseno chene segna il confine settentrionale e occidentale.“Si tratta di uno dei fiumi più importanti delLazio quanto a popolamento ittico”, dice l’ittiolo-

Gli strapiombi calcarei delleTorri del Leano.

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l’agricoltura. Proprio gli ambienti rurali, tra l’al-tro, ospitano ai loro margini alcuni mammifericome il tasso, l’istrice, la volpe, il cinghiale. Le due sugherete rientrano in uno dei 6 SIC (Sitid’Importanza Comunitaria) individuati sugliAusoni ai sensi della direttiva Habitat dell’UnioneEuropea, mentre l’intero comprensorio fa partedella ZPS (Zona di Protezione Speciale) MontiAusoni ed Aurunci ai sensi della direttiva Uccelli.Riguardo alle aree protette già esistenti almomento dell’istituzione del parco, va detto chequeste includono alcuni tra i siti più fruibili per ivisitatori, dove molte attività sono state già avvia-te. Per esempio, al lago di Fondi è stata realizzatauna stazione di inanellamento a cura dell’associa-zione Cibele presso il laghetto degli Alfieri, dovenegli ultimi due anni sono stati catturati e marca-ti ben 22.298 uccelli. Nella lista dei nidificantispicca l’airone rosso, caso insolito nel Lazio.Quanto agli uccelli svernanti vanno segnalate spe-cie di notevole interesse come il falco pescatore oil gabbiano corso. “Più in generale il trend dellepresenze totali mostra un incremento continuo”,

Dall’alto: una cascatellaall’interno delle Grotte diPastena, uno dei complessispeleologici più famosi del Lazio;l’allevamento riveste unruolo importante nella conservazione dei paesaggirurali e delle tradizioni nel territorio del Parco;frammento di decorazionemarmorea conservato nelmuseo dell’abbazia diFossanova.

Sulla doppia pagina:uno scorcio invernale dalla Cima del Monte.

NUMERI UTILIParco Naturale Regionale dei Monti Ausonie del Lago di FondiSede Via Appia km 114,500

04020 Monte San Biagio (LT)

tel. 0771.567351

Notizie utili

dice l’ornitologo Ferdinando Corbi, “sicuramenteinfluenzato dalle misure di protezione introdottecon l’istituzione del monumento naturale”. “E trale attività di vigilanza – aggiunge il direttore delmonumento naturale Giorgio Biddittu – voglioricordare il censimento di tutte le costruzioni ediscariche esistenti nonché il sequestro delle gab-bie illegali utilizzate per la cattura degli uccellida parte dei bracconieri”. Citata all’inizio, non lontano dalle sponde del lagotra Fondi e Monte San Biagio, l’antica abbazia diSan Magno è tra i tesori culturali più preziosi del-l’area protetta, recuperata grazie a un restaurofinanziato dalla Regione Lazio tramite il parco deimonti Aurunci. Rientrano a pieno titolo tra lerisorse storico-artistiche e antropologiche del ter-ritorio anche le rovine dell’antico abitato diAcquaviva, i centri storici, i luoghi di culto, il pic-colo ponte romano di Sant’Aneglio pressoAmaseno, la sagra delle Torce di Sonnino (locali-tà nota anche per le vicende legate al brigantag-gio) e via elencando. Luoghi ed atmosfere di unLazio appartato, di un parco da scoprire.

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Come garantire la sopravvivenza all’orso bruno marsicano specie simbolo della biodiversità del nostro Paese

OrsiIl Lazio degli

ÈUN SETTORE LIMITATO DEL TERRITORIO

REGIONALE, NEI CONTRAFFORTI APPENNINICI

DELLE PROVINCE DI RIETI, ROMA E

FROSINONE. POCHI ANIMALI E TANTI PROBLEMI DA

RISOLVERE, MA IL FUTURO DI QUESTA SPECIE

STRAORDINARIA PASSA ANCHE DA QUI. SONO LE

NOVE DI MATTINA DI UNA MALEDETTA DOMENICA

DELLO SCORSO DICEMBRE, IL 7.

Alcuni escursionisti raggiungono il parcheggiodella Valle Amara pensando di trascorrere unagiornata in montagna, nella riserva Montagnedella Duchessa. Ma a pochi metri, da non crede-re, c'è un orso steso a terra. Sembra stia male,malissimo. Nello spiazzo accanto al viadotto del-l'autostrada in poche ore si raduna fisicamente losgomento di una comunità: ci sono i guardiaparcoe i tecnici della riserva, gli agenti forestali, il sin-daco di Borgorose tornato in fretta e furia daRoma, la gente del posto arginata da transenneimprovvisate. Il direttore dell'Arp Vito Consoli,bloccato nella neve sui Simbruini, passa la gior-nata al telefono raccogliendo e rilanciando notizieinnanzitutto all'assessore Zaratti.L'orso muore così, sotto ai riflettori, e viene por-tato via dai veterinari dello Zooprofilattico diRoma per le indagini del caso. Al momento in cuiscriviamo non c'è ancora un verdetto ufficiale mal'ipotesi che circola è di decesso per cause natu-rali. Come quattro mesi prima a San BiagioSaracinisco, versante laziale del Parco nazionaled'Abruzzo: lì la morte dell'orso, in precedenzaradiocollarato dai ricercatori dell'Università diRoma, veniva però fatta risalire a diversi mesiaddietro. Che segnali sono per il futuro di unaspecie dal carisma unico e - per quel che valgonoi confini amministrativi in simili casi - per la pre-senza del plantigrado nel Lazio?"Segnalazioni e avvistamenti provenientidall'Appennino laziale anche ben fuori dal parconazionale non sono certo una novità", dice PaoloCiucci, che con Luigi Boitani conduce sull'orsomarsicano la più consistente ricerca del momentoe forse di sempre. "Però non arrivano indizi diincremento della popolazione (gli ultimi dati par-lano di 43 orsi stimati in tutto l'Appennino, ndr)ma sempre e solo segni di presenza isolati, episo-dici o che comunque non lasciano intravedere ilsuperamento dei fattori limitanti che evidente-mente permangono a livello locale". La vitalitàdella popolazione degli orsi del parco d'Abruzzo,se prima poteva essere messa in discussione, orasembra confermata dall'accertamento nella scorsastagione di almeno 11 cuccioli nati.

testo di Giulio Ielardifoto di Bruno D’Amicis

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UNA MAIL PER L'ORSOÈ possibile segnalare osservazioni dirette oppure segni di presenza o altre

informazioni di particolare rilievo che riguardano l'orso nel Lazio scrivendo

una mail ai referenti della Rete regionale di monitoraggio all'indirizzo

[email protected]

Informazioni pratiche

È stato il lungo isolamento degli orsi dell'Appennino rispetto alle altre popolazioni

di orsi bruni europei a causare quelle caratteristiche distintive genetiche, morfolo-

giche (come le dimensioni leggermente inferiori) e forse anche comportamentali

- secondo gli studiosi - che fanno della sottospecie Ursus arctos marsicanus una

peculiarità assoluta delle montagne della penisola italiana.

SCHEDAOrso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus Altobello, 1921)

Dimensioni: molto variabili, da 70 a 230 Kg

Maschi: 150 - 230 kg

Femmine: 70 - 130 kg

Lunghezza testa - corpo: 150-200 cm

Altezza alla spalla: 75-120 cm

Colore della pelliccia: bruno più o meno chiaro con sfumature beige dorato.

Dieta: onnivora con la componente vegetale che rappresenta circa l'80%

del cibo ingerito.

In natura possono superare i 20 anni di vita, in cattività raggiungono 30-35 anni

di vita; la femmina partorisce da 1 a 3 piccoli nella tana di svernamento, durante

la fase di latenza invernale. Peso alla nascita: meno di 500 grammi.

L'Orso Bruno marsicano

61 PAN - aprile 2009

Carotenuto che ne fa parte come tecnico naturalistaalla Duchessa. E in periferia stavolta non sono arriva-ti solo i documenti d'indirizzo, insomma le carte. "No,pure racchette da neve e ghette, binocoli e cannoc-chiali di qualità. E le fototrappole, che finalmentequesta primavera potremo utilizzare anche noi". AiSibillini ci sono riusciti, a scattare il ritratto all'orsomaschio che si aggira solitario su quei monti traMarche ed Umbria dal 2007. Magari chissà. Sugli Ernici l'orso l'ha incontrato e fotografato duevolte un appassionato di Alatri, Gaetano de Persiis.Sui Lucretili gli ultimi avvistamenti sono del 1997-98.Tra Navegna-Cervia e Terminillo, passando per ilNuria, segnalazioni sparse segnano sulla mappa deiricercatori i desiderata dell'orso: un corridoio montanoche dalla roccaforte di Pescasseroli punta a nord-ovestfino ai Sibillini, mentre a sud nonostante massiccicome il Matese il disturbo di strade e bracconaggiosembra per ora sbarrare la strada. Ma anche da questaparte gli ostacoli non mancano, come nuove oppuresolo progettate centrali eoliche (vedi i rilevatori ane-mometrici comparsi negli ultimi tempi sui monti attor-no alla riserva della Duchessa, dal monte Cava alFratta). "L'istituzione di fasce di silenzio venatorio lungo i cor-ridoi di collegamento tra i diversi massicci e quelladelle aree contigue sono due cose che sappiamo datempo di dover fare ma ancora non si sono viste,Patom o non Patom", osserva Luigi Russo, oggi diret-tore ai Lucretili. Ancora più esplicite le valutazionicritiche di un altro esperto come Giorgio Boscagli, chesegue un progetto sui grandi carnivori per la Provinciadi Rieti. "Le iniziative da prendere sono già note datempo e così torniamo indietro o nella migliore delleipotesi perdiamo tempo e con l'orso il tempo è poco.Anche la costituzione della rete regionale di monito-raggio ha imposto uno stop a chi era già andato avan-ti, come noi". Da sempre in Italia l'orso divide, più cheunire. Sui Simbruini nessun guardiaparco l'ha maivisto, dice uno di loro, Stefano Donfrancesco, eppure isegni di presenza non mancano, l'ultimo nell'autunnoscorso (feci contenenti resti di ramno). Alla Duchessasono più fortunati, due avvistamenti risalgono anovembre 2006 e a marzo 2008 e Marta Mastrantonio,Daniele Valfrè e Rossano Petracchini li ricordanoancora come fosse ieri. E poi le tracce sulla neve,tante, quando giunge l'inverno. "Di segnalazioni daallevatori e cacciatori me ne arriva più o meno una almese", dice Francesco Tancredi, veterinario diBorgorose che ora collabora con la riserva grazie a unincarico professionale assegnato dall'Arp. Si aggiun-ge alla convenzione tra Regione e Istituto zooprofi-lattico sperimentale di Lazio e Toscana, altro frutto diun impegno rafforzato a favore della specie.Aggiunge Pino, cacciatore al cinghiale di Corvaro"L'orso morto a dicembre lo vedevamo sulla monta-gna quasi tutti gli inverni e una volta ne abbiamoincontrati due insieme, uno s'è pure alzato sullezampe posteriori verso i cani. Speriamo che ne torni-no altri perché l'orso è una cosa bella, fa parte dellenostre montagne". Dice proprio così.

60 PAN - aprile 2009

"Il territorio del parco resta la core area (il cuoredell'areale, ndr) per la specie e le sue porzioni in ter-ritorio laziale sono molto importanti", osserva RobertaLatini del Servizio scientifico della storica area protet-ta, "visto che vi vengono avvistate regolarmente fem-mine con cuccioli". Ma basta guardarlo per capire chead un animale così anche un parco di cinquantamilaettari sta stretto. "E dobbiamo capire allora perchénon avviene una reale espansione territoriale",aggiunge Ciucci: "È per questo che le recenti iniziati-ve della Regione Lazio sono molto importanti".

A difesa dell’orsoLe buone nuove hanno origine con la nascita dellaRete regionale di monitoraggio, istituita nel 2007, checoinvolge sia soggetti competenti territorialmente -come Aree protette e Province - che altri in grado difornire contributi tecnico-scientifici, come l'ARP(Agenzia Regionale per i Parchi) e l'Osservatorio perla Biodiversità. La Regione ha inoltre aderito alPatom, che sta per Piano d'Azione per la Tuteladell'Orso Marsicano, vale a dire lo strumento d'indi-rizzo cui fanno per la prima volta riferimento tutti isoggetti interessati. Perché dire orso in Italia non ècome dirlo in Alaska o Kamchatka e stiamo parlandodi 3 Regioni, 8 Province, 7 Parchi, Ministerodell'Ambiente, Corpo forestale, Università di Roma,Ispra-Istituto superiore per la protezione e ricercaambientale (ex-Infs) e Federparchi. Quindi sono statiavviati corsi di formazione ed è stato costituito untavolo tecnico che ha elaborato nell'agosto scorso undocumento sui criteri per la pianificazione del moni-toraggio della presenza dell'orso nelle zone periferichedell'areale di distribuzione. In base ai dati di presen-za registrati negli archivi e all'analisi di idoneità

potenziale del territorio per la specie, in pratica, il ter-ritorio regionale è stato suddiviso in quattro classi,denominati strati, da sottoporre a un diverso regime dimonitoraggio che va dalla semplice allerta a campa-gne di sopralluoghi e raccolta dati. "Vista la bassissi-ma densità di presenza nella maggior parte dei casi ela vastità del territorio - dice Ivana Pizzol dell'Arp -abbiamo ottimizzato il rapporto costi/benefici dellosforzo più ingente, cioè quello di campo".A partire dai 310 records riferiti al periodo 1990-2008e contenuti negli archivi del Parco dei Simbruini,della Riserva della Duchessa e del Cfs (CorpoForestale dello Stato) è stato ricavato un archivio di226 records (molti si sovrapponevano, altri si replica-vano in relazione ad un unico evento). Simbruini-Ernici e Duchessa-Cicolano, è noto da tempo, sono learee più importanti per un'eventuale espansione del-l'orso in territorio laziale: lo sono per la relativa pros-simità al Parco d'Abruzzo, per la natura appartata deiluoghi, per la presenza di aree protette e per le fontialimentari care alla specie rappresentate da ramneti,faggete, frutteti abbandonati. "Accanto al lavoro delgruppo di Boitani, utilissimo, noi stiamo cercando dicapire proprio quanto siano produttivi i boschi fre-quentati dall'orso per trarne indicazioni gestionali",dice Luciano Sammarone del Cfs di Castel di Sangro.L'intera rete di monitoraggio - di cui fanno parte guar-diaparco, tecnici naturalisti, forestali, personale pro-vinciale e collaboratori - è guidata da una rete di refe-renti a sua volta coordinata dal dirigente regionaledell'area Conservazione natura, Claudio Cattena, eoperativamente dalla stessa Ivana Pizzol e AndreaMonaco del settore Biodiversità dell'Arp. "Funziona molto bene, ci sentiamo per telefono o viamail ogni 3-4 giorni e ci incontriamo sul territorio piùo meno una volta al mese", afferma Luciana

In apertura: la figura imponente dell’orso marsicano ispira timore, maanche tenerezza.Sono animali molto riservatiche amano la tranquillità e se non vengono disturbatinon sono di alcun pericoloper l’uomo.

Recentemente gli orsi sonostati oggetto di azioni dibracconaggio, vili e spietate.Tutte le riserve naturali cheospitano questa specie sisono mobilitate in sua difesapoiché a forte rischio diestinzione.Il principale compito dei parchi è quello di vegliare su questi importanti mammiferi, controllare i loromovimenti e tutelare la loro sopravvivenza con tutti i mezzi possibili.

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I giganti del bosco continuano a trasmettere messaggi ed emozioni nel grande libro della Natura gli alberi sono protagonisti

Selve os cure

62 PAN - aprile 2009 63 PAN - aprile 2009

testo e foto di Marco Scataglini

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65 PAN - aprile 200964 PAN - aprile 2009

ANDAI NEI BOSCHI PER VIVERE CON SAGGEZZA,VIVERE CON PROFONDITÀ E SUCCHIARE TUTTO

IL MIDOLLO DELLA VITA, PER SBARAGLIARE

TUTTO CIÒ CHE NON ERA VITA E NON SCOPRIRE, IN

PUNTO DI MORTE, CHE NON ERO VISSUTO” H.D. THOUREAU “WALDEN”

Nelle fotografie di fine Ottocento le montagne e lecolline di buona parte del Lazio appaiono brullee rasate come un campo di grano dopo il passaggiodella trebbiatrice. Ancora orgogliosamente contadi-na, l’Italia di allora sfruttava ogni possibile fazzolet-to di terra, sottratto con la forza delle braccia e dellascure alla copertura arborea. L’era del petrolio albeg-giava appena, e i tronchi degli alberi costituivanol’unico combustibile in grado di riscaldare almenoun po’ le case; era invece cominciato, eccome, lo svi-luppo delle ferrovie: “le rotaie erano collegate traloro da traversine di legno di faggio: i proprietaridelle faggete appenniniche vendettero alla Ferroviedello Stato il legno dei propri boschi, ma non investi-rono il ricavato nella sostituzione degli alberi abbat-tuti”, provocando la distruzione di una larga partedelle foreste montane, come scrisse nel 1988 LauraConti (una delle fondatrici di Legambiente, eambientalista della prima ora). Ma confrontando lefoto di allora ed i paesaggi di oggi, qualcosa di straor-dinario salta agli occhi: ci sono, è vero, molti ele-menti di disturbo in più (centri abitati, case sparse,industrie), ma in compenso estesissimi boschi sonotornati a dominare il paesaggio. Le pendici dei

Lucretili, dei Simbruini, degli Ausoni-Aurunci, deiLepini, un tempo glabre e sassose, quasi impudichenella loro nudità messa in evidenza dall’incertobianco e nero delle fotografie d’epoca, sono oggi rico-perte da un manto boscoso compatto. È successo che nel frattempo l’uomo ha abbandona-to le campagne per farsi cittadino, operaio o impie-gato, si è trasferito in pianura o sulle coste del mare,da cui invece un tempo fuggiva per paura delleincursioni dei pirati o della malaria, e il bosco hapotuto riprendersi gli spazi che gli competevano.D’altronde già nel Medioevo c’era stata la cosiddetta“reazione selvosa”: quando la popolazione umana acausa di guerre, carestie ed epidemie si era forte-mente ridotta, anche allora il bosco si riprese icampi coltivati, le colline disboscate, le rive deifiumi. Insomma, pare proprio che sia l’uomo, con isuoi commerci, le sue attività economiche, i suoiinteressi a decidere il destino dei boschi, a gover-narne la vita, a garantirne - o meno - la sopravvi-venza. Rapporto difficile quello tra l’Homo sapiens e glialberi, carico di contraddizioni. All’inizio della suastoria evolutiva l’uomo dipendeva dagli alberi e ineffetti per millenni il legno che ne ricavava era ilprincipale materiale da costruzione. I Romani, perarricchire di grandiosi monumenti l’Urbe (cherichiedevano estesissime impalcature per la loroedificazione) e armare la possente flotta che control-lava il Mare Nostrum, provocarono un grave depau-peramento delle selve etrusche, con conseguenti

In apertura: un’immaginesuggestiva dei boschi inondati all’interno del Parco Nazionale del Circeo.

Da sopra in senso orario:un pettirosso si riposa sul ramoscello di un albero;corteccia d’albero sui MontiLepini – Monte Malaina;un labirinto di faggi;Parco di Veio – Cascata sul Cremera.

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piene disastrose del Tevere, le cui acque non eranopiù trattenute dalla vegetazione arborea. Oggi inve-ce ai boschi si richiede soprattutto di purificare l’a-ria, di bloccare l’anidride carbonica responsabiledell’effetto serra, di essere un ambiente piacevoledove trascorrere il tempo libero. Compiti che soloun bosco in salute riesce a svolgere con efficacia.

I boschi più belliIl Lazio possiede un patrimonio forestale di prim’or-dine, per la cui descrizione occorrerebbero libri inte-ri. Vi suggeriamo però alcune località degne di nota,che davvero vale la pena visitare. Il pianoro di Camposecco, che si raggiunge facil-mente da Camerata Nuova seguendo la strada sterra-ta a monte dell’abitato, o anche dal versante diCervara di Roma attraversando i pianori diCampaegli e Campobuffone, è il maggiore della cate-na dei Simbruini e conserva tutt’intorno una faggetad’alto fusto frammista ad aceri e maggiociondoli, stu-pendi in primavera con le loro fioriture giallo/zolfo. Non molto lontano, nella vicina catena dei MontiErnici, Prato di Campoli –altro vasto pianoro car-sico– è raggiunto da una strada asfaltata provenienteda Veroli. La faggeta che lo circonda è imponente,sovrastata dalle vette più elevate della catena, comeil Pizzo Deta o il Monte del Passeggio. La Selva di Trisulti, sempre nel gruppo dei MontiErnici, sebbene non del tutto naturale (per secoli ifrati vi hanno piantato resinose e “curato” gli alberi),è sicuramente una delle più belle del Lazio per laricchezza di fioriture primaverili. Disteso a circonda-re l’omonima Abbazia per poi risalire gli aspri ver-santi della Rotonaria (1750 mt) e della Monna (1952mt) fino a tramutarsi in una faggeta d’alto fusto, que-sto bosco è composto essenzialmente di cerri, tra iquali si scorgono aceri, ornielli, carpini e roverelle.Trisulti è facilmente raggiungibile da Collepardo(586 mt). Il Monte Semprevisa è la massima vetta dei montiLepini, la catena forse più interessante dell’interopreappennino laziale, avendo conservato ancoraangoli di natura intatta, con folte faggete sui versantiinterni più riparati. Qua e là tra i 300 e i 600 mt diquota, resistono tratti di lecceta che in alcuni casipossono alzarsi sin oltre i mille metri di quota, quasia contrastare il dominio del faggio. Sotto la crestasommitale e nel versante verso Frosinone sopravviveuna notevole faggeta secolare, sfuggita ai tagli chehanno interessato soprattutto il versante verso mare. Nella pianura Pontina, che dalle pendici dei Lepiniarriva sino al mare, si trova una delle più vaste fore-ste planiziarie d’Italia, quella del Circeo, nell’omo-nimo Parco Nazionale, che costituisce, con il boscodi Foglino, pochi chilometri più a nord, nel comu-ne di Nettuno e con il complesso di Castelfusano edella tenuta presidenziale di Castelporziano unodegli ultimi tratti rimasti dell’immensa distesaboschiva (vasta 30.000 ettari) che da Terracina arri-vava alle porte di Roma.

Sulla doppia pagina in senso orario:i suggestivi cromatismi diuna faggeta in autunno;gli alberi conservano le tracce del tempo e assorbono i colori delle stagioni come questo bellissimo faggio autunnale;olivi secolari sulla Via di Pomata a Tivoli.

Un bosco non è certo semplicemente un insieme di

alberi cresciuti uno vicino all’altro. E’ piuttosto un

complicato meccanismo naturale che troppo spes-

so l’uomo ha alterato con i suoi improvvidi interven-

ti. I grandi alberi secolari, i boschi d’alto fusto mai

toccati dalla scure, sono diventati rarissimi, eppure

si trattava di ambienti preziosi e ricchi di vita.Oramai

i rimasti scampoli di bosco naturale si rinvengono

nelle quote più alte, e sono in gran parte costituiti da

faggete, che nelle montuose provincie di Frosinone

e di Rieti arrivano a ricoprire ben 42.000 ettari di

superficie. Alle quote più basse sono soprattutto le

querce, ed in particolare il Cerro (Quercus cerris) a

farla da padrone, mentre sono oramai ridotti a pochi

brandelli superstiti i boschi di pianura, o planiziari,

che hanno dovuto cedere il posto alle attività

umane. Ma questo non deve farci credere che tutto

sia perduto e che non sia più possibile entrare in una

selva come quella, prossima a Nettuno, che nel

1854 lo storico tedesco Gregorovius ebbe modo di

visitare e di cui rimase talmente colpito da scrivere:

“ci infilammo entro vasti sentieri in mezzo a cespu-

gli di mirto aromatico, sotto le verdi chiome di vene-

rabili querce, attraversate dai raggi dorati del sole al

tramonto. La vegetazione era di una bellezza quasi

tropicale”. Boschi di questo tipo esistono ancora

oggi, sebbene abbiano un’estensione assai più

ridotta, e meritano di essere visitati, conosciuti e

perciò protetti. C’è da dire che dal 2002 la regione

Lazio possiede una legge (la n°39) che detta le

norme proprio per la tutela dei boschi, e che una

gran parte dei boschi più belli e selvaggi sono oggi

compresi all’interno di aree protette, o sono salva-

guardate dalla Comunità Europea (in quanto “Sic”

o “Zps”), il che può tranquillizzarci rispetto al loro

futuro (ma senza che questo ci induca ad abbas-

sare la guardia!).

Una grande varietà di boschi

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In provincia di Rieti, merita indubbiamente unasegnalazione la fitta Faggeta della Vallonina, sulTerminillo, che digrada verso Leonessa. Nel Lazio settentrionale, al confine con la Toscana,la Selva del Lamone, bosco indiscutibilmenteselvaggio ed oggi protetto da una Riserva Naturale,offre la possibilità di visitare forse l’unica veraselva “vergine” dell’Italia centrale. E’ compresa trai territori dei comuni di Latera, Farnese e Pitigliano(quest’ultimo già in Toscana), tutti facilmente rag-giungibili seguendo la Via Cassia. Sempre non lon-tano dal confine regionale, nei pressi della RiservaNaturale di Monte Rufeno, proprio ai piedi del gra-zioso borgo di Rocca Alfina, si trova il magicoBosco del Sasseto, tutelato come monumentonaturale, popolato da esemplari arborei di enormidimensioni, in un’atmosfera sospesa e malinconica.Più a sud, una cerreta d’alto fusto, oggi gestitadall’Università Agraria di Manziana, merita unavisita in quanto ricchissima di vetusti esemplari diquercia (cerri, farnetti, farnie e roveri): la Selva diManziana. Di notevole interesse è anche la vicina CaldaraManziana, dichiarata Monumento Naturale dallaRegione Lazio. Si tratta di una vasta conca di origi-ne vulcanica con molte risorgive sulfuree, dove benpoche piante riescono a crescere. Ma la sorpresapiù grande è nel bosco che circonda la Caldera:qui, a poche centinaia di metri di altitudine, sitrova una vitale popolazione di betulle (Betulaalba), tipici alberi delle quote montane più alte,che creano uno splendido contrasto con la vegeta-zione mediterranea che le circonda (carpini, orniel-li, cerri, ginestre...). È probabile, come sostengonomolti botanici, che questi alberi siano stati piantatidall’uomo (forse dagli antichi romani) e sianosopravvissuti grazie al particolare microclima.

Pagina a lato: un faggiosecolare, vecchio “guardiano” del bosco.

In questa pagina, in senso orario:la pineta di Castelfusano;la maestosità di alcuni faggiad alto fusto;funghi del genere Stereumsu alcuni tronchi in un torrente.

NUMERI UTILIParco Naturale Monti SimbruiniTel. 0774.827219

www.simbruini.it

Parco Nazionale del Circeo Tel. 0773.511385

www.parcocirceo.it

Riserva Naturale di Monte RufenoTel. 0763.733442

Riserva Naturale Selva del LamoneTel. 0761.458741

www.comuneacquapendente.it,

www.museodelfiore.it/

APT Rieti – Tel. 0746.203220

www.apt.rieti.it

Monti Lepini www.parcolepini.it

Tuscia www.tusciaromana.it

Monti Ernici www.collepardo.it

Notizie utiliFino ad una settantina di anni fa, la successione

vegetazionale era chiaramente delineata: dalle rive

del mare si passava alle dune con la macchia e, subi-

to dietro, iniziavano i primi arbusti di una certa dimen-

sione mirto, lentisco, fillirea, erica, ecc.), che forniva-

no la necessaria protezione dalla salsedine e dai

venti al bosco di leccio (Quercus ilex), a cui si accom-

pagnava a volte anche la sughera (Quercus suber).

Dove le condizioni microclimatiche erano più fresche

ed umide, si entrava nel regno delle cerrete: qui, oltre

al cerro, comparivano anche la farnia (Quercus

robur), il farnetto (Quercus frainetto) e il rovere

(Quercus petraea). Risalendo le colline e le pendici

delle montagne, si incontravano le roverelle (Quercus

pubescens), poi di nuovo i cerri ed il bosco misto con

aceri, ornielli e frassini. Sopra gli 800 metri di quota,

faceva la sua comparsa il faggio, che si accompa-

gnava a volte al tasso (Taxus baccata) ed all’abete

bianco (Abies alba), oggi praticamente scomparso

dai boschi laziali. La successione che abbiamo appe-

na delineato, ovviamente solo teorica e potenziale,

non si incontra più nella sua completezza: i vari oriz-

zonti vegetazionali sono stati alterati dall’intervento

umano, mentre, come già detto, i boschi di pianura

sono stati praticamente spazzati via dall’urbanizza-

zione, o sostituiti da piante estranee alla nostra flora,

dagli eucalipti alle tsughe, sino ai pini domestici o alle

specie arboree esotiche.

Un ipotetico transetto

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In una notte limpida volgiamo lo sguardo al cielo:il colore dominante è il nero, punteggiato dalla luce di milioni di astri

StelleLa“natura”delle

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IN UNA NOTTE LIMPIDA VOLGIAMO IL NOSTRO

SGUARDO AL CIELO. IL COLORE DOMINANTE È IL

NERO PUNTEGGIATO DALLA LUCE DI MILIONI DI

ASTRI CHE ILLUMINANO LA VOLTA CELESTE. UNA

NOTTE SENZA LUNA, LONTANI DALLA CITTÀ, È IL

MOMENTO PIÙ ADATTO PER OSSERVARE L’UNIVERSO DI

STELLE E PIANETI CHE SOVRASTA LA NOSTRA TERRA.VENERE, GIOVE, LA CINTURA D’ORIONE E IL GRANDE

CARRO, CI ABBANDONIAMO A UN’EMOZIONANTE PARA-TA ASTRALE PENSANDO ALLA DISTANZA CHE SEPARA

NOI PICCOLI UOMINI DA ALTRI MONDI SCONOSCIUTI.

Nel 1609, nella città di Padova, Galileo Galileicostruiva il suo primo cannocchiale. Per questomotivo l’Unione Astronomica Internazionale hadichiarato il 2009 Anno Internazionaledell’Astronomia con il motto “L’Universo, a tescoprirlo”. Per ricordare l’evento, la principale associazioneastronomica a livello mondiale ha deciso di dedi-care un anno intero alla divulgazione scientificaper avvicinare, informare e sensibilizzare le per-sone e soprattutto i ragazzi all’affascinantemondo dell’astronomia. Teatro delle iniziativesaranno luoghi come la Specola Vaticana diCastel Gandolfo, Palazzo Farnese di Coprarola eil Planetario e il Museo Astronomico del Comunedi Roma che dispone di una cupola di 14 metriquadrati sulla quale viene proiettato il nostrosistema solare. Per l’anno dell’astronomia ilPlanetario ha attivato un ricco programma dispettacoli, concerti e conferenze che avvicine-ranno in modo intelligente e creativo il pubblicoa una materia spesso considerata difficoltosa dacomprendere. La Specola Vaticana è l’osservatorio astronomicopiù antico del mondo, la sua origine risale allaseconda metà del XVI secolo quando papaGregorio XIII decise di fondare un istituzionedove i Gesuiti astronomi e i matematici potesse-ro approfondire i loro studi. Nei secoli recentil’osservazione della volta celeste è diventatasempre più difficoltosa a causa dell’inquinamen-to luminoso prodotto dalle fonti di luce prove-nienti dalla città. Per questo motivo, nel 1981, laSpecola Vaticana ha deciso di fondare un secon-do centro di ricerca a Tucson in Arizona sulmonte Graham, considerato uno dei punti d’os-servazione più limpidi del continente nord ame-ricano. Questo preambolo ci aiuta a capire come l’inqui-namento atmosferico e luminoso renda meno lim-pido il nostro cielo notturno e obblighi, gli astro-nomi e astrofili, a trovare rifugio nei parchi.

71 PAN - aprile 2009

testo di Paolo Palumbofoto di Stefano Castellani e Massimo Ravara

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I Parchi e il cieloUno dei luoghi privilegiati per l’osservazione delcielo si trova sul Monte Rufeno nell’omonimaRiserva Naturale: lo spazio per le strumentazioniè stato ricavato all’interno di un vecchio casaledei primi del Novecento. La struttura è in grado di ospitare ogni anno cen-tinaia di visitatori: dagli appassionati astrofili allescolaresche che vengono qui per apprendere imisteri del cosmo e scrutare, senza impedimenti,i pianeti e il luccichio delle stelle. Per l’annodell’Astronomia il centro ha organizzato un ciclodi manifestazioni dal titolo “A.A.A. Ambiente,Astronomia, Avventura... alla ricerca del cieloperduto!”.Nella zona dei Castelli Romani, l’osservatorio diMonte Porzio Catone si trova in un luogo relativa-mente immune da luci fastidiose, lo stesso dicasiper l’Osservatorio “F. Fuligni” che si trova aVivaro. Il Parco dei Castelli Romani ha realizza-to, inoltre, un sentiero davvero unico: il “Sentierodelle stelle”, un percorso di due chilometri che sisnoda all’interno dell’area protetta, nella zona diRocca di Papa. Le passeggiate notturne lungo ilsentiero proietteranno i partecipanti nella VoltaCeleste: infatti, il percorso segue un’ideale rap-presentazione in scala sul terreno del nostroSistema Solare, partendo dalla Stazione del Sole,situata nei pressi del Vivaro. Il percorso didatticoè attrezzato con diversi totem informativi, tabelle

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Tra le proposte più allettanti citiamo:• “Il sentiero delle stelle” nel Parco Naturale Regionale

dei Castelli Romani; date: 31/05 – 14/06

• “Orientasi con le stelle: uomini e animali” nel Parco Naturale Regionale

Bracciano-Martignano; data 20/06

• “Inseguendo una stella” e nella Riserva Naturale Regionale

dell’Insugherata gestita dall’ente Roma Natura; data: 14/06

• “Sotto un cielo stellato” nella Riserva Naturale Regionale

Monterano; data: 20/06.

• “A.A.A. Ambiente, Astronomia, Avventura... alla ricerca del cielo

perduto!” nella Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno; date: 14/06 –

12/07 – 13/09

• “Orientarsi con le stelle” Riserva Naturale Regionale Macchiatonda

data: 21/06

• “Osserviamo le stelle” Parco Naturale Regionale Monti Ausoni

e Lago di Fondi – Campo Soriano; data: 20/06

CONTATTI• Agenzia Regionale Parchi: www.parchilazio.it

numero verde “Giorniverdi”: 800593196

• Anno Internazionale dell’Astronomia: www.astronomy2009.roma.it

www.astronomy2009.org

• Planetario e Museo Astronomico: www.planetarioroma.it - tel. 06.0608

Appuntamenti

Non appena scendeva la notte, lo scienziato pisano

Galileo Galilei puntava il suo strumento ottico verso

il cielo cercando di carpire nuovi segreti, dare

spiegazione al complesso moto celeste e

approfondire gli studi di Copernico, colui che

scardinò la teoria geocentrica di Aristotele.

Grazie al cannocchiale Galileo acquisì dettagli

importanti sui monti lunari, studiò la Via Lattea e

individuò 4 satelliti del pianeta Giove,

soprannominati “pianeti medicei” (Io, Europa,

Callisto, Ganimede) perché dedicati al granduca di

Toscana Cosimo II de’ Medici. I risultati dei suoi

studi furono pubblicati nel 1610 nella celebre opera

il Siderus Nuncius.

Nel 1624 Galileo pubblicò un’altra opera

fondamentale, il Dialogo sopra i due massimi

sistemi del mondo dove espose in modo più chiaro

le sue idee sulla cosmologia, mettendo a confronto

la teoria eliocentrica e quella geocentrica. L’opera

suscitò l’ira del pontefice Urbano VIII il quale fece

arrestare e mise sotto processo lo scienziato

pisano: la minaccia di tortura costrinse Galileo ad

abiurare le sue idee nel 1633 e il suo libro fu messo

all’Indice. La pena detentiva fu commutata nel

confino nella casa dell’arcivescovo Ascanio

Piccolomini a Siena il quale, a dispetto delle

prescrizioni del Sant’Uffizio, permise a Galilei di

continuare a studiare e confrontarsi con eminenti

studiosi. Se qualcuno crede che tutto è bene quel

che finisce bene, allora non si può omettere la

riabilitazione di Galileo ad opera della stessa

Chiesa cattolica, avvenuta nel 1992, con la

cancellazione definitiva della condanna inflitta allo

scienziato ben 359 anni prima...

1609 – 2009: Galileo Galilei In apertura: la CometaMcNaught osservata nellasera del 17 gennaio 2007.

In basso: La SpecolaVaticana è uno degli osservatori più antichi al mondo.Purtroppo l’inquinamentoluminoso ha costretto lostato Vaticano a spostare il proprio centro di ricerchein Nord America.

Pagina a lato in senso orario:il Sistema Solare a portatadi mano grazie al Planetarioromano (Zètema ProgettoCultura, foto di StefanoCastellani);una dei suggestivi e didatticamente esaustiviallestimenti del PlanatarioRomano;l’osservatorio ASTRIS(Parco Regionale MontiSimbruini)

che spiegano la volta celeste e la natura circo-stante. Di recente inaugurazione (il 5 luglio 2008) l’osser-vatorio “Claudio Del Sole” che si trova all’internodel Parco Regionale dei Monti Simbruini: da mag-gio in poi, chiunque potrà osservare le stelle conl’esaurente spiegazione delle guide appartenentialle associazioni astrofile ASTRIS e ATA. Al di fuori dell’ambiente meramente astronomicocome osservatori e planetari, l'Agenzia RegionaleParchi, grazie a un accordo con il dipartimento diFisica “E. Amaldi” dell'Università Roma Tre hadedicato una sezione del progetto “Giorniverdi” adattività notturne nelle aree protette del Lazio perfar conoscere e avvicinare tutti gli appassionati enon solo, all'osservazione delle stelle. I parchi laziali hanno organizzato interessantiescursioni notturne dove i partecipanti, dotati disola torcia elettrica, potranno ammirare il cielonotturno in tutto il suo splendore, godendo dellaquiete dei boschi. Per raggiungere le località di questi “happening”naturali sono stati predisposti pullman speciali chepartono da Roma nell’ambito dell’iniziativa “Parcoanch’io”. A questo programma hanno collaborato alcuneassociazioni astrofile che da diversi anni accompa-gnano semplici cittadini muniti di binocolo a sco-prire il cielo immersi in uno scenario naturale esoprattutto fuori dall'inquinamento luminosodelle città.

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L’emozionedi una fotografia

AFNIVent’anni dell’

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testo di Marco Andreinifoto di Cristina Annibali, Bruno D’Amicis, Massimo Del Monte, Mario Lanuti, Assunta Lazzari, Pino Magliani, Massimo Mezza, Mauro Toccaceli, Luciano Zanecchia

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NELLA PRIMA L’ANIMALE SEMBRA USCIRE DAL-L’INQUADRATURA. LA TESTA MAGARI È LEG-GERMENTE GIRATA, MA GLI OCCHI VI FISSANO

SOSPETTOSI. TUTTO, IL PELO ARRICCIATO INTORNO AGLI

OCCHI MINUSCOLI, LE ORECCHIE PELOSISSIME, LA

BOCCA LEGGERMENTE APERTA IN UN SOSPIRO D’IMPA-ZIENZA, TUTTO È PERFETTAMENTE A FUOCO. L’ORSO

SEMBRA USCIRE DALLA STAMPA, MATERIALIZZATO IN

TUTTA LA SUA SELVATICITÀ. NELLA SECONDA L’OCCHIO

CI METTE UN ATTIMO A TROVARE L’ANIMALE, CHE SBUCA

IN UNA RADURA ILLUMINATO DALLA LUCE RADENTE.

L’orso c’è, evidente e bellissimo, ma alla sua figu-ra ci si arriva dopo un rapido percorso attraversol’inquadratura. Un percorso che ci ha fornito altreinformazioni: il tipo di vegetazione che lo circon-da, la stagione, il suo atteggiamento, la presenza omeno di montagne o altre parti del paesaggio, laluce che ci dice sull’ora dello scatto, tutti elemen-ti che più o meno consciamente d’ora in poi viag-geranno insieme alla nostra idea “orso”.Presentate le due foto a un editore. Nel novantaper cento dei casi sceglierà la prima. Una sceltadovuta soprattutto a esigenze estetiche, di impattovisivo. E in fondo è giusto, catturare l’attenzionerientra fra gli obiettivi che si pone chi deve met-tere insieme una rivista o un libro.Chi sa di fotografia naturalistica invece, sa chequasi sicuramente la fotografia d’orso a pieno foto-gramma è stata scattata in uno zoo, o comunque inuna situazione “controllata”, come si dice. Fin quiniente di male, a meno che il fotografo non laspacci per il frutto di lunghi e faticosi apposta-menti.È che il primo tipo di fotografia in fondo nonaggiunge nulla a quanto già sappiamo dell’orso. Siconcentra sul suo aspetto esteriore. Piace soprat-tutto a chi dalla fotografia vuole avere la confermache nei nostri boschi più remoti esiste ancora unabestia impressionante, con un aspetto pari alla suafama, ma che, a dirla tutta, in fondo si auguraanche di non incontrare mai durante una gita.La seconda fotografia probabilmente sarà invecequella preferita da chi delle immagini di natura edi animali si è nutrito per anni. Da chi in quellaluce o quella situazione riconosce altre luci e altresituazioni vissute in tante escursioni, magarisenza imbattersi mai un orso in carne ed ossa masognando sempre di poterlo fare un giorno.Due atteggiamenti differenti. Due tipi di pubblico.Si potrebbe dire: generico il primo, specialistico ilsecondo.Ma la fotografia, così come i documentari per latelevisione o l’editoria specializzata, oltre cheappagare può anche informare e contribuire cosìalla crescita di una cultura ambientale.Con questa convinzione Paolo Fioratti e un picco-lo gruppo di persone fondarono venti anni fal’AFNI, l’Associazione dei Fotografi NaturalistiItaliani. Già nello statuto, accanto a principi piùgenerici e in fondo ovvi come “documentare e

In apertura: Parco deiCastelli Romani, lago di Castel Gandolfo(Foto di Luciano Zanecchia).

Sulla doppia pagina in senso orario:cavalli al pascolo brado sui monti della Tolfa(foto di Mauro Toccaceli);gruccione in volo(foto di Massimo DelMonte);orso marsicano(foto di Bruno D’Amicis);ragno arlecchino(foto di Massimo Mezza)

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divulgare le caratteristiche degli ambienti natura-li” (ma anche, “nel loro più assoluto ed incondi-zionato rispetto”), c’erano intendimenti in qualchemodo innovativi per un’associazione di fotografi:“sensibilizzare i cittadini sulle esigenze dell’am-biente e sulla necessità di una sua tutela”, esoprattutto “stimolare nei cittadini una crescitaculturale nell’ambito delle scienze naturali”.Erano passati pochi anni dalla nascita di Airone,o di Oasis di cui Fioratti era stato il fondatore. In Italia il successo di quelle riviste fu una sor-presa e anche una piccola rivoluzione culturale.Prima d’allora nelle enciclopedie o nei testi sco-lastici si trovavano ancora foto di animali fatte inuno zoo con tanto di recinto e fondo in terra bat-tuta. Quelle di uccelli erano spesso fatte ad esem-plari impagliati, morti da un pezzo, e per descri-vere una pianta spesso veniva usata una tavolatassonomica, magari in bianco e nero.In pochi anni invece, a dispetto dello scetticismodel mondo pubblicitario ed editoriale, un pubbli-co sempre più vasto si avvicinò all’ambiente conl’atteggiamento che finora apparteneva ad altripopoli europei, anglosassoni in testa. Paesi in cui,grazie anche a riviste come il NationalGeographic, si guardava alla natura in mododiverso, più moderno, più consapevole dell’evolu-zione compiuta dalle scienze naturali, con unaprospettiva sempre più orientata verso le relazio-ni ecologiche fra organismi viventi e la comples-sità degli ecosistemi.Il singolo animale o la singola pianta visti non piùcome rappresentanti di un campionario del biz-zarro e del fantastico ma come imprescindibilielementi di una complessa rete. Interessantisoprattutto nei loro comportamenti, nelle lororelazioni con le altre componenti dello stessoambiente.E il gusto estetico è cambiato di conseguenza.Oggi, tanto per fare un esempio, una foto di orchi-dea illuminata da un colpo di flash in cui il pratosullo sfondo è diventato un buco nero senza det-taglio non può essere più usata per un libro dinatura, mentre una volta veniva scelta proprioquella, per evidenziare bene il soggetto.Dibattiti su argomenti di questo tipo sono all’ordi-ne del giorno all’interno dei forum dedicati allafotografia naturalistica, come quello che si trova,ad esempio, nel sito internet di Asferico, la rivistaspecializzata di cui l’AFNI è diventata editore.I 54.000 accessi all’anno a questo sito (www.asfe-rico.it) indicano anche un’altra cosa. Che i lettoridi ieri sempre più spesso oggi diventano produt-tori di immagini, fotografi a loro volta, e che lafotografia naturalistica, grazie anche all’avventodel digitale, sta conoscendo una nuova impressio-nante diffusione. Sono sempre di più le persone che aspettano conimpazienza ogni fine settimana e ogni momento ditempo libero per dedicarsi a una passione cherichiede impegno e sacrificio. Con intenzioni sen-

z’altro positive, ma con un impatto che non puòessere trascurato.La sensibilità che l’AFNI per statuto si propone disviluppare genericamente nei cittadini, oggi piùche mai deve far parte del bagaglio fondamentaledi chi si avvicina a questa pratica.Per questo gli incontri periodici fra i soci dell’as-sociazione (a Roma sono mensili, più una proie-zione pubblica anch’essa mensile) diventano unmomento in cui il dibattito intorno all’ultimomodello di macchina fotografica o di teleobiettivoresta volentieri sullo sfondo. Tante immagini vistee commentate insieme invece, quelle dell’ultimoarrivato come quelle del professionista affermatoo quelle del concorso internazionale. E poi la pia-nificazione dell’attività. Mostre, proiezioni o spes-so progetti di documentazione della natura locale.Magari in collaborazione con enti di ricerca oesperti del settore.Perché nel binomio “fotografo naturalista”, ilprimo attributo si guadagna con facilità, quasiautomaticamente, mentre per il secondo ci vuoletempo e qualcosa che deve partire da dentro,qualcosa che vada oltre la semplice voglia di tor-nare a casa per forza con una foto.www.afnilazio.org

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Pagina a lato in senso orario:martin pescatore sul posatoio(foto di Cristina Annibali);Parco dei Monti Simbruini,cascata(foto di Assunta Lazzari);ghiandaia marina(foto di Mario Lanuti).

In basso:Riserva di Monterano, i ruderi della chiesa di San Bonaventura(foto di Assunta Lazzari);Parco Nazionale del Circeo,tarabuso ai Pantanidell’Inferno(foto di Pino Magliani).

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Le piante spontanee: una fonte inesauribile di nutrimento e salute

leErbenel piatto

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I BOSCHI, I CAMPI, I PARCHI POSSONO ESSERE FAR-MACIA MA ANCHE MENSA. OSPITANO INFATTI LE

“ERBE PAZZE”, DETTE ANCHE SPONTANEE,VOLONTARIE, RUSTICHE O CAMPESTRI, TRA CUI SI

ANNOVERA LA BORRAGINE, L’ORTICA, LA CICORIA DI

CAMPO, IL LUPPOLO SELVATICO, IL TARASSACO, IL

FARINELLO.

Insomma tutte quelle verdure di campo che persecoli hanno fornito sostentamento, soprattuttodurante i periodi di crisi, alle fasce più poveredella popolazione. Un esercito di “verde” assainumeroso, dai nomi e dai sapori antichi, maanche vestigia che faticosamente si sta cercandodi recuperare perché adombranti culture e men-talità riferite ad una società rurale che ha ancoramolto da insegnarci, soprattutto per quel checoncerne il basso impatto ambientale. L’attività di studio che circonda le piante sponta-nee commestibili viene detta fitoalimurgia (dalgreco phytón, ossia pianta, alimos, che toglie lafame ed ergon, lavoro, attività). Sull’utilità delleerbe commestibili si hanno ampie tradizioni oralie diverse testimonianze scritte. E’ comunque del 1767 la prima pubblicazioneche affronta l’argomento sotto il profilo scientifi-co. Si tratta di: “De alimenti urgentia” (sottotito-lo Alimurgia) del medico fiorentino GiovanniTargioni-Tozzetti. E’ bene a questo punto sottolineare che la fitoali-murgia è diversa dalla fitoterapia perché per pre-venire o alleviare piccoli malesseri, o meglio, perfare il pieno di sali minerali e vitamine ricorrenon a tisane e decotti ma a zuppe, frittate emacedonie. Questo per dire che bisogna distin-guere tra piante commestibili e officinali. Le ulti-me, anche quando si tratta di specie ottime,vanno gestite con maggiore cautela.

81 PAN - aprile 2009

testo di Isabella Egidifoto Archivio ARP - Vito Consoli, Filippo Belisario, Domenico Serafini / illustrazioni di Marisa Ceccarelli

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L'impiego alimentare delle erbe spontanee è una

pratica diffusa in tutta la Penisola, ma la scelta delle

piante può variare nei diversi distretti regionali.

Alcune specie sono ritenute commestibili su tutto il

territorio nazionale, per esempio l’ortica, altre,

invece, vengono raccolte e consumate solo

all'interno di delimitate zone geografiche.

Tuttavia non è semplice, senza un’adeguata

preparazione, né riconoscerle (i neofiti rischiano di

mettere nel piatto piante o radici da cui è meglio

tenersi lontani) né identificarle; basarsi sul solo

nome popolare, non è pratica sicura, perché esso

varia da regione a regione.

Per correttezza di informazione ricordiamo inoltre

che alcune specie spontanee comunemente

raccolte sono state incluse nell’elenco delle piante

a rischio di estinzione da apposite leggi regionali e

come tali ne è stata regolamentata e limitata la

raccolta.

Per non incorrere nelle sanzioni previste per legge

è quindi opportuno informarsi preventivamente per

non superare i limiti di raccolta.

82 PAN - aprile 2009 83 PAN - aprile 2009

Le tavole di MarisaCeccarelli raffigurano leseguenti specie:In apertura l’ortica (Urticadioica L.), pianta dalle note proprietà alimentari emedicinali, è utilizzata ancheper confezionare tessuti; lesommità fresche della pianta, raccolte prima dellafioritura, sono utilizzate nella preparazione di ripieni, risotti e frittate.Nella pagina a lato:l’Asparago selvatico (1)(Asparagus acutifolius L.)possiede, rispetto all'aspara-go coltivato, turioni dal sapo-re più marcato, tendenzial-mente amarognolo. Raccoltiin primavera, si cucinanolessati oppure come condi-mento per primi piatti o perfrittate.La Cicoria selvatica (2)(Cichorium intybus L.)cresce spontaneamente neicampi durante l'estate;tutte le varietà di cicoria contengono, in proporzionidiverse, quote considerevolidi vitamine, sali minerali,fibre e sostanze antiossidanti, come peresempio i polifenoli, chesvolgono un’efficace azionecardioprotettiva.Il Tarassaco (3) (Taraxacum officinale Web.)ha foglie dal sapore gradevolmente amarognolo,usate in insalata, da sole o mescolate ad altre erbeprimaverili.La pianta è ricca di vitamine,soprattutto del gruppo C.

Tipi di erbe Per garantire la conservazione, la raccolta e il corretto

uso delle erbe spontanee a scopo alimentare nelle

Marche da qualche anno è nata l’Accademia delle erbe

spontanee costituita grazie ad un’adeguata sinergia tra

Enti locali e Universitari della Regione. Tra le attività

dell’Accademia spicca la realizzazione di Corsi di

preparazione per il riconoscimento e per la conoscenza

delle norme di comportamento nella raccolta di piante

spontanee ad uso alimentare. Si sta procedendo inoltre

alla costituzione di alcuni Orti delle erbe selvatiche,

costituiti da aree sperimentali dedicate alla coltivazione,

conservazione e riproduzione delle specie selvatiche di

interesse alimentare. All’interno del progetto trovano

posto la Banca dei semi, collegata agli orti sopra citati,

e una Banca delle tradizioni, cioè una banca dati dove

possono essere raccolte tutte le informazioni attendibili

e verificate sugli usi tradizionali e popolari delle erbe

selvatiche. Info: Comune di Monte San Pietrangeli, tel.

0734.969125 - Prof. Fabio Taffetani - Dipartimento di

Biotecnologie Agrarie ed Ambientali Università

Politecnica delle Marche, tel. 071.2204642

[email protected] www.museobotanico.univpm.it

Accademia delle Erbe Spontanee

quindi più favorevole al prodotto naturale. Infine vi èil fattore “gusto”. La verdura che si acquista al super-mercato ha una gamma di sapori limitata e spessoanche piuttosto scialba, viceversa le erbe spontaneepossono vantare gusti intensi, corposi e a volte com-pletamente sconosciuti. Accanto a tutto ciò bisognapoi sottolineare che diversi studiosi e ricerche scien-tifiche hanno confermato le proprietà salutistiche emedicamentose di diverse piante spontanee. La mag-gior parte contengono infatti elevate concentrazioni disali minerali, proteine, antiossidanti, vitamine nonchénotevoli percentuali di fibre, in quantità maggioririspetto agli ortaggi coltivati.

“Andar per erbe”Sappiamo dai racconti dei nostri nonni che la praticadi “andar per erbe” era spesso svolta durante il tra-gitto di ritorno a casa dalle attività agricole giornalie-re anche perché consentiva di mettere insieme unfrugale, ma nutriente pasto serale. A testimoniarequanta importanza hanno avuto nell’alimentazioneumana le erbe spontanee- le “res nullius”, di nessu-no e di tutti, bene comune gratuito e abbondante- èbene ricordare che il botanico Linneo chiamò unadelle più apprezzate piante in cucina, lo spinacio sel-vatico, Chenopodium bonus Henricus, in onore diEnrico IV di Navarra che, secondo la leggenda, inoccasione di un periodo di carestia avrebbe permes-so alla popolazione locale di sfamarsi, concedendoledi raccogliere nelle sue proprietà questa erba. Taleattività ha avuto una ripresa in Europa durante leguerre del Novecento ed è in uso tuttora in molte partidel pianeta, là dove sopravvivono foreste e aree verdi,per fronteggiare sia le condizioni di normale miseriache le emergenze. Oggi naturalmente la raccoltadelle erbe rustiche riveste un ruolo ben diversorispetto a quello del passato: non più necessità ali-mentare, ma puro interesse per i prodotti naturali, conaccanto un plus valore salutistico da non sottovaluta-re. Ma a cosa dobbiamo l’attuale riscoperta di questialimenti a cui, sempre più di frequente, vengonodedicati libri, convegni, corsi di riconoscimento emanifestazioni gastronomiche? Probabilmente, comeaffermano i sociologi dell’alimentazione, la riscopertadelle erbe spontanee commestibili è imputabile adiversi fattori: sociali, economici, culturali e salutisti-ci. In un periodo di disastri ambientali, manipolazio-ni genetiche o alimenti contraffatti, le persone cerca-no qualcosa che le riconcilii con la natura e cosa c’èdi meglio di una bella passeggiata nei campi, lontanidall’inquinamento, magari impegnati in un’attivitàche distrae, diverte e nel contempo crea conoscenza?Oltre ciò, vi è poi la sensazione di tornare indietro neltempo, a gesti e sapori riconducibili spesso all’infan-zia, quindi a un momento rassicurante della nostravita. Inoltre, la passione per le erbe spontanee attec-chisce spesso in un substrato culturale volto alla con-sapevolezza ambientale, alla coscienza ecologica e

Guida alle erbe selvatiche di Ennio Lazzarini, edizione Hoepli, Euro 21,50

Piante Spontanee in Cucina di Cristina Michieli, edizione Aam

Terra Nuova, Euro 15,00

Le Erbe di Graziella Picchi e Andrea Pieroni, edizione Agra e Rai-Eri, Euro 25,00

Alla ricerca di erbe nel Parco di Veio di Franco De Santis,

edizione Parco di Veio, Euro 10,00

In libreria

1 32

In apertura (in piccolo)e sopra: Borago Officinalis,nella medicina popolarevanta proprietà depurative, diuretiche, diaforetiche, toniche, antinfiammatorie;distese di verde dove si raccolgono numerose erbeutili a scopo alimentare ma anche medico.(foto di Vito Consoli)

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Il fascino di uno tra i più antichi territori della penisola, dove forse un giorno uomini e dei si sono incontrati

CirceLe terre della Maga

84 PAN - aprile 2009 85 PAN - aprile 2009

testo di Carlo Roccafoto di Massimo Tufano, Massimiliano Barresi, Filippo Belisario,Nicola Marrone, Parco Letterario, Parco del Circeo

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87 PAN - aprile 2009

maggiori zone umide in Europa, habitat di anguil-le e cefali, così come di uccelli quali aironi e cor-morani, falchi di palude e falchi pescatori, maanche testuggini d’acqua. I resti della Villa di Domiziano (I sec d.C.), lungoil lago di Sabaudia, ci ricordano che la città eter-na non è lontana. L’isola di Zannone con i suoi100 ettari disabitati consente invece di immerger-si in solitudine nel Lazio come doveva essere anti-camente, stregati dal profumo delle ginestre e deilentischi per osservare i nidi nascosti del gabbia-no reale. Infine, le innumerevoli grotte contribuiscono arendere ancora più affascinante e misteriosa lavisita al promontorio. Ci raccontano una storiaancora più antica di quella omerica: nella Caladella Cava d’Alabastro a Quarto Caldo sono statirinvenuti resti di uomini risalenti a più di 9000anni fa, mentre nella grotta Guattari nel 1939 fuscoperto un cranio di Neanderthal.Il filo rosso del mito omerico e della antica tradi-zione dell’Urbe prosegue a sud dell’area delCirceo, nell’estrema propaggine tra Lazio eCampania, dove tra mare e montagne ora brulle,ora coperte da fitte faggete, si distendono spiaggee spettacolari falesie, ideale palestra per climbers.Qui nel 2003 è stato istituito il Parco della Rivieradi Ulisse, allo scopo di preservare sia l’ambientenaturalistico, sia lo straordinario patrimonioarcheologico che affiora dal terreno non appena sicominci a scavare (ricordiamo che ci troviamolungo il percorso dell’antica Via Appia). L’area

86 PAN - aprile 2009

“CERTAMENTE TU SEI IL MULTIFORME

ODISSEO, CHE A ME L’ARGHEIFONTE

DALLA VERGA D’ORO SEMPRE PREDICAVA

CHE SAREBBE GIUNTO, TORNANDO DA ILIO CON LA

RAPIDA NAVE NERA. MA VIA, NEL FODERO RIPONI LA

SPADA, E NOI DUE POI ANDIAMO SUL NOSTRO LETTO,FINCHÉ UNITI NEL TALAMO E NELL’AMORE POSSIAMO

FIDARCI L’UN DELL’ALTRO.” ODISSEA, LIBRO X, 330

La tradizione vuole che Odisseo nel suo peregri-nare da una sponda all’altra del Mediterraneosotto il giogo dispettoso degli dei, risalendo lacosta italica ebbe un giorno a fermarsi proprioqui, da qualche parte sul Promontorio del Circeo.Si racconta che quando il fido Euriloco, inviato daUlisse in ambasceria presso la corte del Palazzodi Circe tornò, riferendo che tutti gli uomini eranostati irretiti e trasformati in maiali, il dio Ermes inpersona offrì all’eroe omerico il modo per salvar-si: un’erba di nome moly, che introdotta nellabevanda offerta dalla Maga, avrebbe reso vanol’incantesimo. Una foglia selvatica, tratta dal ven-tre misterioso dei boschi del promontorio, dovenon è difficile immaginare muoversi uomini, divi-nità e maghe con le loro pozioni. Il mito omerico, profondamente legato alla natura,è ancora evocato prepotentemente nel fascino mil-lenario di quest’area dalle molte fisionomie, pro-prio come multiforme è Odisseo. Nel Parco Nazionale del Circeo, che protegge icirca 8500 ettari tra Latina e S. Felice Circeolungo la costa tirrenica, così come nel Parco

Regionale della Riviera di Ulisse, tra Sperlonga eMinturno, la suggestione e il mistero di quei rac-conti sono ancora evocati dalla natura, che riaf-ferma oggi come allora la supremazia sulle picco-le vicende umane. Nel vicino Agro Pontino ilParco Letterario Omero, scelto dalla FondazioneIppolito Nievo quale Centro Internazionale deiParchi letterari, sottolinea e preserva l’anticopatrimonio culturale di queste terre.Il notevole stato di conservazione del patrimonionaturalistico che consente oggi al visitatore diimmergersi in una dimensione senza tempo è ilrisultato di un lavoro di cura e recupero dell’am-biente che ne fa un esempio di salvaguardia delterritorio. Al Circeo i lavori sono cominciati nel1934, anno d’istituzione del Parco Nazionale, dicui ricorre il settantacinquesimo anniversario,primo e più antico dei parchi laziali. Una visita sulle orme di Omero, alla ricerca delpalazzo e della grotta di Circe sull’isola Eea (oggiidentificata col Promontorio del Circeo, che svet-ta sulla pianura pontina proprio come un’isola) odella tomba di Ulisse, è certamente d’obbligo, mail Parco presenta innumerevoli altre ragioni diinteresse: la foresta di Pianura, retaggio dell’anti-ca Selva di Terracina, con le piscine, depressioniin cui affondano le loro radici nell’acqua alberisecolari, abitata dai daini e da specie in via diestinzione come, tra gli uccelli, il picchio murato-re, il picchio rosso minore, il lodolaio. La zonacostiera offre invece l’incanto dell’acqua: punteg-giata da quattro lagune, rappresenta una delle

In apertura: il panorama sul Circeo visto dal Lago di Paola

Sulla doppia pagina in senso orario:gli antri della Grottadell’Impiso;Borgo Villa Fogliano cheospita alcune strutture delParco Nazionale del Circeo;i fondali di Zannone, dove ilmare ospita specie protettecome le stelle marine (fotodi Vito Consoli);una suggestiva immaginedella Montagna Spaccata(foto di Filippo Belisario).

Località di partenza e arrivo Molo di VaroDifficoltà T, bisogna provvedere ad acqua e vivande prima della partenza Dislivello + - 194 metri Tempo di percorrenza 2 ore

Dal porto turistico di San Felice Circeo, il battello dopo poco meno di 22 miglia di

motonave approda a Ponza, e da qui ancora 6 miglia, in barca, fino al porticciolo

del Varo, sull’isola di Zannone, dove percorrere sentieri nel verde incontaminato e

disabitato dall’uomo. Tra le più importanti rotte di migrazione dell’avifauna, l’isola

ospita anche una colonia di circa 30 mufloni, introdotti a scopo venatorio all’inizio

del Novecento. L’itinerario lungo 3 chilometri può suddividersi in 3 tappe. Dal molo

di approdo, seguendo il segnavia (frecce e vernice bianca) si arriva al piccolo

museo della casa di Custodia. Proseguendo tra la fitta macchia mediterranea,

dopo appena 800 metri dal Varo, s’incontrano i resti di un convento benedettino

sorto su un antico impianto romano. Il faraglione tufaceo visibile da metà della sali-

ta è lo scoglio del Monaco, mentre il belvedere si affaccia sul faro di Capo Negro

e, oltre, sul mitico profilo del promontorio del Circeo. Lungo la traccia che sale al

Monte Pellegrino, ciuffi di lentisco, mirto ed eriche si sostituiscono all’elicriso delle

scogliere vulcaniche del versante sud-ovest, mentre, a ridosso della cima, sono i

cisti e le ginestre a lasciare il posto ai corbezzoli e al bosco di leccio del versante

nord. Guadagnata la vetta del Monte Pellegrino (m 194), l’occhio fugge verso il

cielo, il mare, le isole dell’arcipelago e, più in lontananza, la terraferma. Non resta

che coprire gli ultimi 900 metri perdendo quota nella lecceta del Cavone del Lauro

e raggiungere il punto più basso del percorso da cui si scorge ancora il mare e la

scogliera. Il sentiero ora prende a salire nuovamente piegando verso i resti del con-

vento benedettino incontrato all’inizio dell’escursione. Si torna verso l’imbarco

seguendo le tracce bianche della segnaletica e quelle, lievi, dei mufloni che al Varo

vanno in cerca del cibo dato loro dal personale, sempre presente, del Corpo

Forestale dello Stato. Se la stagione lo consente e se siete stati abbastanza previ-

denti da prevedere un costume da bagno nello zaino, il divertimento continua nelle

acque cristalline della caletta prospiciente l’antica peschiera romana.

Camminando / L’Isola di Zannone Gemma dell’arcipelago delle Isole Pontine, dal 1979 rappresental’appendice insulare del Parco Nazionale del Circeo

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88 PAN - aprile 2009 89 PAN - aprile 2009

ritorio come teatro delle gesta dell’eroe di Itaca,gesta già note e raccontate agli antichi, comeavveniva in uno dei più interessanti monumentiarcheologici del Parco, la Villa di Tiberio, di cuirimangono tracce monumentali. L’edificio, scoperto per caso negli anni Cinquanta delNovecento a partire dalla cosiddetta Grotta diTiberio, ospitava gruppi marmorei che raccontavanole vicende dell’astuto Odisseo, raffiguranti l’interopantheon dell’antichità e i protagonisti della sagaomerica, da Ganimede a Scilla a Polifemo. Più disettemila pezzi rinvenuti sono conservati nel MuseoArcheologico Nazionale di Sperlonga, mentre ancoraal suo posto come duemila anni fa il Ninfeo diTiberio continua ad emozionare con l’acqua traspa-rente del Mediterraneo che arriva a sfiorare le anti-che pietre dell’imperatore.Una visita ai Parchi non potrà non prevedere unassaggio delle tipicità locali: dalla mozzarella dibufala campana al corposo miele di eucalipto, dal-l’antica tiella (una focaccia ripiena di polpi e cala-mari o verdure) alle pregiate olive di Gaeta, dallelenticchie di Ventotene al ben noto Circeo Doc nelleversioni rosso, bianco e rosato. Siamo certi cheanche Ulisse avrebbe gradito.

Località di partenza e arrivo Torre PaolaSegnavia bianco rosso - giallo rossoDifficoltà EEDislivello 521 metri a salire e a scendereTempo di percorrenza 2.45 ore Periodo consigliatodalla primavera all'autunno

In questo itinerario, che consigliamo agli escursio-

nisti più esperti, ci avventuriamo nel cuore della leg-

gendaria isola di Eaa. Da Torre Paola, antica torre

posta a limite della spiaggia di Sabaudia (eretta nel

1563 a difesa delle incursioni saracene), s’imbocca

il sentiero segnato su sterrato che s’inoltra nella fitta

lecceta che ogni tanto lascia intravedere la cima del

monte. Giunti in un punto in cui la stradina si allar-

ga, al bivio svoltiamo a destra e cominciamo a sali-

re costantemente, zigzagando, immersi nella vege-

tazione fino a raggiungere la cresta di crinale. Da

qui la vista spazia sul Tirreno. Usciti dal bosco,

salendo più lentamente lungo la diradata vegeta-

zione di macchia, si raggiunge la prima anticima

nota anche come Picco d'Istria. Ammirato il pano-

rama, scendiamo sulla sella nella quale occorre

muoversi con cautela perchè presenta qualche trat-

to esposto adatto solo ad escursionisti esperti.

Sempre seguendo le indicazioni giungiamo final-

mente al pianoro sottostante la vetta. Continuando

a camminare in direzione della cima, raggiungiamo

un bivio dove troviamo da un lato la discesa per il

rientro che tralasciamo, e dall’altro il sentiero princi-

pale che conduce alla vetta del Monte di Circe.

Raggiunta la cima riprendiamo fiato e godiamo

della vista straordinaria sul Parco e la pianura pon-

tina, su Ventotene e Santo Stefano, sul Tirreno e, a

sud, sull’emozionante e inconfondibile sagoma del

Vesuvio. Il ritorno avviene lungo lo stesso percorso

fino al bivio sopra indicato, prendendo questa volta

la discesa che scendendo nella lecceta si ricon-

giunge con la stradina sterrata che ci riporta al

punto di partenza.

Camminando / Trekking a casa di CirceSi racconta che il profilo del Monte Circeo sia lei, la Maga,addormentata da secoli

COME ARRIVARE / Parco del CirceoIn auto. Da Nord o Sud, Autostrada A 2, direzione Napoli o Roma, uscita di Frosino-ne, segue la SS 156 Monti Lepini direzione Latina sino al bivio per Priverno, da dovecon la SP Marittima si raggiunge la SP Migliara 53 che, dopo l’incrocio con la SS 148Mediana (tratta Latina-Terracina della SS 148 Pontina), attraversa la Foresta del Par-co sino a giungere al centro abitato di Sabaudia dove è ubicato il principale CentroVisitatori del Parco.In treno.Linea Roma-Napoli via Formia Stazione FS di Priverno-Fossanova da dovepartono bus di linea CO.TRA.L per Sabaudia.In nave.Per arrivare a Ponza si possono utilizzare i collegamenti navali di linea in par-tenza dai porti di Formia (Caremar), Terracina (Mazzella), Anzio (Caremar), San Feli-ce Circeo.

COME ARRIVARE / Parco Rivera di UlisseIn auto. Autostrada del Sole, uscita di Cassino, segue superstrada per Formia. DaNord: uscire a Roma Sud dall'Autostrada del Sole A 1, percorrere il Gran RaccordoAnulare in direzione Sud-Napoli e poi la SS 148 Pontina. Dopo Terracina si può sce-gliere la Litoranea SS 213 Flacca per raggiungere Sperlonga, Gaeta, Formia e Min-turno-Scauri o la SS 7 Appia per Itri.Dopo Itri, l'Appia raggiunge Formia e poi Mintur-no e il confine con la Campania.Da Sud è anche possibile percorrere la SS Domizia-na da Napoli.In treno. Roma e Napoli sono collegate regolarmente (un treno ogni ora) con l'areadel Golfo tramite gli scali di Fondi (per Sperlonga), Formia e Minturno.In nave. Porti turistici di S. Felice Circeo, Terracina, Anzio ed Isole Pontine. Dal Portodi Formia è possibile raggiungere le isole dell'arcipelago pontino (Ponza e Ventotene)in traghetto o aliscafo. Per informazioni: CAREMAR, Tel. 0771.22710-23800;VETOR(aliscafi) - Tel 0771.700710-267098

NUMERI UTILIParco Nazionale del CirceoCentro Visitatori, Sabaudia – Tel. 0773.511385Area faunistica – Tel. 0773.511385Centro documentazione – Tel. 0773.511385.Visitabile gratuitamente in orario anti-meridiano nei giorni feriali.Area ricreazionale – Tel. 0773.208072. In località Villa Fogliano, con aree a verde,sentiero natura “orto botanico” (esclusivamente visite guidate per gruppi).Visite guidatePer informazioni e visite guidate: Tel.0773.549038 / 0773.511385 [email protected] [email protected] informazioni turistico-alberghiereEnte Provinciale del Turismo di Latina – Tel. 0773.695404Uffici turistici di Sabaudia – Tel. 0773.515046Uffici turistici di San Felice Circeo – Tel. 0773.547770Uffici turistici di Latina – Tel. 0773.480672Uffici turistici di Ponza – Tel. 0771.80031Museo Civico del Mare e della Costa “Marcello Zei”Via Verbania,1 – Sabaudia (LT) – Tel. 077355542; 0773511340Parco Regionale Riviera di UlisseVia Annunziata, n.21 – 04024 Gaeta (LT) – Tel. 0771/743070 www.parcorivieradiulisse.it Uffici informazioni e assistenza al turistaGaeta – Via Filiberto, 1 – Tel. 0771.461165Formia – Via Unità d’Italia, 34 – Tel. 0771.490Minturno – Via Lungomare, 32 – Tel. 0771.683788Parco Letterario OmeroAssociazione Turistico Culturale “Ravenala” – Villa Fogliano, LatinaTel. 338.5452491 / 339.5880408 – www.parchiletterari.com/parchi/omero/

Notizie utili

comprende più di 300 ettari di territorio e ben 100di riserva marina e propone tre aree differenti: ilMonumento Naturale Punta Cetarola e il promon-torio della Villa di Tiberio nel territorio diSperlonga, il Parco di Monte Orlando a Gaeta, ilParco di Gianola e Monte Scauri a Minturno eFormia. Tutte offrono una vera immersione nell’e-cosistema mediterraneo con la tipica macchia ver-deggiante sulla roccia che digrada fino al maredove gli appassionati di snorkelling potranno sco-prire fondali ricchi di vita. Non lontano da qui si trova anche la RiservaMarina delle Isole Ventotene e Santo Stefano nel-l’arcipelago pontino, autentico patrimonio di bio-diversità. Più a sud, Monte Orlando si erge allespalle di Gaeta. Anche qui la storia ha lasciatomemoria nel Mausoleo di Lucio Munazio Planco,un generale di Cesare, in perfetto stato di conser-vazione, mentre il Santuario della MontagnaSpaccata si affaccia sul mare di Ulisse nei pressidella spiaggia del Serapo e prende il nome dallacircostanza di sorgere in prossimità di una spetta-colare fenditura della falesia. La scenografia millenaria di pietra disegnata dallanatura non rende difficile immaginare questo ter-

Sulla doppia pagina in senso orario:gli strapiombi del MonteOrlando s’immergono nel mare (foto di NicolaMarrone);a chi si reca nel Circeo sarà sicuramente proficuauna visita al MuseoNaturalistico del Parco;non solo trekking... durantel’estate il Parco si anima di numerose manifestazioni;una vista “a lungo raggio”sul Parco Nazionale delCirceo (foto di MassimilianoBarresi).

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Nel cuore del Lazio si nasconde un universo sotterraneo con 1400 grotte,il Pozzo del Merro, di origine carsica, è una di queste

90 PAN - aprile 2009 91 PAN - aprile 2009

DENTRO ALLA TERRA, SOTTO ALLA SUPERFICIE

CHE SEMBRA PORRE FINE AL NOSTRO SPAZIO

ESPLORATIVO SI APRONO MONDI DI PIETRA,PERCORSI E SPAZI IMPENSABILI IN GRADO DI STUPIRE

AD OGNI TRATTO. PROFONDE VORAGINI SCENDONO

ALLA RICERCA DEL PIÙ INTIMO VENTRE DEL PIANETA,SVELANDO AMBIENTI COMPLESSI, REGNO D’ACQUA E

DI ROCCIA.

Nel cuore del Lazio si cela un volto sotterraneocostituito da ben 1400 grotte, quasi tutte d’originecarsica. L’unica eccezione è il Pozzo del Diavolopresso il Monte Venere, nella Riserva NaturaleRegionale del Lago di Vico, una piccola cavità diorigine vulcanica, unica attualmente conosciutanel Lazio, che costituisce ciò che rimane dell’anti-co cratere del complesso vulcanico vicano.Le grotte e i fenomeni carsici che caratterizzano laRegione Lazio riservano un ruolo principale all’ac-qua che, agendo sulle rocce carbonatiche, scavacunicoli e profonde cavità, scolpisce forme di pie-tra e modella gli ambienti con i quali entra in con-tatto. Tra la valle del fiume Tevere e i Monti Cornicolani,dove particolarmente intensi sono i fenomeni car-sici, la Riserva Naturale di Gattaceca e Macchiadel Barco ci accoglie con le sue dolci colline verdiimpreziosite dagli uliveti da cui si ricava il pregia-to olio della Sabina.Sembra difficile immaginare che, a circa venti chi-lometri in linea d’aria da Piazza di Spagna, si celiun intero ambiente sotterraneo che per centinaiadi metri scende sotto il livello del suolo, raggiun-gendo una profondità che non ha eguali al mondo:il Pozzo del Merro. Un importantissimo geosito ilcui pregio scientifico e ambientale appartiene alpatrimonio geologico del nostro pianeta. In mezzoalla campagna nasconde meraviglie e misteri,stretti nella roccia e avvolti nel buio. Situato all’in-terno della riserva si presenta come una dolina diforma ovale del diametro di 150 metri che spro-fonda per altri 80. Le pareti della cavità sono fitta-mente rivestite da una rigogliosa vegetazionecostituita per lo più da elementi sempreverdi tra iquali il leccio (Quercus ilex), e l’alloro (Laurusnobilis). Nel sottobosco sono abbondanti il pungi-topo (Ruscus aculeatus), i ciclamini (Cyclamenhederifolium e C. repandum), l’edera (Hederahelix) e varie altre specie. La vegetazione all’inter-no della cavità, rigogliosissima, ricorda talvolta,soprattutto se bagnata dalla pioggia, quella dialcune regioni subtropicali. A dare questa sensa-zione contribuiscono anche le numerose specie difelci presenti. Nella parte più bassa della cavità, a

Meravig lie

testo di Elisa Canepafoto Archivio ARP, Marco Giardini, Leonardo Vignoli

Il Pozzo delle

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sulle specie presenti, per conoscerne le caratteri-stiche e le loro più intime relazioni. Il Merronasconde, appena sotto al pelo dell’acqua, creatu-re come il Tritone punteggiato e il Tritone crestato,mentre fino a 73 metri di profondità vive il piccolocrostaceo anfipode del genere Niphargus, specieendemica del pozzo. Per l’unicità della biodiversità riscontrabile all’in-terno del geosito, questo luogo merita di esseretutelato e conservato accuratamente.E’ anche con questo obiettivo che la RiservaNaturale della Macchia di Gattaceca e Macchiadel Barco” è oggetto di un progetto diBiomonitoraggio faunistico. Grande spazio è dedicato allo studio e all’indivi-duazione delle cosiddette specie aliene, non carat-teristiche della fauna del luogo, presenti in segui-to alla loro introduzione volontaria o accidentalenell’ambiente in serio pericolo habitat ancora pococontaminati.Nel nostro caso, come precedentemente accenna-to, la comunità biotica del Pozzo del Merro, è statafortemente disturbata dalla presenza di una felcetropicale aliena, la Salvinia molesta, che ha invasolo specchio d’acqua sostituendosi all’originale tap-peto di Lemna minor, una lenticchia d’acqua. Lafelce infestante priva di luce e di ossigeno l’interacomunità dei viventi, rischiando di compromettereirrimediabilmente il prezioso equilibrio del pozzo.Ad una prima analisi il fenomeno può appariretotalmente estraneo all’agire umano. Difficile col-legare l’invasione di uno specchio d’acqua da partedi una pianta infestante a comportamenti inco-scienti ed errati. A breve si scopre però che laSalvinia non è l’unica nuova arrivata: una tartaru-ga acquatica americana rivela come, un gestoapparentemente privo di implicazioni per l’ecosi-stema, liberare in natura la tartaruga domestica dicui non possiamo più occuparci, insieme al conte-nuto dell’acquario che la ospitava, (la felce, appun-to) rappresenti un serio pericolo per la conservazio-ne del prezioso equilibrio del pozzo. Il 13 Marzo scorso si è concluso un peculiare inter-vento di bonifica per l’eradicazione della Salviniamolesta dal geosito. Il Servizio Ambiente dellaProvincia di Roma, nell’intento di ripristinare l’ha-bitat originario, ha organizzato l’asportazione dellafelce esotica attuando un intervento di bonificaambientale unico in Italia sia per l’esclusività delsito sia per la tipologia di pianta infestante, prati-camente sconosciuta nel nostro territorio.Le operazioni si sono svolte con l’ausilio del NucleoSommozzatori dei Vigili del Fuoco di Roma, di ele-vata professionalità, che già in passato si è reso pro-tagonista del Merro avendo effettuato le esplorazio-ni che hanno stabilito la profondità della voragine.L’accesso al Pozzo del Merro è chiaramente preclu-so al pubblico per ragioni di sicurezza ma laRiserva Naturale di Gattaceca, con i suoi verdipascoli e i tanti misteri del sottosuolo, esercita unfascino irresistibile e merita senz’altro una visita.

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ridosso dello specchio d’acqua, si trovano invecerigogliosi esemplari di fico (Ficus carica) e sambu-co (Sambucus nigra). L’intera superficie lacustre,ricoperta fino a pochi anni fa da un verde ed uni-forme tappeto di lenticchia d’acqua (Lemnaminor), è stata completamente tappezzata da unainvasiva felce acquatica esotica di origine tropica-le: la Salvinia molesta. Si tratta di una specie infe-stante, della quale parleremo più avanti, presentein Italia solo in due siti, uno dei quali è appunto ilPozzo del Merro.Qui la discesa sembra avere fine, il grande saltodal piano campagna appare concludersi con unlaghetto di modeste dimensioni invaso dalle pian-te. Interessante constatare come l’apparenza, inquesto caso, si riveli del tutto ingannevole. Sotto lasuperficie dell’acqua si sviluppa un pozzo allagatoparagonabile solo al cenote messicano El Zacatón,in quanto di entrambi non si è ancora riusciti a sta-bilire l’effettiva profondità. Dopo i meno 100metri, quota raggiunta dagli uomini, si è affidatol’esplorazione a robottini specializzati in dotazionealle squadre dei sommozzatori, in grado di portar-si fino ai meno 392 metri.Questo “sinkhole”, è noto a partire dal 1890 e ilsuo nome, Merro o Mero, appartiene ad un dialet-to ormai perduto che attribuiva al vocabolo ilsignificato di voragine, profonda dolina.

Il pozzo ha sfidato gli uomini nel corso del tempoche, attratti dal suo cuore d’acqua e pietra ancorainviolato, hanno provato e riprovato a superare sestessi guadagnando sempre più metri dalla super-ficie. Gli speleosub si sono calati nella profondavoragine, guidati dal semplice desiderio di saperecosa c’è oltre. Tra questi pochi eletti, anche JimBowden, uno dei più grandi al mondo, colui che siè confrontato con i più profondi cenotes messicanie ha dedicato la vita alle sue “montagne con lapunta in giù”.Forse, finalmente, si è toccato il fondo. O forse no.Il pavimento pianeggiante ha rivelato una prosecu-zione laterale orizzontale mai percorsa. Per questo e altro ancora, il Pozzo del Merro haancora molto da raccontarci.

Un ecosistemada proteggereNon sono solo la profondità, le infinite diramazio-ni, i cunicoli inesplorati e le grotte laterali a desta-re la curiosità di chi studia questo monumentogeologico; la vita all’interno del pozzo è altrettantoaffascinante e ricca di misteri. Attenti studi si pro-pongono di analizzare il funzionamento di un eco-sistema così delicato e unico al mondo, indagando

In apertura:il Pozzo del Merro (foto di Marco Giardini).

Sopra in senso antiorario:Tritone punteggiato, che,come il Tritone crestato, vivenelle acque del Pozzo delDiavolo (foto di LeonardoVignoli);rappresentazione della circolazione delle acque carsiche secondo Kirher(illustrazione tratta dallapubblicazione “Le grotte del Lazio”);Salvinia molesta (foto di Marco Giardini).Il Pozzo del Merro (foto diMarco Giardini).

La Regione riconosce l’importanza ambientale e l’interesse scientifico del

patrimonio carsico e ne promuove la tutela e la valorizzazione favorendo lo

sviluppo dell’attività speleologica.

Per questo ha promulgato una legge apposita: la Legge Regionale 1 settembre

1999 n. 20 “Tutela del Patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia”.

Inoltre, l’ufficio geodiversità dell’ARP, per agevolare la divulgazione delle

conoscenze in materia, ha pubblicato nel 2003 l’atlante “Le grotte del Lazio –

i fenomemi carsici, elementi della geodiversità” (Autori: Giovanni

Mecchia,Marco Mecchia, Maria Piro, Maurizio Barbati)

Legge regionale 20 Settembre 1999 n.20

NUMERI UTILIRiserva Naturale Regionale Macchia di Gattaceca - Macchia del Barco

Via Tiburtina 691 - 00192 Roma - Tel. 06.6766330 [email protected]

Società Speleologica Italiana O.N.L.U.S.Centro Italiano di Documentazione Speleologica “Franco Anelli”Via Zamboni 67 - 40127 Bologna - Tel. 051. 250049

[email protected] www.cds.speleo.it

Federazione Speleologica del Lazio O.N.L.U.S.c/o Speleo Club Roma - Via Andrea Doria 79f - 00192 Roma

http://fsl.artov.rm.cnr.it

Club Alpino Italiano - Sede Centrale - Tel. 02. 2057231 - www.cai.it

BIBLIOGRAFIAM. Giardini, G. Caramanna, U. Calamita, in “Natura & Montagna”Periodico semestrale di divulgazione naturalistica dell’Unione Bolognese

Naturalisti, n. 2 – Anno 2001. (Disponibile al LEA di Mentana).

NOTIZIE ONLINEwww.parchilazio.it

www.azototeam.it/pozzo_del_merro.html

www.speleoclubroma.org

Notizie utili

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Sulle orme del Poverello di Assisiche qui, a contatto con la natura, ne scoprì l’intima armonia

FIl Cammino di

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rancescotesto di Carlo Roccafoto di Riserva Naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile,APT Rieti, Aldo Frezza, Archivio Trekking

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Velino dalle acque purissime. Originariamente lavalle era coperta interamente dall’acqua dell'anti-co Lago Velino. La bonifica avvenne a opera deiRomani a partire dal III secolo avanti Cristo.L’originario ambiente lacustre è a oggi evocato epreservato dalla Riserva dei Laghi Lungo eRipasottile, un luogo di assoluta suggestione checonsente un vero viaggio nella storia geologica diquest’area. Nella Riserva con al centro i dueimportanti bacini, si conservano e trovano prote-zione alcune specie tipiche della flora lacustre,quali il salice bianco, il salice rosso che infiammala vegetazione autunnale e il salice da ceste, cosìchiamato per l’utilizzo che se ne fa per creare itipici manufatti. Straordinaria anche la varietà diuccelli che trovano nei due bacini punti di sostaideali nella stagione migratoria: anatre, folaghe,aironi e cormorani popolano questi luoghi. LaRiserva può essere visitata a piedi o in biciclettae consente diverse e numerose attività sportive enaturalistiche, dal birdwatching al parapendio.

Passaporto per il ParadisoGrazie anche al prezioso supporto del CorpoForestale dello Stato, le tappe del Cammino diFrancesco – che in parte attraversano la Riserva deiLaghi Lungo e Ripasottile – sono ben segnalate esoggette a manutenzione continua, in modo da con-sentire a tutti, famiglie comprese, l’immersione nellanatura francescana: un “cammino di fede” che riper-corre le tappe di una vita spesa all’insegna del misti-cismo cristiano. Il buon pellegrino prima di avventu-

L’INCANTO DI FORESTE E LAGHI MILLENARI, DI

BORGHI ANTICHI ED EREMI ABBARBICATI TRA

LE ROCCE: SULLE ORME DEL POVERELLO

D'ASSISI, CHE QUI S'INNAMORÒ DELLA NATURA SCO-PRENDONE LA PIÙ INTIMA ARMONIA.

Era la notte di Natale del 1223 quando nel picco-lo e antico borgo di Greccio, affacciato sulla verdepianura reatina, un uomo vestito di pochi stracci,la cui fama si era già diffusa e affermata in buonaparte del centro Italia, cominciò durante la Messaa rievocare la nascita di Gesù. I movimenti lenti ecarismatici, temprati dalla dura vita in solitudinee dalla trascendente meditazione, attiravano estregavano lo sguardo degli abitanti. La tradizioneracconta che in quella notte un piccolo bambino simaterializzò e fu preso tra le braccia dal poveruo-mo: quella fu la prima rappresentazione storicadel Presepe, opera di Francesco, il giovane, figliodi una ricca famiglia di mercanti di Assisi, che dilì a poco avrebbe cambiato la storia della Chiesa,predicando nel cuore d’Italia. Ancora oggi il suo nome evoca fantasie di viaggio,cambiamento, passaggio da un luogo a un altro.Tutto in Francesco è movimento, trasformazione,contemplazione del mondo, della natura. Il mondoamato da Francesco non è la mondanità, ma lacomunità degli uomini semplici e, soprattutto, ilcreato. La contemplazione non semplicementeestatica del mondo circostante, l’amore infinitoper tutti gli elementi che gli occhi possono coglie-re, il regalo del silenzio che la natura ci offre,concetti che trovarono espressione nel celeberri-mo Cantico delle Creature. Tutto questo èFrancesco. Nel Cantico ogni albero, ogni fiore, ogni soffio divento viene amato. E proprio nella Valle Reatina,nota oggi come Valle Santa, Francesco trovò glistimoli, le sensazioni, gli orizzonti che originaro-no il capolavoro poetico. Naturalista ante litte-ram, il Santo trovò in questa valle, disegnata dauna luce magica e da colori dal contrasto fortissi-mo, le ragioni stesse per un migliore rapporto del-l’uomo con se stesso e con la natura che lo cir-conda. Ripercorrere questi luoghi, seguendo leinnumerevoli opportunità offerte, a piedi o inbicicletta, rappresenta un modo diverso e consa-pevole per recuperare il senso del nostro rappor-to con la natura.

Il miracolo dell’acquaIl Cammino di Francesco venne inaugurato nel2003 e si articola in otto tappe per una lunghezzatotale di circa 80 chilometri che si sviluppanonella Valle Reatina seguendo il peregrinare delSanto. La valle fu una delle tre patrie di Francesco– insieme ad Assisi e La Verna – e segna la finedella sua parabola terrena. La Pianura reatina èchiusa da una corona di colline e montagne ed èfertilissima, ricca di corsi d’acqua, come il fiume

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In apertura: la bruma del mattino sveglia la natura selvaggia del Lago di Ripasottile

Sulla doppia pagina dall’alto: uno dei luoghi“francescani” per eccellenza,l’antico borgo di Greccio;il Santuario di PoggioBustone invita alla meditazione e induce ariflettere sui valori trasmessida San Francesco;dalle acque lacustri emergo-no fiabesche ninfee;le indicazioni per il “SentieroNatura” (foto di AldoFrezza);lungo i canali e le spondedel lago si sviluppa una retesentieristica percorribile siaa piedi sia a cavallo;il volo di un germano realesulle acque del Lago diRipasottile.

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rarsi sui passi del Santo, potrà munirsi di passapor-to, proprio come nella tradizione dei grandi itineraridella fede come Santiago di Compostela: il docu-mento certificherà il passaggio dai quattro principa-li santuari francescani lungo il percorso, utile allafine per ottenere l’attestato del pellegrino.Il Cammino segue le orme storiche del Santo parten-do da Rieti, dove sarà possibile visitare il Palazzopapale e l’oratorio in cui Francesco donò il propriomantello a una donna povera. Lasciandosi alle spal-le la cittadina che i romani soprannominaronoUmbelicus Italiae, per la sua posizione centralelungo lo stivale, ci si immerge in un ambiente affa-scinante che segna simbolicamente una trasforma-zione, un passaggio: la quiete dei boschi accoglie ilviaggiatore che capirà presto perché proprio da que-ste parti, intorno al 1225, Francesco compose ilCantico. Nel silenzio interrotto solo dallo scorrere dei ruscel-li, il Santuario di Santa Maria della Foresta segna laprima tappa – e punto di appoggio – del percorso.La salita all’eremo di Poggio Bustone ci ricordainvece l’inizio della missione di pace dei france-scani, segnata dal celebre “Buon giorno, buonagente” con cui il poverello salutò la semplice gentedel borgo. L’incedere del cammino è un alternarsi di borghi eluoghi silenziosi, a testimoniare il percorso stesso deifrancescani, per tradizione insediatasi fuori dallecittà ma non troppo lontano della comunità degliuomini, differenziandosi in questo da altri ordini reli-giosi, come quello benedettino che invece ha semprepreferito l’isolamento e la meditazione.Dopo il centro storico di Poggio Bustone, si giungeall’ombra del maestoso e straordinario Faggio diRivodudri che con la sua enorme chioma distende glianimi e meraviglia gli occhi. Si dice che soltanto altridue esemplari nel mondo abbiano una forma simile.Dopo il silenzio, il sentiero ci avvicina alla gente,nella già citata Greccio, luogo di arte e culturamedievale dove l’eremo, abbarbicato sulla roccia, èstato riconosciuto dall’UNESCO PatrimonioMondiale dell’Umanità. Più oltre, un altro boscosecolare di lecci sul fianco del Monte Rainero ciregala il prezioso Santuario di Fontecolombo: quiFrancesco e i suoi fedeli avrebbero, nella grotta notacome il Sacro Speco, sancito la Regola definitivadell’Ordine. Si racconta che sempre in questo luogoFrancesco venne operato all’occhio con un ferrorovente. Posta, luogo di fondazione della primacomunità di Frati Minori, e il reliquiario delTerminillo – fatto edificare nel cuore della grandemontagna da Pio XII che proclamò FrancescoPatrono d’Italia nel 1939 – concludono il Camminodi Francesco.Lasciando alle spalle la Valle Reatina, l’itinerariopuò comunque proseguire fino a Roma: un percorsoa piedi che da Rieti conduce i pellegrini attraverso laSabina, lambendo il Parco dei Monti Lucretili, e poiattraverso la campagna romana e la città di Roma,fino a San Pietro.

Località di partenza e arrivo Centro visite della Riserva dei LaghiLungo e Ripasottile Difficoltà EDislivello assenteTempo di percorrenza 3 ore Periodo consigliato primavera, estate, autunno

Un itinerario a piedi adatto a tutti per godere del microcosmo acquatico della

Riserva Naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile e di ciò che resta dell’antico spec-

chio d’acqua bonificato in età romana. Provenendo da Rieti dalla provinciale

Ternana si gira a destra, direzione Poggio Bustone;percorsi 1,9 km si incontra sulla

destra uno dei due Centri Visite della Riserva dove è possibile parcheggiare.

S’imbocca il sentiero del lago Lungo che si raggiunge dopo circa 800 metri. Qui si

trova il primo dei tre capanni in legno su palafitte per birdwatching, realizzati recen-

temente dalla Riserva. Altre due strutture adibite all’avvistamento dell’avifauna si

trovano lungo i quasi 2 chilometri di sentiero delimitato da staccionata: la prima è

costruita sul lago e l’altra su una cosiddetta “lama”, un piccolo stagno anch’esso,

come i due laghi, residuo dell’antico Lacus Velinus bonificato in epoca romana con

la realizzazione della cascata delle Marmore. Da lì si riprende la macchina, per-

correndo per 650 metri la provinciale ternana fino al bivio di Ponte Crispolti, dove

occorre girare a destra e seguire le indicazioni per il lago di Ripasottile. Percorsi

2,4 km si raggiunge l’altro Centro Visite della Riserva, in località Lanserra, realiz-

zato nell’edificio delle idrovore costruito negli anni ’40 del Novecento per regola-

mentare il livello del bacino che in natura sarebbe più alto di circa due metri, e

sommergerebbe una area vasta della pianura reatina.Lì si può percorrere il breve

Sentiero Natura dove sono realizzate altre due strutture per birdwatching e una

stazione ornitologica utilizzata per l’inanellamento a scopi scientifici degli uccelli

(attività che la Riserva intraprende dal 2006 nell’ambito di un progetto di monito-

raggio degli anatidi); lungo la prima parte del sentiero si può osservare anche la

piccola coltura del “guado” (Isatis tinctoria), l’antica pianta tintorea tipica della pia-

nura reatina che la Riserva ha recentemente recuperato utilizzandola nel corso

dell’anno per numerosi laboratori didattici di tintura. Proseguendo per la strada

sterrata si raggiunge dopo 2,3 km il piccolo borgo rurale abbandonato di

Settecamini; proseguendo oltre per 2 km quello, quello, anch’esso abbandonato

di Piedifiume, realizzato alla fine del Settecento e che nel Novecento fu il centro

direzionale dei campi sperimentali di granicoltura di Nazareno Strampelli, dove si

realizzarono i grani poi utilizzati nella quasi totalità della superficie cerealicola ita-

liana e in numerosi paesi tra i quali l’Argentina e la Cina. Da qui per 4,4 km lungo

la via del Comunaletto si incontrano altre testimonianze dell’architettura rurale e

si raggiunge di nuovo la via Ternana che si percorre per 1,7 km fino al bivio del

sentiero che costeggia il lago Lungo percorso, all’andata, in senso inverso e si

raggiunge di nuovo il centro visite della Riserva.

Camminando Escursione sulle sponde dell’antico Lacus Velinus

Veduta di Rieti

COME ARRIVAREIn auto.Da Rieti Prendere la via Ternana in direzione

Piediluco, giunti in località Ponte Crispolti girare a

sinistra e seguire le indicazioni. La Riserva dei Laghi

Lungo e Ripasottile può essere raggiunta da Roma

attraverso la SS 4 Salaria. Dopo la galleria di

S.Giovanni Reatino, si deve raggiungere l’uscita

Rieti Est e seguire la segnaletica della Riserva

Naturale. Per chi proviene da Nord, attraverso la A 1

o la E 45, si può e raggiungere Terni (con il raccordo

Orte-Terni dalla A 1, uscendo a Terni dalla E 45) e

seguire le indicazioni per il Lago di Piediluco e Rieti.

In treno.Da Roma con Trenitalia sulla tratta Roma-Ancona,

si scende a Terni e si prende l’automotrice della

Linea Terni-Rieti-Aquila-Sulmona. Le stazioni sono

Labro – Moggio (informarsi sui treni che fermano

in questa stazione) nella parte Nord, Rieti nella

parte Sud. Su questa linea è possibile il trasporto

delle biciclette. Da Labro – Moggio una strada

campestre di circa 4 chilometri, percorribile sia a

piedi che in mountain bike, conduce al Centro

Visite di Ripasottile.

In corriera.Dalla stazione di Rieti, con i mezzi di linea dell’a-

zienda di trasporto pubblico regionale CO.TRA.L si

prosegue per la Riserva Naturale.

NUMERI UTILIUfficio centrale del Cammino di FrancescoPresso la sede dell’APT di Rieti

Via Cintia, 87 Rieti 02100

Tel. 0746.201146

[email protected]

Ufficio Turistico di RietiPiazza Vittorio Emanuele I

Tel. 0746.201146

www.apt.rieti.it [email protected].

Aperto dal martedì al venerdì dalle 9.00 alle

13.00 e dalle 15.00 alle 17.30; sabato dalle 9.00

alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00; domenica

dalle 9.00 alle 13.00. Lunedì chiuso.

Ufficio del Terminillo, Via dei Villini, 33

Pian dè Valli - Tel. 0746.261121

Aperto dal martedì al venerdì dalle 9.00 alle

13.00 e dalle 15.00 alle 19.00; sabato dalle 9.00

alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00; domenica e

festivi dalle 8.30 alle 12.30. Lunedì chiuso

Riserva Naturale dei Laghi Lungo eRipasottileCentro Visite loc. Lanserra 02010 Colli sul Velino

Tel. 0746.644040

[email protected]

Rieti Turismo Spa, via Salaria, 3 02100 Rieti

Tel. 0746.2863.80

www.viafrancigenadisanfrancesco.com

Notizie utili

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particolare; parte del suo territorio èinfatti protetta dalla Riserva NaturaleRegionale di Monte Rufeno, dove sitrova, non a caso, il Museo del Fiore:una struttura con giardino botanicoannesso che permette di conosceretutte le biodiversità del territorio graziea strumenti interattivi e multimediali,come laboratori, sale proiezioni eludoteca. Attiguo alla strutturamuseale parte il “Sentiero Natura delFiore”, un percorso ad anello con 21stazioni didattiche.Nel mese di agosto il centro storicodel paese si anima di colori esensazioni d’altro tempo con la “FestaContadina”. Per quattro giorni leviuzze di Acquapendente ospitanostand enogastronomici, mercatini emostre sulle macchine agricole, unmodo originale e coinvolgente perricordare le tradizioni. L’eventorappresenta un’ottima occasione perfare quattro passi in paese e goderedelle bellezze artistiche di questopiccolo borgo laziale; a tal propositoconsigliamo di percorrere i tre itinerarisuggeriti dal comune: il percorsoMedioevale, Rinascimentale e quellodella Quintaluna (per la descrizionedettagliata si veda il sitowww.comuneacquapendente.it).Ma non sono solo la storia, la culturae la natura i fiori all’occhiello di questacittadina esemplare; i suoiinvenstimenti per uno sviluppo futurosostenibile sono altrettantosignificativi: tra le tante iniziative, ilComune ha avviato la raccoltadifferenziata dei rifiuti porta a portagià dal 2007; in tema di energierinnovabili, numerosi sono gli edificidel Comune e della Riserva Naturaledotati di impianti fotovoltaici.

Informazioni utiliRiserva Naturale Monte Rufeno sede: Piazza Santa Maria, 1 Acquapendente. Tel. 800.411.834Museo del Fiore: loc. casaleGiardino, Torre Alfina –Acquapendente.Tel. 800.411.834

Durante la quarta spedizione inItalia di Federico I Barbarossa, nel

1166, l’imperatore tedesco occupò ilLazio. In questo periodo lapopolazione di un piccolo paese,Acquapendente, stanca della tirannide

degli occupanti si ribellò distruggendoil castello, simbolo del potereimperiale. La sollevazione contro ilBarbarossa è uno degli eventi salientidella storia locale e ogni anno vienericordato dalla festa dei “Pugnaloni”.La terza domenica di maggio, inoccasione delle celebrazioni dellaMadonna del Fiore, 15 gruppi dipersone realizzano grandi pannelli dilegno che servono da base perdecorazioni floreali ispirate al temadella pace. I giorni che precedono lafesta i quadri vengono esposti sotto i

portici del PalazzoComunale, a celebrazioniterminate sono trasferitiall’interno del Duomo. Iltermine “Pugnaloni” derivadal pungolo, un attrezzoche anticamente era usatosia per la pulituradell’aratro dalleincrostazioni di terra, siaper spronare i buoi alavorare più alacremente.Le prime processioni sifacevano portando ipungoli ornati con rami diginestra. Il nesso tra i fiorie la sommossa del 1166 èindividuabile in unaleggenda popolare laquale narra dellamiracolosa fioritura di unciliegio rinsecchito dalungo tempo. Questo“miracolo” fu interpretatodagli abitanti diAcquapendente come unsegno divino: qualoraavessero preso le armicontro le truppe imperiali,avrebbero beneficiatodella protezione dellaMadonna.Acquapendente – il suotoponimo deriva dal fattodi essere situata in unazona ricca di piccolecascate di acquapurissima – ha con i fioriun legame del tutto

100 PAN - aprile 2009

CAMPANILILE FESTE E I FIORI DI ACQUAPENDENTE

Abitanti: 5.788Denominazione abitanti: AcquesianiProvincia:ViterboArea protetta: Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno

Acquapendente in numeri

Prodotto caseariofresco con quasi

duemila anni distoria, ancoraapprezzato per ilgusto e, in tempi didiete e diintolleranze al lattevaccino, per l’elevatadigeribilità ed ilridotto apportocalorico.I primi riferimenti storici alla RicottaRomana risalgono ai tempi deiRomani, allorquando Columella, nelDe re rustica descrive le tecnichecasearie.Il latte di pecora aveva tre destinazioni:la prima di natura religiosa/sacrificale;la seconda alimentare come bevandao come ingrediente per variepreparazioni; la terza per l'ottenimentodel formaggio di pecora fresco estagionato. Seguiva quindi l'utilizzo delsiero residuo per ottenere la ricotta, epoi per alimentare i maiali.La Ricotta Romana è ottenutaesclusivamente da siero di latte interodi pecora utilizzato per la preparazionedi formaggi pecorini: in seguito allarottura della cagliata, attraverso ilmetodo dello “spurgo”, si ottiene ilsiero. Tale siero viene ulteriormentecotto (da qui il termine “ri-cotta”,derivante dal latino recoctus). Presenta

una pasta a struttura molto fine, colorepiù marcato e soprattutto un saporedelicato e dolciastro, che ladistinguono dalle altre tipologie diricotte, per ottenere tale risultato èindispensabile che il latte sia munto daanimali nati ed allevati su prati-pascoloed erbai tipici ed esclusivi del territoriodel Lazio. Le razze ovine (e relativiincroci) coinvolte nella produzionesono: Sarda, Comisana, Sopravissanae Massese.In cucina si presta a molteplici usi,data la sua elevata digeribilità èparticolarmente adattaall’alimentazione dei bambini, da sola,per i più piccolini, o sul pane, (ottimaalternativa alle merendine industriali)per i più grandicelli.

Per informazioni sui Produttori Natura in Campo di Ricotta Romana consulta il sito

NATURA IN CAMPORICOTTA ROMANA DOP

101 PAN - aprile 2009

"Natura in Campo" è il Programma curato dall'Agenzia Regionale Parchi finalizzato alla valorizzazione ed al sostegno delle produzioni agro-alimentari di qualità (tradizionali, da agricoltura biologica, ecc). www.naturaincampo.it

INGREDIENTI per la sfoglia:500 g farina setacciata3 uovaOlioINGREDIENTI per il ripieno:250-300 g. di ricotta freschissima170 g. di parmigiano grattugiato;150 g. di burro;qualche fogliolina d’erba salvia;2 uova intere;1 rosso d’uovo sbattutosale e pepe

Preparare un impasto con 500 g. di fari-na setacciata, 3 uova, qualche cucchiaiodi acqua fredda, un goccio d’olio e unpizzico di sale.

Per il ripieno:Lavorare l’impasto e farlo riposare;tirarlo in due grandi sfoglie molto sotti-li. Passare al setaccio la ricotta, metter-la in una terrina, aggiungere 50 g. diparmigiano grattugiato, condire consale e pepe, appena macinato, e amal-gamare con le uova. Allargare sul tavo-lo le due sfoglie, e spalmare la superfi-cie della prima con un pennellinobagnato nell’uovo (prima sbattuto conacqua).

A questo punto distribuire sulla sfogliail ripieno: tanti piccoli mucchietti adistanza di 4-5 centimetri l’uno dall’al-tro. Per questa operazione, ci si servedi un cartoccio di carta bianca, con lapunta mozzata. Nel cartoccio si versa ilripieno, e lo si fa uscire dalla puntatagliata in modo che possa cadereregolarmente sulla sfoglia. Compiutaquesta operazione, sovrapporre laseconda sfoglia, che sarà stata purebagnata col composto di uovo e acqua.Premere negli spazi vuoti per unire lapasta e, finalmente, con la rotella den-tellata o con l’apposito cannello rita-gliate i ravioli. A mano a mano chesono pronti, allineateli sopra un vas-soio già coperto da una salvietta leg-germente infarinata, discosti l’uno dal-l’altro. Cuocerli in abbondante acquabollente leggermente salata; manmano che affiorano, dopo 5 minuti epiù, sgocciolarli, metterli in un piattogrande di servizio, ovale e ben caldo,condirli a strati con burro cotto salvia,e ricoprirli di parmigiano grattugiato.Altrimenti, si possono condire anchecon sugo finto e con qualche pezzettodi burro fresco.

Ravioli

FOTO DI GIULIO IELARDI

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diametro delle colonne, che puòandare da alcuni centimetri ad alcunimetri, è inversamente proporzionale

alla velocità diraffreddamento del magma:le colonne più piccolesaranno originate da velocitàdi raffreddamento più elevatee viceversa.Nel caso delle PietreLanciate, le fratture daraffreddamento presentanouna particolare geometriadivergente e una leggeracurvatura verso l’alto. Questacondizione peculiare,unitamente all’erosionesubita nel tempo dalle lavead opera degli agentiatmosferici, ha prodotto uninsieme di rocce chesembrano piantate nelterreno secondo uno schemaben preciso: una verameraviglia del patrimoniogeologico del Lazio.

Dirigendosi verso nord, lungo la viaCassia, a circa un chilometro

dall’abitato di Montefiascone (in località“La Fornacella”) è visibile un geositodavvero interessante e spettacolareche la tradizione popolare hadenominato “Le pietre Lanciate”.E davvero si ha l’impressione che ungigante le abbia conficcate nel terrenoin modo bizzarro, ma estremamenteregolare. Di cosa si tratta?Per comprenderlo occorre innanzituttotenere presente che ci troviamovicinissimi alla riva del Lago diBolsena. Questo bacino naturaleoccupa una depressione dovuta allapresenza di numerosi vulcani chehanno iniziato la loro attività circa800.000 anni fa, per estinguersi circa150.000 anni fa. Le rocce che abbiamodi fronte sono lave eruttate dall’anticovulcano vulsino.Ma come si sono formate le pietrelanciate? Ovviamente nessuno le halanciate: si tratta di un fenomeno legatoal raffreddamento della lava. La lavaraffreddandosi a contatto con l’aria

diminuisce il suovolume. Questacontrazionedovuta alraffreddamentodetermina nellaroccia lavica laformazione diuna rete difratture che siverificano non inmaniera casuale,ma secondo unageometria benprecisa di formaesagonale.Perchè accadequesto? Siformano dellecolonne a baseregolare, dei verie propri prismiche saranno inmaggior misuraesagonali, anche se non mancherannocolonne a sezione ottagonale,pentagonale o quadrangolare. Il

GEOSITILE “PIETRE LANCIATE”I “Geositi” sono luoghi in cui un determinato episodio della storia geologica della Terra si manifesta con particolarechiarezza; il loro insieme costituisce il Patrimonio Geologico.

qualche danno allapianta (l’atto divendita è oggiconservatonell’Abbazia diFarfa).Passata la tempestarisorgimentalel’Olivone fu messo adura prova durantel’ultimo conflittomondiale quando le

truppe americane usarono l’alberocome punto di riferimento sulle lorocarte.Le guerre e la furia devastatricedell’uomo non furono i soli pericoli aiquali fu esposto l’Olivone.Gli eventi naturali sono imprevedibilie ugualmente devastanti, come lagelata del gennaio 1985 che spogliòil povero albero di tutto il suofogliame. Le conseguenze furonodisastrose e molti temettero per lasopravvivenza stessa della pianta laquale subì una drastica potaturadelle parti più esterne della chioma.L’Olivone però dimostrò longevità econ il tempo cominciò a riacquistareun aspetto più sano e rigogliosodella chioma fino a raggiungere i 17metri odierni.Le sue dimensioni hanno suscitatonumerose discussioni in merito alsuo ipotetico primato di albero piùgrande d’Europa. Si conoscono oggiinfatti, molti dei più grandi ulivid’Italia: l’Olivone di Semproniano,l’Ulivo della Strega, ma soprattuttoquello che è il principe assolutodella famiglia, l’olivastro diSant’Antonio di Gallura, cheraggiunge i tredici metri dicirconferenza e circa venti didiametro di chioma.

Si presume abbia 2000 anni e,malgrado l’età, non dà segni di

stanchezza e stupisce per la suagrandiosità e vetustà.Facilmente localizzabile (ci sonodiverse indicazioni) ai margini dellalocalità Canneto nei pressi di FaraSabina. Giunti alla piazzetta delpaese si imbocca una stradinasubito dietro la chiesa, che dopoalcune centinaia di metri portadirettamente al grande ulivo.L'albero vive in una tenuta privatadove comunque il proprietario lasciaentrare i visitatori senza alcun

problema. Nelle segnalazioni vieneindicato come "l'ulivo più granded'Europa". Forse in Calabria, in

Puglia e inSardegna ce nesono di più grandi,ma probabilmentequesto è il più"anziano" esenz'altro uno deipiù belli.Se solo l’immensotronco potesseraccontare la suastoria rimarremmoincantati da quantecose ha da dirci edalle peripezie acui è sopravvissuto.Storie e vicendecuriose, a volte,come quellaavvenuta nel 1866,quando i fratibenedettini, furonocostretti a cederloalla famiglia Bertinigiacché temevanoche il passaggiodelle truppegaribaldine sulleloro terre avrebbepotuto causare

ALBERI MONUMENTALI L’OLIVONE DI CANNETO SABINA

Fara Sabina - CannetoSpecie: Olivo Olea europaeaCirconferenza massima del tronco: m 6,00 circaAltezza: m 10Diametro chioma: m 17

L’Olivone Gli alberi sono come immensi libri di storia che racchiudono, sotto alla corteccia, la verità del nostro passato. La loro dimensione è variabile, tuttavia ne esistono di talmentegrandi e antichi da meritare il titolo di “monumentali”. Anche per questo il 7 marzo 2008la Commissione ambiente del Senato ha approvato una norma che protegge gli alberimonumentali, proprio come accade per i beni archeologici. Un successo importante cheavvalora il lavoro svolto dal Corpo Forestale dello Stato, impegnato dal 1982 al censimento degli alberi. I risultati hanno portato alla luce oltre 2000 piante “di grande interesse storico e monumentale”, tra gli esempi più eclatanti ricordiamo il Castagnodello Speco di Narni, il Leccio dell’Eremo o il Leccio di San Francesco di Rivodutri.

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Progetto Editoriale PAN

Direttore e ideatoreVito Consoli

Comitato di Redazione ARPMassimiliano Barresi (coordinamento )Nicoletta BenedettiFabrizio Petrassi

Con il contributo di:Maria Pia Piermarini, Elena Palopoli

Hanno collaborato: Luigi Boitani, Maurilio Cipparone, Paola Della Rosa,Isabella Egidi, Giulio Ielardi, AndreaMonaco, Marco Scataglini, Alberto Zilli.

Foto di: Christian Angelici, APT Rieti,Archivio ARP, Archivio Trekking,Massimiliano Barresi, Fabrizio Battisti,Massimo Bedini, Filippo Belisario,Nicoletta Benedetti, Giorgio Biddittu,Vittorio Brusca, Stefano Castellani (© Zètema Progetto Cultura), BrunoD’Amicis, Aldo Frezza, Marco Giardini,Giulio Ielardi, Nicola Marrone, PaoloMazzei, Fabrizio Petrassi, ArchivioRiserva Laghi Lungo e Ripasottile,Domenico Serafini, Claudio Spagnardi,Specola Vaticana, Leonardo Vignoli.

Illustrazioni di: Marisa CeccarelliCopertina: Airone rosso di ChristianAngelici

Il numero zero di PAN non avrebbe potuto essere realizzato senza i consiglie la cortese disponibilità di:Maricetta Agati, Giusi Alessio, SaverioAllegretti, Aldo Altamore, Valerio Aloi,Massimo Bedini, Giorgio Biddittu,Massimo Bruschi, MariangelaCamodeca, Pierluigi Capone, MiriaCatta, Nicoletta Cutolo, Lucilla deRubeis, Adriano Di Nitto, CristianoFattori, José G. Funes, Marco Giardini,Roberto Lorenzetti, Dario Mancinella,Greta Martini, Andrea Monaco, SilviaMontinaro, Roberta Pecchia, EricaPeroni, Ivana Pizzol, Guido Prola, SirioSantodonato, Stefano Sarrocco, MatildeScalesse, Claudio Spagnardi, GiulianoTallone, Leonardo Vignoli, Silvia Zaccaria.

ARP – Agenzia Regionale per i ParchiVia del Pescaccio, 96/98, 00196 Roman. verde 800.593196 (lun.-ven. dalle 10.00 alle 13.00)

Realizzazione CLEMENTI EDITORE S.r.l.www.gruppoclementi.itCaporedattore Enrico BottinoRedazione: Paolo Palumbo, Elisa Canepa, Carlo RoccaArt director Stefano RoffoProgetto grafico Cifra

Stampa: TI.BE.R S.r.l. Brescia

PAN, i primi passiChe bellezza, che fatica, quanti altalenanti entusiasmi e timorosi pudori si sono accom-pagnati alla nascita di PAN, quante aspettative e quanto alte!In termini pratici e operativi, il numero zero nasce con alcune riunioni, tre o quattro, chehanno luogo tra dicembre 2008 e febbraio 2009, apparentemente in sordina: abbiamotutti molte cose da fare, e poca testa da dedicare a una nuova iniziativa!Nel corso di queste riunioni si va delineando però un progetto molto ambizioso… unastruttura di rivista formata nel modo che spieghiamo qui di seguito.Da un lato l’Editore Clementi, con una redazione stabile e particolarmente esperta negliambiti del turismo sostenibile e naturalistico, in grado di utilizzare con perizia il lin-guaggio giornalistico, di interpretare i gusti dei lettori e di rendere accessibile qualsiasitipo di contenuto. Dall’altro un gruppo di lavoro interno all’ARP, costituito dal personalestesso dell’Agenzia, conoscitore della realtà dei Parchi del Lazio di cui si vuole dareconto nella rivista. È questo gruppo interno all’ARP che mette in gioco la propria rete diconoscenze e contatti con professionisti, divulgatori, giornalisti, esperti, professori uni-versitari, tecnici delle aree protette e guardiaparco, figure istituzionali e semplici appas-sionati che vivono e operano direttamente sul territorio.Due giornalisti, in particolare, hanno collaborato con la redazione ARP: Giulio Ielardi eMarco Scataglini, profondi conoscitori e divulgatori delle aree protette laziali, che hannocontribuito con servizi, reportage e inchieste, ma anche con preziosi suggerimenti.Poi un bel gruppo di “personaggi” della scena della cultura ambientale e naturalisticaromana: Luigi Boitani, zoologo di fama internazionale professore all’Università di RomaLa Sapienza; Alberto Zilli, entomologo del Museo Civico di Zoologia di Roma, massimoconoscitore di farfalle; Maurilio Cipparone, membro dell’IUCN e uno dei primi ispirato-ri dei sistema delle aree naturali protette del Lazio. E ancora, grandi fotografi e illustra-tori naturalisti. Infine, un vasto tessuto di colleghi dell’ARP e delle aree protette, di amicie di semplici conoscenti che, affascinati dall’idea di una rivista che potesse valorizzare ipropri territori, il proprio lavoro e le proprie conoscenze, hanno contribuito nei modi piùsvariati alla nascita di PAN.

Dì la tua opinione sul numero zero di PAN: ti è piaciuto? Perché? Hai suggerimenti in proposito? Quali articoli hai preferito?

Contattateci all’indirizzo: [email protected]!