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46 47 Anni ’20-’30 del ’900: il primo approdo a una Padova manifatturiera Difficile quantificare quale fu il contributo dell’Unione Industriale voluta da Silvio Barbieri all’approdo manifatturiero del padovano. Da un lato perché essa era sostanzialmente cittadina, con scarse adesioni tra gli imprenditori della provincia, e dall’altro perché delle sue carte non permane traccia. Di qualche sua attività si trova però qualche riscontro nel fondo “Gabinetto di Prefettura” dell’epoca, conservato presso l’Archivio di Stato, dal quale emer- gono soprattutto i rapporti con l’autorità prefettizia nei momenti di conflitto sindacale, che – vale la pena ricordarlo – non scomparvero con il fascismo, stante che nelle imprese maggiori il sindacato di regime giocò, peraltro d’in- tesa con le autorità, un ruolo di stanza di compensazione delle tensioni, non annullandole ma indirizzandole a qualche opportuna mediazione. Da quello che è dato di capire, o almeno a me appare, l’influenza del ceto imprenditoriale fu più sul versante dell’amministrazione cittadina, e di quelle dei principali centri della provincia, ma più per iniziativa e presti- gio di singoli imprenditori che non per peso della categoria in quanto tale. Anche perché Confindustria e la sua ancora informe struttura periferica divennero presto, ne abbiamo accennato, organismi parastatali al servizio di quell’apparato corporativo che mai realmente decollò, e che tuttavia tutto cristallizzò, distruggendo ogni autonomia. Talché solo con il traumatico crollo del regime mussoliniano, e più ancora con l’aprirsi della stagione post-Liberazione, le organizzazioni “di classe”, e quindi anche le organizzazioni imprenditoriali, poterono tornare a svol- gere in dialettica contrapposizione un loro autonomo ruolo. Ma su questo ritorneremo più avanti. Un reparto della Bonàiti nella vecchia sede di via N. Tommaseo a Padova.

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Anni ’20-’30 del ’900: il primo approdo a una Padova manifatturiera

Difficile quantificare quale fu il contributo dell’Unione Industriale voluta da Silvio Barbieri all’approdo manifatturiero del padovano. Da un lato perché essa era sostanzialmente cittadina, con scarse adesioni tra gli imprenditori della provincia, e dall’altro perché delle sue carte non permane traccia. Di qualche sua attività si trova però qualche riscontro nel fondo “Gabinetto di Prefettura” dell’epoca, conservato presso l’Archivio di Stato, dal quale emer-gono soprattutto i rapporti con l’autorità prefettizia nei momenti di conflitto sindacale, che – vale la pena ricordarlo – non scomparvero con il fascismo, stante che nelle imprese maggiori il sindacato di regime giocò, peraltro d’in-tesa con le autorità, un ruolo di stanza di compensazione delle tensioni, non annullandole ma indirizzandole a qualche opportuna mediazione.Da quello che è dato di capire, o almeno a me appare, l’influenza del ceto imprenditoriale fu più sul versante dell’amministrazione cittadina, e di quelle dei principali centri della provincia, ma più per iniziativa e presti-gio di singoli imprenditori che non per peso della categoria in quanto tale. Anche perché Confindustria e la sua ancora informe struttura periferica divennero presto, ne abbiamo accennato, organismi parastatali al servizio di quell’apparato corporativo che mai realmente decollò, e che tuttavia tutto cristallizzò, distruggendo ogni autonomia.Talché solo con il traumatico crollo del regime mussoliniano, e più ancora con l’aprirsi della stagione post-Liberazione, le organizzazioni “di classe”, e quindi anche le organizzazioni imprenditoriali, poterono tornare a svol-gere in dialettica contrapposizione un loro autonomo ruolo. Ma su questo ritorneremo più avanti.

Un repartodella Bonàitinella vecchia sededi via N. Tommaseoa Padova.

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Al di là degli aggregati statistici, quali emergono dai Censimenti indu-striali del 1927 e del 1937-40 di cui alle successive tabb. 4 e 5, non vi è dubbio che la presenza industriale andò allargandosi, con l’imporsi di aziende che rimasero poi a lungo nella storia economica della provincia, segnandone sia l’aspetto più propriamente produttivo sia, grazie alla pro-fessionalità e combattività della loro classe lavoratrice, quello sociale. Tra le quali, oltre alle già citate ITALA PILSEN, OMS, UTITA e ZEDAPA, conviene ricordare almeno la OBLACH (poi G.B. BREDA) di Cadone-ghe, la CISA VISCOSA (poi SGIV, e infine SNIA), l’INGAP, la MOLINI GOLFETTO. Si trattò di un robusto nucleo di imprese, sia in termini di fatturato che di occupati, destinato ad irradiarsi presto nel mercato nazionale. Dove del resto erano approdate anche imprese non industriali, che qui si citano solo per significare la cresciuta importanza dell’impren-ditoria padovana complessivamente intesa: la PAOLO MORASSUTTI, attiva nella intermediazione grossista e al dettaglio di ferramenta e ca-salinghi, ed i VIVAI SGARAVATTI di Saonara, i quali vendevano in vaste parti d’Italia, su catalogo, già nella seconda metà dell’Ottocento. Citazione estemporanea, e se si vuole eccentrica, ma utile a inquadrare una vivacità economica che contraddiceva l’apparente “provincialismo” del territorio.

Reparto meccanico della fabbrica INGAP (CCIAA).

È comunque certo che gli imprenditori, più come individui che come “categoria” del locale Consiglio provinciale dell’Economia, parteciparo-no alle grandi trasformazioni urbane: che coinvolsero anche alcuni centri della provincia, lì pure innestando una qualche “febbre” edilizia, e quin-di favorendo il comparto delle costruzioni, probabilmente il vero volano della crescita provinciale. I cui esiti positivi si ripartirono, a cascata, per mille rivoli.Gli anni Venti e Trenta del Novecento segnarono infatti profondi cam-biamenti nell’assetto manifatturiero della città e della provincia. E furono probabilmente le trasformazioni intervenute nel capoluogo a indurre nel 1940 l’Unione Industriale – giusto una delle poche documentazioni a noi pervenute – a commissionare la redazione di un progetto di massima, poi proposto al Comune, per la realizzazione sulla direttrice per Venezia di una Zona industriale dove allocare gran parte delle attività produttive cittadine. Ci torneremo più avanti. Basti qui l’annotazione che tale inizia-tiva segnava un salto di qualità nell’agire di una associazione economica settoriale, dato che sollecitava una azione urbanistica tesa a ridisegnare l’assetto stesso della città ponendosi, ancorché in modo non definito, il problema del governo del territorio, e quindi un tema che investiva il fu-turo di tutta la comunità.

Un particolaredella sede

della INGAP, Industria Nazionale

Giocattoli Automatici Padova (CCIAA).

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50 51I lavoratori della UTITA di Este nel cortile della fabbrica (ProvPd).

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Lo storicoCaffè Pedrocchinel 1935 (MCP).

(SNIA VISCOSA, Châtillon, Viscosa di Pavia ecc.), era formata da una parte “chimica” che trasformava la cellulosa in una specie di pasta filosa, e di una parte “tessile” dove questa veniva ridotta in fibra, e successiva-mente filata e ritorta in un modo non dissimile da quanto accadeva per la seta naturale. Il processo con cui veniva ottenuto il prodotto, e che implicava l’utilizzazione di quantità rilevanti di acido solforico e di aci-do azotico prima, di alcool e di etere poi, venne sostituito nel 1923 con uno meno invasivo e a più elevata produttività, frutto dell’inglobamento dell’impianto padovano in un gruppo con sede nella capitale, che com-portò anche il mutamento della ragione sociale in SGIV-Società Generale della Viscosa. La produzione di rayon, per la forte capitalizzazione ad essa connessa, fu del resto caratterizzata da rapidi processi concentrativi che portarono negli anni Quaranta all’emergere di un pressoché unico grande produttore italiano, la SNIA VISCOSA, in cui finì incorporata anche la fabbrica euganea. La quale, peraltro, conobbe negli anni Venti una crescita notevole, testimoniata dal considerevole incremento nel nu-mero di addetti: che passarono dai 500 del 1921 ai 1.600 di fine 1925, raggiungendo le quasi duemila unità nel biennio 1927-28.Si era per la prima volta nel padovano di fronte ad uno stabilimento di grandi dimensioni, che riusciva - con la concentrazione operaia che deter-minava - a indurre nella città tutti i fenomeni tipici dell’industrializzazio-ne: grossa presenza impiantistica a ridosso dei quartieri abitativi, un certo

Ma veniamo a quella che emerse negli anni Venti come la più rilevante impresa industriale padovana, tale rimanendo fino alla metà degli anni Cinquanta, vale a dire la CISA-Cines Seta Artificiale. Nata nel 1912 a Pontevigodarzere con l’intervento anche di capitali franco-tedeschi, essa si sostituì – ereditandone anche il nome – ad un piccolo impianto per la fabbricazione di pellicole cinematografiche, anch’esso utilizzante come materia prima di base la pasta di cellulosa. Il trattamento chimico per la produzione della seta artificiale, più tardi chiamata viscosa e infine rayon, era comunque più sofisticato e necessitava di ambienti più ampi del pic-colo stabilimento iniziale, che vennero realizzati in via Venezia, in prossi-mità della Stanga, nella vasta area dove ora sorge il complesso direzionale “La Cittadella”.Inaugurato nel 1917, il nuovo complesso industriale, imponente per l’epoca, dovette però fermare presto la produzione, a causa della rotta di Caporetto che anche a Padova causò la evacuazione di molte attività produttive soprattutto meccaniche, e il blocco di tutte quelle in prossimità dello snodo ferroviario cittadino, oggetto di numerose e devastanti incur-sioni da parte dell’aviazione nemica. L’impianto tornò a funzionare solo nel 1919-20: dapprima lentamente per il difficile ritorno alla normalità nell’approvvigionamento di cellulosa, e poi in modo più stabile arrivando ad occupare nei primi mesi del 1921 ben 500 addetti. La fabbrica, al pari di tutte le altre del genere che andavano nascendo in quegli anni in Italia

Tab. 4. L’industria in provincia di Padova secondo il Censimento 1927 (*)

Ditte Addetti

Alimentari e affini 53 3.499

Tessili 39 6.012

Vestiario e abbigliamento 41 1.122

Pelli, cuoio, calzature 4 153

Mobilio e legno 43 1.173

Siderurgico-metallurgiche 4 146

Meccaniche 57 2.151

Lav. min. non metalliferi 41 1.411

Chimiche e affini 18 935

Carta e cartotecnica 5 356

Poligrafiche-editoriali 13 340

Diverse 11 1.530

Estrattive 17 735

Costruzioni 66 2.616

Totale 412 22.179

Fonte: elaboraz. da ISTAT, Censimento Industriale 1927, vol. VIII, Roma, 1931 (*) ditte con dimensione superiore a 10 addetti

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Un’altra produzione tessile che aveva concorso, pur in misura meno spet-tacolare, alla espansione del settore – e a togliere ad esso le caratteristiche di industria legata all’agricoltura, come era il caso del setificio e della la-vorazione del lino e della canapa – era stato quella della filatura e tessitura della juta, concentrata nel ricordato stabilimento di Piazzola. Nell’inter-vallo tra i due censimenti, le attrezzature erano state più che raddoppiate, con una forza motrice sviluppata di circa 1.000 HP (un quarto circa di quella disponibile per tutto il settore), e i lavoratori occupati stabilmente

risultavano oltre 1.100. Anche la produzione di questo impianto era desti-nata, oltre che al consumo nazionale, ad una cospicua esportazione (Stati Uniti ed estremo oriente).Si può affermare che proprio a partire da questi due impianti indu-striali venne crescendo, pur con le difficoltà e le contraddizioni deri-vanti da una prevalenza occupazionale femminile, una classe operaia stabile, professionalizzata, e nella quale tendevano ad emergere consa-pevolezza del proprio ruolo e coscienza di classe. Anche se a Piazzola ciò era in parte attenuato dalla riuscita del paternalismo dei Camerini (che tendeva a far rivivere il mito di una manodopera felice perché non strappata alla terra, ma ad essa legata ancor più se possibile dai nuovi insediamenti manifatturieri), la presenza accanto allo Jutificio di una importante fornace, di una fabbrica di fertilizzanti chimici e di una offi-cina meccanica per la costruzione e riparazione di macchinari agricoli, determinava la crescita di alcune professionalità operaie che esercita-rono per qualche decennio non poco influenza nello sviluppo anche di altre iniziative manifatturiere, e in quel centro come più a ridosso del capoluogo provinciale. L’importanza dell’economia industriale sviluppatasi attorno alle proprietà cameriniane era anche testimoniata dalla ferrovia privata che quel grup-

La ciminieradello jutificio Camerini a Piazzola sul Brenta.A destra: la fornace Morandi all’Arcella.

fenomeno di immigrazione dalla campagna al centro urbano, l’accorpa-mento della popolazione operaia in un’area omogenea in prossimità della fabbrica (le zone del Portello, del Pescarotto e della Stanga), l’evidenziarsi di malattie professionali e della nocività di taluni processi produttivi.La presenza della grande fabbrica implicava anche un grande flusso di merci in entrata ed in uscita dalla città: si pensi ad esempio alla materia prima impiegata nella produzione del rayon, la cellulosa, che proveniva prevalentemente dall’estero via porto di Venezia. Il filato prodotto veniva diffuso nell’Italia del nord, in Svizzera, in Francia, nell’area danubiano-balcanica, nell’estremo oriente. Annesso a questo stabilimento si era al-tresì sviluppato un importante reparto di tessitura, il cui prodotto veniva poi inoltrato ad altri stabilimenti, ad esempio a Ferrara, per il finissaggio. L’esistenza di questo impianto aveva creato una sorta di indotto nell’in-dustria locale dell’abbigliamento, che - pur frazionata in un gran numero di laboratori più o meno piccoli - attendeva a primitive forme dì fabbri-cazione in serie di vestiti, biancheria, maglie. Il rayon entrava ancora in misura ridotta in tali lavorazioni, ma di lì a poco la disponibilità in loco di una materia prima nuova e sempre più apprezzata per il suo basso costo dal consumatore, avrebbe portato a importanti spostamenti nel contenuto merceologico dei prodotti lavorati.

Spazio espositivo della CEDAM

in occasionedella Mostra

del Libro del 1931 (BCP).

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Un reparto del Cotonificio Berto, anni Trenta.Sotto: operaie tessili in una filanda di Fontaniva (ProvPd).Operai al lavoro nel Cotonificio Berto di Bovolenta (ProvPd).

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una configurazione di tipica periferia industriale, altrimenti sconosciuta nel panorama di piccoli impianti disseminati all’interno del centro urba-no, a ridosso delle civili abitazioni e delle mura cinquecentesche, o sparse per il territorio provinciale, magari in aperta campagna.Gli altri due stabilimenti si trovavano ad Este e a Battaglia: il primo era specializzato in costruzioni di macchine agricole (trebbiatrici, pressafo-raggi ecc.), mentre il secondo aveva decisamente orientato - grazie alla ricapitalizzazione SADE - la tipologia delle sue produzioni al campo della elettromeccanica. Pochi anni più tardi le Officine di Battaglia si dovevano fondere con le Officine Galileo di Firenze, impresa leader del settore ed appartenente allo stesso gruppo elettro-finanziario di Volpi.Erano queste le imprese, soprattutto le Officine della Stanga e quelle di Battaglia, che assieme alla Viscosa e allo Jutificio costituivano il punto di riferimento della manodopera industriale della provincia, già essendo lo zuccherificio di Pontelongo – che pure aveva aumentato il numero degli occupati – troppo decentrato rispetto al capoluogo ed essendo la sua manodopera caratterizzata da parziale stagionalità e da un legame ancora troppo forte con l’ambiente rurale. Anche se la vasta presenza di salariati agricoli nelle campagne della zona, rendeva meno difficile che a ridosso dei centri urbani la coesione di classe tra i ceti subalterni. Le fabbriche indicate erano anche quelle che apparivano meno legate al contesto economico provinciale, essendo la loro produzione diretta al più vasto mercato nazionale e in parte all’esportazione. Il maggior numero delle altre imprese produceva invece per il mercato provinciale,

Internodello stabilimento ZEDAPA.

po finanziario aveva costruito tra Padova-Piazzola-Carmignano di Bren-ta, il cui traffico locale di merci in arrivo da e per lo scalo padovano delle Ferrovie dello Stato aumentò di cinque volte tra il 1913 e il 1926.L’espansione dell’industria meccanica era invece avvenuta con caratteri-stiche di forte frazionamento degli addetti in imprese medio-piccole, con l’eccezione dei sei stabilimenti maggiori, che però assorbivano ben 1.600 delle 2.151 persone occupate nelle 57 officine con più di 10 addetti. Quat-tro di questi erano localizzati a Padova: due (tra i quali la ZEDAPA) erano specializzati nella trafilatura del ferro per la fabbricazione di fili, reti, mol-le e minuterie varie ad uso industriale; uno (la INGAP) produceva giocat-toli di latta, meccanici o meno; il quarto infine erano invece le ricordate OMS-Officine Meccaniche della Stanga, che continuava con più grandi attrezzature ed un aumentato numero di addetti la riparazione e costru-zione di materiale ferrotranviario. La particolare localizzazione di questo stabilimento, alla Stanga appunto, accentuava la concentrazione operaia attorno alla già citata “Viscosa” (come veniva comunemente chiamata la fabbrica di seta artificiale), e contribuiva a dare a quella zona della città

Un motoveicolo delle Officine Bertoli

davanti a VillaContarini di Piazzola

sul Brenta, 1930.

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Lo zuccherificio di Pontelongo (ProvPd).

Tab. 5. L’industria in provincia di Padova secondo il Censimento 1937-40 (*)Ditte Addetti

Alimentari e affini 177 7.787Tessili 47 4.918Vestiario e abbigliamento 45 726Pelli, cuoio, calzature 17 527Mobilio e legno 126 1.549Siderurgico-metallurgiche 5 177Meccaniche 69 5.083Lav. min. non metalliferi 66 2.240Chimiche e affini 67 1.730Carta e cartotecnica 25 555Poligrafiche-editoriali 42 432Diverse 23 704Estrattive 65 1.489Costruzioni 100 5.099Totale 874 33.016 Fonte: elaboraz. da ISTAT, Censimento Industriale 1937-1940, vol. I, Roma, 1941

(*) ditte con dimensione superiore a 10 addetti

clino arrivò negli anni ‘60, nonostante le innovazioni introdotte, stante la maggior capacità tedesca di stare al passo con i mutati gusti dei piccoli consumatori e, soprattutto, con l’arrivo in Europa dei giocattoli giappo-nesi. Essa cessò la sua attività nel 1972, ma i suoi prodotti sono ancor oggi ricercati tra gli appassionati di modernariato ludico.

Manifesti pubblicitari

delle ditte Koflere Pessi, anni Trenta

(MCT).

non mancando tuttavia quelle che riuscivano a irradiarsi su un mercato pluriregionale, triveneto soprattutto, come ad esempio la PESSI, che produceva creme per calzature e inchiostri, la KOFLER attiva nei pro-dotti per l’igiene personale, o la GALTAROSSA nel comparto della car-penteria metallica. Un panorama che stava a significare il sopraggiunto superamento della dimensione locale/provinciale da parte di un non irrilevante numero di imprese, peraltro rafforzato da una progressiva crescita, anche “culturale”, dell’operaio di mestiere, ovvero di figure tec-nicamente preparate e al tempo stesso orgogliose della propria specifica professionalità.Una annotazione particolare merita – per le caratteristiche tecnicamen-te “leggere” dei suoi prodotti destinati all’infanzia, e per il successo che arrise all’impresa – l’INGAP-Industria Nazionale Giocattoli Automati-ci Padova, con stabilimento alla Guizza. Fondata da Tullio Anselmi nel 1919, la sua produzione si estese rapidamente dagli iniziali giocattoli in latta a una varietà di articoli, tra i quali, negli anni Cinquanta, i telefoni intercomunicanti per bambini e le automobiline radiocomandate, riu-scendo a competere, dati i minori costi di produzione, con i più agguerriti concorrenti tedeschi. L’azienda raggiunse la sua massima espansione nel 1938, quando gli addetti in essa occupati raggiunsero le 600 unità. Il de-