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UNIVERSITÀ KORE DI ENNA CORSO DI LAUREA IN LINGUE E CULTURE MODERNE Prof.ssa Trinis A. Messina Fajardo ANALISI E COMPRENSIONE DEL TESTO NARRATIVO LETTERARIO

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analisi del testo letterario

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Page 1: Analisi e Comprensione Del Testo Letterario

UNIVERSITÀ KORE DI ENNA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E CULTURE MODERNE

Prof.ssa Trinis A. Messina Fajardo

ANALISI E COMPRENSIONE DEL TESTO NARRATIVO LETTERARIO

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Prof.ssa Trinis A. Messina F. - Analisi e comprensione del testo narrativo letterario

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INTRODUZIONE

Il testo narrativo letterario si articola in un gran numero di forme, definite storicamente come generi e sottogeneri della narrativa.

In particolare, si dividono in:

testi narrativi in versi; testi narrativi in prosa.

Noi ci occuperemo nelle prossime pagine della seconda tipologia di testi. Analizzare e commentare un testo narrativo in prosa significa:

comprendere a fondo il testo in ogni sua parte;

interpretare i messaggi;

approfondire i temi;

esprimere opinioni e giudizi critici avvalendosi delle nozioni di letteratura possedute.

Per riuscire a sviluppare gli aspetti indicati è necessario:

conoscere le tematiche e la poetica dell’autore a cui appartiene il brano;

il contesto storico nel quale è vissuto;

il movimento letterario al quale appartiene.

Nel commento lo studente, dunque, è invitato a dimostrare la sua capacità di analisi, le sue conoscenze letterarie e critiche.

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1 L’ANALISI DEL TESTO «Comprendere un testo significa analizzarne la struttura» sostiene Tesnière, il quale mette l'accento sulla necessità di non limitarsi a una pura e semplice parafrasi del testo, comunque utile ma che si riduce fatalmente a individuare il primo significato, a realizzare solo una prima decodifica. L’analisi del testo consente, invece, di:

applicare una procedura verificabile e quindi oggettiva; scendere nelle pieghe del testo, mettere in evidenza l’istituzionale

polisemia; trasformare il lettore “ingenuo” in lettore “forte”, capace di cooperare

all’individuazione dei significati; procedere allo smontaggio consapevole del testo nei suoi elementi

costitutivi e a un rimontaggio consapevole, fondamentale per acquisire competenze specifiche che si riveleranno utilissime in fase di produzione personale.

L’analisi del testo si giustifica in base a motivi di ordine sia teorico sia più propriamente didattico:

intanto perché eredita la grande lezione del formalismo europeo (Propp, Todorov) che trova suggestive applicazioni nel campo della disciplina specifica che si definisce come narratologia (Greimas, Bremond, Segre, Eco);

poi perché risulta pratica didattica utilissima che consente di diventare lettori consapevoli in grado di analizzare a livello criticamente preciso il testo narrativo (e non).

Nel corso di queste lezioni affronteremo l’analisi di tre generi canonici, la novella, il racconto e il romanzo. La novella è una narrazione caratterizzata da una contenuta estensione. Il termine ha origine dall’aggettivo sostantivato novella col significato di “cosa nuova, novità”. Nella cultura novecentesca novella e racconto sono per lo più sinonimi, nel senso che entrambi i termini indicano una “storia breve”. Per romanzo (che trae il suo nome da romance, narrazione in prosa) si intende un “modello del mondo” elaborato da un autore, dotato di notevole estensione diegetica (cioè narrativa) e di una complessa struttura (sistema dei personaggi, la voce narrante, lo spazio e il tempo, i temi fondamentali). Le differenze tra racconto/novella e romanzo sono strutturali:

1. il romanzo è caratterizzato da una salda e complessa struttura, mentre il racconto si presenta, come dice Moravia, “disossato”, ridotto all’essenziale;;

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2. il romanzo affronta lo sviluppo concreto di una storia. La novella affronta di solito un solo elemento di questa storia;

3. i personaggi nel romanzo sono molto articolati, analizzati in tutte le sfumature della loro complessa personalità; il racconto coglie invece solo taluni aspetti del personaggio relativi a un momento e a uno spazio particolari;

4. l’azione del romanzo è inserita in una costruzione logica e diventa il simbolo di questa coerenza;; nel racconto l’azione è presente in funzione di un evento che è l’ oggetto stesso della narrazione.

Della variegata tipologia del romanzo citiamo solo i modelli più ricorrenti in ambito moderno:

il Bildungsroman o romanzo di formazione; il romanzo storico o novel; il romanzo veristico, che riflette in maniera “fotografica” una tranche

de vie; il romanzo analitico o della coscienza che analizza la drammatica

situazione esistenziale dell’uomo borghese contemporaneo.

2 FONDAMENTI DI NARRATOLOGIA La disciplina specifica che si occupa dell’analisi del testo narrativo è la narratologia, che riassume in sé proposte e procedure nate in ambienti diversi ma tutte riconducibili a una stessa impostazione: quella appunto di individuare la struttura profonda del testo. Fondamenti teorici comuni:

A. Il testo narrativo si pone in posizione centrale tra l’emittente (lo scrittore) e il destinatario (il lettore).

B. La figura dell’autore si distingue in due tipologie: l’autore reale (per Genette: narratore extradiegetico) e l’autore implicito (per Eco : autore modello).

C. Vanno distinte la figura dell’autore implicito e quella del narratore: il chi parla del testo non è il chi scrive.

D. Esiste la figura del narratario: destinatario interno all’opera. Istanza di ricezione.

E. La struttura tipica di un testo narrativo prevede tre fasi: 1. la situazione iniziale (implicit); 2. una serie di peripezie che culminano nel momento di massima

tensione emotiva definita come Spannung ; 3. l’epilogo o chiusa (explicit). Che pone fine al “mondo possibile”

evocato dalla narrazione

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3 PROCEDURE NARRATOLOGICHE FONDAMENTALI La prima operazione consiste nella segmentazione in grandi unità narrative, chiamate macrosequenze. Una volta individuate le macrosequenze si procederà all’individuazione delle sequenze1, che possono essere definite come unità narrative composte di funzioni legate da reciproca solidarietà. La sequenza = una unità della storia narrata, un segmento dell’intreccio, «una concatenazione di eventi fra loro coimplicati» (Marchese). Il passaggio da una sequenza all’altra è segnalato da:

A. cambiamento di personaggi; B. cambiamento delle coordinate spaziali e temporali; C. cambiamento del tempo narrativo.

Le sequenze possono essere:

Dinamiche: che portano a una svolta all’interno del racconto. Si

dividono in: Narrative: che riportano le azioni dei personaggi Dialogiche: che riportano i dialoghi dei personaggi.

Statiche:che non portano a nessuna svolta all’interno del racconto. Si

dividono in: Descrittive: è presente una descrizione Riflessive: sono presenti riflessioni dei personaggi o del narratore Dialogiche: quando nei dialoghi ci sono riflessioni o descrizioni.

Dopo aver segmentato il testo in sequenze, e assegnate un titolo per ogni sequenza, si procede all’individuazione delle funzioni narrative. Per Propp (Morfologia della fiaba) la funzione rappresenta: «l’operato di un personaggio visto dal punto di vista dell’azione narrativa». La moderna narratologia allarga il ventaglio tipologico sul quale lavorò Propp: il testo narrativo è molto più complesso della fiaba. La funzione va nominata, cioè le va assegnato un nome che sintetizzi il ruolo da essa svolto nel tessuto narrativo.

1 Le sequenze di un testo possono essere paragonate alle scene di un film.

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4 FABULA E INTRECCIO La fabula (ordos naturalis) è l'insieme delle funzioni narrative fondamentali, di quei motivi che il critico russo Tomaševskij definisce come legati nel senso che se eliminati mutilerebbero fatalmente la storia narrata. L'intreccio (ordos artificialis) può essere definito come l'insieme delle scelte strategiche ideate e attuate. Ad esempio l’autore può non rispettare l’ordine cronologico rigorosamente individuato dalla fabula. Può raccontare i fatti prima che essi si siano verificati secondo l’ordine cronologico (prolessi o flashforward, dal greco “prendere in anticipo”. Salti in avanti) o dopo (analessi o flashback, cioè l’evocazione di un evento anteriore al punto della storia in cui ci si trova. Dal greco:“prendere a fatti compiuti” e quindi retrospezione. Salti indietro). Analessi e prolessi sono esempi di sfasatura o distorsioni fra il tempo della storia (fabula) e tempo del racconto (intreccio). l’autore sceglie un proprio ordine artificiale di presentazione e ciò per i seguenti motivi:

Creare tensione drammatica Attirare l’attenzione su alcuni particolari Mettere a fuoco la psicologia dei personaggi

Il confronto fabula-intreccio è utile per stabilire l’originalità dello scrittore.

5 IL TEMPO DEL TESTO NARRATIVO Per tempo della storia si intende l'ordine di successione che hanno gli avvenimenti nella storia. L'arco temporale del quale si distende la storia narrata: è estremamente mutevole. Si individua attraverso marche temporali che possono essere esplicite o implicite. Il tempo del racconto è l'ordine di disposizione degli stessi avvenimenti, come vengono dati dal racconto. l’autore implicito può accorciarlo o espanderlo a suo piacimento, per motivi di ritmo narrativo:

A. il tempo della storia è uguale al tempo del racconto (TS=TR) con i dialoghi o scene;

B. il tempo della storia è più lungo di quello del racconto (TS> TR) nei sommari e nell’ellissi;;

C. il tempo del racconto è più lungo di quello della storia (TR>TS) quando si ha una analisi;

D. il tempo della storia è fermo (TS = 0) e il tempo del racconto è “lento” nella pause, cioè nelle descrizioni, nei commenti dell’autore o del personaggio.

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Informanti o ragguagli: I tempi imperfettivi introducono scene descrittive (tempi commentativi). I tempi perfettivi segnalano le azioni e spingono avanti la storia (tempi narrativi).

6 LO SPAZIO NARRATIVO Il testo narrativo è una costruzione di un “modello di mondo”. L’individuazione dello spazio non corrisponde a una funzione esornativa ma a esigenze strutturali, in quanto categoria fondamentale del testo. Lo spazio e una “ragnatela” di indizi che forniscono al lettore un “sentiero” utile a inquadrare la storia narrata. La vicenda può svolgersi: in spazi aperti o chiusi, in luohi reali o fantastici, in luoghi indefiniti o descritti precisamente, nello stesso luogo o in luoghi diversi. Le marche spaziali sono gli indicatori testuali dell’ambiente, del luogo in cui le azioni si svolgono e partono, a livello tipologico, dall’indicazione pura del toponimo, che poi si irradia in vere e proprie isotopie le quali specificano, in maniera più particolareggiata, esterni o interni. Possono essere esplicite o implicite Quindi per quanto attiene gli spazi

A. Si cerchi di individuare lo spazio geografico in cui è ambientata la vicenda (e se questo non è indicato per quale motivo)

B. Con riferimento ai luoghi è necessario: Soffermarsi sulla descrizione degli stessi Luoghi reali o immaginari Chiusi o aperti Limitati o illimitati Ristretti o ampi Quali oggetti si trovano Trovare eventuali collegamenti tra situazioni (di tensione, gioia, aspettativa) e spazi. Relazioni tra luoghi e personaggi (come i personaggi vivono il luogo, vi sono analogie discordanze tra i tipi di personaggio e il luogo in cui si trovano) Relazioni tra i luoghi (ad esempio opposizione tra spazi vicino/lontano, aperto/chiuso, ecc.)

C. Quale funzione riveste la descrizione degli spazi : Di ambientazione (sfondo neutro). Narrativa (come oggettivazione del carattere del personaggio, rappresentazione di una situazione sociale o morale, come proiezione soggettiva dello stato d’animo del personaggio). Simbolica.

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7 LA VOCE NARRANTE In prima istanza la funzione del «parlare» è affidata al narratore: ecco perché Genette definisce l’analisi di questa funzione essenziale come voce, presente nel tessuto narrativo sempre e comunque. Il narratore può essere minimo. Una voce che parla. Ma può avere una fisionomia diventando un personaggio che parla. Narratore interno alla storia (omodiegetico) presenta una narrazione in prima persona. Narratore esterno (eterodiegetico) presenta una narrazione in terza persona, non partecipa alla storia narrata. L'autore implicito può scegliere però anche di cedere la parola non solo al narratore ma anche ai singoli personaggi. Finge di cedere, meglio, perché in realtà fa dire al personaggio ciò che vuole: ecco perché la parola del personaggio è sempre come afferma Bacthin bivoca, in quanto riflette necessariamente l'ideologia dell'autore implicito e del singolo personaggio. Il caso più radicale di questa delega della parola al personaggio è rappresentata dal discorso diretto, che riproduce le battute pronunciate dai singoli personaggi. Nel discorso indiretto il narratore riferisce ( e quindi media, interpreta a suo modo) le parole de personaggio, facendole precedere da un verbo reggente (come diceva, sosteneva). Nel discorso indiretto libero il narratore riferisce liberamente parole del personaggio, facendone una specie di sommario, di riassunto. Se si riferiscono direttamente le parole e i pensieri del personaggio (senza intervento palese del narratore) si registra un monologo interiore. Nel monologo il personaggio parla di fronte a un interlocutore muto. Nel soliloquio il personaggio parla a voce alta da solo. Nel monologo interiore la presenza del narratore è minima, proprio perché si limita a registrare le voci che nascono dalla psiche del personaggio: nella sua forma più radicale, nel senso che sancisce l'assenza di una qualsiasi mediazione del narratore, si definisce come flusso di coscienza. Bachtin opera una svolta concettuale nella sua indagine critica ed afferma «il monologo non è più possibile, nella realtà tutto è dialogico».

8 LA FOCALIZZAZIONE: IL PUNTO DI VISTA È la prospettiva che orienta la narrazione: il punto di vista. La differenza fondamentale tra punto di vista e voce narrante consiste nel fatto che per punto di vista si intende l'orientamento ideologico o il luogo fisico o la situazione rispetto alla quale si pongono in relazione gli eventi narrativi, mentre la voce

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narrante si riferisce al discorso o ad altri mezzi espliciti tramite i quali gli eventi vengono comunicati al lettore.

A. Focalizzazione Zero: il narratore gestisce la narrazione dall’alto, sa tutto da tutti, ne sa più di loro, riesce a interpretarne i pensieri più segreti. È il narratore onnisciente (narratore > personaggio)

B. Focalizzazione interna: è una narrazione condotta dal punto di vista di uno dei personaggi della storia. Il narratore ne sa tanto quanto il personaggio (narratore = personaggio). Può essere variabile, fissa e multipla.

C. Focalizzazione esterna: il narratore si limita a registrare ciò che fanno e dicono i personaggi. Sa meno di quanto sa ciascun personaggio.

Il personaggio, il narratore, l'autore implicito sono presenze diverse che possono avere punti di vista differenti.

Se nel racconto vi è la mediazione del narratore si parlerà di racconto diegetico, mentre se è condotto dai personaggi attraverso il dialogo viene considerato un racconto mimetico.

9 I PERSONAGGI Per molto tempo il personaggio del testo narrativo e stato considerato quasi esclusivamente in relazione alle azioni che compie. Aristoteles lo definisce come agente (prattón= colui che fa). Il personaggio all’inizio è uno spazio bianco semantico, un nome che un po’ alla volta viene riempito di tratti significativi, che Roland Barthes chiama sèmi. Claude Bremond classifica i personaggi come agenti, se danno impulso all’azione, o pazienti, nel caso la subiscano. Per Chatman: paradigma di tratti psicologici I personaggi devono avere un’identità (nome, sesso, età caratteristiche fisiche, estrazione sociologica), affetti (sentimenti, stati d’animo) e una propria Weltanschauung o concezione della vita (valori morali, religiosi, culturali). I personaggi sono comunque la colonna portante del testo. Sono loro che portano avanti l'azione, il racconto stesso, determinando le diverse situazioni, i diversi ruoli, analizzano le differenti personalità e devono pertanto essere analizzati minuziosamente, tenendo conto di tutti gli elementi che contribuiscono a caratterizzarli.

Il personaggio può essere definito:

1. statico - quando non cambia mai, rimane sempre uguale così come i suoi pensieri.

2. dinamico - quando durante il racconto cambia atteggiamento, idea, ideali, o cambia modo di vivere.

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3. piatto - quando la descrizione è sommaria, schematica, inverosimile, stereotipata.

4. tutto-tondo - quando si conoscono tutti gli aspetti, sia esteriori che interiori.

Il personaggio può essere presentato in due modi:

1. Direttamente: quando, sin dall'inizio, si ha un prospetto ben accentuato. La presentazione è effettuata o dal personaggio stesso, o dall'autore o da un altro personaggio.

2. Indirettamente: è la presentazione che avviene nei romanzi contemporanei, attraverso degli indici come (il linguaggio, la descrizione fisica, le battute, i gesti, l'abbigliamento), per far comprendere la natura del personaggio.

Studio dei personaggi Ogni personaggio che appare nel testo può essere studiato secondo prospettive diverse:

dell’apparire (aspetto e status) dell’agire (azioni, modi di comportamento, registro linguistico) del volere (bisogni, interessi, scopi) del potere (cultura, intelligenza, capacità, mezzi fisici e strumentali) del sentire (sensibilità, sentimenti) del pensare (ideologia, credo, pensiero razionale, ragionamenti

vari) Molto interessante risulta, quindi, analizzare i rapporti tra i personaggi, come questi vengono presentati, quale tipo di rapporto sembra esistere con l’autore:

cosa distingue, unisce, contrappone i personaggi quali relazioni vi sono tra i personaggi da chi è fatta la presentazione dei personaggi

La descrizione è prevalentemente fisionomica, psicologica, etica, sociologica, ideologica, simbolica Quale tipo di rapporto sembra esistere tra personaggi ed autore (estraneità, ostilità, partecipazione, identificazione). Si cerca di rintracciare, infine, nelle sequenze i moventi, ossia le forze che inducono i personaggi ad agire:

amore/odio confidenza/diffidenza aiuto/opposizione

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10 SISTEMA DEI PERSONAGGI Greimas individua sei forze dinamiche, definite come attanti. Gli attanti sono ruoli generici, relativi cioè a una teoria della grammatica narrativa, e vanno accuratamente distinti dagli attori e cioè i personaggi veri e propri di un testo, che quindi rivelano uno spessore irripetibile. Lo schema proposto da Greimas è il seguente: DESTINATORE OGGETTO DESTINATARIO

AIUTANTE SOGGETTO OPPOSITORE Funzione dei personaggi

protagonista: eroe della vicenda intorno a cui ruota il nucleo della storia.

personaggi secondari: antagonista, aiutante del protagonista, falso aiutante.

comparse: personaggi anonimi che compaiono solo sullo sfondo.

11 INDIZI E INFORMANTI Secondo una distinzione ormai classica di Roland Barthes, gli indizi rinviano a un carattere, a un sentimento, a un’atmosfera, a una filosofia e servono a identificare, a situare la storia nel tempo e nello spazio. Gli informanti, al contrario, sono dati puri, immediatamente significanti, in quanto apportano una conoscenza già fatta. Sono operatori realistici e possono liberamente combinarsi con gli indizi. Per esempio: l’età, il titolo, l’onomastica.

12 LE FORME DEL TESTO Per analizzare le forme del testo, il suo specifico versante linguistico, il primo livello da considerare è quello lessicale. Va cioè analizzata in prima istanza la tipologia dei livelli lessicali: alto-formale o medio-basso. Il registro linguistico prevalente in un testo è l’insieme delle parole giudicate in rapporto alla loro maggiore o minore distanza dalla lingua d’uso comune. Il registro o livello lessicale alto-formale è tipico dell’autore che elabora una sua lingua molto distante dall’uso comune e si caratterizza per l’uso di termini letterari o iperletterari.

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Il registro o livello lessicale medio-basso tende al contrario ad avvicinarsi all’uso comune della lingua parlata: ha come caratteristiche fondamentali la comprensibilità e la colloquialità.

13 I TEMI DEL TESTO Per tema si intende il concetto fondamentale che sta alla base della narrazione e ne costituisce il suo significato profondo; come afferma B. Tomaševskij è un concetto riassuntivo che unifica il materiale impiegato nell’opera. Ogni testo ruota su uno o più temi essenziali, che rinviano ai fondamenti antropologici della condizione umana e all'immaginario dell'epoca in cui è vissuto l'autore. l'enucleazione del tema è utile perché, cogliendo i motivi fondamentali del testo, permette di definire anche una delle principali angolazioni da cui condurre la lettura e di far crescere l'interesse a mano a mano che questa procede ed essi si rivelano e si sviluppano. Inoltre permette di chiarire perché l'autore abbia scritto proprio quel determinato testo e per quali ragioni storiche e culturali abbia privilegiato un determinato tema.

14 INQUADRAMENTO STORICO-LETTERARIO, APPROFONDIMENTI E RIFLESSIONI

Le domande relative all’inquadramento storico-letterario, generalmente possono riguardare:

l’inserimento dell’autore e della sua opera in una particolare corrente letteraria;

la contestualizzazione storica dell’opera dal quale il brano è tratto;; l’esame di particolari tecniche narrative proprie dello scrittore;; il confronto con la produzione di altri autori; l’analisi di altre correnti ideologiche o letterarie contemporanee, ma

diverse da quelle dell’autore.

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ESERCIZI PROPEDEUTICI DIVIDERE IN SEQUENZE

Farneticava. Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano tutti i compagni d'ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall'ospizio, ov'erano stati a visitarlo. Pareva provassero un gusto particolare a darne l'annunzio coi termini scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano per via: Frenesia, frenesia. Encefalite. Infiammazione della membrana. Febbre cerebrale. E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gaio azzurro della mattinata invernale. Morrà? Impazzirà? Mah! Morire, pare di no... Ma che dice? che dice? Sempre la stessa cosa. Farnetica... Povero Belluca! E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui quell'infelice viveva da tant'anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ciò che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia, poteva essere anche la spiegazione più semplice di quel suo naturalissimo caso. Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, s'era fieramente ribellato al suo capoufficio, e che poi, all'aspra riprensione di questo, per poco non gli si era scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse d'una vera e propria alienazione mentale. (Il treno ha fischiato)

INDIVIDUARE IL NARRATORE E IL TIPO DI FOCALIZZAZIONE 1. Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto fare altrettanto, e non poté mai. Partito, o quasi scappato da Lucia, dato l'ordine per la cena di lei, fatta una consueta visita a certi posti del castello, sempre con quell'immagine viva nella mente (Promessi Sposi) 2. Tal sorte toccò anche a me; e fin dal primo giorno io concepii così misera stima dei libri, siano essi a stampa o manoscritti (come alcuni antichissimi della nostra biblioteca), che ora non mi sarei mai e poi mai messo a scrivere, se, come ho detto, non stimassi davvero strano il mio caso e tale da poter servire d'ammaestramento a qualche curioso lettore, che per avventura, riducendosi finalmente a effetto l'antica speranza della buon'anima di monsignor Boccamazza, capitasse in questa biblioteca, a cui io lascio questo mio manoscritto, con l'obbligo però che nessuno possa aprirlo se non cinquant'anni dopo la mia terza, ultima e definitiva morte.

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Giacché, per il momento (e Dio sa quanto me ne duole), io sono morto, sì, già due volte, ma la prima per errore, e la seconda... sentirete. (Il fu Mattia Pascal) 3. Io reputo conveniente che cose tanto singolari e forse anche mai udite né vedute giammai, giungano a conoscenza di molti e non si seppelliscano nella tomba dell’oblio, giacché potrà darsi che qualcuno, leggendole, vi ritrovi qualche cosa che gli aggradi, e, per coloro che non scavino tanto a fondo, serva di diletto. […]. E tutto va così;; e perciò, confessando di non esser più santo dei miei vicini, di questa bagattella che scrivo in uno stile tanto grossolano, non mi dorrò che prendano conoscenza e ne traggan diletto tutti coloro che vi troveranno qualche cosa di piacevole, vedendo che un uomo può vivere in mezzo a tante fortune, avversità e pericoli. (Lazarillo de Tormes) 4. In un borgo della Mancha, il cui nome non mi viene a mente, non molto tempo fa viveva un cavaliere di quelli con la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ronzino magro e un levriero corridore. [...]. Aveva in casa una governante che passava i quarant’anni, una nipote che non arrivava ai venti e un garzone per i lavori della campagna e per la spesa, capace tanto di sellare il ronzino quanto di maneggiare la roncola. L’età del nostro gentiluomo rasentava i cinquant’anni: era di complessione robusta, asciutto di corpo, magro di viso, molto mattiniero e amante della caccia. Si afferma che avesse il soprannome di Quijada o Quesada. (Don Quijote de la Mancha)

5. Tutti gli altri stavano ad ascoltare con tanto d'occhi aperti. L'altro giovanotto poi raccontò pure in qual modo era saltata in aria la Palestro, -la quale ardeva come una catasta di legna, quando ci passò vicino, e le fiamme salivano alte sino alla penna di trinchetto. Tutti al loro posto però, quei ragazzi… (I Malavoglia)

6. Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dovesono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio d’infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto –chi lo nega- ma anche maledettamente suscettibili. D’altronde, non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella. Vi racconterò soltanto le cose da matti che mi sono capitate verso Natale, prima di ridurmi così a terra da dovermene venire qui a grattarmi la pancia. (Il giovane Holden, D. Salinger).

INDIVIDUARE LE MARCHE TEMPORALI E SPAZIALI

1. Sono le sei del pomeriggio e la luce è quella esatta delle sei del pomeriggio, fine estate: calda e gialla, appena velata di rosa in fondo alla campagna.

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Nel parcheggio davanti al palazzo c’è soltanto una macchina, una fiesta blu, coperta di polvere e sabbia. Il sole batte sul vetro dello specchietto retrovisore e torna indietro, una lama, sul caschetto biondo della bambina ferma in mezzo allo spiazzo. Sta rivolta verso il campo di granturco, altissimo. Indossa un grembiule azzurro, corto, col bordo sfilacciato e le tasche enormi, le gambe sono appena divaricate e ben piantate su un paio di anfibi rossi con le stringhe blu. (Dei bambini non si sa niente, Simona Vinci) 2. La sera, Roma piange. È stata questa la prima impressione che ho avuto della città quando sono arrivato, tre anni fa, profugo da un piccolo paese di provincia della Calabria. All’inizio, era inverno, e il cielo, la sera, si tingeva di rosso. Un rosso acceso. Avevo già sentito parlare dei famosi tramonti di Roma, ma pensavo fosse una leggenda per attirare i turisti. (E Roma piange, in Gioventù cannibale, Alda Teodorani) 3. Miglior sorte toccò a quelli che morirono;; a Lissa l’uno, il più grande, quello che vi sembrava un David di rame, ritto colla sua fiocina in pugno, e illuminato bruscamente dalla fiamma dell’ellera (Fantasticheria, Verga). INDIVIDUARE IL DISCORSO INDIRETTO LIBERO 1. Lì presso, sull'argine della via, c'era la Sara di comare Tudda, a mietere l'erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava soffiando che c'era venuta per salutare 'Ntoni di padron 'Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell'orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. (I Malavoglia)

2. Covava dentro di sè il male e l’amarezza. Lasciava passare i giorni. Pensava ad allungarseli piuttosto, a guadagnare almeno quelli, uno dopo l’altro, così come venivano, pazienza! Finchè c’è fiato c’è vita. (Mastro don Gesualdo).

IL TEMPO DELLA STORIA

Quale dei seguenti passi configura un sommario?

1. Era alta; magra: aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna che pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.(Lupa)

2. Scellerata le disse. Mamma scellerata! Taci! Ladra! Ladra! Taci! Andrò dal brigadiere, andrò! Vacci

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3. Il Lotti aveva sposato una bella ragazza, della stessa strada; i due figli gle erano morti quando non avevano ancora sei anni. La moglie a Quaranta. (Gli orologi di Federigo Tozzi)

INDIVIDUARE INDIZI E INFORMANTI […] e il giorno appresso, all'alba, puntuale, si presentò a Primosole Zi' Dima Licasi con la cesta degli attrezzi dietro le spalle. Era un vecchio sbilenco, dalle giunture storpie e nodose, come un ceppo antico di olivo saraceno. Per cavargli una parola di bocca ci voleva l'uncino. Mutria o tristezza radicate in quel suo corpo deforme; o anche sconfidenza che nessuno potesse capire e apprezzare giustamente il suo merito d'inventore non ancora patentato. Voleva che parlassero i fatti, Zi' Dima Licasi. Doveva poi guardarsi davanti e dietro, perché non gli rubassero il segreto.- Fatemi vedere codesto mastice - gli disse per prima cosa Don Lollò, dopo averlo squadrato a lungo con diffidenza. Zi' Dima negò col capo, pieno di dignità.- All'opera si vede.(La Giara)

LEGGERE IL RACCONTO E RISPONDERE ALLE DOMANDE Erano le dieci del mattino quando lo scrittore terminò il suo nuovo dramma. La sera prima gli restavano ancora alcune scene. Le aveva scritte durante la notte. Nel frattempo si era fatto almeno dieci caffè e aveva percorso almeno dieci chilometri, passeggiando su e giù nella stretta stanza d’albergo. Eppure adesso si sentiva riposato, come se non avesse più avuto un corpo, felice come se la vita fosse diventata più bella, e libero come se il mondo avesse cessato di esistere. Si preparò un altro caffè. Poi andò a piedi all’imbarcadero. Cercò il barcaiolo. “Mi porta a fare un giretto, zio Volentik?”, gli chiese. “Si accomodi”, disse il barcaiolo. Il cielo era coperto, ma l’aria era immobile. Il lago era piatto e scintillante come un gigantesco foglio di mica. Zio Volentik remava con colpi veloci ma brevi, come è d’uso sul Balaton. “Che ne dice?”, chiese lo scrittore dopo che avevano già percorso un bel tratto. “Dalla riva ci vedono ancora?” “Sì”, disse il barcaiolo. Andarono ancora avanti. Gli alberi a poco a poco coprirono il tetto di tegole rosse dell’albergo. Della riva non si vedeva più che il verde, del treno solo il fumo. “Ci vedono ancora?”, chiese lo scrittore. “Sì, anche qui”, disse il barcaiolo. Si udiva soltanto lo sciabordio dei remi; da una riva non giungeva più una voce. Si confondevano i contorni delle case, degli attracchi e dei boschi. Là dove il lago finiva sembrava di vedere soltanto un tratto di matita. “Anche qui ci vedono ancora?”, chiese lo scrittore. Il barcaiolo si guardò intorno. “Ormai non più.” Lo scrittore scosse via dai piedi i sandali e si alzò.

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“Allora tiri i remi in barca, zio Volentik”, disse. “Provo a camminare un po’ sull’acqua.” (Il redentore, I. Örkény) 1. Sintetizzare in poche righe la fabula del racconto. 2. Indicare in quale punto della narrazione la fabula non coincide con

l’intreccio. 3. Individuare il significato del comportamento dello scrittore? Formulare più

ipotesi. 4. Inventare il proseguimento della fabula LEGGERE IL TESTO E RISPONDERE ALLE DOMANDE

Anche lei aveva avuto, come qualunque altra, la sua storia d’amore. Suo padre, un muratore, si era ammazzato cadendo da un’impalcatura. Poi le morì la madre, le sorelle si dispersero, un fattore la prese con sé, e piccina com’era, la mise a badare alle vacche in campagna. Batteva i denti sotto gli stracci, bevevo sdraiata bocconi l’acqua degli stagni, era picchiata per un nonnulla, e alla fine fu cacciata per un furto di trenta soldi che non aveva commesso. Entrò in un altro podere, vi divenne serva, e, siccome era ben vista dai padroni, i compagni erano gelosi di lei. Una sera del mese di agosto (aveva allora diciotto anni) la trascinarono alla fiera di Colleville. Rimase subito stordita, stupefatta dallo strepito dei suonatori, dalle luci negli alberi, dagli abiti variopinti, dalle trine, le croci d’oro, da quella folla che saltava tutt’assieme. Se ne stava modestamente in disparte, quando un giovanotto dall’aria benestante, e che fumava la pipa con i gomiti sul timone di un carretto, le si avvicinò per invitarla a ballare. Le pagò sidro, caffè, focaccia, un fazzoletto da collo e pensando che lei se lo aspettasse, si offrì di accompagnarla. Sul ciglio di un campo di avena, la stese a terra brutalmente. Lei ebbe paura e si mise a gridare. Lui si allontanò.(Un cuore semplice, di G. Flaubert) 1. Dividere in sequenze e microsequenze il passo; 2. Indicare il carattere prevalente ciascuna microsequenza; 3. Sintetizzare in poche parole il contenuto di ciascuna microsequenza.

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TESTI DA ANALIZZARE Cesare Pavese, La casa in collina (1949) Seguí una notte di tiepida pioggia che liberò la primavera. L'indomani nel sereno stillante si respirava un odore di terra. Passai metà della mattina nei boschi, nella conca sul sentiero del Pino ritrovando i muschi e i vecchi tronchi. Mi parve ieri che c'ero salito con Dino, mi chiesi per quanto tempo ancora sarebbe stato il mio solo orizzonte, e guardavo il cielo fresco come una vetrata di chiesa. Belbo correva al mio fianco. Tornando passai per una cresta da cui si dominava il versante delle Fontane. Molte volte con Dino avevamo cercato di lassú lo stradone e la casa. Quel giorno fra i tronchi spogli, vidi subito il cortile, e vidi due automobili ferme, color verde-azzurro, e intorno figurine umane dello stesso colore. Provai come un senso di nausea, di gelo, tentai di dirmi ch'eran gli uomini di Fonso, mi parve che il sole si fosse coperto. Guardai meglio; non c'erano dubbi, vidi i fucili nelle mani dei soldati. Per qualche secondo non mi mossi; fissavo la conca, il cielo terso, il gruppetto laggiú; non pensavo a me stesso, non ebbi paura. Mi sbalordí il modo inatteso che hanno le cose di accadere; avevo visto tante volte quella casa dall'alto, mi ero pensato in ogni sorta di pericoli, ma una scena cosí — vista dal cielo nel mattino — non l'avevo preveduta. Ma il tempo stringeva. Che fare? Potevo far altro che attendere? Avrei voluto che ogni cosa fosse finita, fosse già ieri: il cortile deserto, le automobili scomparse. Pensavo a Cate, se era scesa a Torino, se la stavano arrestando a Torino. Pensai di accostarmi, di sentire le voci. Mi riprese quel senso di nausea. Era evidente che dovevo correre subito a Torino, rischiare ogni cosa, avvertirla. Sperai vagamente che fosse rimasta. Nel cortile si agitavano. Vidi gonne, abiti borghesi, non distinsi le facce. Salivano sulle automobili. Di casa uscirono soldati, salirono anche loro. Riconobbi la vecchia. “Bruceranno la casa?” pensavo. Poi, remoto, mi giunse lo scoppio dei motori che si allontanavano. Passò del tempo. Non mi mossi. Di nuovo, tutto era terso e tranquillo. “Se hanno preso la vecchia, — pensavo, — hanno preso tutti”. Mi accorsi di Belbo, che, accucciato ai miei piedi, ansimava. Gli dissi: — Laggiú, — e lo sospinsi col piede. Lui saltò sulle zampe abbaiando. Per la paura mi ritrassi dietro un tronco. Ma Belbo era già partito come una lepre. Lo vidi arrivare trotterellando per la strada. Lo vidi entrare nel cortile Mi ricordai quella notte d'estate che alle Fontane si cantava e tutto doveva ancora succedere. Col cuore sospeso tesi l'orecchio e spiavo se qualcuno era rimasto laggiú. Belbo, piantato nel cortile, riprese ad abbaiare, contro la porta, provocante. Si udì il canto di un gallo, strepitoso e lontano; si udí dalla strada del Pino il cigolio di carri in condotta. Il cortile era sempre deserto. Poi vidi Belbo che saltava e aveva smesso di latrare; saltava intorno a qualcuno, a un ragazzetto, Dino, sbucato da sotto la siepe. Li vidi scendere in strada e incamminarsi insieme sul sentiero che avevo percorso tante volte rientrando. Senza dubbio era Dino. Riconobbi la rossa sciarpa che portava sul soprabito, il passo trottante. Mi misi a correre fra sterpi e foglie marce, mi scansavo e battevo nei rami bagnati, correvo come un pazzo;

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la paura, l'orgasmo, la smania, diventarono corsa affannosa. Da una radura vidi ancora le Fontane, il cortile tranquillo. Non c'era nessuno. Incontrai Dino a mezzacosta. S'arrampicava con le mani in tasca. Si fermò, rosso in faccia e ansimando. Non mi pareva spaventato. — I tedeschi, — mi disse. — Sono venuti stamattina in automobile. Hanno dato dei pugni a Nando. Volevano ucciderlo... — La mamma dov'è? Anche Cate era presa. Anche il vecchio Gregorio. Tutti. Lui e la mamma uscivano per andare a Torino e li avevano visti arrivare. Non avevano fatto in tempo a voltarsi che già i tedeschi eran saltati correndo nel cortile. Puntavano dei fucili corti, gridando. La mamma tremava. Nando faceva colazione e non aveva piú finito. C'era ancora la scodella sul tavolo. — Sono entrati in cantina? Un tedesco aveva preso una cesta di bottiglie. Sí, Nando l'avevano picchiato in cantina, si sentiva urlare. Avevano trovato le casse e i fucili. Gridavano in tedesco. Li comandava un ometto in borghese, che parlava italiano. La moglie di Nando era caduta per terra. A lui la mamma aveva detto che cercasse di nascondersi, poi venisse da me a dirmi tutto. Ma avrebbe voluto restare con gli altri, salire anche lui in automobile; era venuto avanti e i tedeschi non l'avevano lasciato salire. Allora la mamma gli aveva fatto gli occhiacci e lui era scappato nel campo e la nonna chiamava,gridava. Tanto valeva nascondersi. — Ti ha detto di dirmi qualcosa? Dino disse di no e si rimise a descrivere quel che aveva veduto. L'uomo in borghese aveva chiesto a chi servivano le stanze di sopra. Quanti venivano di sera all'osteria. Poi parlava in tedesco con gli altri. Arrivammo al cancello. Dino disse che aveva già mangiato e che s'era riempito le tasche di mele. Per tutta la strada io pensai alle ville nascoste nei parchi, e che nessuna era sicura per nascondersi. Ma sulla porta ci aspettava l'Elvira. S'era messa il mantello e aspettava. Era scura, nervosa. Mi corse incontro e piú rossa del fuoco balbettò senza voce: — Ci sono i tedeschi. — Lo so già, — volli dirle, ma un suo gesto di prendermi il braccio e tirarmi in disparte senza nemmeno fare caso a Dino, mi spaventò. Non era rossa per pudore, aveva gli occhi costernati. — Sono venuti due tedeschi, — disse ansando, — hanno detto il suo nome... Sono entrati... hanno visto la stanza... Fu piú che una nausea, mi si disciolsero le gambe. Dissi qualcosa, non uscí la voce — Un'ora fa, —disse Elvira bassa e rauca, — non sapevo dove era... non volevo che l'aspettassero... Gli ho scritto su un foglio la scuola e la via. Ci sono andati... Ma ritornano, ritornano... Oggi ancora mi chiedo perché quei tedeschi non mi aspettarono alla villa mandando qualcuno a cercarmi a Torino. Devo a questo se sono ancora libero, se sono quassú. Perché la salvezza sia toccata a me e non a Gallo, non a Tono, non a Cate, non so. Forse perché devo soffrire dell'altro? Perché sono il piú inutile e non merito nulla, nemmeno un castigo? Perch'ero entrato quella volta in chiesa? L'esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di piú. Rende sciocchi e sono al punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfò e non mi basta. A volte, dopo avere ascoltato l'inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero scampato.

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Quel mattino non stetti a pensare. Un sapore di morte mi riempiva la bocca. Saltai nel sentiero dietro i bossi; dissi all'Elvira sul cespuglio che desse i miei soldi e il libretto di banca al ragazzo, io correvo ad aspettarlo nella conca delle felci. Dissi a Dino di fare attenzione che non lo seguissero. Gli dissi di andare al cancello e guardare. Ai tedeschi, raccomandai all'Elvira, bisognava rispondere che sovente passavo settimane a Torino e che lei non sapeva dove. Dino gridò. Disse: — C'è un uomo. Mi appiattii sulla ghiaia bagnata. Tornò l'Elvira e bisbigliò: — Non era niente. Un carretto che passa. Allora dissi: — Siamo intesi, — e mi salvai. Arrivai tra le felci ch'ero tutto sudato. Non mi sedetti. Passeggiavo avanti e indietro per sfogarmi. Fra gli alberi spogli si apriva il grande cielo, leggero, mai visto cosí. Compresi cos'è il cielo per i carcerati. Quel sapore di sangue che m'empiva la bocca m'impediva di pensare. Guardai l'orologio. Mi pentii di aver promesso di aspettare. Quell'attesa era orribile. Tendevo l'orecchio se sentivo abbaiare dei cani, sapevo che i tedeschi usano i cani poliziotti. “Purché Belbo non venga a cercarmi, — dicevo, — sono capaci di seguirlo”. Poi cominciarono i sospetti e le questioni. Se i tedeschi arrestavano l'Elvira e la madre, la madre diceva certo ch'ero qui. Avrei voluto ritornare e supplicarle. Ripensai quanti torti avevo fatto all'Elvira. Mi chiesi se Dino le aveva già detto dei suoi arresti e dei fucili. Mi calmò un poco ricordarmi che fucili da me non ne avevano nemmeno cercati. Cosí passavo quell'attesa, appoggiandomi ai tronchi, parlando tra me, passeggiando, seguendo la luce. Mi venne fame, guardai l'orologio, erano le undici e dieci. Aspettavo da solo mezz'ora. A Cate, a Nando, a tutti gli altri non osavo pensare, quasi per darmi un attestato d'innocenza. A un certo punto mi scrollai, mi feci schifo. Dino arrivò due ore dopo, insieme all'Elvira, che s'era messo il velo nero sul capo come quando tornava da messa. — Non si è visto nessuno, — mi dissero. Portavano un pacco e un pacchetto piú piccolo. — C'è da mangiare e c'è la roba, — disse lei. La roba erano calze, fazzoletti, il rasoio. — Siete matti, — strillai. Ma l'Elvira mi disse che ci aveva pensato, che mi aveva trovato un bel rifugio sicuro. Era oltre il Pino, in pianura, il collegio di Chieri, una casa tranquilla con letti e refettorio. — C'è un bel cortile e fanno scuola. Starà bene, — mi disse. — Qui c'è una lettera del parroco. È una scuola di preti. Tra loro s'aiutano, i preti. Parlava tranquilla, non piú spaventata. Anche il rossore era scomparso. Tutto avveniva naturale, consueto. Ripensai quelle sere che le dicevo “Buona notte”. — E Dino? — dissi. Per ora restava con loro. Disse: — Ci siamo già spiegati — guardandolo appena, e lui fece di sí col mento. La stanchezza, il sapore di sangue tornavano a invadermi. Mi si annebbiarono gli occhi. Galleggiavo dentro un mare di bontà, di terrore, e di pace. Anche i preti, e il perdono cristiano. Cercai di sorridere ma la faccia non mi disse. Brontolai qualcosa — che rientrassero subito, chesoprattutto non venissero a cercarmi. Presi i pacchi e partii. Mangiai nei boschi e verso sera ero entrato nel collegio, per una viuzza fuori mano. Nessuno mi aveva veduto. Giurai, se potevo, di non uscirne mai piú.

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Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato (1914)

Circoscritto... sì, chi l'aveva definito così? Uno dei suoi compagni d'ufficio. Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista, senz'altra memoria che non fosse di partite aperte, di partite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e impostazioni; note, librimastri, partitarii, stracciafogli e via dicendo. Casellario ambulante; o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d'un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi. Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato senza pietà, così per ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po', a fargli almeno almeno drizzare un po' le orecchie abbattute, se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio. Niente! S'era prese le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com'era da anni e anni alle continue e solenni bastonature della sorte. Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto d'una improvvisa alienazione mentale. Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Già s'era presentato, la mattina, con un'aria insolita, nuova; e cosa veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo di una montagna era venuto con più di mezz'ora di ritardo. Pareva che il viso, tutt'a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutto a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d'improvviso all'intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi tutt'a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni non avvertiti mai. Così ilare, d'una ilarità vaga e piena di stordimento, s'era presentato all'ufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente. La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte: E come mai? Che hai combinato tutt'oggi? Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un'aria d'impudenza, aprendo le mani. Che significa? aveva allora esclamato il capoufficio, accostandoglisi e prendendolo per una spalla e scrollandolo. Ohé, Belluca! Niente, aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d'impudenza e d'imbecillità su le labbra. II treno, signor Cavaliere. Il treno? Che treno? Ha fischiato. Ma che diavolo dici? Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L'ho sentito fischiare... Il treno? Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia... oppure oppure... nelle foreste del Congo... Si fa in un attimo, signor Cavaliere! Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi. Allora il capo-ufficio che quella sera doveva essere di malumore urtato da quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di tanti suoi scherzi crudeli.

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Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti, s'era ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch'egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più esser trattato a quel modo. Lo avevano a viva forza preso, imbracato e trascinato all'ospizio dei matti. Seguitava ancora, qua, a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio assai lamentoso, come lontano, nella notte; accorato. E, subito dopo, soggiungeva: Si parte, si parte... Signori, per dove? per dove? E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi. Quegli occhi, di solito cupi, senza lustro, aggrottati, ora gli ridevano lucidissimi, come quelli d'un bambino o d'un uomo felice; e frasi senza costrutto gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite; espressioni poetiche, immaginose, bislacche, che tanto più stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca a lui, cioè a uno che finora non s'era mai occupato d'altro che di cifre e registri e cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava di azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola. Cose, ripeto, inaudite. Chi venne a riferirmele insieme con la notizia dell'improvvisa alienazione mentale rimase però sconcertato, non notando in me, non che meraviglia, ma neppur una lieve sorpresa. Difatti io accolsi in silenzio la notizia. E il mio silenzio era pieno di dolore. Tentennai il capo, con gli angoli della bocca contratti in giù, amaramente, e dissi: Belluca, signori, non è impazzito. State sicuri che non è impazzito. Qualche cosa dev'essergli accaduta; ma naturalissima. Nessuno se la può spiegare, perché nessuno sa bene come quest'uomo ha vissuto finora. Io che lo so, son sicuro che mi spiegherò tutto naturalissimamente, appena lo avrò veduto e avrò parlato con lui. Cammin facendo verso l'ospizio ove il poverino era stato ricoverato, seguitai a riflettere per conto mio: "A un uomo che viva come Belluca finora ha vissuto, cioè una vita "impossibile", la cosa più ovvia, l'incidente più comune, un qualunque lievissimo inciampo impreveduto, che so io, d'un ciottolo per via, possono produrre effetti straordinarii, di cui nessuno si può dar la spiegazione, se non pensa appunto che la vita di quell'uomo è "impossibile". Bisogna condurre la spiegazione là, riattaccandola a quelle condizioni di vita impossibili, ed essa apparirà allora semplice e chiara. Chi veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene, potrà stimarla per sé stessa mostruosa. Biso-gnerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà più tale; ma quale dev'essere, appartenendo a quel mostro. "Una coda naturalissima". Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca. Ero suo vicino di casa, e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si domandavano come mai quell'uomo potesse resistere in quelle condizioni di vita. Aveva con sé tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera: queste due, vecchissime, per cataratta; l'altra, la moglie, senza cataratta, cieca fissa; pàlpebre murate.

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Tutt'e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché nessuno le serviva. Le due figliuole vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti, l'una con quattro, l'altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia da badare ad esse; se mai, porgevano qualche aiuto alla madre soltanto. Con lo scarso provento del suo impieguccio di computista poteva Belluca dar da mangiare a tutte quelle bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte da ricopiare. E ricopiava tra gli strilli indiavolati di quelle cinque donne e di quei sette ragazzi finché essi, tutt'e dodici, non trovavan posto nei tre soli letti della casa. Letti ampii, matrimoniali; ma tre. Zuffe furibonde, inseguimenti, mobili rovesciati, stoviglie rotte, pianti, urli, tonfi, perché qualcuno dei ragazzi, al buio, scappava e andava a cacciarsi tra le vecchie cieche, che dormivano in un letto a parte, e che ogni sera litigavano anch'esse tra loro, perché nessuna delle tre voleva stare in mezzo e si ribellava quando veniva la sua volta. Alla fine, si faceva silenzio, e Belluca seguitava a ricopiare fino a tarda notte, finché la penna non gli cadeva di mano e gli occhi non gli si chiudevano da sé. Andava allora a buttarsi, spesso vestito, su un divanaccio sgangherato, e subito sprofondava in un sonno di piombo, da cui ogni mattina si levava a stento, più intontito che mai. Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo. Quando andai a trovarlo all'ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, sì, ancora esaltato un po', ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito. Magari! diceva. Magari! Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni - ma proprio dimenticato che il mondo esisteva. Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla stanga di una nòria d'un molino, sissignori, s'era dimenticato da anni e anni ma proprio dimenticato che il mondo esisteva. Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l'eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel silenzio profondo della notte aveva sentito, da lontano, fischiare un treno. Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero sturati. II fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt'intorno. S'era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte. C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che

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vi si viveva! La vita, che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava, quella aveva sempre seguitato, mentr'egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo s'era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria... Ma ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L'attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l'immaginazione d'improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari... Questo stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C'erano, mentr'egli qua viveva questa vita "impossibile", tanti e tanti milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti... Sì, sì, le vedeva, vedeva, le vedeva così... c'erano gli oceani... le foreste... E, dunque, lui ora che il mondo gli era rientrato nello spirito poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento per prendere con l'immaginazione una boccata d'aria nel mondo. Gli bastava! Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S'era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d'un tratto: cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro della troppa aria, lo sentiva. Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo-ufficio, e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo-ufficio ormai non doveva pretender troppo da lui, come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l'altra da registrare, egli facesse una scapatina, sì, in Siberia... oppure oppure... nelle foreste del Congo: Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato...

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GLOSSARIO DI NARRATOLOGIA

AIUTANTE. Impersona un ruolo di collaborazione con il protagonista, nel superamento di determinate prove, oppure può coadiuvare l'antagonista nell'opporre ostacoli alle imprese del personaggio principale.

ANALESSI. Provoca una anacronia rispetto al piano narrativo giacché ripropone avvenimenti accaduti in un'epoca anteriore relativamente al tempo in cui si svolgono i fatti proposti dalla storia.

ANALISI. Costituisce un rallentamento del tempo narrativo rispetto al tempo reale e consente di registrare le riflessioni o le emozioni di un personaggio.

ANTAGONISTA. E' l'oppositore che frappone ostacoli alla realizzazione dei piani e dei desideri del protagonista.

AUTORE IMPLICITO. E' l'immagine che il lettore ricostruisce a proposito dello scrittore, derivandola dalla lettura di un testo; i tratti ideologici, psicologici e morali così desunti possono coincidere con la reale personalità dell'artista o non coincidere affatto.

AUTORE REALE. Si identifica con lo scrittore che ha redatto il testo; è l'emittente che, in un certo contesto storico-sociale, ha elaborato il messaggio destinato al lettore.

COMPARSA. Corrisponde ad un personaggio il cui ruolo è irrilevante nello sviluppo dell'azione.

CONNOTAZIONE. Esprime la potenzialità semantica di una parola o di una frase, che può assumere significato specifico in rapporto al testo di riferimento, spesso avulso dalla accezione usuale.

DANNEGGIAMENTO. Causa la perdita dell'oggetto del desiderio agognato dal protagonista.

DENOTAZIONE. Individua il significato fondamentale di una parola.

DIGRESSIONE. Costituisce un elemento non essenziale per la ricostruzione della fabula, ma significativo per l'arricchimento espositivo dell'intreccio.

DISCORSO DIRETTO. Consente al personaggio di esprimersi in prima persona, senza subire l'ingerenza di un narratore che si renda portavoce delle sue parole.

DISCORSO INDIRETTO. Riproduce le opinioni di personaggio attraverso la mediazione di una voce narrante.

DISCORSO INDIRETTO LIBERO. Riferisce i discorsi di un personaggio, mediante un narratore, senza introdurli con l'ausilio dei verbi dichiarativi.

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DURATA. Stabilisce che rapporto intercorre tra il tempo narrativo e il tempo reale: si vale pertanto di espedienti che accelerano o rallentano il ritmo della storia, riassumendo certi archi cronologici o esponendo dettagliatamente episodi durati solo pochi istanti. E' denominata anche velocità di trattazione.

ELLISSI. Provoca un taglio cronologico di avvenimenti ritenuti irrilevanti ai fini dello svolgimento della vicenda narrata.

EPILOGO. Equivalente dello scioglimento, determina la conclusione dell'intreccio, ricomponendo l'equilibrio iniziale oppure costituendo una nuova condizione di stabilità.

FABULA. Costituisce la successione degli accadimenti di una storia, ordinati in modo cronologico e in rapporto di causa-effetto.

FASCI DI CARATTERIZZAZIONE. Consentono di rilevare i tratti più salienti di un personaggio secondo caratteristiche fisiche, antropologiche, sociali, culturali e psicologiche.

FLASH-BACK. Cfr.: analessi.

FLUSSO DI COSCIENZA. Equivalente della espressione inglese stream of consciousness, consente di esporre il susseguirsi dei pensieri di un personaggio per libere associazioni di idee e di mettere in risalto, in tal modo, le sue dinamiche psicologiche.

FOCALIZZAIZONE. Determina un numero massimo oppure minimo di informazioni che il narratore fornisce la lettore. Si distingue in tre tipi fondamentali: focalizzazione zero, allorché il narratore onnisciente, conosce più notizie, a riguardo degli episodi che narra, di quante non ne sappiano i personaggi; focalizzaizone interna, quando narratore e personaggi possiedono le medesime conoscenze; focalizzazione esterna, nel caso in cui le informazioni della voce narrante siano più ristrette di quelle dei personaggi.

INCIPIT. Con questa parola latina viene designato l'inizio di un testo.

INTRECCIO. Costituisce la struttura narrativa prescelta dall'autore per redigere il testo; comprende anche motivi tematici minori, cioè non essenziali alla dinamica della storia; la presentazione degli eventi non segue necessariamente l'ordinamento logico-cronologico della fabula, ma è soggetta a possibili scarti di tempo, operando anticipazioni o posticipazioni rispetto all'ordine di accadimento dei fatti della storia.

INTRODUZIONE. Presenta in linee generali la situazione iniziale di una storia; talvolta il reticolo narrativo ne è privo: in questo caso si dice che il testo ha inizio ex abrupto, perché esordisce senza una esposizione preliminare.

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LETTORE IMPLICITO. E' il lettore ideale, presupposto dallo scrittore come destinatario del proprio messaggio, desumibile dalle caratteristiche stilistiche dell'opera.

LETTORE REALE. Coincide con l'effettivo ricevente del messaggio redatto dallo scrittore.

MACROSEQUENZA. Racchiude un insieme di sequenze che, pur rappresentando nuclei narrativi distinti, partecipano di uno stesso carattere unitario, dando luogo, ad esempio, ad un episodio.

MONOLOGO INTERIORE. Introduce stati d'animo e considerazioni di un personaggio senza la mediazione del narratore.

NARRATARIO. E' il ricevente del messaggio narrativo, cui lo scrittore si rivolge esplicitamente, mediante appelli diretti, presenti nel testo.

NARRATORE. Costituisce la voce narrante e la sorgente comunicativa del messaggio. Si dice narratore interno o omodiegetico, quando è partecipe del tempo e dello spazio della diegesi, ossia dell'azione narrativa, che egli racconta; si dice narratore esterno o eterodiegetico, allorché non prende parte alla vicenda che espone.

OGGETTO DEL DESIDERIO. Può identificarsi con il possesso di un bene materiale, ma anche con l'acquisizione di uno stato sociale o di una condizione morale, la cui mancanza o perdita dà luogo alle azioni dei personaggi che lo agognano, provocando, a volte, situazioni di conflittualità.

ORDINE. Consente di valutare, nel piano narrativo, l'isocronia o l'anacronia di trattazione degli avvenimenti. Si rileva isocronia, allorché i fatti vengono presentati in progressione logico-cronologica, anacronia quando invece compaiono analessi o prolessi.

PAUSA. Provoca un rallentamento del tempo narrativo rispetto al tempo reale e riproduce la descrizione di un ambiente e di un personaggio.

PROLESSI. Determina l'anticipazione di un episodio che si verificherà in un arco di tempo posteriore, rispetto al piano cronologico dei fatti, narrati dall'autore fino a quel momento.

PROTAGONISTA. Riveste il ruolo del personaggio principale della storia; gestisce le azioni ed è coinvolto negli accadimenti che costituiscono la vicenda narrativa.

PUNTO DI VISTA. Può essere interno, quando i sentimenti e le opinioni di un personaggio vengono esplicitati a tal punto, da indurre il lettore ad immedesimarsi nella sua ottica. E' invece esterno, quando il narratore vuole presentare le emozioni dei personaggi in modo più oggettivo.

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SCENA. Costituisce una funzione durante la quale tempo reale e tempo narrativo coincidono e si articola secondo le modalità del dialogo.

SEQUENZA. Rappresenta un nucleo narrativo all'interno di un testo, distinguibile da altri grazie alla presenza di precisi indicatori, quali l'entrata o l'uscita di scena di un personaggio, il cambiamento di tempo o spazio o la modificazione delle stesse modalità espositive (ex.: il passaggio dal discorso diretto all'indiretto e viceversa).

SIGNIFICANTE. Indica la componente acustica della parola mediante l'associazione delle vocali e consonanti, che la caratterizzano.

SIGNIFICATO. Rappresenta, a seconda dei casi, un concetto, una immagine astratta, oppure un elemento concreto espresso da una parola. In relazione ad un preciso contesto rievoca l'applicazione d'uso, cui il segno linguistico inerisce. (Ex.: la parola operazione assume significato diverso in rapporto all'ambiente e alla situazione, sala operatoria, sportello bancario, aula di matematica, ecc.).

SISTEMA DEI PERSONAGGI. Nell'ambito narrativo i personaggi si distinguono in principali e secondari. Tenuto conto delle interazioni che si stabiliscono tra loro, determinano appunto il sistema dei personaggi che comprende i diversi ruoli: protagonista, antagonista, aiutante, oggetto del desiderio.

SOMMARIO. Designa una funzione durante la quale il tempo narrativo risulta inferiore al tempo reale, infatti il narratore è delegato a riassumere sinteticamente i fatti, pertanto il ritmo del racconto subisce una accelerazione.

SOSPENSIONE D'INCREDULITA'. Implica un coinvolgimento del lettore reale a riguardo del testo, che presuppone un patto narrativo di natura convenzionale, grazie al quale il ricevente presta fede alle invenzioni dell'autore, soprannominato dal critico Cesare Segre "bugiardo autorizzato".

SPANNUNG. Sostantivo femminile tedesco, significa tensione e corrisponde infatti, nell'ambito del reticolo narrativo, all'acme espositivo, cioè al momento culminante della vicenda.

STILEMA. Indica una locuzione o un enunciato, ricorrente nell'opera di uno scrittore, la cui frequenza testimonia un tratto caratterizzante lo stile.

STRANIAMENTO. Comporta una percezione della realtà secondo canoni rappresentativi, che la rendono inusuale e divergente dall'ordinario.

SUSPENSE. Sostantivo femminile inglese, esprime un sentimento di angoscia e turbamento emotivo, che condiziona il lettore mediante l'esposizione di situazioni enigmatiche o inquietanti.

TEMPO DELLA NARRAZIONE. Si riferisce al tempo che lo scrittore stabilisce per esporre l'azione narrativa, dedicando maggiore o minore ampiezza agli

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avvenimenti, indipendentemente dalla loro effettiva durata reale, ma in relazione alla importanza ad essi attribuita.