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ANACI Sede Provinciale di LECCO
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Avv. Davide Longhi
Dr. Giandomenico Graziano
La sicurezza
negli edifici
Condominiali
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INDICE
1. Introduzione. I riferimenti codicistici.
2. La Sicurezza nel condominio quale luogo di vita.
2.1. La protezione dagli estranei. I c.d. offendicula.
2.2. I cani da guardia.
2.3. Le inferriate alle finestre.
2.4. Le recinzioni in condominio.
2.5. L'art. 1122-ter “Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni”
2.6. Le cautele nella predisposizione delle impalcature.
2.7. Le normative di settore. La normativa antincendio.
2.8. Gli Impianti termici
2.9. Gli impianti idrici
2.10. Gli Ascensori
2.11. L'Amianto in condominio
2.12. Gli Impianti elettrici
3. La Sicurezza nel Condominio quale luogo di lavoro
3.1. I Lavoratori subordinati
3.2. Gli Appalti
4. Responsabilità dell’amministratore
4.1. La responsabilità contrattuale
4.2. La responsabilità extracontrattuale. La responsabilità nei confronti dei terzi.
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1. Introduzione. I riferimenti codicistici.
Il tema della sicurezza nel condominio è – comprensibilmente - un tema molto sentito dal
Legislatore tanto che nella disciplina codicistica, costituita da circa una ventina di norme, la
locuzione “sicurezza” (che spesso si trova accostata ai concetti di “stabilità dell’edificio” e “decoro
architettonico”) è frequentemente utilizzata e la si trova talvolta quale criterio ostativo, al fine di
impedire quegli interventi sulle parti comuni pregiudizievoli per la sicurezza e talvolta in modo
propositivo, al fine di favorire quelle opere che invece ne rafforzano le cautele.
Con la locuzione sicurezza generalmente si intende il complesso di precauzioni volte alla tutela di
alcuni diritti. Oggetto di tutela è, in primis, il diritto alla vita ed alla salute intesi sia in senso
individuale che in senso collettivo (“la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettività” art. 32 Cost.), che si concretano nell'adozione di strumenti posti a tutela
dell'incolumità personale (fisica e psichica). Inoltre, in senso più ampio, si ricorre al termine
sicurezza anche per la tutela dei diritti economici-patrimoniali1. Sicurezza dunque significa che lo
svolgimento delle diverse attività connaturate al condominio debbano avere una modalità tale che
detti diritti non siano esposti a pericolo.
In tema di condominio, essa si pone sotto un triplice aspetto: (i) sicurezza nel condominio inteso
come luogo di vita; (ii) sicurezza nel condominio inteso come luogo di lavoro; (iii) sicurezza nel
condominio in relazione ai rapporti con i terzi.
La normativa sulla sicurezza è dettata dalle norme generali del codice, e tanto più in modo analitico
dalle diverse normative speciali.
Come accennato, l'istituto codicistico, così come riformato dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220,
opera un diretto riferimento alla problematica della sicurezza degli edifici in un numero notevole di
norme.
In particolare, gli artt. 1117 ter, quinto comma, e 1120, primo comma, cod. civ., che si occupano
degli interventi sulle parti comuni dell’edificio (rispettivamente sulla modifica della destinazione
d’uso e sull’innovazione), sanciscono che sono ad ogni modo vietati gli interventi che recano
pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza ed al decoro architettonico. Anche l’intervento migliorativo
del singolo, permesso ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., deve garantire agli altri condòmini che la 1Terzago, “Il Condominio. Trattato teorico-pratico”. sesta edizione, Giuffrè, 2006. il quale riconduce nell’alveo della
sicurezza gli interventi che facilitano l'ingresso dei ladri, estendendo la normativa sulla sicurezza alla tutela dei
diritti patrimoniali.
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miglioria apportata sulle parti comuni non possa in alcun modo essere pregiudizievole per la loro
sicurezza.
In un'ottica di favore, invece, si pone l'art. 1120 cod. civ., secondo comma, n. 1), il quale riconduce
nel novero delle innovazioni deliberabili dall’assemblea con una maggioranza più tenue rispetto alle
innovazioni ordinarie “le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli
edifici e degli impianti”.
Anche l’art. 1122 cod. civ., rubricato come “Opere su parti di proprietà o uso individuale”, che
invece si occupa dei tipi di interventi che il singolo condòmino può eseguire sulle sue parti
esclusive nel rispetto delle parti comuni, afferma che: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà
ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà o
destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti
comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico
dell’edificio”. Inoltre, nel caso in cui il singolo intendesse eseguire un intervento nella sua proprietà
esclusiva ha l’obbligo di darne preventiva notizia all’amministratore il quale ne riferisce
all’assemblea. Detta disposizione, si pone nell’ottica di aumentare la responsabilità da custodia
dell’amministratore e risulta in armonia con lo spirito dell’istituto riformato che vede di definire
compiutamente l'amministratore quale soggetto giuridico garante della sicurezza del condominio e
quale perno della responsabilità in condominio.
Alla cessazione dell’incarico, l’amministratore è tenuto altresì alla consegna di tutta la
documentazione in suo possesso afferente il condominio e i singoli condomini, nonché è tenuto a
eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni.
Una grande novità apportata dalla riforma è, invece, quella di cui all'art. 6 l. 220/2012, che
modificando l’art. 1130 c.c., ha introdotto l’obbligo di tenere un registro anagrafe condominiale,
ossia una sorta di fascicolo con i dati dell’immobile e delle persone che lo occupano (proprietario,
usufruttuario, locatario, etc.). Il condòmino dovrà quindi comunicare i propri dati all’amministratore
e, qualora non rispetti l’obbligo, dovrà rimborsare i costi per la ricerca delle informazioni indicate
nella legge.
Oltre alle comunicazioni anagrafiche il singolo condòmino è tenuto a comunicare “ogni dato
relativo alle condizioni di sicurezza”, vale a dire a comunicare e a consegnare tutti i dati e i
documenti relativi alla sicurezza come le certificazioni di conformità degli impianti, il certificato di
agibilità dello stabile di cui all'art. 24 del D.p.r. n. 380/20012, e tutti gli altri certificati relativi alla
sicurezza condominiale. 2 L’art. 24 Dpr 380/2001 disciplina i certificati di agibilità nonché le modalità di attestazione della sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati,
valutate alla stregua di ogni relativa normativa di settore.
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Il termine utilizzato dal Legislatore “condizioni di sicurezza”, tuttavia, è stato oggetto di critiche3 e
si presta ad interpretazioni non univoche.
Ci si chiede, in particolare, se il Legislatore, prevedendo la tenuta dei registri ha inteso attribuire
all’amministratore un compito meramente compilatorio di raccolta di dati ovvero un ruolo ispettivo
e di maggior inferenza verso i singoli condòmini. In dottrina4, tuttavia, c'è chi fa rilevare che
scomparendo con la riforma la disposizione che permetteva all'amministratore di accedere alle
singole unità a fini di controllo, la tenuta dei registri sarebbe di per sé sufficiente ad adempiere gli
obblighi richiesti e qualsivoglia imputazione di responsabilità all'amministratore per le singole unità
si configurerebbe quale responsabilità oggettiva e sarebbe contrario ai principi penali
dell'ordinamento giuridico.
In primis la tenuta dei dati permetterà di individuare nell'amministratore il soggetto che ha la
disponibilità dei dati di quell'edificio, alla stregua dei registri pubblici. Tuttavia, in capo
all'amministratore sorgono responsabilità civili e penali derivanti dagli obblighi contrattuali, da cose
in custodie, nonché dalla legge penale. Inoltre, l'amministratore è responsabile per colpa omissiva
anche per le parti individuali, sicché, per tutto ciò, a parere di chi scrive, si dovrebbe concludere che
in caso di irregolarità delle condizioni di sicurezza l'amministratore abbia il dovere ed il potere di
intervenire intimando al singolo di regolarizzare la propria posizione, se non volesse incorrere in
responsabilità per omissione.
Sembra doversi ritenere, quindi, che l’adempimento dell’obbligo relativo alle condizioni di
sicurezza, si sostanzi in una raccolta delle attestazioni relative alla conformità e agli adempimenti
obbligatori degli impianti dei singoli, oltre che di quelli comuni, e l’impianto non certificato o
verificato, ritenuto ipso iure pericoloso, obbliga l'amministratore ad intervenire affinché il singolo si
attivi. In tali casi di situazioni di pericolo e di impianti non in regola, l'intervento
dell'amministratore, qualora si rivelasse insufficiente la formale diffida, dovrà essere svolto in
ultima ratio innanzi alle autorità giudiziarie e solo in questo modo all'amministratore non sarà
imputata alcuna omissione dell'obbligo di attivazione.
2. La Sicurezza nel condominio quale luogo di vita.
2.1. La protezione dagli estranei. I c.d. offendicula.
Spesso, in condominio, sorge la necessità di disporre dei mezzi di protezione al fine di impedire
3A. Gallucci, Anagrafica Condominiale e dati relativi alle condizioni di sicurezza, 2013, lavorincasa.it 4Gallucci op. cit.
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l'ingresso indiscriminato nelle parti comuni, prevenendo in questo modo anche il compimento di
reati (contro il patrimonio o contro la persona) contro la sicurezza dei condòmini.
Naturalmente, la predisposizione di detti strumenti non rimane scevra da ogni regolamentazione. Il
principio cardine che muove la materia infatti è quello per cui i c.d. offendicula (così come vengono
chiamati nel diritto penale), non dovrebbero creare pericoli e rischi a terzi. Non solo, essi
soggiacciono alla regolamentazione generale della materia relativamente ai rapporti interni del
condominio sicché, una volta apposti, gli offendicula entrano a far parte del novero delle parti
comuni e ne seguono la disciplina in tema di intervento, manutenzione, responsabilità da custodia,
ecc. (v. infra).
Gli strumenti utilizzati a protezione del condominio, solitamente, sono intrinsecamente predisposti
ad offendere e a creare a loro volta eventi lesivi, si pensi, ad esempio, al filo spinato, ai cani da
guardia, alle punte acuminate, ecc.. Secondo i fautori della materia5, l'apposizione di questi
strumenti sarebbe legittima perché si collocherebbe nell'alveo della legittima difesa ovvero
nell'esercizio di un diritto. Ad ogni modo, nell'uno o nell'altro caso, gli eventi lesivi cagionati dagli
offendicula non escludono a priori la colpevolezza degli agenti. Infatti, per andare esenti da colpe, e
quindi dalla pena, l'apposizione di tali strumenti deve essere apposta secondo delle regole
cautelari ben precise che partono dalla correttezza dell'installazione o della sistemazione, dalla
proporzionalità della loro possibile offesa fino alla riconoscibilità della loro presenza attraverso
segnaletiche ben visibili o illuminazioni apposite e adottare tutte le precauzioni suggerite dal caso
concreto volte a tutelare nel miglior modo possibile il principio del neminem laedere.. Solo in tal
caso, infatti, potrebbe essere carente il requisito della colpevolezza ed allora il soggetto agente
potrebbe trovare giustificazione dell'evento lesivo ed essere scriminato dalla pena.
2.2. I cani da guardia.
La legge di riforma del condominio ha novellato anche l'art. 1138 cod. civ. sancendo che il
regolamento condominiale - ancorché contrattuale - non può più vietare ai condòmini di ospitare
animali domestici. Tuttavia, già la Corte di Cassazione6 riteneva non sussistere alcun divieto
limitatamente agli animali da compagnia, i quali riconosciuti come esseri senzienti devono essere
considerati alla stregua di un membro della famiglia. In questa sede è opportuno rilevare che
l'adozione di un cane da guardia all'interno del proprio appartamento o del giardino condominiale
soggiace comunque a delle precise regole cautelari.
5D. Pulitanò, Diritto Penale, Giappichelli, Torino, 2009, p. 303 e ss. 6Cass., decreto del 13.03.2013
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In primo luogo, il proprietario rimane sempre responsabile dei danni commessi dall'animale
secondo il disposto dell'art. 2052 cod. civ. che recita “il proprietario di un animale o chi se ne serve
per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto
la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”. Si tratta di una
responsabilità meramente oggettiva, per il quale non v'è la necessità di provare la negligenza né la
culpa in viglando, bensì unicamente il nesso causale il quale, a sua volta, può essere interrotto solo
dal caso fortuito.
Il cane da guardia presente nel giardino recintato rientra nel concetto dei c.d. offendicula e pertanto
è necessario adottare tutte le regole cautelari del caso se non si volesse incorrere in responsabilità di
tipo penalistico. L'obbligo principale, ad esempio, è quello di apporre sul cancello o sulla recinzione
una segnaletica ben visibile con cui si indica la presenza dell'animale salvo adottare tutte le ulteriori
precauzioni che suggerisce il caso in concreto.
In merito agli obblighi del padrone, giova rammentare l'ordinanza del Ministero della Salute del 23
marzo 2009 il quale: (i) vieta che i cani possano essere lasciati liberi di circolare nei luoghi comuni;
(ii) obbliga di mantenere pulita l'area di passaggio ed obbliga i padroni a comportarsi in modo da
non ledere e non nuocere alla quiete ed all'igiene; (iii) obbliga di utilizzare il guinzaglio in ogni
luogo comune; (iv) nel caso di animali aggressivi v'è l'obbligo di adottare la museruola; (v) v'è
l'obbligo di stipulare l'assicurazione obbligatoria per i danni civili; (vi) adottare tutte le cautele
necessarie per la tutela del principio del neminem laedere.
Ogni singolo condòmino, inoltre, è legittimato a chiedere la cessazione delle turbative provenienti
dall'animale. In primo luogo, può chiedere la cessazione dei rumori molesti o di odori sgradevoli ai
sensi dell'art. 844 c.p.c. disciplinante la violazione delle norme sulle immissioni intollerabili, ed in
tal caso potrebbe ottenere finanche l'allontanamento dell'animale con l'azione di cui all'art. 700
c.p.c. Inoltre, qualora il rumore sia tale da disturbare un numero indefinito di persone potrebbe
sussistere il reato di cui all'art. 659 c.p. “disturbo al riposo delle persone”. Inoltre il condòmino, più
di chiunque altro, ha la possibilità di venire a conoscenza dei maltrattamenti subìti dall'animale,
ovvero venire a conoscenza dei fatti di reato di cui all'art. 672 c.p rubricato “omessa custodia”
qualora l'animale venisse abbandonato per lungo tempo (ad esempio, sul balcone
dell’appartamento) ed in tali casi potrebbe denunciare l’evento alle autorità competenti.
2.3. Le inferriate alle finestre.
Sotto il profilo della sicurezza è sempre più diffusa l'esigenza di proteggere le abitazioni da estranei
sgraditi. A tal fine, molti ricorrono, oltre ai corroborati sistemi di allarme, anche all'installazione di
inferriate alle finestre.
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Il codice civile non disciplina l'apposizione delle inferriate, tuttavia la giurisprudenza ha avuto
modo di pronunciarsi più volte al riguardo.
I principi che ispirano la materia si individuano in un bilanciamento d'interessi tra due valori
egualmente tutelati dalla disciplina condominiale, ovverosia la sicurezza dei condòmini e il decoro
architettonico. Infatti, le finestre si inseriscono in più ampio contesto che è la facciata condominiale
e contribuiscono con le relative forme a determinarne l'estetica. Tuttavia, secondo la Corte
d'Appello di Milano7 “La collocazione delle inferriate alle finestre di un’unità immobiliare in un
condominio è legittima in quanto si inserisca nella facciata dell’edificio senza cagionare
mutamento delle linee architettoniche ed estetiche che provochi un pregiudizio economicamente
valutabile o in quanto pur arrecando tale pregiudizio, si accompagni a un’utilità che compensi
l’alterazione architettonica”. L'installazione della facciata, pertanto, è consentita al singolo a norma
dell'art. 1102 cod. civ., e può installarla senza alcun consenso preventivo dell'assemblea, purché il
bene protetto dalle inferriate sia meritevole di maggiore tutela rispetto a quello per cui si pone a
pregiudizio. Chiaramente, la valutazione della qualità e dell'incidenza degli interessi in gioco è un
giudizio squisitamente di merito sicché rimane compito esclusivo del Giudice di prime cure
esaminare il caso concreto che gli si prospetta davanti. Egli, a tal fine, prenderà in considerazione
alcuni indici e criteri giuda che suggeriscano l'adozione di un'ipotesi anziché di quella opposta.
Ad esempio, valuterà se l'edificio è posizionato in un quartiere particolarmente pericoloso, o se vi
siano registrati furti nel condominio, oppure se le inferriate sono state collocate sulle finestre
facilmente raggiungibili dall'esterno, se vi siano alternativi mezzi di protezione, e ancora in che
misura ed in che grado abbiano subito alterazione le linee architettoniche dell'edificio, se
l'installazione abbia determinato un pregiudizio economico e di che misura, ecc.
E' legittimo, inoltre, che il regolamento condominiale contenga norme a tutela del decoro
architettonico più stringenti di quanto già non faccia la legge (ad esempio vietando l'installazione di
inferriate), riducendo ancor di più il potere della proprietà personale ed esclusiva del singolo. Anche
in tal caso, tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione8 ha asserito che “se il mutamento che si vuole
portare è di modesta rilevanza e soprattutto, non cagiona pregiudizio economicamente
determinabile e se la necessità dei condòmini di tutelare la sicurezza dei propri beni e delle propria
persona risulta assolutamente fondata, il divieto contenuto nel regolamento condominiale, non si
dovrà applicare”.
Come si nota, anche in tal caso, la limitazione contenuta nel regolamento condominiale dovrà
prendersi in considerazione non già come un divieto assoluto bensì dovrà considerarsi alla stregua
7Corte di Appello di Milano, sez. I, 14 aprile 1989; id Tribunale di Rimini con sentenza 25 maggio 1995 8Cass., 03.09.1998, n. 8731
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degli indici e dei criteri di valutazione anzidetti. Il Giudice dovrà pertanto tenere conto della volontà
dei condòmini di avere un occhio di riguardo per il decoro architettonico ma non potrà vietare al
singolo di proteggersi qualora i suoi timori siano fondati. Inoltre, il pregiudizio economico, come
visto, deve essere suscettibile di valutazione economica di talché, al fine di una sua rilevanza,
dovrebbe arrecare una svalutazione patrimoniale nel mercato immobiliare del complesso causata dal
peggioramento delle condizioni dell'estetica dell'edificio.
Invero, il regolamento di condominio ben potrebbe finanche imporre l'utilizzo di un determinato
modello e di un determinato colore dell'inferriata ed in tal caso il singolo avrebbe l'obbligo di
attenersi installando il modello predefinito stante il fatto che il suo diritto alla protezione è
comunque tutelato.
In virtù delle nuove disposizioni della riforma, il condòmino ha l'obbligo di comunicare
all'amministratore la sua intenzione di installare le inferriate e quest'ultimo deve comunicarlo
all'assemblea. In quella sede, fatta salva l'impossibilità di vietare a priori l’installazione, ben
potrebbe prospettarsi l'imposizione dell'assemblea di adottare specifiche modalità di installazione.
In tal caso, v'è chi ritiene9 che anche la sola maggioranza semplice è idonea anche perché altrimenti
si darebbe la possibilità al primo di scegliere in autonomia e di costringere gli altri a doversi
adeguare.
2.4. Le recinzioni in condominio.
Un condominio se circondato da un giardino o da un cortile può presentare una recinzione che limiti
l'entrata dall'esterno (una rete metallica o spinata, un muro, un cancello, una siepe, ecc.) al fine di
non fare entrare persone indesiderate.
L'apposizione delle recinzioni, tuttavia, non deve presentare insidie o pregiudizi a terzi, così, ad
esempio, “le catenelle collocate sui paletti a pochi centimetri devono essere ben illuminate e
richiedono opportuna segnaletica”10, né devono presentare pericoli per la sicurezza dei terzi,
valendo in tal caso quanto già esposto sugli offendicula (v. supra).
L'apposizione di una recinzione, secondo autorevole dottrina11, non può configurarsi come
un'innovazione in quanto non comporta alterazione dell'entità sostanziale del bene o mutamento
della sua destinazione originaria. Pertanto, per la sua approvazione è sufficiente la maggioranza
ordinaria e non quelle qualificate in tale materia.
A ben vedere, secondo la giurisprudenza l'apposizione di una recinzione della zona verde di una 9A. Voghera L.Ghiringhelli, Inferiate e decoro architettonico, in Globalmedianews, 2010 10Trib. Milano, 4.4.1991 11Terzago, op. cit.
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parte comune, al fine di evitarne un ingresso indiscriminato, non si riconduce nell'alveo delle
migliorie di cui all'art. 1102 cod. civ. ma al contrario configura “un mutamento della sistemazione
od utilizzazione del bene, rientrante negli atti di ordinaria amministrazione, per i quali è sufficiente
la maggioranza di cui all'art. 1136 co. 2, c.c.”12
A parere di chi scrive, nel caso si volesse sostituire un tipo di recinzione già esistente con un altro
(ad esempio, un muro con una rete), allora dovrebbero applicarsi le maggioranze di cui all'art. 1120
cod. civ. in tema di innovazione, in quanto, in tal caso si tratterebbe di una innovazione materiale
cioè un'alterazione sostanziale della cosa comune.
Se, invece, s'intendesse recintare una parte di esclusiva proprietà questa deve ritenersi legittima
salvo disposizione contraria dal regolamento o dal titolo e che, ovviamente, da essa possa derivare
un pregiudizio di godimento delle parti comuni per gli altri.
Le spese per la manutenzione seguono l'ordinario regime di cui all'art. 1123 cod. civ., ovverosia i
millesimi di proprietà, laddove invece il giardino fosse di proprietà comune ma ad uso esclusivo di
taluno allora per analogia pare corretto applicare l'art. 1126 cod. civ. sul lastrico solare, il quale
dispone che quelli che hanno l'uso concorrono per un terzo della spesa mentre gli altri per i restanti
due terzi.
Infine, se la recinzione servisse ad assolvere unicamente l'utilizzabilità di alcuni allora le spese si
ripartirebbero secondo i criteri di cui all'art. 1123, secondo comma, c.c. in ragione proporzionale al
maggior uso potenziale o all'uso separato od esclusivo.
2.5. L'art. 1122-ter “Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni”
Una tra le più rilevanti novità sta nel permettere al condominio di allestire videocamere ai fini di
sorveglianze nei limiti di cui all'art. 1122-ter il quale recita “Le deliberazioni concernenti
l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su
di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo
1136”.
L'articolo in questione introduce un'assoluta novità in tema di installazione di impianti di
videosorveglianza. La disposizione si colloca come appendice dell'art. 1122 cod. civ. ed opera un
favor legislativo sugli interventi sulle parti comuni in quanto espropria dalla competenza
dell'assemblea di cui all'art. 1136, comma quinto, c.c., le delibere di competenza e le attribuisce
all'assemblea di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c. il che avrebbe dovuto forse suggerire di porre
sistematicamente la norma che deroga all'art. 1120 cod. civ. come appendice di quest'ultimo,
12Cass., 21.09.1977, n. 4035
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anziché come appendice dell'art. 1122 cod. civ.
Ad ogni modo, con questa – scarna- disposizione il legislatore attribuisce la facoltà al condominio
di installare gli impianti volti alla videosorveglianza per esclusivi fini di sicurezza e di controllo,
ma detta facoltà tuttavia non deve ritenersi senza limiti.
Anzi, al contrario, per una migliore comprensione della disposizione appare opportuno considerarla
in relazione a quelle normative di differenti settori che per forza di cose finiscono per intersecarsi
con la disciplina in argomento, ergo il diritto alla riservatezza,
Va infatti osservato che la norma evita di fornire definizioni o limiti sulla natura dell'impianto, lo
scopo, e l'ambito di applicazione dello stesso salvo indicare solamente che l'intervento debba farsi
sulle parti comuni, a prescindere dagli effettivi luoghi soggetti alla videosorveglianza e rimettendo
nell'arbitrio dell'assemblea le modalità di attuazione di tale videosorveglianza.
Innanzitutto, la norma non definisce espressamente chi sia l'effettivo titolare a partecipare
all'assemblea. La questione non è di poco conto stante il fatto che il Garante della Privacy aveva già
a suo tempo con una “Segnalazione al Parlamento ed al Governo sulla videosorveglianza nei
condomini” del 13 Maggio 2008, chiesto se l'installazione potesse essere effettuata sulla base della
sola volontà dei proprietari o anche dei conduttori, attribuendo a questi ultimi il diritto di voto.
L'effetto implicito, ad excludendum, della nuova norma fa ritenere tuttavia che i conduttori non
debbano considerarsi titolari del diritto di voto in tale assemblea con ciò ponendo una seria discrasia
tra gli effettivi fruitori del servizio - attivi, ma soprattutto passivi - con i diritti assembleari13.
In secondo luogo, nulla sancendo sui limiti ed i poteri di tale innovazione si deve ritenere che la
stessa sia soggetta ai limiti in tema di privacy, ed attuarsi nel rispetto del d.lgs 196/2003, come già
sottolineato dalla precedente giurisprudenza che non è evidentemente superata dalla norma in
questione.
Così, necessariamente, se l'assemblea condominiale di cui all'art. 1136 secondo comma, c.c. ritiene
di dover installare un apposito impianto non può farlo se non tenendo in considerazione i principi
espressi dalla suddetta normativa nonché dai “provvedimenti generali” del 29 Aprile 2004 (“Riprese
nelle aree comuni”) e dell' 8 Aprile 2010 (“Riprese nelle aree condominiali comuni”) finalizzati a
regolamentare la disciplina. In primis, dunque, il principio cardine da rispettare è quello per cui la
videosorveglianza non deve in alcun modo pregiudicare la riservatezza, l'intimità ed il riserbo dei
condòmini e dei terzi.
La videosorveglianza nei condomini, dunque, dovrà rispettare quelle condizioni generali imposte
13L. Salciarini, Nuove regole sulla videosorveglianza in condominio., il Sole 24ore, professioni-imprese.it, Milano,
2013.
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dal Garante della privacy14, ossia: (i) la liceità, cioè il rispetto di normative inerenti ad altri settori
come, ad esempio, l'art. 5 del d.lgs 196/2003 che impone di adottare cautele nei confronti dei terzi,
o ancora è necessario limitare l'angolo visuale delle riprese ai soli spazi di esclusiva pertinenza
comune onde incorrere nel reato ex art. 615-bis c.p. per interferenza illecita nella vita privata15; (ii)
la necessita, per la quale la videosorveglianza è ammessa se è volta a soddisfare concrete esigenze
di tutela e sicurezza. Così, per esempio, essa non può essere il pretesto per perseguire altri fini non
costituzionalmente protetti, con la conseguenza che sarebbero da vietare quelle collocate in spazi
ove non vi sia un reale pericolo o non sussistano effettive esigenze di controllo. I beni preservabili
tuttavia non sono solamente quelli relativi alla sicurezza delle persona ma anche quelli economici -
patrimoniali; (iii) la proporzionalità fra i mezzi e gli obiettivi da raggiungere (imposto dall'art. 11
codice della privacy) anche in relazione alle altre misure già adottate, così si deve valutare se per
preservare beni di natura economico-patrimoniale siano già state installate porte blindate, cancelli
automatici, ecc.. Vige inoltre l'obbligo di collocare apposita e visibile segnaletica e ogni altra
opportuna informazione a tutela dei soggetti che si trovano in una zona soggetta alle riprese e infine
le immagini riprodotte non possono essere conservate se non per il periodo necessario allo scopo
per cui sono deputate (al massimo ventiquattro ore). Chiaramente le immagini non possono essere
diffuse e divulgate senza il consenso dei soggetti ripresi.
Anche se presenta i problemi applicativi di cui sopra, la norma in questione ha comunque il merito
di andare a colmare una precedente lacuna normativa. In passato, infatti, si escludeva che
l'assemblea potesse adottare una simile delibera16 in quanto esulava dalle competenze attribuite di
14
A. Cirla – G. Rota, “La Riforma del Condominio – guida a tutte le novità della legge 220/2012”, Milano, 2013, 52 15Si veda Cass. sez. pen., 8.02.2007 n. 5591 secondo cui “non configura il reato di interferenze illecite nella vita privata
l'installazione, all'interno dei locali di proprietà esclusiva di un condomino di telecamere atte a inquadrare le aree
condominiali antistanti l'ingresso ai suddetti locali onde accertare l'identità degli autori di ripetuti episodi di
danneggiamento e imbrattamento verificatisi in danno del medesimo condomino, essendo le aree medesime
destinate all'utilizzo, senza carattere di stabilità, da parte di un numero indifferenziato di persone”.id. Cass., sez.
pen., sent. 14.05.2008 n. 22698 “sono legittime le videoriprese effettuate dall'esterno di un edificio che inquadrino
l'ingresso, il cortile, il parcheggio e altri luoghi di transito comuni, anche per difesa da atti vandalici, in quanto si
tratta di spazi esposti al pubblico, soggetti alla visibilità di coloro che vi transitano”; Cass., sez. Pen., 21.10.2008
n. 44156 “la ripresa delle aree comuni condominiali non può ritenersi in alcun modo indebitamente invasiva della
sfera privata dei condomini, giacché l'indiscriminata esposizione alla vista altrui di un'area che costituisce
pertinenza domiciliare che non è deputata a manifestazioni di vita privata esclusiva è incompatibile con una tutela
penale, della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in
concreto, inopinatamente, realizzate e perciò riprese”. 16Trib. Salerno, 14 dicembre 2010. «non rientra nei compiti dell'assemblea condominiale provvedere all'installazione di
un impianto di videosorveglianza, giacché tale prestazione non appare finalizzata a servire i beni in comunione,
neanche sotto il profilo dell'innegabile maggior sicurezza che ne deriverebbe allo stabile nel suo complesso»
14
cui all'art. 1135 cod. civ. stante il fatto che l'opera, in realtà, non andava ad asservire (non ponendosi
in rapporto di strumentalità con esse) le parti comuni condominiali, bensì andava a tutelare le
singole unità immobiliari, ponendosi in modo invasivo nei conforti dei singoli proprietari. Perciò
difettava il potere del condominio (privo della necessaria soggettività giuridica richiesta per una tale
operazione) di essere titolare del trattamento e pertanto di deliberare in tale materia esorbitante dalle
funzionalità delle parti comuni in senso stretto.
Con la conclusione che l'assemblea, nemmeno all'unanimità, poteva decidere di installare gli
impianti di videosorveglianza in quanto ciò era possibile solo in forza di un accordo (extra
assembleare) tra tutti i partecipanti del condominio in quanto singoli17.
2.6. Le cautele nella predisposizione delle impalcature.
Un caso che merita attenzione che concerne la protezione dagli intrusi in condominio è quello
relativo alla responsabilità delle imprese che allestiscono i ponteggi per l’esecuzione dei lavori. La
giurisprudenza di merito conformemente a quella di legittimità, con una recente sentenza18 ha
asserito che il condominio non può essere ritenuto responsabile dei danni prodotti a cose e a terzi se
sono stati causati dai ponteggi installati per l’esecuzione di interventi manutentivi o comunque per
quei danni che sono stati prodotti con l’ausilio delle impalcature. Infatti, l’allestimento dei ponteggi
è idoneo a facilitare l’ingresso dei ladri negli appartamenti, sicché secondo la richiamata
giurisprudenza tale situazione sarebbe da sola sufficiente a verificare l’esistenza del nesso causale
di cui all’art. 2043 cod. civ. e ad ascrivere all’impresa edile la responsabilità civile. L’impresa,
infatti, risulta responsabile almeno in concorso con l’amministratore sul quale ricade l’obbligo di
vigilanza e di custodia, nel caso in cui non abbia adottato tutte le cautele necessarie e le protezioni
volte a favorire l’ingresso dei ladri.
Anche la Corte di Cassazione19, infatti, ravvisa che “in tema di furto consumato da persona
introdottasi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di manutenzione
dello stabile, è configurabile la responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., dell’imprenditore
17Trib. Varese 16 giugno 2011 n. 1273; secondo il quale“il condominio non ha il potere di installare un impianto di
videosorveglianza «con un fascio di captazione d'immagini idoneo a riprendere spazi comuni o, addirittura, spazi
esclusivi di altri condomini, eccezion fatta per il caso in cui la decisione sia deliberata all'unanimità dai condomini,
perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei
diritti coinvolti”; contraria Trib. Milano 16 maggio 2012 n. 5624 il quale faceva leva sul principio costituzionale
della proprietà. 18 Trib. Messina, sez. I civ., 12.06.2012, n. 1238 19 Cass. Civ., sez. III, 12.04.2006, n. 8630, id. Sul concorso di responsabilità Cass. Civ., sez. III, 17.03.2009, n. 6435
15
che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, violando il principio del neminem laedere, egli abbia
collocato tali impalcature omettendo di dotarle di cautele atte ad impedirne l’uso anomalo”.
Infatti, l’omissione della predisposizione delle relative precauzioni onde impedire un uso improprio
delle impalcature, può agevolare in maniera determinante la penetrazione da parte dei ladri nelle
abitazioni.
Quanto al condominio anch’esso può essere responsabile in concorso almeno sotto un duplice titolo,
ossia n.q. di custode in forza dell’art. 2051 cod. civ. e per culpa in vigilando ed eligendo
dell’impresa (v. infra).
2.7. Le normative di settore. La normativa antincendio.
Lo scopo primario del condominio è quello di adibire immobili, sia ad uso abitativo che ad uso di
ufficio, all'interno dei quali i soggetti trascorrono numerose ore della propria vita. Appare dunque
superfluo affermare che tali appartamenti condominiali debbano essere sicuri e, per quanto
possibile, debbano allontanare i pericoli che si possono presentare.
Per questo motivo si registrano una serie di normative interessanti gli edifici condominiali, di
seguito sommariamente illustrate, che pongono obblighi e divieti al fine di garantire la migliore
cautela. Come è presumibile intuire, la figura attorno al quale ruotano le più stringenti
responsabilità è quella dell'amministratore il quale è tenuto ad una serie di obblighi e doveri al fine
di garantire una situazione di accettabile vivibilità in considerazione del minor rischio possibile.
Una delle normative che interessano in modo maggiore gli edifici condominiali è quella sulla
prevenzione dagli incendi.
A tal uopo è deputato il D.P.R. sulla semplificazione n. 151 del 1 Agosto 2011 il quale richiama il
Decreto ministeriale 16 maggio 1987, n. 246, in concerto con il Decreto ministeriale 1 febbraio
1986, che si occupa della sicurezza antincendio nelle autorimesse, secondo i quali l'amministratore
ha l'obbligo di ottenere il Certificato di Prevenzione Incendi (CPI) rilasciato a seguito del
collocamento di estintori e la predisposizione di opportune uscite di sicurezza qualora ci si trovi in
uno degli edifici elencati dalla normativa stessa ovvero dai D.M. 16/02/1982, e dal D.P.R. 37/1998 e
norme collegate. Secondo i Decreti anzidetti, gli impianti antincendi sono obbligatori, innanzitutto,
in tutti gli edifici civili con altezza antincendi uguale o superiore a 12 metri. L’altezza antincendi si
misura dal piano terra esterno fino al livello inferiore dell’apertura più alta dell’ultimo piano
abitabile o comunque agibile.
Inoltre, la legge predispone l'obbligatorietà degli idranti e dell'adempimento degli obblighi previsti
dal Decreto nelle seguenti ipotesi: (i) nelle autorimesse con posti auto superiore a nove, in tal caso
la legge prevede altri stringenti requisiti nei quali è obbligatoria la collocazione di idranti (ad es.
16
altezza del locale superiore a 2 metri; comunicazione con altri locali con porte metalliche piene a
chiusura automatica; aerazione naturale attraverso aperture non inferiori a 1/30 della pianta del
locale; eventuali box aerati con due aperture, in alto e in basso, non inferiori a 1/100 della pianta,
ecc.); (ii) in presenza di vani ascensori e montacarichi in servizio privato avente corsa sopra il piano
terra per più di 20 metri, (iii) in presenza di impianti termici di potenza superiore a 116 kW; (iv) nel
caso di edifici di particolare pregio artistico o storico, (v) in caso di vano scala con altezza
antincendio oltre i 24 metri (ne deve esistere almeno uno per ciascun piano compresi gli interrati),
nonché nelle attività ad esercizio commerciale aperte al pubblico, queste ultime per conto proprio
devono ottenerne uno autonomo, tuttavia l'amministratore, pur non essendo il responsabile, in tal
caso in virtù del nuovo registro sulla sicurezza (v. supra) deve vigilare affinché i negozi all'interno
del condominio siano in possesso del CPI.
La legge prevede requisiti di distanza e sicurezza anche per la Centrale Termica, la quale deve
essere esterna dall'edificio se (i) l’altezza anti-incendi è superiore a 54 metri; (ii) se la caldaia è a
gas liquefatto (bombole) e l’altezza anti-incendi è superiore a 24 metri; (iii) se la caldaia è a metano
o a gas.
Inoltre, per gli edifici da 12 a 32 metri di altezza antincendio deve essere garantita la possibilità di
accostamento delle autoscale a qualsiasi finestra o balcone.
Le norme poi, sempre a seconda dell’altezza antincendio del palazzo, regolamentano l’ampiezza del
vano scale e di quello dell’ascensore, nonché la larghezza delle scale stesse.
Negli edifici di oltre 32 metri di altezza antincendio, deve esistere un autonomo impianto di
illuminazione di sicurezza con segnalazione delle vie di fuga in caso di sfollamento causa incendio.
In tutti i casi previsti dal Decreto, di cui quelli esposti sono i più significativi, l'amministratore ha
l'obbligo di richiedere il CPI e deve provvedere al rinnovo alla sua scadenza o alla revisione in caso
di modificazione. La procedura per il rilascio del CPI si confà di tre fasi: la richiesta del parare
preventivo, l'esecuzione dei lavori, la domanda di sopralluogo, una volta ottenute esse sono anche
soggetto a manutenzione e sostituzione periodiche.
2.8. Gli Impianti termici
A norma del D.P.R. 412/93 nonché dal D.M.329/2004, regolanti la materia in questione,
l'amministratore può nominare un terzo responsabile (solitamente una società esperta avente i
requisiti di legge) per la cura dell'installazione e della manutenzione di un impianto termico in
condominio, tuttavia, anche in tal caso, non rimane esonerato dai suoi obblighi nel caso in cui
accadano infortuni. Infatti, il Decreto 74/2013 entrato in vigore il 27 Giugno precisa la ripartizione
di responsabilità tra il condominio ed il terzo responsabile. In primo luogo, infatti, si sancisce
17
espressamente che il responsabile dell’impianto termico è l’amministratore di condominio, al quale
sono affidati l’esercizio, la conduzione e la manutenzione dell’impianto, nonché il rispetto della
disciplina in materia di efficienza energetica. L’assemblea può sollevare l’amministratore da detto
onere ed incaricare, attraverso un contratto avente forma scritta ad probationem, una società esperta
per l’assolvimento di tutti i doveri legislativi. La delega è nulla nel caso in cui si verificasse
l’insussistenza dei requisiti di conformità dell’impianto a meno che non sia espressamente conferito
l’ulteriore incarico della messa a norma. Conferito l’incarico al terzo responsabile, questi ha l’onere
di comunicare in forma scritta all’amministratore e senza indugiare lo stato dell’impianto nel caso
in cui non divenisse a norma. Quest’ultimo, a sua volta, ha l’obbligo di chiamare d’urgenza
l’assemblea la quale deve deliberare l’esecuzione dei lavori per una messa a norma. Nel caso in cui
l’assemblea non deliberasse per qualsivoglia ragione, il terzo responsabile decadrebbe da ogni colpa
e la responsabilità torna in capo all’amministratore. In tal caso, inoltre, il Terzo dovrà
tempestivamente informare l’Ente territoriale preposto ai controlli.
Inoltre, l'amministratore o il terzo responsabile, devono assicurarsi affinché l'impianto sia a norma
che sia dotato: (i) del CPI se la centrale ha potenza superiore a 116 kW; (ii) della dichiarazione di
conformità rilasciata dall'impresa installatrice se l'impianto è successivo al 13 marzo 1990 (ai sensi
del D.M. 22.01.2008 n. 37); (iii) delle relazioni tecniche, planimetrie e progetti (ai sensi del D.Lgs
192/05) rilasciati dai professionisti abilitati per gli impianti di gas con potenza superiore a 50 kW,
per le canne fumarie e relativi adeguamenti e modifiche di qualsiasi potenza, nonché per gli
impianti termici individuali nel caso di distacco da centrale ad autonomo e per gli impianti di
refrigerazione di potenza frigorifera superiore 46,5 kW; (iv) del libretto matricola rilasciato
dall'ISPESL (Istituto per la prevenzione e sicurezza sul lavoro) competente per territorio. Infatti, in
alcuni casi previsti dalla normativa, prima che venga iniziata la costruzione o la modifica
dell'impianto, deve essere presentata una denuncia all'ISPESL a cura dell'installatore, il quale deve
avvalersi della collaborazione di un termotecnico, quando si installa un nuovo impianto o quando si
procede alla sua modifica.
La mancanza dell'apertura della pratica all'ISPESL è requisito sufficiente a decretare delle
responsabilità penali in capo all'amministratore o al terzo responsabile nel caso in cui si
verificassero incidenti. Il provvedimento di legge che impone tale documento è infatti il
D.M.01/12/1975 “Norme di sicurezza per apparecchi contenenti liquidi caldi sotto pressione”, il
quale prevede tutta una serie di adempimenti preliminari alla realizzazione di un impianto. Oltre a
ciò, ai sensi dell’Art. 8 del D.M.329/2004 gli impianti termici che hanno ottenuto l’omologazione
da parte dell’ISPESL sono soggetti a delle verifiche periodiche, ovvero di riqualificazione
periodica.
Gli impianti centralizzati denunciati all’ISPESL ogni cinque anni devono essere sottoposti da parte
18
dell'ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) ad una verifica dello stato di efficienza dei
dispositivi di sicurezza, di protezione e di controllo e detto libretto matricola con i verbali relativi
agli accertamenti ed alle verifiche eseguite deve essere conservato dall'utente (l'amministratore di
condominio).
Infine, l'amministratore, nel caso in cui decidesse di delegare un terzo ha l'obbligo di fornirgli tutta
la documentazione tecnico – amministrativa da cui risulti che l'impianto termico può essere messo
in funzione nel rispetto della normativa vigente. Se la centrale termica non è in regola
l'amministratore risponde civilmente e penalmente nel caso di infortuni autonomamente o in
concorso con il terzo delegato.
L’ultima riforma pone la facoltà al singolo di staccarsi autonomamente dall’impianto centralizzato e
di costituirne uno autonomo. In tali casi, della conformità dell’impianto è responsabile il singolo,
tuttavia, l’amministratore ha l’obbligo di intimare lo stesso a regolarizzare la posizione qualora non
fosse a norma in modo da non esporre a rischi l’intero condominio. Anche in tal caso, un’eventuale
omissione di tale intervento ed un atteggiamento lassista sarebbe tale da ascrivere in capo
all’amministratore la responsabilità concorsuale.
2.9. Gli impianti idrici
Gli impianti idrosanitari, di trattamento, uso e consumo dell'acqua all'interno di edifici condominiali
sono di responsabilità dell'amministratore condominiale, il quale deve assicurare la salubrità
dell'acqua.
La materia è disciplinata dal D.Lgs. 31/2001 in attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla
qualità delle acque destinate al consumo umano così come modificato dal D.Lgs. 27/2002,
disciplinante la qualità delle acque destinate al consumo umano al fine di proteggere la salute
umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque, garantendone la salubrità e
la pulizia.
L'Allegato I di tale decreto determina i limiti di potabilità dell'acqua nonché i valori limite per
quanto riguarda la concentrazione di tutte le sostanze chimiche e microbiologiche da tenere sotto
controllo e qualora tali limiti non fossero nella norma, allora l'amministratore avrebbe l'obbligo di
adottare tutte le misure opportune al fine di ristabilire i requisiti di normalità, pena la responsabilità
civile e penale (v. infra).
Infatti, l'inefficienza di un impianto idrico può compromettere l'integrità e la stabilità dell'edificio
ma più generalmente può avere effetti negativi sulla salubrità delle acque che vengono utilizzate
dall'uomo e spesso portatrice di batteri e malattie quali la legionella.
Anche in questo caso come negli altri visti in precedenza, la responsabilità è concorrente: infatti
19
mentre il gestore del servizio ha la responsabilità di garantire i requisiti di potabilità fino al punto di
consegna (ovverosia il contatore), l'amministratore del condominio deve garantire la salubrità
fino al singolo punto di utenza.
A dire il vero, il D.Lgs. 31/2001 non impone all'amministratore di adempiere precisi obblighi bensì
impone solo al gestore di effettuare controlli periodici sugli impianti, tuttavia, l'amministratore se
non vuole correre rischi deve attuare controlli al fine dell'effettiva salubrità, soprattutto nel caso di
un impianto vetusto o di particolarità che possano lasciare incertezze sulla potabilità dell'acqua
(come, ad es., tipologie di materiali contaminanti nelle vicinanze). Infatti, Egli rimane sempre
responsabile ex art. 2051 sulle cose condominiali in qualità di custode, nonché ai sensi della legge
penale secondo lo schema dell'art. 40 c.p. (v. infra), di talché deve attivarsi ogni qualvolta ci siano
circostanze tali da far presumere ragionevolmente ad una insalubrità dell'acqua.
Inoltre, in capo all'amministratore sono configurabili delle ipotesi di sanzioni amministrative
pecuniarie qualora fornisca acqua destinata al consumo pericolosa per la salute.
Egli, infine, è penalmente sanzionabile con la pena dell'arresto fino a tre mesi ai sensi dell'art. 650
c.p. nel caso in cui il Sindaco del Comune ove è situato il Condominio emetta ordinanza per motivi
di igiene con la prescrizione entro un termine congruo delle misure necessarie e non si attivi.
2.10. Gli Ascensori
Il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 214 (di recepimento della direttiva 2006/42/CE) dispone nuove norme
sugli ascensori e i montacarichi che completano e modificano il precedente D.P.R. n. 162/1999
(regolamento di attuazione della direttiva 1995/16/CE), mentre gli ascensori da cantiere e gli
ascensori con velocità inferiore a 0,15 m/s destinati non ad uso privato sono disciplinati dal D.lgs
17/2010.
È definito ascensore un apparecchio di sollevamento che collega piani definiti, mediante un
supporto del carico e che si sposta lungo guide rigide e la cui inclinazione sull'orizzontale è
superiore a 15 gradi, destinato al trasporto: 1) di persone, 2) di persone e cose, 3) soltanto di cose,
se il supporto del carico è accessibile, ossia se una persona può entrarvi senza difficoltà, ed è
munito di comandi situati all'interno del supporto del carico o a portata di una persona all'interno
del supporto del carico.
L’art. 5, D.P.R. 214/2010 (che modifica l’art. 12, D.P.R. 162/1999) prevede che, entro dieci giorni
dalla data del rilascio da parte dell’installatore, della dichiarazione di conformità dell'impianto,
l'amministratore invii, al competente ufficio comunale, copia della suddetta dichiarazione di
conformità dell'impianto alle norme vigenti, comunicando, inoltre, l'indirizzo dello stabile ove è
installato l'ascensore e le caratteristiche tecniche dell'impianto, il nominativo o la ragione sociale
20
dell'installatore, l'indicazione della ditta abilitata incaricata di effettuare la manutenzione e l'organo
incaricato delle verifiche periodiche che devono essere effettuate ogni due anni a decorrere dalla
messa in esercizio degli impianti.
Il comma 5 dell’art. 5 vieta di porre o mantenere in esercizio impianti per i quali non siano state
effettuate, ovvero aggiornate, in seguito a eventuali modifiche, le comunicazioni di cui si è detto.
Il comma 6, estende l’eventuale accertamento della responsabilità civile e/o penale, prima prevista
solo con riferimento al “proprietario dell’immobile e/o dell’installatore”, anche al fabbricante del
bene. In seguito al collaudo, il comune rilascia un libretto di immatricolazione dell’ascensore sul
quale devono essere successivamente annotati o allegati i verbali delle verifiche periodiche e
straordinarie e gli esiti delle visite di manutenzione. Il libretto deve contenere copia delle
dichiarazioni di conformità e copia delle comunicazioni avvenute tra il proprietario (o
amministratore) e il competente Ufficio comunale.
Come previsto dall’art. 13, D.P.R. 162/1999 (come modificato dall’art. 6, D.P.R. 214/2010), ogni
due anni, a decorrere dalla data della messa in esercizio degli impianti, devono essere effettuate
delle verifiche periodiche dirette ad accertare se le parti dalle quali dipende la sicurezza di esercizio
dell'impianto sono in condizioni di efficienza e se i dispositivi di sicurezza funzionano
regolarmente.
In caso di inadempimento di tale obbligo, scaduti i termini biennali per le verifiche, la
responsabilità per un eventuale incidente, non grava sull’ente pubblico preposto alle verifiche, bensì
soltanto sul proprietario o sull'amministratore di condominio. Su questi due soggetti incombe quindi
l’obbligo di nominare la ditta e gli organismi che eseguiranno le verifiche, di controllare l'avvenuta
esecuzione delle stesse e di conservare all’interno del libretto dell’ascensore tutti i documenti
relativi alle verifiche periodiche effettuate, con la indicazione di tutti gli interventi.
Qualora il verbale di verifica periodica abbia esito negativo, il competente Ufficio comunale
dispone il fermo dell'impianto fino alla data della verifica straordinaria con esito favorevole.
Dalla normativa in vigore sono ricavabili i compiti dell’amministratore il quale deve: (i) conservare
il libretto di immatricolazione, aggiornandolo a seguito delle verifiche di controllo; (ii) esporre in
ogni supporto del carico, una targa, che indichi il soggetto incaricato di effettuare le verifiche
periodiche, l'installatore/fabbricante e il numero di fabbricazione, il numero di matricola, la portata
complessiva in chilogrammi e il numero massimo di persone (art. 9, D.P.R. n. 214/2010); (iii) far
effettuare periodicamente la manutenzione ordinaria; (iv) controllare periodicamente la sicurezza
dell’impianto; (v) arrestare l’impianto qualora risulti essere pericoloso;
Infine, l'amministratore di condominio è tenuto a conservare la certificazione di un nuovo impianto
dopo l'installazione di un ascensore; alla sua regolare manutenzione; alla verifica periodica ogni due
anni; alla verifica straordinaria a seguito delle modifiche o eventi straordinari quali un incidente.
21
Le verifiche devono essere effettuate da un apposito organismo riconosciuto dal Ministero dello
Sviluppo Economico ed i risultati delle verifiche devono essere custoditi in apposito libretto il quale
annota altresì gli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione.
Per ogni infortunio l'amministratore sarà responsabile ex art. 2051 cod. civ. a meno che non
dimostri il caso fortuito20 (v. infra). Tuttavia, secondo la giurisprudenza di merito, la responsabilità
è concorsuale all'impresa incaricata alla manutenzione21. L'amministratore, qualora l'impresa
ravvisi la mancata sicurezza è tenuto in ogni caso ad agire senza indugio arrestando l'ascensore e
agendo d'urgenza ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1130 cod. civ. e 1135 cod. civ.
2.11. L'Amianto in condominio
L'Amianto è stato un materiale molto utilizzato nella costruzione degli edifici sino agli inizi degi
anni novanta. Alla scoperta della sua alta pericolosità il Legislatore con la l.27/03/1992 n. 257
“Norme relative alla cessazione dell'impiego di amianto” ha posto il divieto della sua produzione,
estrazione, importazione, esportazione e commercializzazione e ha dettato norme per lo smalimento
e la bonifica di quello già esistente.
La pericolosità di tale materiale non sta nel corpo in sé e per sé ma nel fatto che esso libera polveri e
fibre che se inalate e respirate dall’uomo provocano gravi danni spesso irreversibili.
Alla succitata disciplina è seguito il D.M. 6.09.1994 che imponeva alle Regioni di adottare un piano
di protezione e decontaminazione, processo questo difficilissimo e tutt'oggi incompiuto dato
l'elevato quantitativo di amianto presente sul territorio.
Alla luce degli interventi anzidetti, v'è da segnalare che per i Condomini costruiti prima del 1994,
l'amministratore di condominio dovrebbe far eseguire un'accurata ispezione al fine di verificare la
presenza di amianto nel Condominio ed una valutazione del rischio data dal quantitativo. Nel caso
in cui si verificasse la pericolosa presenza allora l'amministratore dovrebbe incaricare un'impresa
specializzata al fine di valutare i rischi e le condizioni di pericolo apportate da quest'ultimo e se in
base all'analisi eseguita dall'impresa emergesse la necessità d'intervento per motivi di sicurezza
20Al riguardo è stato affermato che l'improvvisa interruzione della corrente elettrica è qualificabile quale caso fortuito
incidentale idoneo a interrompere il nesso causale tra la cosa (ascensore) e il nocumento subito dal danneggiato
Trib. Monza 16 settembre 2011, n. 2230, Sez. I). Nel caso in considerazione l'improvviso blocco dell'ascensore
aveva determinato un dislivello su cui il condomino era inciampato ed era rovinosamente caduto a terra, riportando
lesioni alla propria persona. 21
Qualora sia chiamato in causa per il risarcimento dei danni derivanti dall’utilizzo dell’ascensore, il condominio
potrà chiedere di essere manlevato dalla ditta incaricata della manutenzione dell’ascensore, qualora ravvisi un
inadempimento da parte della stessa Trib. Roma 29 gennaio 2004, n. 3021;
22
allora l'amministratore dovrebbe senza indugiare intervenire a spese del condominio.
Inoltre, con l'ausilio dell'impresa specializzata, l'amministratore può intervenire rimuovendo il
pannello in amianto e smaltirlo correttamente, ovvero può provvedere al c.d. incapsulamento cioè
applicare sostanze pregnanti che impediscono il rilascio di polveri oppure con il c.d. confinamento
cioè creare una barriera d'aria che isoli l'amianto dall'ambiente e la c.d. sovra copertura consistente
nel coprirlo con altro materiale, spesso si fa con l'Eternit.
2.12. Gli Impianti elettrici
Nell'edificio condominiale convivono sia gli impianti di esclusiva proprietà che l'impianto
condominiale. Quest'ultimo si deve intendere parte comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ.
Così come per gli altri impianti od installazioni, il semplice funzionamento non è garante della
sicurezza ma può nascondere insidie per l'incolumità fisica dei condòmini perciò sono necessari gli
opportuni controlli.
A tal uopo, la l. 46/1990 così come successivamente modificata, disciplina la modalità dei lavori di
installazione, manutenzione, riparazione e ampliamento dell'impianto elettrico e sancisce che gli
interventi debbano essere unicamente affidati ad imprese abilitati. I primi responsabili, infatti, si
individuano nelle persone del progettista e dell'installatore, ma l'amministratore condominiale non è
esonerato da responsabilità. I primi, infatti, hanno l'obbligo di eseguire l'opera con le regole dell'arte
e di rilasciare la dovuta dichiarazione di conformità, l'amministratore oltre al consueto obbligo di
custodia può incorrere in sanzioni qualora non adempia ai controlli previsti.
La legge prescrive di fatto obblighi differenti a seconda che nel condominio si trovino o meno
lavoratori dipendenti. Come verrà meglio specificato in seguito, in tal caso l'amministratore è
soggetto alle prescrizioni di cui al D.Lgs 81/2008 tuttavia per quanto interessa in questa sede
bisogna specificare che in questi casi a norma del è obbligatoria la verifica dell'impianto di messa a
terra.
L’impianto di terra è costituito da un conduttore che collega le masse ad una serie di dispersori o
picchetti, che disperdono nel terreno sottostante l’edificio quella corrente che invece potrebbe
provocare anche la folgorazione di chi entrasse in contatto con una massa metallica accidentalmente
in tensione.
Inoltre, l'amministratore deve provvedere a far verificare l'impianto da parte delle autorità
competenti ogni due o cinque anni a seconda del tipo di impianto la cui verifica ed il cui stato sono
soggetti al controllo da parte delle autorità competenti ad es., ISPESL, ASL, ispettorato del lavoro
ecc.
L'impianto, inoltre, è soggetto alla regolare manutenzione ordinaria e straordinaria.
23
La definizione di manutenzione ordinaria è contenuta nella legge n. 46/1990 e nel relativo
regolamento di attuazione (art. 8 del DPR n. 447/1991), secondo il quale “Per interventi di
ordinaria manutenzione degli impianti si intendono tutti quelli finalizzati a contenere il degrado
normale d’uso nonché a far fronte ad eventi accidentali che comportino la necessità di primi
interventi, che comunque non modifichino la struttura essenziale dell’impianto o la loro
destinazione d’uso”.
Per manutenzione straordinaria di un impianto si intendono gli interventi, con rinnovo e/o
sostituzione di sue parti, che non modifichino in modo sostanziale le sue prestazioni, siano destinati
a riportare l’impianto stesso in condizioni ordinarie di esercizio e richiedano in genere l’impiego di
strumenti o di attrezzi particolari, di uso non corrente.
Il singolo condomino ai sensi dell'art. 1102 cod. civ. e l'assemblea di cui all'art. 1136 cod. civ.
possono apportare l'ampliamento di potenza dell'impianto elettrico salvo che non costituiscano
pregiudizi alla sicurezza22.
Il singolo inoltre può apportare modifiche al proprio impianto elettrico ai sensi dell'art. 1122 cod.
civ., tuttavia in tal caso, stante la nuova portata dell'articolo egli è tenuto a dare tempestiva
comunicazione all'amministratore che informa i condòmini. Anche in questo caso il bene supremo
tutelato è il pregiudizio alla sicurezza, il quale opera come limite primario alla possibilità di operare
interventi nell'edificio.
L’amministratore del condominio, pur non avendo la facoltà di intervenire direttamente sulle parti
private, ha l'obbligo di sollecitare i proprietari ad adeguare gli impianti delle singole abitazioni alle
norme di sicurezza, anche con un invito formale che sarà messo a verbale alla prima assemblea.
L’amministratore di condominio inoltre è legittimato ad agire, a norma dell’art. 1130 del Codice
civile, senza necessità di alcuna autorizzazione assembleare, per conservare l’uso di un bene
comune conforme alla sua funzione ed originaria destinazione23 domandando altresì il risarcimento
del danno derivante. L’amministratore, infine, nel caso di opere interne effettuate da un condomino
nella sua proprietà esclusiva, è legittimato ad esaminare la relazione presentata al Comune,
richiedendone una copia prima che i lavori siano terminati, segnalando alle autorità competenti
difformità o abusi, evitando così un’azione giudiziaria a lavori ultimati, se pregiudizievoli ad una
proprietà esclusiva di un altro condomino o delle parti comuni del condominio24.
3. La Sicurezza nel Condominio quale luogo di lavoro
22Cass., 04.04.1957 n. 1158; id. Trib Milano 24.06.1991 23Cass., 30.12.1997 n. 13102 24T.A.R. Milano 25.6.1992 n. 470
24
3.1. I Lavoratori subordinati
Il Condominio ben si presta anche ad essere luogo nel quale si svolge l'attività lavorativa
subordinata (si pensi, ad esempio, alla figura del portiere, del giardiniere, del vigilante, ecc.),
ovvero può essere il luogo per l'esecuzione di opere in appalto. In entrambi i casi al condominio è
assoggettabile una serie di obblighi e di imposizioni volti alla tutela del lavoratore25.
L'esame della normativa richiama in primis l'art. 2087 cod. civ. secondo il quale “L'imprenditore è
tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro”. Tale disposizione generale afferma che l’imprenditore sia garante
dell’integrità fisica dei lavoratori, egli infatti deve apprestare ogni misura “necessaria” nonché
determinare la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. In sostanza impone degli obblighi
di preparazione dell’imprenditore che hanno effetti anche penali ai fini del giudizio di colpa, in
quanto costituiscono chiaramente una fonte dell’obbligo di garanzia per il datore di lavoro, nel caso
di reati omissivi impropri colposi.
L’importanza della norma de qua è stata ribadita anche dalla giurisprudenza26 che ne ha esaltato il
carattere generale e sussidiario di integrazione della specifica normativa antinfortunistica, con
riferimento all’interesse primario della garanzia della sicurezza del lavoro. Il dovere generale di
sicurezza si realizza attraverso l’attuazione di specifiche e tassative misure nonché con l’adozione
dei mezzi idonei a prevenire ed evitare infortuni attraverso i comune criteri dell'esperienza, della
prudenza, della diligenza, della prevedibilità, in relazione all’attività svolta.
In particolare, sull'amministratore gravano obblighi tipici del datore di lavoro nei confronti dei
lavoratori subordinati del condominio; nonché gli obblighi tipici del committente in caso di
affidamento dei lavori all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno del condominio,
quali ad esempio, la cooperazione e il coordinamento in merito all'attuazione delle misure di
prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e
l'elaborazione di un documento unico di valutazione dei rischi (DUVRI) che indichi le misure
adottate per eliminare o ridurre al minimo il rischio di interferenze, che deve essere allegato al
contratto di appalto o di opera.
La normativa in materia è attuata dal D.lgs 81/2008 modificato e integrato dal D.Lgs. 3 agosto
2009, n. 106 – c.d. Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro
che sostituisce la precedente l. 626/94. Essa indica tra i luoghi soggetti al rispetto della normativa lo
25P. Masciocchi sicurezza del lavoro in condominio quesiti e soluzioni gruppo 24 ore, 2010, Milano 26Cass. pen. 15 aprile 1997, n. 3439
25
“stabilimento o la struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di
autonomia funzionale e tecnico funzionale”. Con riferimento al condominio si deve dire che esso
sarà soggetto alla disciplina anzidetta nel caso in cui adibisca del personale a svolgere attività
lavorativa nel proprio ambito sicché solo allora l'amministratore condominiale assume la veste di
datore di lavoro; a tal uopo, infatti è bene ricordare il parere del Ministero del Lavoro con la
circolare 5 marzo 1997, n. 28, secondo cui il datore di lavoro nei condomìni, ai fini
dell'applicazione degli obblighi di sicurezza, va individuato nella persona dell'amministratore
condominiale pro tempore. Nei condomìni, invece, in cui non sia presente l'amministratore, non
essendone obbligatoria la nomina se i condòmini sono inferiori ad otto27, gli stessi provvederanno a
conferire ad un apposito soggetto le responsabilità previste all'art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs.
81/08, salvo assoggettare agli obblighi di disciplina (nel caso in cui non venisse nominato alcun
amministratore ovvero nel caso in cui il nominato fosse solo apparente), il c.d. amministratore di
fatto, individuato presuntivamente attraverso indici fattuali, nella persona che si occupa
effettivamente della gestione, della riscossione dei tributi, della manutenzione delle parti comuni,
della gestione dei servizi, curando la gestione preventiva e consuntiva28, in ossequio al principio di
effettività di cui all'art. 299 d.lgs.29
Quanto ai soggetti passivi destinatari della tutela, l'art. 3, comma 9, del D.Lgs 81/08 fa riferimento
ai lavoratori che "rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari dei
fabbricati", e quindi, oltre ai portieri in senso stretto, anche a tutti i lavoratori subordinati che
prestino la loro attività nell'ambito di un condominio, purché con mansioni affini a quelle dei
portieri.
In virtù di questo rapporto l'amministratore sarà soggetto a tutti gli obblighi previsti dal titolo III del
Decreto Legislativo. Infatti, ai sensi dell'art. 3, comma 9, oltre ai primari doveri di formazione ed
informazione immediatamente sanciti30 si asserisce inoltre che “ad essi devono essere forniti i
necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate.
Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali
27Cfr art. 1129 cod. civ. così come novellato dalla l. 220/2012 28De rentis, l'amministratore del condominio degli edifici, Padova, 1995, 20 e ss 29Una prima costruzione tenta di ricondurre l'amministratore di fatto nell'alveo del'art. 2031 e ss gestione degli affari
altrui talché i condòmini devono tenerlo indenne dalle obbligazioni assunte e rimborsargli le spese. Però la tesi
maggioritaria propende verso la tesi che lo riconduce nel mandato concluso per fatti concludenti. Però
maggioritaria Cass 12.02.1991 n. 1781; id. Cass 1970 n. 171 lo riconduce nell’alveo del mandato anche se non ha
rappresentanza né rapporti diretti con l'assemblea. 30L’art. 3, comma 9, d.lgs 81/08 recita “[...] nei confronti dei lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del
contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e di formazione
di cui agli artt. 36 e 37"
26
attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III".
Succintamente, in base al Titolo III del predetto decreto, l’amministratore/datore di lavoro è
soggetto a precisi obblighi: (i) mettere a disposizione attrezzature idonee ai fini della sicurezza e
della salute e adeguate al lavoro da svolgere; nella fase di scelta delle attrezzature, deve valutare:
- condizioni e caratteristiche del lavoro da svolgere;
- rischi presenti nell’ambiente di lavoro;
- rischi derivanti dall’impiego delle stesse attrezzature;
- rischi derivanti da interferenze con altre attrezzature in uso;
(ii) adottare adeguate misure tecniche ed organizzative al fine di ridurre al minimo i rischi;
(iii) controllare la corretta installazione o utilizzazione delle attrezzature in uso e delle
apparecchiature e impianti elettrici messi a disposizione, in modo da salvaguardare i lavoratori da
tutti i rischi di natura elettrica;
(iv) informare sui possibili rischi in modo che siano comprensibili (art. 73).
(v) in merito alla mansione lavorativa svolta agli stessi lavoratori devono essere forniti eventuali
Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) ed idonee attrezzature (art. 77). Ai fini della scelta del
dispositivo di protezione individuale il datore di lavoro effettua analisi e valuta i rischi che possono
essere evitati con altri mezzi, inoltre individua caratteristiche del DPI necessarie affinché siano
adeguati ai rischi tenendo conto delle fonti, valuta sulla base delle informazioni e delle norme d'uso
le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta tra di esse aggiorna la scelta ogni
qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione, individua le
condizioni in cui il DPI deve essere utilizzato anche sulla base delle norme d'uso fornite dal
fabbricante, mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni di igiene mediante la
manutenzione le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo eventuali indicazioni fornite dal
fabbricante .
L'art. 26, comma 2, lett. b), prevede poi a carico dei datori di lavoro un obbligo di "informazione
reciproca anche al fine di eliminare rischi dovuti ad interferenze tra i lavori delle diverse imprese
coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva", ovverosia la redazione del DUVRI mentre, ai
sensi del successivo comma 3 dell'articolo citato, le disposizioni riguardanti la redazione del
documento della valutazione dei rischi non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle
imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.
Per i datori di lavoro è previsto anche l’obbligo di informazione reciproca, allo scopo di eliminare i
rischi dovuti a interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione
dell’opera.
Ai sensi dell'art. 80, inoltre, l'amministratore prende le misure necessarie affinché i materiali, le
apparecchiature e gli impianti messi a disposizione del portiere o dei lavoratori autonomi siano
27
progettati, costruiti, installati, utilizzati e mantenuti in modo da salvaguardare i lavoratori da tutti i
rischi di natura elettrica ed in particolare da contatti elettrici diretti ed indiretti.
Ritornando al DUVRI esso è un documento che deve contenere in particolare i seguenti elementi
essenziali: l'oggetto dell'incarico, il periodo di tempo del lavoro, i mezzi e gli strumenti utilizzati,
nonché i rischi dei mezzi e dei dispositivi messi a disposizione, individuare gli strumenti di
emergenza e le indicazioni volte alla maggiora sicurezza.
3.2. Gli Appalti
Diversamente, nel caso in cui il condominio commissioni, nella forma di contratto di appalto,
lavori edili o di ingegneria civili l'amministratore è necessariamente qualificato come
committente di talché si applicano le disposizioni di cui al Titolo IV del D.Lgs 81/2008 (art. 88 e
ss.).
Andando ad analizzare nel dettaglio gli obblighi del committente si deve dire che a norma dell'art.
90 “obblighi per il committente o responsabile dei lavori” l'amministratore deve innanzitutto
verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa affidataria, delle imprese esecutrici che, ai
fini probatori, dovranno esibire la documentazione di cui all’Allegato XVII (iscrizione alla Camera
di Commercio, documento di valutazione dei rischi, documentazione di conformità delle macchine
o attrezzature impiegate, ecc.) a pena di vedersi imputata la responsabilità civile o penale.
Gli stessi requisiti sono previsti per la scelta dei lavoratori autonomi i quali, a norma dell'art. 94
hanno l'obbligo di adeguarsi alle disposizioni sulla sicurezza fornite dal coordinatore per
l’esecuzione dei lavori. Ai fini di evitare la c.d. culpa in eligendo l'amministratore deve richiedere ai
lavoratori autonomi l'esibizione dell'iscrizione alla camera di commercio, l'oggetto sociale alla
tipologia di appalto, nonché la documentazione attestante conformità disposizioni di macchine
attrezzature e opere ed anche l'elenco dispositivi di protezione individuale in dotazione, gli attestati
inerenti la propria formazione ed infine il c.d. DURC (documento unico di regolarità contributiva).
Sulla scelta dell'appaltante, l'amministratore, dopo aver sottoposto all’assemblea condominiale i
vari preventivi e aver scelto l’impresa affidataria dei lavori, e dopo l’espletamento delle pratiche di
rito (DIA, permesso di costruire, occupazione del suolo pubblico), dovrà nominare il coordinatore
in fase di progetto (il quale a norma dell'art. 91 “obblighi del coordinatore per la progettazione”
redige il Piano di Sicurezza e Coordinamento ossia predispone un fascicolo con le informazioni utili
ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi) e il coordinatore in fase di esecuzione il quale
a norma dell'art. 92 è soggetto agli “obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve
svolgere attività di verifica e controllo al fine di evitare infortuni e verifica l’applicazione delle
disposizioni presenti nel piano operativo”. In sostanza, il primo svolge il lavoro di verifica mentre il
28
secondo deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento. Gli stessi devono inoltre avere i
requisiti indicati dall'art. 98 “requisiti professionali del coordinatore per la progettazione e del
coordinatore per l’esecuzione dei lavori”. Giova precisare che l'amministratore può affidare a sé
stesso l'incarico di coordinatore del progetto ed esecuzione, in tal caso è soggetto agli obblighi di
cui agli artt. 90 – 101 del Decreto, altrimenti solo quelli tipici dell'amministratore.
Il committente dunque, il quale è espressamente indicato come il responsabile a norma dell'art. 93
assieme al responsabile dei lavori, deve adottare tutte le misure generali di tutela e sicurezza per
tutte le operazione che si svolgeranno in cantiere a norma del'art. 95 e dovrà inoltre soggiacere agli
obblighi di cui all'art. 96 ossia applicare e predisporre il piano di sicurezza e di coordinamento
rivolto a tutti gli operatori.
Propedeutica è inoltre la previsione di cui all'art. 99 secondo il quale l’amministratore è tenuto
all’invio nella notifica preliminare e degli eventuali aggiornamenti alla ASL e alla Direzione
Provinciale del Lavoro territorialmente competenti le cui avvenute notifiche devono essere affisse
in maniera visibile presso il cantiere. Nella notifica preliminare deve essere contenuto la data
indirizzo committente sede natura dell’opera il coordinatore progettazione coordinatore per
l'esecuzione data di inizio lavori presunta numero massimo lavoratori in cantiere numero di imprese
e lavoratori autonomi imprese già selezionate ammontare in euro dei lavori sottoscrizione. A norma
dell'art. 100 “piano di sicurezza e coordinamento” si deve fare una relazione tecnica contenenti le
prescrizioni correlate alla complessità del lavoro atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e
la salute dei lavoratori. Infine, a norma dell'art. 101 in capo all'amministratore vigono obblighi di
trasmissione del Piano di sicurezza e coordinamento alle autorità competenti.
4. Responsabilità dell’amministratore
In tema di sicurezza il Legislatore sovente colloca la sua attenzione non sul danno già concretizzato
ma ad una soglia antecedente, in un ruolo di prevenzione e di deterrenza, attribuendo rilevanza
giuridica ad un atteggiamento, che seppur non abbia causato nessun danno, abbia almeno aumentato
il rischio di verificazione. A tal uopo, nel diritto penale si distingue il reato di pericolo dal reato di
danno, per punire con la prima tipologia un comportamento che abbia determinato un aumento del
rischio di verificazione dell'evento non voluto e con la seconda tipologia per punire quel
comportamento nel solo caso in cui l'evento non voluto si sia effettivamente verificato.
Dunque, al fine di ottenere una normativa che tuteli in modo compiuto gli aspetti concernenti la
sicurezza, specialmente nell'ottica di prevenzione e deterrenza, il Legislatore punta sull’opportunità
di dissuasione dal compimento di atti illeciti, di inadempienze o negligenze ai propri obblighi e
contestualmente di far accrescere il grado di diligenza per ridurre gli atteggiamenti colposi.
29
Sull’amministratore condominiale, infatti, prima di ogni cosa sorgono doveri di informazione e di
costante necessità di aggiornamento, il che, nel complesso panorama normativo che gli si prospetta
davanti risulta un compito assai arduo. Anche per questo motivo il Legislatore della riforma ha
imposto all'Amministratore requisiti di alta professionalità e obbligatori corsi di aggiornamento.
Infatti, all'amministratore sono ascrivibili sia responsabilità di tipo civile (contrattuale ed
extracontrattuale) che di tipo penale.
4.1. La responsabilità contrattuale
La responsabilità contrattuale dell'amministratore si colloca nel rapporto con l'assemblea in persona
dei singoli condòmini in virtù del contratto di mandato che intercorre tra le due parti. Dottrina e
giurisprudenza sono infatti di parere unanime nell'inquadrare il rapporto che lega l'amministratore
all'ente gestito nell'ambito della figura contrattuale del mandato con rappresentanza ex art. 1710 c.c.
e ss. cod. civ. di talché, seguendone il regime giuridico, l'inosservanza e/o la negligenza da parte
dell'amministratore dei doveri rientranti nei suoi compiti è fonte di responsabilità contrattuale.
Il mandato è un contratto che si basa sul c.d. intuitu personae, ovverosia su un rapporto fiduciario di
carattere personale tra il mandante ed il mandatario sicché qualora venisse meno detto elemento
essenziale si costituirebbe il presupposto per chiedere la revoca del mandato. A conferma di ciò si
pensi come la legge richiede, ai fini della revoca dell'amministratore di condominio, non la prova,
ma soltanto il fondato "sospetto" di gravi irregolarità.
Sull'amministratore dunque ricadono tutti gli obblighi ed i doveri (v. infra) in base alla normativa
vigente, ed egli, in primis, deve rispondere del suo operato verso il condominio tutte le volte in cui
non agisca con la diligenza del buon padre di famiglia. Di talché nell’espletamento del mandato
(specialmente se di carattere oneroso), l'amministratore deve tenere una condotta improntata alla
diligenza media del professionista, al di sotto della quale scatta la responsabilità. Detta diligenza va
valutata concretamente caso per caso rapportando il comportamento tenuto dal professionista al
comportamento che avrebbe tenuto il buon padre di famiglia. Il secondo criterio guida imposto dalla
legge per l'assolvimento delle funzioni del mandato (e più in generale del contratto) è il
comportamento secondo buona fede, essa da intendersi in un’accezione oggettiva, e cioè non rileva
quanto scaturisce nel foro interno del professionista bensì si analizza la buona fede ricorrente nel
caso concreto rapportata alla circostanza reale secondo lo schema dell’id quod plerumque accidit.
Oltre questi due criteri generali desumibili dal mandato in generale, la cui violazione integra gli
estremi per la revoca ex art. 1129 c.c. e la cui violazione è altresì fonte di responsabilità contrattuale
tanto che legittimerebbero il condominio all'esercizio dell'azione di risarcimento dei danni da
inadempimento, l’amministratore è ulteriormente soggetto ad una serie di numerosi obblighi e
30
doveri previsti dalla normativa riformata nonché dalle discipline speciali dei differenti settori sin
cui opera (v. infra).
Infatti, come sarà meglio specificato in seguito, su di esso ricadono gli obblighi tipici del datore di
lavoro qualora il condominio sia il luogo dello svolgimento dell'attività lavorativa subordinata di un
dipendente (si pensi al portiere, al vigilante, al custode, ecc.), ovvero ricadono gli obblighi tipici del
committente qualora incarichi un'impresa per la realizzazione di un'opera con la forma dell'appalto
potendosi configurare in questi casi la c.d. culpa in eligendo, laddove scegliesse ed incaricasse un
appaltatore non munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge ovvero della idonea capacità
tecnica e professionale proporzionata all'attività commissionata, ovvero la c.d. culpa in vigilando
sulla corretta esecuzione dei lavori31, nonché obblighi tipici previsti dalla normativa in generale,
quali quelli di cui gli artt. 1129 e 1130 cod. civ.
In conclusione, sussiste responsabilità contrattuale dell'amministratore ogni qualvolta si configura
un'inadempienza dei suoi doveri o una negligenza nell'adempimento dei suoi obblighi derivanti dal
contratto di mandato, sicché, in tali casi, sarà chiamato a rispondere dinanzi all'assemblea del suo
operato nonché a risarcire ai condòmini i danni provocati da tali inosservanze.
4.3. La responsabilità extracontrattuale. La responsabilità nei confronti dei terzi.
Oltre ad una responsabilità di tipo contrattuale, in capo all'amministratore può ricadere una
responsabilità extracontrattuale per fatto proprio ovvero oggettiva ed indiretta. Infatti, ben può
accadere che le parti condominiali cagionino un danno ad un terzo. A tal punto il soggetto
danneggiato può esperire azione di responsabilità al fine di vedersi risarciti i danni, di regola, giova
sin d'ora precisare che il terzo, salvo le precisazioni di cui infra, può citare cumulativamente sia il
condominio in persona dell'amministratore pro tempore sia i singoli condomini, tuttavia,
generalmente, a prescindere dalla fonte che ha scaturito il danno il responsabile sarà individuato nel
condominio fatta salva ogni rivalsa di quest'ultimo nei confronti dell'amministratore32.
La responsabilità extracontrattuale del condominio – oltre alla generale fattispecie di cui all'art.
2043 cod. civ. - si può generalmente configurare nelle fattispecie oggettive di cui all'art. 2049, 2051
o 2053 cod. civ.
Innanzitutto un caso di responsabilità oggettiva configurabile in capo al condominio è quello di cui
all'art. 2049 c.c. secondo il quale i padroni e committenti sono responsabili per i danni arrecati
dal fatto illecito dei loro domestici o commessi nell'esecuzione delle incombenze a cui sono
31Si veda ad es., Cass. pen., sez. III, 20.01.1991, n. 171 32Cass., 16.10.2008 n. 25251
31
adibiti, in tal caso tuttavia resta salva la possibilità di rivalersi internamente nei confronti del
soggetto agente, in modo tale da ottenere l'integrale ristoro nei confronti dello stesso, anche in via
esclusiva.
Così, ad esempio, il condominio è responsabile per danni arrecati da fatto del portiere, o del
giardiniere, dagli addetti alle pulizie, nonché, è responsabile altresì per i fatti compiuti
dall'amministratore. Il Condominio, infatti, assume nei confronti dei terzi una c.d. responsabilità
indiretta per i fatti dannosi commessi da tutti i soggetti che sono legati al condominio da un
rapporto di lavoro o di incarico di esecuzione di opere, che importi un vincolo di dipendenza
sorveglianza o vigilanza, anche se solo temporaneo.
Da detta disposizione, a ben vedere, ne discende una responsabilità di tipo indiretto, ancorché non
meramente oggettiva, in quanto si presuppone ad ogni modo una colpa nel reclutamento
dell'individuazione dei soggetti idonei (culpa in eligendo) o almeno una colpa nel corretto
vigilamento dei lavori (culpa in vigilando). La ratio di questa attribuzione di responsabilità, sta
inoltre nel fatto di garantire al terzo danneggiato un più sicuro ristoro permettendogli di aggredire il
soggetto preponente che presumibilmente avrà più solvibilità, il quale è tenuto a garantire l'operato
dei suoi domestici e commessi.
Perché sussista tale responsabilità è necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito del
soggetto adibito a svolgere le mansioni e che tra le attribuzioni di questo e l'evento dannoso vi sia
un rapporto eziologico.
In tali casi, dunque, come si inquadra la responsabilità dell’amministratore? Si deve dire che nel
caso in cui sia il condominio “padrone o committente” in virtù di una delibera assembleare che, ad
esempio, abbia conferito l'incarico, esso risponde per i fatti propri della persona scelta (ivi
compreso l'amministratore). Tuttavia, in virtù del rapporto contrattuale, il condominio può rivalersi
su chi ha materialmente commesso il danno, a maggior ragione se il danno è stato commesso in
violazione di norme contrattuali. Se invece è l'amministratore che ricopra il ruolo di padrone o
committente, mancando una delibera assembleare (si pensi ai lavori d'urgenza per le opere di
straordinaria amministrazione) allora l'amministratore, sarà considerato responsabile ai sensi
dell'art. 2049 sia nei confronti del terzo danneggiato che nei confronti dell'assemblea.
Passando ora in rassegna la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. rubricato “danno cagionato da cosa
in custodia” essa asserisce il principio per il quale ciascuno è responsabile del danno cagionato
dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. La responsabilità può escludersi solo
qualora il custode dia la prova positiva del fatto naturale o del fatto del terzo o del fatto dello stesso
danneggiato, riuscendo così a dimostrare l’inidoneità della cosa in custodia a provocare il danno33.
33Cfr. Cass., 30.10.2008 n. 26051; id. Cass., 18.12.2009, n. 26751
32
Con l'articolo in argomento si configura un tipo di responsabilità oggettiva secondo la quale il
custode si considera responsabile per il solo fatto di essere custode della cosa, e la presunzione di
colpa iuris tantum è vincibile solo con la prova che il danno sia derivato dal fatto del terzo (o dello
stesso danneggiato) o per caso fortuito. In sostanza, qui vi è un inversione dell'onere della prova,
per cui per andare esente da responsabilità il condominio dovrà dimostrare l'inidoneità della cosa in
sua custodia a provocare il danno, ovvero l'esistenza di altri fatti idonei ad interrompere il nesso
causale fra il bene ed il danno (compreso il fatto del danneggiato).
Il custode delle parti comuni ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. è l'assemblea condominiale o
l'amministratore pro tempore? Parte della giurisprudenza34 sostiene che nell'espletamento delle
attribuzioni di cui all'art 1130 cod. civ. l'amministratore è un rappresentante dei partecipanti al
condominio, alla tutela dei cui interessi di gruppo egli deve indirizzare la propria attività. La
violazione di tale suo dovere, pertanto, si esaurisce nei rapporti interni con il condominio, e
quest'ultimo dunque non vede esclusa o diminuita la sua responsabilità ex art. 2051 cod. civ.
A tal punto giova operare un'essenziale precisazione, essa giunge a questa conclusione partendo dal
presupposto che il condominio ha natura di ente di gestione anziché propria personalità giuridica e
questo importa che la responsabilità deve essere ascritta ai singoli condomini piuttosto che
“all'organo competente”. Ciò significa che non può esservi un organo a cui ascrivere
impersonalmente gli obblighi di custodia ma che essi vanno ricondotti nelle persone dei singoli
condòmini.
Parte opposta della giurisprudenza35 afferma invece il principio di segno contrario ascrivendo la
responsabilità in capo all'amministratore in proprio.
Questa frangia considera che la figura dell’amministratore non si esaurisce nell’aspetto contrattuale
delle prerogative dell’ufficio ma ad essa vengono imputate dal codice civile e da leggi speciali
numerosi obblighi e doveri finalizzati ad impedire che il modo di essere dei beni condominiali
provochi danno a terzi (comprensivi anche dei condomini). Perciò in relazione a tali beni
condominiali l’amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro
modo di essere, si trova nella posizione di custode.
Ritenendo che la responsabilità del condominio possa essere alternativa o concorrente rispetto a
quella dell’amministratore, sarebbe ad ogni modo, oggi più conforme allo spirito della riforma
prevedere oggi un rafforzamento della legittimazione passiva in capo all'amministratore il quale con
la novella si vede aumentare i poteri di controllo e gli obblighi di cura sulle parti comuni e a cui si
34Cass., 24804/2008 per ravvisare il difetto di legittimazione passiva dell’amministratore del condominio rispetto ad
una domanda risarcitoria ex art. 2051 cc formulata dai genitori di un bambino che si era infortunato andando ad
urtare contro il vetro di copertura dei box condominiali 35Cass., 16.10.2008 n. 25251
33
richiede sempre più un'alta qualificazione professionale, divenendo a tutti gli effetti perno e centro
decisionale.
Secondo l'art. 2053 cod. civ. rubricato “rovina di edificio” il proprietario di un edificio o di altra
costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è
dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.
A prescindere dal fatto che essa si reputi un’ipotesi di responsabilità basata sullo specifico dovere di
sorveglianza che fa carico al proprietario di un bene ovvero un’ipotesi di responsabilità oggettiva è
rilevante sottolineare come il condominio potrebbe trovarsi coinvolto nella responsabilità in
argomento nel caso di crollo o rovina delle parti comuni di un edificio condominiale. Infatti, in
questo caso, a differenza dei dubbi che possono venire in tema di custodia, il proprietario si
individua senza ombra di dubbio nelle persone dei singoli condòmini. Nel caso di rovina o crollo di
edificio pertanto risponde unicamente il proprietario. Con ciò nulla quaestio in caso di crollo di una
singola unità immobiliare afferente ad un unico proprietario, ma nell’ipotesi di crollo delle parti
comuni si deve ritenere invece l'amministratore pro tempore quale legittimato passivo e che
l’importo risarcitorio graverà sui condomini in proporzione ai sensi dell’art. 1123 cc.. sempre che il
proprietario, sul quale grava l'onere della prova, riesca a dimostrare che la rovina non sia dovuta a
difetto di manutenzione o a vizio di costruzione, fatto salvo il caso fortuito. E' doveroso chiedersi se
i singoli condomini possono liberarsi a norma dell'art. 2053 c.c. dimostrando che il difetto di
manutenzione sia assoggettabile all'operato dell'amministratore di talché condannarlo al
risarcimento in proprio. Infatti, oltre ai generali doveri di cui sopra, ai sensi dell’art. 1130, terzo e
quarto comma, cod. civ., sull’amministratore soggiace il potere/dovere di “ordinare lavori di
manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente” con l’obbligo di “riferirne nella prima
assemblea dei condomini”, di talché è riconosciuto in capo allo stesso l’obbligo giuridico di
attivarsi senza indugio per l’eliminazione delle situazioni idonee a cagionare danni si conclude che
qualora il danno si concretizzasse effettivamente egli sarebbe passibile di risarcimento di certo in
virtù della responsabilità contrattuale ma in virtù della regola del “neminem laedere” finanche a
titolo extracontrattuale36.
In conclusione, si deve aggiungere che per un medesimo fatto è altresì possibile l'insorgenza di un
concorso fra le due distinte obbligazioni risarcitorie, una di origine contrattuale e l'altra di origine
extracontrattuale. In proposito, indicativa è la pronuncia della Suprema Corte secondo cui «È
pienamente ammissibile il concorso di responsabilità contrattuale con quella extracontrattuale,
quando si tratti di un medesimo fatto che violi contemporaneamente sia diritti che alla persona
spettano indipendentemente da un contratto o da un rapporto giuridico preesistente, sia diritti che
36V. Vanelli, Magistrato del Trib. di Genova.
34
derivano da un contratto o comunque da un vinculum iuris già esistente, e in tal caso la pretesa del
danneggiato può trovare il suo fondamento, oltre che nel generale precetto del neminem laedere ,
anche nel contratto»37.
Di talché l'amministratore potrebbe benissimo trovarsi a dover rispondere in via extracontrattuale
nei confronti di un terzo in virtù della sua responsabilità oggettiva o soggettiva, nonché in via
contrattuale nei confronti del condominio per una sua omissione, inadempienza o negligenza.
4.3. La responsabilità penale.
Per quanto concerne, invece, la responsabilità penale dell’amministratore, questo è ritenuto
responsabile in via generale in tutti quei casi in cui non si attivi per rimuovere quelle situazione di
pericolo per l’incolumità delle persone e quando l'inadempimento sia stato causa del verificarsi
dell'evento dannoso ovvero quando non abbia adempiuto agli obblighi o abbia commesso illeciti
previsti come fattispecie di reato.
In primo luogo, dunque, la responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta
nell’ambito della disposizione di cui all'art. 40, comma secondo, cod. pen. secondo la quale “non
impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere
del mancato impedimento di un evento è necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo
giuridico di attivarsi allo scopo laddove detto obbligo può nascere da qualsiasi fonte giuridica
dell'o.g. Dunque, si attribuisce all’omissione un’essenza normativa consistente nel non compiere
l'azione che un soggetto ha il dovere di compiere, talché l’omittente, che assume il ruolo di garante
della salvaguardia del bene protetto, risponde dei risultati connessi al suo mancato attivarsi. I reati
omissivi si suddividono in categorie: propri e impropri; e reati puramente omissivi e reati
commissivi mediante omissione.
I propri sono quelli destinati ad una particolare categoria di soggetti (ad es., il medico, il soggetto
apicale di una società, il pubblico ufficiale, ecc.) laddove gli impropri si rivolgono a chiunque.
Quelli puramente omissivi si concretizzano nel mancato adempimento di un comando della legge
penale e si perfezionano con la sola omissione a prescindere dal verificarsi o meno dell'evento
dannoso, i commissivi mediante omissione (quelli che interessano nella trattazione in argomento)
integrano la fattispecie del reato qualora l'evento che si è realmente verificato doveva essere
impedito da chi aveva l'obbligo giuridico di impedirlo.
Ciò premesso, i presupposti per la responsabilità penale dell'amministratore ex art. 40 c.p. sono (i)
l'evento dannoso (ii) l'inadempimento giuridico (iii) il nesso causale tra i primi due. Come detto
37Cass., 25.07.2006 n. 16937; id. Cass., 25.09.2002, n. 13492; Cass., 21.06.1999, n. 6333;
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poc'anzi tali previsioni normative possono scaturire da più fonti: la legge penale, la legge
extrapenale, i regolamenti, il contratto e, altresì, l’assunzione volontaria dell’obbligo, quest’ultima
riconducibile nell’ambito della negotiorum gestio. Gli obblighi di garanzia giuridicamente rilevanti
sono sostanzialmente gli obblighi di protezione e obblighi di controllo. I primi hanno la finalità di
difendere indeterminati beni da ogni fonte di pericolo che ne minacci l’integrità e possono derivare
da rapporti di comunanza di vita, di famiglia, o dalla volontaria assunzione di tale obbligazione; i
secondi hanno lo scopo di annullare determinate fonti di pericolo per proteggere tutti i beni a esse
esposti, non potendo i soggetti minacciati difendersi da soli, senza che vi sia una ingerenza nella
sfera altrui.
Circa invece il rapporto di causalità bisogna dire che la clausola di equivalenza ex art. 40 c.p.,
equipara il non impedire l’evento al cagionarlo. Pertanto, la causalità si fonda su un giudizio
ipotetico, sulla base del quale possa desumersi che un evento non si sarebbe verificato se l’azione
impeditiva fosse stata attuata. Tale giudizio deve essere effettuato in aderenza alle “regole generali
desumibili dalla teoria condizionalistica orientata secondo il modello della sussunzione sotto leggi
scientifiche” (secondo la famosa sentenza c.d. Franzese) verificato alla stregua di un giudizio di alta
probabilità logica.
L'amministratore dunque, in conclusione, è responsabile penalmente ogni qualvolta che viene leso
un bene protetto dalla legge penale e che detta lesione sia stata causata dalla colposa violazione
dell'amm.re. di una norma collocata in qualsiasi ramo dell'ord. giur.
Verificata l'esistenza della causalità omissiva l'amministratore sarà tenuto responsabile per colpa
(assenza della volontà di cagionare l'evento) secondo il tipico modello dei reati colposi. Nei reati
colposi (art. 43 c.p.), infatti, la condotta è attribuibile all’agente, anche in presenza di un evento non
voluto da quest’ultimo, neppure in modo indiretto; il fatto è ascritto all'agente se l'evento è stato
causa della sua negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l'inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline.
A tal uopo le ipotesi maggiormente rilevanti sono i reati di omicidio colposo art. 589 c.p. e di
lesioni personali colpose art. 590 c.p. i quali sono imputabili all’amministratore di condominio, a
titolo di colpa, allorquando in qualità di titolare di una posizione di garanzia (datore di lavoro o
committente ex D.Lgs. n. 81/2008, v. infra), abbia omesso d’impedire che si verificasse l'omicidio e
la lesione. Nel richiamare quanto in precedenza esposto, si sottolinea che, trattandosi di reati colposi
omissivi impropri, le omissioni devono costituire l’antecedente causale dell’evento e sul piano
materiale s’impone sempre il superamento di ogni ragionevole dubbio sul modello causale
delineato.
Oltre alle ipotesi generali anzidette, l’amministratore di condominio in particolar modo è esposto
alla fattispecie criminosa di cui all'art. 677 c.p. secondo la quale “il proprietario di un edificio o di
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una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla
vigilanza dell'edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per
rimuovere il pericolo è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da centocinquantaquattro
euro a novecentoventinove euro. La stessa sanzione si applica a chi, avendone l'obbligo, omette di
rimuovere il pericolo cagionato dall'avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione. Se dai fatti
preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell'arresto fino a
sei mesi o dell'ammenda non inferiore a 309,00 euro”. Pertanto l'amministratore è tenuto a
rimuovere i pericoli derivanti dall’edificio e deve provvedere alla opere di riparazione, anche in
mancanza di una decisione dell’assemblea condominiale ai sensi dell'art. 677 c.p. La norma trova la
sua ratio nella tutela del generale interesse alla pubblica incolumità.
Difatti, secondo la Corte di Cassazione38, l’amministratore deve attivarsi per eliminare le situazioni
potenzialmente lesive per l’incolumità pubblica non solo quando si tratti di interventi di
manutenzione ordinaria, ma anche quando si tratti di opere di manutenzione straordinaria, a
prescindere dal fatto che il pericolo gli sia stato o meno segnalato. Egli, inoltre, ha l’obbligo di
intervenire a tutela delle parti comuni dell’edificio a prescindere dalla provenienza del pericolo, e
ha il dovere di attivarsi anche quando il pericolo per le parti comuni provenga da un bene di
proprietà esclusiva di uno dei condomini.
Difatti, l’obbligo di rimuovere il pericolo che grava sull’amministratore, impone a quest’ultimo, ope
legis, di ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente, con l’obbligo
di riferirne nella prima assemblea condominiale. Invece, se non è possibile eseguire i lavori per
rifiuto dell’assemblea dei condòmini l’amministratore non può essere considerato responsabile39,
conseguentemente, in tal caso, la responsabilità penale ricade su ogni singolo condomino,
indipendentemente dal fatto che l’origine della situazione di pericolo sia attribuibile agli stessi
condòmini.. Se si tratta di opere costose, è invece da ritenere sufficiente che l’amministratore
provveda subito ai rimedi di emergenza (ad es. demolizione di intonaco o cornicione pericolanti) e
convochi immediatamente l’assemblea. L’amministratore, a questo punto, deve mettere a verbale
l’urgenza, la pericolosità e l’indifferibilità dei lavori.
Da tali obblighi si può trarre la conclusione che l’amministratore non è esclusivamente il gestore
della cosa comune e l’esecutore della volontà assembleare bensì, paradossalmente, l’imprenditore
della cosa comune con tutte le responsabilità conseguenti e senza tuttavia ricavare un apprezzabile
38Cass., pen, sez IV, 23.09.2009 n. 39959; Cass., 9027/2003 In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto
configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione
delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di
proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava parti comuni dell’edificio. 39Cass., pen., sez IV, 07.08.1996; Cass., civ., 21.05.2009 n. 21401.
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giovamento o profitto da tale situazione, specialmente se rapportati con le sempre maggiori
responsabilità giuridiche.
Un'altra fattispecie consta nell’art. 449 c.p. che disciplina i “delitti colposi di danno” prevedendo
che “Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel comma 2 dell'art. 423-bis, cagiona per colpa un
incendio o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da
uno a cinque anni. La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di
sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a
trasporto di persone”. Si tratta anch'esso di un reato colposo omissivo improprio, la cui
configurabilità postula la preliminare individuazione dei soggetti titolari della posizione di garanzia
“da cui discenda l’obbligo giuridico di impedire l’evento, il quale si caratterizza rispetto agli altri
obblighi di agire in ragione della previa attribuzione al garante degli adeguati poteri di impedire
accadimenti offensivi di beni altrui”40.
In materia di pericoli per edifici o costruzioni, la giurisprudenza ha individuato, come “garanti”, il
proprietario dell’immobile e l’amministratore di condominio i quali a norma dell'art. 434 e 449 c.p.
hanno l'obbligo di provvedere ai lavori necessari per evitare il crollo di una costruzione41.
40Cass., pen., sez. IV, 05.06.2008, n. 22614 41Cass., pen., 29.09.1983, n. 7659; id. Cass., pen., 19.10.2009 n. 39959
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