amselle, m'bokolo (a cura di) - l'invenzione dell'etnia

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Edizione originale: Au cœur de Vethnie. Ethnie, tribalisme et État en Afrique Copyright © 1985, Édition La Découverte, Paris Copyright © 1999, Édition La Découverte & Syros, Paris Michela Fusaschi ha tradotto le prefazioni e i saggi di Jean-Pierre Chrétien, Claudine Vidal e Elikia M’Bokolo. Francesco Pompeo ha tradotto i saggi di Jean-Loup Amselle, Jean-Pierre Dozon e Jean Bazin. Copyright © 2008 Meltemi editore srl, Roma ISBN 978-88-8353-604-5 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata. Meltemi editore via Merulana, 38 - 00185 Roma " tel. 06 4741063 - fax 06 4741407 [email protected] www.meltemieditore. it

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Amselle

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  • Edizione originale:Au cur de Vethnie. Ethnie, tribalisme et tat en Afrique

    Copyright 1985, dition La Dcouverte, Paris Copyright 1999, dition La Dcouverte & Syros, Paris

    Michela Fusaschi ha tradotto le prefazioni e i saggi di Jean-Pierre Chrtien, Claudine Vidal e Elikia MBokolo.

    Francesco Pompeo ha tradotto i saggi di Jean-Loup Amselle, Jean-Pierre Dozon e Jean Bazin.

    Copyright 2008 Meltemi editore srl, Roma

    ISBN 978-88-8353-604-5

    vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia,

    anche a uso interno o didattico, non autorizzata.

    Meltemi editore via Merulana, 38 - 00185 Roma "

    tel. 06 4741063 - fax 06 4741407 [email protected] www.meltemieditore. it

  • a cura diJean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

    Linvenzione delletnia

    MELTEMI

  • Indice

    .p. 7 IntroduzioneMichela Fusaschi, Francesco Pompeo

    25 Prefazione alla seconda edizione Au cur de l'ethnie rivisitato Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

    35 Prefazione alla prima edizioneJean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

    39 Etnie e spazi: per unantropologia topologica Jean-Loup Amselle

    77 I bt: una creazione coloniale Jean-Pierre Dozon

    119 A ciascuno il suo bambara Jean Bazin

    165 Hutu e tutsi in Ruanda e in Burundi Jean-Pierre Chrtien

    205 Situazioni etniche in Ruanda Claudine Vidal

    227 II separatismo katangheseElikia MBokolo

    269 Bibliografia

  • Ad Alfredo Saisano

  • Introduzione Michela Fusaschi, Francesco Pompeo1

    Una civilizzazione non nasce da se stessa; piuttosto essa un incontro (Mercier 1962).

    Ragioni generative

    Questo importante lavoro curato da Jean-Loup Amselle e Elikia MBokolo esce in Francia nel 1985 come esito di un lungo lavoro collettivo e, allennesima ristampa oltralpe, viene reso disponibile in italiano solo oggi, colmando un ritardo di almeno due decenni2.

    Le questioni che riguardano lidentit culturale, letni- cit e la tradizione trattate in questo volume sono al centro di unampia riflessione gi dalla fine degli anni Sessanta. La letteratura antropologica intemazionale ha, infatti, rimesso in discussione le categorie descrittive e interpretative, spostando lattenzione sulla comprensione delle dinamiche che sono alla base dei processi identitari.

    La traduzione di Au cceur de l'ethnie, a parte lestrema difficolt di rendere un titolo cos evocativo3, fornisce alle lettrici e ai lettori italiani lopportunit di confrontarsi diretta- mente con un percorso di ricerca denso, mettendo forse fine anche ad alcune letture interessate e riduzioniste che, come apparir pi chiaro pagina dopo pagina, non si sono sempre confrontate con i testi originali pretendendo di confutarli, pur non entrando nel merito.

    I sei studi che compongono il libro, realizzato insieme agli storici4, sono legati da un filo rosso che unisce almeno due punti essenziali, i quali delineano rispettivamente un forte posizionamento teorico e una critica, se non una denuncia,

  • 8 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    altrettanto marcata: da un lato si afferma lidea che occorra decostruire gli oggetti delletnologia, rifiutando il pensiero dellesistenza di essnze culturali e rintracciandone i percorsi generativi all'interno del modello di conoscenze di quella che, qualche anno dopo, sar definita come la ragione etnologica* (Amselle 1990). Dallaltro si delinea una netta presa di posizione verso coloro che leggono i conflitti del continente africano nel segno del tribalismo, ovvero in relazione a manifestazioni etniche viste come la sopravvivenza di un passato sempre vivace e molla del presente (Mo- niot 1986, p. 135).

    Questa prospettiva matura in linea di continuit con il percorso di quella che Mercier ha definito come la scuola dinamista francese, cio quellapproccio, inaugurato a partire dagli anni Cinquanta da Georges Balandier, che ha riarticolato e reinterpretato in forma originale lanalisi delle trasformazioni sociali legate alla colonizzazione, sviluppate parallelamente in ambito anglofono dagli studi sul Social Chan- ge. In questottica, come ricordano i due curatori nella prefazione alla seconda edizione del testo qui tradotto, il lavoro di smontaggio della nozione di etnia ha preso le mosse proprio dal concetto di situazione coloniale e dal fatto indubitabile per cui limpatto del colonialismo fu certamente pi determinante nella costituzione del profilo etnico e sociale contemporaneo di quanto non siano le sopravvivenze pre-coloniali (Chalifoux 1987, p. 88), Lo stesso Balandier, in effetti, aveva lungamente insistito sul rischio della etno- logizzazione della storia in Africa che, spesso, ha congelato le societ africane prestando il fianco a non poche riletture interessate di dati legittimati dallo sguardo scientifico europeo, coprendo manipolazioni ideologico-politiche della storia (Pompeo 2002).

    Da questo punto di vista, volendo ricostruire alcuni elementi di genealogia, potrebbe sorprendere il fatto di ritrovare la problematica della definizione di una specificit etnica gi in una monografa etnografica tradizionale quale quella sui pescatori lebou del Senegai, realizzata nel 1946 dai due giovani Balandier e Mercier. Questo piccolo gruppo insediato sul

  • INTRODUZIONE 9

    la linea costiera della Petite-Cte senegalese, non lontano da Dakar, all'incrocio del Pays Wolof e del Pays Serere, proprio sulla punta della parte pi modernizzata dellAfrica Occidentale Francese (Balandier, Mercier 1952, p. 1), era stato scelto proprio in ragione del fatto che "rappresenta (...) un gruppo ben determinato e limitato, con la specializzazione nelle attivit della pesca, ripiegato su se stesso, particolarista e coerente (p. 1). La lettura del volume, che oggi presenta un interesse storico, a dispetto di queste premesse, costringe a confrontarsi con la difficolt di formulare una definizione univqca dell'identit lebou. Cos, nel fornire una ricostruzione di prestiti, sovrapposizioni, migrazioni e cambiamenti, si delinea una rappresentazione centrata sull'instabilit e sulla propensione allo spostamento quali unici tratti che ne definiscono l'identit. Emerge l'immagine di una societ caratterizzata da un equilibrio specifico tra prossimit con il mondo urbano e diverse influenze esterne, in cui i prestiti non sono mai semplicemente sovrapposti, ma assimilati, incorporati all'insieme degli elementi propriamente Lebou (p. 213).

    Sulla stessa linea, solo qualche anno pi tardi, Mercier, in apertura di Civilisatons du Bnin, proponeva una vera e propria sintesi della prospettiva dinamista, su cui vale la pena di dilungarsi:

    Una civilizzazione non nasce da se stessa; piuttosto essa un incontro. In forme molto diverse: dei conquistatori rapportano,o invece la ricevono da coloro che essi assoggettano; dei rifugiati trasportano lontano la loro preziosa eredit di idee e di tecniche, dove dei commercianti le propagano lungo vasti itinerari. Ma sempre, un gruppo di uomini riceve delle influenze esterne, alle quali, visto che le circostanze del momento appaiono favorevoli, si accorda, e quindi le assimila, le sviluppa, le mette a frutto, ne fa qualcosa di nuovo di cui vivr. Queste influenze possono venire da molto lontano, passare lentamente attraverso molti intermediari: una grande civilizzazione pu irradiarsi a grandi distanze rispetto alla regione in cui essa ha raggiunto maturazione. Spiegare, comprendere ogni civilizzazione, significa dunque innanzitutto cercare le sue origini, ovvero tentare di rintracciare i percorsi lungo i quali si sono infilate le in-

  • IO MICIIELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    . fluente fecondanti che gli hanno dato origine. Occorre spesso ricostruire una storia lontana, di cui non si trovano che tracce

    . residuali. Ed ancora pi diffcile dal momento che non sempre ha lasciato delle tracce scritte. Ci si riduce a formulare delle ipotesi, molteplici e qualche volta contraddittorie. Si tratta di un gioco appassionante, ma al quale bisogna dedicarsi con molta prudenza (Mercier 1962, p. 1),

    Come risulta evidente gi nellesempio senegalese e come verr ribadito ampiamente nei successivi sviluppi, la prima sollecitazione alla messa in discussione del concetto di etnia derivata propriamente dal confronto diretto con l'esperienza della ricerca sul terreno, nel superamento delle diverse mediazioni, intellettuali come pratico-operative, degli apparati ereditati dall esperienza del colonialismo.

    Linadeguatezza dell'etnia era stata denunciata, in tempi non sospetti, e come ricorda lo stesso Amselle (1987), gi da Weber (1922) e, nellambito dell1 antropologia sociale britannica, da studiosi come Schapera (1952), Nadel (1942), Leach, Barth (1969) e Southall (1985), i quali si sono progressivamente orientati verso lo studio delFetnicit rispetto a quello dell'etnia.

    Un secondo aspetto che caratterizza il lavoro condotto da Amselle e MBokolo come punto di avanzamento ulteriore nel solco della tradizione dinamista quello che a livello teorico si pu definire come il superamento del naturalismo sociologico, implicito nelTutilizzo descrittivo della nozione di etnia, in favore di un approccio costruttivista alla realt sociale.

    Questo posizionamento s'inscrive nella critica a un modello di conoscenza di cui Amselle ha rintracciato le origini in Durkheim e Halbwachs, ma anche in De Maistre, Bonald e negli echi della reazione romantica tedesca, fondato sullidea nostalgica e conservatrice della contrapposizione tra societ e comunit. Questa visuale, insieme allossessione durkheimiana per il legame sociale, sarebbe infatti stata allorigine del naturalismo sociologico di molti altri studiosi doltralpe "che tendono a fare di ogni gruppo sociale in s un dato gi disponibile ed auto evidente, a cui essi attribu-

  • INTRODUZIONE II

    scono una coscienza o una memoria" (Amselle 1999a, p. 27). Questa stessa visione sarebbe poi stata solo riattualizzata nella lettura hegeliano-marxista che pretendeva di poter isolare e ricostruire analiticamente modi di produzione, come nel dibattito sulle societ di caccia e raccolta. Lo sforzo, viceversa, quello di configurare una visione ispirata al costruttivismo: se i gruppi definiti in s non esistono, allora "la strategia di costituzione dei gruppi essenzialmente di natura politica, di modo che la loro esistenza non pu essere analizzata indipendentemente dai discorsi formulati dai loro rappresentanti* (p. 28). Questa strategia politica di riconoscimento e di accreditamento, peraltro, utilizza i metodi della produzione della verit che hanno corso nel campo scientifico, ovvero l'indurimento o consolidamento dei fatti.

    In questo senso l'identit non pi un presupposto naturale gi d ispon ik^ di processi storico sociali; essa

    diviene il risultato di una negoziazione tra tutti gli attori che i sono parte in causa nella definizione del legame sociale. Il con- . ,> tratto sociale non pi definito una volta per tutte, ma diviene laccordo sulloggetto stesso del disaccordo^ (p. 29).)

    -V ..

    Echi e reazioni

    Al momento della sua uscita l ! invenzione dell etnia ha conosciuto immediatamente una certa risonanza diventando l'oggetto di discussioni ancora pi appassionate per il fatto di essere stata mal compresa (Ajnselle, infra, pp. 26). Nel dibattito interno alla disciplina, il testo di Amselle e Mboko-lo in qualche modo destabilizzava alcuni fondamenti perch corrodeva l'apparato categoriale di un'antropologia che aveva fatto dell'etnia, gi da Delafosse e Griaule, un referente stabile (astorico!) vitale per la disciplina. Si determinarono cos una serie di reazioni, talvolta tardive (De Heusch 1997; Paulme, in Bonnet 1992), che hanno voluto ridurne la portata innovativa. Per altri l'approccio alla complessit etnica

  • 12 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    circoscritto allidea che, in fondo, per Amselle, MBokolo e colleghi, le etnie non esistono (Verdeaux 1987). Per un importante studioso anglofono deiretnicit come Aidan Southall, Amselle, MBokolo e soci meritano davvero un plauso per essere arrivati a raggiungere il cuore della trib/etnia degli etnologi africanisti che sulla scorta della lettura di questo lavoro si dimostra come un grande organo artificiale, malato e deformato, ostruito da persistenti e ben motivati pregiudizi e fraintendimenti. A ciascuno la sua etnia! (Southall 1985, p. 570, corsivo dellautore).

    Tra le altre reazioni interessante quella di Carol Dicker- man che, pur riconoscendo che la questione etnica ha a che vedere con categorie molto pi complesse e sfuggenti e che i regimi coloniali incentravano gran parte delle loro politiche proprio sullidentit etnica, ritiene che il libro, nel formato proposto, non realizzi pienamente i suoi obiettivi poich ogni studio meriterebbe un maggiore approfondimento monografico, come a ribadire, che paradossalmente lunico strumento valido per smontare letnia sarebbero proprio le monografe etnografiche. Sorprendentemente, a questa reazione si sono aggiunte quelle di pi ampia portata emerse nel dibattito politico-culturale francese, e questo perch il volume apparso proprio in una fase storica caratterizzata dalla crisi delle spinte localiste e autonomiste degli anni Settanta, venendosi a scontrare con alcune delle evidenze del prt--penser dellepoca, ovvero quelle che si esprimevano nellambito del movimento ecologista e di sinistra (Amselle, MBokolo infra, p. 27). In questo senso lidea di una decostruzione del concetto e del vocabolario etnico si venuta a configurare come un oltraggio alla sensibilit e allimmaginario di quegli anni, laddove anche nella cultura della sinistra si manifestava una curiosa convergenza con lidea dellorigine e della legittimazione etnica di movimenti indipendentisti e regionalisti letti come rivendicazione di minoranze in ambito pluralistico (Pompeo 2007).

    Luscita a met degli anni Ottanta de LInvenzione delletnia si veniva a inserire in un pi ampio dibattito legato al decostruzionismo e allinfluenza della scuola degli Annales, per mettere in risalto i significati legati alla costruzione dellap

  • INTRODUZIONE *3

    partenenza etnica, il che vuol dire riconoscere che le etnie non esistono oggettivamente come entit fsse e immutabili, bens esse stesse vengono progressivamente introiettate in modo da esistere soggettivamente nella coscienza degli attori sociali. Lappellativo decostruzionista, assumendo la storicit come elemento interno dei processi identitari e dei fatti culturali, in questo contesto viene ad analizzare la questione nei termini delle molteplici e successive reinvenzioni della tradizione nella contemporaneit, evidenziando il carattere ascrittivo dell'etnia come una finzione coloniale - si veda ad esempio il Ruanda - che viene rimessa in gioco e strategicamente reinterpretata nella competizione politica a partire dagli attori sociali che se ne fanno interpreti (Fusaschi 2000; 2003). Come gi preannunciavano Chrtien e Vdal nei due contributi fondamentali di questo volume, proprio la vicenda ruandese, pochi anni dopo, avrebbe fornito l'esempli- ficazione pi tragica del potere di mobilitazione delFargo- mento etnico nella costruzione di un conflitto politico, fino alla pianificazione di un vero e proprio progetto genocidario concretizzatosi nei tragici eventi del 1994 (Fusaschi 2000; 2007), Allo stesso modo il valore quasi premonitore degli studi qui raccolti purtroppo facilmente riscontrabile, estendendo lo sguardo ad altre situazioni di estrema criticit quali la guerra del Congo (ex Zaire), di cui alcune premesse sono presenti nel saggio di M'Bokolo, o la drammatica implosione della Costa dAvorio, anticipata in filigrana nell'analisi di Dozon. Teatri di diversi conflitti che hanno comunque tutti ri-messo in gioco un vocabolario etnico.

    Etnia, etnicit e culturalismi: il dibattito italiano

    Se si fa eccezione della fase in cui dall'etnia in senso descrittivo derivava la prospettiva di studi delletnologia5, un vero dibattito critico su questa nozione emerge, nel nostro paese, all'inizio degli anni Novanta, in relazione alle vicende legate alla transizione post-comunista dell'est europeo e, in particolare, del lungo conflitto nella ex Iugoslavia.

  • H MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    Il biennio 1993-1995 si configura, infatti, come un momento centrale nella discussione, con una serie di iniziative seminariali e di pubblicazioni a cominciare dal dibattito sulla rivista Ossimori per arrivare agli importanti lavori di Maher (1994), Fabietti (1995) e Solinas (1995), usciti quasi in contemporanea.

    Un punto di partenza pu essere individuato proprio in Ossimori, in un intervento di Bernardi, Il fattore etnico dall'etnia aW etnocentrismo (1994), a cui rispondono Saccardi, Aime, Fomari, Lisi, Rihtman Augustin, Resta Vereni e So- brero. La discussione rilanciata Tanno successivo da Li Causi, a sua volta accompagnato dagli interventi di Maher, Squillacciotti, Ronzon e Bitti. Infine il dibattito si concluso con la replica dello stesso Bernardi (1995).

    La riflessione traeva spunto dal paradosso di una riconosciuta e riguadagnata centralit del fattore etnico nella vicenda europea, con la fine della favola della presunta pacificazione identitaria del vecchio continente, nel sanguinoso risveglio della pulizia etnica.

    Il riproporsi con drammatica evidenza della violenza in nome dellidentit di per s gi denuncia linadeguatezza delle categorie e della discussione, ovvero quel ritardo concettuale e quel vuoto lessicale che per Bernardi nel contesto italiano si sarebbero tradotti in una vera a propria mortificazione del fattore etnico, in relazione al concetto di nazione, a cui esso comunque legato. Cos per Sobrero letnia come termine evocativo proprio un sinonimo riduttivo di popolo-nazione, concetto che non si poteva applicare ai territori africani perch troppo nobile, troppo carico di storia; la nozione di etnia sembr pi adatta, pi vicina alla natura (in Bernardi 1994, p. 34). Vereni vede nel dibattito sulletnia la centralizzazione di un concetto marginale (p. 31) come lemma che pronto a rivestire nelluso comune il ruolo giocato finora da cultura (ib.) e nondimeno, a differenza di questultima, appare maggiormente refrattario a ogni specificazione, portando con s unirriducibile ineffabilit, quella delle comuni concezioni e norme di vita che ne costituirebbero la sostanza: sotto la voce 'etnia le diffe

  • INTRODUZIONE 15

    renze interne (che per molto tempo abbiamo considerato essenziali) vengono accidentalizzate (p, 32).

    Linsufficienza lessicale dei dizionari italiani, con la ripetizione di riferimenti agli aspetti biologici e il richiamo a studiosi degli anni Trenta, spinge rafricanista Bernardi, gi missionario, a rintracciare alcune radici del vocabolario etnico, dal significato greco di aggregato distinto da caratteristiche proprie (p. 14) fino alla migrazione attraverso il linguaggio neotestamentario e della patristica: il riferimento etnico "passa nella lingua italiana con il senso generico e .spregiativo di e poi di pagani', fino a designare tutti i popoli ritenuti senza religione" (ib.). Di particolare interesse la presenza del termine nel Nuovo Testamento, laddove la voce ethnicus, al plurale ethnici, talvolta sostituita con upokritai, ovvero ipocriti, termine di condanna morale per chiunque non pratichi ci che predica (ib.). La lettura e Pautorit del Vangelo ci consegnano dunque l'eredit storica deY ethnicus nel significato dispregiativo e discriminante:

    quando il cristianesimo si identificher con la civilt occidentale, laccezione negativa verr applicata a tutti i non-occiden- tali, appunto perch non-cristiani - etnici e pagani -, facendo di tale qualificazione il motivo promotore delle conquiste coloniali, esaltate come mandati di civilt e di conversione per gli stati cristiani occidentali (pp, 14-15).

    Da questi riferimenti storici, tornando all'attualit si giunge cosi alla conclusione che

    1 etnia e letnicit non sono solo concetti astratti o mere enclave linguistiche, ma riguardano comunit sociali fortemente coscienti della propria identit, pronte a difenderla e a reclamarne il riconoscimento finanche con forma di lotta e di resistenza (p. 13).

    In questo modello interpretativo sono presenti livelli di sovrapposizione tra un uso descrittivo del concetto, quasi un identificatore geografico, e una lettura interpretativa e poli

  • 16 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    tica della densit del fattore etnico. Questa convivenza di significati opposti, oggi diremmo delletnia nel senso classico ottocentesco e delTetnicit in senso moderno e postmoderno, si ritrova anche nella definizione, non priva di tauto- logismi, secondo cui per etnicit intendo la concettualizzazione e la sintesi astratta delle concezioni e norme di vita di una etnia e dei suoi appartenenti (p. 16). Si rivela cos un fondamento sostanzialista del discorso etnico, in seguito criticamente sviluppato da Li Causi; il riferimento all etnia, negli attori sociali, implica il richiamo di un livello ulteriore e opaco rispetto alla cultura, nel rinvio quali fondamenti iden- titari a una comune sostanza o ad aspetti biologici. la riproposizione di unideologia della discendenza e dellereditariet, storicamente collegata al simbolismo del sangue e alla razza: letnia si troverebbe ad essere definita in termini di unicit culturale (e/o linguistica e religiosa), negando quella che sembra essere al sua caratteristica pi specifica (Li Causi 1995, p. 17).

    Il punto di forza del fattore etnico per Bernardi sarebbe nel suo radicamento nellidentit personale:

    nessuno solo: ognuno nasce allinterno di un gruppo etnico, fossanche solo quello duale dei genitori Fin dall'infanzia leducazione sancisce lindividualit e avvia ognuno alla maturit di comportamento e di giudizio, secondo le concezioni e le norme delletnia di appartenenza (Bernardi 1994 p. 17).

    Il discorso si sposta cos sulletnocentrismo, come dimensione ineliminabile dellappartenenza, rispetto a cui possibile distinguere tra un significato positivo, precisa e legittima esigenza di identit culturale (p. 18) e uno patologico che costruisce il conflitto. Secondo tale distinzione, che per So- brero improduttiva, il punto di approdo del ragionamento la proposta di una vera e propria educazione etnica, per prevenire il rischio della creazione di modelli educativi etnocentrici. Fomari, dal canto suo, denuncia i limiti di questa prospettiva declinata tutta in chiave volontaristica e fideistica. In questa postura , peraltro, possibile individuare una conver

  • INTRODUZIONE 17genza con le nascenti retoriche dellinterculturalit per la loro caratteristica impronta pedagogistica (Pompeo 2002).

    Una linea interpretativa che emerge con forza negli altri interventi sottolinea la manipolazione politica e luso strategico del vocabolario etnico. Cos per Aime un'antropologia degli scenari contemporanei di regionalismi e di localismi deve aggiungere ai consueti strumenti di indagine quello dell'analisi politica ed economica del problema cosiddetto etnico" (in Bernardi 1994, p. 26). Sulla stessa linea Yantropo- Ioga nativa Rihtman Augustin, a partire dalla letteratura sovietica suYethnos e attraverso la sua esperienza diretta ricostruisce la processualit politico-sociale del lungo e lacerante conflitto della ex Iugoslavia, nel passaggio dalleducazione etnica negativa dell'esperienza socialista, che annullava le differenze, all'enfasi neo-romantica dellidentit dei nuovi nazionalismi. Ancora in relazione a queste dinamiche dell'area balcanica la riflessione di Resta sulle comunit alloglotte arberesh per cui con l'arrivo dell'immigrazione al- banese non si presentano pi come una minoranza che ha basi etniche perch sono mutate le condizioni politico-cul- turali della propria auto rappresentazione (in Bernardi 1994, p. 31). Premonitore poi il nesso proposto da Lisi con la tematica del fondamentalismo come riscrittura etnica dell'identit utilizzando l'alfabeto teologico (p. 28).

    Qualche mese dopo, Li Causi converge sull'urgenza di recuperare i ritardi nello studio del fenomeno etnico al di l della superficialit di alcune riscoperte1. A dispetto di una certa confusione del dibattito pubblico, occorre rivendicare all'antropologia il merito di

    aver delineato un contesto teorico, metodologico e terminologico atto a dar conto di qualcosa (letnicit, pi che l'etnia) che ha caratteristiche proprie e non riducibile ad altro (Li Causi 1995, p. 13).

    Il riferimento alla traiettoria che da Barth a Eriksen, attraverso le ricerche sul Social Change e le riflessioni legate al- Yethnic revival statunitense, ha tematizzato nell'etnicit il su

  • i8 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    peramento delle dimensioni oggettivanti del concetto di etnia (Pompeo 2002). Si vuole recuperare un posizionamento teorico che integri diversi punti di vista: lelemento soggettivo del- rautoattribuzione viene infatti a ricoprire un ruolo fondante nell'identificazione dell'etnia; al contempo esso diventa anche caratteristica oggettiva della sua definizione (Li Causi 1995, p. 15). Questa prospettiva, peraltro, si confronta, a distanza di dieci anni, proprio con il lavoro di Amselle e MBokolo, laddove l'indagine storico-antropologica "che scavi nel passato di una rivendicazione etnica, magari affermata 'naturale' e millenaria, per svelarne invece la sua invenzione' pi o meno recente, e le sue caratteristiche e funzioni spesso politiche e di potere rappresenta un'opzione scientifica legittima e, direi, doverosa, ma che, tuttavia, non scalfisce la percezione soggettiva della propria identit da parte di chi si fa portatore, per ragioni politiche, ideologiche ed anche emotive, di un'unicit etnica rispetto ad altre unicit considerate diverse (p, 14).

    In questo modo si vuole pertanto affermare il primato metodologico della self-ascription etnica:

    il concetto di etnicit, come manifestazione nel rapporto interetnico di unicit e di differenze, sospinge e concentra Fanalisi verso un processo di continua qualificazione delle relazioni tra raggruppamenti sociali diversi, per separare e delimitare ci che etnico da tutto ci che invece non lo (p. 18).

    La conclusione ancora provocatoriamente un rinvio ad Amselle e M'Bokolo, dal momento che al cuore dell'etnia dunque, [sta] l'etnicit (p. 18).

    Il primato dellautorappresentazione degli attori sociali, richiamato da Li Causi, qualora costituisca un punto di vista esclusivo, in accordo con Amselle e nella prospettiva qui adottata, rischia di costituire uningiustificata limitazione della conoscenza. Nello studio delle condizioni di produzione dell'etnicit il richiamo alle dimensioni soggettive non , infatti, in alcun modo alternativo alla valutazione del fattore etnico come elemento politico da mettere in relazione anche con poteri e dominazioni.

  • INTRODUZIONE 19

    Proprio i contributi di questo volume chiariscono che questa una contrapposizione falsa: F analisi della produzione e riproduzione deletnicit da parte degli attori sociali, recuperando la storicit ha guadagnato in profondit e ampiezza, evitando le distorsioni derivanti da un approccio meramente sincronico, superando le limitazioni del fieldwork antropologico tradizionale, ovvero la riduzione dell'analisi delle dinamiche delletnico allo studio dei reciproci posizionamenti identitari in un campo sociale univocamente definito nella dimensione atemporale del presente etnografico (Amselle, Vidal infra).

    Continuando il dibattito Maher (1995, p. 21) raccoglie linvito a "privilegiare letnicit e ridimensionare letnia; cos in unampia riflessione che va dallex Unione Sovietica al Ruanda, sottolinea lesigenza di tornare allesame delle forme di autorit, del potere e dellinteresse, piuttosto che presumere una sorta di automatismo etnico". Gi un anno prima la stessa Maher aveva raccolto e messo a disposizione per il pubblico italiano una srie di classici dellantropologia britannica (Barth, Mitchell, Cohen, Philip e Iona Mayer, Hannerz) anche come contributo allallora nascente dibattito sulle questioni del pluralismo culturale in Italia, sottolineando che lidentit etnica va definita come la somma delle identit che una persona assume nel corso della vita e ha sempre una valenza relativa e situazionale (Maher 1994, p. 31).

    Tornando a Ossimori, per Squillacciotti necessario recuperare un riferimento allideologia e ai suoi linguaggi anche in relazione ai contesti sociali e politici:

    la contrapposizione degli interessi non parla pi il "linguaggio politico del conflitto, ma quando questa pu incarnarsi in una logica dei gruppi egemonici allinterno dei gruppi sociali come ideologia etnica che trova spazio prevalentemente in unaffermazione armata della propria esistenza (Squillacciotti 1995, p. 22).

    Nel suo intervento, Bitti restituisce la profondit storica della prospettiva delletnicit, facendo riferimento agli svi

  • 20 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    luppi pi attuali delPantropologia urbana e delle migrazioni, come nei lavori di Wallman. Ricercando un punto di equilibrio tra emico ed etico, Bini reinscrive loggetto etnico nelle domande della complessit e della globalizzazione:

    forse dietro questo interesse per l'inafferrabile etnicit che coinvolge l'antropologia contemporanea c qualcosa di importante che rimanda al cuore della disciplina. Come si creano le differenze oggi? Chi laltro oggi? (Bitti 1995, p. 28).

    Le conclusioni di Bernardi riprendono il primo contributo per ricapitolare il dibattito dell'africanismo in riferimento a storici come Lonsdale e Ranger o, per il nostro paese, Gentili. L'incertezza semantica della novit dellirruzione dell'etnico deve mobilitare la riflessione antropologica a partire dallassunto perentorio secondo cui "etnia cultura, non moda" (Bernardi 1995, p. 12). L'elemento centrale del suo approccio si conferma in una troppo semplice sovrapposizione tra i due concetti, storicamente distinti se si vuol comprendere la natura dell'etnia e delletnicit, e se ne vuole analizzare l'evoluzione concettuale in termini anche di genericit e di specificit, occorre porsi in una prospettiva culturale (p. 13). In questo senso "la piena coscienza di s e la conoscenza delle regole di comportamento e dei modi di vita della propria etnia (p. 14) permettono a gni individuo la comunanza e la partecipazione attiva alla cultura nonch alla vita sociale. Quindi, per mezzo di una sorta di "inculturazione all'etnia si determina una sorta di automatismo etnico.

    Riveste particolare interesse rilevare dunque l'affermazione di una lettura culturalista della tematica etnica che, in una peculiare convergenza e per propriet transitiva, peraltro ben si coniuga con la tendenza all'etnicizzazione dei fatti culturali, che sembra oggi caratterizzare il dibattito italiano sulla migrazione e il multiculturalismo (Pompeo 2007).

    A questo momento di effervescenza della discussione ha fatto dunque seguito una fase di sistematizzazione attraverso i lavori di Maher (1994), Fabietti (1995), Solinas (1995). Discorso parallelo nel campo della storiografia africanistica

  • INTRODUZIONE 21

    quello di Gentili (1995) che, in riferimento alla storicit delle societ africane, premette il riconoscimento della natura fluida, fluttuante dei raggruppamenti sociali e politici: insomma le trib come entit culturali e politiche omogenee e statiche non esistevano; n esistevano etnie ben definite e fsse nel tempo (1995, p. 16).

    II contributo monografico di Ugo Fabietti a una storia e critica di un concetto equivoco (1995) si propone come una ricognizione generale, sintetizzabile per mezzo della formula imbrglio della cultura-illusione delle trib-finzione dellet- nia, in cui, passando attraverso Amselle e MBokolo, in un percorso tra confine etnico e politiche dellidentit, si giunge a individuare alcune definizioni a partire dalla considerazione che

    lidentit etnica e Ietnicit, cio il sentimento di appartenere ad un gruppo etnico o etnia, sono, (...) definizioni del s e/o dellaltro collettivi, che hanno quasi sempre le proprie radici in rapporti di forza tra gruppi coagulati attorno ad interessi specifici (Fabietti 1995, p. 12, corsivo dellautore).

    Nello stesso anno, il volume curato da Solinas fornisce la traduzione sul piano della ricerca etnografica di questi orientamenti; raccogliendo una serie di saggi di terreno di autori italiani (Astuti, Grilli, Palumbo, Viti), vuole infatti interrogarsi sul senso delle identit collettive nelle realt africane contemporanee. Si tratta allora di riconoscere definitivamente che il terreno dei saperi antropologici infestato di invenzioni, e dunque nessuna delle sue categorie appare immune dal sospetto di inautenticit (Solinas 1995, p. 16). Da questo assunto consegue che la ricerca, superando log- gettivismo, lungi dallabbandonare il campo chiamata a impegnarsi nella ricostruzione delle modalit concrete di produzione e manifestazione dellidentit etnica, ovvero nellesame dei diversi processi di etnogenesi.

    In fondo, come da pi di ventanni vengono insegnandoci Amselle, MBokolo, Bazin, Dozon, Vidal e Chrtien e come il nostro quotidiano ci dimostra

  • 22 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

    quando la fluidit sociale indominabile, quando le genti si assomigliano troppo, e, soprattutto, si mescolano troppo facilmente, qualcuno" interviene a mettere ordine: stabilisce chi deve assomigliare ad altri e chi deve differenziarsi, somministra confini pretende che il discreto interrompa il continuo (p, 17).

    1 U primo e il secondo paragrafo sono stati scritti da Michela Fusaschi, il terzo da Francesco Pompeo,

    2 In primo luogo grazie lintuizione del compianto Alfredo Saisano e alla tenacia di Luisa Capelli che hanno sostenuto questo sforzo,

    3 Non sfuggir a nessuno il riferimento al Conrad di Cuore di tenebra o alle retoriche dei viaggi esplorativi.

    4 Quattro saggi sono scritti da antropologi (Amselle, Bazin, Dozon e Vidal), due da storici (M'Bokolo e Chrtien).

    5 II primo insegnamento a Roma, nel 1937, con Raffaele Petazzoni, che vi vedeva una disciplina storica .

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  • Prefazione alla seconda edizione Au cur de l}ethnie rivisitato Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

    NelTaccingerci a un lavoro di decostruzione del concetto di etnia, disponiamo dei lavori di due precursori, Mercier e Barth, le cui analisi andavano contro un certo numero di preconcetti dell'antropologia. Nello studio dedicato ai sqm- ba del nord Benin, Mercier (1968) aveva constatato che la definizione classica di etnia non poteva applicarsi a questo gruppo Collegandosi alla tradizione anglosassone e, in particolare, ai lavori di Gluckman e di Nadel, Mercier poneva Paccento sulla storicit dell'etnia attraverso la messa in luce di una differenza radicale tra l'etnicit del periodo precoloniale e quella dell'epoca coloniale. Da parte sua Barth (1969), in uno studio oramai diventato classico, accordava la priorit a una prospettiva legata al passaggio di una pluralit di gruppi attraverso una frontiera, facendo di questultima il vero oggetto dell antropologia.

    Muniti di questo bagaglio teorico ci siamo immersi in questo lavoro di smontaggio della nozione di etnia. Allinizio degli anni Ottanta eravamo non pochi ad averne abbastanza della vulgata giornalistica che consisteva, e consiste tuttoggi, nel rendere conto di un qualsiasi avvenimento che accade sul suolo africano in termini di conflitto tribale o di lotta etnica, rinviando a una sorta di ferocia essenziale che si sarebbe interrotta solamente durante un breve periodo, quello della colonizzazione europea. In effetti, se nellimmaginario giornalistico il mondo arabo il dominio dell'integralismo e l'india quello delle caste, il continente afri

  • 2 6 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

    cano per eccellenza la terra di elezione degli antagonismi etnici. Si pensi ad esempio al trattamento mediatico e all'utilizzazione politica dei conflitti che si sono prodotti o che si producono attualmente in Liberia, in Sierra Leone, in Ruanda, in Burundi e in Congo1.

    Non si trattava per noi di dimostrare che le etnie in Africa non esistevano - ci che ci stato rimproverato - ma che le etnie attuali, le categorie nelle quali gli attori sociali si pensano, erano delle categorie storiche. Per convincersi del fondamento di questa posizione sufficiente ricordare ci che successo in Liberia qualche anno fa. Come in tanti altri paesi africani sconvolti da lotte fra gruppi, la situazione liberiana sembrava andare incontro alle nostre tesi. In questo paese, in effetti, il conflitto che contrapponeva il governo di Samuel Doe e le forze di Charles Taylor e di Prin- ce Johnson sembrava ridursi a uno scontro fra etnie krahn e mandingo da un lato e le altre etnie della Liberia dallaltro. Ora, come certi giornalisti, prima di essere sommersi dalla vague etnicista sono stati costretti a riconoscere, il termine mandingo non rinvia a un'etnia particolare, ma designa linsieme dei commercianti musulmani. Se ci si riferisce al campo semantico dei termini mandingoy mandingue o malinky chiaro che laccezione del termine mandingo in Liberia non che uno dei significati possibili di questa categoria, la quale, per questo fatto, possiede una propriet performativa. Per noi si tratta quindi di mettere in primo piano il costruttivismo piuttosto che il pensiero pri- mordialista. Dimostrando che non si poteva attribuire un solo significato a un etnonimo determinato, noi mettevamo laccento sulla relativit delle appartenenze etniche senza per questo negare agli individui il diritto di rivendicare lidentit da loro scelta. Quello che qui oggi viene rieditato il risultato di questo lungo lavoro collettivo iniziato allinizio degli anni Ottanta e pubblicato, per la prima volta, nel 1985.

    L'invenzione deWetnia ha conosciuto immediatamente una certa risonanza diventando loggetto di discussioni ancora pi appassionate per il fatto di essere stata mal compresa.

  • PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 2 7

    Pubblicata subito dopo il soffocamento dei movimenti regionalistici degli anni Settanta, urtava contro qualcuna delle evidenze del pret--penser dellepoca ovvero quelli che si esprimevano nelFarea ecologista e di sinistra. Ma minava ugualmente i fondamnti di un'antropologia che rischiava di essere privata del suo riferimento di analisi privilegiato, l'etnia. Se l'etnia non esiste, dicevano implicitamente gli antropologo che cosa ci resta da studiare? Se non abbiamo pi dei soggetti storici , sostenevano dalTaltra parte gli storici, come possiamo narrare i grandi racconti della storia del continente africano? Per noi non si trattava tanto di far sparire loggetto antropologico o storico, quanto di vederlo sotto un'altra luce. Sembra, infatti, evidente a coloro che hanno contribuito a questo volume che l'antropologia francese del dopoguerra, in ragione della dominazione dello strutturalismo, aveva accordato al nome del gruppo studiato - all'etnonimo - lo statuto di referente stabile, proprio mentre la sociolinguistica e la pragmatica, il cui sviluppo procedeva a discapito dalla linguistica strutturale, mettevano in primo piano la labilit socio-storica di questo stesso referente.

    La focalizzazione sulle catene di societ, Yeconomia mondo africana precoloniale e gli spazi coloniali, l'importanza accordata alla distinzione fra societ inglobanti e societ inglobate cos cme la messa in evidenza del carattere performativo degli etnonimi tratteggiavano i contorni di un'antropologia diversa da quella che occupava la scena in Francia. Piuttosto che concepire le etnie come degli universi chiusi situati gli uni accanto agli altri, i sistemi politici precoloniali come delle entit nettamente separate, le concezioni religiose come dei mondi ben delimitati, i tipi di economia come regimi distinti, noi facemmo la scelta di studiare le interrelazioni, le sovrapposizioni e gli intrecci. In questo ci ricolleghiamo alle elaborazioni di Kopytoff (1987) il quale da parte sua ha sviluppato un'analisi che pone l'accento sulle relazioni centro-periferia e sulla frontiera in quanto matrice delle formazioni politiche africane.

  • Il etnia: uninvenzione coloniale?

    A questa problematica costruttivista delletnia legata la questione della riappropriazione che pu essere definita come il fenomeno di retroazione ifeed back) degli enunciati etici sugli stessi attori sociali. Questa questione riguarda dunque la produzione delle identit locali a partire da ci che Mudimbe (1988) ha definito biblioteca coloniale e che ben si applica al carattere coloniale delle categorie etniche che, come si sa, una delle idee portanti di questo libro. Secondo questa prospettiva, il modo in cui gli indigeni si percepiscono sarebbe legato agli effetti di ritorno dei racconti delle esplorazioni e della conquista ma anche dei testi etnologici coloniali e postcoloniali sulla loro coscienza di s. Da un punto di vista generale, questa riappropriazione si iscrive nel campo pi vasto dei rapporti fra lo scritto e lorale. Nelle culture orali, in effetti, la diffusione della scrittura autentifica le pretese degli agenti e sacrifica in qualche modo rapporti sociali. In questa argomentazione si ritrovano le analisi di Jack Goody (1979) ma allo stesso tempo anche i suoi limiti. Nelle societ africane che sono da molti secoli in contatto con la scrittura, e in particolare con una letteratura araba che veicola rappresentazioni riprese dal Vecchio Testamento, come si pu essere certi che i materiali raccolti sul campo dall'etnologo o dallo storico non portino le tracce di concezioni importate prima della conquista coloniale? Lo schema che oppone la gente del potere a quella della terra, per esempio, presentata dagli antropologi come un tratto culturale caratteristico di numerose societ africane. Questo schema pu essere concepito come il prodotto dell'incorporazione deirinsieme di queste formazioni politiche in una koin che include YAfrica del Nord; Luso ricorrente della geomanzia obbedisce senza dubbio allo stesso principio.

    Da questo tipo di riflessione si possono trarre due conseguenze: innanzitutto limportanza accordata alla specificit etnica e al comparativismo che essa induce ha leffetto di annullare questo fenomeno di inglobamento. In secondo luogo possibile che i fatti di riappropriazione o di reimpiego,

  • PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 29

    sui quali gli storici attirano l'attenzione degli altri specialisti delle scienze sociali e che fanno vacillare la sicurezza degli antropologo siano assimilabili a un incontro tra un gi l* incluso in un insieme che oltrepassa largamente la societ locale studiata e una letteratura importata. Nel campo dellantropologia politica delTAfrica, per esempio, le teorie locali del potere non si ridurrebbero a una semplice creazione coloniale ma risulterebbero da un accordo tra la coppia gente del potere/gente della terra, coppia infiltrata o no dal- Tlslam e dalla teoria coloniale della conquista. A questo proponilo non privo di interesse domandarsi se l'importazione in Ruanda da parte dei missionari belgi del luogo comune onnipresente della storiografia francese - quello che oppone Franchi (gente del potere) ai Galli (gente della terra) - non abbia contribuito a indurire le categorie locali tutsi e hutu e ad assegnare loro un significato etnico esclusivo (Franche 1995),

    La riappropriazione non pu quindi effettuarsi su una tabula rasa: occorre infatti ipotizzare l'esistenza di un supporto che possieda le stesse caratteristiche degli elementi che vengono ad aggiungersi alledificio affinch linnesto funzioni. Allo stesso modo, se le popolazioni un tempo senza Stato hanno risposto favorevolmente allimmagine che i colonizzatori tentavano di attribuire loro, senza dubbio perch esse erano gi iscritte o gi si iscrivevano in una rete di relazioni includenti lo Stato come uno degli elementi vicini o lontani. In Africa, in effetti, e questo molto prima della colonizzazione,lo Stato cos come le reti mercantili che ad esso sono collegate in quanto fonti maggiori di registrazione etnica imprimevano i loro segni non solo sullo spazio che controllavano direttamente, ma anche sui suoi margini e al di l di essi.

    Piuttosto che a un tutto coloniale , dunque a una preoccupazione di re-storicizzazione, di re-politicizzazione e di re-islamicizzazione delle societ africane che rispondeva, questo libro e, a questo titolo, a essere presa di mira non era tanto letnologia degli amministratori coloniali, anche se que- stultima ha contribuito non poco a trasformare le categorie sociali africane in categorie etniche, quanto piuttosto lan

  • 30 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

    tropologia universitaria del periodo coloniale tanto francese quanto inglese. In effetti, sono proprio i rappresentanti della scuola funzionalista inglese e della scuola di Griaule che hanno fissato le societ africane in una mono-appartenenza etnica disgiungendole dalle reti inglobanti airinterno delle quali queste si inscrivevano allepoca pre-coloniale e nelle quali si reinscrivono attualmente.

    Colpisce a questo riguardo constatare che YAfrica - in particolare lAfrica centrale - sta, in questo momento, tentando di sfuggire definitivamente allinfluenza delle dinamiche derivate dalla colonizzazione e dalle tutele delle potenze esterne, in particolare degli antichi colonizzatori, per reinserirsi in un gioco complesso di relazioni e di potenze locali. Da questo punto di vista Y Africa ritorna alla problematica della frontiera e delle relazioni tra centri e periferie che la caratterizzavano prima della conquista coloniale. In un continente dove le frontiere, bench reali, restano eminentemente porose e dove gli apparati dello Stato sono lontani dal controllare come un tempo tutto lo spazio che figura sulle carte geografiche, possono talvolta rientrare in gioco degli scenari antichi. Questi sarebbero per riproposti in modo semplicistico sotto forma di concetti nuovi, come, ad esempio, quelli che mettono, nella Repubblica Democratica del Congo, gli scopritori ruan- desi camiti o etiopi contro gli autoctoni bantu, termine di cui si conosce il peso storico (Chrtien 1997). Ma daltra parte non bisognerebbe ridurre queste evoluzioni contemporanee a un qualunque ritorno di un passato, se cos si pu dire, messo fra parentesi dalla colonizzazione che avrebbe giocato un ruolo di congelatore sociale, che avrebbe soffocato, fissato e, allo stesso tempo preservato questo stesso passato. Parallelamente alla riaffermazione e al ritorno di identit antiche - a cominciare da quelle degli africani o dei Negri - si vede in effetti perpetuarsi sotto i nostri occhi la costituzione di nuove identit rapportate a territori dalle frontiere instabili: identit etniche, come i banyamulenge dellex Zaire; identit regionali, come i nordisti e i sudisti in molti Stati; identit nazionali, di cui rendono conto i dibattiti, (ri)attivate attraverso le consultazioni elettorali democrati

  • PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 31

    che e la registrazione dei cittadini in base alla nazionalit, gli alloctoni e gli autoctoni (Dozon 1997).

    La ricostruzione dell'africanismo

    A una fase salutare di decostruzione o di smontaggio della nozione di etnia deve succedere una fase di ricostruzione di una scienza sociale africanista preoccupata di procedere a un esame circostanziato della questione deUetnicit nelle societ africane e in generale nellinsieme delle societ che sono di competenza dellantropologia. Oramai non si pu pi utilizzare un qualunque etnonimo senza definire preliminarmenteil suo contesto di impiego, d modo che si assiste alla sostituzione dellessenzialismo etnologico con una pragmatica delle societ. Cos facendo le societ africane raggiungono il concerto delle altre societ e soprattutto di quelle che ridefniscono in permanenza le condizioni del dibattito con se stesse e con le altre. Letnologia africanista confluisce cos in unantropologia del dibattito sociale che riguarda linsieme dellumanit. Dopo luscita di qusto volume e indipendentemente dai nostri lavori (Amselle 1987; 1990; 1993; 1996 e MBokolo 1993; 1995) molti altri studi hanno arricchito I4 problematica delle costruzioni identitarie in Africa. Tra questi ultimi menzioniamo in particolare la raccolta di testi pubblicati da de Bruijn e van Dijk (1997) che riguarda non unetnia determinata, bens i rapporti fra due etnie, fatto che rappresenta uno sviluppo considerevole rispetto allapproccio monoetnico classico. Studiare le relazioni fra popoli vicini che intrattengono da molti secoli rapporti politici, economici e culturali costituisce il modello di quella che deve essere la ricerca nelle scienze sociali, ossia una ricerca che pratica un comparativismo temperato che si limita allosservazione delle variazioni delle forme sociali, allinterno di un quadro geografico relativamente ben delimitato. Tuttavia questo tipo di approccio plurietnico che consiste nel considerare un insieme di gruppi nella sua giustapposizione deve essere esso stesso sorpassato. Bench generosa, una tale attitudine multiculturalista non risolve in effetti nulla sul pia

  • 32 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

    no dei principi metodologici poich riproduce lappiattimento che al principio della costruzione delle carte etniche del- PAfrica o di altre regioni del mondo, sottolineando, in questo modo, la debolezza del modello di Barth (1969) che, situando la frontiera al centro del suo discorso, lascia intatti i gruppi che la attraversano.

    nel postulare una vera creolit di ogni gruppo etnico o linguistico (Amselle 1990; Nicolai 1998), ovvero nel riconoscere che l'identit sociale e individuale si definisce tanto per ripiegamento su di s quanto attraverso lapertura all'altro, in una parola che l'identit insieme singolare e plurale, che possibile arrivare a rispettare le differenze culturali e a fonderle in unumanit comune. Gli etnonimi sono in effetti delle etichette, degli stendardi, degli emblemi onomastici che si trovano gi l e di cui gli attori sociali si appropriano in funzione delle congiunture politiche che a essi si offrono. Il lato camaleontico dell'identit non certamente estensibile all'infinito, cos come la plasticit degli status sociali non assoluta. Ma resta il fatto - gli studi sull'etnia e ancor di pi quelli sui gruppi statutari come le caste lo hanno dimostrato - che le possibilit di gioco della struttura sono molto pi grandi di quanto non vi appaiano. Gli attori sociali africani non sono fissati nel loro statuto; nello stesso modo in cui si potuto mostrare che le identit etniche erano flessibili, si potuto mettere in evidenza che la tripartizione uomini liberi/schiavi/genti di casta era una costruzione coloniale (Conrad, Frank 1995).

    Questo nuovo tipo di ricerche ci invita dunque a una ridefinizione totale degli strumenti di investigazione delle societ africane, restando inteso che questo sconvolgimento non pu non avere degli effetti anche sul modo in cui noi affrontiamo anche la nostra propria societ.

    Il fantasma del meticcato

    Elaborata a proposito del continente africano, la problematica costruttivista dell'etnia cos come i concetti che le so

  • PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 33

    no legati, come creolizzazione e meticciato, trova unapplicazione in Europa e negli Stati Uniti nel quadro della lotta contro il razzismo e dell'affermazione delle politiche che fanno riferimento al modello del multiculturalismo. La gestione della differenza culturale sperimentata in un primo tempo nelle colonie fa attualmente ritorno in Francia dove serve ad amministrare i settori sensibili della societ e allo stesso tempo a contrastare lideologia della purezza della razza francese sviluppata dal Fronte Nazionale.

    Tutta una tematica del meticciato ha cos visto la luce nel corso degli anni Ottanta e Novanta tanto nel dominio della commemorazione quanto in quello della pubblicit, della moda e della musica (Amselle 1996), Ispirati da motivi generosio semplicemente mercantili, i sostenitori di questo concetto hanno tuttavia il torto di dimenticare che lidea di meticcia- to, desiderata o, al contrario, aborrita, intimamente legata a una problematica poligenista che deve la sua origine alla raz- ziologia del XIX secolo. In questo modo i ricercatori ben intenzionati che, per dimostrare che Tintegrazione in seno alla societ francese sempre allopera, ricorrono ai concetti di francese di origine e di straniero o alle categorie coloniali come quelle di mand, in un certo senso non fanno altro che accreditare e consolidare questi concetti e dunque rinforzareil problema che desidererebbero eliminare grazie alle loro ricerche. Ma, paradossalment,e anche coloro i quali criticano questa direzione in nome dellidea che i francesi sono tutti meticci e che di conseguenza il concetto di francese di origine non ha alcun senso rinforzano lasse portante poligenista e razzista di questa nozione. Il concetto di meticciato, allo stesso modo di quello a lui prossimo di creolit, riposa in effetti sullidea erronea, cara alla zootecnia, del mescolamento del sangueo dellincrocio, concezioni esse stesse inficiate dalle scoperte della genetica mendeliana.

    solamente a condizione di vedere nel meticciato una metafora libera da ogni problematica relativa alla purezza originaria e al mescolamento del sangue, e quindi un assioma che rinvia allinfinito lidea di una indistinzione originaria, che si pu, a rigore, conservare questo termine.

  • 34 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA M'BOKOLO

    Leventuale introduzione in Francia dei criteri etnici nei censimenti - analogamente a quanto gi accade negli Stati Uniti - dovrebbe consentire, secondo i suoi sostenitori, di stringere le maglie della rete destinata a definire e ad amministrare le risorse della povert e deUhandicap. Prescindendo da ci che si possa pensare in merito alla sua efficacia, questo nuovo dispositivo si inscrive nel quadro dellestensione del dominio dei bio poteri instaurato nel XIX secolo nel campo della demografia e delPepidemiologia (Foucault 1997). Se fosse messo in pratica, questo sistema farebbe della Francia, alTimmagine degli Stati Uniti, una nazione in un senso molto pi etnico rispetto ai paesi africani tradizionalmente considerati il modello negativo rispetto alla buona coscienza occidentale. Per un curioso ribaltamento della situazione, lespansione coloniale, che stata condotta in nome della missione civilizzatrice della Francia, ma che di fatto si basava largamente sulla gestione della differenza culturale, farebbe oggi ritorno nella sua terra di origine per mettere in pratica una modalit di amministrazione delle popolazioni assai distante dal modello teorico che pone il cittadino solo dinanzi allo Stato.

    1 Questa seconda prefazione datata 1999 e i conflitti a cui gli autori fanno riferimento sono quelli che hanno caratterizzato non pochi anni della fine del secolo scorso; ricordiamo, ad esempio, che quello irlandese del 1994 ha assunto la tragica caratteristica del genocidio con pi di un milione di morti (Fusaschi 2000); mentre nel caso del lungo conflitto del Congo (ex Zaire) si calcola che i morti siano addirittura pi di tre milioni

  • Prefazione alla prima edizione Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

    Abbiamo riunito in questo testo alcune riflessioni teoriche e degli studi di caso sul concetto di etnia e su altre nozioni (trib; razza, nazione, popolo) che sono a esso frequentemente associate, ma anche sui fenomeni corrente- mente designati nel contesto africano attraverso le espressioni di tribalismo, etnicit, regionalismo, nazionalismo tribale,..

    Questi fenomeni non sono certo solo caratteristici del- T Africa: le ideologie di autoctonia, i movimenti separatisti, la ricerca e laffrmazione di identit collettive diverse da quelle legate allo Stato nazione, in breve, i particolarismi di ispirazione culturale o politica si ritrovano, con unintensit variabile, in un buon numero di regioni e di Stati, dall'America anglosassone alla Cina e alTIndocina, dalla Russia sovietica allAmerica Latina, dal Vicino Oriente allEuropa, E non raro che vi esplodano di tanto in tanto violente rivolte.

    In nessun altro luogo questi particolarismi occuparono o sembrarono occupare il terreno politico e il campo intellettuale in modo cos massiccio come in Africa. Molteplici fattori spiegano questa particolarit.

    Innanzitutto, nel seno stesso dellafricanismo, una lunga tradizione scientifica, incentrata sulletnologia o sullantropologia, si identificata con l studio delle etnie senza affrontare, in un silenzio eloquente e compromettente, unanalisi rigorosa del concetto di etnia.

    D altronde la maggior parte delle interpretazioni dei fenomeni politici caratteristici delTAfrica contemporanea han

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    no integrato l'etnia e tutto ci che ne deriva in uno schema semplicistico e rassicurante: qualificati come modernisti , i movimenti che hanno condotto alle indipendenze e le egemonie che li hanno seguiti sono presentati come altrettante aspirazioni a costruire delle nazioni e a consolidarle. Improvvisamente, le molteplici opposizioni a questi pretesi Stati nazionali in costruzione sono state ridotte a delle lotte tribali, essendo lo stesso tribalismo concepito come lespressione politica delletnia e squalificato pi spesso come sopravvivenza e risorgenza di arcaismi precoloniali. Se necessaria una testimonianza recente dellincredibile resistenza di questi clich, eccone qui una, attinta da una buona fonte, ovvero dalla seria rivista Afrique contemporaine1. Il primo agosto del 1982 ci fu in Kenya un colpo di Stato. Larticolo che lo riferisce pone una domanda essenziale: Resta da comprendere perch abbia avuto luogo. La risposta certamente evidente: ben inteso, qui come in Uganda e come in Zimbabwe, i dati etnici servono da supporto ai combattimenti politici, che non fanno altro che 'modernizzare comportamenti antichi che il periodo coloniale in Africa inglese, pi che altrove, non riuscito ad eliminare. Ed cos che si scopre che, dietro agli insorti, si profilano i Kikuyo, trib illustre e maggioritaria in Kenya2 . Si potrebbero moltiplica- re a piacere gli esempi delle variazioni alle quali la vulgata et- nicista continua a dare luogo sul modello del discorso scientifico o su quello dellevidenza comune.

    Diciamolo sin da subito, c una grande distanza fra queste opinioni e gli studi qui riuniti che giungono a delle conclusioni molto vicine a quelle sviluppate da Paul Mercier pi di venti anni fa, quando, interrogandosi sul "significato del tribalismo, egli notava che le opposizioni etniche attuali esprimono e riflettono ben altre cose che differenze culturali e ostilit tradizionali, che si perpetuano sotto altre forme (1961, p. 70).

    Ma quali altre cose? Occorre sottolineare che il dibattito sulletnia e il tribalismo non puramente teorico; a partire da lord Fredrick Lugard, teorico del colonialismo britannico, se cos si pu dire, fino al regime dell 'apartheid sudafricano, passando per i poteri dello Stato contemporaneo, tutti i sistemi di

  • PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE 37

    dominazione in Africa hanno allegramente attinto dalle teorie delletnia e abilmente manipolato i sentimenti etnici. Nel 1923, lord Lugard, ispirandosi allapproccio naturalista degli etnologi dellepoca, proponeva di classificare la popolazione dellAfrica tropicale in tre tipi, secondo le strutture sociali, ossia le trib primitive, le comunit evolute e gli africani europeizzati. Sappiamo cosa simili argomentazioni hanno determinato sul piano della politica in paesi come il Ghana, il Kenya, la Nigeria o lUganda: vessazioni e controlli minuziosi nei confronti degli africani europeizzati e delle comunit di evoluti giudicate troppo dinamiche; privilegi di ogni tipo per le chefferes delle trib primitive ritenute rappresentare lAfrica tradizionale congelate nelle loro strutture e nella loro vocazione a essere colonizzate.

    Erede del pensiero e della politica coloniale britannica della fine del secolo scorso, il regime dell 'apartheid ha perfezionato questa manipolazione: assimilare le societ africane a trib non comporta solamente proclamare la loro differenza irriducibile allo sguardo della societ bianca - societ di classe e Stato nazionale -, ma significa anche abbassarle al rango pi basso nella gerarchia delle societ umane; allo stesso modo erigerle a societ tribali significa anche affermare che queste sono in permanente conflitto tra loro e legittimare una sistematica politica di divisione.

    Abbassare, escludere e dividere rappresentano davvero lessenza della politica dei bantustan. Quanto ai poteri dello Stato dellAfrica indipendente, questi hanno fatto propri e interiorizzato la visione, i clich e gli stereotipi delletnologia coloniale: la diversit tribale degli Stati africani serve loro come argomento per rifiutare il pluralismo politico, dietro il pretesto che esso non sarebbe che unespressione di questa di- versit e di conseguenza un ostacolo alla costruzione nazionale. Il culto dello Stato nazione serve naturalmente a legittimare poteri personali e dittature oligarchiche; sicch i rumorosi discorsi sullunit nazionale sono ovunque accompagnati da una politica abilmente spettacolarizzata, dai dosaggi etnici e regionalistici, che permettono al potere di dissimulare la sua natura nel perpetuare gli stereotipi etnicisti.

  • 3 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

    Abbiamo cercato in questo libro di rimettere un po le cose al loro posto.

    Per fare ci occorre innanzitutto operare le necessarie riclassificazioni concettuali interrogandosi sistematicamente sulla nozione di etnia. Jean Bazin a proposito dei bambara e Jean-Pierre Dozon per i bete dimostrano che in fatto di etnie siamo in presenza di realt in movimento: qui come altrove, nessuno esclusivamente membro di un'etnia, e gli individui, come i gruppi sociali, sono o cessano di essere secondo il luogo e il momento membri di una o di talaltra etnia. In definitiva sono l'etnologia e il colonialismo che, misconoscendo la storia o negandola, ansiosi di classificare e di nominare, hanno cos fissato le etichette etniche. Si deve procedere, come dimostra in effetti Jean-Loup Amselle, a decostruire loggetto etnico": una volta riabilitate la storia e unantropologia dinamica, appare chiaro che i gruppi etnici sono stati integrati in insiemi pi ampi, degli spazi" strutturati attraverso fattri economici, politici e/o culturali che hanno determinato i gruppi etnici", fornendo loro anche un contenuto specifico.

    I tribalismi" contemporanei non possono pertanto esprimere altro che l'etnia. Le analisi di questi fenomeni a Shaba proposte da Elikia M'Bokolo, in Ruanda e Burundi da Jean- Pierre Chrtien e Claudine Vdal dimostrano quanto essi siano legati a determinate fasi storiche nel corso delle quali gli attori politici, le categorie e le classi sociali si trovano ridotti a esprimere le loro ambizioni, la loro collera o il loro fallimento nel linguaggio tribale, etnico o regionalista. Cos, nella maggior parte dei casi, la lotta per il potere dello Stato che si riflette in queste pratiche.

    Tutti questi punti rappresentano le principali tappe di un lungo percorso tanto collettivo quanto individuale. Scommettiamo che queste saranno ripercorse da altri e che in questo modo saranno svelate le vere spinte delle societ africane.

    1 Le tentative du coup d'tat au Kenya, Afrique contemporaine, n. 123, 1982, pp. 14-15.

    2lb.

  • Etnie e spazi: per unantropologia topologica Jean-Loup Amselle

    ovvio affermare che la questione delT etnia al centro della riflessione antropologica ed altrettanto ovvio che essa costituisca il fondamento del suo approccio scientifico. Tuttavia facile constatare che, fino a tempi recenti, questo tema di ricerca non ha suscitato un grande entusiasmo da parte della maggioranza degli antropologi. Scorrendo la letteratura, si ha in effetti la sensazione che il trattamento del problema delletnia sia considerato dai ricercatori sul campo come una corve di cui occorre sbarazzarsi al pi presto per affrontare i veri campi: la parentela, leconomia e il simbolismo, ad esempio. Bench la definizione delletnia studiata dovrebbe costituire linterrogazione epistemologica fondamentale di ogni studio monografico e, in un certo senso, tutti gli altri aspetti ne dovrebbero conseguire, si percepisce invece che, spesso, esiste uno iato tra un capitolo preliminare che, per poco che vi ci si attardi, mostra la fluidit relativa delloggetto, e il resto del lavoro, in cui al contrario le considerazioni sullorganizzazione parentale e la struttura religiosa fanno prova della pi grande sicurezza.

    Questa relativa dimenticanza o questo disinteresse da parte degli antropologi ha senza dubbio a che fare con la storia della disciplina e anche con le differenti tenden- ze che lhanno animata. sempre pi evidente che lantropologia si formata sulla base del rigetto della storia e

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    che questo rifiuto si di fatto mantenuto da allora. Senza pretendere di lasciarci andare a un inventario classico, che consiste nel passare in rassegna ogni scuola antropologica e nelTesaminare il modo in cui essa avrebbe trattato il problema delletnia, in questa sede sufficiente ricordare che le correnti che hanno segnato maggiormente il pensiero antropologico - revoluzionismo, il funzionalismo, il cui- turalismo e lo strutturalismo - sono delle dottrine essenzialmente astoriche.

    Se si considera, seguendo il pensiero di Marc Aug (1979), lo spazio dentro il quale si sviluppa il pensiero antropologico contemporaneo, si capisce chiaramente come mai l'analisi sulletnia non possa essere posta al centro della riflessione degli etnologi. Secondo Aug, questo spazio antropologico diviso fra due grandi correnti: luna che si interessa al senso e al simbolo e laltra che tratta essenzialmente della funzione. La prima corrente comprende la scuola di Griaule e gli strutturalisti, la seconda i funziona- listi e i marxisti, che Aug mette, a ragione, sotto la medesima categoria.

    E ben evidente, dunque, se si considera la prima tendenza, che n i discepoli di Griaule, che accordano la priorit a ci che le societ stesse dicono, n tantomeno gli strutturalisti, che hanno invece bisogno di pi societ o almeno di pi sistemi di parentela o di miti per pensare le possibilit differenziali dello spirito umano e stabilirne la trasformazione nel senso matematico del termine, non potevano di fatto porre il tema delletnia al centro del loro discorso.

    Per quanto riguarda la seconda tendenza, quella che comprende i funzionalisti e i marxisti, la questione pi complessa. Si sa che il padre fondatore della scuola fun- zionalista, Malinowski, rifiuta la storia, da lui assimilata allevoluzionismo. Dal momento che non esiste la sequenza tipo selvaggio, barbaro, civilizzato si tratta di considerare ogni societ nella sua specificit ma senza che sia presa nello stesso tempo in considerazione la possibilit di stabilire la sua micro-storia. cos che seguendo Lucy Mair, Ma-

  • ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA 41

    linowski (1945) postula lesistenza di un grado zero del cambiamento corrispondente allambiente rurale e proseguelo studio del "contatto culturale a partire dallo stato originario delle societ contadine africane. Si pu allo stesso modo notare, in senso inverso, come Nadel, il quale si situa in continuit con Mlinowski, come vedremo, sia tra coloro i quali hanno fornito una delle migliori definizioni di cosa sia letnia.

    Se ora ci si avvicina alla sponda marxista la situazione si presenta ancora pi ambigua. Certamente ci si potrebbe aspettare che gli antropologi che si richiamano a Marx abbiano focalizzato il loro approccio in particolare sulletnia, avendo tenuto la storia come riferimento costante. Ma non questo il caso: a eccezione dello studio di Maurice Go- delier (1973, pp. 93-131) sulla nozione al primo sguardo vicina, ma in realt distinta, di trib, su questo punto i marxisti non hanno particolarmente brillato per la loro riflessione teorica. Non difficile comprenderne il perch: assimilando talvolta la storia alla sola evoluzione delle forze produttive e preoccupati di individuare uno o pi modi di produzione, per come si combinano allinterno di una formazione sociale, essi hanno trascurato lanalisi della produzione di forme (Amselle 1979) e si sono accontentati della comprensione empirista delletnia tale e quale gli era stata trasmessa dai loro predecessori - molto spesso degli amministratori coloniali o missionari (Chretin 1981a) - e che gli forniva un quadro comodo allinterno del quale essi potevano situare questi concetti (Copans 1982). Da questo punto di vista occorre notare lesistenza di una distanza considerevole fra lassenza di una riflessione marxista di ordine generale sulletnia e la qualit della speculazione della realt dei gruppi etnici cos come essa appariva nelle monografie di questi autori (Meillassoux 1964; Terray 1969). In tal senso ci si pu domandare se questi antropologi non siano rimasti prigionieri di una problematica indubbiamente assai influenzata da una lettura neo-positivista del marxismo (Althusser) e dalla condanna che quella implicava di ogni storicismo e se, per altri aspetti, non abbia gravato

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    su di loro il peso dellistituzione antropologica che spinge ogni ricercatore a identificare il proprio nome con unetnia particolare (Meillassoux 1979). Questa corrente marxista non di meno soggetta da qualche tempo a unevoluzione sensibile: alcuni dei suoi rappresentanti stanno rimettendo in questione quello che era il loro approccio monoetnico (1978) mentre si stanno avvicinando alla terza corrente che sar adesso chiamata in causa, quella che Paul Mercier (1966) ha definito dinamista. A questa prospettiva si col- lgano i nomi di Max Gluckman, Georges Balandier, Paul Mercier, Jacques Lombard, Guy Nicolas e Jean Copans. Questi autori sono abbastanza vicini al marxismo nel senso che insistono sulla necessit di procedere attraverso un approccio storico a ogni societ pi precisamente al quadro scelto come luogo di inchiesta: villaggio, chefferie, regno, e cos via. Questo primato accordato alla storia interviene nella maniera seguente: conviene scegliere l'insieme delle determinazioni che pesano su uno spazio sociale de- terminato e mettere Taccento sull^ rete di forze, tanto esterne quanto interne, che lo strutturano; in poche parole si tratta di analizzare Tefficacia di un sistema su di un luogo (Amselle 1974, p. 103). Questo approccio conduce a mettere in rilievo nel senso pi ampio il quadro politico di questo spazio e a inserirlo in un insieme che lo oltrepassa. Questa riflessione dovr arrivare, se non a una definizione operativa dell'etnia (ce n bisogno?), almeno alla decostruzione delFoggetto etnico che rappresenta sempre un freno per il progresso della disciplina. Ma prima di vedere a che cosa potr portare il superamento della problematica etnica opportuno esaminare le differenti definizioni deiretnia proposte dagli antropologo

    Definizioni

    Il termine etnia (dal greco ethnos: popolo, nazione) apparso recentemente nella lingua francese (1896); nel XVI e nel XVII secolo, come sottolinea Mercier (1961, p. 62), il ter

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    mine nazione equivaleva a quello di trib. Lapparizione e la definizione tardive dei termini trib ed etnia conducono sin da subito a porre un problema sul quale ritorneremo, quello della congruenza tra un periodo storico (colonialismo e neocolonialismo) e lutilizzazione di una determinata nozione.

    Se questi termini hanno acquisito unutilizzazione massiccia, a detrimento di altre parole, come il termine nazione, senza dubbio perch si trattava di classificare a parte talune societ, negando loro una qualit specifica. Conveniva infatti definire le societ amerindiane, africane e asiatiche come altre e differenti dalle nostre, togliendo loro quegli elementi attraverso cui esse potevano partecipare di una comune umanit. Questa qualit che le rendeva dissimili e inferiori alle nostre societ evidentemente la storicit, e in questo senso le nozioni di etnia e di trib sono legate ad altre distinzioni attraverso le quali si opera la grande divisione tra antropologia e sociologia: societ senza storia/societ storiche, societ preindustriali/societ industriali, comunit/societ1.

    Gli antropologi si sono dunque trovati prigionieri di alcune categorie allinterno delle quali si sono dovuti situare per studiare societ di loro competenza, nel momento stesso in cui queste venivano fissate dalla colonizzazione (Piault 1970, p. 23). Questo forse pu spiegare come mai accanto a brillanti studi su parentela e religione si siano avute davvero poche analisi sulla categoria delletnia.

    Etnia e trib

    Innanzitutto, ci troviamo dinanzi allesistenza di due termini il cui significato in francese simile ma di cui il secondo, nella letteratura antropologica anglosassone, ha invece acquisito un senso tutto particolare. Se il termine trib in francese ha pi o meno lo stesso uso di quello di etnia, per gli antropologi anglosassoni designa invece un tipo di organizzazione sociale propria, ovvero quello delle

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    societ segmentane. Queste sono definite, nella maniera classica, attraverso la presenza di elementi sociali di natura identica, come ad esempio il lignaggio, e provenienti da scissioni successive di una stessa cellula iniziale, e si distinguerebbero cos dalle societ statiche in cui il potere centralizzato, questo senso della parola trib, che designa allo stesso tempo un tipo di societ e uno stadio deir evoluzione umana, che Godelier nel 1973 sottopone a interrogazione epistemologica. Contrariamente a questo autore io non intendo, quantomeno in un primo momento, affrontare una riflessione sullorganizzazione di tipo segmentano, bens presentare le molteplici definizioni delletnia o di un gruppo etnico considerate come una societ globale. Taluni autori, come Gellner (1965), daltra parte stimano che questa prospettiva sia senza fondamento per gli ambiti locali che essi studiano; rifiutano infatti di applicarvi i termini etnia e trib e ritengono che le zone rurali dellA- frica del Nord ospitino solo organizzazioni di tipo segmentano. Ci dovremmo dunque domandare se si tratti verosimilmente di un'opposizione di tipo geografico o culturale, oppure se le societ segmentarle africane non si definiscano sempre in un certo modo, come nel caso nordafricano, in rapporto alle citt o agli Stati precoloniali.

    Le definizioni del termine etnia sono piuttosto scarse, e girano tutte intorno ad alcune grandi caratteristiche.

    Per Fortes (1945, p. 16) letnia non rappresenta che lorizzonte pi lontano che i gruppi conoscono, al di l del quale i rapporti di cooperazione e di opposizione non sono pi significativi o non lo sono che eccezionalmente. Fortes insiste ugualmente sul carattere relativo della realt etnica che varia in funzione della posizione geografica e sociale occupata dallosservatore.

    Nel suo libro dedicato ai nuba della Nigeria, Nadel caratterizza la trib nel modo seguente: la trib esiste, non in virt di una qualsivoglia unit o identit, bens in virt di ununit ideologica e di una identit accettata come un dogma (1947, p. 13). Qualche anno prima lo stesso Nadel in Black Bysantium forniva una definizione in qualche

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    modo smile - si chiama trib o popolo un raggruppamento unitario i cui membri rivendicano la loro appartenenza a questo stesso raggruppamento (1942, p. 45) - ma aggiungendo una precisazione importante a proposito dei nupe, secondo cui essi sarebbero identificati come regno e trib.

    Richard-Molard considera che presso i neri primitivi della foresta (...) linsieme etnico unarea di pace tra collettivit dalle parentele reali o fittizie, le relazioni sono meno tese tra di loro che con le collettivit di etnie vicine (1952, p. 14).

    Per Mercier letnia un gruppo chiuso discendente da un antenato comune o pi generalmente avente una stessa origine, che possiede una cultura omogenea e che parla una lingua comune, e anche ununit di ordine politico (1961, p. 65). Nella sua monografa sui somba del Benin, egli fornisce una definizione molto vicina a quella di Nadel: il concetto di appartenenza etnica esprime in gran parte una teoria elaborata da una popolazione data (Mercier 1968, p. 76), o ancora letnia smba la coincidenza di un gruppo che, per quanto eterogeneo, abbia almeno realizzato lunit linguistica con uno spazio (p. 421). Allo stesso tempo lautore apporta due sfumature che attenuano il carattere un po troppo rigido di queste due definizioni. Per Mercier infatti: letnia, come una qualsiasi delle sue componenti, non che un segmento sociogeografico di un insieme pi vasto e non bisogna considerarla isolatamente bens ricomprenderla nellinsieme di un paesaggio etnico regionale considerato in una prospettiva storica (pp. 73-76).

    Per Nicolas:

    allorigine unernia prima di tutto un insieme sociale relativamente chiuso e durevole radicato in un passato dal carattere pi o meno mitico. Questo gruppo possiede un nome, generalmente una lingua, dei costumi e dei valori propri, e si afferma come differente dai suoi vicini. Luniverso etnico costituito da un mosaico (...) di lignaggi. Esiste una profonda parentela tra etnia, lignaggio o clan, parentela che si trova il pi sovente rinforzata da un vocabolario familiare, oppure da un mito di origine che sta

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    bilisce la comune discendenza dei membri del gruppo a partire da una coppia iniziale o da un eroe mitico (1973, p. 103).

    Lo stesso Nicolas aggiunge che la realt etnica possiede un'indeterminatezza caratteristica, tanto che il quadro etnico coincide solo raramente con la formazione politica di base: unetnia pu cos corrispondere a una o pi trib o nazioni, come una cultura o una civilizzazione (p. 104). Infine per lo stesso autore unetnia non n una cultura n una societ, bens un composto specifico, in equilibrio pi o meno instabile di culturale e di sociale (p. 107).

    J. Honigmann, da parte sua, ritiene che

    in generale gli antropologi sono daccordo sui criteri attraverso i quali una trib, in quanto sistema di organizzazione sociale, pu essere descritta: un territorio comune, una tradizione di discendenza comune, un linguaggio comune, una cultura e un nome comuni, tutti questi criteri costituiscono la base dell'unione di gruppi pi piccoli come quelli dei villaggi, delle bande, dei distretti e dei lignaggi (in Godelier 1973, p. 102).

    Infine, per Barth

    il termine gruppo etnico nella letteratura antropologica in generale serve a designare una popolazione che: 1) ha una grande autonomia di riproduzione biologica, 2) condivide dei valori culturali fondamentali che si attualizzano nelle forme culturali che possiedono ununit manifesta, 3) costituisce un campo di comunicazione e di interazione, 4) ha un modo di appartenenza che lo distingue in s e che a sua volta distinto dagli altri proprio in quanto costituisce una categoria distinta da altre categorie dello stesso tipo (a cura, 1969, pp. 10-11).

    Secondo lo stesso Barth questultimo punto, quello dell'attribuzione {ascription), senza dubbio il pi importante:

    unattribuzione categoriale un attribuzione etnica solo se classifica una persona nei termini della sua identit, la pi fonda- mentale e la pi generale, identit che si pu presumere deter

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    minata dalla sua origine e dal suo ambiente. Nella misura in cui gli attori utilizzano delle identit etniche per categorizzarsi essi stessi e gli altri, per interagire, essi formano dei gruppi etnici nel senso organizzazionale del termine (pp. 13-14).

    Barth introduce ugualmente la nozione di confini etnici, confini che sono allo stesso tempo mantenuti e oltrepassati dalle popolazioni.

    Questo rapido inventario di differenti definizioni del concetto di etnia, tratte dalla letteratura geografica e antropologica, si reso necessario al fine di mostrare la grande convergenza delle posizioni su questo tema. Continuare con questa rassegna non condurrebbe probabilmente a risultati tanto diversi, tanto vero che se gli antropologi sono concordi in generale sulla definizione dell'etnia, essi si trovano piuttosto a disagio nelTindicare con precisione che cosa fanno ricadere sotto questo vocabolo.

    Attraverso le differenti accezioni che abbiamo sopra considerato appaiono un certo numero di criteri comuni come: la lingua, uno spazio, dei costumi, dei valori, un nome, una stessa discendenza e la coscienza che gli attori sociali hanno di appartenere allo stesso gruppo. Il modo di esistenza dell'oggetto etnico deriverebbe dunque dalla coincidenza di questi differenti criteri. Oltre alla prossimit della nozione di etnia con quella di tazza, si vede quanto la definizione di questo termine sia impregnata di etnocentrismo e quanto sia tributaria della concezione dello Stato-nazione, per come essa ha potuto essere elaborata in Europa.

    Senza voler forzare troppo le cose, possibile affermare che il denominatore comune di tutte queste definizioni dell'etnia corrisponde in definitiva a uno Stato-nazione a carattere territoriale in difetto. Distinguere abbassando di livello costituiva sicuramente la preoccupazione del pensiero coloniale, accanto all'esigenza di trovare il capo e di individuare delle entit specifiche2 in seno al magma delle popolazioni residenti nei paesi conquistati.

    Nonostante ci, pur restando prigionieri delle categorie coloniali d'indagine, certi etnologi hanno proceduto nello

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    stesso tempo a una torsione della nozione che li ha fatti andare oltre lo stereotipo con cui erano chiamati a confrontarsi. A questo proposito opportuno chiedersi, con Dozon (1981b, p. 63), se i migliori antropologi non siano quelli che, partendo dal quadro etnico, hanno tentato di dimostrare in che cosa esso non fosse adeguato al loro oggetto. In questo senso, le imprese teoriche di Nadel, Mercier e Barth, cos come le monografie davvero innovative come quella di Watson (1958) o nchele precauzioni metodologiche di Meillassoux (1964) e di Terray (1969), nella misura in cui sovvertono le categorie coloniali, mi sembrano nei loro principi molto pi audaci rispetto ai tentativi di fare entrare con grande sforzo le realt studiate nei concetti di modi di produzione e di formazione sociale .

    Ma questa prospettiva non consiste sovente nelTapplicare imprudentemente delle nozioni-feticcio a una storia pressoch sconosciuta (Amselle 1974)? Questo modo di procedere presenta alcune analogie con quello degli etnologi coloniali che distribuivano arbitrariamente degli etnonimi a popolazioni di cui non conoscevano praticamente nulla. Parlare di la formazione sociale x piuttosto che dell'etnia x a dire il vero non cambia un gran che.

    La corrente dinamista, per come labbiamo potuta identificare nella letteratura antropologica, ha avviato un processo di decostruzione delloggetto etnico che ora deve essere portato a termine. certamente evidente che questa riflessione non deve essere condotta in un senso esclusivamente critico, ma deve contribuire a rivelare le caratteristiche specifiche delle realt etnologiche, ci che fino a oggi n i concetti marxisti n quelli pi classici dellantropologia (etnia, clan , lignaggio ecc.) sono riusciti a fare. Da questo punto di vista linterrogazione su questi concetti chiama in causa la disciplina antropologica nella sua integralit.

    Lavvio di questo movimento di decostruzione si ritrova in Nadel, che in Black Bysantium, del 1942, mostrava come la realt etnica dei nupe della Nigeria si imbricasse in insiemi sempre pi vasti:

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    lunit culturale d