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Università Telematica Pegaso I meccanismi d'attenzione
nelle prime fasi processuali
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 L’”ATTENZIONE” E LA PRIMA FASE PROCESSUALE ---------------------------------------------------------- 3
2 I MECCANISMI DELL’”ATTENZIONE” ------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
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nelle prime fasi processuali
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1 L’”Attenzione” e la prima fase processuale
L’attenzione è, come la coscienza, un attributo dell’attività mentale e si caratterizza come
una funzione della mente che, posta a livello conscio, può essere diretta volontariamente o
richiamata in modo automatico dalle caratteristiche dello stimolo (Canestrari e Godino, 1997). Si
tratta, quindi, di un fenomeno del quale abbiamo consapevolezza e che nel processo penale
(specialmente nella fase degli atti introduttivi) svolge due importanti effetti:
• quella di permettere al giudice di mettere in evidenza alcune informazioni;
• quella di fargli escludere dalla coscienza tutte le altre.
Particolarmente, se non esistesse questa doppia salvaguardia dello scegliere e dell’escludere,
il giudice sarebbe letteralmente sommerso dalla massa di segnali che gli pervengono continuamente
e contestualmente al cervello, in questa fase in cui, oltre a verificare il regolare instaurarsi del
contraddittorio tra le parti processuali e valutare le eventuali questioni preliminari e pregiudiziali,
formulate dalle parti, è tenuto a regolamentare il comportamento degli altri soggetti presenti in aula,
al fine di garantire l’ordinato svolgimento del processo e, se necessario, la definitiva conclusione
dello stesso. Questo meccanismo semplice, che viene utilizzato anche dal Giudice per indirizzare
l’attenzione, è quello fisiologico, che si ottiene orientando i recettori sensoriali verso lo stimolo che
interessa. Tuttavia, vedere qualcosa con gli occhi non sempre significa notarla o prestarvi
attenzione, potendo il nostro pensiero attestarsi alla valutazione di altro. Tutti, d’altro canto,
abbiamo avuto l’esperienza di fissare qualche cosa o qualcuno pensando ad altro, come se questo
qualcosa o qualcuno, pur se presente nel nostro campo visivo, non esistesse. Il giudice, inoltre, in
tale attività, dispone, anche di una “attenzione selettiva psicologica” (Canestrari e Godino,1997)
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che gli permette, quando raggiunto contemporaneamente da una pluralità di suoni, di escludere
quelli ritenuti meno importanti, (voci di persone che in aula parlano fra di loro, squilli di telefonini,
etc.) per continuare ad interloquire con il Pubblico Ministero o il Difensore, anche quando il suono
delle loro parole è più basso rispetto a tutti gli altri rumori e alle voci dell’ambiente circostante.
Grazie ad esperimenti di laboratorio, è stato dimostrato che l’attenzione selettiva funziona non solo
per gli stimoli acustici ma anche per quelli visivi. Nel caso delle voci è più facile prestare attenzione
selettiva se la voce della persona cui ci volgiamo si distingue dalle altre per il timbro (per esempio,
se è una voce maschile su uno sfondo di voci femminili), oppure se la produzione verbale risulta
soggettivamente più chiara e coerente. Nell’insieme, vigono quali facilitatori della “attenzione
selettiva psicologica” gli stessi fattori gestaltici di organizzazione e configurazione dello stimolo,
quali la salienza, la buona forma, la coerenza, il destino comune, la simmetria, il contrasto fra la
figura e lo sfondo (Norman e Bobrow, 1975). Ne deriva che gli stimoli con un buon rilievo
percettivo (un suono che venga rimarcato con l’accento, una pausa che sia seguita da un aumento di
volume, etc.) destano più facilmente l’attenzione e vengono registrati con maggiore facilità. Questa
cosa è ben nota agli avvocati, quando cercano di dare alla loro voce un’espressione non monotona.
Tutto ciò è possibile a motivo del modo di verificarsi della situazione processuale. Certamente, se
inviassimo in contemporanea, tramite apposite cuffie, due messaggi differenti alle due orecchie del
Giudice (tecnica dell’ascolto dicotico o binaurale) letti, seppur in modo distinto e parallelo, dalla
stessa voce, questi avrebbe serie difficoltà a prestare una attenzione selettiva ad uno solo di essi,
escludendo gli altri. Se, invece, ad uno dei suoi orecchi venisse inviata una voce e all’altro una
melodia musicale, non avrebbe la minima difficoltà a prestare attenzione ad un canale, escludendo
completamente l’altro. L’attenzione selettiva alle immagini è stata studiata proiettando
contemporaneamente due filmati, emergendo che la selezione attentiva psicologica è possibile solo
se esiste una marcata differenziazione di organizzazione tra i due stimoli (come differenze di colore,
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di contrasto, di tessitura di linee, etc.), mentre il compito diverrebbe arduo se i due stimoli
contemporanei fossero percettivamente simili. Un ulteriore quesito, trattando della attenzione,
riguarda il destino dello stimolo che non viene seguito perché l’attenzione è stata diretta altrove.
Nella maggior parte delle ricerche, i soggetti sono in grado di dire in modo generico quale sia il tipo
di messaggio non seguito (parole o musica, una figura umana o un paesaggio, o altro ancora) ma
non sono capaci di ricordare nulla nel dettaglio. Questo ricordo ombra di carattere globale è inoltre
labile come una memorizzazione a breve termine e svanisce nello spazio di pochissimi secondi (non
più di cinque o dieci). E’ un fenomeno abbastanza analogo a quanto si verifica allorchè in aula il
giudice dirige lo sguardo verso un testimone presente insieme ad altre persone che fanno parte del
pubblico: i visi delle altre persone in aula sono tutti presenti nel suo campo visivo e per qualche
secondo sarà forse in grado di dire che c’erano, se erano molte o poche o anche se erano più uomini
o più donne, ma ben presto questo ricordo incidentale ed immediato svanirà completamente. Questo
fenomeno si spiega col fatto che il messaggio cui non si presta attenzione non viene elaborato
percettivamente e quindi non passa dalla memoria immediata, ossia da quella a breve termine a
quella a lungo termine. Secondo questa teoria (definita “del filtro primario”) (Broadbent, 1958) il
filtro dell’attenzione blocca i segnali a livello di uscita dal recettore sensoriale nel percorso verso il
cervello e così i segnali bloccati (ovvero tutti quelli ai quali non si presta attenzione) non
raggiungono la corteccia cerebrale e non vengono pertanto né elaborati né registrati in memoria.
Contraddirebbe però questa teoria la costatazione che alcuni segnali particolari ( come sentire il
proprio nome in un elenco di nomi estranei) sono raccolti percettivamente anche senza che si presti
attenzione. Queste eccezioni indicano che il filtro non è assoluto, ma solo attenuativo della
accessibilità del segnale, in modo che, se il segnale è saliente da un punto di vista percettivo o
affettivo, esso può comunque essere raccolto. Spesso, infatti, il Giudice sembra non soffermarsi
sulle situazioni diverse da quelle che lo riguardano immediatamente, fino a quando una parola,
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espressa in un insieme di voci, o un comportamento, tra quello di altri, rilevanti processualmente,
non lo ridestano. Una diversa teoria capace di spiegare un numero maggiore di fenomeni e quindi
maggiormente convincente, sembra essere quella del “filtro tardivo terminale”. Secondo questa
teoria anche i segnali cui non si presta attenzione arrivano al cervello e vengono tutti elaborati
almeno parzialmente. Tale elaborazione sarebbe però inconscia ed automatica e l’informazione non
verrebbe immagazzinata in modo permanente in memoria. Il filtro dell’attenzione, posto a livello
corticale, si dirigerebbe allora verso i segnali prescelti per operare su di essi una elaborazione
consapevole e volontaria, che ne consentirebbe la stabile memorizzazione (Norman e Bobrow,
1975). Esiste una ulteriore teoria, proposta da Neisser (1981), che respinge l’idea che esista un
meccanismo attivo di selezione attentiva e sostiene invece che il processo di focalizzazione
dell’attenzione derivi molto semplicemente dalla limitata disponibilità del sistema mentale ad
elaborare contemporaneamente i segnali. La capacità di prestare attenzione a più stimoli che
giungono contemporaneamente entro il sistema è quindi legata alla difficoltà del compito da un
punto di vista cognitivo più ancora che percettivo. Se, per esempio, un giudice è molto esperto e con
molti anni di attività professionale avrà, diversamente da uno di prima nomina, una minore
difficoltà a prestare contemporaneamente attenzione al processo e a quanto avviene in aula. Il
giovane Uditore, al contrario, sarà talmente concentrato che non riuscirà né a pensare nè a prestare
attenzione ad altro. Questo esempio ci riporta al tema dell’attenzione divisa cioè della possibilità di
prestare contemporaneamente attenzione a più di un segnale. Un primo fattore che la facilita è
sicuramente la “automatizzazione” esecutiva di un compito che deriva dalla pratica. Alcuni noti
campioni di scacchi sono stati capaci di giocare contemporaneamente, vincendo, fino a 38 partite.
Ma anche senza essere campioni, tutti quanti siamo capaci di camminare (un movimento
automatizzato) e contemporaneamente di parlare, pensare ed osservare il paesaggio. Oppure, se
guidiamo la macchina già da anni ed il traffico è fluido, siamo certamente in grado di pilotarla
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sintonizzando contemporaneamente la radio o accendendoci una sigaretta. Il secondo fattore che
permette di suddividere l’attenzione è il fatto che i segnali derivano da canali diversi fra loro. E’
agevole parlare al telefono e contemporaneamente guardare la televisione, mentre è quasi
impossibile parlare al telefono e contemporaneamente stare attenti a ciò che si dice alla radio. Ha
una notevole importanza pratica capire come le persone possano sostenere l’attenzione selettiva per
lunghi periodi di tempo. Sono infatti numerose le attività che richiedono una attenzione sostenuta, o
vigilanza focalizzata, come la guida per lunghe distanze, il controllo di una catena di montaggio, la
sorveglianza di polizia, l’esecuzione di complessi interventi chirurgici, per fare solo alcuni esempi.
Anche per il Giudice, pertanto, il mantenimento di una buona e duratura vigilanza, ovvero il
mantenere per lungo tempo una attenzione sostenuta, senza commettere errori, è facilitato dalle
caratteristiche dello stimolo (Canestrari e Godino, 1997). Quando lo stimolo è intenso ed ha un
ritmo velocemente variabile, la vigilanza è maggiormente facilitata, mentre l’attenzione e la
vigilanza si assopiscono con stimoli di bassa intensità e con un ritmo di variazione molto lento. La
guida sportiva in una strada di montagna favorisce il mantenimento della vigilanza, mentre guidare
sempre a velocità ridotta e costante in un rettilineo autostradale di notte può ridurla al punto da
provocare colpi di sonno. Se lo stimolo è statico e se teniamo lo sguardo a lungo fisso su di esso,
oppure se esso si muove sempre nello stesso modo, la vigilanza può cedere nello spazio di pochi
secondi, come si verifica con le tecniche di induzione ipnotica. La vigilanza sostenuta e la qualità
della prestazione sono anche in rapporto alla condizione neuro-funzionale del soggetto. In
particolare sono legate al suo livello di attivazione o eccitabilità. Se il livello di attivazione è molto
basso lo è anche il livello della sua prestazione. Con una attivazione molto alta il livello della
prestazione diventa molto scadente e, particolarmente, se il compito è impegnativo. Il livello
ottimale di prestazione e la vigilanza ottimale si registrano di norma con gravi intermedi di
attivazione. Comunque, la capacità di prestare attenzione non è una funzione diretta dello stato di
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vigilanza o della capienza del canale sensoriale (Canestrari e Godino, 1997). Si è visto, ad esempio,
che le capacità sensoriali dei bambini di sei/sette anni sono del tutto analoghe a quelle di un
soggetto adulto ma la loro capacità di filtrare le informazioni e di prestare una attenzione selettiva
non è di norma la stessa. Questa capacità è uguale solo nel caso che il messaggio sia atteso, ovvero
quando le abilità cognitive del soggetto consentono di selezionare certi aspetti rilevanti degli eventi,
ovvero di astrarre regole che permettono di organizzare cognitivamente una sequenza probabile. E’
attraverso la comprensione e l’elaborazione cognitiva che gli eventi non si fanno più inaspettati e si
rende possibile una diversa regolazione dell’attenzione. Spesso, infatti, in questa fase definita
“degli atti introduttivi del Giudizio”, il verificarsi di situazioni più o meno analoghe, inducono il
Giudice quasi a prevedere le eccezioni che il Pubblico Ministero o il Difensore intendono
argomentare, arguendone il più delle volte l’ordine logico di espressione o addirittura una maggiore
e più motivata contestazione di quanto lo stesso richiedente non arguisce di formulare. L’attenzione
non va perciò intesa come un semplice correlato funzionale dello stato di vigilanza, ma piuttosto
come un processo selettivo presente fin dalla nascita e che si perfeziona ed incrementa nella sua
capacità, insieme al progredire delle abilità percettive e cognitive. L’attenzione indica inoltre il
processo grazie al quale alcune “parti” dell’informazione sensoriale vengono codificate ed
elaborate, mentre altre vengono escluse. In questo senso il processo attentivo è connesso con il
meccanismo di selezione.
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2 I meccanismi dell’”Attenzione”
L’attenzione, infatti, richiede almeno cinque meccanismi, e precisamente:
1) allerta;
2) attivazione;
3) orientamento;
4) detezione;
5) consapevolezza.
La prima indica la quantità di attenzione implicata in un compito e questa quantità dipende
dal livello di attivazione, determinato a sua volta sia dallo stato generale dell’organismo, sia dagli
stimoli nuovi provenienti dall’esterno; la seconda costituisce il meccanismo più direttamente
coinvolto nell’elaborazione dell’informazione, poiché implica sia l’attivazione di determinati
percorsi, o circuiti neurali, sia l’attivazione di un sistema di codifica soggettivo, che genera la
rappresentazione interna dello stimolo percepito; la terza il meccanismo che direziona e coordina
l’attenzione verso la sorgente dello stimolo sensoriale nello spazio. Sono state individuate due
modalità con cui l’attenzione può orientarsi nello spazio (attenzione orientata in modo esplicito e
orientata in modo implicito), delle quali l’una è connessa al movimento del capo e degli occhi, al
fine di individuare ed elaborare uno stimolo localizzato nello spazio esterno e l’altra che avviene in
assenza di tali movimenti e soprattutto di quelli oculari; la quarta un meccanismo decisamente
cognitivo in quanto implica una elaborazione dell’informazione che è stata selezionata. Secondo
alcuni autori le singole caratteristiche di uno stimolo sono elaborate in modo preattentivo, cioè
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senza l’intervento dell’attenzione che è invece richiesta per combinare più caratteristiche; la quinta,
uno stretto rapporto tra attenzione e coscienza. Dalle ricerche sono emerse due linee interpretative:
una linea riconosce all’attenzione una funzione psichica autonoma, mentre l’altra considera
l’attenzione come una attività della coscienza. L’attenzione, infine, in quanto focalizzazione
cosciente, può essere di tipo “extratensivo”, cioè rivolta verso il mondo esterno, oppure
“intratensivo”, rivolta al mondo interno.
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