le competenze del cr nel gdo - sistema congressi€¦ · web viewboam r. e p. sparrow, (1992),...
Post on 12-Jun-2020
4 Views
Preview:
TRANSCRIPT
PROFILI DI COMPETENZA E RUOLI MANAGERIALI DEI CAPI REPARTO IN
UN’IMPRESA DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
Vincenzo CavaliereDipartimento di Scienze AziendaliUniversità degli Studi di Firenze
e-mail: vincenzo.cavaliere@cce.unifi.ittel. 055 23.971
fax 055 21.96.25
1. Premessa....................................................................................................................................2
2. L’impresa nelle prospettive idiosincratiche. Competitività e risorse: la risorsa middle manager.........................................................................................................................................3
3. L’azione del manager di linea come fattore generativo di valore. Da risorsa ad attore del vantaggio competitivo....................................................................................................................8
4 L’azione manageriale del capo reparto di supermercato........................................................12
4.1 Metodologia........................................................................................................................12
4.1 Il contesto organizzativo di riferimento per i CR dell’Azienda Alfa.................................17
4.2 Il sistema dinamico di risorse personali.............................................................................21
4.2.1 Le caratteristiche esterne oggettive.............................................................................21
4.2.2 I profili di competenza.................................................................................................22
Costrutti emersi dalla RG............................................................................................................29
Tabella 6 La “competenza Comunicare”..................................................................................30
Costrutti emersi dalla RG............................................................................................................30
Tabella 7 La “competenza Imprenditorialità”..........................................................................30
4.3 I modelli di ruolo................................................................................................................30
Tabella 9 Differenze relative fra i CR e dissimilarità con i CN...............................................36
5. Conclusioni..............................................................................................................................38
Bibliografia..................................................................................................................................41
1
1. PREMESSA.
I contributi teorici presenti nella letteratura relativa agli approcci interpretativi delle
determinanti del vantaggio competitivo sembrano caratterizzarsi per una sorta di
polarizzazione verso due estremi: quello delle prospettive esterne all’impresa e quello
delle prospettive riferite alle fonti interne.
Le prime, pur presentando peculiarità ed apporti differenziati, attribuiscono tutte
rilevanza fondamentale al contesto ambientale in cui l’impresa opera come fattore
condizionante la performance della stessa.
Le prospettive interne, che recentemente hanno visto una crescita di interesse sia da
parte degli studiosi che da parte degli operatori economici, hanno invece riportato a
livello di impresa, in particolare nella eterogeneità delle risorse disponibili e nelle
competenze distintive, le principali fonti di differenziali competitivi sostenibili nel
tempo (Penrose, 1959; Rumelt, 1984; Wernerfelt, 1984; Barney, 1986; Itami, 1987;
Hall, 1992; Mahoney and Pandian, 1992; Peteraf, 1993; Teece, Pisano, Shuen1997).
In particolare la capacità delle imprese di gestire, accumulare e creare risorse specifiche
basate sull’informazione e sulla conoscenza, le così dette risorse intangibili, sembra
essere uno dei fattori chiave nel processo di generazione di valore economico e di
vantaggi competitivi. Itami sostiene in proposito che, rispetto alle altre risorse, quelle
basate sull’informazione e sulla conoscenza sono le risorse più rilevanti per il successo
di lungo periodo (Itami, 1987) e che le persone sono importanti per un’azienda perché
molte delle risorse intangibili sono incorporate nelle stesse.
Le prospettive interne sono per noi di particolare interesse in quanto ascrivendo a fattori
endogeni ed idiosincratici – risorse (umane) e competenze specifiche
dell’organizzazione – la capacità dell’impresa di generare rendite differenziali
2
consentono di recuperare la dimensione organizzativa legata ai processi aziendali chiave
ed all’azione manageriale delle risorse umane che guidano ed orientano tali processi.
2. L’IMPRESA NELLE PROSPETTIVE IDIOSINCRATICHE. COMPETITIVITÀ E RISORSE:
LA RISORSA MIDDLE MANAGER
La relazione tra competitività e risorse di impresa è stata recentemente sostenuta con
forza nella Resource Based View (RBV) che focalizza la propria attenzione sull’analisi
della varianza intra firm.
Alcuni contributi teorici di matrice economica e sociologica avevano tuttavia, già negli
anni passati, messo in evidenza tale relazione seppure con specifico riferimento alla
crescita dell’impresa ed all’innovazione in funzione della disponibilità di risorse in
eccesso o non completamente impiegate.
Edith Penrose nel suo The Theory of the Grow of the Firm (1959, p. 149) definiva
l’impresa essenzialmente come un «pool of resources the utilization of which is
organized in administrative framework»; Philip Selznick in Leadership in
Administration (1957), invece, ha sottolineato il ruolo della leadership nello sviluppo
delle «distinctive competence»; infine Alfred Chandler nel suo studio Strategy and
Structure, condotto nel 1962, richiama l’attenzione sulla struttura organizzativa e su
come questa influenzi l’utilizzo delle risorse d’impresa.
Questi contributi seminali anticipano molte delle ipotesi e delle argomentazioni
essenziali che ritroviamo nei “moderni” studi ricompresi nell’ampia prospettiva
dell’analisi delle risorse come ad esempio l’ipotesi chiave relativa alla idiosincraticità
delle risorse sottostanti i processi di produzione dell’impresa.
Le imprese si caratterizzano e si differenziano per una loro unicità e specificità; esse
3
sono eterogenee in termini di fattori produttivi posseduti. Sull’origine di tale
eterogeneità, e più in generale sulle modalità e sugli elementi attraverso cui l’impresa è
in grado di dare valore e di generare la propria specificità si è sviluppato un interessante
dibattito (Barney, 1986, 1989; Dierickx e Cool, 1989; Peteraf, 1993; Wernerfelt, 1984).
Senza avere la pretesa di essere esaustivi, soffermeremo brevemente la nostra attenzione
su quei contenuti del dibattito che appaiono di particolare importanza ai fini della nostra
analisi.
Due sembrano essere sostanzialmente le dimensioni intorno alle quali si è sviluppata la
ricerca sull’origine e sulla natura delle differenze intra firm.
Da un lato fattori di natura economica, come l’imperfezione nei mercati dei fattori
produttivi e la non perfetta mobilità delle risorse, vengono visti come presupposti della
specificità dell’impresa; dall’altro invece, sono fattori di natura organizzativa come la
diversa combinazione delle risorse e la conseguente diversità di forme e processi
organizzativi a generare idiosincrasia.
In proposito Schulze (1994) parla di due scuole di pensiero: la «Structural School» e la
«Process School».
Tra gli studiosi che possono essere ricondotti alla «Structural School» troviamo
sicuramente Wernelfelt (1984) e Barney (1986).
In estrema sintesi, secondo questa prospettiva la varianza intra firm verrebbe ad essere
spiegata dalla dotazione di risorse specifiche, strategicamente rilevanti, che l’impresa è
riuscita a costituirsi competendo sul mercato dei fattori produttivi e dal controllo che
riesce ad avere su tali tipi di risorse (Barney, 1991; Wernerfelt, 1984). E’ importante
sottolineare che in questa prospettiva non viene fatta alcuna distinzione tra «risorse
strategicamente rilevanti» e competenze e che la diversità di performance riflette il
4
contributo di componenti statiche.
La «Process School» si caratterizza, invece, per l’introduzione delle dinamiche di
processo nella spiegazione della specificità dell’impresa; inoltre la sostenibilità del
vantaggio competitivo non dipende da barriere o «meccanismi di isolamento» che
impediscono l’imitazione e la sostituzione delle risorse o competenze ma dalla
sostanziale non replicabilità dei processi interni di accumulazione e combinazione delle
risorse stesse (Dietrick & Cool, 1989).
Emerge in questa prospettiva di analisi una distinzione tra risorse, competenze e
capacità dinamiche che, pur essendo elementi correlati, sono tenuti distinti. Si
individuano conseguentemente differenti livelli di analisi.
Le risorse vengono definite come stock di fattori disponibili che sono posseduti o
controllati dall’impresa. Le competenze sono il risultato dell’utilizzo congiunto di tali
risorse al fine di raggiungere un risultato desiderato. Si tratta di processi organizzativi
tangibili o intangibili firm specific che sono stati sviluppati nel tempo attraverso
l’interazione delle risorse d’impresa (Amit e Schoemaker, 1993).
Le capacità dinamiche, nell’interpretazione proposta da Teece Pisano e Shuen,
consentono di superare alcuni limiti che, secondo gli autori, la RBV “classica” incontra
quando si introducono nella competizione dinamiche esterne di tipo schumpeteriano.
Quando la base competitiva subisce forti cambiamenti e l’intensità dei processi
innovativi è elevata, il concetto stesso di vantaggio competitivo sostenibile rischia di
diventare inadeguato. Le capacità dinamiche definite come abilità delle imprese di
riconfigurare, riorientare, rinnovare le core competences dell’impresa consentono di far
fronte tempestivamente ai cambiameni dell’ambiente di attività dell’impresa.
Alla luce di ciò, le competenze organizzative possono essere reinterpretate in termini di
5
capacità di strutturare ed orientare gruppi di risorse e specialmente i servizi che queste
offrono (Penrose, 1959), verso sempre nuovi e diversi livelli di efficienza che portano a
sostenere un vantaggio competitivo attraverso la ricerca di nuove condizioni e “risorse”
che dischiudano più sicuri orizzonti (Fazzi, 1982; Christensen, 1996). Siamo in
presenza di quei «comportamenti attivi» che l’impresa è chiamata ad attuare anche
attraverso «processi di distruzione creatrice» (Schumpeter, 1967, p. 77) non solo per
rispondere ai cambiamenti manifestatisi nell’ambiente ma addirittura per anticipare se
non provocare quelle innovazioni che, forse, l’ambiente stesso potrebbe più tardi
imporre e che le imprese, anticipandole o provocandole, cercherebbero di volgere a
proprio vantaggio (Fazzi, 1982).
Nella capacità di strutturare ed orientare gruppi di risorse tangibili ed intangibili verso la
creazione di nuove conoscenze e la gestione dei processi che sottostanno i vantaggi
competitivi, un ruolo predominante è stato recentemente riconosciuto con forza al
middle manager.
Il middle manager non è semplicemente un esecutore o un comunicatore degli ordini
impartiti dal Top Management (Thompson, 1967): piuttosto egli svolge un ruolo attivo
nei meccanismi operativi di integrazione a livello organizzativo delle competenze e
conoscenze degli individui, di coerente allineamento delle conoscenze organizzative ed
individuali con le opportunità dell’ambiente esterno ed i bisogni dei clienti/consumatori
(Sayles, 1993).
Il middle manager in quanto ponte fra gli ideali strategici della direzione e la realtà
destrutturata e dinamica della linea operativa media, negozia ed interpreta le
connessioni fra gli aspetti istituzionali dell’organizzazione centrati sul «dover essere»
del vertice e gli aspetti operativi della linea centrati sul «fare» (Floyd e Wooldrige,
6
1997; Nonaka e Takeuchi, 1995).
La rilevanza del manager di linea appare ancora più evidente nelle organizzazioni snelle
e degerarchizzate dove l’autorità e la responsabilità viene sempre più suddivisa fra i
diversi livelli organizzativi.
Sulla base delle considerazioni appena fatte sembra proponibile considerare l’azione del
middle manager essenziale nel processo di creazione di valore per l’impresa e nella
sostenibilità del vantaggio competitivo, al pari di quella dell’imprenditore.
E’ quindi possibile sostenere che la performance dell’impresa viene ad essere
influenzata dall’azione più o meno efficace del manager di linea e dalle sue capacità e
competenze.
Diviene quindi importante per un’organizzazione avere la consapevolezza dei fattori
causali la prestazione di questa particolare figura professionale.
L’obiettivo delle pagine successive sarà quello di cogliere le specificità dell’azione
manageriale del capo reparto della Divisione supermercati di un’azienda della grande
distribuzione attraverso un’analisi empirica di un caso concreto, cercando di
discriminare gli elementi sottostanti le azioni dei CR più efficaci.
Una ulteriore giustificazione dell’interesse per l’azione del capo reparto di supermercato
deriva dal fatto che la funzione di acquisto del consumatore (ed anche la customer
satisfaction), nelle imprese della distribuzione commerciale e più in generale in quelle
dei servizi, sembra incorporare ed essere influenzata anche dai comportamenti del
personale di front line e su questi ultimi ha un significativo impatto proprio l’azione del
capo reparto.
In quest’ottica, la prospettiva dell’analisi strategica basata sulle risorse rappresenta, il
quadro teorico di riferimento all’interno del quale il paper trova la sua giustificazione
7
originaria.
L’analisi si muoverà dal generale al particolare. Cercheremo prima di cogliere le
peculiarità più significative dell’approccio teorico di riferimento della ricerca per poi
addentrarci, soprattutto attraverso l’analisi dei dati, nell’analisi delle determinanti
l’azione manageriale.
Tale approccio, a nostro avviso, consentirà di valorizzare il contributo fornito dagli
attori organizzativi chiave.
3. L’AZIONE DEL MANAGER DI LINEA COME FATTORE GENERATIVO DI VALORE. DA
RISORSA AD ATTORE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO.
Dal momento in cui diamo credito alle prospettive idiosincratiche riconosciamo da un
lato che le risorse umane, in quanto “assets” che incorporano conoscenze specifiche,
costituiscono la risorsa strategica per eccellenza (Camuffo, 1998) e dall’altro che in tutti
i processi di combinazione delle risorse, tangibili ed intangibili, che generano le
competenze e le capacità dinamiche sottostanti i vantaggi competitivi, assume un ruolo
chiave il manager intermedio.
Attribuire rilevanza alla “risorsa middle manager” in quanto tale, però, denota una
visione limitata e parziale della stessa nel processo creativo del vantaggio competitivo
confinandolo a soggetto passivo, «elemento inerte» al pari di altre risorse disponibili.
L’aspetto maggiormente rilevante non consiste tanto nella “risorsa in sé” quanto
piuttosto nell’azione che svolge in qualità di soggetto gestisce risorse umane, che
presidia a livello operativo i processi strategici ed i flussi informativi, di coordinatore
dei processi di apprendimento e di sviluppo di nuove competenze che consentono di
generare innovazione, ed infine come interprete delle connessioni tra l’ambiente esterno
8
e quello interno e tra gli aspetti istituzionali dell’organizzazione e quelli tecnico
operativi. L’interesse per l’azione del middle manager è, in definitiva, legata alla sua
significativa influenza sulla creazione di valore per il cliente e per l’organizzazione,
all’influenza che ha sulla gestione delle modalità competitive che l’impresa adotta per
conseguire e sostenere differenziali competitivi.
L’azione umana in generale risulta condizionata dall’interazione tra l’individuo e la
situazione (Thompson, 1967). Semplificando, l’individuo presenta una serie di “risorse”
che spiegano l’azione ed il comportamento organizzativo; in parte queste risorse fanno
riferimento a «caratteristiche esterne» delle persone oggettivamente individuabili (età,
sesso, educazione, esperienza, ecc.) ed in parte esse fanno riferimento a «caratteristiche
interne». Tra queste ultime ritroviamo una serie di «determinanti individuali di
comportamento» (valori, attegiamenti, bisogni, abilità, conoscenze, ecc.) e di processi di
comportamento (percezioni individuali, motivazione e la conseguente decisione) che
non si identificano con il comportamento manifesto, ma rappresentano la sua condizione
preliminare, in quanto ne anticipano la direzione e l’intensità (Salvemini, 1979, p. 124)1.
Le diversità di comportamento da individuo ad individuo e quindi anche di prestazioni
possono essere interpretate in parte facendo riferimento all’insieme degli elementi
appena descritti: le «caratteristiche esterne oggettivamente individuabili»; le
«determinanti individuali di comportamento» costituite da caratteristiche interne
dell’individuo stesso, dalle sue abilità, dalle sue percezioni circa le priorità nelle attività
di lavoro, dalle sue capacità; dai processi di scelta e di decisione (Salvemini, 1979).
Definiamo l’insieme complesso di tutti questi elementi sistema dinamico di risorse
personali.
L’azione manageriale si caratterizza, quindi, per la sua natura combinatoria ed i
9
risultati conseguenti vengono ad essere quindi influenzati da un sistema complesso i cui
componenti sono: il contesto entro cui l’azione si svolge che genera vincoli ed
opportunità, il sistema dinamico di risorse personali, ed infine i modelli di ruolo attesi,
cioè quei modelli di comportamento che l’organizzazione e gli attori organizzativi si
aspettano che il soggetto titolare di una posizione interpreti. Nel sistema dinamico di
risorse personali le competenze assumono particolare rilevanza per essere alla base di
specifiche azioni e comportamenti delle persone che sono legati a specifici risultati
(Boyatzis, p. 12).
Figura 1 Gli elementi dell’azione manageriale
La figura 1 evidenzia solo gli elementi che vengono analizzati in questo paper,
sottolineando anche la interrelazione dinamica delle variabili che si ridefiniscono in
10
ContestoContesto Efficacia nei risultati conseguitiEfficacia nei risultati conseguiti
Modelli di ruolo Modelli di ruolo
Caratteristiche EsterneCaratteristiche Esterne
AzioneAzioneManagerialeManageriale
Sistema dinamico di risorse personali
CompetenzeCompetenze
funzione dell’efficacia o meno dei risultati volta volta conseguiti e dei feedback che da
essa si ricevono.
D’altro canto se vogliamo conoscere cosa fa il manager competente dobbiamo
considerare che «oltre a possedere un insieme di conoscenze, sensibilità, esperienze,
abilità e quant’altro, egli è colui che conosce le “regole” del sistema cui appartiene e le
sa usare in maniera appropriata, ed integra questi elementi sulla base dei feedback
ricevuti e percepiti in relazione all’efficacia nei risultati di volta in volta conseguiti
(D’Anna, 2000).
Nella nostra ricerca abbiamo voluto appunto soffermare l’attenzione solo su alcuni
elementi degli elementi del modello: le caratteristiche esterne oggettivamente
individuabili, le competenze, il contesto ed i modelli di ruolo.
Un modello che tiene conto di queste variabili consente di ricercare le cause della
diversità e dell’uniformità dell’azione manageriale in due direzioni: quella
dell’individuo e quello del suo ambiente di riferimento
In tal senso, l’applicazione del concetto di competenza e di ruolo organizzativo
all’analisi dell’azione manageriale consente, a nostro avviso, di mettere in relazione
“l’ordine sociale” con le caratteristiche ed il comportamento dell’individuo in modo che
i soggetti abbiano la libertà di agire ed, al tempo stesso, siano socialmente vincolati.
Prima di analizzare nello specifico l’azione del capo reparto della divisione
supermercati dell’Azienda Alfa, ci preme sottolineare come lo schema di riferimento
precedentemente accennato è un disegno più semplicistico che semplificato dei
comportamenti del manager di linea rispetto alla complessità del fenomeno e dei suoi
stessi elementi costituenti. Si tratta quindi di uno schema esemplificativo dell’azione del
manager che serve soltanto a noi per evidenziare l’importanza che solo alcuni degli
11
elementi individuati assumono nel lavoro manageriale. Partendo dalla considerazione
che l’efficacia dell’azione del middle manager influenza i risultati aziendali abbiamo
studiato due gruppi di manager distinti in relazione all’efficacia dei risultati mediamente
conseguiti.
4 L’AZIONE MANAGERIALE DEL CAPO REPARTO DI SUPERMERCATO
4.1 Metodologia
Seguendo un approccio induttivo di tipo bottom up la ricerca è stata svolta facendo
ricorso alla metodologia dello studio di casi. L’analisi, si caratterizza per la natura
«multiprospettica» integrando di fatto la visione dei titolari di ruolo con quella di altri
soggetti che posseggono una conoscenza personale dei titolari stessi e del ruolo da essi
svolto: i capi area ed i capi negozio.
La case analysis attraverso lo studio intensivo di un singolo esempio di classe di
fenomeni e di una singola “unità organizzativa” riesce ad ottenere una ricchezza di
informazioni di sicuro interesse scientifico per il ricercatore indipendentemente dal fatto
che i modelli interpretativi della realtà che da esse si generano, si manifestino su ampie
popolazioni. La contestualità dell’azione manageriale, poi, sembra essere a nostro
avviso coerente con l’approccio di ricerca che analizza fenomeni reali nel loro ambiente
di origine. Infatti, l’azione del capo reparto viene qui considerata incastonata
nell’insieme delle relazioni professionali che intrattiene all’interno dell’organizzazione,
considerando la quotidianità del suo lavoro, i vincoli istituzionali e sociali cui è
soggetto.
L’obbiettivo della ricerca è di tipo descrittivo e conoscitivo. Si è voluto mettere a
confronto, attraverso l’analisi delle determinanti dello schema analitico dell’azione
12
manageriale, due differenti gruppi di CR distinti per tipologia di prestazione (alta e
media) per evidenziare appunto alcuni degli elementi causali della stessa. Dal punto di
vista operativo ciò potrebbe consentire all’azienda di aumentare il proprio quadro
conoscitivo sul proprio potenziale umano ai fini della programmazione dello sviluppo
aziendale. In secondo luogo, nelle conclusioni si accenna ad una possibile lettura
dell’azione manageriale così definita, in relazione alle «funzioni organizzative di base».
La selezione per discriminare la popolazione nei due sottogruppi, è stata effettuata dalla
Direzione del Personale dell’Azienda Alfa sulla base del sistema di valutazione interno
delle prestazioni comprendente sia parametri quantitativi che qualitativi. Una
circostanza interessante è che in tale processo si è tenuto conto anche del “giudizio dei
clienti” sulla qualità del servizio. L’azienda, infatti, periodicamente effettua, tramite un
ente esterno, una valutazione della qualità del servizio inteso in senso ampio (ordine e
pulizia dei reparti, ambiente, cortesia e disponibilità del personale, ecc.) attraverso
interviste dirette ai consumatori. Sulla base dei parametri scelti, della popolazione dei
trenta CR ne sono stati individuati venticinque, gli altri cinque in quanto non ancora
pienamente in ruolo sono stati esclusi dall’analisi. La popolazione dei 25 è stata
suddivisa in due sottogruppi: il gruppo A composto da venti soggetti ed il gruppo B
composto da cinque titolari.
Le fasi del processo di ricerca, che ha comunque coinvolto più aziende, sono state nel
caso di Azienda Alfa sinteticamente le seguenti:
1. Individuazione del modello analitico teorico/applicativo di riferimento;
2. Presentazione del progetto alla Direzione di Azienda Alfa e verifica della congruità
metodologica ed applicativa con i vincoli organizzativi;
13
3. Coinvolgimento degli attori organizzativi interessati;
4. Programmazione della rilevazione e conseguente raccolta dei dati secondo gli
approcci definiti;
5. Analisi ed elaborazione dei dati.
Senza entrare nel dettaglio delle fasi in questa sede interessa sottolineare che la verifica
della congruità del modello con la Direzione ha permesso nel caso dell’Azienda Alfa di
individuare due tipologie di ruolo differenti rispetto a quelle predefinite: quello di
“presidio del servizio al cliente” e quello di “osservatore dei punti di forza della
concorrenza”.
Dal punto di vista della rilevazione si è fatto ricorso a differenti supporti operativi
somministrati a diversi soggetti ciascuno dei quali ha evidenziato un insieme di fattori
così come mostrato nella tabella 1.
Rimandando alla letteratura specifica gli approfondimenti sulle diverse modalità di
rilevazione (Fletcher, 1991; Boam & Sparrow, 1992; Pearn e Kandola, 1997; Camuffo,
1998; Comacchio, 2000) è opportuno invece specificare che il WPS2 utilizzato in questa
ricerca è stato quello riferito a figure manageriali/professionali. Rispetto alle altre due
tipologie di questionario, amministrativo/servizi ed operativo/tecnico, esso risultava
coerente con il ruolo analizzato.
Il questionario si compone di due parti. La prima, utilizzata per descrivere aspetti
relativi alla posizione, mira a definire i principali task che costituiscono il lavoro del
manager attraverso una descrizione generale di comportamenti e delle attività.
Questi sono raggruppati in 7 macro aree o sezioni: gestire le attività, gestire le persone,
ricevere informazioni, pensare creativamente, lavorare con le informazioni, comunicare
14
ed attività fisiche; ciascuna macro area comprende poi al suo interno una serie di sub
sezioni o micro aree, nelle quali vengono individuati una gamma di comportamenti ed
attività specifiche, definiti items, che vanno da un minimo di 6 ad un massimo di 14 per
sub sezione. In totale il sistema comprende 344 items comportamentali aggregati prima
per “categorie” e successivamente per sezioni o cluster.
Tabella 1: Gli strumenti di rilevazione dell’azione manageriale
somministrazione
STRUMENTO FUNZIONE CR CA CN
Work Profiling System Professionale Manageriale
Si tratta di una metodologia di job analysis integrata che, attraverso l'uso di un programma software, elabora le informazioni raccolte attraverso un questionario. Come altri sistemi strutturati, fornisce un utile schema teorico/applicativo su fattori di competenza che sono chiaramente definiti.
Critical Incident L’intervista è finalizzata alla raccolta di 2 incidenti critici, uno positivo o di successo ed un altro negativo o non efficace, ritenuti significativi per la perfomrnce di ruolo. L’analisi e la codifica degli episodi consente di individuare gli attrubuti di comportamento messi in atto dai role holders nella loro esperienza lavorativa
Questionario sui Ruoli Manageriali
Consente di rilevare la percezione dei role holders in merito al proprio ruolo. Analizza il profilo di ruolo manageriale posto in essere dal role holder misurando i tempi che dedica a ciascuno dei ruoli individuati da Henry Mintzberg nell’ambito della sua attività lavorativa.
Questionario sulle «caratteristiche esterne oggettive»
Consente di precisare dati demografici sui job holders individuandone sesso, età, titolo di studio, percorso professionale, anzianità di ruolo e anzianità aziendale. Consente di attribuire un volto al titolare del ruolo e individuare se variabili demografiche possono influire sul suo profilo di competenze.
Repertory Grid Si tratta di un’intervista che fa emergere i costrutti critici di un determinato ruolo, grazie al confronto fra i migliori role holders ed i medi. Il rilievo di questo metodo consiste nella sua capacità di far emergere competenze dall’esperienza vissuta piuttosto che da code book formati da competenze precostituite.
Attraverso un processo di scelta per fasi successive il job holder è stato chiamato ad
15
individuare le 8-10 categorie che ritiene più importanti rispetto agli obbiettivi della
propria posizione e di porli in ordine crescente, dal più al meno importante.
Successivamente, per ogni singolo item o attività elencata in ciascuna categoria scelta, il
CR ha proceduto ad una doppia valutazione. Doveva:
1. Individuare il tempo effettivamente impiegato per svolgere quella specifica
attività/azione riferendosi ad una scala di valutazione composta dalle seguenti opzioni:
- fino al 5% del tempo lavorativo;
- 6 - 10 % del tempo lavorativo;
- 11 - 20% del tempo lavorativo;
- 21 - 50 % del tempo lavorativo;
- oltre 50% del tempo lavorativo.
2. Determinare l'importanza di quella particolare attività ai fini del raggiungimento degli
obbiettivi del proprio ruolo facendo riferimento ad una scala di valutazione composta da
7 possibili valori, posti in ordine di importanza crescente (7 = essenziale per la totalità
degli obbiettivi di lavoro – se non “performata” impedisce totalmente la realizzazione
della totalità degli obiettivi; 1 = irrilevante per gli obiettivi del lavoro – se non
“performata” ha nessun impatto sul raggiungimento degli obiettivi).
Il sistema elabora poi i dati attraverso un rapporto analitico. Riporteremo in questo
lavoro le informazioni che individuano l’importanza di ogni singolo item scelto,
riportata in centesimi, e la frequenza di scelta.
Uno dei risultati forniti dal WPS è, quindi, relativo alle percezioni della differente
16
importanza attribuita dal CR ad un insieme di attività o compiti, espressi in
comportamenti e/o azioni, per il raggiungimento degli obiettivi. Tali “percezioni” hanno
rappresentato uno degli elementi definitori dei profili di competenza che analizzeremo
più avanti.
La seconda parte del WPS, raccoglie le informazioni relative al soggetto intervistato ed
al contesto in cui viene svolto il lavoro: titolo di studio, qualifica e formazione
professionale, orario, retribuzioni, responsabilità e ambiente di lavoro, ecc..
Occorre osservare però, che proprio in quanto «sistema chiaramente definito sulla base
di ricerche cross firm» il WPS consente di conseguire un grado di efficacia maggiore se
usato insieme con altre tecniche di analisi del lavoro meno strutturate (Bernardoni e
Chinotti, 1994). Nel nostro studio, le informazioni raccolte mediante questo strumento
sono state, infatti, integrate con informazioni più specifiche e "aperte", provenienti dalla
tecnica dell'incidente critico e dalla griglia di repertorio.
L’analisi dei ruoli, invece, è stata effettuata attraverso un questionario strutturato che
presentava dodici voci sintetiche relative alle tipologie di ruolo. La compilazione ha
richiesto ad ogni CR di considerare il lavoro tipo in una settimana o mese e di indicare
la percentuale di tempo speso a ciascuno dei ruoli sulla base di una scala di intervalli
analoga a quella per l’individuazione delle attività prioritarie del WPS. Tale
questionario è stato fatto compilare anche ai capi negozio ed ai capi area per evidenziare
la visione dell’azienda.
4.1 Il contesto organizzativo di riferimento per i CR dell’Azienda Alfa
Il contesto può essere considerato sotto diverse forme: a livello di settore, a livello
macro-organizzativo ed a livello micro-organizzativo. Nella ricerca ci siamo soffermati
17
sugli ultimi due livelli.
Il supermercato è una delle forme distributive che negli anni passati ha registrato
maggiori ritmi di sviluppo e che oggi è in continua evoluzione. La dinamicità di questa
forma distributiva, che è andata sempre più differenziandosi dalla sua forma e funzione
tradizionale, è da attribuire alla recente modernizzazione e sviluppo del settore ed anche
alla intangibilità del servizio offerto.
L’immaterialità del prodotto commerciale, che va oltre la “merce” acquistata/venduta,
implica per questo tipo di organizzazione un rapporto del tutto particolare con il
mercato che si traduce in altrettanta tipicità della struttura organizzativa e del
management.
In relazione ai mutamenti del settore distributivo ed alle crescenti esigenze dei
consumatori tre anni prima della ricerca (svolta tra il maggio 2000 ed il febbraio 2001),
seguendo una logica proattiva, l’azienda Alfa aveva deciso di attuare un processo di
riorganizzazione e di modifica della propria struttura organizzativa.
La finalità del cambiamento è stata quella di recuperare flessibilità e rapidità di risposta
alle esigenze del mercato, di migliorare i flussi informativi verticali ed orizzontali, di
dare maggiore rilevanza al valore ed alla gestione delle risorse umane e soprattutto alla
gestione della qualità del servizio ai consumatori. Il profilo del capo reparto, quindi, si è
evoluto proprio in funzione di questo cambiamento.
Dal punto di vista dell’analisi dei dati, raccolti relativamente al contesto della posizione,
evidenziamo quelli che a nostro avviso sono più significativi: gli obiettivi, la
responsabilità sulle risorse umane, il tempo necessario per la visibilità di un errore e la
ripercussione finanziaria di una prestazione inadeguata, la regolarità/irregolarità
dell’orario di lavoro, tipologia e frequenza dei contatti interpersonali.
18
Obiettivi. Una circostanza interessante emerge in relazione agli obiettivi di ruolo
indicati dai due gruppi. Ogni CR, infatti, era chiamato a focalizzare le proprie risposte
sempre con riferimento agli obiettivi del proprio lavoro. Per tale motivo il primo
elemento di riflessione è stato quello di identificare i primi cinque obiettivi riferiti al
lavoro.
Tra i primi, raggruppati per aree, troviamo la soddisfazione del consumatore, l’efficace
ed efficiente gestione delle risorse umane, le vendite, la produttività, le differenze
inventariali. Tra i due gruppi emerge una sostanziale coincidenza nel ritenere prioritari
gli obiettivi legati alla soddisfazione del consumatore ed alla gestione delle risorse
umane.
Esiste quindi un sostanziale allineamento tra i due gruppi sulle priorità di risultato a
livello di reparto.
Responsabilità sulle risorse umane (ampiezza del controllo). Relativamente a questa
sezione si può evidenziare che mediamente i CR del gruppo B hanno responsabilità
diretta di un numero di collaboratori compresa nell’intervallo che va da 21 a 50
dipendenti mentre per il gruppo A tale responsabilità è mediamente più bassa, 11-20
collaboratori.
Tempo necessario per la di visibilità di un errore e ripercussione finanziaria .
Entrambi i gruppi ritengono che sia sufficiente un periodo di 1-6 giorni per rendersi
conto di eventuali errori commessi. E’ interessante però notare che mentre il gruppo B
ritiene che “l’impatto finanziario” (inteso come perdita di profitto o costi addizionali
per l’organizzazione) di una prestazione inadeguata sia stimabile tra i 155 ed i 671
mila euro, il gruppo A ritiene più modesto tale impatto, in particolare mediamente si
colloca sotto i 155 mila euro.
19
Orario di lavoro. Per quanto riguarda il tempo di lavoro il gruppo B ritiene che il
lavoro sia irregolare (dal punto di vista dei turni), mentre il gruppo A lo percepisce
come regolare. Mediamente quest’ultimo gruppo, però, dichiara di svolgere più ore di
straordinario rispetto al primo: 15,55 contro le 13,66 settimanali.
Tipologia e frequenza dei contatti interpersonali. In questa sezione si sono analizzate
sia i soggetti con cui i CR entrano in contatto, sia il tempo che spendono in tali contatti.
Tabella 2. Contatti interpersonali del Capo Reparto con soggetti interni ed esterni.
Contatti InterpersonaliTipo di Contatto B ADirezione Generale di Coop EstenseResponsabili della Direzione SupermercatiCapo AreaCapo NegozioStaff amministrativo (Direzione Coop Estense)AddettiPubblicoStudenti e persone della formazioneRappresentanti Sindacali
Occasionale (1-9%) Occasionale (1-9%) Moderato (10-20%)Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Frequenti (+ 20%)Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Occasionale (1-9%)
NessunoOccasionale (1-9%) Occasionale (1-9%) Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Moderato (10-20%)Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Occasionale (1-9%)
Le risposte (tab. 2) possono essere interpretate come importanza che i CR attribuiscono
agli stessi, ai fini dell’efficacia nei risultati da conseguire. Gli elementi discriminanti i
due gruppi sono riferiti ai contatti con la direzione, il Capo Area e gli addetti. In
sostanza, i CR del gruppo B ritengono più importante ai fini dell’efficacia nella
prestazione del reparto costruirsi e mantenere una rete di relazioni a 360 gradi
all’interno della propria struttura. Ciò pone il capo reparto del gruppo B come centro
nevralgico delle reti di relazioni all’interno dell’organizzazione. I CR del gruppo B,
inoltre, ritengono che tra tutti i contatti quello con gli addetti sia il più importante. Il
1 Queste caratteristiche interne, così definite, evidenziano nel loro insieme alcuni degli elementi contenuti nel concetto di competenza individuale espresso da Boyatzis (1982) e che, seppur con alcune semplificazioni, abbiamo ripreso ed applicato nel nostro caso. Precisiamo che, in questa sede, utilizzeremo i concetti di comportamento organizzativo ed azione manageriale come termini alternativi.2 Il WPS è stato sviluppato nella sua prima formulazione nel 1989 dalla Saville e Holdsworth Ltd., ed è stato concesso in uso ai soli fini della ricerca in oggetto dalla SHL Italia.
20
rapporto che hanno con gli addetti può essere interpretato nell’ottica del ruolo di
disseminator, cioè “trasmettitore di informazioni verso gli addetti”, che è tra i ruoli
informativi, quello maggiormente interpretato. Per altri versi meno viene interpretato,
tra i ruoli interpersonali, il ruolo di liason con altri reparti.
Seppure non direttamente riferibile ai dati quantitativi del contesto, vogliamo richiamare
l’attenzione sul percorso di carriera dei CR. Generalmente essi si sviluppano all’interno
dell’organizzazione attraverso un percorso che li vede “partire dal basso”. Altre
alternative utilizzate sono corsi di formazione specialistici o Master specifici, ma in
questo caso solo un CR ha realizzato un percorso simile.
4.2 Il sistema dinamico di risorse personali.
Cercheremo ora di analizzare il sistema personale di risorse del CR separando l’analisi
delle caratteristiche esterne oggettivamente individuabili dalle competenze.
4.2.1 Le caratteristiche esterne oggettive
Una prima ricognizione sull’azione del CR ha riguardato le seguenti caratteristiche
esterne oggettive: età, sesso, titolo di studio, anzianità aziendale ed anzianità in ruolo,
esperienze lavorative e percorso professionale (sia interno all’azienda che esterno).
Dell’intero campione considerato si evidenzia come il 64% dei CR in ruolo sono donne.
Ciò si rivela abbastanza interessante se si considera che in altri settori, come quello
manifatturiero, tale ruolo è tradizionalmente affidato agli uomini.
Analizzando la distribuzione per gruppi, però, notiamo che nel gruppo B un solo
componente è donna.
Relativamente all’anzianità rileviamo una elevata anzianità anagrafica associata ad una
significativa esperienza aziendale. Poco più della metà dei CR ha un’età compresa tra i
21
41 ed i 50 anni; il 92% dei CR ha un’anzianità aziendale superiore ai 10 anni ed
un’anzianità in ruolo superiore ai 3 anni. Tali valori raggiungono il 100% considerando
solo il gruppo B.
Ci sembra, quindi, che si possa dedurre che il CR dell’Azienda Alfa è sostanzialmente
una persona che si è formata ed è stata “promossa sul campo”, con un percorso di
carriera che è partito dall’addetto alle vendite. Difficili, quindi, sono gli “inserimenti
dall’esterno”; l’effetto esperienza sembra inoltre essere rilevante ai fini dell’efficacia
nella prestazione.
Valutando, infine, i dati relativi al titolo di studio non sembrano emergere differenze
significative. Evidenziamo solo che il titolo di studio prevalente è quello della licenzia
media (60% dei capi reparto sia del gruppo A che del gruppo B) e che nessuno dei CR
possiede una laurea.
4.2.2 I profili di competenza.
Come è ormai ampiamente noto, numerosi sono gli apporti, gli approcci e le ricerche
che si riscontrano nella letteratura sulla gestione delle risorse umane relativamente al
concetto di competenza individuale (White, 1959; Mc Clelland, 1973; Boyatzis, 1982;
Ratti, 1989; Woodruffe, 1991; Boam and Sparrow, 1992; Spencer & Spencer, 1993;
Camuffo, 1998).
Questi se da un lato rappresentano una ricchezza scientifica ed applicativa, dall’altro
hanno generato un diversità di approcci ed un intenso dibattito sulla natura del
significato di competenza individuale. Ai fini del nostro lavoro preme chiarire ed allo
stesso tempo delimitare un significato di competenza coerente con la ricerca svolta.
Seguendo l’approccio proposto da Boyatzis (1982, p. 21), consideriamo in prima istanza
una competenza come una caratteristica intrinseca, che può essere motivo, tratto, skill,
22
immagine di sé o ruolo sociale o insieme di conoscenze, che una persona usa nel proprio
contesto lavorativo.
Il concetto di competenza assume rilevanza in funzione della sua relazione causale,
mediante il comportamento competente, con la prestazione lavorativa. In particolare,
l’autore definisce una competenza di soglia come una generica conoscenza, motivo,
tratto, immagine di sé, ruolo sociale o skill che è essenziale per svolgere un lavoro ma
che non è causalmente collegata con prestazioni di ordine superiore (Boyatzis, 1982).
Per altri versi è possibile individuare competenze che invece sono legate a prestazioni
eccellenti.
In generale possiamo dire che, quando una situazione lavorativa, determinata dalle
richieste della posizione e dell’ambiente organizzativo (interno ed esterno –
clienti/consumatori), richiede la dimostrazione di una specifica competenza, l’individuo
attiva la propria capacità di risposta proprio da un insieme di capacità personali. Il
D’Anna a tal proposito riferendosi al decisore individuo sostiene che «le capacità del
decisore determinano delle vere e proprie competenze» (D’Anna, 2000, p. 17).
Tale interpretazione consente, a nostro avviso, di recuperare la dimensione sistemica e
dinamica anche del modello di Boyatzis riferita al comportamento ed alle azioni
specifiche dell’attore organizzativo e di recuperare la motivazione nel concetto di
competenza espresso dallo stesso Boyatzis proprio in considerazione dell’impatto che
questa ha sui processi di scelta.
La motivazione, infatti, costituisce la spinta all’azione (moto ad azione) tramite cui
l’individuo è stimolato ad attivare risorse ed energie. E’ dunque una sorta di forza
interna che stimola, regola e sostiene le principali azioni compiute dalla persona
(Salvemini, 1979, p. 133).
23
Il recupero della dimensione motivazionale nel concetto di competenza peraltro non è
certamente nuovo. White (1959) riferisce il concetto di competenza alla capacità di un
organismo di interagire in maniera efficace con il suo ambiente attraverso processi di
apprendimento. Esistendo un senso di direzione e persistenza del comportamento che
guida questi processi di apprendimento, l'aspetto motivazionale rappresenta un
elemento centrale incluso nella competenza (White, 1959).
Riportando le nostre osservazioni al modello concettuale di Boyatzis interpretiamo le
individual’s competencies, come capacità comportamentali o potenzialità d’uso di un
insieme di risorse che sottendono l’azione individuale3.
In sostanza attraverso l’azione intenzionale, l’individuo attiva una serie di capacità
comportamentali che lo rendono più o meno competente. D’altro canto il modello di
Boyatzis interpreta l’efficacia delle specifiche azioni o comportamenti come interazione
dinamica e sistemica di tre elementi: individual’s competencies, job’s demands e
organizational environment.
Le capacità comportamentali attivate in funzione dei vincoli/opportunità percepiti dal
soggetto in relazione alle priorità del lavoro, poi, si ridefiniscono quantitativamente e
qualitativamente dall’interazione dinamica con l’ambiente di riferimento attraverso il
comportamento.
L’azione efficace, ma anche quella inefficace, consente all’individuo di riformulare
attraverso un processo di apprendimento il suo sistema di capacità comportamentali.
Itami sostiene ad esempio che la competenza è allo stesso tempo input ed output
3 A nostro avviso tale impostazione appare coerente anche con l’approccio proposto da Boyatzis il quale sostiene: «These characteristics or abilities (riferendosi ai tratti, motivi, ecc.) can be called competencies [...] the individual's competencies represent the capability that he or she brings to the job situation» ed ancora da altra parte afferma: «the concept of job competency represents an ability. A person's set of competencies (in tal senso crediamo si possa parlare di modelli di azione o di comportamento) reflect his or her capability.[…] They are describing what he or she can do, not necessarily what he or she does» (Boyatzis, 1982, p. 12 e 23).
24
dell’attività lavorativa e manageriale (Itami, 1987). In questo senso i processi di
apprendimento individuale rappresentano un importante fattore di miglioramento di
prestazione e di competitività.
Nel caso del CR dell’azienda Alfa abbiamo individuato 16 competenze ciascuna
definita in termini di: 1) attributi personali rilevati attraverso l’analisi dei CI, 2) costrutti
personali, rilevati attraverso la RG; 3) elementi dei compiti espressi in azioni e priorità
percepite delle attività di lavoro, rilevati attraverso il WPS.
Seguendo una metodologia di natura induttiva i definens omogenei in termini di
intenzione, sono stati raggruppati per andare a costituire il significato da attribuirsi a
ciascuna competenza individuata o definendum.
La discriminazione dei modelli dei due gruppi è stata fatta, sulla base degli attributi
emersi dal Critical Incident (CI) in quanto si è ritenuto più rigoroso e contingente il
risultato rispetto a quello fornito dal WPS e dalla griglia di repertorio. Ricordiamo,
infatti, che il WPS definisce un modello di rilevazione comunque cross firm e “pre-
costituito” e che la griglia di repertorio non fornisce la visione del titolare della
posizione (in questo caso quella del capo area). L’analisi, stante la ridotta numerosità
dei campioni, è stata condotta facendo semplicemente ricorso alla statistica descrittiva.
Per ciascuna delle “capacità” individuate è stata considerata la frequenza con la quale i
vari indicatori comportamentali emergono nel gruppo B e nel gruppo A (Tab. 3). Allo
scopo di rendere gli indici confrontabili fra loro tali valori sono stati relativizzati sulla
base di una duplice elaborazione statistica:
1. La distribuzione di frequenza degli indicatori codificati in ciascuna competenza
rispetto al numero dei critical incident effettuati nei due gruppi e la differenza relativa
fra le frequenze, per indicare la misura in cui la scelta di una competenza sia emersa in
25
modo distintivo fra i due gruppi.
2. La quota percentuale riferita alla somma degli indicatori relativi a ciascuna
competenza rispetto al totale degli indicatori individuati in ciascuno dei sottogruppi
sottoposti ad indagine.
Questa doppia rielaborazione garantisce una rappresentazione più approfondita,
permettendo di misurare ogni indicatore nella sua importanza in sé ma anche rispetto
agli altri indicatori.
L’indice di differenza relativa delle frequenze fra i due gruppi ha consentito di
evidenziare le competenze discriminanti nei due gruppi. La tabella 4 mostra tale
risultato. E’ possibile considerare discriminanti alcune competenze che presentano un
importante margine di differenziazione di segno “positivo” ed altre che presentano
invece tale segno in valore “negativo”.
Tabella 3 Distribuzione di frequenza indicatori delle competenze (sulla base del CI)GRUPPO B Freq
.Quota
Quota cumulata
GRUPPO A Freq.
Quota
Quota cumulata
Gestione e orientamento degli altri
1,00 0,152 0,152 Motivare e sviluppare gli altri
0,95 0,156 0,156
Comunicare 0,80 0,121 0,273 Gestione e orientamento degli altri
0,90 0,148 0,305
Motivare e sviluppare gli altri
0,80 0,121 0,394 Consapevolezza del ruolo 0,50 0,082 0,387
Imprenditorialità 0,60 0,091 0,485 Fiducia in sé 0,48 0,078 0,465Sensibilità interpersonale 0,60 0,091 0,576 Orientamento al servizio 0,45 0,074 0,539Consapevolezza del ruolo 0,50 0,076 0,652 Analisi e risoluzione dei
problemi0,43 0,070 0,609
Orientamento al risultato 0,50 0,076 0,727 Organizzazione del lavoro 0,40 0,066 0,675Apprendimento 0,40 0,061 0,788 Orientamento al risultato 0,38 0,062 0,737Esercizio dell'autorità 0,40 0,061 0,848 Apprendimento 0,33 0,053 0,790Analisi e risoluzione dei problemi
0,30 0,045 0,894 Imprenditorialità 0,30 0,049 0,840
Lavorare con gli altri 0,30 0,045 0,939 Comunicare 0,28 0,045 0,885Fiducia in sé 0,10 0,015 0,955 Gestione dello stress 0,25 0,041 0,926Gestione dello stress 0,10 0,015 0,970 Sensibilità interpersonale 0,23 0,037 0,963Organizzazione del lavoro 0,10 0,015 0,985 Lavorare con gli altri 0,18 0,029 0,992Orientamento al servizio 0,10 0,015 1,000 Esercizio dell'autorità 0,05 0,008 1,000
26
Le competenze che discriminano maggiormente “le azioni che portano a risultati
superiori alla media” sono: esercizio dell’autorità, comunicare, empatia,
imprenditorialità e lavorare con gli altri (Tab. 4).
27
Tabella 4. Le competenze discriminanti (Differenze Relative)
COMPETENZE Differenza Relativa
Esercizio dell'autorità 0,78Comunicare 0,49Sensibilità interpersonale 0,45Imprenditorialità 0,33Lavorare con gli altri 0,26Orientamento al risultato 0,14Apprendimento 0,10Gestione e orientamento degli altri 0,05Consapevolezza del ruolo 0,00Motivare e sviluppare gli altri -0,09Analisi e risoluzione dei problemi -0,17Gestione dello stress -0,43Organizzazione del lavoro -0,60Orientamento al servizio -0,64Fiducia in sé -0,65
Per altri versi almeno quattro competenze discriminano il gruppo A e sono: gestione
dello stress, organizzazione del lavoro, orientamento al servizio, fiducia in sé.
Un interessante elemento di riflessione è dato dall’esercizio dell’autorità che è la
competenza maggiormente discriminante, sulla base del CI.
L’organizzazione, per quanto destrutturata, degerarchizzata sembra non elimini
l’importanza ed il valore dell’esercizio dell’autorità per conseguire risultati. Per dirla
con le parole di un CR «… non bisogna mai dimenticarsi che siamo in un reparto di
un’organizzazione economica, cooperativa si, ma sempre economica; noi offriamo la
disponibilità e la sensibilità verso gli addetti ma ciò non deve impedire di farsi
riconoscere come leader, il che significa “fare il capo” quando serve».
In termini di percezione di priorità della attività del lavoro notiamo come tutti i
componenti del gruppo B sostengono che è prioritario ai fini dell’efficacia della
prestazione del reparto «stabilire le regole su aspetti procedurali del lavoro»; tale aspetto
è considerato prioritario solo da 7 CR del gruppo A. Occorre però specificare come
l’esercizio dell’autorità nei confronti dei propri collaboratori non si presenta come
28
semplice “esecuzione di un ruolo e di direttive provenienti dall’alto” ma si spiega in una
logica più allargata, di tipo sociale ed “imprenditoriale”; i CR del gruppo B rispetto ai
loro colleghi del gruppo A sono più interpreti che esecutori dell’autorità.
Se da un lato l’esercizio dell’autorità è la prima competenza discriminante, dall’altro
emerge che tre delle prime cinque sono di tipo sociale/relazionale (comunicare,
sensibilità interpersonale (empatia) e lavorare con gli altri). Comunicare, dimostrare
sensibilità verso i problemi degli addetti (empatia), mettersi nei loro panni e lavorare
con loro “gomito a gomito” sembrano essere fattori determinanti per una prestazione
superiore.
Infine emerge l’imprenditorialità. I CR del gruppo B pur riconoscendo il valore della
gerarchia e delle regole, risultano possedere maggiore capacità d’iniziativa e spirito
imprenditoriale, utilizzano quindi i margini di discrezionalità concessi
dall’organizzazione con comportamenti proattivi. Tale competenza, a nostro avviso,
rappresenta l’elemento che è alla base di quelle azioni attuate dal capo reparto che
stimolano i «comportamenti attivi» di cui abbiamo accennato nel secondo paragrafo.
La capacità di lavorare in gruppo che è l’altra competenza discriminante, ci dimostra
come in realtà il capo reparto è sempre un soggetto che nel rapporto con il collaboratore
si considera una sorta di primus inter pares, confermando, tra l’altro, le indicazioni
provenienti da altre ricerche (Camuffo, 1998).
Un elemento per certi versi di difficile interpretazione riguarda l’orientamento al
servizio che, come si può notare, mostra un andamento inverso a quello che ci si
sarebbe aspettato. Alcune ipotesi sono state avanzate anche in considerazione dei dati
che emergono dai profili di ruolo che ne invertono, questa volta “a favore del gruppo
B”, la rilevanza. E’ possibile che il gruppo B percepisca il servizio al cliente come
29
aspettativa aziendale (ruolo atteso) o obiettivo della posizione e non come abilità o
capacità personale.
Al fine di dare concreta evidenza dei dati raccolti riportiamo di seguito nelle tabb. 5-7
tre competenze rilevate nei due gruppi: esercizio dell’autorità, comunicare ed
imprenditorialità4.
Tabella 5 La “competenza Esercizio dell’autorità”
Esercizio dell’autoritàGruppo B Gruppo A
Azione definita dal WPS P F(x) Azione definita dal WPS P F(x)Stabilire regole 72,8 5 Mantenere la disciplina 71,7 12Esigere che il lavoro sia rifatto per soddisfare gli standard
67,6 3 Dare avvertimenti verbali per correggere comportamenti
67,8 14
Mantenere la disciplina 67,4 5Dare avvertimenti verbali per correggere comportamenti
65 4
Fare richiami formali 54 5
Attributi emersi dal CI Attributi emersi dal CIEssere direttivi quando le circostanze lo richiedono
1 Capacità di fare richiami formali ai collaboratori
1
Esercitare l’auorità derivante dal ruolo, far rispettare le regole
2 Esercitare, quando necessario, l’autorità derivante dal ruolo
1
Richiamare formalmente gli addetti
Costrutti emersi dalla RG
Saper essere direttivi
4 Per sinteticità inseriamo solo gli elementi individuati da oltre la metà dei soggetti dei sottogruppi.
30
Tabella 6 La “competenza Comunicare”
ComunicareGruppo B Gruppo A
Attributi emersi dal CI P F(x) Attributi emersi dal CI P F(x)Comunicare in maniera chiara e decisa ciò che ci si aspetta dai collaboratori
4 Comunicare in maniera chiara trasparente e diretta
4
Favorire il flusso di comunicazione tra reparto e sede centrale
Vecolare agli addetti le direttive aziendali
2
Abilità dialettica e retorica (pathos)
Buon dialogo con i superiori 1
Controllo del flusso informativo (non comunicare sempre tutto)
Capacità di comunicare risposte negative da parte dell’azienda
Saper comuniare anche le conseguenze negative di comportamenti non professionali
Gestire il flusso di informazioni verso gli addetti e verso i superiori
Costrutti emersi dalla RG
Parlare in modo trasparenteBuona comunicazione
Tabella 7 La “competenza Imprenditorialità”
ImprenditorialitàGruppo B Gruppo A
Azione definita dal WPS P F(x) Azione definita dal WPS P F(x)Assegnare risorse in situazioni di emergenza
80,6 3
Decidere di propria iniziativa una linea di azione
56,6 4
Attributi emersi dal CI Attributi emersi dal CISpirito di autonomia Spirito d’iniziativa 7Consapevolezza delle resistenze all’innovazione
Riuscire a cogliere il momento opportuno per portare avanti le proprie idee
1
Spirito di iniziativa Decidere 2Rapidità nell’affrontare situazioni di emergenza
Capacità di adattarsi al cambiamento 2
Capacità di adattarsi al cambiamento
2
4.3 I modelli di ruolo.
Il lavoro manageriale si presenta con una serie di aspettative comuni e di vincoli
all’interno dei quali il manager deve operare; questi ultimi tendono ad essere
31
interiorizzati da parte dell’attore organizzativo e ad influenzarne i processi di scelta
(Stewart, 1967) e quindi l’azione. Il comportamento di un individuo all’interno
dell’organizzazione è regolato specificamente anche dal ruolo.
Un ruolo è un modello di comportamento che soddisfa le esigenze e le aspettative del
gruppo nei confronti dell’individuo. Queste aspettative si riferiscono in genere alla
funzione specifica che ricorrentemente deve svolgere colui che ricopre il ruolo (Gross,
Mason e McEachem, 1964; Katz and Kahn, 1966; Rugiadini, 1979).
Alla base del concetto di ruolo vi è la necessità umana di cooperare, attraverso la
divisione dei compiti, tra i diversi soggetti che appartengono ad un gruppo,
un’organizzazione, o un’unità organizzativa per raggiungere un risultato che altrimenti
non sarebbe conseguibile.
Nell’ambito di questa attività cooperativa, il gruppo formula una serie di aspettative di
comportamento nei confronti di ogni partecipante e le stesse vanno a costituire il
“ruolo” di ciascuno.
Tali aspettative sono tendenzialmente indipendenti dalla personalità dell’individuo,
anche se l’individuo poi, al momento in cui assume il ruolo le adatta in base a come le
percepisce, in relazione a quelle che sono le sue aspettative, alla situazione specifica e
non ultimo in relazione al suo sistema di risorse individuali posseduto e prospettico.
Il comportamento individuale è, quindi, condizionato dalla efficacia con cui si svolge il
processo di assunzione dinamica del ruolo (Katz and Kahn, 1966) che è comunque
sempre riferibile ad un ufficio o posizione identificata all’interno di un’organizzazione
economica. La dimensione gerarchica e funzionale (Schein, 1980) dei ruoli lavorativi è,
quindi, sempre presente.
La personalità dell’individuo, e più in generale il suo sistema organizzato di risorse
32
individuali può influenzare le modalità con cui il ruolo viene “interpretato”, ma non può
influire sul fatto che il ruolo venga svolto o meno (Mintzberg, 1973, p. 54). Gli attori
organizzativi, quindi, interpretano gli stessi ruoli in maniera differente.
Vale la pena di osservare che un ruolo può essere internamente segmentato, per fini
analitici, in altri sub-ruoli, classificando le aspettative di cui si compone per gruppi
omogenei.
Tale scomposizione è importante anche perchè può aiutare i manager stessi a svolgere il
loro lavoro in maniera più efficace. L’azione del capo reparto, può essere analizzata
seguendo il modello proposto da Mintzberg (1973). Per gestire la propria unità ed
allinearla coerentemente con l’ambiente, il manager è considerato in questo modello
come la persona formalmente incaricata di gestire un reparto, unità organizzativa o
azienda. (Mintzberg, 1973).
I ruoli del capo reparto sono suddivisi in tre gruppi: a) quelli che riguardano
prevalentemente le relazioni interpersonali; b) quelli che sono riferiti principalmente al
trasferimento delle informazioni; c) quelli relativi al processo decisionale.
I ruoli informativi legano fra loro tutti i ruoli manageriali. I ruoli interpersonali
assicurano che tutte le informazioni siano fornite, mentre i ruoli decisionali garantiscono
un uso significativo delle informazioni.
Accanto ai ruoli definiti da Mintzberg sono stati individuati due “ruoli” specifici
dell’azienda Alfa: quello relativo al “presidio della qualità del servizio”, inserito fra i
ruoli interpersonali, e quello di “osservatore della concorrenza”, inserito tra i ruoli
informativi.
33
Tabella 8 I profili di ruolo secondo la percezione dei titolarie dei capi negozio
Ruoli Manageriali B A C. NEG.
Ruoli Interpersonali1. Rappresentate del reparto verso l’esterno 3,4 4,1 7,82. Liason con altri reparti 4,4 4,5 6,53. Leader del reparto 14,2 18,0 16,14. Tutore della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente
32,9 18,7 25,5
Ruoli Informativi5. Ricercatore e selezionatore di informazioni 3,6 4,9 5,36. Osservatore dei punti di forza della concorrenza 0,6 2,3 3,77. Diffusore di informazioni e valori ai collaboratori 8,3 6,3 8,38. Trasmettitore di informazioni all’esterno del reparto 6,2 3,8 3,1Ruoli Decisionali9. Decisore delle strategie del reparto 1,7 4,6 7,110. Gestore degli imprevisti 16,8 7,3 711. Organizzatore del lavoro 8,3 16,6 14,212. Negoziatore 3,6 8,86 6,9
In sintesi la tabella 8 mostra i profili dei 12 ruolo dei capi reparto dei due gruppi
individuati con la valutazione del job holder e “dell’organizzazione” (Capi Negozio).
Tale valutazione potrebbe essere considerata come grado di importanza attribuita dai
soggetti ai singoli ruoli.
I ruoli interpersonali sono visti in relazione alla autorità formale riferita alla posizione
del capo reparto ed al relativo status organizzativo. Il primo di questi ruoli, definito
figurehead (rappresentante), considera il capo reparto come simbolo del reparto che
deve assolvere anche una serie di obblighi che riguardano le relazioni interpersonali.
Il secondo ruolo, quello di leader, identifica il capo reparto nella relazione con i propri
collaboratori, gli addetti, nel momento in cui cerca di guidarli, formarli, ascoltarli,
stimolarli, motivarli e nell’attività di coordinamento delle loro attività.
Infine il ruolo di liason (collegamento), è relativo alla capacità del capo reparto di
crearsi una rete di relazioni e quindi è riferito alla cooperazione che il capo reparto ha
34
con i colleghi degli altri reparti, in generale con le altre unità o sub unità organizzative e
con le persone esterne all’organizzazione al fine di conseguire vantaggi ed informazioni.
Dall’analisi dei dati rileviamo intanto che i ruoli interpersonali hanno la priorità sugli
altri ruoli. Il gruppo B spende oltre il 54% del proprio tempo nei ruoli interpersonali,
contro il 45% del gruppo A, e questo risultato è prevalentemente attribuibile al ruolo di
tutore della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente. Per quanto riguarda
l’ordine di priorità attribuito ai singoli ruoli non si evidenziano differenze fra i due
gruppi.
Il capo reparto, sia per la posizione che occupa all’interno dell’organizzazione, sia per
interpretare i ruoli interpersonali appena descritti si colloca in una posizione
privilegiata, unica, in relazione ai flussi informativi aziendali.
I ruoli informativi evidenziano proprio questa centralità a livello di comunicazioni.
Mintzberg individua tre ruoli informativi: il monitor, il disseminator e lo spokeman. Il
monitor, identifica il manager come soggetto che riceve, ricerca e raccoglie le
informazioni provenienti dalle diverse fonti e se ne serve per comprendere in maniera
accurata ed approfondita sia l’organizzazione che gestisce sia l’ambiente esterno.
Il disseminator, è il ruolo di “trasmissione delle informazioni” all’interno della propria
organizzazione mentre quello di spokeman è relativo alla “diffusione delle
informazioni” organizzative verso l’ambiente esterno dell’organizzazione (in questo
caso ad esempio i clienti).
Dai dati si evidenzia come questi ruoli non siano particolarmente interpretati dai due
gruppi. Il gruppo B spende circa il 18,7% del proprio tempo nei ruoli informativi mentre
il gruppo A circa il 17,3%. In termini di priorità su questi ruoli c’è accordo sul ruolo di
diffusore di informazioni e valori ai collaboratori e di osservatore dei punti di forza
35
della concorrenza che risultano avere rispettivamente la priorità più alta e più bassa.
L’autorità, lo status, la posizione anche in termini di accesso ad alcune informazioni
colloca il capo reparto in una posizione significativa, anche se non prevalente all’interno
dell’organizzazione, per ciò che riguarda la formulazione delle decisioni anche
strategiche.
I ruoli decisionali che vengono evidenziati sono: l’entrepreneur, il disturbance handler,
il resources allocator ed il negotiator. Attraverso il ruolo di entrepreneur
(imprenditore) il manager implementa e guida il cambiamento nella propria unità
operativa; il disturbance handler (gestore degli imprevisti) rappresenta il ruolo che il
capo reparto interpreta quando si presentano situazioni problematiche ed imprevedibili
(conflitti fra i collaboratori, assenze impreviste, reclami dei clienti, ecc.); il ruolo di
resources allocator (l’organizzatore) riguarda le decisioni riferibili all’allocazione delle
risorse organizzative a disposizione dell’unità di appartenenza attraverso i processi di
programmazione, autorizzazione, organizzazione del lavoro, ecc.; il ruolo di negotiator
(il negoziatore) consente al capo reparto di gestire come metodo ma anche con
risolutezza ed autorità i rapporti con i fornitori, altri soggetti esterni al reparto ed
all’azienda come ad esempio i clienti.
I dati riferiti a questi tipi di ruolo mostrano intanto che vi è una significativa
discordanza sulle priorità. Il gruppo B prioritariamente svolge il ruolo di gestore degli
imprevisti e successivamente quello di organizzatore del lavoro, di negoziatore e quindi
di decisore delle strategie del reparto. Il gruppo A invece impiega la maggior parte del
tempo ad allocare le risorse, quindi a negoziare e gestire gli imprevisti ed infine a
decidere le strategie del reparto.
Valutando i due profili nel loro insieme possiamo affermare che il gruppo B si
36
caratterizza per essere un soggetto che presidia la qualità del servizio e la soddisfazione
del cliente, per la gestione degli imprevisti ed essere leader del reparto. Questi tre ruoli
saturano circa i due terzi del tempo speso dai CR del gruppo B. Il gruppo A, invece, è
sempre prioritariamente un tutore della qualità del servizio e della soddisfazione della
clientela, quindi un leader ed un organizzatore del lavoro. Questi tre ruoli, però,
saturano circa la metà del tempo degli A.
Analizzando, invece, i dati sulla base delle differenze relative tra i gruppi B ed A (tab.
9) si evidenziano alcuni elementi di riflessione interessanti.
Tabella 9 Differenze relative fra i CR e dissimilarità con i CN
Ruoli Manageriali Differenze relative (Gruppi B e A)
GruppoB vs CN
Gruppo A vs CN
Ruoli Interpersonali1. Rappresentate del reparto verso l’esterno -0,093 -0.564 -0.4742. Liason con altri reparti -0,011 -0.323 0,3083. Leader del reparto -0,118 -0,118 0,1184. Tutore della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente
0,275 0,390 0,267
Ruoli Informativi5. Ricercatore e selezionatore di informazioni -0,153 -0,321 -0,0756. Osservatore dei punti di forza della concorrenza -0,586 -0,838 0,3787. Diffusore di informazioni e valori ai collaboratori 0,137 0 -0,2418. Trasmettitore di informazioni all’esterno del reparto
0,240 1 0,226
Ruoli Decisionali9. Decisore delle strategie del reparto -0,460 -0,761 -0,35210. Gestore degli imprevisti 0,394 1,4 0,04311. Organizzatore del lavoro -0,333 -0,415 0,16912. Negoziatore -0,419 -0,478 0,284
Il ruolo discriminante l’efficacia della prestazione è quello di gestore degli imprevisti,
quindi il tutore della qualità del servizio, il “trasmettitore delle informazioni del reparto
verso l’esterno (clienti)” ed infine il ruolo di diffusore delle informazione e dei valori ai
collaboratori.
Il ruolo che discrimina maggiormente il gruppo A invece è relativo all’osservatore dei
37
punti di forza e di debolezza della concorrenza.
La compilazione del questionario sui ruoli manageriali è stata realizzata anche dai capi
negozio. Da tale analisi si è tentato di far emergere la prospettiva dell’organizzazione e
le aspettative aziendali rispetto al ruolo oggetto del presente studio al fine di
comprendere il grado di “allineamento” o di dissimilarità dei CR con le aspettative
dell’organizzazione.
Secondo i loro superiori gerarchici (tab. 8) i capi reparto dovrebbero assolvere in primis
un ruolo di tutore della qualità del servizio dedicandovi circa un quarto del loro tempo
lavorativo. Gli stessi capi reparto dovrebbero poi assumere il compito di guida del
proprio gruppo di lavoro e dedicare a questa attività circa il 16% del proprio tempo,
dovrebbero quindi allocare le risorse.
L’aspetto più interessante del confronto (tabella 9, colonne 2 e 3) fra i gruppi dei CR
con le aspettative dei responsabili di negozio (CN) è, a nostro avviso, relativo al
maggior grado di scostamento che il gruppo dei B evidenzia rispetto al gruppo degli A.
In sostanza, il CR del gruppo B sembra interpreti il proprio lavoro con un maggior
grado di “discrezionalità” (in maniera più “personale” che “aziendale”) rispetto al capo
reparto del gruppo A.
38
Fig. 2 I profili di ruolo dei gruppi A e B (autopercezione)
5. CONCLUSIONI
Coerentemente con quanto sostenuto dalla scuola di processo l’azione del manager di
linea ha rilevanza in quanto finalizzata a creare e gestire a livello operativo le condizioni
per generare e sostenere vantaggi competitivi. Avendo scelto un approccio basato
sull’attore, senza tralasciare le contingenze organizzative, l’analisi ha cercato di
individuare i profili di competenza e di ruolo che sottostanno l’azione di due gruppi di
manager distinti per prestazione.
In sintesi l’azione efficace sembra “alimentata” da un profilo di competenza e di ruolo
prevalentemente di natura sociale. Questo aspetto della socialità sia verso l’interno che
verso l’esterno (clienti) rappresenta per questa job il vero fattore critico di successo.
Emergere, inoltre con forza, che il CR del gruppo B è prevalentemente uno specialista
della qualità del servizio e della customer satisfaction. Tale ruolo tra l’altro discrimina
39
sensibilmente l’efficacia delle azioni ai fini di una performance superiore alla media.
Se poi, escludiamo il ruolo specifico di tutore della qualità del servizio, abbiamo per il
gruppo B una tipologia di leader che è sempre pronto ad intervenire in ogni circostanza
per garantire che il lavoro venga svolto senza interruzioni focalizzato sulla risoluzione
di situazioni problematiche ed impreviste che, se non opportunamente arginate, possono
influire negativamente sulla qualità del servizio offerto. In tale contesto egli si “ritaglia”
maggiori spazi di discrezionalità rispetto al CR del gruppo A.
Secondo Mintzberg questi tipi di manager (definiti Real Time Manager5) si ritrovano in
organizzazioni o unità organizzative che operano in ambienti fortemente dinamici e
competitivi, come sono appunto quelli della distribuzione commerciale moderna.
Il gruppo A invece evidenzia un leader impegnato a mantenere ordine nelle operazioni
interne (Mintzberg lo definisce Insider), un leader cioè più portato alla stabilità.
L’azione efficace, inoltre, nell’Azienda Alfa, si definisce quindi con un profilo di CR
che può essere considerato per la sua centralità nelle relazioni sociali (Social Network)
più che per la sua centralità nelle reti informative. Tra l’altro i due aspetti non sono
disgiunti. Mintzberg sostiene ad esempio che i ruoli interpersonali assicurano che tutte
le informazioni siano fornite ai vari attori organizzativi.
In conclusione vogliamo provare ad effettuare una riflessione più ampia sull’azione
manageriale che rappresentare più uno stimolo di discussione su un possibile percorso
di ricerca alternativo che un risultato.
Tale riflessione parte dalla considerazione che la salda continuità nel tempo di un
sistema può essere ulteriormente specificata considerando la nozione di prerequisiti 5 Secondo Mintzberg è possibile osservare l’esistenza di un raggruppamento naturale di tipologie manageriali, in cui le somiglianze compensano le differenze.Egli definisce così una serie di otto tipi di manager, in cui si nota la prevalenza di uno o di due ruoli manageriali sugli tutti gli altri. Tra questi troviamo il Real Time Manager che vede prevalere il ruolo di gestore degli imprevisti e quello di Insider che vede prevalere il ruolo di Allocatore di Risorse. Rimandiamo su tale punto all’opera dell’autore (Mintzberg, 1973, p. 127).
40
funzionali che l’organizzazione deve soddisfare per sopravvivere, o meglio per
conseguire differenziali competitivi. Adattando a questo caso uno schema interpretativo
proposto da Strand (1993) che riprende alcuni contributi proposti da altri autori
(evidente è ad esempio il riferimento a Parson) definiamo quattro gruppi di funzioni
organizzative essenziali per la continuità nel tempo dell’organizzaizione con le
corrispondenti azioni manageriali che allineano ed orientano l’organizzazione verso le
stesse per il sostenimento di vantaggi competitivi.
Le azioni sono individuate rispetto a due dimensioni: la dimensione interno/esterno e la
dimensione cambiamento/stabilità (fig. 3). Sulla base di questa distinzione
classifichiamo quattro tipologie di azioni: l’azione di sviluppo, quella di integrazione,
quella produttiva e quella amministrativa.
interne esterne
cambiamento AZIONI DI INTEGRAZIONE AZIONI DI SVILUPPO
stabilità AZIONI AMMINISTRATIVE AZIONI PRODUTTIVE
Fig. 3 L’azione manageriale e le funzioni organizzative di base
Assumendo che questi pre-requisiti di base possano in qualche modo essere evidenziati
attraverso l’azione del middle manager è possibile quindi descrivere gli individui e dare
significato alle loro azioni considerando il contesto organizzativo in senso più ampio.
Se lo riferiamo al nostro caso a noi sembra che rispetto alle azioni individuate, il gruppo
B presidi con maggiore efficacia del gruppo A le azioni di sviluppo (che impattano
soprattutto sulla creazione di valore attraverso la soddisfazione del cliente) e di
41
integrazione (ciò è visibile ad esempio dai dati relativi alla tipologia dei contatti ed al
peso dei ruoli interpersonali).
Viene comunque osservato che concentrarsi eccessivamente su una sola tipologia
d’azione, a scapito di altri può portare a disfunzioni all’interno dell’organizzazione.
BIBLIOGRAFIA
ADIZES I., (1976), “Mismanagement Styles”, in California Management Review, 19 (1).
AMIT R. & SCHOEMAKER P. J. H., (1993), “Strategic Assets and Organizational Rent”, in
BARNEY J., (1986), “Asset Stocks and Sustained Competitive Advantage: A comment”, in "Management Science", vol.35, n.12.
BARNEY J., (1986), “Strategic factor Markets: Expectations, Luck, and Business Strategy”, in "Management Science", vol.32, n.10.
BARNEY J., (1991), Firm Resources and Sustained Competitive Advantage, in "Journal of Management", Vol. 17, n.1.
BERNARDONI B. e CHINOTTI O., (1994), “I modelli delle competenze”, in Direzione del Personale, Sett.- Dic..
BOAM R. E P. SPARROW, (1992), Designing and achieving competency. A Competency Based Approach to Developing People and Organizations, McGraw-Hill, London, (trad. it., Come disegnare le competenze organizzative: un approccio basato sulle competenze per sviluppare le persone e le organizzazioni)
BOYATZIS R. E., (1982), The Competent Manager. A model for Effective Performance, Wiley & Sons, New York.
CAMUFFO A., (1998), Piccoli grandi capi, Etaslibri, Etas, Milano.
CHANDLER, A., (1962), Strategy and Structure: Chapter in the History of the American Industrial Enterprise, MIT Press, Cambrige.
CHRITENSEN J. F., (1996), “Analyzing the Technology Base of the Firm”, in FOSS N. J. & C. KUNDSEN, Towards a competence perspective of the firm, Routledge, London.
COMACCHIO, A., (2000), “Gestire le competenze per la flessibilità”, in Atti del Workshop dei Docenti Ricercatori di Organizzazione aziendale, Padova.
D’ANNA R., (2000), Sistemi di decisioni e strumenti di programmazione, Dispense ad uso didattico, Firenze.
DIERTICKX I e COOL K., (1989), “Assets Stock Accumulation and Sustainability of Competitive Advantage”, in "Management Science", vol. 35, n. 12.
42
FAZZI R., (1982), Il governo d'impresa, vol. I e II, Giufferè, Milano.
FLETCHER, S., (1991), Designing Competence-Based Training, Kogan Page, London..
FLOYD, S., W., and WOOLDRIDGE, B., (1997), “Middle Management’s Strategic Influence and Organizational Performance”, in "Journal of management Studies", vol. 34.
FOSS N. J., (1997), Resources, Firms, and Strategies. A Reader in the Resource-Based Perspective, Oxford, London.
GROSS, N., MASON, W, S., MCEACHERN, A. W., (1958), Explorations in Role Analysis. Studies of the School Superintendency Role, John Wiley & Sons, New York.
HALL R., (1992) “The Strategic Analysis of Intangible Resources”, in Strategic Management Journal, vol. 13, Febbraio (trad. it. in "Problemi di Gestione", vol. XIX, n. 6).
ITAMI H., (1990), Le risorse invisibili. Isedi, Torino. (ed. orig. Mobilizing Invisible Assets, 1987).
KATZ, D, e KHAN, R.L., (1966), The Social Psicology of Organizations, Wiley & Sons, NY, (ed. It. Psicologia sociale delle organizzazioni, 1968).
LIPPARINI, A. (1998), Le competenze organizzative. Sviluppo, condivisione, trasferimento, Roma, Carocci.
MAHONEY J. T & PANDIAN J. R., (1992), “The resource-based view within the conversation of strategic management”, in Strategic Management Journal, vol. 13.
MCCLELLAND D. C., (1973), Testing for Competence Rather than for "Intelligence", in American Psychologist", January.
MINTZBERG H., (1973), The nature of managerial work, Harper & Ron, New York, .
NONAKA I.& TAKEUCHI H., (1995), The Knowledge Creating Company, Oxford University Press, (ed. it. The Knowledge Creating Company, 1997).
PEARN, M., KANDOLA, R., (1997), L’analisi delle mansioni, dei compiti e dei ruoli, angeli, Milano.
PENROSE E., (1959), The Theory of the Growth og the Firm, 3rd ed. John Wisley and Sons, New York.
PETERAF M. A., 1993, “The Cornerstones of Competitive Advantage: a Resource-Based View”, in "Strategic Management Journal", vol. 14.
RATTI F., (1989), “La sfida delle competenze”, in Sviluppo e Organizzazione, n.115.
RUGIADINI, A. (1979), Organizzazione d’impresa, Varese, Giuffrè.
RUMELT P. R., (1984), “Toward a Strategic Theory of the firm”. In R. B. Lamb (ed.) Dcompetitive Strategic Management, Prentice Hall, New Jersey.
SALVEMINI S., (1979), Le variabili individuali, in RUGIADINI A., Organizzazione d'impresa, Giuffré, Milano.
SAYLES, L., (1993), The Working Leader. New York: The Free Press.
43
SCHEIN, E., (1980), ORganizational Psychology, Englewood Cliff, N.J., Prentice Hall, cit. in AVALLONE (1994), Psicologia del lavoro, La Nuova Italia sciemntifica, Roma.
SCHULZE W.S., (1994), “The Two Schools of Thought in Resource-based Theory: Definitions and Implications”, in "Advances in Strategic Management", Vol. 10A.
SCHUMPETER J. A., (1967). Capitalismo, Socialismo, Democrazia. Milano.
SELZNICK P. ,1957, Leadership in Administration, Harper & Ron, New York.
SPENCER L. M. & Spencer S. M., (1993) Competence at work. Models for Superior Performance, Wiley, New York (ed. It. Competenze nel Lavoro, 1995).
STEWART, R., (1967), Managers and Their Jobs, THE MACMILLAN PRESS, London.
STRAND T., (1993) “Bureaucrats and other managers: roles in transition”, in K. A. ELIASSEN - J. KOOIMAN, Managing public organizations. Lessons from contemporary european experience, Sage, London.
TEECE D. J., PISANO G.& SHUEN A., (1997), “Dynamic Capabilities and Strategic Management”, in Strategic Management Journal, vol. 18, 7.
THOMPSON, J. D., (1967), Organizations in Action, Mc Graw Hill, (ed. It. L’azione organizzativa, 1994).
WERNERFELT B., (1984), “A resource-Based View of the Firm”, in "Strategic Management Journal", vol. 5.
WHITE R. W., (1959), “Motivation Reconsidered: The Concept of Competence”, in "Psychological Review", vol. 66.
WOODRUFFE C., (1991), “Competent by Any Other Name”, in Personnel Management, Sept..
NOTE
44
top related